IL POTERE POLITICO SPETTA DI DIRITTO AL
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IL POTERE POLITICO SPETTA DI DIRITTO AL
Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Il proletariato per vincere deve costituire un proprio partito Aff inché nel giorno decisivo il proletariato sia abbastanza forte da poter vincere è necessario – e questo abbiamo sostenuto Marx ed io sin dal 1847 – che esso costituisca un proprio partito, separato da tutti gli altri e opposto ad essi, un partito di classe con una coscienza di classe. Nuova serie - Anno XXXIX - N. 13 - 2 aprile 2015 Il potere politico spetta di diritto al proletariato di Giovanni Scuderi Engels, Lettera a G. Trier, 18.12.1889 PAG. 7 Comunicato dell’ufficio stampa del PMLI Travolto dalla tangentopoli degli appalti per le grandi opere Lupi costretto Per evitare il terrorismo islamico occorre che a dimettersi l’imperialismo si ritiri dal Arrestato Incalza (ex PSI legato a Lupi e NCD) insieme a Cavallo, Perotti e Pacelli. 51 indagati per corruzione, induzione indebita e turbativa d’asta si sono spartiti affari per 25 miliardi. Sabelli (ANM): il governo dà schiaffi ai magistrati e carezze ai corrotti Renzi protegge gli indagati che affollano il suo governo Dopo Montante, è il secondo “simbolo” palermitano dell’antimafia che viene smascherato Arrestato Helg con in mano una mazzetta di 100 mila euro Il presidente della Confcommercio pubblicamente si batteva contro il racket, in privato si comportava come un mafioso. Ma i governi Renzi e Crocetta hanno occhi e orecchie? E Alfano? L’Italia capitalista può essere ripulita dalla corruzione solo col socialismo PAG. 4 Con la “Coalizione sociale” che raggruppa diverse fazioni della “sinistra” borghese attorno alla Fiom Landini impantana i lavoratori nel capitalismo PAG. 3 Medioriente e dal Nord e Centro Africa PAG. 4 Dopo il processo per abuso d’ufficio Sequestrati 6 milioni di euro a Fiori, coordinatore dei club Forza Silvio L’ex commissario per l’emergenza a Pompei è d’accordo di aver “costruito opere stravaganti con i soldi dell’emergenza” e di “gestione fraudolenta e di un sistema di potere clientelare consolidati e diffusi” PAG. 5 Il socialimperialismo cinese sfida l’imperialismo Usa anche sul piano monetario Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna aderiscono alla banca mondiale della Cina L’ira della Casa Bianca Firenze, 23 marzo 2015. La diffusione del PMLI per la presentazione della “coalizione sociale” di Landini Non chiede nemmeno di spazzar via il governo Renzi Il proletariato per vincere deve unirsi al PMLI e lottare contro il capitalismo per il socialismo e il potere politico PAG. 2 Per il trionfo della causa del socialismo in Italia Anche un solo euro al mese Il PMLI ha bisogno dell’aiuto economico di tutti i fautori del socialismo, gli anticapitalisti, gli antirenziani ovunque partiticamente collocati. Con le quote mensili dei soli militanti e dei contributi dei simpatizzanti attivi non ce la fa a sostenere le spese crescenti delle attività, della propaganda e delle sedi. I contributi, anche un euro al mese, possono essere consegnati direttamente ai militanti del Partito oppure versati attraverso il conto corrente postale n. 85842383 intestato a: PMLI – via Antonio del Pollaiolo, 172/a – 50142 Firenze. Grazie di cuore PAG. 14 Volantinaggi del PMLI a Firenze e a Roma Diffuso il volantino “Il potere politico spetta di diritto al proletariato” alla presentazione della Coalizione sociale nella città del Giglio, PAG. 9 presente Landini 2 il bolscevico / Coalizione sociale N. 13 - 2 aprile 2015 Con la Coalizione sociale che raggruppa diverse fazioni della “sinistra” borghese attorno alla Fiom Landini impantana i lavoratori nel capitalismo Non chiede nemmeno di spazzar via il governo Renzi Il proletariato per vincere deve unirsi al PMLI e lottare contro il capitalismo per il socialismo e il potere politico Alla fine la Coalizione sociale di Landini è stata presentata ufficialmente. L’evento fondativo si è concretizzato attraverso una riunione convocata sabato 14 marzo nella sede nazionale della Fiom in Corso Trieste a Roma. Una riunione a porte chiuse durata 5 ore alla quale avrebbero partecipato diverse associazioni: da Emergency all’Arci, Libertà e Giustizia, Libera e Articolo 21. Presenti anche rappresentanti di alcune categorie professionali come avvocati, farmacisti e dottorandi di ricerca. E non è mancata la partecipazione di rappresentanti politici veri e propri, impersonati da tre ex M5S tra cui la senatrice Maria Mussini. Questi sono alcuni dei soggetti che si sono presentati a Roma dopo aver ricevuto l’invito che la Fiom ha mandato a circa 150 associazioni, reti, movimenti e personalità. Tentativo di recuperare consensi alla “sinistra” borghese Nella conferenza stampa finale Landini ha ribadito alcuni concetti e delineato gli scopi (almeno quelli dichiarati) della nascente Coalizione sociale primo tra tutti “difendere i diritti di cittadinanza a partire da quello del lavoro, non solo quello del salariato, ma in tutte le forme”. Ha ribadito più volte che non vuole fondare un nuovo partito (“chi oggi vuol fare un partito è meglio che vada via”) bensì l’intenzione di accorpare movimenti, reti e mondo dell’associazionismo per quella “domanda di giustizia sociale ora inascoltata e senza rappresentanza”. Parla di “spirito innovativo” su cui si fonderà la nuova Coalizione sociale, “indipendente e autonoma”, puntualizza ancora, per la quale occorre individuare una “visione nuova del lavoro, della cittadinanza, del welfare e della società”. Insomma, un linguaggio piuttosto vago, nebuloso, che lascia intendere che il percorso politico e organizzativo non è ancora del tutto definito. Probabilmente questo non è casuale ma è una scelta tattica voluta perché Landini spera che il suo progetto attragga il più vasto consenso possibile. Non solo in quell’area a sinistra del PD, ma in un raggio più ampio, ad esempio in quella del Movimento 5 Stelle. Una cosa però è lampante: da un punto di vista di classe il suo progetto è da bocciare in pieno perché tutto interno al capitalismo, non si pone minimamente l’obiettivo di superare l’attuale sistema economico, nemmeno a parole come fanno certi riformisti. Alla fine appare come un altro degli innumerevoli tentativi, seppur in forme diverse, di recuperare consensi alla “sinistra” borghese, di riorganizzare in qualche modo quello spazio alla sinistra del PD quasi del tutto libero da sigle partitiche del regime. Per preparare “un’alternativa”, come dice Landini, alle politiche liberiste del governo Renzi e della Ue, ovvero sostenere la variante socialdemocratica del capitalismo. Un tentativo che potrebbe rivelarsi un ennesimo fallimento dopo esperienze come “l’Arcobaleno” e “Rivoluzione civile”, ed è proprio per questo che Landini cerca di tirare fuori formule diverse da quella del semplice cartello elettorale. La novità, e la gravità, sta nel fatto che vuole mettere al servizio di questo progetto i lavoratori, tirare direttamente in ballo la classe operaia e la Fiom. Progetto interno al capitalismo Sia dal punto di vista politico che organizzativo la Coalizione sociale si presenta come espressione della “sinistra” borghese e ad essa è subalterna. Un progetto tutto interno all’attuale sistema, dove la parola socialismo non entra neppure nel vocabolario e la stessa UE è considerata un organismo che può stare dalla parte dei lavoratori e non come espressione dell’imperialismo europeo irriformabile e da distruggere, l’unico problema, secondo Landini, è che adesso è guidata dai liberisti. Un’azione politica basata sulla difesa della Costituzione borghese del 1948, oramai fatta a brandelli da destra, sostituita nei fatti con il presidenzialismo e neofascismo, che pure gli stessi Landini e soci in parte denunciano. A questo proposito ci viene in mente la breve intervista de Il Bolscevico a Landini durante la COSA FARE PER ENTRARE NEL PMLI Secondo l’art. 12 dello Statuto, per essere membro del PMLI occorre accettare il Programma e lo Statuto del Partito, militare e lavorare attivamente in una istanza del Partito, applicare le direttive del Partito e versare regolarmente le quote mensili, le quali ammontano: lavoratori euro 12,00; disoccupati e casalinghe euro 1,50; pensionati sociali e studenti euro 3,00. Lo stesso articolo dello Statuto specifica che “può essere membro del Partito qualunque elemento avanzato del proletariato industriale e agricolo, qualunque elemento avanzato dei contadini poveri e qualunque sincero rivoluzionario sulle posizioni della classe operaia... Non può essere membro del Partito chi sfrutta lavoro altrui, chi ha e professa una religione o una filosofia non marxista”. Oltre a ciò occorre accettare la linea elettorale astensionista del Partito. L’ingresso al PMLI avviene dopo l’accettazione della domanda di ammissione il cui modulo va richiesto al Partito. grandiosa manifestazione nazionale della Cgil del 25 ottobre 2014 a Roma. La nostra giornalista, richiamando uno degli slogan della manifestazione “Per cambiare l’Italia” domandava al segretario della Fiom: Ma come si può cambiare l’Italia perdurando il capitalismo e il potere borghese? Non è il caso di cambiare società con il socialismo e dando il potere al proletariato? Landini rispondeva: Intanto penso che ci sia bisogno di applicare la Costituzione, che sarebbe la rivoluzione più forte di tutto, e noi ci stiamo battendo per questo. Domanda: Ma a quale costituzione si riferisce se il governo Renzi, ha definitivamente sepolto la Costituzione del ’48? Landini: No, la Costituzione che c’è noi la vogliamo applicare, e ci vogliamo battere perché venga applicata. È una vostra idea che non esista più. Secondo me esiste e bisogna farla applicare. Quelle risposte date sulla Costituzione dicono chiaramente che Landini non intende spingersi oltre al capitalismo, accettandone in tutto e per tutto le regole, propinando al proletariato e alle masse illusioni costituzionali, parlamentari e riformiste. Non chiede nemmeno di spazzar via il governo Renzi, anche se lo attacca su tutta la linea, soprattutto sul Jobs Act: “questo governo e in particolare il partito di maggioranza ha cancellato i diritti dei lavoratori”. Ma se non ha portato fino in fondo l’attacco al nuovo Berlusconi Renzi alla guida della Fiom, perché dovrebbe farlo adesso con la Coalizione sociale? Come può essere credibile se per un certo periodo ha pure flirtato con Renzi e infine ha allineato la Fiom alla linea capitolazionista e attendista della Camusso? Negazione del Partito Si immagina una coalizione che raccolga un ampio consenso su una vaga difesa dei lavoratori e dei più deboli, un po’ sullo stile dello spagnolo Podemos e della greca Syriza, anche se lui smentisce. Alcuni osservatori politici hanno rilevato che, pur con tutte le dovute differenze, assomigli più a Solidarnosc. In effetti non mancano alcune somiglianze con il sindacato-partito polacco, con alla base gli operai ma alla testa la borghesia, in quel caso di destra e cattolica. La Fiom in apparenza sembra che guidi questa coalizione ma in realtà il sindacato dei metalmeccanici di sinistra fa solo da sgabello a varie fazioni della “sinistra” borghese. Il ruolo della Fiom semmai è quello di dare un consenso di massa, di costituire la forza d’urto e non ultimo fornire un sostegno concreto fatto di strutture organizzative distribuite capillarmente sulla maggior parte del territorio nazionale. Sostegno senza il quale le principali correnti democratico borghesi della Coalizione, come ad esempio quella rappresentata da Rodotà, Zagrebelsky e Sandra Bonsanti non potrebbero avere alcun peso. Per essere concreti, chi dovrebbe portare in piazza migliaia di persone? L’associazione Libertà e Giustizia della Bonsanti? Gino Strada con Emergency? Si teorizza la scomparsa stessa della forma partito definita “ottocentesca”, da sostituire con nuove forme di aggregazione, contenitori di tante realtà diverse. Difatti Landini ripete spesso che lui vuole rappresentare tutti i lavoratori, quindi domandiamo noi, anche i padroni di piccole aziende che stanno alla produzione accanto ai dipendenti? Assieme alla classe operaia e ai lavoratori? Non a caso il progetto di Landini ha subito avuto il sostegno di coloro che da sempre predicano “rifondazioni”, “nuovi laboratori”, discontinuità con l’esperienza del movimento operaio internazionale per giustificare il rigetto del socialismo e l’accettazione del capitalismo. Come il segretario del PRC Ferrero, quello di SEL Vendola, il trotzkista dichiarato Turigliatto (anche se costoro hanno progetti organizzativi diversi) e il rinnegato e folgorato sulla strada di papa Bergoglio Bertinotti. Ma al di là delle dichiarazioni poi conteranno i fatti. Per ora Landini non ha voluto chiarire quale sarà lo sbocco politico della Coalizione sociale, rigetta in ogni modo l’ipotesi che si trasformi in partito. Comunque sia, cosa faranno alle prossime elezioni? Alle regionali sosterranno un candidato di qualche partito o ne presenteranno uno loro? Forse è troppo presto e aspetteranno le prossime elezioni politiche, ammesso che il progetto sia ancora in piedi? Sicuramente combattono l’astensionismo di sinistra come ha dichiarato più volte Landini, cercando di riportare questo elettorato a credere nelle illusioni parlamentari. Occorre dar forza al Partito del proletariato, il PMLI Il PMLI con tutte le sue forze combatte contro il governo Renzi ed è disposto a fare fronte unito con tutti quelli gli si oppongono. Per contrastare l’attacco ai diritti dei lavoratori, allo stesso diritto del lavoro borghese, alle libertà democratico-borghesi, il PMLI ritiene che ci sia bisogno di un ampio arco di forze disponibili a sbarrare la strada al nuovo Berlusconi. È necessario spazzare via al più presto questo governo prima che porti a compimento il suo nero disegno. Tuttavia Landini con la Coalizione sociale si pone un altro obiettivo: rappresentare politicamente i lavoratori per impantanarli nel capitalismo. E in questo caso i marxisti-leninisti si collocano su tutt’altro piano. Il PMLI ha invece come obiettivo il socialismo e si tratta di scegliere quale sia la strada vincente per mettere fine al dominio della borghesia. Fermo restando il capitalismo non c’è futuro per il proletariato che al massimo potrà ricevere delle briciole dal lauto banchetto a cui siede la borghesia, ma sarà sempre subalterno ad essa. Quindi occorre superare il sistema economico capitalistico, che non può evolvere verso il socialismo gradualmente e attraverso il mero elettoralismo, ma solo attraverso la rottura rivoluzionaria. “Per fare la rivoluzione occorre un partito rivoluzionario” sono le semplici ma inappellabili parole di Mao che indicano la strada da seguire. Prima di tutto occorre volere il socialismo e voler fare la rivoluzione, poi serve un partito che la guidi, un partito del proletariato che ne rappresenti gli interessi, rivoluzionario e completamente autonomo e indipendente dalla borghesia e contrapposto a essa. Questo partito esiste già, è il PMLI. Si tratta solo di farlo crescere affinché diventi effettivamente il partito della classe operaia, e non solo idealmente come lo è adesso, che diventi un Gigante Rosso anche nel corpo per assolvere i suoi compiti rivoluzionari. Quando il proletariato si unirà al PMLI per combattere il capitalismo, per il socialismo e il potere politico, allora si potrà spalancare anche in Italia uno scenario in cui i lavoratori siano protagonisti del loro destino e non subordinati alla borghesia, nemmeno nella sua variante di “sinistra”. Progetti come quello di Landini invece servono solo a spargere nuove illusioni di cambiamento, fermo restando il capitalismo, che non porteranno alcun vantaggio ai lavoratori e alle masse popolari del nostro Paese. Tramite l’Associazione “DemA” De Magistris sposa il progetto riformista di Landini L’ex pm pronto al salto nel parlamento nero Redazione di Napoli “Dò un giudizio molto positivo di questa iniziativa di Landini e di un numero nutrito di associazioni, di realtà che da tempo fanno politica in modo diverso dai partiti tradizionali”. Queste le parole entusiastiche con cui il neopodestà di Napoli, Luigi De Magistris, ha salutato l’avvento di “Coalizione sociale” portata avanti da Landini: “anche io sostengo - ha continuato l’ex pm - che bisogna cercare un’alternativa democratica al sistema, che è in evidente asfissia, e si trova soprattutto fuori dai partiti. Si trova nelle lotte sociali nelle lotte per i diritti, nell’alternativa di modelli econo- mici, nelle battaglie culturali, nelle battaglie sui territori”. Ecco svelata l’operazione che ha portato De Magistris e suo fratello Claudio a costituire l’Associazione “DemA”, un acronimo che significa “democrazia ed autonomia”, che dovrebbe essere la base politica per le elezioni amministrative del 2016 per la poltrona di sindaco, ma anche un possibile “laboratorio” per cercare il salto di qualità verso il parlamento nero. Che sia una studiata trovata in vista delle elezioni lo dimostra il fatto che De Magistris non ha negato la possibilità di un suo intervento anche nelle prossime elezioni regionali in ordine alla candidatura di Nino Daniele alla presidenza della Regione Campania: “non escludo possa accadere - ha detto il neopodestà -, se ci sono persone che la propongono. Posso solo dirvi che non è un candidato mio, perché ripeto ancora una volta, resterò fuori da questa campagna elettorale. Se Daniele mi chiederà un consiglio se candidarsi o meno, io glielo darò”. Ed ecco, dunque, l’improvviso feeling con Landini: “abbiamo accettato volentieri l’invito di Maurizio Landini, per la prima assemblea convocata a Roma, per discutere dell’idea di costituire una coalizione sociale”. Non sembra essere un caso, pertanto, la discesa in campo di De Magistris che in effetti non aveva speso una parola sulla sua possibile candidatura a governatore della Campania. L’obiettivo è quello di raccattare tutto ciò che si trova a “sinistra” del PD e gettare nel pantano dell’elettoralismo i sinceri democratici, antifascisti e comunisti ancora abbagliati dalle promesse dei vari imbroglioni revisionisti Ferrero, Diliberto, Rizzo, arrestando l’avanzata impetuosa dell’astensionismo, che rimane sul fronte elettorale l’arma più efficace per combattere sia la destra sia la “sinistra” del regime neofascista. corruzione / il bolscevico 3 N. 13 - 2 aprile 2015 Travolto dalla tangentopoli degli appalti per le grandi opere Lupi costretto a dimettersi Arrestato Incalza (ex PSI legato a Lupi e NCD) insieme a Cavallo, Perotti e Pacelli. 51 indagati per corruzione, induzione indebita e turbativa d’asta si sono spartiti affari per 25 miliardi. Sabelli (ANM): il governo dà schiaffi ai magistrati e carezze ai corrotti Renzi protegge gli indagati che affollano il suo governo Quattro arresti, 51 indagati, un ministro dimissionario, 25 miliardi rubati al popolo e una sfilza di accuse gravi e infamanti che vanno dalla corruzione all’induzione indebita, turbativa d’asta e turbata libertà degli incanti e altri delitti contro la pubblica amministrazione: è il bilancio dell’operazione “Sistema” scattata all’alba del 16 marzo su ordine dei Pubblici ministeri (Pm) fiorentini Giuseppina Mione, Luca Turco e Giulio Monferini che indagano sulla nuova tangentopoli delle grandi opere. In manette sono finiti: Ercole Incalza, il potente dirigente del ministero delle Infrastrutture in sella da oltre trent’anni, indagato per 14 volte, coinvolto in tutte le principali inchieste sulla corruzione degli ultimi anni e ciononostante riconfermato al suo posto dagli ultimi sette governi che si sono succeduti compreso quello del Berlusconi democristiano Renzi. Gli altri tre arrestati sono il collaboratore di Incalza, Sandro Pacella, l’imprenditore Stefano Perotti socio in affari con Incalza nella Green Field System srl, e il presidente di Centostazioni spa (Gruppo Fs) Francesco Cavallo. Lupi costretto a dimettersi Tirato pesantemente in ballo nelle intercettazioni allegate all’ordinanza di arresto, il ministro Lupi (NCD) dopo tre giorni di “riflessione” è stato costretto a dimettersi nonostante Renzi abbia cercato in tutti i modi di coprirlo attaccando ferocemente l’Associazione nazionale magistrati che per bocca di Rodolfo Sabelli ha rinfacciato al premier di “accarezzare i corrotti e di schiaffeggiare i magistrati”. In una intervista a la Repubblica del 22 marzo Renzi ha infatti ribadito che non ha nessuna intenzione di cacciare gli indagati, ministri o sottosegretari, che fanno parte del suo governo: “Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia... per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato... Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali”. Dunque i sei sottosegretari attualmente inquisiti: Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo, Bubbico e Faraone del PD e Castiglione del NCD, possono tranquillamente continuare a delinquere. Perfino Vincenzo De Luca (il candidato del PD alla Regione Campania già condannato in primo grado a un anno di reclusione per abuso d’ufficio e costretto a lasciare la carica di sindaco di Salerno secondo Renzi “è un cittadino innocente” e quindi ha tutto il diritto di “chiedere il voto agli elettori”. Ma ormai l’aria attorno alla cricca del ministero di Porta Pia era diventata così pesante e puzzolente da rendere addirittura inopportune le “spiegazioni” di Lupi in parlamento. Specie se si pensa che già da febbraio 2013 sia Lupi e successivamente anche Renzi sapevano dell’inchiesta della Pro- cura di Firenze e nel tentativo di rassicurare i magistrati avevano avviato un’indagine interna che però non ha avuto nessun seguito se non quello di una nuova nomina di consulente esterno per Incalza. Il mercimonio delle grandi opere Nel mirino degli inquirenti c’è la gestione illecita degli appalti per le grandi opere imposte contro la volontà popolare dalle varie cosche parlamentari proprio per alimentare quello che i magistrati definiscono un “articolato sistema corruttivo che coinvolge dirigenti pubblici, società aggiudicatarie degli appalti ed imprese esecutrici dei lavori”. L’inchiesta nasce dagli appalti per l’Alta velocità nel nodo fiorentino e per la costruzione del sottoattraversamento della città. Da lì l’indagine si è allargata a tutte le più importanti tratte dell’Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi Opere, compresi alcuni appalti che riguardano l’Expo 2015 già al centro di un’analoga inchiesta da parte della procura di Milano nei mesi scorsi. In particolare le indagini della procura hanno riguardato i cantieri della linea ferroviaria Av MilanoVerona e Genova-Milano, l’autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre e l’autostrada regionale Cispadana. E ancora l’hub portuale di Trieste, l’autostrada A3 SalernoReggio Calabria, l’autostrada in Libia Ras Ejdyer-Emssad e i lavori di Palazzo Italia per Expo 2015. Al centro del “Sistema” tangentizio c’è la Green Field di Perotti, dove, ha spiegato il procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, Incalza aveva “un coinvolgimento diretto”. In cambio di “un giro di bustarelle da paura” Perotti preme su Palazzo Chigi per far sbloccare al Cipe almeno una trentina di Grandi Opere. Organizza cene con alti dirigenti, fissa appuntamenti, mette mano alla stesura di bandi di gara ancora da redigere perché evidentemente gli vengano cuciti addosso. Dalle carte emerge che Incalza, “nel periodo 1999-2008 ha percepito compensi dalla Green Field Systems srl per complessivi 697.843,50 euro”, costituendo per il manager ministeriale “la principale fonte di reddito negli anni dal 1999 al 2012″. È lo stesso gip a sottolineare che Incalza “ha guadagnato più dalla Green Field che dallo stesso ministero delle Infrastrutture”. Dal 2001 al 2008 il suo collaboratore Pacella ha intascato “450.147 euro”. La Green Field, secondo l’accusa, otteneva sistematicamente la direzione lavori garantendosi un guadagno dall’1 al 3% degli importi per un valore complessivo di 25 miliardi e lievitazione dei costi fino al 40 per cento. Fra gli indagati anche politici già sottosegretari come Vito Bonsignore, europarlamentare Udc nella scorsa legislatura, poi passato a Forza Italia e infine nell’Ncd, coinvolto sul fronte dell’appalto per l’autostrada Orte-Mestre e definito da Giulio Burchi, già presidente di Italferr spa: “un mascalzone... uno che deve aver usato dell’olio” per ottenere il via libera a un’ “opera allucinante”; Antonio Bargone, Pd ed ex sottosegretario ai lavori pubblici nei governi Prodi e D’Alema e poi ancora Stefano Saglia, ex Pdl e Ncd ed ex sottosegretario al ministero per lo Sviluppo economico, indagato per turbativa d’asta in relazione al bando di gara emessa dall’autorità portuale di Trieste per il collaudo della Hub portuale di Trieste in cui compare anche il nome di Rocco Girlanda, ex Pdl, sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Letta. Il coinvolgimento di Lupi Tra i faldoni dell’inchiesta ricorre molto spesso anche il nome di Luca Lupi, secondogenito del ministro in quota a Comunione e Liberazione. In particolare Lupi junior viene tirato in ballo in almeno due intercettazioni di Burchi. La prima è datata primo luglio 2014. Burchi parla al telefono con Alberto Rubegni, uomo di Gavio e attuale consigliere d’amministrazione dell’Autostrada Torino-Milano. La seconda è del 21 ottobre 2014 e l’interlocutore di Burchi il dirigente Anas, ingegner Massimo Averardi; in entrambe le intercettazioni Burchi racconta che Perotti in cambio di alcuni appalti ha assunto il figlio del ministro ingegnere neolaureato. E in effetti, scrive il Gip nell’ordinanza di arresto, agli atti risulta che “Perotti, nell’ambito della commessa Eni, ha stipulato un contratto con Giorgio Mor affidandogli l’incarico di coordinatore del lavoro che, a sua volta, nominerà quale ‘persona fissa in cantiere’ Luca Lupi” per 2 mila euro al mese. Un’assunzione, concludono i magistrati, difficilmente immaginabile al di fuori di un adeguato “corrispettivo di qualche utilità fornita da Maurizio Lupi per il tramite di Ercole Incalza”. Ma non è tutto, perché nell’ordinanza si parla anche dei lauti regali che gli arrestati hanno fatto al ministro e ai suoi familiari fra cui: un vestito sartoriale a Lupi e un Rolex da 10mila euro al figlio, in occasione della laurea. Tutto pagato da Cavallo che secondo gli inquirenti aveva uno “stretto legame” con Lupi tanto da dare “favori al ministro e ai suoi familiari”. Ma ad inguaiare Lupi sono soprattutto le sue conversazioni con Incalza intercettate dagli inquirenti e riportate nell’ordinanza. In una delle tante Lupi rassicura Incalza promettendogli che la proposta di soppressione della Struttura tecnica di missione del ministero delle Infrastrutture non passerà, perché: “Su questa roba ci sarò io lì e ti garantisco che se viene abolita la Struttura tecnica di missione non c’è più il governo!..”. Il Sistema Incalza-Perotti Secondo l’accusa attraverso il “Sistema” Incalza-Perotti le società consortili aggiudicatarie degli appalti relativi alle “Grandi opere” venivano “indotte da Incalza a conferire a Perotti, o a professionisti e società a lui riconducibili, incarichi di progettazione e direzione di lavori garantendo di fatto il superamento degli ostacoli burocratico-amministrativi”. Perotti, “quale contropartita, avrebbe assicurato l’affidamento di incarichi di consulenza e/o tecnici a soggetti indicati dallo stesso Incalza, destinatario anch’egli di incarichi lautamente retribuiti”. Incarichi che erano conferiti dalla Green Field System srl, società affidataria di direzioni lavori. A Francesco Cavallo, il numero uno di Centostazioni, “veniva riconosciuto da parte di Perotti, tramite società a lui riferibili, una retribuzione mensile di circa 7.000 euro, come compenso per la sua illecita mediazione”. Dall’indagine è emerso anche come Perotti abbia influito illecitamente sulla aggiudicazione dei lavori di Palazzo Italia per Expo 2015. Infatti nell’inchiesta fiorentina è indagato anche Antonio Acerbo, l’ex manager di Expo arrestato lo scorso ottobre nell’ambito dell’inchiesta milanese su Expo. Coinvolto il PD Tra i 51 indagati figurano anche alcuni capobastone del PD in Emilia Romagna: Alfredo Peri, bersaniano di ferro, ex sindaco di Collecchio e poi per 15 anni, fino a novembre 2014, assessore alle infrastrutture nelle giunte di Vasco Errani; Miro Fiammenghi, ex consigliere regionale di Ravenna e considerato molto vicino politicamente al conterraneo Errani e a Pierluigi Bersani. Sotto indagine anche Graziano Pattuzzi, ex presidente della provincia di Modena, ex sindaco di Sassuolo e ora presidente della Arc (Autostrada regionale cispadana), la S.p.a. che dovrebbe costruire l’arteria di 67 chilometri, valore 1,3 miliardi di euro. Per tutti e tre l’accusa è quella di tentata induzione a dare o a promettere indebitamente denaro o altra utilità. Tutti coinvolti a vario titolo nel ramo d’inchiesta che riguarda anche l’autostrada Cispadana che dovrebbe unire Reggiolo con Ferrara già finita nel 2013 nelle carte di un’altra inchiesta, sempre della procura di Firenze, che vede come indagata di spicco per corruzione l’ex presidente della Regione Umbria Maria Rita Lorenzetti (per tutti gli indagati è stato chiesto il rinvio a giudizio). Il ritorno dei craxiani L’intesa fra Lupi e Incalza è così potente, secondo i magistrati, che i due erano riusciti a riportare tra i piani alti del ministero anche il vecchio marciume del Psi. A vantarsi è lo stesso Lupi che conferma a Incalza di aver “sponsorizzato Riccardo Nencini” affinché venisse nominato viceministro ai Trasporti e lo invita quindi a parlargli e a dirgli “che non rompa i coglioni”. Ma Nencini: senatore eletto nelle liste del PD nonché segretario nazionale del Psi, ex presidente del consiglio regionale della Toscana per 10 anni, ex europarlamentare condannato per lo scandalo dei rimborsi di viaggio e indennità per gli assistenti parlamentari, non è l’unico ferro vecchio socialista piazzato nel ministero di Piazzale di Porta Pia; c’è anche il sottosegretario Umberto Del Basso De Caro, ex craxiano ed ex d’alemiano, attualmente indagato per peculato nell’inchiesta sui rimborsi in consiglio regionale in Campania. Insomma una bella squadra di “giovani, onesti e dinamici” come piacciono a Renzi che al ministero delle Infrastrutture hanno ricostruito la famigerata “sinistra ferroviaria” del Psi di craxiana memoria con a capo Incalza piazzato lì fin dai primi anni ’80 dall’allora ministro dei Trasporti Claudio Signorile. A conferma che cambiano i ministri, cambiano i governi ma a gestire la macchina burocratica borghese, gli appalti e il grande potere economico ed elettorale che ne deriva in termine di voti sono sempre i soliti capibastone dell’apparato burocratico come Incalza e il suo clan. Non a caso i magistrati sottolineano che: “Questa non è una storia di ordinaria corruzione” ma uno “scenario di devastante corruzione sistemica nella gestione dei grandi appalti”. Gli atti parlano di “un’organizzazione criminale di spessore eccezionale che ha condizionato per almeno un ventennio la gestione dei flussi finanziari statali”. Per i magistrati inquirenti “nell’ambito degli appalti pubblici ed in particolare in quello delle ‘grandi opere’, le logiche della corruzione tuttora si impongono”. Ciò “ha consentito ad un gruppo di soggetti di istituire una sorta di filtro criminale all’ordinario accesso ai grandi appalti pubblici da parte delle imprese private”. Tutto ciò, mentre sullo sfondo si staglia sempre più inquietante anche l’ombra dei servizi segreti con Nicolò Pollari, già direttore del Sismi con Berlusconi e Letta, e oggi consigliere di Stato, onnipresente nelle cene d’affari al fianco di Incalza presso i più rinomati ristoranti di Roma dove l’argomento principe era ovviamente la spartizione degli appalti. A conferma che la corruzione ha le sue radici nel capitalismo; è parte integrante e permea tutto il sistema economico e politico della classe dominante borghese e del governo Renzi che attualmente ne regge le sorti e che perciò va spazzato via se davvero la si vuol fare finita con le ruberie. Accade nulla attorno a te? RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’ Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti. Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenze operaie, Corrispondenza delle masse e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a: Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected] 4 il bolscevico / interni N. 13 - 2 aprile 2015 Comunicato Per evitare il terrorismo islamico occorre che l’imperialismo si ritiri dal Medioriente e dal Nord e Centro Africa Il PMLI esprime profonde condoglianze ai familiari dei 23 morti, tra cui 4 italiani, e l’augurio di pronta guarigione ai numerosi feriti a causa dell’attentato terroristico da parte dei combattenti islamici antimperialisti avvenuto al museo del Bardo di Tunisi. Queste vittime incolpevoli pesano sulla coscienza dell’imperialismo, che saccheggia e opprime i Paesi arabi e musulmani. Purtroppo altri attentati simili inevitabilmente seguiranno, e fors’anche in Italia, se l’imperialismo americano, europeo e italiano non si ritireranno dal Medioriente e dal Nord e Centro Africa. Un’altra via secondo il PMLI non esiste, meno che mai quella di bombardare lo Stato islamico e di intervenire militarmente dove esso ha delle basi, come in Libia, dove Renzi smania di avere il comando dell’intervento. C’è il reale pericolo che in nome della libertà e della democrazia false e ingannatorie, dietro cui si nasconde la dittatura della borghesia, del capitalismo e dell’imperialismo, il popolo italiano venga coinvolto, come carne da cannone, in guerre che non lo riguardano e che gli attirano l’odio e la rivalsa terroristica dei popoli islamici che le subiscono. Come ha già detto l’Ufficio politico del PMLI, dopo gli attentati di Parigi, “bisogna lottare contro l’imperialismo, segnatamente contro l’Unione europea imperialista e contro il governo del Berlusconi democristiano Renzi, che è in prima linea sul fronte dell’interventismo militare imperia- lista. L’Italia deve uscire dall’Unione europea e dalla Nato, chiudere tutte le basi Usa e Nato che sono nel nostro Paese, ritirare i suoi soldati da tutti i Paesi in cui sono attualmente presenti, coerentemente all’articolo 11 della Costituzione, rinunciare a ogni intervento armato all’estero, anche se col casco dell’Onu e aprire le frontiere ai migran- ti. Solo così possiamo essere sicuri che gli islamici antimperialisti non tocchino il nostro Paese e il nostro popolo. Teniamo alta la bandiera antimperialista, per la libertà dei popoli, per l’indipendenza e la sovranità dei Paesi, per il socialismo”. L’Ufficio stampa del PMLI Firenze, 19 marzo 2015, ore 18,15 Dopo Montante, è il secondo “simbolo” palermitano dell’antimafia che viene smascherato Arrestato Helg con in mano una mazzetta di 100 mila euro Il presidente della Confcommercio pubblicamente si batteva contro il racket, in privato si comportava come un mafioso. Ma i governi Renzi e Crocetta hanno occhi e orecchie? E Alfano? L’Italia capitalista può essere ripulita dalla corruzione solo col socialismo A neanche un mese dall’iscrizione nel registro degli indagati per mafia del presidente degli industriali siciliani Antonello Montante, un altro “simbolo” dell’antimafia palermitana è stato smascherato, finendo in manette per essere stato sorpreso in flagrante mentre intascava una mazzetta da 100 mila euro. Si tratta di Roberto Helg, presidente da molti anni della Confcommercio di Palermo, presidente della Camera di commercio dal 2006, nonché vicepresidente della Gesap, società che gestisce l’aeroporto di Punta Raisi, molto noto per le sue “battaglie” antimafia contro le estorsioni e l’usura ai danni dei commercianti palermitani. E proprio per il reato di estorsione aggravata Helg è stato arrestato il 2 marzo dai carabinieri del reparto operativo, mentre come i mafiosi che proclamava di combattere intascava una busta con 30 mila euro in contanti e un assegno in bianco per altri 70 mila consegnatagli da Santi Palazzolo, un commerciante che gestisce una pasticceria all’interno dell’aeroporto Falcone-Borsellino, quale “pizzo” per poter avere dalla Gesap il rinnovo della concessione per la sua attività. Solo che, indignato per le allusioni ricattatorie fattegli giorni prima da Helg, che gli offriva il suo interessamento per fargli rinnovare la concessione in cambio di una certa somma, eventualmente anche “rateizzata”, il commerciante aveva finto di accettare registrando di nascosto l’incontro decisivo in cui era stata fatta la richiesta estorsiva di 100 mila euro, e poi si era rivolto ai carabinieri. Insieme alla vittima questi hanno preparato la trappola, e hanno fatto irruzione nell’ufficio di Helg presso la Camera di commercio quando costui si era appena messo in tasca la busta con i contanti e l’assegno. Dapprima il presidente di Confcommercio Palermo ha tentato di sostenere di aver trovato quella busta sul tavolo e di ignorare che contenesse denaro. Quanto all’assegno pensava che fosse “un foglietto” e se lo era messo in tasca “per errore”. Poi gli hanno fatto sentire le registrazioni ed è crollato, giustificandosi in lacrime che quei soldi gli servivano “perché aveva la casa pignorata”. Ma a detta del pasticciere vittima dell’estorsione l’arrestato aveva un atteggiamento da vero e proprio mafioso: “Ero terrorizzato – ha raccontato infatti Sante Palazzolo agli inquirenti – il giorno in cui arrivai nel suo ufficio, alla presidenza della Camera di commercio, mi fece capire a gesti che dovevo tirar fuori il cellulare dalla giacca e lasciarlo sul tavolo. Poi, mi prese sottobraccio, mi portò in un’altra stanza, vicino alla finestra, e sussurrò: ‘Se ti faccio confermare il 7%, poi ci sono da pagare...’”. Un falso paladino dell’antimafia Helg, che si è dimesso da tutte le cariche e ha ammesso di aver chiesto la tangente per “motivi economici”, ha ottenuto gli arresti domiciliari dal giudice per le indagini preliminari, che non ha ravvisato “esigenze cautelari” data l’età dell’arrestato, che ha 79 anni. Una decisione che ha suscitato commenti indignati degli antimafiosi in città e sul web, tra cui quello dell’imprenditrice Valeria Grassi, che denunciò i suoi estorsori: “Mi addolora molto leggere che il signor Helg sia già andato a casa. Vergogna. I domiciliari? Ad un uomo che ha tentato di estorcere 100 mila euro ad un imprenditore onesto, in flagranza di reato? Vergogna, che messaggio passa per i cittadini onesti?” Fino ad oggi Helg era considerato un paladino dell’antimafia, avendo creato fra l’altro lo sportello delle denunce per gli esercenti sottoposti al racket delle estorsioni e dell’usura, aveva portato il “gazebo della legalità” nel quartiere di San Lorenzo, aveva promosso “corsi anticorruzione” e sosteneva dal 2009 il premio Libero Grassi, in memoria dell’imprenditore ucciso dalla mafia per essersi ribellato all’imposizione del pizzo. Aveva pure perorato l’espulsione da Confcommercio di quattro imprenditori che avevano “pagato il pizzo senza collaborare con la giustizia”, vantandosi di aver fatto adottare a Palermo “il codice etico più rigoroso mai adottato”. “Ero intimorito, lui era un simbolo, e come potevo andare contro un simbolo?”, ha spiegato infatti Palazzolo: “Helg mi diceva che senza quei 100 mila euro potevo considerarmi fuori dall’aeroporto. Diceva pure che la mia vita imprenditoriale sarebbe finita”. “Anche se non hai 100 mila euro - diceva Helg al pasticciere non sapendo di essere registrato – bastano al momento 35 o 40 mila, giusto per dare a loro la certezza dell’impegno. Poi, la differenza la pagheremo dopo, 10 mila euro al mese per i cinque mesi che verranno”. È proprio questo riferimento a “loro” che fa sospettare la procura di Palermo che Helg, che fino ad ieri negava recisamente che in città il 90% dei commercianti pagasse il pizzo, non agisse da solo ma facesse parte di una cricca di stampo mafioso, che dietro la copertura dell’antiracket eserciti in realtà proprio il racket delle estorsioni. Già in passato Helg era stato sfiorato da un’indagine, dato che il suo nome era stato trovato in un libro mastro del clan Madonia. Tra l’altro possedeva una catena di negozi di articoli da regalo che era fallita nel 2012, eppure ciò non gli aveva impedito di diventare il rappresentante dei commercianti palermitani. Chi aveva promosso un simile personaggio a cariche così importanti permettendogli anche di crearsi indebitamente una fama di acerrimo nemico della mafia e difensore della legalità? Politicamente vicino al “centro-destra”, amico di Schifani e La Loggia, aveva trasferito ultimamente le sue amicizie nel campo del “centro-sinistra”, diventando molto amico del senatore PD della commissione Antimafia, eletto nel 2013 come capolista della lista Il Megafono-Lista Crocetta, Beppe Lumia, a sua volta molto amico e difensore di Montante. È significativo a questo proposito che della delegazione dell’Antimafia presieduta da Rosy Bindi che è andata in Sicilia ad indagare su questo clamoroso fenomeno degli antimafiosi istituzionali che si rive- lano essere invece vicini o contigui a Cosa nostra, non abbia fatto parte proprio Lumia, ufficialmente perché “impegnato” in commissione Giustizia. Le connivenze del potere nazionale e locale Anche Helg