Confimi Apindustria Bergamo
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CONFIMI Rassegna Stampa del 12/01/2015 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. INDICE CONFIMI 10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo Da Zanetti a Sestini Gli esclusi eccellenti 10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo Ente camerale, i grandi esclusi 10/01/2015 La Stampa - Biella L'appuntamento 12/01/2015 La Stampa - Cuneo Biella, a Cittadellarte artigiani e designer uniti nel "co-working" 10/01/2015 Eco di Bergamo Camera, è una rivoluzione a metà 10/01/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale Legno e sole: la scommessa della bioedilizia 11/01/2015 Gazzetta di Mantova - Nazionale "La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare CONFIMI WEB 09/01/2015 www.corriere.it 17:40 Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation 09/01/2015 it.finance.yahoo.com 16:44 Aniem: ben venga riforma per Codice appalti più snello 09/01/2015 www.milanofinanza.it_DowJones 17:39 Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation 09/01/2015 agenparl.com 15:40 Appalti: Piacentini (Aniem), ben venga il cambiamento SCENARIO ECONOMIA 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale La sfida di draghi in difesa dell'europa 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale recessione, la lenta uscita e la spesa che non si taglia 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale La lettera Bce, tonfo di Mps in Borsa 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Bitcoin, la moneta resti libera Ma si vigili sui nuovi mercati 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale La campanella di Walgreens Boots Alliance Maxi-debutto (un po' italiano) al Nasdaq 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Compagnia Sanpaolo frena su Carige «Nessuna trattativa» 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Commissari e vertici Consob Un'Authority dimezzata 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Il re dei fondi azionari Glenmede chiude l'anno a +20% 10/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Il sogno impossibile di un «Paese normale» 11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Camusso: i vigili assenti? Sto con chi lavora 11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale premiare chi lavora bene per ridurre l'assenteismo 11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Mini-euro, come difendere i risparmi con azioni e bond 11/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Carige, la Consob contesta il bilancio 12/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale Bce, la spinta di Visco per l'acquisto dei bond 12/01/2015 Corriere della Sera - Nazionale la crescita dell'america riparte anche dall'auto 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Deficit, 3,7% a settembre In aumento i redditi ma i consumi sono fermi 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Le poltrone cui guardano i mercati 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Banche a picco, giù Milano e Madrid 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Ora si tratta a Francoforte 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Draghi, serve terapia shock 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Bce: acquisti per 500 miliardi 11/01/2015 Il Sole 24 Ore BB Biotech, focus sull'oncologia La scommessa delle malattie rare 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Al via fondo pubblico-privato per l'industria, si comincia dall'Ilva 11/01/2015 Il Sole 24 Ore I listini attendono solo l'allentamento quantitativo Bce 11/01/2015 Il Sole 24 Ore La «voluntary» vince sullo scudo 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Non è un boom, l'America sta soltanto rimbalzando 12/01/2015 Il Sole 24 Ore La certezza calpestata del diritto tributario 12/01/2015 Il Sole 24 Ore La fiducia smarrita 12/01/2015 Il Sole 24 Ore Per i settori del made in Italy segnali di timida ripresa 12/01/2015 Il Sole 24 Ore «Grexit? Fantapolitica pura» 10/01/2015 La Repubblica - Nazionale Redditi più alti grazie agli 80 euro ma i consumi restano al palo tornano a crescere i risparmi 10/01/2015 La Repubblica - Nazionale Disoccupati americani al minimo: 5,6% e mai così tante assunzioni da 15 anni 10/01/2015 La Repubblica - Nazionale Fondi speculativi alla guida di Seat l'ultimo tentativo di far rinascere le Pagine gialle 11/01/2015 La Repubblica - Nazionale Ecco il piano Ue sulla flessibilità investimenti fuori dal Patto e meno tagli a chi fa le riforme 11/01/2015 La Repubblica - Nazionale "Nessun diktat Bce alle banche italiane I piani non cambiano" 11/01/2015 La Repubblica - Nazionale Portugal Telecom tutte le incognite dell'assemblea per decidere sulle cessioni 12/01/2015 La Repubblica - Nazionale Piano salva-banche crediti a forte rischio venduti alla Bce con garanzia statale** 11/01/2015 La Stampa - Nazionale L'Europa rilancia i cantieri "Investimenti fuori dal Patto Ue" 12/01/2015 La Stampa - Nazionale Fca a Detroit per crescere con l'Alfa 12/01/2015 La Stampa - Nazionale In Borsa con export e lusso per difendersi dal rischio Grecia 12/01/2015 La Stampa - Nazionale "De Rigo, tre nuovi marchi per crescere in Usa e Cina" ** 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza LE SCELTE INDUSTRIALI CHE MANCANO AL PAESE 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza Euro-Dollaro e il gran ballo delle valute 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza Pronto il piano della Bce quattro opzioni per Draghi 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza Varoufakis il greco-texano che fa paura ai mercati 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza Poste, parte la rivoluzione di Caio 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza Voluntary disclosure, pioggia di milioni sugli studi legali e tributari 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza Bini Smaghi: "Così l'Europa potrà fare meglio degli Usa" 12/01/2015 Corriere Economia Quanto ci costano le tante aziende pubbliche per caso 12/01/2015 Corriere Economia Xiaomi, Uber e le altre: tutte le matricole che scalderanno le Borse 12/01/2015 Corriere Economia Il Fisco non dà tregua e la crescita langue Un errore rassegnarsi 10/01/2015 MilanoFinanza ORSI &TORI 10/01/2015 Milano Finanza Altro che sottozero Ecco come avere un 8% 10/01/2015 Milano Finanza Per l'euro la parità non è un'utopia 10/01/2015 MilanoFinanza Internet of thing$ 10/01/2015 Milano Finanza Realtà virtuale, nel 2035 la stretta di mano sarà online SCENARIO PMI 10/01/2015 Il Messaggero - Civitavecchia Dai 5 Stelle una ricettaper salvare la ceramica 10/01/2015 Il Messaggero - Marche Reti d'impresadue donneper tessilee nautico 10/01/2015 Libero - Nazionale Scommettiamo sugli immobili, meglio stare lontani dalla finanza 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza 2015, il made in Italy vede "rosa" 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza PICCOLE DONNE CRESCONO NELL'IMPRESA SVIZZERA 12/01/2015 Corriere Economia Da La Doria a Rummo: buoni affari producendo per gli altri 12/01/2015 ItaliaOggi Sette Nuovi minimi, un regime a perdere 12/01/2015 ItaliaOggi Sette Carte business, spese in chiaro 10/01/2015 Milano Finanza NORMANNI, AQUILE & ELEFANTI 11/01/2015 BusinessPeople VENDERE CARA la PELLE 11/01/2015 Business People ORGANIZZAZIONE E FORMAZIONE: LE CHIAVI DEL SUCCESSO 11/01/2015 Business People Il TEMPO parla anche ITALIANO CONFIMI 7 articoli 10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) Da Zanetti a Sestini Gli esclusi eccellenti Alla Camera di Commercio di Bergamo più di metà dei consiglieri designati sono nuovi. Sono quindici quelli che lasceranno il parlamentino di largo Belotti e tra loro anche nomi di spicco dell'imprenditoria locale, dall'attuale vicepresidente Matteo Zanetti a Roberto Sestini che ha guidato la Camera di Commercio per tre mandati, al presidente di Confimi-Apindustria Paolo Agnelli. a pagina 10 CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Camera di commercio 10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo Pag. 10 (diffusione:619980, tiratura:779916) Ente camerale, i grandi esclusi Quarto mandato Quattro consiglieri sempre presenti dal 1999: Nicefori, Trigona, Malvestiti e Martinelli Uscite illustri Non rientrano il vicepresidente Zanetti, Agnelli ( Confimi ) e Bonetti (cooperative) Stefano Ravaschio Il cambiamento degli equilibri, con il ridimensionamento di Confindustria ed Ance scese a 8 a 4 rappresentanti, e l'introduzione delle quota rosa hanno determinato un radicale ricambio nel consiglio della Camera di Commercio. Rispetto all'attuale si sale da 32 a 33 componenti, per l'ingresso dei liberi professionisti ( Alberto Carrara) :i volti nuovi sono 17 e 15 sono quelli confermati. A cavalcare il cambiamento è stata prima di tutto Confindustria, che ha sostituito l'intera delegazione, mentre l'alleata Ance ha confermato il suo presidente Ottorino Bettineschi (subentrato a metà mandato al suo predecessore Paolo Ferretti). Sono così usciti Roberto Sestini decano del Consiglio, con i suoi 79 anni compiuti il mese scorso, già presidente della Camera di Commercio dal 1992 per tre mandati, e l'attuale vicepresidente Matteo Zanetti. La «rivoluzione» determina anche l'uscita di Alberto Paccanelli, Alberto Frambrosi, Rita Melocchi e Mario Ratti. E tra gli alleati di Confindustria esce anche il presidente dell'Unione Artigiani, Remigio Villa, che nella precedente tornata era stato nominato nell'apparentamento unico degli artigiani. Passando al fronte di Imprese&Territorio, ci sono poi state le staffette tra il presidente di ConfimiApindustria Paolo Agnelli e la sua vice. Maria Luisa Bertuletti, tra l'ex presidente di Coldiretti Giancarlo Colombi e il suo successore Alberto Brivio, tra l'ex presidente di Confcooperative Sergio Bonetti e il suo successore Giuseppe Guerini (che è anche presidente pro tempore di Imprese&Territorio) tra il segretario di Confesercenti Giacomo Salvi e la vicepresidente Elena Fontana. Sono inoltre usciti Valter Giupponi, fondatore e presidente onorario della Fai, che era designato dall'Ascom, e Stefano Carrara di Confartigianato. La ventata di rinnovamento a dire il vero c'era già stata anche nel precedente consiglio che aveva visto 15 conferme e 17 nuovi ingressi (incluso il ritorno di un precedente consigliere). Nel nuovo consiglio ci saranno quattro persone al quarto mandato, considerato lo spartiacque del 1999 che ha visto il primo «parlamentino» non più a nomina governativa. Sono Franco Nicefori (ex presidente Cna) e tre esponenti Ascom: Riccardo Martinelli, l'attuale presidente dell'associazione e della stessa Camera di Commercio, in vista di conferma, Paolo Malvestiti, e il direttore, dal 1979, Luigi Trigona, classe 1942, che diventa anche il decano del Consiglio. Al terzo mandato sono invece Marco Amigoni, presidente della Lia, Giorgio Beltrami, presidente dei pubblici esercizi Ascom, Giorgio Ambrosioni, presidente della Confesercenti, Doriamo Bendotti, segretario Fai, e Nadia Palazzi dell'Associazione artigiani. Quest'ultima è stata anche nel consiglio camerale del 1999 la prima (e unica) rappresentante femminile. Il ruolo è poi passato nel 2004 a Simona Bonaldi (Confindustria), Le donne dono diventate tre cinque anni dopo, con il ritorno di Nadia Palazzi, alla quale si sono aggiunte Rita Melocchi di Confindustria e Sonia Bonesi della Lia. Adesso la rappresentanza femminile è formata da 10 persone, grazie alla norma che prevede differenze di genere per almeno il 25% dei rappresentanti in un raggruppamento chiamato a nominare più di due consiglieri. Per questo, metà dei rappresentanti del raggruppamento confindustriale è formato da donne: Monica Santini e Miriam Gualini, ad affiancare Marco Bellini e Ottorino Bettineschi. © RIPRODUZIONE RISERVATA 33 I consiglieri camerali: 16 le conferme, 17 i volti nuovi e 15 le uscite 25 Gli esponenti di Imprese & Territorio e Cdo (erano 22 nell'attuale) Le sigle Ad Imprese & Territorio aderiscono Coldiretti (un consigliere confermato), Confartigiana-to (sale da 4 a 5), Lia (2) Confimi (1), Ascom (sale da 6 a 7), Confesercenti (2), Fai (1) Cna (1), Cia e Confcooperati-ve (1) La Cdo, apparentata a Imprese& Territorio, ha portato da due a tre i suoi rappresentanti Il gruppo di Confindustria cala CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il rinnovo Quote rosa e mutamento degli equilibri hanno rivoluzionato il Consiglio: più di metà i nomi nuovi Confindustria cambia tutti i rappresentanti. Esce l'ex presidente Sestini, adesso il decano diventa Trigona 10/01/2015 Corriere della Sera - Bergamo Pag. 10 (diffusione:619980, tiratura:779916) CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato da 8 a 4 rappresentanti:l'Ance conferma il suo consigliere, Confindustria scende da 6 a 3 e l'Unione artigiani esce. Il sindacato conferma il suo consigliere (che passa dalla Cisl alla Uil), così come credito e consumatori. Debuttano i liberi professionisti 10/01/2015 La Stampa - Biella Pag. 36 (diffusione:309253, tiratura:418328) L'appuntamento alla Fondazione Pistoletto è per giovedì prossimo: «stArt Work», il primo acceleratore di progetti d'impresa non necessariamente tecnologici, apre le porte dalle 17 alle 19 per mostrare i suoi spazi di co-working e accogliere proposte, domande e idee. Il progetto