era stato tra i primi, in polemica con Confindustria nazionale, ad esprimere solidarietà ad Antonello Montante, presidente degli industriali siciliani e delegato per la legalità di Confindustria, appena questi è stato indagato dalla procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa. Tra l’altro Helg e il suo compare Montante compaiono insieme nel board di Unioncamere Sicilia, a cui la giunta di Crocetta ha assegnato una commessa di 2 milioni di euro per la promozione della regione all’Expo di Milano. “Io i soldi li ho dati all’istituzione, non alle persone, prima di queste notizie...”, si è giustificato goffamente il governatore della Sicilia. Possibile che Renzi e Crocetta non abbiano occhi né orecchie per valutare i loro interlocutori istituzionali? E Alfano, che di recente aveva nominato proprio Montante nel direttivo dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie, neanche lui si era accorto di nulla? C’è da aspettarsi che Montante e Helg non siano casi isolati e che il marcio nell’ambiente dell’antimafia istituzionale e ufficiale sia più esteso di quanto sia emerso finora, altrimenti non si capirebbe come hanno fatto questi due personaggi a passare per anni come antimafiosi modello, se negli ambienti in cui operavano non avessero goduto di complicità e coperture politiche. È il timore anche di Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione per la lotta alle mafie, Libera, che ha così commentato l’arresto di Helg: “Mi pare di cogliere, e poi non sono in grado di dire assolutamente altro, che fra pochi giorni avremo altre belle sorprese, che sono in arrivo, che ci fanno soffrire. Perché riguardano personaggi che hanno sempre riempito la bocca di legalità, di antimafia” Roberto Helg, presidente della Camera di Commercio di Palermo (a sinistra) in compagnia dell’indagato Antonello Montante, delegato nazionale della Confindustria per la legalità e del Senatore del PD Giuseppe Lumia eletto nelle liste di Crocetta In realtà Montante, avvalendosi delle sue cariche in Confindustria e Unioncamere, della sua nomea antimafiosa e della compiacenza di molta stampa locale, ha instaurato un vero e proprio sistema di potere in Sicilia, partendo dall’istituzione della “zona franca della legalità” a Caltanissetta (iniziativa finanziata con 50 milioni dalla giunta Lombardo, quando costui era già indagato per reati di mafia), per poi diventare grande elettore di Crocetta e sostenitore del suo proclamato programma di lotta alla criminalità mafiosa, e con l’appoggio del quale ha potuto entrare nel business dei rifiuti e allungare le mani sull’Expo. Anche Helg fa parte di questo stesso sistema, che sfrutta l’etichetta dell’antimafia per coprire le proprie attività affaristiche, attività che si spingono come si vede fin dentro la zona grigia in cui operano le mafie. Compenetrazione tra mafie e Stato borghese Tutto ciò non sarebbe possibile senza le connivenze politiche e delle istituzioni con questo sistema, a cominciare dal governo di Renzi e Alfano e dalla Regione governata da Crocetta; ma anche della magistratura compiacente, che a poco a poco, su impulso del Berlusconi democristiano Renzi e del Csm presieduto fino a pochi mesi fa dal rinnegato Napolitano e ora da Mattarella, ha finito per riprendere in mano e “normalizzare” le procure più avanzate nella guerra alle mafie, come quella di Palermo, isolando i pm esposti in prima linea come Nino Di Matteo. Secondo un’inchiesta del giornalista de la Repubblica Attilio Bolzoni, se si escludono singoli magistrati che portano avanti con sempre maggiori difficoltà inchieste vecchie e che vanno ormai ad esaurimento (come quella sulla trattativa Stato-mafia degli anni ’90, sempre più boicottata dal potere politico, ndr), le procure non aprono più nuove inchieste sulle mafie, e anche la relazione annuale sul periodo luglio 2013-giugno 2014 pubblicata dal procuratore nazionale Franco Roberti, indirettamente lo conferma: “Fra 727 pagine – scrive Bolzoni – neanche qualche riga dedicata al mutamento dei rapporti delle mafie con la politica e con i poteri economici sospetti. Una relazione innocua”. È la dimostrazione più evidente che oggi le mafie sono talmente compenetrate col sistema economico e finanziario capitalista e con lo Stato borghese corrotto e neofascista che ne serve gli interessi, che non è più possibile combattere e sradicare le prime senza combattere e distruggere i secondi. Perciò, per ripulire l’Italia capitalista dalla corruzione e dalle mafie ci vuole il socialismo, e se le masse antimafiose terranno come stella polare questo obiettivo strategico, la lotta contro le mafie diventerà tanto più cosciente ed efficace quanto più riuscirà ad integrarsi con la lotta di classe del proletariato per attuare la sua missione storica di abbattere il capitalismo e instaurare il socialismo. corruzione / il bolscevico 5 N. 13 - 2 aprile 2015 Dopo il processo per abuso d’ufficio Sequestrati 6 milioni di euro a Fiori, coordinatore dei club Forza Silvio L’ex commissario per l’emergenza a Pompei è d’accordo di aver “costruito opere stravaganti con i soldi dell’emergenza” e di “gestione fraudolenta e di un sistema di potere clientelare consolidati e diffusi” L’ex commissario della Protezione Civile Marcello Fiori, attuale coordinatore dei club di “Forza Silvio” e dal 2008 al 2010 direttore straordinario degli scavi di Pompei, è finito di nuovo nelle grinfie della magistratura. Dopo l’incriminazione per abuso d’ufficio inerente l’allegra gestione dei fondi dell’“emergenza” nell’area archeologica vesuviana il cui processo è in corso di svolgimento presso la procura di Torre Annunziata, il 3 marzo la magistratura contabile ha contestato a Fiori anche un danno erariale di circa 6 milioni di euro disponendo attraverso la Guardia di Finanza il sequestro cautelativo dei beni. Insieme a Fiori sono indagati anche gli alti dirigenti del ministero dei Beni Culturali che componevano la Commissione di indirizzo con alla testa il capo di gabinetto Salvatore Nastasi, l’ex Soprintendente Giuseppe Proietti, attuale presidente di Ales, Stefano De Caro, la funzionaria Jeannette Papadopoulos, il professor Raffaele Tamiozzo, il dirigente della Regione Campania Maria Gra- zia Falciatore, l’architetto Roberto Cecchi, il ricercatore universitario Bruno De Maria e l’architetto Maria Pezzullo, funzionario della Regione Campania. La nomina di Fiori a commissario fu imposta a partire dal 4 luglio del 2008 fino 30 giugno 2010 dall’allora ministro Sandro Bondi col pretesto di fare fronte allo scandalo dei continui crolli e del grave stato degli scavi. Nell’arco di questi due anni, grazie alla legislazione ad hoc varata dal governo Berlusconi sotto la spinta dell’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso per la gestione delle emergenze e i grandi eventi, vennero sperperate negli scavi risorse per 79 milioni di euro utilizzati non per la messa in sicurezza e la salvaguardia dei monumenti dell’antica Pompei, ma per promuovere iniziative ed eventi a dir poco “stravaganti ed esorbitanti rispetto ai compiti assegnati” sottolinea la Corte dei Conti. Un elenco parziale di tali “stravaganze” lo si trova in un’inchiesta sull’“Espresso” di Emiliano Fittipaldi e Claudio Pappaianni dove tra l’altro si rammenta che tra il novembre 2009 e il luglio 2010 Fiori riuscì a spendere 102.963 euro (sufficienti per pagare lo stipendio di un anno a cinque archeologi) per il solo progetto “(C)Ave Canem”. Vale a dire il censimento (non la rimozione: il censimento) di 55 cani randagi (quasi duemila euro a cane censito). Per non dire dei 12.000 euro spesi per la rimozione di 19 pali della luce. E di 1.776 per le “divise degli autisti a disposizione del Commissario”. E di altri 81.275 (9.600 dei quali a un ristorante locale, “Il Principe”, che si vanta d’essere “un ambasciatore dei sapori dell’antica Roma”) spesi per “organizzazione e accoglienza visita presidente Consiglio”, visita poi saltata. Spesucce rispetto ai 3.164.282 euro dati alla Wind per il progetto “Pompei viva”. Così come strabiliante fu la scelta di comprare dalla casa vinicola Mastroberardino mille bottiglie di vino “Villa dei Misteri” al prezzo di 55 euro a bottiglia (il costo di un Sassicaia) per un totale di 55 mila euro. Bottiglie in parte distribuite per ambasciate e consolati ma in larga maggioranza accatastate in una stanza dove sarebbero state trovate dal soprintendente successivo. E che dire dei 10.929 euro buttati per l’“ideazione, sviluppo e rilegatura di n. 50 copie del documento Piano degli interventi e relazione sulle iniziative adottate dal commissario delegato”, cioè un libro stampato per incensare l’opera magna del commissario e costato addirittura 218 euro a copia cioè il doppio di un raffinatissimo libro d’arte? Dall’attività investigativa sono emersi, sottolinea ancora la Corte dei Conti, “una gestione fraudolenta e un sistema di potere clientelare consolidati e diffusi. Gli episodi di reato sono infatti ‘accomunati’ da un modus operandi assolutamente irriverente per la sua protervia e significativo di un assoluto senso del disprezzo per le regole”. E tutto questo, “come di consueto”, senza che Fiori “abbia dovuto giustificare questa certa débâcle manageriale in alcuna sede disciplinare”. Tanto che “risulta rivestire tuttora un ruolo apicale entro il rango di funzionario della presidenza del Consiglio dei ministri”. Ma il più grande scempio l’“Attila di Pompei”, come venne soprannominato Fiori, lo ha fatto quando decise di ristrutturare con ruspe, martelli pneumatici e cemento quello che era il Teatro Grande stravolgendolo per sempre. Ed è proprio su quest’ultimo punto che si è concentrata l’attività investigativa con particolare riguardo alle forniture extra legate ai lavori realizzati nel 2010 per il restauro e gli allestimenti scenici del Teatro Grande di Pompei, affidati alla Caccavo srl, ora sotto processo alla procura di Torre Annunziata con Fiori per reati che vanno dall’abuso d’ufficio, alla frode, fino alla truffa. Il rinnovamento del teatro infatti è costato circa 8 milioni: sedici volte di più della spesa inizialmente prevista. Anche perché “L’affidamento delle forniture per gli allestimenti teatrali, tra l’altro effettuato senza gara, è avvenuto in violazione delle disposizioni emergenziali che imponevano al Commissario l’attuazione delle misure dirette alla messa in sicurezza dell’area archeologica”, scrive la Guardia di Finanza nel comunicato che accompagna la notizia del sequestro da sei milioni di euro: “tra cui la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria occorrenti per impedire il degrado”. “La Procura della Corte dei Conti ha anche evidenziato l’abnormità dell’intera gestione extra ordinem... Peraltro già contestata con la deliberazione n. 16/2010/P della Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti - sottolineando la sostanziale illegittimità del ricorso al potere di ordinanza con conseguenti procedure in deroga alle leggi, non ricorrendo i presupposti per la dichiarazione dello stato di emergenza”. Insomma, un altro autentico “mariuolo”: ecco chi è il coordinatore nazionale dei club “Forza Silvio”, che sono una sorta di truppe scelte fedelissime del neoduce Berlusconi. La corruzione avrà libero corso Un pannicello caldo sul falso in bilancio A giudicare dalle ultime vicende che hanno caratterizzato la discussione dell’emendamento del governo al cosiddetto disegno di legge anticorruzione, depositato due anni fa da Piero Grasso e insabbiato in Commissione giustizia della Camera, pare proprio che i ladri, corrotti e corruttori che affollano le istituzioni parlamentari borghesi a tutti i livelli, possono continuare industurbati a svolgere la loro “professione di mariuoli” con la certezza di non essere quasi mai scoperti e tantomeno condannati per le loro ruberie. Sull’onda dell’indignazione popolare suscitata dalle recenti vicende corruttive: Mose, Expo, Mafia Capitale, tanto per citare i casi più clamorosi, il Berlusconi democristiano Renzi ha ripetutamente promesso l’approvazione in tempi celeri del cosiddetto disegno di legge anticorruzione che invece, a giudicare dagli ultimi sviluppi che ha subito l’iter parlamentare, rischia di essere rimandato alle calende greche e di favorire addirittura le società che falsificano i bilanci. Annunciato dal Guardasigilli Andrea Orlando e dal vice ministro Enrico Costa come frutto di un faticoso accordo interno alla maggioranza l’emendamento governativo al ddl anticorruzione ha finito invece per spaccare la maggioranza ed è stato approvato il 3 marzo dalla Commissione con il voto favorevole di Pd, Sel e Scelta Civica, contrari FI e NCD, astenuto il M5S. La spaccatura in seno alla maggioranza di governo ha prodotto l’immediato slittamento dell’approdo in Aula del disegno di legge. Tempi che, nonostante le promesse della ministra Maria Elena Boschi, sono destinati ad allungarsi ulteriormente in quanto, secondo quanto ha riferito il Guardasigilli Orlando l’emendamento governativo “ha ancora bisogno di limature e passaggi istituzionali tra i ministeri di Sviluppo economico, il Mef e quello di Giustizia” e perciò chissà quando vedrà la luce. Il testo base era stato firmato dai due relatori di maggioranza del provvedimento, Sofia Amoddio (Pd) e Stefano Dambruoso (Sc). L’esecutivo è poi intervenuto sull’art. 161 del codice penale, per innalzare da un quarto alla metà il tempo da calcolare, in aggiunta al massimo della pena, per arrivare alla prescrizione del reato. Modifica che innalza fino a 18 anni il tempo in cui si prescrive il reato di corruzione. In sostanza, se prima della legge Severino il reato di corruzione si prescriveva in 7 anni e mezzo e dopo la Severino in 10, con il nuovo dispositivo ce ne vorrebbero fino a 18. Per quanto riguarda invece il falso in bilancio, al vaglio della Commissione Giustizia del Senato, siamo di fronte ai classici pannicelli caldi in quanto il nuovo testo, sottoscritto dal Guardasigilli Orlando riduce sia i termini di prescrizione del reato che le pene per le società non quotate in borsa che passano dagli attuali 2-6 anni a 1-5 anni. Un anno in meno che però ha conseguenze devastanti per le indagini in quanto impedisce agli inquirenti di fare uso delle intercettazioni che si possono attivare solo per reati per i quali la pena prevista supera appunto i 5 anni. Non a caso lo stesso Felice Casson, ex giudice istruttore a Venezia e oggi senatore del Pd, in una intervista a la Repubblica del 4 marzo ha confessato che: “Quando si parla di anti-corruzione, di prescrizione e di falso in bilancio, il Nuovo centrodestra si ritrova automaticamente con Forza Italia. Il governo va in difficoltà e quindi cerca un compromesso” che tra l’altro, ha chiosato ancora Casson “Non mi pare molto onorevole”. La foglia di fico dietro cui si nasconde la maggioranza per giustificare questo ennesimo regalo di Renzi a Berlusconi sarebbe che il falso è un reato documentale e le intercettazioni non servono. In realtà le statistiche confermano esattamente il contrario e cioè che nella stragrande maggioranza dei casi al falso in bilancio sono spesso collegati molti altri reati ben più gravi che vanno dalla corruzione, alla concussione, dalla turbativa d’asta, alla truffa aggravata ai danni di enti pubblici. Dunque, se un lato è vero che il falso in bilancio da contravvenzione, com’è per effetto della legge Berlusconi, tornerà ad essere un reato perseguibile d’ufficio con fattispecie perimetrata sul “pericolo” e non sul “danno”, senza più soglie di non punibilità, dall’altro lato è altrettanto vero che il nuovo provvedimento prevede forti attenuanti per le condotte di particolare tenuità e pene differenziate a seconda che si tratti di società quotate in borsa (da 3 a 8 anni di carcere) o non quotate (da 1 a 5). Una beffa se si pensa che le società non quotate in borsa sono la stra- grande maggioranza e non sempre si tratta di piccole imprese di tipo familiare. Contro di loro non solo non sarà possibile utilizzare lo strumento delle intercettazioni per comprovare la malafede dell’atto, ma è anche previsto che, nel “malaugurato” caso in cui il reato dovesse essere scoperto e comprovato dai giudici esso si prescriverà in Richiedete l’opuscolo n. 15 di Giovanni Scuderi Le richieste vanno indirizzate a: [email protected] PMLI via A. del Pollaiolo, 172/a 50142 Firenze Tel. e fax 055 5123164 dieci anni per le Spa e in poco più di sei anni (meno della diffamazione a mezzo stampa, tanto per fare un esempio) per le società non quotate in borsa. Berlusconi e Confindustria che avrebbero preferito anche il mantenimento di una soglia di non punibilità, ringraziano lo stesso! 6 il bolscevico / interni N. 13 - 2 aprile 2015 Renzi svende Ansaldo, Sfruttati nei la prendono i giapponesi campi ragazzini Alla mercé dei caporali e del lavoro nero Dopo Enel, Ferrovie, Poste, Enav e Sace, il Berlusconi democristiano Renzi e il suo ministro all’Economia Padoan hanno svenduto per un piatto di lenticchie tutto il settore ferroviario di Finmeccanica ai giapponesi della Hitachi. Per appena 36 milioni di euro il colosso giapponese ha acquisito la Ansaldo Breda, l’unica azienda ferroviaria italiana, più il 40% di Ansaldo Sts su cui è già pronta un’offerta pubblica d’acquisto (opa) per assicurarsi il pieno controllo della società pubblica italiana fiore all’ochiello a livello mondiale del segnalamento ferroviario e una capitalizzazione in borsa di circa 1,8 miliardi. Un colpaccio che permetterà alla divisione ferroviaria Hitachi Rail, che oggi vanta solo un piccolo avamposto in Inghilterra, di entrare dal portone principale in un mercato mondiale molto allettante come quello dell’alta velocità e dell’intero sistema europeo dei trasporti su ferro ivi compreso le metropolitane e le tramvie. Specie se si pensa che il settore non è quasi toccato dalla crisi e anzi, secondo gli analisti, nei prossimi anni, solo per il trasporto ferroviario, i fatturati ai quattro angoli del pianeta saliranno dagli attuali 45 a 52 miliardi di euro, con una robusta crescita dei passeggeri. Per Ansaldo Sts i giapponesi hanno versato alla holding pubblica italiana 773 milioni, pari a un prezzo fissato in 9,65 euro per azione Sts, nel primo atto di un’acquisizione che li vedrà impegnati nei prossimi mesi in una offerta pubblica di acquisto, obbligatoria, sulle azioni rimanenti. Per conquistare, con circa 1,85 miliardi di euro, un pezzo storico oltre che pregiato dell’industria italiana. In borsa il titolo Finmeccanica è schizzato a livelli record con rivalutazioni vicino al 50% in dodici mesi e ha chiuso nelle settimane scorse a quota 10,87 euro per azione. Per parte sua Ansaldo Sts è salita del 6,06%, con il titolo a 9,37 euro. Intanto il numero uno di Hitachi Ltd, Hiroaki Nakanishi ha già annunciato un odioso piano di ristrutturazione aziendale che coinvolge gran parte dei 2.300 lavoratori della Breda di Pistoia, Napoli e Reggio Calabria. Mentre per il sito di Palermo e per i circa 2.500 lavoratori dell’indotto si prospetta il licenziamento e la chiusura dello stabilimento. Una decisione che conferma la volontà del governo Renzi di sbarazzarsi di pezzi pregiati che operano nel settore civile, di non attuare una politica industriale pubblica dei trasporti (treni, navi, aerei e autobus), di fronte a una mobilità collettiva in forte crescita e di favorire invece lo sviluppo e la crescita dell’industria bellica italiana. Infatti la cessione della Ansaldo Breda e della Ansaldo Sts fa seguito alla recente vendita ai cinesi di Ansaldo Energia che rappresentava un altro pezzo storico del sistema industriale italiano. “La vendita – ha confessato infatti l’amministratore delegato e direttore generale di Finmeccanica Mauro Moretti – è una tappa del nostro piano industriale, che mira a focalizzare e rafforzare il gruppo nel core business aerospaziale, difesa e sicurezza”. Di tutt’altro avviso i sindacati di categoria con alla testa la Fiom che replicano: “Con questa cessione il nostro paese perde un altro settore strategico. Viene confermata l’esclusione del sito di Carini (Palermo) e di 170 addetti negli altri stabilimenti occupati nel revamping. Inoltre non viene implementato il piano di investimenti di Ansaldo Breda, a fronte di commesse in essere che garantiscono lavoro per oltre due anni. Si deve verificare la possibilità di bloccare la cessione”. Secondo la Uilm: “Fare a meno di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts significa rinunciare a due miliardi di fatturato; non si possono ridurre gli assetti industriali quando si tratta di dimensioni strutturali”. Insomma il “criminale sistema di corruzione e malvessazione” con annesso il vorticoso giro di tangenti che ha visto