è rivolto soprattutto ad artigiani e a piccoli imprenditori e offre 1.500 metri quadrati a chi, grazie a una visione imprenditoriale nuova vuole iniziare un'attività godendo di servizi, agevolazioni comuni e azioni guidate di foundraising. In prima linea, insieme a Cittadellarte, Api e Città Studi, Unicasim e Iban_Business Angels. Info: www.cittadellarte.it. CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'appuntamento 12/01/2015 La Stampa - Cuneo Pag. 44 (diffusione:309253, tiratura:418328) Biella, a Cittadellarte artigiani e designer uniti nel "co-working" Piccoli imprenditori, artigiani, artisti, designer: sono alcune delle figure a cui è rivolto il progetto «stArt Work» che sarà presentato giovedì a Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, a Biella, tra le 17 e le 19. Cittadellarte prosegue nel recupero di edifici industriali tessili abbandonati proponendo una nuova chiave: riportarli a essere protagonisti della storia imprenditoriale italiana e mettendo a disposizione uno spazio di 1500 metri quadrati (divisi in moduli dai 9 metri quadri in su) per il co-working. Una «piazza» di saperi Sarà una sorta di piazza sulla quale si affacceranno le diverse «botteghe» di progettisti e di artigiani aperti alla collaborazione e alla condivisione di conoscenze ed esperienze, tra nuove competenze e saperi tradizionali. Con Cittadellarte, nel progetto nato per contribuire in modo innovativo al rilancio economico del territorio ci sono altri partner: Città Studi si occuperà della formazione, Api fornirà le competenze di un'associazione di categoria, esaminerà i progetti e darà supporto alla redazione del business plan e alla ricerca dei finanziamenti, Unicasim si attiverà con progetti di crowdfunding, la forma di raccolta fondi sul Web con cui la gente sostiene i progetti di imprenditoria, innovazione, cambiamento sociale, volontariato o ricerca. «In coerenza con lo spirito innovativo di stArt Work, che è il primo acceleratore di progetti d'impresa non necessariamente tecnologici nel Biellese - dice Paolo Naldini, amministratore di Cittadellarte -, l'incontro di giovedì apre una fase di consultazione e di co-progettazione con i potenziali soggetti interessati che invitiamo a partecipare senza esitazione». Oltre ai partner del progetto, saranno infatti presenti anche gli architetti dello studio N.o.v.a. civitas per un confronto pratico e diretto sugli spazi. Progetto di sviluppo «stArt Work è anche una piattaforma di servizi e di consulenza per lo sviluppo imprenditoriale - prosegue Naldini-, e giovedì sarà presentato ''Unicaseed'', il primo portale di equity crowdfunding di un intermediario finanziario autorizzato da Consob». Seguirà l'intervento di Angelo Vadruccio, Ceo di Kiaro, una delle startup che al momento stanno raccogliendo capitale di rischio su Unicaseed e madre dell'ombrello innovativo che accumula la pioggia in una speciale custodia. Nel Biellese ci sono altre esperienze di co-working, come SellaLab, il laboratorio aperto sulle rive del Cervo dal Gruppo Banca Sella dedicato però esclusivamente all'economia digitale. Mentre il Comune di Veglio, per frenare la desertificazione dei piccoli paesi di montagna, ha dedicato alcuni locali ai professionisti, giovani e non, che vogliano condividere le spese, ma anche collaborare tra loro. [f. fo.] CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato giovedì l'open day 10/01/2015 Eco di Bergamo (diffusione:54521, tiratura:63295) Maurizio Ferrari I giochi sono fatti, rien va plus. Alla mezzanotte di ieri si sono chiusi i termini per notificare in Regione i 33 nominativi che comporranno la prossima Camera di commercio. Ci sono state sorprese, esclusioni anche importanti, ma chi pensava a un radicale rinnovamento delle cariche, come invocato da più parti anche per anticipare le mosse di una riforma camerale ormai alle porte, forse rimarrà deluso: in sostanza, i nomi nuovi sono solo la metà (17 su appunto 33) e la scelta di alcuni di essi, più che una novità, rappresenta quasi un obbligo a uniformarsi alla nuova regola che impone alle associazioni di schierare almeno il 25% di quote rosa quando la nomina coinvolga più di due rappresentanti. Forse anche per questo e non solo per una vocazione a valorizzare le colleghe (basti dire che finora in Giunta non se ne sono viste), le donne sono passate dalle 3 dell'attuale mandato alle 10 del prossimo, con presenze importanti proporzionalmente, tra industriali, artigiani e commercianti. Non risultano di sicuro stravolti gli organici al maschile se si pensa che a livello di ricambio le vere novità non arrivano alla decina. Una rivoluzione a metà quindi: chi ha cambiato poco sostiene che il momento è delicatissimo e mandare allo sbaraglio nomi nuovi e inesperti di macchina camerale in questo frangente non avrebbe fatto il bene di largo Belotti. Altri invece hanno interpretato alla lettera il cambiamento, sconvolgendo completamente la squadra come ha fatto Confindustria Bergamo (tutti e 3 nuovi i prescelti) o facendo un passo indietro come Paolo Agnelli (Confimi). Lasciano la Camera anche altri personaggi di spicco come l'attuale vicepresidente Matteo Zanetti, o Remigio Villa (con lui esce dal Consiglio l'Unione artigiani), mentre una «papabile» come Maria Teresa Azzola, rispetto alla nuova ondata di new entry al femminile, deve lasciar posto in Cna al veterano FrancoNicefori. E se per il settore agricoltura Coldiretti impone il peso dei suoi numeri ribadendo il suo consigliere (Alberto Brivio raccoglie l'eredità di Giancarlo Colombi) con un posto già blindato in Giunta e anche i Consumatori confermano Umberto Dolci, c'è l'esordio dell'attuale presidente di Imprese &Territorio Giuseppe Guerini (entra nel settore cooperazione) che dovrebbe anch'egli trovare un posto in un esecutivo che ad oggi appare ancora più affollato a livello di «papabili», di quegli 11 posti che sembrano già fin troppi, se si pensa che Brescia ha appena «congedato» la sua Giunta da 7 elementi. In Giunta restano anche aperti alcuni rebus, legati alla vicepresidenza (spetterà a Confindustria, ma solo se si troverà un'intesa complessiva con Imprese & Territorio, a partire naturalmente dalla presidenza, con il via libera a un Malvestiti bis); all'ingresso delle quote rosa (minimo una, ma potrebbero essere di più); e alla presenza del sindacato, rappresentato nella prossima tornata dal segretario Uil Marco Cicerone che subentra al segretario organizzativo Cisl Patrizio Fattorini: un'eventuale esclusione di questa componente sta destando preoccupazione, al punto che per lunedì i sindacati hanno deciso di convocare una conferenza stampa a riguardo. • CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Camera, è una rivoluzione a metà 10/01/2015 Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale Pag. 11 (diffusione:33451, tiratura:38726) Legno e sole: la scommessa della bioedilizia Legno e sole: la scommessa della bioedilizia Il gruppo Dalmaschio costruisce a Cerese ville bifamiliari con la struttura d'abete e senza gas L'estetica, certo. La tecnologia, pure. Ma la prima cosa è il profumo. La nota calda del legno, rovere e abete. Poi la sorpresa si trasferisce allo sguardo: la villetta non ricorda una casa di bambole né uno chalet di montagna. Dall'esterno il legno non si vede nemmeno, coperto com'è dai pannelli in fibrocemento e dall'intonaco, steso a sua volta su uno strato di lana minerale. Dall'esterno sembra una villetta dal disegno pulito e moderno. È la scommessa del Gruppo Dalmaschio di San Biagio (associato ad Apindustria), che ha puntato sulla bioedilizia con il marchio dedicato Diesse Bio: per l'esperimento - culturale prima ancora che imprenditoriale - è stata scelta la lottizzazione Virgilio Green Valley, largo fazzoletto di 70mila metri quadrati nella campagna di Cerese, accanto all'antica villa Gobia. Per ora c'è soltanto una bifamiliare, metà finita e l'altra al grezzo. Un assaggio per misurare la reazione dei potenziali clienti: tanto interesse - durante i due open day sono passate seicento persone - e qualche perplessità. Vuoi perché la zona si presenta isolata (ma l'obiettivo è proprio quello di animare la green valley, affidandosi alla formula "casa chiama casa") e vuoi perché resiste un ostacolo culturale. Nell'immaginario più radicato la casa è ancora di mattoni, come nella favola dei tre porcellini, ma la sensibilità sta evolvendo velocemente. Chi ha confidenza con il mondo sa che altrove la bioedilizia è già modello, quasi filosofia. A cosa risponde, quindi, la scommessa di Cerese? A un esperimento di mercato oppure a un azzardo ideale? «Con tutte le costruzioni invendute che ci sono, occorre diversificare l'offerta - risponde Simone Dalmaschio - E poi, sì, questo modo di costruire risponde alla filosofia del benessere e del risparmio energetico». Domanda numero due: in provincia di Mantova si contano già altri esempi di ville in legno, in cosa differisce la proposta da Diesse Bio? «Le case in legno si dividono in due famiglie - spiega Dalmaschio - quelle a telaio, prefabbricate, e quelle con la struttura portante in Xlam, che ha una massa più pesante». In pratica, le bifamiliari di Cerese non vengono assemblate ma costruite in opera (dal cappotto ai serramenti), in collaborazione con l'azienda trentina Legno Case e Xlam Dolomiti. Il profumo, l'estetica (il progetto è di Aldo Tomaselli dello studio Arcatop) e la tecnologia: niente gas, ma pompe di calore, pannelli solari e riscaldamento a pavimento (la classe energetica è A, con la possibilità di passare ad A+). Le luci sono a led, e quando sono tutte accese contemporaneamente consumano solo 350 watt. Come un vecchio lampadario. (ig.cip) CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Legno e sole: la scommessa della bioedilizia Il gruppo Dalmaschio costruisce a Cerese ville bifamiliari con la struttura d'abete e senza gas 11/01/2015 Gazzetta di Mantova - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:33451, tiratura:38726) "La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare "La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare marmirolo Ilaria Alpi, inviata del Tg3 Rai, e Miran Hrovatin, cineoperatore, insieme nel corno d'Africa per seguire la guerra tra fazioni che stava insanguinando il Paese e la missione Onu "Restor Hope" lanciata per porre fine alla guerra interna e ristabilire la legalità nello scenario somalo, sono stati assassinati a Mogadiscio nel 1994. Chi e soprattutto perché - ha commesso questo crimine? Che cosa avevano scoperto i due giornalisti inviati in una zona diventata un inestricabile crocevia di traffici illeciti ben nascosti? Il caso Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, a oltre vent'anni dall'assassinio, è oggetto di La strada di Ilaria. La performance teatrale di interesse civile, tratta dall'omonimo libro, a metà strada tra narrativa e memoria storica di Francesco Cavalli, sarà presentata il 17 gennaio alle 21 al Teatro Comunale di Marmirolo nell'ambito della stagione di prosa organizzata da Fondazione Aida e l'assessorato alla Cultura del Comune. «Lo spettacolo - come anticipa una nota degli organizzatori - a firma Città Teatro, Regione Emilia Romagna e Associazione Ilaria Alpi racconta i fatti sui quali avevano indagato Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, traffici d'armi e rifiuti tossici illegali in cui probabilmente avevano scoperto che erano coinvolti anche le istituzioni italiane. Un caso scomodo, che è stato insabbiato velocemente per le tante implicazioni fra Italia e Somalia. Un caso non ancora chiuso, e rimasto fino ad oggi senza responsabili. Traffici, rifiuti tossici, corruzione, una strada, misteri nello storico rapporto fra Somalia e Italia: una storia che nella scelta stilistica volutamente non giornalistica, riesce a coniugare narrazione pura a informazione». E si fa ascoltare da tutti, adulti e ragazzi. Uno spettacolo continua la nota - rigoroso nelle informazioni e poetico nelle parole, che riesce a raccontare tante storie, unite tra loro dal filo sottile, ma vero e indispensabile, della verità e del rispetto della memoria. La performance teatrale è diretta da Davide Schinaia, unisce la voce recitata di Giorgia Penzo e Francesco Tonti, alle musiche dal vivo di Scraps Orchestra e i disegni di Roberto De Grandis. Francesco Cavalli è presidente del Premio Ilaria Alpi, e fra coloro che da vent'anni si occupa del caso Ilaria Alpi, ideatore e direttore dell'omonimo Premio di Giornalismo, ma soprattutto è colui che, insieme ad alcuni colleghi altrettanto tenaci, non ha mai smesso di indagare. Produttore televisivo e responsabile di un gruppo editoriale radiotelevisivo, ha realizzato come autore diversi reportage tra i quali Somalia Italia e Un clown a Gaza. Autore di testi teatrali tra cui Occhi scritti, interpretato da Lella Costa. È tra i curatori di Carte False. L'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Quindici anni senza verità (Edizioni Ambiente/Verdenero, 2009). È stato assessore alla Cultura del comune di Riccione. La stagione è organizzata con il supporto di Coop Consumatori Nordest, Apindustria, Gruppo Tea, Cir Food e Euro e Promos Group. Biglietti da 8 euro (ridotto galleria) a 14 euro (intero platea). CONFIMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato "La strada di Ilaria" in scena a teatro per non dimenticare marmirolo CONFIMI WEB 4 articoli 