protagonisti nel corso degli ultimi anni i massimi vertici di Finmeccanica, da Guarguaglini (Letta) a Orsi (Lega Nord), passando per la mega tangente di 2,4 milioni di euro intascata dall’ex ministro Tremonti (all’epoca PDL), tanto per citare i casi più eclatanti, lo pagheranno ancora una volta le masse popolari e primi fra tutti i lavoratori che perderanno il posto di lavoro. Il Mezzogiorno è in coda per la sicurezza e la qualità dei servizi ospedalieri Un recente rapporto stilato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario, prendendo in esame un periodo che va dal 2009 al 2012, ha rivelato la condizione disastrosa in cui si trova il nostro Mezzogiorno. Su 570 casi di presunti errori medici o di mala organizzazione sanitaria monitorati, il 57% si è verificato nel Mezzogiorno, dove risiede meno di un terzo della popolazione italiana. Di questi ben 117 si sono verificati in Sicilia, il 20%. La Calabria ha fatto registrare 107 casi di errori clinici, il 18%. La Cam- pania 37, il 6,4%. La Puglia 36, pari al 6,3%. L’Abruzzo 8, pari all’1,4%. Sia nelle Marche che in Basilicata 4 casi, con lo 0,7% dei casi di malasanità in entrambe. In Molise e Sardegna 2 a testa, con lo 0,3%. Il divario tra Nord e Sud su questo fronte è tragico: la popolazione residente nel Mezzogiorno ha “servizi” inadeguati o inesistenti che non riescono a fronteggiare neanche le situazioni di emergenza, gli ospedali mancano di attrezzature soddisfacenti, mentre col pretesto di limitare i costi definiti “mastodontici”, i governi nazionale e regionali tagliano posti letto ma favoriscono sempre più la privatizzazione e il clientelismo. Dati importanti anche in tutte le altre regioni. In Lazio si sono verificati 63 casi, 36 in Emilia-Romagna, 34 in Toscana e Lombardia, 29 in Veneto, 24 in Piemonte, 22 in Liguria, 7 in Umbria, 3 in Friuli, 1 in Trentino. La maggior parte dei casi denunciati, 400, erano relativi alla morte del paziente per errore imputabile al personale medico e sanitario o a disfunzioni e carenze strutturali. Questi casi sono stati 261 nel Mezzogiorno di cui ben 84 in Sicilia. Praticamente in Italia un morto di malasanità su 5 è si- ciliano, vittima di un sistema che serve a foraggiare le clientele dei politicanti e dei mafiosi e non a garantire la salute dei pazienti. In Sicilia, come in tutto il Mezzogiorno, del resto, le carenze infrastrutturali o le disfunzioni ospedaliere e la precaria rete dei trasporti destinata all’emergenza hanno una grandissima incidenza sui casi di cosiddetta “malasanità”. È su questo fronte che andrebbero cercate le cause di quanto regolarmente avviene e di quanto è tragicamente successo nell’ultima settimana con la morte di tre bambini non soccorsi negli ospedali di Napoli e della Sicilia. Criminale voltafaccia governativo sulla pelle delle popolazioni e in spregio al risanamento del territorio Renzi dà 9,7 milioni all’Expo sottraendoli alle bonifiche della Terra dei Fuochi Il risanamento ambientale della Terra dei Fuochi in Campania è letteralmente questione di vita o di morte per numerose centinaia di migliaia di persone che vivono in quelle zone della Campania dove – con la complicità del governo, della magistratura e delle forze di polizia che hanno chiuso un occhio per decenni - la presenza di materiale inquinante nel sottosuolo deve far assumere alla questione del risanamento una assoluta priorità nazionale da parte in primo luogo del governo. Eppure nell’arco di tre settimane il governo Renzi dapprima destina 10 milioni di euro all’emergenza ambientale in Campania e successivamente ci ripensa destinando tale stanziamento all’Expo di Milano: infat- ti nell’ultima legge di Stabilità è stata prevista la somma di 10 milioni di euro per “la prosecuzione del concorso delle forze armate alle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale nelle province della Regione Campania” ma tre settimane più tardi lo stesso governo decide di sottrarre quella cifra all’impiego iniziale attraverso le disposizioni del decreto Milleproroghe che destina ben 9,7 milioni di euro al progetto strade sicure “anche in relazione alle straordinarie esigenze di sicurezza connesse alla realizzazione dell’Expo”. Alla fine alla Terra dei Fuochi resterebbero, secondo le intenzioni del governo, solo 300.000 euro dei 10 milioni inizialmente previ- sti, una somma che farebbe ridere se non si stesse parlando di una tragedia come quella che stanno vivendo quelle popolazioni. Ovviamente non è detto che il decreto Milleproroghe venga convertito dal parlamento, ma la mossa del Berlusconi democristiano Renzi la dice lunga sulle priorità politiche che si è dato tale governo: la salute delle masse e il risanamento del territorio non contano nulla, mentre un fiume di denaro viene destinato alle multinazionali alimentari e a quell’opera faraonica e devastante che è l’Expo. Un recente dossier di Legambiente mette in luce i numerosi ritardi soprattutto da parte del governo nell’opera di risanamento, e un vero e proprio grido di allarme è giunto dal procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere durante una audizione presso la Commissione parlamentare antimafia, che ha parlato della scoperta nella zona di Maddaloni di 300.000 tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, di un riversamento di 30.000 tonnellate di percolato direttamente nella falda acquifera. Insomma, anche alla luce di queste notizie il governo deve considerare di priorità nazionale l’opera di prevenzione, di controllo e di risanamento ambientale delle province di Caserta e di Napoli innanzitutto, e del resto della Campania, e non devono essere consentiti criminali giochi delle tre carte come quello tentato con la destinazione all’Expo di fondi destinati alla Terra dei Fuochi. tra i 10 e 14 anni in Sicilia 12 ore al giorno per 20 euro Lo sfruttamento capitalistico non conosce limiti Alle prime luci dell’alba un furgone raccoglie i braccianti per portarli nei campi a lavorare. Immagine tratta dal documentario “Terranera” Nell’Italia di Renzi ci sono ragazzini figli di immigrati tra i 10 e i 14 anni, che anziché frequentare la scuola dell’obbligo, vengono costretti al lavoro nei campi siciliani come raccoglitori insieme ai loro genitori, vittime a loro volta dello sfruttamento del caporalato. Questo scandalo accade in Sicilia ed è stato documentato dalla Flai Cgil, la Federazione Italiana Lavoratori Agroindustria, che ha prodotto insieme alla Cgil un documentario di 23 minuti intitolato Terranera presentato in anteprima lo scorso 12 marzo a Catania. Il film, che tratta in generale del fenomeno dello sfruttamento del lavoro e del fenomeno del caporalato, mostra sequenze nelle quali si vedono radunarsi nelle piazzole di raccolta della manodopera destinata ai campi anche ragazzini dai 10 ai 14 anni che poi salgono insieme ai lavoratori adulti nei furgoni dei caporali. Il filmato è stato realizzato nelle campagne del catanese, in modo particolare gli autori hanno registrato immagini e testimonianze nelle piazzole di raccolta degli immigrati, dove avviene la selezione da parte dei caporali, dei paesi di Paternò, Adrano, Acireale e Aci Catena. Le modalità di sfruttamento cui sono sottoposti i migranti, in buona parte irregolari, che vivono in Sicilia sono più o meno simili a quelle che si registrano in altri territori ad alta intensità agricola, dalla Calabria alla Puglia, e si sostanziano in 12 ore al giorno pagate per un adulto al massimo 30 euro giornalieri, che tuttavia, nonostante il lavoro sia in nero, sono lordi in quanto un minimo di 5 euro va al caporale che pretende tale somma per far salire sul furgone il lavoratore. I ragazzi, con il pretesto che producono di meno, ricevono una paga giornaliera non superiore ai 20 euro e sono costretti a lavorare anche loro 12 ore in quanto i caporali fanno solo due viaggi con il loro furgone, uno la mattina presto per portare al lavoro gli operai e l’altro la sera per riportarli nella piazza da cui erano partiti la mattina. Oltre ai danni psicofisici che questi ragazzini figli di migranti riportano a causa dello svolgimento di attività prolungate, faticose e assolutamente inadatte alla loro età, subiscono l’ulteriore, e alla lunga più deleterio, svantaggio dato dalla mancata frequenza scolastica e dai conseguenti problemi di integrazione sociale e culturale con il resto della società. Senza la lotta di classe il proletariato regredisce nei suoi diritti di decenni e anche di secoli, e anche i suoi figli vengono stritolati dallo sfruttamento capitalistico e dell’ignoranza, come spiegava bene Engels che nel 1845, 170 anni fa esatti e tre anni prima della stesura del Manifesto del Partito Comunista insieme a Marx, conduceva una lucida e spietata analisi scientifica sulle condizioni della classe operaia in Inghilterra a partire dal 1760 circa e, tra l’altro, fu testimone oculare anche del più brutale sfruttamento del lavoro minorile, tanto da concludere che il capitalista che utilizza il lavoro operaio “non s’arresta fino a che rimane un muscolo, un nervo, una goccia di sangue da sfruttare” (Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, 1978). N. 13 - 2 aprile 2015 il proletariato / il bolscevico 7 Il potere politico spetta di diritto al proletariato “Il potere politico spetta di diritto al proletariato che produce l'intera ricchezza del Paese ed è l'unica classe capace di sradicare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e le cause economiche che generano le classi, le guerre imperialistiche, le ingiustizie sociali, la disoccupazione, la miseria, il razzismo e la disparità territoriale e di sesso; capace anche di sradicare la cultura e la moralità borghesi fondate sull'individualismo, l'egoismo, l'arrivismo, l'arricchimento personale, il predominio dell'uomo sulla donna, la sopraffazione del più forte sul più debole, la corruzione. Questo diritto il proletariato lo deve rivendicare con forza e imporlo con la rivoluzione armata quando avrà creato le condizioni per estromettere dal potere l'ultima classe sfruttatrice e oppressiva della storia, la borghesia, che sbarra la strada all'emancipazione del proletariato e di tutta l'umanità. Ma non ce la potrà mai fare se non acquisisce la sua propria cultura, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, e non dà tutta la sua forza materiale e intellettuale al suo Partito, il PMLI”. Giovanni Scuderi Da un colloquio con la compagna Monica Martenghi alla vigilia della Commemorazione di Mao del 7 settembre scorso sul tema: Mao e la missione del proletariato Manifesto “Fuoco sul quartier generale!” 8 il bolscevico / campania N. 13 - 2 aprile 2015 Passano di padre in figlio le poltrone dei consiglieri regionali Nepotismo alle elezioni regionali campane Redazione di Napoli Fin dal problema della incandidabilità dell’ex neopodestà di Salerno, Vincenzo De Luca, alla poltrona di governatore della Campania, in famiglia già era scattata la possibilità di una sua sostituzione con i suoi due discendenti che ricoprono incarichi ufficiali all’interno del Partito democratico. Si tratta del primogenito Piero De Luca, avvocato e ricercatore - già indagato per una inchiesta di corruzione e ora nuovamente inquisito per bancarotta fraudolenta - membro dell’assemblea nazionale del PD, mentre il secondogenito Roberto, commercialista, è responsabile provinciale del settore economico del partito. Quella del passaggio delle poltrone, soprattutto in Consiglio regionale, di padre in figlio o di familiare in familiare, sembra essere ormai una prassi consolidata in Campania e quella dei De Luca potrebbe essere solo l’ultima saga, in ordine di tempo, di una lunga e significativa lista di “figli di papà” che hanno cercato di seguire le orme paterne e non solo. Si pensi ad un altro rampollo della famiglia Conte, Federico, avvocato penalista e membro della segreteria regionale del PD, potrebbe tentare la scalata alla Regione, avendo ricevuto anche la benedizione del suocero, l’ex senatore Alfonso Andria. Federico è figlio di Carmelo Conte, potentissimo ministro socialista per le Aree urbane nell’era del neoduce Craxi, nel quinquennio 1989-1993. L’influenza di Conte a Salerno e provincia, tra gli anni Ottanta e Novanta, nella zona di Salerno e provincia, era molto rilevante, essendo stato già consigliere e assessore regionale, nonché vice presidente della Regione. E, una volta nella capitale è stato ininterrottamente componente e capo gruppo del PSI della Commissione permanente Bilancio e Partecipazioni Dopo il fallimento avvenuto ad Ercolano Annullate anche le primarie a Pomigliano d’Arco Gli operai exFiat bloccano le consultazioni neoliberali per protestare contro il “Jobs Act” Redazione di Napoli Dopo l’incredibile fallimento avvenuto in provincia di Napoli con il clamoroso annullamento delle primarie ad Ercolano, fa notizia, e non poco, la decisione del PD di giovedì 12 marzo di procedere all’annullamento delle primarie di Pomigliano d’Arco che avevano sancito la vittoria dell’ex sindaco Caiazzo per tre voti. Le motivazioni sono secche e non lasciano adito a dubbi: “l’esito delle primarie di domenica non rappresenta una base di partenza adeguatamente solida per costruire una proposta politica ed elettorale competitiva”, affermavano i neoliberali riuniti nella segreteria provinciale napoletana. L’ennesimo caos di questa consultazione, tutt’altro che “democratica”, era cominciata nelle settimane precedenti con i soliti veleni intercorsi tra i vari candidati alla poltrona di sindaco nella città operaia, per poi esplodere sabato 7 e domenica 8 marzo. Infatti le masse popolari pomiglianesi snobbavano l’evento non recandosi al voto secondo i numeri prospettati dal PD: “la limitata affluenza al voto, il risultato prima annunciato, poi ribaltato e infine contestato, la persistente divisione registrata all’interno del partito e della coalizione di centro-sinistra portano alla conclusione che l’esito delle primarie di domenica non rappresenta una base di partenza adeguatamente solida per costruire una proposta politica ed elettorale competitiva”, affermava laconicamente la segreteria metro- politana del PD. Di sicuro la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la forte iniziativa di lotta intrapresa dagli operai, soprattutto quelli cassintegrati, della exFiat che occupavano il seggio elettorale presso l’ex Casa del Popolo. Il “Comitato di lotta Cassintegrati e Licenziati Fiat” sottolineava la protesta contro il PD come responsabile dello sfascio sul fronte lavoro alla storica fabbrica pomiglianese, accusando i candidati locali e i loro papaveri di non aver mai preso una posizione contro i licenziamenti orditi da Marchionne. Il seggio veniva messo a soqquadro con le schede non votate lasciate sparpagliate sul pavimento, mentre l’urna delle schede votate veniva scaraventata a terra dalla furia dei licenziati e dei cassintegrati, appoggiati dalle masse popolari che lasciano deserti i seggi, via via che trascorreva la giornata. Inevitabile la spaccatura con la segreteria di Pomigliano del partito del nuovo Berlusconi Renzi che reagiva stizzita al provvedimento ablativo dei vertici provinciali definendola “inaccettabile ed intollerabile”. Primarie che, tra l’altro, si erano svolte senza il consenso della segreteria provinciale, che le aveva sospese, e che avevano visto vincitore l’ex sindaco ed ex consigliere regionale Michele Caiazzo, con tre soli voti di scarto sul candidato Vincenzo Romano. Un caos punito severamente dalle masse, con alla testa la classe operaia, che contestava e sabotava la pomposa macchina elettorale del PD. Statali e della Commissione Speciale Mezzogiorno. Nel 1981, è diventato membro della direzione nazionale del PSI e responsabile per i problemi meridionali, mentre nel 1989 l’incoronazione e il riconoscimento delle sue indubbie capacità, con la nomina nel governo, come ministro per le Aree urbane, carica che ha ricoperto fino al 1993, negli ultimi due esecutivi diretti da Giulio Andreotti e nel primo governo targato Giuliano Amato, prima di essere invischiato in tangentopoli. Se Conte, almeno per ora, non scende in campo per prendere il posto del padre consigliere regionale uscente, diverso è l’approccio a casa Casillo, quando il potentissimo ex DC dell’area vesuviana e demitiano Franco Casillo, si fece da parte per lasciare il posto al figlio Mario, già assessore provinciale. E proprio Mario Casillo si ricandida, dopo essere stato determinante nell’impedire l’annullamento delle primarie in Campania e nel trascinare De Luca al successo: è lui uno degli (ormai ex) uomini ombra di De Luca che ha sbaragliato la concorrenza del bassoliniano Cozzolino nelle ultime primarie regionali PD. Un altro consigliere regionale uscente, Antonio Amato, l’uomo che ha dovuto gestire la patata bollente dell’organizzazione delle primarie e dell’allestimento dei seggi, si fa da parte dopo una lunga carriera tra municipalità, Comune di Napoli e Regione Campania (conclude il secondo mandato consecutivo da presidente della commissione per le bonifiche) in favore della figlia, Enza Amato, già segretario del circolo PD di Fuorigrotta. Il nepotismo in Campania continua nei nomi di Rosa Casillo, soltanto omonima di Mario, ma è figlia di un ex senatore socialista, Tommaso Casillo; di Bruna Fiola, figlia di Ciro Fiola, consigliere comunale a Napoli; di Anna D’Angelo, figlia di Gennaro D’Angelo da Casandrino, prossime alla candidatura nelle liste regionali. E, ancora, sempre nel salernitano, si deve segnalare la staffetta tra Domenico Pica, deputato DC nella V e nella VI legislatura, e il figlio Donato Pica, attuale consigliere regionale del Partito democratico. Non sono padre e figlio ma zio e nipote Giovanni Cobellis, deputato democristiano nella IX e X legislatura, e Luigi Cobellis, consigliere regionale in carica, in quota UDC. Altre famiglie potenti come quelle Scarlato, Russo, Indelli hanno applicato il nepotismo alla loro storia politica, come la dinastia dei Valiante: Antonio vanta una lunga carriera politica come deputato nella XII legislatura, segretario regionale del PPI dal 1997 al 2000, vicepresidente della giunta regionale della Campania e assessore al Bilancio dal 2005 al 2008. Il figlio Simone, dopo un’esperienza nel piccolo comune di Cuccaro Vetere e poi di consigliere provinciale, ha preferito fare direttamente il salto in avanti, spiccando il salto verso Roma, eletto deputato nel 2013 nella lista del PD, rinunciando per ora a qualsiasi candidatura regionale. Salerno Il figlio di De Luca indagato per bancarotta fraudolenta Redazione di Napoli Non bastavano già le non poche indagini e condanne che pesano sul candidato delle elezioni regionali per il PD, Vincenzo De Luca. È di mercoledì 18 marzo la notizia di una nuova tegola giudiziaria che si è abbattuta sull’ex neopodestà di Salerno e suo figlio, il primogenito Piero, già componente dell’assemblea nazionale del PD. La Procura di Salerno ha indagato per concorso in bancarotta fraudolenta, nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento del pastificio Antonio Amato, Piero De Luca, in una inchiesta diretta dai pubblici ministeri salernitani Francesco Rotondo e Vincenzo Senatore il quale, nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari dello scorso luglio, aveva subordinato il capo d’imputazione alla decisione della Corte d’Appello sulla immobiliare “Ifil”, una controllata dell’azienda. Il fallimento della società ha spostato l’asticella dal reato di appropriazione indebita alla accusa più pesante che riguarda i reati fallimentari. Secondo i riscontri dei magistrati, Piero De Luca avrebbe ricevuto 23mila euro dalla immobiliare Ifil sotto forma di biglietti aerei per sé e la moglie con destinazione Lussemburgo, paese nel quale la famiglia risiede poiché Piero, avvoca- to di professione, è referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione europea imperialista. Al reato la Procura di Salerno ha contestato la circostanza aggravante di “aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità nella piena consapevolezza di trarre indebito vantaggio patrimoniale”. Sembrano, dunque, decisive le dichiarazioni rese ai pm da Giuseppe Amato, titolare del pastificio, che avrebbe indicato Piero De Luca come consulente legale per una variante urbanistica da approvare per trasformare l’area dell’ex stabilimento in un centro residenziale. Circostanza singolare, quanto meno, che il figlio dell’ex neopodestà venga assunto come advisor per una materia che atteneva le allora responsabilità politiche del padre Vincenzo a Salerno. Giuseppe Amato aveva, inoltre, affermato di avere pagato alcune fatture per il comizio di chiusura della campagna per le Regionali 2010 di Vincenzo De Luca a Napoli. L’indagato aveva dichiarato che la spesa gli sarebbe stata suggerita dall’imprenditore Mario Del Mese, nipote dell’ex sottosegretario Udeur, Paolo Del Mese, amministratore di fatto fino al 2012 di quella “Ifil” poi fallita e molto vicino agli interessi della famiglia De Luca. Sull’autostrada simbolo del malaffare borghese e criminale italiano Crolla una campata sulla Salerno-Reggio Calabria Morto un giovane operaio dell’Anas. Dodici “morti bianche” sull’A3 in 5 anni Lunedì 2 marzo è crollata una campata stradale in un cantiere all’interno del viadotto “Italia” alto 255 metri (il più alto d’Italia, il secondo in Europa) sulla A3 Salerno-Reggio Calabria nella tratta compresa tra Laino Borgo e Mormanno (Cosenza). Nel crollo, che ha trascinato giù mezzo viadotto grande quanto mezzo campo di calcio, è morto un operaio rumeno di 25 anni, Adrian Miholca, cha stava lavorando con il suo trattorino alla demolizione della quinta campata del viadotto in direzione Reggio. Le conseguenze del crollo potevano essere ancora peggiori perché il tratto da demolire è parallelo, separato solo da un guardrail, alla carreggiata nord del viadotto (sostenuta dallo stesso pilone) in quel momento aperta al traffico autostradale, tanto che dai finestrini delle auto erano ben visibili i lavori che l’Anas ha definito “prove di demolizione”. La procura di Castrovillari (Cosenza) ha disposto la chiusura della tratta perché, come dice il procuratore Franco Giacomoantonio: “Il crollo della campata potrebbe aver incrinato anche la stabilità complessiva”. Con quella di Miholca diventano 12 le “morti bianche” dal 2010 ad oggi sulla A3, autostrada simbolo del malaffare borghese e criminale italiano ed eterna incompiuta da quel lontano 1962 quando venne iniziata all’ombra del boss DC Amintore Fanfani. Dura la presa di posizione della Fillea-CGIL; il dirigente locale Antonio Di Franco parla di giungla di appalti e subappalti (spesso e volentieri in odor di ’ndrangheta) che annientano la sicurezza: “Si lavora 12 ore al giorno. In certi cantieri della A3 è un fatto praticamente istituzionalizzato. Se ti ribelli, il contratto a termine non viene rinnovato. Situazioni su cui Anas e contraenti avrebbero il dovere di intervenire”, mentre il segretario nazionale, Walter Schiavella, chiede di “rafforzare le verifiche su tutte le imprese che operano nei cantieri della A3, sullo stato di applicazione dei protocolli e dei piani per la sicurezza, sugli orari di lavoro, sulle condizioni di vita dei lavoratori, soprattutto delle imprese in subappalto”. L’Anas con un agghiacciante comunicato ha chiesto il dissequestro della tratta sostenendo che “sono state adottate tutte le misure di sicurezza” e che non vi sarebbero pericoli per i passeggeri ma la procura, sempre per bocca di Giacomoantonio, nega: “La riapertura del viadotto? Tempi lunghi. Non siamo sicuri della sua percorribilità. Non vogliamo correre rischi e sappiamo che il sequestro creerà molti disagi. Dobbiamo però essere certi della sicurezza della struttura prima di predisporre il ritorno alla normalità su questo tratto della SalernoReggio Calabria”. La gravità della situazione si capisce anche dall’intervento del segretario generale della CGIL del Pollino-Sibaritide-Tirreno, Angelo Sposato: “La disposizione del sequestro del viadotto porterà necessariamente ad un iter procedurale che richiederà un tempo indeterminato per tutte le verifiche tecniche che andranno fatte con scrupolo e rigore. È del tutto evidente che l’incidente che ha determinato il cedimento della campata che è andata a poggiarsi su uno dei piloni del viadotto non può allo stato garantire la sicurezza dei lavoratori nei cantieri e degli automobilisti. Di fatto la Calabria è isolata dal resto del Paese e se tale situazione dovesse perdurare a lungo, in assenza di una viabilità alternativa, metterebbe in ginocchio l’intero sistema economico-sociale e istituzionale delle regioni del mezzogiorno e del territorio. Riteniamo opportuno, pertanto, che il governo nazionale e regionale assumano nello specifico una iniziativa tesa a convocare un tavolo di crisi con Anas, Prefettura, il contraente generale, le istituzioni locali e le parti sociali’’. PMLI / il bolscevico 9 N. 13 - 2 aprile 2015 Volantinaggio riuscito Alla presentazione della “Coalizione sociale” a Firenze presente Landini Apprezzato il volantino del PMLI “Il potere politico spetta di diritto al proletariato” Alcuni giovani condividono il testo e la falce e Interesse per il PMLI in un liceo di Roma Dal corrispondente della martello con l’effigie di Mao Redazione di Firenze Lunedi 23 marzo a Firenze presso il teatro “Puccini” per l’occasione della presentazione della “Coalizione sociale” di Maurizio Landini, alcuni compagni fiorentini del PMLI hanno diffuso il volantino “Il potere politico spetta di diritto al proletariato”, invitando ad acquisire la propria cultura nel solco dei Maestri del proletariato. Nei corpetti rossi i diffuso- ri esponevano il manifesto del PMLI per il lavoro, con la richiesta dello sciopero generale di 8 ore. In 40 minuti tutti i volantini sono stati presi dagli operai (in maggioranza), oltre che da “vecchie” conoscenze provenienti dal PD, SEL e Rifondazione Comunista. Alcuni giovani si sono intrattenuti dopo aver preso il volantino, condividendo il testo e la falce e martello in bella vista con l’effigie di Mao. Firenze, 23 marzo 2015. La diffusione del PMLI al Teatro Puccini per la presentazione della “coalizione sociale” di Landini (foto Il Bolscevico) Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma Nella mattina di sabato 21 marzo, compagni della Cellula “Rivoluzione d’Ottobre” di Roma del PMLI hanno svolto un volantinaggio al liceo scientifico “Nomentano” nel quartiere Talenti. Sono stati distribuiti tutti i 250 volantini dal titolo “Viva la grande mobilitazione studentesca del 12 marzo! Lottiamo affinché le scuole siano governate dalle studentesse e dagli studenti” stampati per l’occasione. Sia gli studenti che il personale insegnante e tecnico hanno dimostrato un certo interesse a riguardo, soffermandosi nella lettura del volantino. Nonostante non ci siano stati particolari scambi di opinioni con gli studenti, il clima è indubbiamente favorevole ad ulteriori volantinaggi. Non abbiamo riscontrato infatti nessun tipo di intimidazione o provocazione nei nostri confronti. Sicuri che, con costanza nel lavoro di propaganda, riusciremo ad instaurare un dialogo organizzeremo altri volantinaggi nelle prossime settimane. Lottiamo dunque per una scuola pubblica governata dalle studentesse e dagli studenti! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! Parole d’ordine del PMLI per la manifestazione nazionale promossa dalla FIOM Roma, 28 marzo 2015 1) Lavoro / Lavoro / Lavoro 2) Il Jobs Act / è da affossare / questo governo / è da cacciare 3) Sciopero / sciopero generale / sotto Palazzo Chigi / a manifestare 4) Articolo 18 / l’hanno cancellato / con la lotta / va ripristinato 5) Abolire / il precariato / tutti a tempo / indeterminato Bisogna tener conto delle spinte antimperialiste dei popoli islamici Bellissimo comunicato, come sempre, quello sull’attentato terroristico a Tunisi. Coglie pienamente 6) Contratto nazionale / da preservare / mai lo faremo / cancellare 7) Col nuovo Berlusconi / non c’è democrazia / governo Renzi / spazziamolo via 8) I lavoratori / si devono unire / nel Partito / del socialismo / e dell’avvenire 9) Tutti uniti / contro il capitalismo / tutti uniti / per il socialismo 10)Il proletariato / al potere / per l’Italia unita / rossa e socialista il problema: nessuno di noi marxisti-leninisti auspica un terrore senza sbocchi politici e economici di “trasformazione delle condizioni reali delle cose” e di “trasformazione del mondo”; ma bisogna tener conto delle spinte antimperialiste che si manifestano contro lo strapotere economico, politico e militare di quell’ormai “fantasma” CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI MARZO 26 28 SAESE - Sciopero nazionale del personale docente, ATA, atipico e precario comparto Scuola FIOM - Manifestazione nazionale a Roma APRILE 11 15 24 Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal, Gilda Fgu Manifestazione nazionale a Roma del personale della scuola Uiltucs Uil, Fisascat Cisl e Filcams Cgil - Sciopero generale nazionale del settore del turismo USB, UNICOBAS, ANIEF - Sciopero unitario della scuola (ma reale a livello economico e in misura molto minore politico) capitalistico che sono le potenze dell’“occidente”. Eugen Galasso Parole ben ponderate e in linea con il marxismo-leninismo Care compagne e cari compagni del PMLI, come sempre ben ponderate e in linea con il pensiero marxistaleninista le parole usate anche nel comunicato sui fatti di Tunisi. Ricco di significato soprattutto il passaggio ove si dice che il rischio è quello che il popolo italiano sia coinvolto suo malgrado in guerre che non lo riguardano. Orgoglioso di essere parte di un grande Partito come il PMLI! Contro l’imperialismo, per il socialismo! Un caro saluto rosso. Andrea, operaio del Mugello (Firenze) Concordo col PMLI sui fatti di Tunisi Concordo con il comunicato del PMLI sui fatti di Tunisi. Grazie compagni. Nicola Spinosi – Firenze 11) Lavoro / articolo 18 / socialismo 12)Il lavoro ai giovani / che va garantito / è quello stabile / e ben retribuito 13)Tfr / anticipato / nuova fregatura / per chi ha lavorato 14)Non stangare / masse e lavoratori / colpire rendite / ed evasori 15)Contratti pubblici / da rinnovare/ basta rinvii / basta imbrogliare Grazie per aver commemorato Marx Grazie per aver commemorato Marx, il geniale uomo che diede un fondamento scientifico all’antimperialismo e che contribuì in maniera decisiva alla lotta di classe. Alessandro – Modena Vi seguo sempre su internet Carissimi compagni, sono un lavoratore da anni trasferitosi in Spagna. Vi seguo sempre tramite il sito Internet e sono d’accordo con molte delle vostre posizioni. Saluti comunisti. Branco - Spagna 16)Il futuro ai giovani / da Renzi preparato / è supersfruttato / è disoccupato 17)Né flessibile / né precario / lavoro a tutti / pieno salario 18)Vogliamo un solo / disoccupato/ governo Renzi / sei licenziato 19)La “Buona scuola” / è da bocciare / vuole solo / privatizzare 20)Renzi / Renzi / vieni a pescare con noi / ci manca il verme ATTIVITA’ DI PROPAGANDA DEL PMLI ➥ MODENA Portico Via Emilia Centro tra via Scudari e Piazza Ova Banchino di propaganda dalle 15 alle 18 ● Domenica 5 aprile ● Sabato 11 aprile ● Venerdì 17 aprile ● Giovedì 23 aprile 10 il bolscevico / piemonte Comunicato del PMLI.Biella N. 13 - 2 aprile 2015 Ennesimo scandalo per le istituzioni borghesi regionali La giunta piemontese del PD Il Jobs Act riporta Chiamparino rischia di essere travolta indietro di quasi dallo scandalo delle firme false 150 anni i diritti Il governatore, come Cota, ha ingannato le masse piemontesi dei lavoratori Dal nostro corrispondente L’Organizzazione biellese del PMLI parteciperà all’importante manifestazione nazionale di sabato 28 marzo a Roma organizzata dalla FIOM contro il famigerato Jobs Act . Tra la stampa locale c’è chi ha sottolineato che già dai primi giorni dall’entrata in vigore delle nuove norme, nel biellese sono già avvenute oltre 300 assunzioni e che molte altre ne seguiranno. La realtà è che i padroni aspettavano da tempo l’introduzione del nuovo provvedimento del governo per assumere a basso costo lavoratori da impiegare durante i picchi di produzione per poi lasciarli a casa appena non ne avranno più bisogno. Manco a dirlo gli sgravi fiscali saranno a carico della collettività tanto che l’INPS prevede un deficit di oltre 1miliardo di euro annui per i generosissimi sgravi concessi agli imprenditori dal governo del Berlusconi democristiano Renzi. Ciò sta producendo un balzo all’indietro di quasi 150 anni nelle condizioni lavorative. Allorché i padroni disponevano a piacere dei loro schiavi salariati, chiamandoli al lavoro quando volevano e licenziandoli immediatamente quando si ribella- vano, decidendo orario, paga e mansione in base alla loro sottomissione. Quando scioperare significava rischiare il licenziamento in tronco e non era concesso ammalarsi, pena morire di fame, e i lavoratori erano sorvegliati a vista dai “capoccia”, oggi sostituiti dalle telecamere. Altro che modernità e innovazione blaterate da Renzi. Il danno in parte è già stato fatto ma i lavoratori e le masse hanno mostrato disponibilità alla lotta e i sindacati, e in particolare la Cgil, hanno ancora la possibilità di rilanciare la mobilitazione. Urge al più presto lo sciopero generale nazionale di 8 ore con manifestazione a Roma per spazzar via il nuovo Berlusconi democristiano Renzi insieme al suo governo antioperaio, antisindacale, piduista e fascista, anche formalmente e apertamente paladino di Marchionne e della Confindustria. Ecco perché c’è bisogno della risposta forte della piazza per fermarlo prima che “cambi verso” ulteriormente all’Italia portando a compimento le controriforme piduiste. Per il PMLI.Biella Gabriele Urban Biella, 17 marzo 2015 del Piemonte Un ennesimo scandalo rischia di travolgere a breve la giunta regionale del Piemonte, del PD Sergio Chiamparino. Esattamente a un anno di distanza si è ripetuto, e si sta ripetendo, la vergognosa vicenda di firme false presentate per sostenere i partiti politici borghesi nelle elezioni regionali. Come successo un anno fa a Cota e alla sua giunta fascio-leghista, costretta a ignominiose dimissioni dopo che il TAR aveva annullato le elezioni del 2010 viziate, appunto, da firme false presentate dalla lista “Pensionati per Cota”, analoga sorte dovrebbe toccare a breve a Chiamparino e alla sua giunta di “sinistra” borghese. La farsa delle elezioni borghesi in Piemonte Quelle piemontesi non sono vicende isolate ma rappresentano uno spaccato di quello che sono le elezioni politiche borghesi, elezioni farsa che si svolgono sotto la dittatura della borghesia. I politicanti borghesi imbrogliano le masse e succhiano loro il sangue al fine di ingrassare la classe dominante borghese di cui sono solo dei burattini. Il loro inganno, e quello piemontese ne è una prova, inizia ancora prima di essere insediati all’interno delle istituzioni borghesi. Le masse sono imbrogliate già durante la campagna elettorale, prese in giro non solo con vuote Comunicato dell’Organizzazione di Biella del PMLI Piena solidarietà ai lavoratori della Casa di riposo “Belletti Bona” contro i ricatti della direzione dell’Istituto L’Organizzazione biellese del PMLI esprime totale solidarietà alle lavoratrici e ai lavoratori della storica casa di riposo biellese “Belletti Bona” che hanno saputo respingere il ricatto avanzato dal Consiglio di amministrazione di rinunciare al salario integrativo, circa 250 euro, come premessa per proseguire l’attività dell’Istituto. Il CdA guidato da Pier Giorgio Cadoni non ha saputo fare di meglio, per risanare il bilancio dell’Istituto, che chiedere sacrifici economici ai dipendenti senza peraltro offrire loro concrete garanzie, neppure per il periodo di un anno. Nonostante le gravi incertezze per il proprio futuro le lavoratrici ed i lavoratori nel corso dell’ultima assemblea hanno respinto la richiesta dell’amministrazione che chiedeva loro un mandato approvato all’unanimità. Su 74 dipendenti hanno presenziato all’assemblea e votato in 70, di questi 37 si sono espressi favorevolmente mentre ben 11 hanno respinto il ricatto di rinunciare al salario accessorio e altri 22 si sono astenuti. Vergognoso l’atteggiamento dei sindacati che non solo non hanno fatto nulla per difendere le lavoratrici e i lavoratori ma hanno anzi avallato la proposta del CdA spacciandola come concreta ed unica scelta possibile per la salvezza dell’Istituto. Dopo il voto anziché fare quadrato attorno ai coraggiosi dipendenti hanno rilasciato dichiarazioni stizzite, dicendosi “dispiaciuti” per l’esito affermando che sarebbe stato conveniente per i lavoratori accettare i sacrifici loro richiesti! Dopo l’esito del voto il Consiglio di amministrazione, con alla testa il neo presidente Pier Giorgio Cadoni, ha deciso di rivolgersi alla magistratura biellese per decidere sul futuro dell’Ente di assistenza anziani. Considerata la voragine di oltre 5 milioni di euro di debito, che si allarga di giorno in giorno, si fa strada il rischio di chiusura ed il conseguente licenziamento degli oltre 70 dipendenti. Per non parlare degli ospiti dell’Istituto, persone anziane bisognose di cure, che negli anni passati hanno già dovuto subire tagli dei posti convenzionati ed il peggioramento dei servizi di assistenza ricevuti in conseguenza alle famigerate politiche di lacrime e sangue portate avanti da tutti i governi, locali e nazionali, che si sono succeduti. Per quanto riguarda la mala gestione del Belletti Bona non ci sono dubbi che tutte le colpe devono esclusivamente essere imputate alla politica istituzionale biellese che invece di inserire nei Consigli di amministrazione degli Enti pubblici giovani preparati, capaci e onesti ha piazzato i propri uomini di partito incapaci di soddisfare gli interessi delle masse popolari biellesi. Ora a pagare il conto dovrebbero essere le lavoratrici e i lavoratori del “Belletti Bona” e gli anziani dell’istituto stesso? No! L’Organizzazione biellese del PMLI non ci sta ed è pronta a scendere in piazza a protestare con tutte le organizzazioni sindacali e politiche che vorranno dimostrare il loro appoggio militante alle lavoratrici ed ai lavoratori del Belletti Bona che non hanno piegato la testa e, dimostrando forza e coraggio, hanno saputo respingere al mittente il ricatto di rinunciare a parte del proprio salario come condizione per continuare a lavorare. Per il PMLI.Biella Gabriele Urban Biella, 21 marzo 2015 promesse ma anche con l’infrazione delle stesse norme che dovrebbero regolamentare le elezioni. La corruzione è insita nel sistema capitalistico e le istituzioni borghesi, che ne sono la sovrastruttura giuridica, sono anch’esse corrotte. Cota e Chiamparino, in apparenza acerrimi nemici nell’arena politica piemontese, rappresentano in realtà le due facce della stessa medaglia della politica borghese. Fascio-leghista il primo, ex “comunista”-revisionista e ora renziano convinto il secondo, sono soltanto due burattini nelle mani della borghesia nazionale e piemontese. Chiamparino, forte degli scandali della giunta Cota relativi a rimborsopoli e alle firme false presentate nella precedente tornata elettorale, si è presentato alle elezioni regionali piemontesi dello scorso maggio come moralizzatore e promotore del cambiamento. Come da noi denunciato ne Il Bolscevico n. 20/2014 con il Documento del PMLI.Piemonte “Perché il Piemonte sia governato dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo” le due coalizioni borghesi, quelle di destra di Pichetto e quella di “sinistra” di Chiamparino, si sono presentate alle elezioni con due programmi elettorali pressoché identici. Il moralizzatore Chiamparino non ha sostanzialmente contestato nulla della precedente giunta fascioleghista di Cota di fatto avallandone l’operato. Chiamparino ha nei fatti sposato la politica economica di Cota volta quasi esclusivamente alle esigenze delle grandi banche e dei grandi agglomerati industriali, leggi FCA (ex FIAT), permettendo inoltre lo smantellamento di ciò che restava dei servizi sociali pubblici regalando alle fondazioni e alla sanità private agevolazioni e ricchi appalti. Già nella campagna elettorale si è detto assolutamente favorevole alla politica delle “grandi opere” che del resto da anni mette d’accordo entrambi gli schieramenti politici borghesi. Come i suoi predecessori Chiamparino ha sponsorizzato, e dopo le elezioni appoggiato con la sua giunta, lo scempio della TAV in Val Susa, che accontenta le richieste di speculatori e signori del cemento, e la costruzione del grattacielo del nuovo palazzo della regione Piemonte il cui appalto fu avviato dalla precedente giunta di “centro-sinistra” Bresso. Firme false e corruzione anche per la giunta Chiamparino La giunta Chiamparino al pari di quella del fascio-leghista Cota, come da noi denunciato ne Il Bolscevico n. 41/2014, si è fin da subito caratterizzata dalla corruzione, caratteristica endemica di tutte le istituzioni politiche borghesi. Chiamparino non solo non ha fatto nulla contro gli amministratori coinvolti nell’inchiesta rimborsopoli ma anzi li ha promossi! Da semplici consiglieri regionali gli inquisiti Aldo Reschigna (PD) e Monica Cerutti (SEL) sono stati nominati assessori regionali con deleghe di peso. Sull’assoluta equiparazione tra “centro-de- stra” e “centro-sinistra” borghesi si è espresso lo stesso