09/01/2015 17:40 www.corriere.it Sito Web pagerank: 8 17:40 ROMA (MF-DJ)--"Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla riforma degli appalti, perche' vanno nella stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo". Lo afferma in una nota Dino Piacentini, presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8.000 piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa. "Un sistema di soft regulation, la revisione del sistema di qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di legalita', la preferenza per l'offerta economicamente piu' vantaggiosa in un contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle stazioni appaltanti, costituiscono orientamenti che Aniem sostiene con forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione", aggiunge Piacentini. "Il prossimo 13 Ottobre - prosegue Piacentini - avremo la possibilita' di esporre all'VIII Commissione del Senato le nostre proposte che sono finalizzate ad avvicinare il sistema degli appalti nazionale a quanto avviene gia' nel resto del mondo". "La proliferazione normativa non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione piu' leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti protagonisti degli appalti", ha aggiunto. "Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari - conclude il presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare. Chiediamo pero' su questo ultimo punto, piu' coraggio e scelte piu' forti partendo dal fallimento dell'esperienza delle Soa". com/gug (fine) MF-DJ NEWS 0917:39 gen 2015 CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation 09/01/2015 16:44 it.finance.yahoo.com Sito Web pagerank: 7 Roma, 9 gen. (askanews) - "Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla Riforma degli Appalti, perché vanno nella stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo". Lo afferma Dino Piacentini, presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8 mila piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa. "Un sistema di 'soft regulation' - prosegue -, la revisione del sistema di qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di legalità , la preferenza per l'offerta economicamente più vantaggiosa in un contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle stazioni appaltanti costituiscono orientamenti che Aniem sostiene con forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione". "La proliferazione normativa - prosegue - non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione più leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti protagonisti degli appalti". "Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari - conclude il presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare. Chiediamo però su questo ultimo punto, più coraggio e scelte più forti partendo dal fallimento dell'esperienza delle Soa". CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Aniem: ben venga riforma per Codice appalti più snello 09/01/2015 17:39 www.milanofinanza.it_DowJones pagerank: 7 ROMA (MF-DJ)--"Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla riforma degli appalti, perche' vanno nella stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo". Lo afferma in una nota Dino Piacentini, presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8.000 piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa. "Un sistema di soft regulation, la revisione del sistema di qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di legalita', la preferenza per l'offerta economicamente piu' vantaggiosa in un contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle stazioni appaltanti, costituiscono orientamenti che Aniem sostiene con forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione", aggiunge Piacentini. "Il prossimo 13 Ottobre - prosegue Piacentini - avremo la possibilita' di esporre all'VIII Commissione del Senato le nostre proposte che sono finalizzate ad avvicinare il sistema degli appalti nazionale a quanto avviene gia' nel resto del mondo". "La proliferazione normativa non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione piu' leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti protagonisti degli appalti", ha aggiunto. "Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari conclude il presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare. Chiediamo pero' su questo ultimo punto, piu' coraggio e scelte piu' forti partendo dal fallimento dell'esperienza delle Soa". com/gug (fine) MF-DJ NEWS CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Appalti: Aniem; ok Cantone su riforma, serve Soft regulation Sito Web 09/01/2015 15:40 agenparl.com Sito Web pagerank: 5 (AGENPARL) - Roma, 09 gen - Dino Piacentini presidente dell'Aniem afferma, 'la proliferazione normativa non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese assolutamente non efficace'. La posizione dell'Aniem sarà rappresentata martedì prossimo in audizione al Senato. 'Siamo molto soddisfatti delle dichiarazioni di Cantone sulla Riforma degli Appalti, perché vanno nella stessa direzione di quanto, come Aniem, chiediamo da molto tempo', commenta Dino Piacentini, Presidente di Aniem, l'associazione delle piccole e medie imprese edili manifatturiere che raggruppa circa 8.000 piccole e medie imprese aderenti al sistema Confimi Impresa. 'Un sistema di 'soft regulation', la revisione del sistema di qualificazione delle imprese rafforzato dall'affiancamento di un rating di legalità , la preferenza per l'offerta economicamente più vantaggiosa in un contesto di trasparenza e responsabilizzazione degli operatori e delle stazioni appaltanti costituiscono orientamenti che Aniem sostiene con forza da molto tempo e quindi non possiamo che essere soddisfatti da quanto ha dichiarato il numero uno dell'Anticorruzione', aggiunge Piacentini. 'Il prossimo 13 Ottobre - prosegue Piacentini - avremo la possibilità di esporre all'VIII Commissione del Senato le nostre proposte che sono finalizzate ad avvicinare il sistema degli appalti nazionale a quanto avviene già nel resto del mondo'. Che prosegue: ' la proliferazione normativa non ha funzionato, abbiamo assistito negli ultimi anni a un radicamento della corruzione, a opere realizzate talmente male da crollare, a infrastrutture incompiute e a un sistema di selezione delle imprese assolutamente non efficace. Ben venga quindi un'impostazione più leggera, fondata sulla responsabilizzazione dei soggetti protagonisti degli appalti.' 'Siamo soddisfatti anche per le indicazioni sull'albo dei commissari - conclude il Presidente di Aniem - e per la revisione del sistema di gare. Chiediamo però su questo ultimo punto, più coraggio e scelte più forti partendo dal fallimento dell'esperienza delle Soa'. CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Appalti: Piacentini (Aniem), ben venga il cambiamento SCENARIO ECONOMIA 56 articoli 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:619980, tiratura:779916) La sfida di draghi in difesa dell'europa Ricardo Franco Levi Tra meno di venti giorni, domenica 25 gennaio, la Grecia andrà anticipatamente alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Le unanimi previsioni della vigilia danno come vincitore Syriza, il partito della sinistra europea il cui leader Alexis Tsipras ha annunciato che, se sarà lui a guidare il prossimo governo, chiederà di rinegoziare, cioè di cancellare una parte rilevante del debito estero del suo Paese. In un suo articolo significativamente intitolato «Non processate solo i debitori» ( Corriere, 5 gennaio), Lucrezia Reichlin ha già scritto che «la visione che prevarrà su come affrontare la crisi greca segnerà il futuro di tutti, non solo quello di Atene». Ha ragione. Ma in agenda, appena tre giorni prima del voto greco, c'è un altro appuntamento il cui esito è destinato a influire in modo decisivo sull'oggi e sul domani dell'Europa. L'invito ad «allacciarsi le cinture di sicurezza a gennaio» espresso dal presidente del Consiglio Renzi non vale solo per i parlamentari del Partito democratico. Il prossimo 22 gennaio, a Francoforte, Mario Draghi presiederà una riunione del Consiglio direttivo della Banca centrale europea, la prima dell'anno dedicata alla politica monetaria. Insieme ai suoi ventiquattro colleghi, Draghi dovrà decidere se procedere o no a un massiccio acquisto di titoli pubblici dei Paesi dell'euro. L'obiettivo dichiarato dell'operazione - nota come quantitative easing , in sigla QE - è quello di invertire la rotta dell'andamento dei prezzi, pericolosamente indirizzata verso la deflazione, cioè sotto la linea dello zero, com'è successo in dicembre, per la prima volta dopo cinque anni. È assai probabile, per non dire di più, che Jens Weidmann, il governatore tedesco, si opponga all'intervento e, non da solo, voti contro. Mario Draghi ha, tuttavia, già più volte dichiarato di essere pronto ad agire anche contro il parere di una eventuale minoranza del Consiglio direttivo. E in un'intervista del 2 gennaio scorso, rilasciata non a caso al quotidiano tedesco di economia e finanza Handelsblatt , ripetuto il suo rispetto del mandato affidato alla Banca centrale europea e degli obblighi che da questo derivano (tanto che il suo intervistatore ha rilevato quanto questo suonasse «molto prussiano per un italiano»), ha precisato che lo staff della Banca e tutti i comitati del sistema delle banche centrali hanno già ricevuto istruzioni per «preparare concrete misure». Riuscirà, se varato, l'intervento della Bce a risollevare l'economia europea? Molti economisti dubitano che esso da solo possa bastare. E lo stesso Draghi ha più volte e con forza ribadito la necessità che anche i governi facciano la loro parte. Quali che ne possano essere gli effetti, l'eventuale, e auspicato, «passo in avanti» della Bce segnerà comunque una tappa importante nella storia e nella costruzione dell'Unione Europea. Perché si sarà imposta una visione che considera l'economia europea nel suo insieme e non più come un semplice aggregato di economie nazionali. Perché, come conseguenza di questa più vasta visione, si sarà affermata una diagnosi dei mali dell'economia europea che vede la deflazione e l'assenza di crescita come il più immediato e maggiore pericolo della stagione che stiamo vivendo. Perché con riferimento all'euro, la moneta unica, elemento cardine della sovranità che i Paesi europei hanno deliberato di condividere tra loro, sarà stato concretamente adottato un nuovo modello di governo basato sul principio di maggioranza e non più sull'unanimità e sul diritto di veto. Se così sarà stato, verrà rimarcato il paradosso della decisione a maggior tasso politico venuta dall'istituzione europea più autonoma dalla politica. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Cambiamenti La Bce il 22 deciderà a maggioranza se acquistare titoli di Stato per combattere la deflazione: un'operazione che, se si realizzerà, segnerà una tappa importante nella costruzione anche politica dell'Unione 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:619980, tiratura:779916) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Puoi condividere sui social network le analisi dei nostri editorialisti e commentatori: le trovi su www.corriere.it 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 35 (diffusione:619980, tiratura:779916) Enrico Marro I dati diffusi ieri dall'Istat segnalano che l'Italia è ancora lontana da una svolta in economia. Piccoli aggiustamenti, alcuni positivi, preannunciano al massimo una lenta uscita dalla recessione. Un insieme di fattori ha fatto salire dell'1,8% il reddito delle famiglie nel terzo trimestre. C'è l'effetto degli 80 euro al mese per dieci milioni di lavoratori ma anche, precisano i tecnici dello stesso istituto di statistica, l'incremento dei redditi da lavoro. Una leggerissima crescita dell'occupazione e una dinamica dei salari mediamente superiore rispetto ai prezzi fermi o in discesa hanno ampliato il potere d'acquisto. Ma manca la fiducia, tanto è vero che i consumi non ripartono e se c'è qualche euro in più viene risparmiato, mentre i profitti delle imprese continuano a scendere e di conseguenza gli investimenti. Del resto gli elementi di incertezza prevalgono e il governo non riesce a invertire la tendenza. Prendiamo gli altri dati dell'Istat, quelli sui conti pubblici. Il deficit nei primi 9 mesi del 2014 è risultato pari al 3,7% del Prodotto interno lordo. Alla fine, grazie ai saldi delle entrate fiscali di fine anno, il tetto del 3% sarà rispettato, assicura il ministero dell'Economia. Ma il punto che più preoccupa è un altro: nei primi tre trimestri del 2014 la spesa pubblica è stata pari 48,7% del Pil, esattamente come nello stesso periodo del 2013. I dati, insomma, dimostrano che rispetto all'obiettivo di ridurre la spesa non c'è stata alcuna svolta. Il fatto che il governo abbia anche rinunciato al commissario alla spending review contribuisce a dare la sensazione che questa non sia più una priorità. Si spiega anche così che, nonostante tutte le misure prese dal governo, nel 2015 la spesa pubblica totale sarà di 838,8 miliardi, 3 miliardi e mezzo in più di quella del 2014. Ma senza ridurre le uscite non si possono abbassare le entrate, a meno di aumentare il deficit, cosa che il governo ha già fatto per 5,8 miliardi con la legge di Stabilità 2015. E la pressione fiscale resta a livelli record. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato recessione, la lenta uscita e la spesa che non si taglia 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 46 (diffusione:619980, tiratura:779916) Titolo giù dell'8,6 %, il nodo dell'aumento di capitale. Listini in ribasso: Milano cede il 3,27% Stefania Tamburello ROMA Dopo una giornata positiva, ieri è arrivato il crollo: le borse europee hanno chiuso tutte in negativo bruciando quasi 115 miliardi di euro. Madrid ha accumulato un ribasso del 3,91%, seguita da Milano, in calo del 3,27% a 18.177 punti, Francoforte e Parigi dell'1,92% e del 1,90%, Londra dell'1,05%. Il tonfo di Piazza Affari, che giovedì aveva guadagnato il 3,7%, è stato provocato dalla discesa dei titoli bancari, alcuni in caduta libera: il Montepaschi, il peggiore, ha perso addirittura l'8,6%. Il fatto è che sul settore creditizio si è abbattuto l'effetto di una lettera inviata dal nuovo organismo di vigilanza della Bce (Ssm) alle banche controllate con l'indicazione di un nuovo requisito patrimoniale (Cet1), in qualche caso, più alto rispetto a quello stabilito dall'accordo di Basilea3 e quindi dalla Banca centrale europea (9%). Per Mps l'asticella sarebbe stata elevata al 14,3%. Quella della Bce è un'indicazione «preliminare e soggetta a modifiche», ha precisato ieri la banca senese che è in continuo contatto con gli ispettori di Francoforte ai quali è stato presentato il piano di interventi -in particolare un aumento di capitale da 2,2 miliardi di euro - per recuperare il deficit evidenziato dagli stress test terminati lo scorso ottobre. Il piano di Mps deve ancora essere approvato dal Ssm e il livello dell'eventuale nuovo target patrimoniale dipenderà anche dalle modalità definitive e dalla configurazione del bilancio 2014, se verranno cioè registrate o no tutte le perdite evidenziate. La misura del nuovo parametro richesto a Rocca Salimbeni infatti dipende dall'esito degli esami svolti dalla Bce (Comprehensive assessment) e il confronto avviato con le banche fa parte del processo di valutazione (Srep) in corso. Ed è prassi comune per le Autorità di Vigilanza - lo ha fatto finora anche Bankitalia - definire accanto ai coefficienti regolamentari, forme di copertura in relazione allo specifico profilo di rischio degli intermediari. Quel che è importante - fanno rilevare gli esperti di Francoforte - è che le nuove indicazioni della Bce non impongono oneri aggiuntivi alle banche rispetto a quelli determinati dai risultati, già ampiamente comunicati al mercato, delle verifiche degli attivi di bilancio e degli stress test . Nella sostanza, il loro raggiungimento richiede al massimo la realizzazione dei capital plan eventualmente presentati. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il crollo del Monte Paschi in Borsa L'andamento del titolo in Piazza Affari nell'ultimo anno d'Arco Ieri -8,63% La capitalizzazione 2,53 miliardi di euro L'ultimo aumento di capitale (giugno 2014) 5 miliardi di euro L'aumento proposto dopo gli stress test 2,5 miliardi Marzo Maggio Luglio Settembre Novembre Gennaio di euro Parametri La Bce ha comunicato di aver attribuito a ogni banca un coefficiente patrimoniale minimo da rispettare più alto di quello previsto da «Basilea3» Foto: Francoforte Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, 67 anni SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La lettera Bce, tonfo di Mps in Borsa 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 46 (diffusione:619980, tiratura:779916) Bitcoin, la moneta resti libera Ma si vigili sui nuovi mercati Massimo Sideri Alla fine Nejc Kodric, cofondatore di Bitstamp, la principale Borsa europea dei bitcoin, non si è fatto vedere al Ces di Las Vegas come aveva anticipato via Twitter. Il suo ultimo laconico messaggio è di oltre 24 ore fa. Bitstamp.net rimane una pagina morta sul web da quando, il 4 gennaio, sono evaporati circa 5 milioni di dollari. La società ha annunciato di stare riparando i danni ma di rinvio in rinvio la settimana si è conclusa. Tra gli utenti che non possono accedere ai propri soldi ci sono anche molti italiani che usavano la piattaforma sia per la compravendita che per tenere in una sorta di conto gli investimenti in bitcoin. La speranza è l'ultima a morire anche per i «bitcoinisti» e l'ombra di Mt Gox, la piattaforma giapponese fallita nel 2014, per ora rimane all'orizzonte. Ma, quale che sia l'epilogo, un insegnamento lo possiamo trarre subito. La moneta di per sé non è sotto accusa. I problemi sorgono sempre nelle società che gestiscono i conti. E dunque, pur senza porre delle briglie alla moneta, resta da capire se queste società che di fatto gestiscono milioni altrui debbano essere sottoposte alla vigilanza di autorità come la Bce per fornire garanzie sui fondi. Massimo Sideri [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La Lente 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 46 (diffusione:619980, tiratura:779916) La campanella di Walgreens Boots Alliance Maxi-debutto (un po' italiano) al Nasdaq Massimo Gaggi NEW YORK - Parla italiano, quello di Stefano Pessina e di Ornella Barra, il gigante mondiale della distribuzione farmaceutica nato dalla fusione della compagnia europea Alliance Boots con l'americana Walgreens che, da sola, controlla 8.300 «store» farmaceutici negli Usa, dopo l'acquisizione di Duane Reade. L'operazione, perfezionata il 31 dicembre scorso, ha avuto il suo battesimo ufficiale ieri mattina quando Pessina, maggiore azionista e amministratore delegato del gruppo, ha suonato la campana di inizio seduta al Nasdaq, il mercato borsistico di New York dove è quotata la nuova società denominata WBA (Walgreens Boots Alliance). Un'avventura partita da lontano quella di Pessina, un ingegnere nucleare che nel 1977, quando aveva 35 anni, abbandonò gli atomi per dedicarsi alla ristrutturazione dell'azienda familiare: un'impresa di distribuzione di farmaci con base a Posillipo, un quartiere di Napoli. Unite le forze con l'azienda ligure di Ornella Barra, diventata sua compagna negli affari e nella vita, negli Anni 80 Pessina cominciò a espandersi in Francia e poi in Gran Bretagna con una serie di acquisizioni, fusioni e ristrutturazioni. Una crescita continua, ma la svolta vera arrivò nel 2007 quando, con l'aiuto della società Usa di «private equity» KKR, conquistò il controllo di Alliance Boots appena nata dalla fusione della sua Alliance Unichem col Boots Group inglese. Simile, e sempre assistita da KKR, l'operazione avviata l'anno scorso che ha consentito di fondere i due leader mondiali delle farmacie: ora Pessina, il terzo uomo più ricco d'Italia (103esimo nelle classifiche mondiali con un patrimonio di 11 miliardi di dollari, secondo «Forbes») guida un gruppo con 370 mila dipendenti che controlla 12.800 farmacie e serve 180 mila clienti in 25 Paesi del mondo, dal Messico alla Thailandia. Numeri impressionanti come quelli del fatturato (quest'anno dovrebbe superare 110 miliardi di dollari) e dei clienti, diversi decine di milioni, che ogni giorno frequentano gli «store» WBA. Nei quali non si vendono solo medicine ma anche cibi, bevande, cosmetici e prodotti per la casa. Pessina e la Barra raccontano la loro avventura imprenditoriale con comprensibile soddisfazione, ma senza enfasi, prudenti sulle cifre. Interessante la scelta di puntare fortemente sull'America nonostante Pessina dia per scontato che qui i margini di profitto della vendita dei farmaci, attualmente molto elevati, caleranno grazie alla maggiore concorrenza e all'applicazione della riforma sanitaria di Obama. «Ma - spiega - qui possiamo rendere molto più redditizia la vendita dei prodotti non medici grazie alla straordinaria esperienza accumulata da Boots in questo campo. E ci sono ampi margini per crescere». Mentre l'Europa viene giudicato un mercato stagnante, se non in contrazione. In effetti negli Usa oggi c'è una farmacia ogni 5500 abitanti, mentre in Francia e Spagna ce n'è una ogni 2800 e in Italia una ogni 3.500. Inoltre, sottolinea Pessina, l'integrazione rende possibili grosse economie di scala a cominciare da un enorme potere di pressione di WBA sulle case farmaceutiche per approvvigionarsi di medicinali a prezzi scontati. Uomo determinato, severo, poco espansivo, Pessina non vive il Nasdaq-day come un trionfo o un'incoronazione, nonostante il clima di festa con tanto di pioggia di coriandoli. Spiega quella di quotarsi al Nasdaq, la Borsa di Times Square, anziché allo Stock Exchange di Wall Street, come una scelta di convenienza economica e aggiunge che non intende restare amministratore delegato a lungo: è un incarico che ha assunto solo perché quello di Walgreens, Greg Wasson, ha improvvisamente deciso di ritirarsi, probabilmente per contrasti con gli azionisti Usa. Ma, anche se è un po' contrariato dalla scelta del consiglio d'amministrazione di stabilire la sede del gruppo a Chicago («avrei preferito Londra, non ho mai pensato alla Svizzera come ha scritto qualche giornale»), a 71 anni questo «italiano d'esportazione» non ha certamente intenzione di ritirarsi nella sua dimora di Montecarlo: «Ho sempre preferito la posizione di vicepresidente esecutivo con la responsabilità dello sviluppo strategico e delle acquisizioni. Spero di tornare presto a SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La storia 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 46 (diffusione:619980, tiratura:779916) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato svolgere un ruolo di questo tipo. Ma prima dobbiamo trovare la persona giusta per la gestione del gruppo». Lo yacht di 50 metri che tiene ormeggiato in Sardegna dovrà aspettarlo ancora a lungo. © RIPRODUZIONE RISERVATA La fusione Il 31 dicembre è avvenuta la fusione tra Walgreens e Alliance Boots che ha portato alla nascita di Walgreens Boots Alliance. Ieri la quotazione al Nasdaq, con il simbolo di teleborsa «WBA» La nuova azienda globale comprende Walgreens, la più grande catena di drugstore negli Stati Uniti; Boots, il leader del comparto farmacia in Europa; e Alliance Healthcare, il numero uno della distribuzione farmaceutica a livello internazionale Foto: La cerimonia L'Opening Bell al Nasdaq di Walgreens Boots Alliance. Nella foto, il presidente esecutivo di Wba Jim Skinner, il Ceo Stefano Pessina e Ornella Barra 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 49 (diffusione:619980, tiratura:779916) Compagnia Sanpaolo frena su Carige «Nessuna trattativa» Erika Dellacasa Alla Compagnia di San Paolo basta la partecipazione in Intesa Sanpaolo e non ha intenzione di entrare nell'azionariato di Banca Carige. Si capisce così la reazione dell'ente torinese ai rumors su una fusione con Fondazione Carige collegati all'acquisizione di una quota dell'istituto genovese. «Nessuna trattativa», dice la Compagnia in una nota diffusa ieri, per incamerare pacchetti azionari ma non può negare gli incontri che ci sono stati per studiare una «fusione» o un'altra forma di accordo molto stretto tra le due fondazioni bancarie. Lo schema che avrebbero valutato i due presidenti, Paolo Momigliano e Luca Remmert, infatti è più complesso: Fondazione Carige in grave difficoltà patrimoniale potrebbe fare cassa vendendo il suo pacchetto di Carige (il 19,18 per cento), quindi raggiungere accordi con la Compagnia per continuare l'attività di intervento nel sociale e nella cultura, sganciata dalla banca genovese. Se il progetto che avrebbe già dato vita a un tavolo tecnico ha subito adesso uno stop è difficile dirlo, intanto però i distinguo della Compagnia sull'ipotesi di fusione non hanno bloccato la corsa del titolo Carige che ha infilato un'altra giornata positiva con un più 1,91% , spinto anche dalla notizia dell'aumento della quota di Ubs, ora pari al 4,65% del capitale di Banca Carige. © RIPRODUZIONE RISERVATA 19,8 per cento la quota della Fondazione Carige in Banca Carige 700 milioni di euro l'aumento di capitale allo studio da parte di Banca Carige 706 milioni di euro il valore di Carige a Piazza Affari. Le azioni valgono 0,069 euro SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato I contatti Genova-Torino 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 49 (diffusione:619980, tiratura:779916) L'uscita di Caputi e le mancate nomine nel board di Vegas Il decreto sulla Pa Le nuove regole fissano a 5 il numero dei componenti dell'authority Fabrizio Massaro L'improvvisa uscita dalla Consob del direttore generale Gaetano Caputi non è passata inosservata nelle stanze del potere politico e finanziario. Nonostante la nota dell'authority presieduta da Giuseppe Vegas rappresenti come ordinarie le dimissioni dell'alto funzionario, operative da lunedì 12, le critiche e i dubbi non si placano. Sia per l'uscita sia per la successione, che ancora una volta sarà decisa da una commissione ridotta a tre commissari - Paolo Troiano e Anna Genovese, oltre a Vegas - rispetto ai cinque reintrodotti dal decreto legge sulla Pubblica amministrazione di giugno. Vegas punta a fare in fretta. La successione, secondo fonti interne, dovrebbe arrivare già la prossima settimana. Intanto l'operatività è garantita dal vicedirettore generale Giuseppe D'Agostino, che è anche uno dei papabili a ricoprire l'incarico, insieme con il segretario generale, Guido Stazi, già ex capo di gabinetto dell'Agcom con Corrado Calabrò. Nonostante il decreto Pa preveda la maggioranza di 4 commissari per le nomine, a decidere saranno