Chiamparino il 21 ottobre scorso, in un’intervista al giornalista de La Stampa, Maurizio Tropeano. Al giornalista che gli chiedeva conto del suo spregiudicato utilizzo della rimborsopoli in campagna elettorale, Chiamparino ha avuto l’indecenza di dichiarare: “Non ho mai pensato che esista una diversità del centrosinistra scritta nel Dna o definita per natura (…) c’è stato un cambiamento e trovo sia coerente, opportuno e di buon senso confermare la mia fiducia nei due assessori e lasciare che si arrivi al dibattimento. Per motivi morali e politici, ho chiesto ai miei amministratori di restare. Non farlo sarebbe stato un delitto. Credo che nemmeno la magistratura sarebbe lieta se gli si desse il potere di fare e disfare amministrazioni che stanno lavorando”. Al colmo dell’ipocrisia, degna davvero della peggiore classe dominante borghese, in un’altra occasione ha minimizzato il capo delle imputazioni in quanto: “(…) qui stiamo parlando nel caso peggiore di un uso improprio del denaro pubblico per attività politica e non per fini privatistici”. Solidarietà totale ai propri assessori a dispetto di tutto. Questo il leitmotiv ripetuto fino alla nausea dal caporione Chiamparino. A questi vergognosi scandali se ne aggiungono altri che, probabilmente, porteranno alla caduta della giunta Chiamparino esattamente come un anno fa quella di Cota: le firme false. Già all’indomani delle elezioni dello scorso maggio, vinte dalla “sinistra” borghese di Chiamparino, hanno cominciato a spargersi voci di firme false per le liste in appoggio al neo-eletto presidente regionale. Il 10 luglio scorso l’ex consigliera provinciale leghista Patrizia Borgarello ha presentato per prima un formale ricorso al TAR. Moltissime le irregolarità denunciate per la lista “Chiamparino Presidente” e per le liste provinciali di Torino e di Cuneo del PD e di “Chiamparino per il Piemonte”. In certi moduli le firme sono state palesemente fatte tutte dalla stessa mano. Alcuni sottoscrittori figurano con le loro firme in più moduli, lo stesso giorno ma in comuni diversi. I nominativi, e le rispettive firme, in diversi moduli sono stati presentati in perfetto ordine alfabetico e in alcuni casi con diversi doppioni. Molte firme, palesemente false, riportano il luogo di nascita al posto del cognome. Un consigliere, stando a quanto sottoscritto nei verbali, ha autenticato un sottoscrittore ogni due minuti per un totale di 329 in una sola mezza giornata. Altre stranezze si notano riguardo la residenza dei firmatari e il luogo in cui sono state autenticate le sottoscrizioni, per fare un esempio le firme raccolte a Vaie e a Sant’Antonino, entrambe località della Val di Susa, sono state tutte autenticate a Torino. Una vera e propria ignobile truffa resa ancora più vergognosa dal fatto che a commetterla sono stati gli stessi moralizzatori che avevano accusato Cota appena un anno prima. Come hanno reagito Chiamparino e i suoi caporioni politici borghesi? Ammissione di colpa e relative dimissioni oppure difesa del proprio operato con relativa contro-denuncia per calunnie? Nulla di tutto ciò! Affidatisi ad un importante avvocato di diritto amministrativo borghese la giunta Chiamparino ha tentato di bloccare sul nascere l’indagine in quanto il ricorso sarebbe stato presentato tardivamente. Ecco come agisce ed operano i politicanti borghesi tanto di destra quanto di “sinistra”. Colti con le mani nel sacco il primo tentativo è quello di trincerarsi nel diritto borghese, che è loro diretta emanazione, e nascondersi agli occhi delle masse per gli imbroglioni che sono. Respinto lo pseudo-ricorso nella prima udienza, il 6 novembre scorso, il TAR ha inoltre acquisito gli atti processuali e vista la gravità di quanto emerso ha rimandato l’avvio del procedimento per il mese di febbraio. Il TAR ha nel contempo imposto l’ingresso di tutti i consiglieri regionali eletti nel procedimento. Dopo sei mesi, l’indagine coordinata dai Pm Patrizia Caputo e Stefano Demontis si trova ora a un punto di svolta. I magistrati hanno inviato un avviso di garanzia a sette persone, cui è probabile se ne aggiungano altre. L’inchiesta al momento si sta concentrando su chi ha autenticato le firme apparse anomale: due consiglieri regionali, entrambi eletti nel listino bloccato: Nadia Conticelli del PD e Marco Grimaldi di SEL e tre ex consiglieri provinciali, anche loro del PD: Pasquale Valente, Umberto Perna e Davide Fazzone, attualmente responsabile dell’organizzazione del PD regionale. Il TAR ha annunciato il 9 luglio prossimo come data ultima per il pronunciamento definitivo. L’imbroglione Chiamparino non ha saputo fare di meglio che dichiarare stizzito, durante un intervenuto alla direzione regionale del PD piemontese lo scorso 24 febbraio, che non intende farsi mettere sulla graticola dai magistrati: “Se il 9 luglio o intorno a quella data, non ci sarà una sentenza chiara e inequivocabile da parte del TAR, sono pronto a restituire la parola agli elettori”. Insomma esattamente come dichiarava Lupi prima di essere costretto alle dimissioni. Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164 Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI chiuso il 25/3/2015 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 cronache locali / il bolscevico 11 N. 13 - 2 aprile 2015 Assemblea antifascista a Varese PRESENZA MILITANTE DEL PMLI Punto di partenza di un largo fronte unito per la costituzione di un Comitato antifascista provinciale Dal corrispondente dell’Organizzazione di Viggiù del PMLI Domenica 15 marzo, ospitata presso la sala di lettura “Enrico Berlinguer” di Varese, messa gentilmente a disposizione dalla sezione Varesina del Partito Comunista d’Italia (PCdI), si è tenuta un’importante assemblea antifascista. Tale assemblea alla quale hanno partecipato diverse forze politiche e sociali, tra cui l’osservatorio democratico sulle nuove destre, PMLI, PCdI, Partito di unità comunista (PdUC), associazione amici Italia-Cuba, ecc., è stata indetta con l’obbiettivo di unificare tutte le forze antifasciste della provincia in un “Comitato antifascista”. La domanda e la necessità di tale Comitato nasce dai fatti avvenuti negli ultimi mesi dove si è assistito, e si assiste tuttora in tutta la provincia ad un crescendo di azioni provocatorie da parte di gruppi nazifascisti che hanno visto il loro apice il 10 febbraio, data del famigerato “giorno del ricordo” dove per la prima volta da anni, si sono riunite tutte le anime dell’estrema destra varesina con la partecipazione di Comunità militante dei DOdici RAggi (DO.RA). Casapound, Forza nuova che insieme hanno portato a sfilare per le vie di Varese duecento nazifascisti. Tutto questo con l’avallo di istituzioni e “forze dell’ordine” da una parte e sostanziale silenzio delle forze antifasciste dall’altra. E proprio davanti a questo immobilismo di organizzazioni come l’ANPI e la mancanza di un coordinamento comune su questo fronte che è partita l’iniziativa dell’assemblea antifascista alla quale ne seguiranno altre in diverse città della provincia al fine di coinvolgere il numero più am- pio di forze. Tra i vari intervenuti al dibattito introdotto, da Gennaro Gatto dell’Osservatorio democratico, il quale ha messo a conoscenza dei presenti vari dati sulle forze nazifasciste in provincia di Varese, ha preso la parola anche il compagno Alessandro Frezza dell’Organizzazione di Viggiù del PMLI. Egli oltre a rimarcare il crescente pericolo nazifascista a Varese e provincia ha legato il crescere di queste forze e la loro sicurezza nelle loro azioni squadristiche, alla crescente fascistizzazione dello Stato attraverso le controriforme economiche, sociali e costituzionali del governo Renzi, sottolineando inoltre come sia necessario che le forze antifasciste si pongano il problema di riportare alla testa di questa lotta la classe operaia, storicamente il più potente baluardo contro il fascismo, coinvolgendo le forze sindacali o direttamente le varie fabbriche della provincia, prendendo contatti con le RSU e facendo lavoro di agitazione tra gli operai. In conclusione tutti gli interventi, che hanno spaziato a seconda dei propri punti di vista politici e ideologici, dalla difesa della Costituzione come priorità, all’unità dei partiti comunisti come deterrente alle derive nazifasciste, su un punto si sono trovati d’accordo, ossia sul fatto che oggi più che mai occorre organizzarsi e mobilitarsi in un largo fronte unito di tutte le forze democratiche e antifasciste che si costituiscano in un Comitato antifascista per non concedere neanche più un metro di terreno alle carogne nere nella nostra provincia. Il PMLI sosterrà in maniera militante questo progetto e porterà il suo contributo di idee e non solo, nella lotta contro il neofascismo, squadrista e istituzionale. Saluto del PMLI Viggiù all’assemblea antifascista di Varese La classe operaia deve tornare protagonista della lotta contro il fascismo vecchio e nuovo Compagne e compagni, l’Organizzazione di Viggiù del Partito marxista-leninista italiano porta i suoi saluti militanti a questa importante assemblea antifascista alla quale il mio Partito è onorato di partecipare. Sono momenti difficili per la nostra provincia. Da una parte assistiamo ad un crescendo di azioni provocatorie da parte di gruppi nazifascisti che imperversano indisturbati, e che giorno dopo giorno si sentono sempre più forti e sicuri delle loro azioni grazie anche al silenzio delle istituzioni indifferenti, se non addirittura complici, delle carogne nere. Dall’altra parte invece abbiamo l’attendismo e l’immobilismo di chi dovrebbe prendere di petto i rigurgiti fascisti, riferendomi in particolare all’ANPI, che ad esclusione della grande manifestazione antifascista di Varese seguita ai fatti del San Martino ha fatto poco o nulla in contrasto alle attività delle carogne nere. Tale immobilismo, causato principalmente da dirigenti traditori e opportunisti molto spesso legati al PD, è il conseguente risultato delle politiche nazionali del governo Renzi che attraverso le controriforme costituzionali, economiche e sociali piduiste stanno di fatto fascistizzando lo Stato e il Paese intero. Ed è gra- Varese, 15 marzo 2015. L’intervento del compagno Alessandro Frezza dell’Organizzazione di Viggiù all’assemblea per la costituzione del Comitato antifascista provinciale (foto il Bolscevico) di un comitato antifascista prozie a questa fascistizzazione se i vinciale, al quale già si sta lavoneofascisti e i neonazisti si sentorando, che diventi punto di rifeno legittimati a rialzare la testa. rimento e raccolga al suo interno Di fronte a tutto questo serve tutte le forze politiche, sociali e oggi più che mai la massima unisindacali che vogliano realmente tà e mobilitazione di tutti i sinceri ostacolare con la lotta di massa democratici e antifascisti e per e di piazza l’avanzata nera nella fare ciò occorre la costituzione Sciopero con presidio dei lavoratori del Mercatone Uno di Navacchio contro la chiusura e i licenziamenti della Cellula “Vincenzo Falzarano” di Fucecchio Sabato 21 marzo le lavoratrici e i lavoratori del Mercatone Uno di Navacchio (Pisa) hanno indetto uno sciopero per tutto il giorno per opporsi alla decisione dei vertici aziendali di chiudere quel punto vendita, e il conseguente licenziamento di tutte le maestranze. Le lavoratrici e i lavoratori col sostegno della CGIL hanno presidiato il parcheggio e l’ingresso per informare gli avventori della loro vertenza e soprattutto della drammatica situazione che vedrà da qui a poco gettare 36 famiglie sul lastrico. Nel pomeriggio hanno provato a incontrare il sindaco di Navacchio, che però ha delegato il suo vice, causa impegni. I lavoratori denunciano la scarsa chiarez- za aziendale, sul fatto se ci siano interessi di altri soggetti al punto vendita pisano. Nonostante passino gli anni, referenti e soggetti politici, il linguaggio (ieri si chiamavano licenziamenti oggi li chiamano “esuberi”) la storia si ripete e a pagare sono sempre gli operai. Da segnalare due anni or sono la chiusura di un altro punto vendita della stessa catena e nella stessa provincia. Fascio-leghisti umiliati a Cagliari La manifestazione del comitato “Noi con Salvini” battuta numericamente e politicamente dalla contromanifestazione degli antifascisti del capoluogo sardo Dal corrispondente dell’Organizzazione di Uras del PMLI Volevano conquistare Cagliari a colpi di slogan fascisti e polizieschi, ma hanno preso bastonate. È stato il trionfo dell’antifascismo sardo quello che si è consumato nel capoluogo dell’isola la scorsa settimana, quando i promotori del sedicente Movimento Sociale Sardo–Noi con Salvini, forti del supporto del loro maestro reazionario Matteo, sono scesi in piazza a manifestare la loro ignoranza xenofoba. Erano una trentina, e come riportano diverse fonti, accompagnati da un cane con la maglietta nella nazionale italiana, hanno manifestato il loro dissenso per “l’invasione” degli immigrati al suono di slogan come “Le case agli Italiani”, il poliziesco “Prima la sicurezza” e altri cori di matrice nera. In tutta velocità il Coordinamento Antifascista Cagliaritano ha organizzato una manifestazione di risposta, assolutamente pacifica, e in poche ore è riuscito a radunare più di 100 persone per stoppare le derive razziste e autoritarie che questi provocatori vorrebbero portare in Sardegna. Le “forze dell’ordine” hanno evitato l’incontro fra le due manifestazioni simultanee, abbastanza inferociti gli uni con gli altri anche a causa dell’aggressione subita dai “salviniani” qualche giorno prima a opera di alcuni antifascisti che a detta degli aggrediti avrebbero rovesciato i loro tavolini e banchini. Il social networker Matteo Salvini li ha definiti “zecche rosse” chiedendo al ministro Alfano l’immediata chiusura dei centri sociali. I seguaci del pagliaccio fascio-leghista hanno accusato subito dell’aggressione gli studenti di “Sa domu”. Secondo gli esponenti antifascisti cagliaritani ci sarebbe in atto un tentativo di pilotare l’opinione pubblica contro lo Studentato Occupato “Sa domu”, che da mesi occupa uno spazio che il comune di Cagliari aveva ormai abbandonato nel bellissimo quartiere storico di Castello, e stoppare il “serbatoio di idee e ormai punto di riferimento culturale per la zona” come lo definiscono gli stessi creatori. Il PMLI stesso ha partecipato ad un incontro durante la settimana contro l’Apartheid antipalestinese del governo israeliano e può dire che il centro occupato è un ottimo terreno di confronto e un possibile alleato per le politiche di fronte unito del Partito marxista-leninista italiano. Tutti i sinceri antifascisti non devono dimenticare i cori contro il Sud Italia, i titoloni antimeridionali dei giornali vicini al “Carroccio” che impestavano la penisola sino a qualche tempo fa e che ora opportunisticamente, in vista delle prossime elezioni, i vicini alla Lega e a Salvini vorrebbero “dimenticare” per esportare la loro filosofia xenofoba in un territorio come la Sardegna che ha sempre subìto sulla propria pelle il danno del razzismo. I marxisti-leninisti devono guidare l’onda antifascista e antirazzista per evitare che derive poliziesche, xenofobe e reazionarie si radichino in Sardegna e in Italia, facendo fronte unito con i numerosi antifascisti dell’Isola. Il ministero della Difesa si oppone alla sentenza del tar sul Muos Dal corrispondente dell’Organizzazione di Caltagirone del PMLI In provincia di Pisa Dal corrispondente nostra provincia. In particolare deve ritornare protagonista della lotta antifascista la classe operaia, storicamente il baluardo più potente nella lotta contro il fascismo, per questo sarebbe opportuno riuscire a tessere collaborazione e forti legami con le forze sindacali e con le RSU delle fabbriche del nostro territorio come la Whirlpool, la Bticino, e altre realtà sempre in prima linea negli scioperi e nelle manifestazioni. Una cosa però è certa, non potremo liberarci una volta per tutte del fascismo se non ci libereremo prima della classe e del sistema sociale che lo genera e lo finanzia in funzione repressiva, antioperaia e antipopolare. Questa classe è la borghesia, il suo sistema è il capitalismo. Solo spazzando via il sistema capitalista e rovesciando il potere della borghesia con la rivoluzione socialista, solo allora potremo seriamente debellare il fascismo! Erano in 30 in compagnia di un cane con la maglietta dell’Italia Il ministero della Difesa diretto da Roberta Pinotti (PD) si è opposto alla sentenza del Tar del 13 febbraio scorso, che ha stabilito che la base militare statunitense di Niscemi è abusiva ed il MUOS è uno strumento militare dannoso alla salute dei residenti. L’avvocatura del ministero, nelle 50 pagine di opposizione alle decisioni del Tar, ribadisce più volte che “le opere destinate alla difesa militare, così come la sicurezza del traffico aereo sono di competenza esclusiva dello Stato” e con questa motivazione reputa “illegittimo” il lavoro fatto dalle associazioni che si sono opposte alla costruzione del MUOS. Il ministero della Difesa del governo del Berlusconi democri- stiano, dunque, si sta preoccupando di andare alla ricerca di cavilli che potrebbero annullare la sentenza del Tar e afferma che le autorizzazioni per la costruzione del MUOS sono state assegnate sulla base di un’istruttoria “priva di difetti”. Inoltre, i legali del ministero tornano a parlare della revoca (non rispettata) dei lavori del 2013 e dicono che il tempo passato dalle concessioni delle autorizzazioni alla revoca (dal 2011 al 2013) è stato troppo lungo, poiché due anni determinerebbero un “fattore di stabilizzazione” e non possono essere considerati un termine ragionevole per ritirare le concessioni. Nella sua sentenza di febbraio, tra le altre cose, il Tar affermava che la Regione aveva sbagliato: non doveva trattarsi di revoche ma di veri e propri annullamenti. Noncuranti di questo, i lega- li del ministero, proseguono proponendo un accordo: il sistema del MUOS non verrà attivato fin quando il giudizio non sarà definitivo ma, allo stesso tempo, devono essere sospesi gli effetti della sentenza di primo grado del Tar. Dunque il MUOS non verrebbe attivato ma i lavori all’interno della base continuerebbero normalmente seppure illegali. Ciò è del tutto inaccettabile: le mosse del governo Renzi sono dettate dal fatto che rispettando la sentenza del Tar di Palermo si è ad un passo dallo smantellamento della base. La lotta per il rispetto della sentenza di febbraio, per lo smantellamento della base americana, contro la militarizzazione dei territori e l’imperialismo non si ferma e gli attivisti NO MUOS ribadiscono il loro invito al corteo nazionale NO MUOS del 4 aprile. 12 il bolscevico / cronache locali N. 13 - 2 aprile 2015 Il Consiglio comunale, compresi SEL e M5S, approva la delibera sui finanziamenti ai partiti Col Bilancio previsionale 2015 del Comune di Forlì Una rapina ai danni del popolo, i partiti di regime devono autofinanziarsi e non chiedere sacrifici alle masse popolari Batosta antipopolare della giunta del piddino Drei I gruppi consiliari di Modena si ripartiscono il bottino Dal corrispondente dell’Organizzazione di Modena del PMLI Nel corso della seduta del Consiglio comunale di Modena del 9 marzo 2015, presieduta dal sindaco Gian Carlo Muzzarelli del PD, è stata approvata all’unanimità, tra cui SEL e M5S, la delibera che assegna le risorse ai gruppi consiliari per l’anno 2015. Lo stanziamento totale è pari a 74.800 euro al netto di un taglio di 5.000 euro previsto nell’ambito dell’approvazione del bilancio 2015. A prima vista sembra un risparmio, come hanno falsamente annunciato i media di regime al soldo della borghesia ed il comune di Modena con il suo comunicato stampa, ma conti alla mano i gruppi consiliari riceveranno stanziamenti superiori al passato. Nella ripartizione del bottino si sarebbe dovuto tenere conto delle mutate condizioni della giunta comunale, infatti facendo il confronto con l’anno 2013, dove vi era uno stanziamento pari a 79.800 euro, bisogna ricordare la diminuzione dei gruppi consilia- ri da 10 a 7 e quella del numero dei consiglieri da 40 a 32, quindi risulta che ciascun gruppo percepirà nel 2015 una quota fissa di 5.482 euro più 1.169 euro per ogni consigliere, mentre nel 2013 a ciascun gruppo erano assegnati 3.990 euro più 997.50 per ogni consigliere, di conseguenza nonostante il “taglio” di 5.000 euro c’é un incremento del 34% per i gruppi e del 17% per i consiglieri. Inoltre si sarebbe dovuto far riferimento non allo stanziamento totale ma alle singole quote distribuite nel 2013, ovvero 4.000 euro in quota fissa e 1.000 euro per ogni consigliere con un esborso totale di 60.000 euro e un vero risparmio di 20.000 euro e non di un finto 5.000 euro. Tutto questo dimostra che l’intera amministrazione comunale, ingrassando ancora di più le tasche, sta ingannando i modenesi e non si fa scrupolo di chiederne ulteriori sacrifici aumentando le tasse per il 2015. In questo ennesimo vergognoso inciucio comunale tra la destra e la “sinistra” borghese, noi marxisti-leninisti ri- Comunicato dell’assemblea degli abitanti di Settecani (Castelvetro di Modena) badiamo che i partiti devono totalmente autofinanziarsi, come fa da sempre il PMLI che conta solo sul sostegno dei militanti, dei simpatizzanti e delle masse popolari. Il finanziamento pubblico ai partiti di regime è una rapina ai danni del popolo, e anche per questo bisogna creare le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo per combattere le istituzioni borghesi che fanno solo i propri interessi ignorando ed impoverendo sempre di più le masse popolari. CONSIGLIO COMUNALE DI MODENA Riparto risorse ai Gruppi consiliari 2013 Il Sindaco di Spilamberto (Modena) e l’azienda Agrivision ci avevano raccontato che si trattava di 4 serre riscaldate per produrre ortofrutta con metodo intensivo. E invece abbiamo scoperto, a lavori già avviati, che, in soldoni, si tratta di un impianto a biomasse per che compriamo alla Coop. Siamo preoccupati perché le nostre case, frutto dei sacrifici di una vita di lavoro, perderanno valore. Siamo preoccupati perché le tre amministrazioni comunali nelle quali ricade il territorio di Settecani, sembra abbiano dimenticato che qui vivono delle persone il cui futuro dovrebbe venire prima degli interessi di qualche azienda privata. GRUPPO PD POL MODENA FUTURA SEL UDC ETICA E LEGALITA' FRATELLI D'ITALIA LEGA NORD SALUTE AMBIENTE MPA TOTALE 2015 NO all’impianto a biomasse di Settecani! Riceviamo e volentieri in ampi estratti pubblichiamo. Bisogna combattere e spazzare via la giunta Muzzarelli che falsamente rappresenta le masse popolari modenesi poiché é asservita ai “poteri forti” ossia il capitalismo e sta dimostrando di non poter far nulla a favore dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, degli studenti e del resto delle masse popolari. Perché Modena sia governata dal popolo e al servizio del popolo ci vuole il socialismo! Coi Maestri e il PMLI vinceremo! GRUPPO PD M5S NUMERO CONSIGLIERI 22 7 2 2 2 1 1 1 1 1 40 RISORSE ASSEGNATE C 25.935,00 C 10.972,00 C 5.985,00 C 5.985,00 C 5.985,00 C 4.987,00 C 4.987,00 C 4.987,00 C 4.987,00 C 4.987,00 C 79.797,00 NUMERO CONSIGLIERI 19 5 RISORSE ASSEGNATE C 27.549,00 C 11.186,00 3 C 884.9,00 2 1 1 1 32 C 7.680,00 C 6.511,00 C 6.511,00 C 6.511,00 C 74.797,00 FORZA /TALIA PER ME MODENA CAMBIA MODENA NCO SINISTRA ECOLOGIA TOTALE Anno Totale risorse Totale Incremento ai gruppi quota 2013 C 79.800 C 39.900,00 2015 C 74.800 C 37.400,00 33,88% Totale ai consiglieri Quota per consigliere C 39.900 C 997,50 C 37.400 C 1.169,00 Dal corrispondente della Cellula “Stalin” di Forlì Per far fronte all’ennesimo taglio, questa volta di 7 milioni di euro, di trasferimenti al Comune di Forlì, l’assessore al Bilancio Emanuela Briccolani ha annunciato una serie di misure antipopolari contenute nel bilancio previsionale presentato alle tre commissioni consiliari riunite e in discussione in Consiglio comunale il 19 e 20 marzo. In particolare la giunta del PD Drei ha deciso di aumentare l’Irpef, con l’esenzione solo ai redditi sotto a 8.000 euro, passando dall’aliquota fissa dello 0,49 per cento a due aliquote: 0,6 per cento per redditi tra gli 8 e i 15mila euro e 0,8 per cento (il massimo) per quelli superiori a 15mila, per recuperare 2,7 milioni di euro. In questo modo si vedrà aumentare le tasse anche chi guadagna appena 8.500 euro annui, mentre chi ne incassa 16.000 pagherà come chi ne incassa 30.000 o 40.000, e con questo la Briccolani ha il coraggio di affermare che “resta garantita l’equità fiscale”! Gli altri 4 milioni mancanti dovrebbero essere trovati con il recupero dell’evasione tributaria e, soprattutto, con i tagli. Come faccia la Briccolani ad affermare che questo si farà “riuscendo a non intaccare i servizi alla persona” e che “i sacrifici non si tradurranno in disagi” è un mistero visto che i tagli riguarderanno le spese per il personale, per il welfare (2,3 milioni in meno), per le scuole materne (taglio di 479.000 euro) e per i nidi e servizi ai minori (meno 241.000). “Copertura totale e qualità del servizio restano assicurate” aggiunge ancora con impareggiabile faccia tosta l’assessore che aggiunge nel contempo che non è ancora fissato l’importo del fondo sociale per le famiglie bisognose. Diverse voci si sono levate contro questa batosta antipopolare, a partire dai sindacati confederali che l’hanno definito un “colpo duro a pensionati e lavoratori”, rimpro- verano alla giunta di non averli coinvolti nel processo decisionale. Giovedì 19 marzo una manifestazione di 250 lavoratori e pensionati si è svolta in piazza Saffi, da dove alcuni rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil sono poi saliti nel Consiglio comunale dove si teneva la discussione e vi è stata una piccola contestazione quando è entrato il sindaco Drei e quando l’assessore Briccolani ha preso la parola per giustificare i provvedimenti antipopolari. Alla manifestazione hanno preso parte anche alcuni esponenti del comitato Acqua pubblica che hanno rimproverato all’amministrazione comunale di aver negato un consiglio aperto sul tema dei beni comuni chiesto due mesi fa. Le proteste non sono però servite a fermare l’approvazione della manovra, il giorno seguente, con 19 voti a favore (praticamente solo il PD meno un consigliere uscito dall’aula per “dissenso”), l’astensione di Mario Peruzzini della lista “Noi con Drei” e il voto contrario di Paolo Bertaccini di “Con Drei per Forlì”, entrambe queste liste sono nate in occasione delle elezioni amministrative dello scorso anno in appoggio al candidato, e attuale sindaco, Davide Drei che con piglio “ducesco”, come ormai è in voga nel PD del Berlusconi democristiano Renzi ha rimproverato al “dissidente” Peruzzini che “È inutile che si appelli ai 3mila voti di una lista che non ha vita reale e che lui rappresenta per meno del 10 per cento”, ma ce ne è stato anche per i sindacati contro cui ha chiosato: “vorrei che si manifestasse in piazza per il futuro dei nostri figli e non per qualche punto in più d’addizionale”, come se l’aumento delle tasse per i redditi bassi non incidesse sul presente e sul futuro delle masse lavoratrici e popolari a partire proprio dai più giovani che non hanno prospettive di trovare un lavoro e, “bene che vada”, sarà comunque precario, sottopagato e supersfruttato. A Milano e in Lombardia Dietro gli sgomberi delle case popolari occupate dai senzatetto si nascondono loschi interessi privati Redazione di Milano Settecani di Castelvetro (Modena). La zona dove sono stati iniziati i lavori per la costruzione dell’impianto a biomasse (foto il Bolscevico) produrre energia elettrica da vendere. Viviamo in una zona già inquinata, respiriamo le polveri sottili e le altre emissioni nocive di un traffico pesante abnorme. Come se non bastasse abbiamo già sulla testa la spada di Damocle della possibile costruzione (già autorizzata dalla Provincia) di una parte dell’Impianto INALCA che tratterà cascami animali. Ed ora questo nuovo impianto che produrrà fumi, polveri, rumori, ceneri e catrame e del quale l’amministrazione comunale si è “dimenticata” di informarci! Siamo preoccupati per la nostra salute perché le emissioni di questo impianto ricadranno sulle nostre case, sui nostri orti e sulle colture agricole (soprattutto verdure) che coprono gran parte del nostro territorio e che sono le stesse Siamo delusi dalla totale mancanza di informazione e dalla leggerezza con cui l’amministrazione di Spilamberto ha concesso il permesso di costruzione di questo nuovo impianto e dal silenzio indifferente dei Sindaci di Castelvetro e Castelnuovo Rangone, comuni nei quali risiede la maggioranza degli abitanti di Settecani. Venga il Sindaco Costantini a confrontarsi con noi, anziché rilasciare fumose interviste in cui si cerca di banalizzare il problema! Abbiamo raccolto oltre 500 firme, pari alla quasi totalità di tutti gli abitanti della frazione contro questo progetto. Da parte nostra proseguiremo l’azione di lotta in tutte le sedi opportune. L’assemblea degli abitanti di Settecani (Castelvetro di Modena) 20 marzo 2015 Dietro agli sgomberi polizieschi sempre più frequenti, eseguiti senza tenere conto dei bisogni abitativi e delle condizioni economiche degli ex senzatetto costretti ad occupare alloggi comunali e regionali ex-IACP (che senza scrupoli vengono buttati in mezzo a una strada al freddo), si nasconde un giro di profitti vertiginosi sulla ripulitura e la risistemazione degli alloggi, col benestare dell’ALER (azienda lombarda edilizia residenziale). Al fine di avere l’appalto di quei lavori per due anni è necessario vincere la gara, almeno sulla carta. Dal 2004 al 2014 solo un’azienda ha avuto la meglio: la RRS s.r.l. di Buccinasco. È vero che il primo biennio è coperto dal bando, però rimangono altri otto anni in cui si è sempre aggiudicata l’appalto l’azienda citata, con l’avallo di ALER. Questo appalto è sempre stato ottenuto in modi differenti aggirando le regole in materia. In certi casi i lavori proseguivano per ben oltre i sei mesi, previsti dal consiglio di Stato, in altri il bando era vinto da una sola azienda invitata che, manco a dirlo, vinceva la gara: la RRS. Un caso emblematico è la gara del 2 ottobre 2014. Vince la RRS Alla faccia della “lotta all’abusivismo” e per il “ripristino della legalità” ma il bando passa con riserva. Viene poi annullato poiché finisce la convenzione con cui la Regione ha gestito gli immobili popolari di proprietà comunale. Nel frattempo, però, il settore appalti di ALER diretto da Domenico Ippolito, attraverso una procedura negoziata, regolata dall’articolo 57 (basata sull’urgenza), affida alla RRS due gare da 200mila euro ciascuna sempre per “il servizio Escomi”. La RRS, esclusa dall’appalto principale, rientra così dalla finestra, grazie al trucco della massima urgenza. Il dato viene confermato dall’ALER che in una nota inviata al “Fatto Quotidiano” riassume così la vicenda Escomi: “ALER attraverso bando di gara pubblica, con procedura aperta (repertorio 70/2004), durata biennale prorogabile, ha aggiudicato nel 2004 all’unico raggruppamento partecipante RRS Srl e Dierre Spa il servizio di Escomi, che ha avuto durata sino al 2009. Sempre con bando pubblico è stata av- viata una nuova procedura aperta per lo stesso servizio, con numero di repertorio 17/2009 e durata biennale prorogabile, aggiudicato a RRS come unico partecipante insieme alle ausiliarie Consorzio Lombardo Cooperative e Decorato Trasporti e Traslochi Srl. La proroga ha coperto sino al 31 ottobre 2014”. E non è finita qui. Dopo il blocco della gara la stessa RRS ha fatto ricorso al Tar e pochi giorni fa il Consiglio di Stato ha dato ragione all’azienda. Nell’appalto del 2009, con RRS vince Colocoop, società riconducibile a Bruno Greco e che recentemente ha avuto un’interdittiva antimafia. La vicenda è talmente losca che la Commissione d’inchiesta regionale su ALER ha richiesto gli atti delle gare. In ogni caso, se si considera chi è il principale proprietario di RRS si comprende tutto. La quota maggioritaria di RRS appartiene a Paolo Genovese, già coinvolto nell’inchiesta della procura di Monza che indaga sulla ditta Sangalli e sui rapporti con la politica locale, dalla quale sarebbe emerso che avrebbe pilotato la gara d’appalto per i lavori dello spurgo della rete fognaria, indetto dalla società Metropolitana Milanese. Il monopolio dell’azienda in questo settore era già stato evidenziato nell’inchiesta della procura di Milano che, recentemente, ha portato alla condanna di alcuni ex funzionari di ALER, grazie a un esposto del presidente dell’associazione Sos Racket e Usura, Fernando Manzi. Un imprenditore calabrese “riferiva al Manzi che da anni l’unica partecipante alle gare bandite dall’ALER è la società RRS, anch’essa presumibilmente legata a Ippolito (ex direttore generale di ALER, ndr). I bandi di gara per gli sgomberi sarebbero costruiti su misura per la RRS in maniera tale da permettere solo a quest’ultima di avere i requisiti per parteciparvi”. Tutto ciò rende evidente quali siano i veri motivi degli sgomberi forzati: un grosso giro d’affari nella locazione e, quando questa non è più fruttifera, grazie all’impossibilità degli inquilini di pagare gli affitti, sullo sgombero e sui relativi lavori di risistemazione. 4 Contro il Jobs Act e la legge di stabilità e per la difesa dell'art.18 il bolscevico / studenti P Stampato in proprio V R E E R E N. 45 - 19 dicembre 2014 C NI o o n n r r e e v v o o gg nii n l o l o i c i c s s u a ivvia Beerrllu ano B o i l o t l e s e i m d r m d c a a i o i z m z e z i z d a z a p n p SS e R Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO www.pmli.it 14 il bolscevico / esteri N. 13 - 2 aprile 2015 Il socialimperialismo cinese sfida l’imperialismo Usa anche sul piano monetario Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna aderiscono alla banca mondiale della Cina La notizia dell’adesione della Gran Bretagna, subito imitata da Germania, Francia e Italia, alla Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture (Aiib, secondo l’acronimo inglese), creata appena un anno fa dalla Cina, ha mandato su tutte le furie il governo statunitense, che vede gravemente minacciata l’egemonia dell’imperialismo Usa anche sul piano monetario, oltreché a livello commerciale, tecnologico e militare, su cui la sfida col socialimperialismo cinese era già in pieno atto da tempo. Per non parlare di quella sul piano economico globale, sul quale molti analisti danno già per avvenuto il sorpasso nel corso del 2014, in anticipo di 5 anni sulle previsioni. La Banca asiatica, con sede a Pechino e una dotazione di 100 miliardi di dollari, di cui 50 già spendibili per progetti concreti, è nata nell’ottobre 2013 su impulso cinese per favorire gli investimenti in infrastrutture in tutta l’area asiatica e del Pacifico, e in particolare nei settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Vi aderiscono importanti paesi dell’Estremo Oriente come India, Pakistan, Bangladesh, Thailandia, Filippine, Malesia, Singapore, Brunei, Cambogia, Laos, Birmania, Vietnam, Nepal, Sri Lanka, Uzbekistan, Tajikistan, Kazakhstan e Mongolia. Ma anche paesi del Medio Oriente come Kuwait, Oman, Quatar, Giordania e Arabia saudita. E più di recente hanno aderito importanti paesi occidentali come la Nuova Zelanda e i quattro paesi europei summenzionati, tutti appartenenti al G7, con la Gran Bretagna a fare da apripista; mentre persino l’Australia, rimasta finora fuori dal nuovo club mondiale in obbedienza alle pressioni Usa, ma incoraggiata adesso dalla decisione di Londra, sembra intenzionata a rivedere la sua posizione e porre anch’essa la propria candidatura. Minaccia all’egemonia del dollaro È proprio l’adesione della Gran Bretagna, considerata da sempre il suo più stretto alleato storico su tutti i piani - economico, finanziario, politico e militare - a spaventare l’imperialismo Usa che, considerando anche la defezione di altri due paesi della sua cintura imperialista mondiale di lingua anglosassone, come Nuova Zelanda e Australia, più quella di Francia, Italia e Germania (vale a dire praticamente la testa della Ue), vede profilarsi la fine di quel sistema monetario basato sulla supremazia del dollaro che durava dalla fine della seconda guerra mondiale con gli accordi di Bretton Woods. Sistema sopravvissuto anche all’abolizione della convertibilità del dollaro in oro decretata nel 1971 da Nixon, per mancanza finora di vere alternative: la sfida dell’euro, nato con l’ambizione di sostituire il dollaro negli scambi internazionali, non ha retto infatti all’impatto devastante della crisi capitalistica mondiale e alla debolezza politica intrinseca delle istituzioni europee. Quel sistema monetario, ancora basato sulla moneta americana e sulla Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, tutti e due con sede a Washington e a trazione statunitense, vede ora spuntare con la banca asiatica cinese un nuovo e più temibile concorrente monetario mondiale che aspira a soppiantarlo, grazie alla forza di attrazione del suo immenso mercato e della sua economia che marcia L’ira della Casa Bianca ancora a ritmi che, per quanto ridotti dalla crisi globale, sono nettamente superiori agli Usa e agli altri paesi capitalisti. D’altra parte gli Stati Uniti si erano sempre opposti alle richieste di Pechino di avere più peso all’interno della Bm e del Fmi, istituzioni che ora con la mossa cinese perdono improvvisamente di peso e importanza. Il fatto che la Cina sia riuscita a convincere perfino il primo e più fedele alleato storico degli Usa dimostra quanto sia seducente la strategia della cricca capitalista di Pechino. Specie per un paese come la Gran Bretagna, che già nel 2013 attraeva nella City londinese, con un volume di 3,1 miliardi di sterline al giorno, il 60% delle transazioni effettuate fuori dai confini cinesi, e che aspira perciò ad essere il collettore europeo dei nuovi colossali investimenti promessi dalla Aiib: “Ci sono mutui interessi”, ha detto al momento della firma il Cancelliere dello scacchiere George Osborne, il ministro degli Esteri inglese. Dichiarazioni simili sono state fatte dagli altri tre paesi europei firmatari, consapevoli da parte loro che la ripresa dell’economia nel vecchio continente è sempre più legata alle esportazioni, e quindi al mercato cinese che è potenzialmente il più grande del mondo. La sorpresa e l’ira di Washington Da qui lo sconcerto e la rabbia dell’amministrazione Obama, che secondo il Financial Times, già indispettita per la riduzione degli investimenti di Londra in armamenti convenzionali malgrado le raccomandazioni della Nato, avrebbe reagito molto duramente alla decisione del governo Cameron, accusandolo di tenere un atteggiamento di “costante accomodamento” verso la Cina. Mentre nei confronti dei governi europei la Casa Bianca ha scelto una linea più demagogica, mettendoli in guardia dai rischi di aggiramento degli standard di protezione dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori dovuti alla “opacità” della banca cinese, controllata direttamente dai governanti di Pechino, in confronto ai “progressi” fatti in questo campo dalla Banca Mondiale che, a detta di Washington, adotterebbe invece “standard ben più severi”. La sorpresa e l’ira della Casa Bianca sono motivate anche dalla rapidità con cui, in poco più di un anno la Aiib, da un’idea del leader cinese Xi Jinping, è diventata una realtà mondiale in grado di sfidare istituzioni monetarie come la Bm e il Fmi, tanto che Bloomberg ha definito la Cina il “nuovo Fondo Monetario Internazionale” per i suoi finanziamenti ad Argentina, Ecuador, Russia e Venezuela. E la banca anglo-svizzera Hsbc ha definito Pechino il “nuovo polo della finanza mondiale”. E questo nonostante le strategie economiche, diplomatiche e militari messe in atto ultimamente da Obama nello scacchiere Asia-Pacifico per fare barriera contro l’ascesa dell’imperialismo concorrente cinese. Come per esempio cercare di potenziare ed allargare ad altri paesi, anche europei, la Banca Asiatica di Sviluppo con sede a Manila, egemonizzata dagli Usa in alleanza stretta con Giappone e Corea del Sud, alla quale Obama era riuscito a tirare dentro in fun- zione anticinese anche il Vietnam. Paese che aveva aderito anche al Trans-Pacific Partnership (Tpp), l’altro organismo economico-militare creato dagli Usa in funzione anticinese tra le due sponde del Pacifico, secondo la strategia denominata Pivot Asia. Il Tpp è riuscito però ad interessare solo una metà circa dei 21 paesi aderenti all’Apec (Cooperazione economica dell’Asia e Pacifico, il cui ultimo vertice si è tenuto proprio a Pechino lo scorso novembre), e che stenta a decollare. Tanto che lo stesso Vietnam si è iscritto nel frattempo anche all’Aiib cinese, e forse sta per farlo anche un pilastro economico-militare del Tpp considerato fondamentale dagli Usa, come appunto l’Australia. La strategia multilaterale di Pechino D’altra parte la creazione della banca mondiale cinese è solo il più recente di una serie di passi fatti negli ultimi tempi dalla cricca socialimperialista di Pechino per insidiare sul piano economico e monetario la supremazia dell’imperialismo Usa. Si pensi per esempio al suo impulso alla creazione della banca dei Brics, la banca dei paesi emergenti Brasile, Russia, India, Sudafrica e la stessa Cina. Si pensi anche ai 40 