i tre in carica perché le nuove regole entrano in vigore quando la commissione sarà al completo. Per questo, secondo fonti sindacali sarebbe opportuno che la Consob attendesse la nomina dei due membri prima di procedere con l'incarico. Resta poi aperta la questione dei motivi delle dimissioni anticipate di Caputi, 50 anni, ex magistrato, il cui mandato quinquennale sarebbe scaduto tra un anno e mezzo. Per la Commissione il passo indietro del dirigente, 50 anni, ex magistrato, in passato già collaboratore di Vegas al Tesoro, ha «carattere personale». La Commissione ha espresso «vivo apprezzamento per l'importante lavoro svolto in questi difficili anni con alta professionalità e dedizione all'istituzione». Parole non rituali, fanno notare fonti dell'autorità. Caputi sarebbe in procinto di passare in un importante studio legale. Chi ha sollevato il caso sono stati i deputati del Movimento 5 Stelle: «Le dimissioni di Caputi, arrivato in Consob dall'esterno grazie ai buoni uffici del presidente Vegas e protagonista di una carriera folgorante in seno alla Commissione, gettano un'ulteriore ombra sulla gestione» Vegas, che «dovrebbe dimettersi perché è evidentemente inadeguato a governare un ente così importante». Sulla nomina di Caputi è stata recentemente chiusa un'indagine del pm di Roma Giuseppe Deodato - partita da una denuncia di Federconsumatori su alcune assunzioni effettuate da Vegas - che vede il presidente Consob indagato per abuso d'ufficio. Nei prossimi giorni Vegas dovrebbe essere sentito dal pm prima della decisione sull'eventuale richiesta di rinvio a giudizio. Nell'assunzione di Caputi come segretario generale, nel marzo 2011, Vegas non avrebbe rispettato il criterio della nomina interna, nonostante ci fossero in Consob dirigenti qualificati come Claudio Salini, diventato cinque mesi dopo segretario al posto di Caputi, nominato dg. Secondo rumor nella decisione di dimettersi avrebbe pesato anche uno scontro avuto nel consiglio di Natale tra Caputi, Troiano e Genovese sulle spese per i servizi informatici. Circostanza seccamente smentita però da fonti della Consob, che evidenziano come il bilancio preventivo 2015 sia stato votato all'unanimità, che le gare d'appalto siano state gestite dalla Consip e che in tre anni le spese informatiche siano calate del 30% a 7 milioni. Il fronte più caldo dello scontro interno negli ultimi due anni è stato comunque Unipol-Fonsai, che ha visto una parte della struttura schierata contro Vegas e Caputi per una loro presunta posizione a favore di Unipol. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Authority Gaetano Caputi ha rassegnato le dimissioni, operative da lunedì, da direttore generale della Consob SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Commissari e vertici Consob Un'Authority dimezzata 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 51 (diffusione:619980, tiratura:779916) Il re dei fondi azionari Glenmede chiude l'anno a +20% ( giu.fer .) And the winner is ... Glenmede, che nel 2014 è risultato il migliore tra i fondi comuni di investimento azionari americani, con un rendimento del 20%, oltre 6 punti percentuali in più del 13,7% messo a segno dall'indice S&P 500. Glenmede Large Cap Growth Fund, che gestisce asset per circa 875 milioni di dollari, ha vinto la classifica del Wall Street Journa l che misura la performance trimestrale dei migliori fondi azionari Usa a gestione attiva, con almeno 50 milioni di asset e anni di attività, basata sui dati preliminari di Morningstar. Nonostante le difficoltà a battere il benchmark in un anno esuberante sui mercati, i primi 10 fondi classificati lo hanno superato, e Pnc Large Cap Growth, che però ha appena 71,2 milioni di asset gestiti, ha ottenuto un rendimento del 19,5%, collocandosi in seconda posizione. Detto questo, l'88% dei fondi azionari ha chiuso l'anno con risultati peggiori del benchmark. Le azioni vincenti che hanno portato sul podio il fondo co-gestito da Vladimir de Vassal ( nella foto ) e Paul Sullivan? Apple, che nel 2014 è salita del 50%; Skyworks Solution, che di Apple è un fornitore chiave, volata del 154,6%: Facebook, cresciuta del 42,8%; la società di biofarmaceutica Amgen (+39,6%); ma anche la tradizionale Home Depot, che vende al dettaglio prodotti per costruire e migliorare la casa, in rialzo del 27,5% in Borsa. La lezione di Glenmede: puntare su titoli sottovalutati, con robusto cash flow e un trend di utili importante. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il tonno Usa Bumble Bee ai thailandesi per 1,5 miliardi ( m. ger. ) Qualche tappo di champagne deve essere finito anche nei confinanti giardini di Buckingham Palace. I ragazzi d'oro del private equity inglese Lion Capital, Lyndon Lea e Robert Darwent, hanno chiuso l'anno brindando e facendo gli scongiuri. Poi hanno ripreso il lavoro con i legali e gli advisor finanziari. Negli uffici di Grosvenor Place a Londra si è quasi chiusa una delle operazioni più rilevanti degli ultimi anni nel settore dei grandi marchi alimentari: la vendita ai thailandesi di Thai Union Frozen, per 1,51 miliardi di dollari, di Bumble Bee Foods, il re americano del tonno in scatola con il 28% del mercato, su cui già dalla scorsa estate si era aperta la caccia dei grandi produttori. Pare che anche l'italiana Bolton (tonno Rio Mare e Palmera) avesse studiato l'operazione. Non è tanto la vendita che ha fatto saltare i tappi ma la plusvalenza: 530 milioni di euro in quattro anni (e non dei più felici per il mercato). Gli scongiuri, però, non sono soltanto di rito perché il matrimonio tra il più grande produttore di tonno al mondo, Thai Union, e Bumble Bee significa negli Usa, per esempio, mettere insieme il numero due e il numero tre per un totale pari al 48% del mercato, distanziando l'ex numero uno Starkist (30%). Ovvio, dunque, che le dita rimarranno incrociate fino alla "sentenza" dell'Antitrust americano. Dopodiché si potrà, ri-brindare anche perché il guadagno è molto poco tassato. I thailandesi per comprare Bumble Bee verseranno i soldi a finanziarie di Cayman create da Lion per controllare una holding in Lussemburgo che è il socio al 100% del gruppo di San Diego. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Sussurri & Grida 10/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 57 (diffusione:619980, tiratura:779916) Il sogno impossibile di un «Paese normale» Piero Ostellino È sconfortante - per chi crede ancora nella possibilità che l'Italia diventi un Paese «normale» - constatare dapprima la comparsa, nella delega fiscale, del codicillo (non si sa scritto da chi) che prevedeva la non procedibilità penale per chi commettesse evasione fiscale inferiore al 3% dell'imponibile, ritenuta dal sistema informativo di regime un favore a Berlusconi; comparsa che ai miei occhi è parsa, invece, vagamente ricattatoria in vista della prossima elezione del capo dello Stato; poi, la sua scomparsa, anch'essa non si sa ad opera di chi, e non meno ricattatoria. Che, poi, a confermare la leggenda/pregiudizio che circonda noi italiani, allo stesso tempo pasticcioni e imbroglioni, sia stato il presidente del Consiglio aggiunge solo una nota surreale all'intera vicenda. Renzi - che si ritiene più furbo di tutti - ha superato, nella circostanza, il limite dell'indecenza. Non mi pare, perciò, neppure il caso di parlare di una sua machiavellica immoralità nella prospettiva di un proprio successo. Mi pare, piuttosto, un altro caso improntato a quella stessa buona dose di cinismo di cui aveva dato prova nei confronti del suo predecessore, Enrico Letta. Non ho pregiudizi personali nei confronti di questo ragazzotto presuntuoso e incolto. Perciò, non sono d'accordo con Grillo che lo accusa di aver usato l'aereo presidenziale per andare a sciare con la famiglia. Un incarico di un certo rilievo, pubblico o privato che sia, comporta qualche privilegio che solo il moralismo pauperista nostrano tende a disconoscere. Ciò che mi colpisce è, semmai, il suo atteggiamento, che mi pare quello di chi ha vinto al totocalcio e stenta a crederci. Malgrado le arie che si dà, Renzi rimane irrimediabilmente un provinciale. Caro Renzi, non si cena con l'ex primo ministro inglese, Tony Blair, in camicia, con le maniche arrotolate, nell'infantile presunzione di assomigliare a John Kennedy. In definitiva, che piaccia o no, questo presidente del Consiglio, questo presidente della Repubblica e persino questo Papa sono l'immagine di un'Italia che si è affacciata sulla scena mondiale «non sapendo stare a tavola», avrebbero detto i nostri nonni. Siamo il prolungamento, più che dell'aristocratico Piemonte cavouriano, del fascismo. Di quella, che da noi, è stata la tardiva versione della modernizzazione raggiunta dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania. I nostri limiti riguardano, per dirla con Bobbio, la carenza del «nesso indissolubile tra politica e cultura». © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Il dubbio 11/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) Camusso: i vigili assenti? Sto con chi lavora La leader della Cgil e il caso di Roma. «Il governo ha abbassato la guardia sulla lotta all'evasione» Enrico Marro Jobs act, articolo 18, licenziamenti. Il numero uno della Cgil, Susanna Camusso, ribadisce in un'intervista al Corriere l'impegno del sindacato contro ogni forma di terrorismo: «Il nostro cuore è a Parigi». Accusa il governo di aver «abbassato la guardia sull'evasione fiscale». E sui vigili assenteisti a Roma durante le feste aggiunge: «Sto con chi lavora». a pagina 19 ROMA Dopo aver guidato la delegazione della Cgil alla fiaccolata di giovedì in piazza Farnese, sotto l'ambasciata di Francia, Susanna Camusso sceglie di essere intervistata nella sede romana del Corriere dove ribadisce l'impegno del sindacato contro ogni forma di terrorismo: «Il nostro cuore è a Parigi, con chi scende in piazza a difesa della libertà di stampa e di satira. Penso che in questo momento sia importante dire che non ci facciamo travolgere dalla paura e che la vera risposta a questo orrore è l'integrazione. Un valore che nel mondo del lavoro, nel sindacato pratichiamo da tempo». Come? «La Cgil ha numerosi dirigenti di categoria e di territorio di fede mussulmana e l'integrazione si è affermata nelle aziende non solo a parole ma attraverso i tanti accordi che garantiscono agli immigrati congrui periodi di ferie per poter tornare nei Paesi di origine o per assicurare le pause quotidiane per la preghiera. È anche grazie a questa integrazione che non ci sono tensioni rispetto alla condanna di questi atti di terrorismo». Segretario, partiamo dallo sciopero generale del 12 dicembre. Non è servito a fermare il Jobs act del governo Renzi. Una sconfitta? «No. Le manifestazioni e lo sciopero hanno cambiato lo scenario politico, riproposto la centralità del lavoro e della qualità dell'occupazione. Sapevamo che Renzi avrebbe tirato dritto. Ma l'azione di contrasto non finisce qui. Si apre una stagione che vedrà la Cgil, insieme alla Uil e se possibile anche con la Cisl, impegnata su tutti i fronti. I decreti legislativi sono pieni di norme che producono diseguaglianze che si prestano ad essere messe in discussione dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea di giustizia». Come si fa a difendere l'articolo 18 sui licenziamenti davanti all'assenteismo di massa dei vigili a Roma? «Se condizioni la difesa di un diritto al fatto che tutti si comportino bene non difendi più alcun diritto. Detto questo, io sto con quelli che la notte di San Silvestro sono andati a lavorare. La Cgil, fin dall'inizio, ha detto: ci sono le regole, si applichino. Non è vero che nel pubblico impiego non si può licenziare. Ciò non toglie che lo sciopero dei vigili contro il sindaco e contro il comandante del corpo sia sacrosanto». Scioperano contro chi vuole punire coloro che hanno appunto infranto le regole. «No. Scioperano perché c'è una vertenza sull'organizzazione del lavoro e sul salario aperta da tempo che il sindaco non vuole concludere». Torniamo al Jobs act. Ma la Cgil non era favorevole al contratto a tutele crescenti? «Sì, ma doveva essere un'altra cosa. Doveva servire a togliere di mezzo i tanti contratti precari e portare alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro, con la previsione che a un certo punto sarebbe comunque scattata la tutela dell'articolo 18. Invece niente. Sa cosa c'è di crescente in questo contratto? Solo l'indennizzo a fronte della possibilità per le imprese di licenziare, demansionare, fare ciò che vogliono». Non crede che aver semplificato i licenziamenti possa aiutare le aziende a superare la soglia dei 15 dipendenti e incentivare gli investimenti dall'estero? «Non ho mai conosciuto un investitore che non viene in Italia perché c'è l'articolo 18. Quanto alle piccole imprese, si addensano tra i 7 e i 9 dipendenti, non sotto i 15». Questo governo è guidato dal segretario del Pd. Un governo di sinistra che ha con la Cgil rapporti peggiori di quelli che aveva Berlusconi. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA 11/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 1 (diffusione:619980, tiratura:779916) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato «Non esageriamo. È un governo di coalizione, che ha un grande problema: si ritiene autosufficiente. Perciò non ascolta i buoni consigli e segue i cattivi esempi, aumentando la diseguaglianza». Fa bene Renzi a cercare un accordo con Berlusconi sul Quirinale? «Sì, la posizione della Cgil è sempre stata quella che su questa carica, come sulle riforme istituzionali, si debba cercare il massimo consenso con tutti gli attori politici». Ha un nome da suggerire? «A parte la mia propensione per una donna, serve un presidente che sia un autentico interprete della Costituzione». Nella partita entrerà il decreto fiscale che depenalizza la frode, con possibili benefici per lo stesso Berlusconi? «Il fatto che Renzi abbia ammesso che la manina è sua e che allo stesso tempo abbia sospeso l'approvazione del decreto fino a dopo le elezioni per il Quirinale fa pensare che esso possa essere usato come un'arma di pressione. Ci saremmo aspettati invece la massima trasparenza. Tanto più che i contenuti sono pessimi, non per presunti accordi, ma perché prospettano un allentamento della lotta all'evasione». Il governo vuole un Fisco più semplice. «Ma allora semplifichi. Invece qui si abbassa la guardia, mettendo a rischio il gettito. Non è questa la politica fiscale che auspichiamo». Che invece sarebbe? «Fondata sulla lotta all'evasione e sulla progressività del prelievo. Non c'è un altro Paese dove l'83% dell'Irpef viene da dipendenti e pensionati». Di qui anche la richiesta della patrimoniale? «Il problema fondamentale nella nostra società è la crescita della diseguaglianza. Il Fisco serve appunto per redistribuire e creare equità». Se verrà ammesso il referendum della Lega per abrogare la riforma Fornero voterete sì, conferma? «Con Cisl e Uil abbiamo una piattaforma per cambiarla. È urgente, per rimediare a questa follia del prolungamento infinito dell'età di pensionamento. Sarebbe utile che il governo aprisse un confronto con noi per cambiare la legge. Se non lo farà neppure per evitare l'eventuale referendum, voteremo sì». Si possono rinnovare i contratti con l'inflazione a zero? «La Cgil non ha condiviso il modello contrattuale del 2009 e non rinuncia all'obiettivo della crescita dei salari, che si può ottenere anche attraverso la redistribuzione dei profitti». © RIPRODUZIONE RISERVATA Chi è Susanna Camusso, 59 anni, segretario della Cgil dal 2010 (è rieletta a maggio 2014) Entra nella segreteria della Fiom-Cgil di Milano nel 1980. Nel 2001 diventa segretario generale della Cgil lombarda Foto: Ci sono le regole, si applichino Non è vero che nel pubblico impiego non si può licenziare Sulle tutele crescenti cresce solo l'indennizzo ma le imprese possono fare ciò che vogliono Sui vigili Io sto con quelli che a Roma la notte di San Silvestro sono andati a lavorare 11/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 29 (diffusione:619980, tiratura:779916) Rita Querzé Un metodo per non pagare la Tasi sulla prima casa ci sarebbe. Basterebbe portare l'assenteismo nel pubblico impiego ai livelli delle aziende associate a Confindustria. Così si recupererebbero 3,7 miliardi. Guarda caso poco più del gettito Tasi del 2014: 3,4 miliardi. A stimare quanto valgono le assenze nel pubblico impiego è il centro studi di viale dell'Astronomia a partire da dati della Ragioneria dello Stato. Nell'universo Confindustria le ore di assenza sono scese dal 7% delle ore lavorabili nel 2012 al 6,5% del 2013. Nello stesso anno le assenze nel pubblico impiego sono state quasi il 50% in più. Dubbi sulla quantità di assenze di un giorno nel pubblico impiego sono stati sollevati ieri anche dalla Cgia di Mestre. Se si considera che lo Stato è il maggior datore di lavoro italiano, con 3,2 milioni di dipendenti, si capisce come un surplus di giornate a casa in malattia comporti per il Paese una perdita di ricchezza rilevante. Detto questo, chi pensa di potersi risparmiare la Tasi grazie a dipendenti pubblici in miglior salute rischia di dover aspettare a lungo. La polemica sulla costituzione cagionevole dei vigili urbani romani ha riportato il problema sotto i riflettori. La competenza rispetto ai controlli sui lavoratori in malattia nel pubblico impiego potrebbe passare dalle Asl all'Inps. Anche sul fronte del licenziamento degli statali non sono escluse novità a partire dall'applicazione anche nel pubblico impiego delle regole del Jobs act. Ma forse la soluzione non sta soltanto nei controlli. Peraltro troppo spesso scritti sulla carta. E nemmeno nelle sanzioni: già dal 2008 nel pubblico impiego con la legge Brunetta chi è a casa in malattia per i primi dieci giorni perde i cosiddetti «trattamenti economici accessori». Intasca, cioè, soltanto la paga base. Il problema potrebbe essere anche un altro. Lavorare di più e meglio nel pubblico non offre alcun vantaggio. Premiare il merito: questa potrebbe forse essere la vera rivoluzione. @rquerze © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato premiare chi lavora bene per ridurre l'assenteismo 11/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 30 (diffusione:619980, tiratura:779916) Mini-euro, come difendere i risparmi con azioni e bond Giuditta Marvelli Inizio d'anno all'insegna dell'incertezza per i mercati finanziari. La Banca centrale europea inizierà davvero la battaglia alla deflazione? Che cosa succederà alla lunga se il barile resta sotto i 50 dollari? L'euro debole è un vantaggio o uno svantaggio per chi deve difendere i propri risparmi? «Corriere Economia», in edicola con il primo numero del 2015 domani insieme al Corriere della Sera , prova a fare una mappa degli interrogativi e delle strategie che si possono seguire in questi primi mesi dell'anno. Secondo l'opinione di molti esperti nel 2015 le Borse dovrebbero essere favorite rispetto alle obbligazioni, segnate da un rendimento medio sempre più basso e da prezzi molto cari. In particolare i listini europei hanno valutazioni meno elevate di Wall Street, che è al massimo storico (al pari di Francoforte) e che continua a salire. Ma i primi giorni dell'anno segnalano una volatilità molto forte delle azioni, che da un giorno all'altro azzera e accende le speranze con grande velocità. Dalle valute ai bond, dalle azioni europee a Wall Street, passando per i titoli italiani ad alto rendimento alle diverse prospettive dei Paesi Emergenti, su «Corriere Economia» le indicazioni per farsi un'idea e decidere se investire adesso con un piano adeguato o se aspettare, restando parcheggiati in un deposito di liquidità. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato CorrierEconomia 11/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 30 (diffusione:619980, tiratura:779916) Gli uffici di Vegas chiedono al Tribunale di Genova l'annullamento dei conti 2012 e 2013 La banca: nessuna anomalia, le rettifiche volute della Commissione sono state riportate L'aumento Domani riunione del consorzio bancario per preparare l'aumento di capitale Stefania Tamburello ROMA La Consob accusa: i bilanci 2012 e 2013 di Banca Carige vanno annullati perchè non conformi. Da Genova ribattono: non è vero. Ma sarà il tribunale a decidere. La banca ligure è di nuovo sotto la luce dei riflettori dopo che la Consob ha deciso di rivolgersi al tribunale di Genova per chiedere l'annullamento degli ultimi due bilanci di Carige. Ma c'è subito una cosa da dire in premessa: non è in discussione la struttura economica e patrimoniale dell'istituto né il programma di aumento di capitale da 700 milioni di euro già deliberato - domani dovrebbero riunirsi il consorzio di garanzia - e né quindi il piano presentato alla Vigilanza della Bce dopo l'esito negativo degli stress test di ottobre. La vicenda è nata durante la gestione di Giovanni Berneschi, finita sotto inchiesta giudiziaria, e quindi affonda le sue radici in quei fenomeni di mala gestio , secondo la definizione data dal governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, portati a soluzione dagli attuali vertici, l'amministratore delegato Piero Luigi Montani e il presidente Cesare Castelbarco Albani. Ecco il fatto: la Commissione guidata da Giuseppe Vegas ha contestato a Carige la non correttezza non solo del bilancio 2012, dell'era Berneschi, ma anche quello 2013 approvato ad aprile scorso. Questo perché la richiesta fatta dalla stessa Consob di rettificare alcune voci di bilancio 2012 (quelle relative all'avviamento), magari riaprendolo, non avrebbero avuto risposta tempestiva ma sarebbero state accolte solo in una nota integrativa al bilancio 2013. Formalmente quindi non risponderebbero al vero, secondo la Consob, entrambi i rendiconti. Carige si contrappone e della vicenda dà una lettura diversa. La procedura seguita - fanno sapere - ha il conforto di illustri pareri legali ed è legittima. In termini più tecnici la citazione a giudizio da parte della Consob, di cui Carige ha dato notizia, chiede la «declaratoria di nullità o di annullamento della delibera assembleare del 30 aprile 2014 di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2013 per asserita non conformità alle norme che ne disciplinano la redazione e in particolare ai principi contabili». Di contro Carige «confida che l'autorità giudiziaria confermi la correttezza del proprio operato e la conformità dei bilanci che ne disciplinano la redazione». L'istituto genovese ha precisato inoltre che «della materia oggetto della citata delibera Consob è stata già fornita ampia ed approfondita informativa al pubblico» e che «ha già provveduto in via autonoma alla rettifica dei valori» senza violare le norme ma determinando unicamente «una diversa ripartizione degli oneri nei conti economici dei bilanci 2012 e 2013, senza modificare i saldi patrimoniali». © RIPRODUZIONE RISERVATA La vicenda Al termine degli stress test per Banca Carige è emersa una carenza di capitale di 850 milioni di euro La banca genovese ha già messo in cantiere una ricapitalizzazione da 650 milioni di euro per rispondere alle richieste della Bce Fondazione Carige, primo socio (19,18%) non vuole sottoscrivere in toto l'aumento e cerca un partner a cui vendere quote. Andrea Bonomi starebbe valutando Foto: Il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha chiesto l'annullamento dei conti 2012-2013 di Carige Foto: Il presidente di Banca Carige Cesare Castelbarco Albani. L'istituto deve varare un aumento di capitale SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Carige, la Consob contesta il bilancio 12/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 19 (diffusione:619980, tiratura:779916) Il governatore sulla stampa tedesca: è lo strumento più efficace. In Europa troppa lentezza sulle riforme Stefania Tamburello ROMA Il rischio di deflazione non va sottovalutato perché «se i tassi di inflazione restano molto bassi per troppo tempo e l'economia praticamente non cresce più, rischiamo di scivolare in una spirale negativa che si autoalimenta sempre più». In un'intervista al settimanale tedesco Welt am Sontag , il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco rileva quanfo l'attuale situazione sia «critica» e sottolinea come l'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce «sia lo strumento più efficace» da poter adottare. La sua è quindi una posizione decisamente a favore dell'avvio del programma di Quantitative easing , in pratica di acquisto massiccio di titoli pubblici da parte della Bce, per aumentare la liquidità, ridare slancio all'aumento dei prezzi e riattivare la crescita economica. «Quando i tassi ufficiali scendono a zero - spiega non resta che ampliare la quantità di moneta. Abbiamo diversi modi per farlo. Potremmo anche metterci per strada e distribuire banconote. Oppure compriamo titoli di Stato. Si tratta di uno strumento standard della politica monetaria, che chiamiamo non convenzionale soltanto perché per molto tempo in Europa non è stato usato». Visco è fiducioso sull'esito del programma e a chi ipotizza la pessimistica previsione di un rialzo dei prezzi appena dello 0,1% risponde che «le nostre stime sono più vicine allo 0,4%, un aumento di cui sarei senz'altro soddisfatto, sarebbe un ottimo risultato» perché ci porterebbe «su un percorso che potrebbe riportare l'inflazione vicino al 2%». Il numero uno di Palazzo Koch, tuttavia non si sbilancia sui tempi e sulle modalità della decisione che i mercati aspettano comunque per il 22 gennaio. Ma giudica negativamente l'ipotesi di acquisti a carico delle Banche centrali nazionali che è stata messa sul tavolo assieme ad altre. Se così fosse «la frammentazione finanziaria nell'area potrebbe tornare ad ampliarsi rispetto alle condizioni attuali. Faremmo bene a mantenere le procedure che valgono per tutti i nostri interventi di politica monetaria: i rischi sono condivisi dall'Eurosistema nel suo insieme». Del resto anche il problema dei tassi di inflazione bassi ovunque, compresa la Germania, «è comune» come lo è l'obiettivo dell'inflazione al 2%. Su questo punto, insiste Visco, non ci sono conflitti. E sulla posizione del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, contrario all'acquisto di titoli pubblici, il governatore spiega: «Al consiglio Bce, io siedo vicino a Weidmann: siamo disposti in ordine alfabetico perché non rappresentiamo i nostri paesi ma abbiamo un compito comune, garantire la stabilità dei prezzi». E comunque «Weidman ed io siamo d'accordo su un punto: la politica monetaria è uno strumento forte ma non può far salire la produttività o migliorare le strutture economiche. Questo è il compito della politica economica. Le riforme in Europa sono essenziali ma procedono lentamente». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il profilo Ignazio Visco, 65 anni, da novembre 2011 è governatore della Banca d'Italia, dopo esserne stato direttore generale dal 2007 +0,2 per cento È il tasso medio annuo di incremento dei prezzi in Italia 2 per cento È la soglia di inflazione obiettivo della Banca europea SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Bce, la spinta di Visco per l'acquisto dei bond 12/01/2015 Corriere della Sera - Ed. nazionale Pag. 29 (diffusione:619980, tiratura:779916) Massimo Gaggi «Osama bin Laden è morto e la General Motors è viva». Nel 2012, scherzando ma non troppo, il vicepresidente Usa Joe Biden diceva che la campagna per la rielezione di Obama era tutta lì. Due anni dopo la sconfitta di Al Qaeda appare assai meno certa. A Barack Obama rimane il salvataggio dell'auto che ha celebrato giorni fa in uno stabilimento della Ford in Michigan. Un'enfasi da comizio, la sua, ma con buone ragioni: il Salone dell'Auto che si apre oggi a Detroit non è solo quello della rinascita di un'industria Usa data per morta nel 2009 e che invece cresce e guadagna da cinque anni. È anche la consacrazione della ritrovata capacità della vecchia industria manifatturiera di trainare l'economia, di sostenere i consumi. 16,5 milioni di auto vendute negli Usa: una distanza siderale dall'incubo del 2009 (l'anno della bancarotta di GM e Chrysler) quando il mercato assorbì appena 10 milioni di veicoli. Più 6% sul 2013 con un forte contributo al Pil Usa mentre l'Europa ristagna. E quest'anno andrà ancora meglio, secondo gli analisti. Aumentano i posti di lavoro e anche i salari: il sindacato UAW chiede aumenti nel nuovo contratto ma quest'anno già scattano quelli (da 15 a 19 dollari l'ora) previsti per i dipendenti assunti a stipendio ridotto. L'enfasi di Obama è comprensibile: per anni la destra ha contestato la sua politica per l'auto. Ora è possibile un bilancio: il governo federale, che aveva speso 79 miliardi di dollari per tenere in vita General Motors e Chrysler, ha recuperato per intero i 12 prestati al gruppo guidato da Marchionne e 58 dei 67 miliardi dati a GM. Una spesa di 9 miliardi che ha consentito di evitare fallimenti che avrebbero prodotto la perdita di 2,6 milioni di posti di lavoro. Tutto ciò non garantisce un futuro radioso: la benzina a buon mercato che ha sostenuto il settore dell'auto non durerà in eterno, la ferita dei veicoli difettosi non si è affatto rimarginata e all'orizzonte ci sono sfide e incognite: dall'auto senza guidatore a Uber che immagina un mondo con meno veicoli, non più di proprietà personale e sempre in circolazione. Ma oggi splende il sole. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato la crescita dell'america riparte anche dall'auto 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Deficit, 3,7% a settembre In aumento i redditi ma i consumi sono fermi Bocciarelli Secondo l'Istat nei primi nove mesi il rapporto deficit/Pil è risalito al 3,7%. Intanto c'è un primo effetto del bonus degli 80 euro in busta paga: i redditi delle famiglie sono in aumento, ma i consumi sono fermi. pagina 9 ROMA Un rapporto deficit-pil in leggera salita (soprattutto se si considerano i dati cumulati) e un aumento del potere d'acquisto delle famiglie che però, per via della crisi, appaiono più propense al risparmio che al consumo. È quanto si ricava dalle cifre del conto economico trimestrale delle amministrazioni pubbliche diffuso ieri dall'Istat. L'indebitamento in rapporto al Pil nei tre mesi compresi fra luglio e settembre 2014 è stato pari al 3,5%, superiore di 0,2 punti rispetto al corrispondente periodo del 2013. Nei primi tre trimestri dell'anno, inoltre, l'indebitamento è stato del 3,7% del prodotto, con un aumento di 0,3 punti rispetto all'anno prima. Dunque per chiudere al 3% del Pil serve un netto miglioramento nell'ultimo scorcio del 2014: «L'ultima parte dell'anno fa registrare storicamente un dato più basso», ha sottolineato in una nota il ministero dell'Economia. Sempre considerando i primi tre trimestri del 2014, le uscite totali sono state pari al 48,7% del pil un rapporto invariato rispetto al 2013 mentre le entrate totali si sono ridotte in termini tendenziali dello 0,7% , con un'incidenza sul Pil del 45% (erano il 45,3% nello stesso periodo del 2013). La pressione fiscale relativa ai primi tre trimestri dell'anno risulta pari al 40,7% e dunque fa registrare una diminuzione di 0,2 punti rispetto al medesimo periodo del 2013. Per contro, se si valuta il solo terzo trimestre del 2014 le entrate totali risultano in aumento dello 0,4% rispetto all'estate del 2013 e la loro incidenza sul Pil è del 44,5% in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto allo stesso trimestre dell'anno prima. E in salita è anche la pressione fiscale relativa all'estate del 2014: si tratta del 40,9% del Pil, lo 0,7% in piùrispetto a un anno prima. L'effetto bonus fiscale, tuttavia, non si vede solo dai dati sul deficit. L'Istat ha pubblicato ieri anche le cifre sui redditi delle famiglie, dalle quali si ricava che nel terzo trimestre dell'anno è aumentato il loro reddito disponibile (+1,4% tendenziale). Se poi si tiene conto della dinamica particolarmente bassa dei prezzi si vede che anche il potere d'acquisto delle famiglie consumatrici è risultato nel terzo trimestre dello scorso anno in aumento dell'1,9% rispetto al trimestre precedente (+1,5% sul terzo trimestre 2015). Dunque, l'aumento di potere d'acquisto di salari e redditi c'è stato. Ma, almeno per quel che riguarda il terzo trimestre 2014, non si è tradotto in consumi: la spesa delle famiglie per consumi finali risulta infatti invariata rispetto al trimestre precedente anche se si registra un lieve aumento (+0,4%) rispetto al 2013; nei primi 9 mesi dell'anno, infine, la spesa per consumi è cresciuta dello 0,5%. È aumentata invece e nettamente la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici, pari al 10,8% nel terzo trimestre 2014:+ 1,6 punti sul trimestre precedente e +0,9% sul 2013. La prudenza e l'incertezza sul futuro(connessa alle prospettive non brillanti dell'occupazione) sembrano per il momento aver avuto la meglio, lasciando prevalere la tendenza a rimborsare i debiti o a risparmiare. Un dato che «non sorprende, precisa il ministero dell'Economia: «Le famiglie tendono a ricostruire lo stock di risparmio intaccato durante la crisi». Ma Via XX settembre è fiduciosa: prima o poi l'aumento del reddito si tradurrà «in consumi e investimenti». © RIPRODUZIONE RISERVATA Rossella Bocciarelli PRESSIONE E DEFICIT, L'ANDAMENTO PRESSIONE FISCALE DEFICIT/PIL III trimestre 2011 - III trimestre 2014. Dati cumulati. Valori % SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'Istat sui primi 9 mesi - Effetto 80 euro sul potere d'acquisto 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato aumenta il reddito delle famiglie Tassi di crescita tendenziali e congiunturali - III trimestre 2014, dati destagionalizzati variazioni % III trim. 2014su II trim. 2014 III trim. 2014su II trim. 2013 Gen.-sett. 2014su gen.-sett. 2013 Reddito lordo disponibile 1,8 1,4 1 Potere d'acquisto delle famiglie* 1,9 1,5 0,8 Spesa delle famiglie per consumi finali 0 0,4 0,5 Investimenti -0,6 -3,7 -2,6 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Le elezioni del presidente della Repubblica in passato non hanno elettrizzato i mercati. Sono di solito altre le poltrone che scottano per investitori e traders. Continua pagina 10 Continua da pagina 1 L'Italia non è una repubblica presidenziale e il via vai di questo o quel leader politico, di questo o quel premier a colloquio al Quirinale non è stato centrale per le scelte di investimento, finanziarie e non, nel nostro Paese. Per lungo tempo. Non ricordo una domanda una negli anni passati, rivoltami in tono concitato da un trader o uno strategist o un equity portfolio manager che riguardasse il nostro capo dello Stato. Tutto questo fino a Giorgio Napolitano. O meglio, fino all'intervento determinante, anche agli occhi dei mercati, di Napolitano in due delicatissimi snodi del rischio-Italia: il ruolo svolto dal Presidente nell'allontanare l'Italia dall'orlo del baratro alla fine del 2011 (con la fine del Governo Berlusconi e l'inizio del Governo Monti) e poi ancora nel traghettare l'Italia fuori dall'impasse politico in cui era caduta dopo le elezioni del febbraio 2013 (aprendo alla sua seconda candidatura). Napolitano visto dai mercati finanziari è sinonimo di stabilità politica. La sua uscita inevitabilmente riaccende sui monitor dei traders una luce sul rischio di instabilità politica. E quando la politica rallenta il passo, anche i tempi del cammino delle riforme si allungano: e questo sarebbe l'effetto più deleterio per i mercati di uno stallo sull'elezione del successore di Napolitano. Unicredit, in una nota diramata alla sua clientela istituzionale, ha rassicurato: «Le dimissioni di Napolitano difficilmente porteranno all'instabilità politica e al deragliamento dal processo delle riforme». E questo messaggio, in diverse sfumature ma con la stessa sostanza, lo stanno diramando i desk Italia delle grandi banche internazionali. La partita che giocherà Matteo Renzi per la nomina del prossimo capo dello Stato è molto impegnativa, e sarà seguita da vicino dai mercati perché darà elementi di valutazione importanti per misurare la forza del premier, all'interno del Pd e nei confronti dell'opposizione: tuttavia l'uscita di scena di Napolitano non sta avendo una portata destabilizzante al punto da annullare l'effetto-Draghi e del sovereign QE sui BTp e più in generale sul rischio-Italia. Sgombrato il campo dal timore che Mario Draghi potesse lui "salire al Colle" per restarvi(in quel caso le ripercussioni sui mercati sarebbero state destabilizzanti per il futuro dell'euro ma rassicuranti per il futuro dell'Italia), più che per il Quirinale i mercati si appassionano su un altro giro di poltrone, quello all'interno del ministero dell'Economia e delle Finanze e all'interno di Palazzo Chigi. Chi investe in Italia è molto più interessato all'identikit del ministro dell'Economia e poi a scendere del direttore generale del Tesoro (che ha le mani in pasta sulle privatizzazioni e sul debito pubblico), del chief economist al Mef (responsabile per una grossa fetta dei numeri e dei pronostici che caratterizzano il rischio-Italia), del ragioniere generale dello Stato (che ha in mano i conti pubblici). Dove invece i mercati si perdono è nella duplicazione dei ruoli e delle responsabilità, una specialità molto italiana. Non capiscono bene fino a che punto pesino nei grandi giochi i personaggi che popolano le "cabine di regia" e i ministeri ombra che si aprono e chiudono a Palazzo Chigi. Le domande in tono concitato le ricordo, ma erano concentrate sugli advisor economici del premier Renzi. .@isa_bufacchi [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA 738 i voti ottenuti da Giorgio Napolitano Il 20 aprile 2013 al 6° scrutinio l'assemblea elegge SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le poltrone cui guardano i mercati 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato il presidente della Repubblica (997 votanti ) 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Banche a picco, giù Milano e Madrid I mercati temono che gli acquisti Bce dei titoli di Stato non superino i 500 miliardi Vito Lops Le vendite sui titoli bancari in tutta Europa hanno vanificato i guadagni degli indici di Borsa nelle sedute precedenti. Milano e Madrid hanno perso più del 3%. Ha pesato il maxi-aumento del Santander che ha affondato il titolo (-13%). Piazza Affari teme le richieste di soglie di capitale più alte agli istituti italiani. Preoccupano infine i rumors sugli acquisti di titoli di Stato dalla Bce che non supererebbero i 500 miliardi di euro. pagine 6 e 7 Andamento dei titoli ieri e indici di patrimonializzazione al 30 settembre Venerdì nero per le Borse europee che hanno annullato gli effetti del rimbalzo messo a segno alla vigilia. Maglia nera a Madrid (-3,57%), seguita da Piazza Affari (-3,27%). Francoforte e Parigi hanno perso più del 2%. Con il tonfo di ieri il listino milanese archivia la prima settimana piena dell'anno con un calo del 5%. C'è più di un motivo che ha spinto gli investitori ad allontanarsi dalle azioni, in particolare dai titoli del credito che hanno zavorrato l'intero comparto europeo. La giornata è iniziata subito male per la spagnola Banco Santander (uno dei pesi massimi della Borsa iberica) che - dopo l'annuncio di un aumento di capitale da 7,5 miliardi - è stata colpita dalle vendite fino a perdere nel finale il 13%. Ed è iniziato subito al ribasso anche per le banche italiane dopo che la Banca centrale europea ha inviato una lettera - come pubblicato ieri dal Sole 24 Ore - attribuendo a ogni singola banca un suo coefficiente patrimoniale minimo da rispettare «sulla base della situazione finanziaria e dei profili di rischio, e prendendo in considerazione i risultati della Supervisory Review e del processo valutativo». Insomma, ai mercati è passato il messaggio che gli stress test per le banche europee non sono finiti. Così, a fine seduta, Banca Mps - che secondo le nuove indicazioni della Bce (confermate dallo stesso istituto senese) dovrebbe disporre di un floor del 14% anziché del 7% minimo stabilito dai vincoli di Basilea 3 -ha ceduto