miliardi di dollari stanziati per la “nuova via della seta”, il progetto di una grande rete ferroviaria e marittima destinata a rivoluzionare i traffici commerciali tra Estremo Oriente ed Europa, inaugurata lo scorso novembre dal primo convoglio ferroviario di container che ha coperto in 21 giorni via Russia il viaggio tra il nuovo gigantesco hub commerciale di Yiwu, a 300 Km a sudo- vest di Shanghai, e Madrid. Per non parlare dell’ambizioso progetto di rivoluzionare gli scambi finanziari internazionali lanciando entro l’anno il Cips (China international payment system) basato sullo yuan, in concorrenza con l’attuale Swift (Society for worldwide interbank financial telecommunication) basato sul dollaro. D’altra parte se ancora nel 2013 lo yuan era solo al 13° posto tra le monete usate per gli scambi internazionali, adesso è al 5° dopo la sterlina, il franco svizzero, l’euro e il dollaro americano, essendo gli scambi internazionali con la moneta cinese aumentati del 321% negli ultimi due anni. Gli analisti di Hsbc predicono anzi che entro il 2015 lo yuan potrebbe diventare la terza moneta internazionale. Se a tutto ciò si aggiunge il sempre più intenso shopping di industrie, servizi, banche, complessi immobiliari, terreni, ecc., da parte dei capitali cinesi in tutto il mondo e in particolare in Europa, come anche solo di recente è successo in Italia con l’acquisto di quote di maggioranza di Ansaldo e Pirelli, ma anche di importanti quote di società storiche come MPS, Generali e Telecom, si ha un quadro abbastanza chiaro di come i rapporti di forza interimperialistici si stiano modificando, con il socialimperialismo cinese in rapida ascesa e ormai arrivato a insidiare la supremazia dell’imperialismo americano in affanno. Una rapida ascesa, però, pagata col sudore e il sangue dei lavoratori e del popolo cinesi, che a fronte del gigantesco sviluppo produttivo della Cina sono tra i più poveri e sfruttati del mondo, per soddisfare la brama di ricchezza e di potenza di una cricca di capitalisti borghesi e di fascisti che si maschera strumentalmente dietro i simboli del socialismo. Nel giorno dell’inaugurazione del nuovo grattacielo della Banca centrale europea Migliaia in piazza a Francoforte contro l’austerity e la Troika Scontri con la polizia: 350 fermati, 16 arresti, 21 feriti, 107 intossicati. I manifestanti appendono sull’Eurotower lo striscione “Il capitalismo uccide” Draghi cerca di conquistare le simpatie dei manifestanti Quella che il 18 marzo ha visto oltre 30mila combattivi manifestanti in cortei, sit-in, blocchi a Francoforte è stata una delle più grandi contestazioni internazionali alla Troika e alla politica di austerità imposta alle masse dei vampiri dell’UE. Sono arrivati da ogni parte d’Europa, Italia compresa, con treni e bus, rispondendo all’appello sottoscritto da più di novanta organizzazioni, coalizzate nel movimento Blockupy, nome nato dalla fusione tra Block Bce e Occupy, per contestare l’inaugurazione del nuovo edificio della Banca centrale europea (Bce). L’Eurotower, alta 185 mt, costata oltre 1,3 miliardi di Euro, un ulteriore affronto alle masse popolari europee, spremute fino all’ultima goccia di sangue, era circondata già da alcuni giorni dal filo spinato, che delimitava la cosiddetta “zona rossa”, difesa dall’impressionante schieramento di di 9mila agenti in assetto antisommossa. Le manifestazioni Una presenza militare massiccia che tuttavia non è riuscita, nonostante le violente cariche, i cannoni ad acqua usati contro i manifestanti e i lacrimogeni sparati sulla folla, a impedire che, con azioni coordinate, le avanguardie degli attivisti si avvicinassero alla “zona rossa”, con l’obbiettivo di impedire l’inaugurazione e di rovinare la festa, a cui partecipava anche Mario Draghi, e di consentire al corteo della mattina di avvicinarsi il più possibile alla sede della nuova Bce, come era stato deciso nell’assemblea plenaria internazionale tenutasi il giorno prima. Tra le azioni di massa, cui hanno partecipato migliaia di giovani, il blocco fin dall’alba del ponte principale di Francoforte, sul fiume Meno, dei binari della stazione ferroviaria e degli svincoli autostradali, che hanno rallentato le operazioni di avvicinamento Francoforte, 18 marzo 2015. In migliaia da ogni parte d’Europa manifestano contro l’austerity e l’inaugurazione dell’Eurotower Francoforte, 18 marzo 2015. Un momento della violenta repressione contro i manifestanti attuata dalla polizia e dai mezzi con gli idranti. La polizia ha utilizzato lacrimogeni, spray urticanti e manganellato i giovani. I fermati sono stati 350, la maggior parte però rilasciati in tarda mattinata. Nello stesso momento, un corteo, formato da cinque diverse manifestazioni, tra cui quella della Confederazione tedesca dei sindacati, confluite in un unico spezzone, ha attraversato il centro di Francoforte, raggiungendo i manifestanti dei blocchi, tra cui centinaia di italiani, e chiedendone la liberazione. Alla fine della mattinata il bilancio è di 350 fermati, tra cui dei mezzi militari e consentito alle masse di recarsi a piedi fino ai piedi della Eurostar, dove si è tenuto un presidio. È stato nel corso di queste manifestazioni di preparazione al corteo che migliaia di manifestanti sono stati circondati dagli agenti in assetto antisommossa molti italiani, 16 arresti, 21 feriti, 107 intossicati. Alle 14 è partito il rally centrale di Blockupy, con spettacoli musicali e interventi fatti da esponenti politici di Blockupy, cui alle 17 è seguito il corteo unitario, che raccogliendo le simpatie della popolazione locale, schieratasi a sostegno dei manifestanti dopo le violenze della polizia, ha superato le 20mila presenze. Tra i manifestanti, oltre agli attivisti di tutta Europa dei movimenti sociali, anche gli operai e i sindacalisti della IG Metal e i lavoratori precari, soprattutto della multinazionale Amazon, i migranti massacrati dalla politica di chiusura delle frontiere attuata dalla UE imperialista. Il corteo, scandendo durissime parole d’ordine contro la Troika, la sua politica antipopolare e i governi che la sostengono, ha ancora una volta attraversato il SEGUE IN 15ª ë unione europea / il bolscevico 15 N. 13 - 2 aprile 2015 Nell’incontro a Bruxelles Il Consiglio europeo unito per combattere lo Stato islamico La riunione del Consiglio europeo del 19 e 20 marzo a Bruxelles aveva all’ordine del giorno il via libera all’istituzione dell’Unione dell’energia e di altri temi economici, di varie questioni internazionali catalogate sotto il tema delle relazioni esterne; nonostante all’ultimo momento si sia inserita anche la richiesta del governo di Tsipras di affrontare di nuovo l’argomento debito della Grecia, discusso nella cena del 19 marzo e rimandato al prossimo eurogruppo, uno degli argomenti centrali non poteva che essere la questione della lotta al “terrorismo”. Un argomento sul quale il Consiglio europeo si è espresso unito per combattere lo Stato islamico (Is). In prima battuta i capi di Stato e di governo dei 28 paesi dell’Unione europea (Ue) hanno Renzi in prima fila per l’intervento in Libia condannato “lo spaventoso attentato terroristico” del 18 marzo al museo del Bardo a Tunisi e si sono impegnati a intensificare la collaborazione con il paese nella lotta al terrorismo, per favorire la “promettente transizione democratica”. Il governo tunisino aveva appena reso noto che due dei responsabili dell’attacco, uccisi dalle forze speciali, erano stati addestrati in Libia nella zona controllata dalle forze che hanno aderito allo Stato islamico e anche l’inviato dell’Onu in Libia, Bernardino Léon, impegnato nel seguire le trattative tra i governi di Tobruk e Tripoli, confermava l’esistenza in Libia di “campi di addestramento che vengono utilizzati per attacchi contro altri paesi della regione”. Nel comunicato finale del vertice la Libia era trattata in un capitolo dedicato nel quale l’Ue affermava che “la crisi in Libia costituisce una grave sfida alla pace e alla sicurezza internazionali che richiede la piena attenzione dell’Ue. Il Consiglio europeo ha chiesto un cessate il fuoco immediato e incondizionato e ha sollecitato le parti libiche a giungere rapidamente a un accordo su un governo di unità nazionale. Solo una soluzione politica può offrire un percorso sostenibile verso una transizione democratica. L’Ue è impegnata negli sforzi in corso da parte dell’Onu e rafforzerà il suo attuale sostegno all’Unsmil e al processo di unità. Loda l’operato del rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite”. “Non appena si troverà un accordo per formare un governo di unità nazionale”, metteva in evidenza il comunicato, “l’Ue è pronta, insieme ai paesi della regione e ai partner internazionali, a contribuire alla sua attuazione avvalendosi pienamente di tutti i suoi strumenti. L’alto rappresentante presenterà proposte come convenuto in sede di Consiglio il 16 marzo 2015. L’Ue potenzierà la sua collaborazione con i partner pertinenti per contrastare il terrorismo nella regione”. Il vertice Ue puntava sulla conclusione positiva del negoziato fra le due principali fazioni libiche e sulla formazione di un governo di unità nazionale perché così potrà anche avere il via libera, su richiesta delle parti o dell’Onu su cui preme da tempo, per mettere un piede militare nel paese soto la forma di missioni di sicurezza o di polizia per la sorveglianza di edifici governativi, infrastrutture strategiche e per il controllo delle frontiere. Una “missione di pace” a tutto tondo, che nei termini imperialisti è un intervento armato “legalizzato”. Come in altre recenti occasioni è stato il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi a schierare l’imperialismo italiano in prima fila per l’intervento militare in Libia e la guerra alla “minaccia globale” dello Stato islamico. In questa occasione ha trovato un alleato nella cancelliera Angela Merkel che lo ha seguito nella denuncia di come “l’influenza di Is stia crescendo in Libia” pur non andando oltre la posizione di sostegno “ai tentativi dell’Onu per la formazione di un governo di unità nazionale”. La responsabile della politica estera europea Federica Mogherini ha avuto il compito di dettagliare le proposte di intervento della Ue e la sua relazione è atte- sa per il mese di maggio. Non tutti i paesi però pensano di aspettare maggio e vogliono accelerare. Come nel caso dei governi italiano e francese che nei giorni precedenti avevano ribadito di essere già pronti a intervenire in caso di escalation della crisi. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, nel vertice bilaterale a Caen in Francia, ribadiva che “l’Italia in Libia ha un ruolo cruciale, non possiamo chiedere ad altri paesi europei di avere lo stesso impegno”. Noi siamo pronti, rispondeva il capo di Stato maggiore italiano Danilo Errico che il 17 marzo garantiva di essere in grado di “assicurare ciò che sarà richiesto” dalla politica, “non si può dire al buio di cosa ci sarà bisogno. Dipende dalle scelte del governo e dal contesto internazionale in cui un’eventuale azione sarà inquadrata”. Per colmare il gap con l’imperialismo russo e per avere un ruolo mondiale adeguato alla sua potenza economica L’UE imperialista comincia a pensare in concreto a un unico esercito europeo Juncker ha lanciato l’idea, subito raccolta dalla Merkel Serve un esercito comune per i 28 Paesi dell’Unione europea (Ue) anche per far capire alla Russia e a chiunque rappresenti una minaccia “che siamo seri nel sostegno dei nostri valori” ha affermato il presidente della Commissione europea Jean-Claude ë DALLA 14ª strategico di questo movimento. La proposta di questi soggetti politici è nei fatti tutta interna alla logica capitalista e imperialista, e ripone fiducia nella possibilità di riformare la politica e le istituzioni dell’UE. Il loro è un pericoloso inganno. L’Unione europea imperialista non può cambiare natura di classe e, se anche fosse riformabile, continuerebbe a sfruttare e opprimere i popoli, a essere razzista e antimigranti e a fare unicamente gli interessi della grande finanza, del grande capitale e della borghesia. Costoro si riducono a coprire a sinistra la UE invece di battersi per distruggere tale alleanza imperialista. Non ci possiamo accontentare di porre come obbiettivi strategici quelli della rinegoziazione del debito dei singoli Stati, di una politica meno antipopolare e ricattatoria, della mitigazione delle logiche dell’austerità e della privatizzazione, del ripristino della sovranità e degli strumenti di democrazia parlamentare dei singoli Stati componenti, dall’addolcimento della militarizzazione e dell’interventismo imperialista europei. Tutti questi infatti sono obbiettivi irraggiungibili se non si va al cuore del problema. E settori più avanzati del movimento ci sono arrivati: com’era scritto sullo striscione appeso il 18 marzo sulla torre dell’Eurotower dai combattivi manifestanti dell’ala anticapitalista, “Kapitalismus Totet”, cioè “Il capitalismo uccide”. Per raggiungere gli obbiettivi cui la base di Blockupy aspira, è dunque il capitalismo che va combattuto, con tutte le sue istituzioni, nazionali e sovranazionali. Mentre a UE va delegittimata, isolandone le istituzioni e i suoi governi, con l’obbiettivo di distruggerla. centro di Francoforte, arrivando fino alla sede della Deutsche Bank. Un duro colpo all’UE imperialista È stata una vittoria su tutti i fronti, la mobilitazione europea del 18 marzo. Lo stesso Mario Draghi, presidente della Bce, è stato costretto a venire allo scoperto e a pronunciarsi sulle motivazioni della contestazione. Ha tentato di essere aperto e accattivante, blaterando della necessità di ascoltare “la richiesta di cambiamento”, di sostenere “politiche d’integrazione, equità” e di rafforzare “i canali per una vera legittimazione democratica, in particolare il Parlamento europeo”. Solo parole demagogiche quelle di Draghi che, essendo il presidente della Bce, la massima istituzione finanziaria dell’UE imperialista, è nemico dei popoli dei Paesi più deboli e degli stessi Paesi che ne fanno parte, e fra i principali responsabili del massacro sociale delle masse popolari europee, delle politiche di esclusione, della restrizione degli spazi di democrazia in Europa. La verità è che la Troika non offre alcuna opportunità di cambiamento, di democratizzazione, di inclusione sociale. Ma la soluzione qual è? Non è certo quella proposta dai riformisti di Syriza, Izquierda Unida, Lista Tsipras, che hanno partecipato da promotori e/o invitati all’assemblea plenaria del 17 marzo, dove si è discusso dell’orizzonte Juncker in una intervista pubblicata l’8 Marzo dal domenicale tedesco Welt am Sonntag. La Nato da sola non è sufficiente, aggiungeva Juncker in quanto non tutti i paesi membri fanno anche parte dell’Unione. A dire il vero l’argomento militare non sarebbe direttamente di competenza della Commissione europea ma se Juncker ha voluto riaprire un dibattito fermo da tempo, per la fine della “guerra fredda” e per la crisi economica che negli ultimi anni ha limitato le risorse dei paesi destinate agli armamenti, vuol dire che l’imperialismo europeo ha deciso di ripartire e cominciare a pensare in concreto a un unico esercito europeo, strumento indispensabile per colmare il gap col vicino imperialismo russo che ha ripreso a far rullare i tamburi nella crisi ucraina e più in generale per poter avere un proprio ruolo mondiale adeguato alla sua potenza economica, non più e non solo a rimorchio dell’imperialismo americano. “Un esercito di questo tipo ha appunto affermato Juncker dichiarerebbe al mondo che non ci sarà mai più una guerra tra paesi Ue, ci aiuterebbe a costruire una politica di difesa e di sicurezza comune, e ad assumere tutti insieme le responsabilità dell’Europa nel mondo”. Con il suo esercito comune l’Europa potrebbe reagire in maniera credibile ad una minaccia contro la pace nel vecchio continente, aggiungeva il presidente della Commissione, “un esercito unico europeo manderebbe un chiaro messaggio alla Russia che noi europei siamo seri nel sostegno dei nostri valori”. Nell’ambito dei compiti che Juncker assegna alle forze armate europee è evidente che non sono sufficienti i limitati contingenti attualmente disponibili come forza di reazione rapida guidati a rotazione dai paesi membri. Questi servono al massimo per inter- Bamako (Mali) 24 ottobre 2014. Il generale Alfonso Garcia-Vaquero assume l’incarico di capo della missione dell’UE in Mali venti “ridotti” fuori dal territorio europeo come quelli in corso in Bosnia dal 2004, in Somalia dal 2010, in Mali dal 2013 e nella Repubblica Centrafricana dal 2014. Forse il fatto che l’intervista sia stata rilasciata a un giornale tedesco non è del tutto casuale dato che la proposta di Juncker è stata subito sostenuta dal ministro della Difesa tedesco, Ursula von der Leyen che a una trasmissione radiofonica affermava che “il nostro futuro di europei esigerà che un giorno ci dotiamo anche di un esercito comune”. E a seguire dal presidente della Commissione Affari Esteri del parlamento di Berlino Norbert Röttgen che affermava: “il tempo è arrivato per mettere in pratica i piani per creare un esercito comune europeo; le nostre capacità difensive rimarranno inadeguate dal punto di vista della sicurezza fino a quando avremo eserciti di stati separati, che per lo più acquistano le stesse cose”. Fino alla cancelliera Angela Merkel, attraverso la sua portavoce Chri- stiane Wirts, che si è detta aperta a un progetto che resta per ora nel futuro. Anche per la cancelliera “si dovrebbe approfondire la collaborazione militare”. L’esercito europeo diventerebbe la via di uscita per giustificare il riarmo della Germania, ancora legata ai vincoli del dopoguerra, e per garantire a Berlino l’indubbio ruolo egemone che per il suo peso politico e economico avrebbe anche in campo militare nella superpotenza imperialista europea. Ruolo che altrimenti potrebbe conquistarsi con più difficoltà a fronte del peso militare delle potenze atomiche Francia e Gran Bretagna. L’idea di Juncker ha trovato freddezza nell’altra sponda dell’Atlantico. L’imperialismo americano sta perdendo progressivamente il suo ruolo egemone mondiale, sempre più debole sul piano economico ma tiene duro su quello militare e un nuovo concorrente, seppur in casa come quello europeo non piace a Washington. Che non intende rinunciare al bastone del comando tramite la Nato. Gli Usa durante l’ultimo vertice dell’Alleanza a Newport in Galles hanno imposto che tutti i paesi membri sborsino un opportuno contributo economico per sostenere la realizzazione di basi militari permanenti in cinque paesi dell’Europa Orientale, il rafforzamento della forza di reazione rapida e un aumento delle spese militari; tutti impegni per la difesa nell’ambito degli “interessi comuni nella sfera della sicurezza”. L’Europa si poteva riarmare, anzi doveva, ma quale pilastro della Nato e non certo per conto proprio. Su questa linea ha finora trovato una sponda nella Gran Bretagna, e Londra resta dalla sua parte. Al fronte pro Nato si aggiungeva al momento la Polonia che è diventata l’alleato più decisamente schierato con la Casa Bianca soprattutto in merito all’intervento nella crisi ucraina a favore del riarmo di Kiev. Il governo polacco esprimeva il 9 marzo il proprio “scetticismo” sull’ipotesi di un rafforzamento dell’esercito europeo, sottolineando per l’appunto la necessità di “rafforzare” invece l’Alleanza atlantica, definita come migliore “garante della sicurezza in Europa”. Il Presidente del Consiglio della Sicurezza Polacco, il generale Stanislaw Koziej affermava che “è una bella idea ma non ha chance di essere messa in pratica. Oggi abbiamo due obiettivi concreti: rafforzare le capacità della Nato a Est e mettere in pratica le decisioni di Newport”, e aggiungeva che “in Europa, nessun paese pensa di privarsi della propria sovranità”. Tanto che l’attuale presidente di turno dell’Unione Europea, il polacco Donald Tusk, è già volato a Washington, sembra senza neppure consultarsi con i partners europei, a chiedere più armi, mezzi corazzati, artiglieria e sistemi anticarro per fronteggiare il “pericolo” Putin. LAVORO 2 il bolscevico / documento dell’UP del PMLI SCIOPERO GENERALE DI 8 N. 23 - 12 giugno 2014 ORE Giù le mani dall'articolo 18 e dallo Statuto dei lavoratori Abolizione del precariato e assunzione di tutti i precari Rinnovo dei contratti di lavoro del Pubblico impiego Spazziamo via il gove rno del Berlusconi democris tiano Renzi PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it Stampato in proprio IL PROLETARIATO AL POTERE ITALIA UNITA, ROSSA E SOCIALISTA
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