l'8,63%. In media, per le 15 banche italiane vigilate dalla Bce, la soglia è salita di oltre tre punti di percentuale al 10,5 per cento. Sul titolo senese ha poi pesato la smentita di Santander su un interesse sull'istituto di Rocca Salimbeni. Le vendite hanno colpito anche Ubi banca (-5,14%) che ha confermato la nuova soglia fissata ad hoc dalla Bce al 9,6%. E non hanno risparmiato UniCredit (-5,49%), Intesa Sanpaolo (-4%), Banco popolare (-7,47%), Mediobanca (-4,79%), Bper (-6,68%), Bpm (-3,51%). Forte calo anche per energetici (Eni -3,75%, Enel 5,05%, Saipem -3,45%). Sull'andamento delle Borse hanno pesato poi indiscrezioni sul possibile "quantitative easing" che sarebbe allo studio sul tavolo della Bce. I rumor indicano un importo di 500 miliardi (i mercati si aspettano di più) con acquisto di titoli con rating fino a BBB- (sarebbero quindi esclusi quelli di Grecia e Cipro). Il nervosismo sul "Qe" è stato accentuato dal fatto che si sta allargando il fronte dei consiglieri della Bce contrari a un'accelerazione verso l'acquisto dei titoli di Stato. Ardo Hansson, governatore estone, ha detto che «personalmente troverei problematico annunciare un programma di acquisto bond inclusi quelli greci a gennaio». Sullo sfondo ci sono poi i dati sul lavoro negli Usa, solo a una prima lettura positivi. L'economia americana ha creato in dicembre 252mila posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso dal 5,8 al 5,6 per cento. Ma i compensi restano stagnanti: i salari medi sono calati di 5 centesimi a 24,57 dollari l'ora, lo 0,2% in meno annuo. Ed è questo l'elemento che pesa sui mercati azionari dato che i salari sono seguiti da vicino dalla Fed per orientare la politica monetaria. Nell'incertezza di fondo l'euro ha recuperato terreno sul dollaro riportandosi sopra quota 1,18. Mentre il mercato dei titoli di Stato ha risentito di poco delle turbolenze . Il rendimento del decennale italiano è salito di SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La richiesta di soglie di capitale più alte appesantisce il credito - In Spagna il maxi aumento affonda Santander (-13%) 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato tre punti base rispetto alla vigilia chiudendo all'1,88%. Lo spread col Bund si è attestato a 139 punti. E lunedì il Tesoro si appresta a collocare 8 miliardi di euro in BoT a 12 mesi. Nell'asta di dicembre il titolo è stato collocato allo 0,418% con richieste 1,8 volte l'offerta. Ieri viaggiava sul mercato secondario allo 0,14%. Il che lascia presupporre che l'asta dovrebbe far segnare un nuovo minimo record. © RIPRODUZIONE RISERVATA UniCredit -5,49 10,8% Intesa Sanpaolo -4,05 13,3% Monte Paschi di Siena -8,63 12,8% Ubi Banca -5,14 13,0% Banco Popolare -7,47 13,7% Mediobanca -4,79 11,1% Bpm -3,51 11,3% Pop. Emilia -6,68 11,1% Banca Carige +1,91 9,4% Pop. Sondrio -1,32 10,1% Veneto Banca - 10,5%* Pop. Vicenza - 10,7%* ** Iccrea - 11,1%* Stoxx Banche -3,20 Performance borsa CET1 RISERVATA (*) dati aggiornati al 30/06; (**) può salire al 12,6% dopo la campagna nuovi soci e il rimborso in azioni bond convertibile Fonte: Reuters UniCredit -5,49 10,8% Intesa Sanpaolo -4,05 13,3% Monte Paschi di Siena -8,63 12,8% Ubi Banca -5,14 13,0% Banco Popolare -7,47 13,7% Mediobanca -4,79 11,1% Bpm -3,51 11,3% Popolare Emilia -6,68 11,1% -1,32 10,1% Stoxx Banche -3,20 Performance Borsa CET1 Banca Carige +1,91 9,4% Popolare Sondrio Titoli bancari sotto pressione Foto: TITOLI BANCARI SOTTO PRESSIONE Foto: IL SETTORE I titoli bancari ieri a Piazza affari e il Cet1 (transitional) al 30 settembre 2014 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Ora si tratta a Francoforte Luca Davi Marco Ferrando di Luca Davi e Marco Ferrando L'innalzamento delle asticelle patrimoniali delle banche italiane voluto dalla Bce sarà oggetto di un negoziato. Dalla prossima settimana gli istituti italiani vigilati si recheranno a Francoforte per discutere di eventuali «sconti». Difficile però che ci siano ampi margini. Servizio pagina 7 Trattandosi formalmente di una «proposta», la nuova soglia minima di capitale indicata dalla Bce sarà oggetto di negoziato con le banche vigilate. Per la verità, i banchieri italiani non sembrano molto confidenti di poter ottenere chissà qualche sconto, ma dalla prossima settimana ci proveranno nel corso del nuovo round di incontri programmati a Francoforte. Una serie di appuntamenti, secondo quanto si apprende, già fissati prima di Natale, quando i team ispettivi inviati dalla Vigilanza unica avevan o incontrato per la prima volta gli istituti loro assegnati. Nei prossimi giorni, il confronto entrerà nel vivo: sul tavolo, infatti, ci saranno le prime bozze dei bilanci 2014, quelli - attesi anticipatamente dalla Bce il 10 febbraio - che dovranno recepire non solo le indicazioni fornite da Bce sul capitale, ma anche tutte le rettifiche sui crediti emerse al termine del comprehensive assessment. Il clima tra le banche Il redde rationem è vicino ma le variabili da comporre restano molte, e così si spiegano i diversi umori che trapelano dalle banche in queste ore. A Siena e Genova, alle prese con un capital plan ancora in attesa della sua approvazione definitiva da Francoforte, l'allarme rosso è partito da fine ottobre e non a caso mentre si tenta di puntellare i conti non si escludono ipotesi di M&A: gli incontri dei prossimi giorni saranno decisivi, come ha confermato ieri Mps con una nota ufficiale. C'è da ricordare, al riguardo, che i vertici di Rocca Salimbeni non si limiteranno a incontrare il proprio team ispettivo, ma per venerdì è previsto un incontro con Daniele Nouy, a capo del supervisory board della Bce. Ieri la banca, in linea con le anticipazioni di ieri del Sole 24 Ore, ha confermato di aver ricevuto dalla Bce una bozza preliminare che indica nel 14,3% il nuovo target di capitale Cet1 cui attenersi e che risponderà entro il 16 gennaio. Tuttavia, ha bollato come «prematuro» ogni commento relativo agli obiettivi da raggiungere dopo aver completato il capital plan. Resta da capire se il capitale minimo richiesto sia comprensivo dell'aumento di capitale da 2,5 miliardi già annunciato e che verrà varato entro maggio. Le due big, Intesa Sanpaolo e UniCredit, non sembrano essere state colte di sorpresa dalle nuove richieste della Bce - sul capitale, in fondo, il confronto con la Vigilanza era già prassi negli anni scorsi, quando l'interlocutore era Banca d'Italia - e anche per Ubi e Mediobanca l'asticella sembra decisamente alla portata; più articolata la situazione tra le popolari, dove in tutti i casi si parte da un Cet1 al 30 settembre superiore al 10% ma si dovranno scontare rettifiche di portata variabile: più se ne dovranno scontare sul bilancio 2014, più destano preoccupazione le richieste di Francoforte. Le lettere di metà dicembre D'altronde, è da circa tre settimane che le banche italiane sono al lavoro per mettere a punto le controdeduzioni da presentare agli ispettori. Le lettere di Francoforte sono infatti arrivate ai vertici degli istituti a metà dicembre. In esse, sono indicate nel dettaglio per ogni banca le soglie individuali relative ai due principali indicatori di forza patrimoniale nel quadro dell'avvio dello Supervisory review and evaluation process (Srep), che da quest'anno passa sotto il controllo della Bce, ovvero il Common equity tier 1 ratio e il Total Capital Ratio. Non si tratta di un dettaglio di poco conto. Eventuali lacune che dovessero presentarsi sul fronte del Cet 1 ratio - che rappresenta il rapporto tra capitale ordinario versato e la attività ponderate per il rischio - potrebbero essere colmate solo con raccolta di capitale fresco, magari da reperire tramite cessione di asset. Diversamente, lacune sul fronte del Total capital ratio - che rapporta la somma del patrimonio di base e supplementare con gli attivi ponderati - troverebbero compensazione anche con l'emissione di SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LA VIGILANZA 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato strumenti subordinati. © RIPRODUZIONE RISERVATA 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Draghi, serve terapia shock di Donato Masciandaro Per essere efficace in termini di aspettative e di uscita dalla trappola della liquidità, l'espansione monetaria quantitativa annunciata da Draghi deve creare uno shock. Come? Dipenderà dalle caratteristiche che l'operazione avrà come qualità dei titoli, dimensione, venditori, tassi d'interesse. Continua pagina 6 Continua da pagina 1 Lo shock sarà tanto più forte quanto più le caratteristiche non convenzionali saranno radicali. L'annuncio del presidente Bce della possibilità di attuare una ulteriore espansione monetaria anche basata su interventi sui mercati finanziari di acquisto di titoli - il cosiddetto Qe - ha ulteriormente accentuato l'attesa dei mercati sulla fisionomia che tale espansione potrebbe concretamente avere. Punto di partenza: per essere utile all'Europa, l'espansione monetaria quantitativa deve essere efficace. L'efficacia dipende a sua volta dalla situazione macroeconomica in cui l'azione della banca centrale viene messa in atto. L'Unione vive una situazione che ha due connotati straordinari e speculari: vi è una trappola della liquidità da aspettative di ristagno economico, che si accoppiano a una disinflazione, effettiva e attesa.Da un lato la trappola della liquidità nasce dalla mancanza di fiducia su una ripresa economica robusta e stabile. Per cui famiglie, imprese e banche tendono a cercare la liquidità, ma non a spenderla e investirla. Per le espansioni monetarie "normali" non hanno effetto. Allo stesso tempo, la flessione dei prezzi - che in linea di principio può avere sia effetti positivi che negativi sulla produzione - si accoppia alla crisi di fiducia, tendendo anzi a rafforzarla. La caduta di prezzi e aspettative può ulteriormente minare la credibilità della banca centrale di saper mantenere la stabilità monetaria. A meno che non sia una politica monetaria "straordinaria", vale a dire che produca un effetto, doppio e congiunto: contribuire a "riparare" il meccanismo della liquidità, rotto dalla trappola; incidere sulle aspettative, in modo che il tasso di inflazione, atteso ed effettivo, torni il più velocemente possibile verso l'obiettivo del 2%. Sarà il Qe della Bce una politica monetaria "straordinaria"? Tutto dipende dalla capacità di creare uno shock nei mercati, ma anche e soprattutto nelle imprese e nelle famiglie: se tutti credono che l'azione della Bce è davvero in grado di uscire dalla trappola e di far crescere il livello dell'inflazione, ciascuno troverà conveniente spendere o investire la liquidità, visto che economia e prezzi saranno in crescita. Quanto "shoccante" può essere il Qe di Draghi? Possiamo identificare due estremi: l'opzione standard - shock minimo - e l'opzione radicale - shock massimo - tra cui poi collocare tutta una serie di possibili varianti. Nell'opzione standard l'oggetto dell'operazione saranno titoli pubblici europei, acquistati in proporzione al peso economico relativo dei diversi Paesi, con un obiettivo quantitativo al massimo di ripristino della liquidità primaria, avendo come controparti le banche europee, e facendo attenzione a non prestare a tassi negativi. Nell'opzione standard il tasso di sorpresa tende a zero. La Bce metterebbe in atto una tradizionale operazione di mercato aperto in titoli pubblici. Essendo la Bce la banca centrale di una Unione federale tra Stati sovrani, proprietari della banca centrale stessa, il criterio più conservatore è quello che gli acquisti di titoli tengano conto delle quote di proprietà, cioè del peso economico dei diversi Stati. Questo criterio dovrebbe però tener conto di un altro criterio prudenziale: evitare il rischio di perdite sui titoli stessi. Il rischio di perdite può emergere sia sui titoli dei Paesi "forti" - se vengono acquistati a tassi nominali negativi - o sui titoli dei Paesi "deboli", se quei Paesi rischiano la bancarotta. Infine, anche il perimetro delle controparti - le banche europee - non presenterebbe novità. Nell'opzione radicale l'obiettivo di aumentare la liquidità in circolazione nei tempi più brevi possibili diventa dominante rispetto a qualunque altra considerazione. Per cui la Bce dovrebbe essere pronta a operazioni di mercato aperto e/o di rifinanziamento utilizzando titoli pubblici e/o privati, europei e non, con effetti sulla rischiosità del suo bilancio. In parallelo, dovrebbe essere pronta a SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL QE 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato operazioni con tassi negativi, effettivi o attesi. Infine, dovrebbe aumentare il novero delle controparti, allargando il perimetro a banche e intermediari non europei e non convenzionali, imprese (e famiglie?) incluse. Il ripristino della liquidità primaria dovrebbe essere il pavimento, non il tetto dell'operazione. Ciliegina sulla torta? Al fine di riportare velocemente i prezzi sul sentiero abbandonato nel gennaio 2013 - ultimo mese con un tasso d'inflazione europeo del 2% - l'obiettivo di inflazione potrebbe essere temporaneamente alzato al 3%-4%. Tra l'opzione radicale e quella standard vi è evidentemente un abisso in termini di shock, la loro relativa fattibilità politica: che è esattamente la distanza che separa la probabilità di efficacia della prima rispetto alla seconda. © RIPRODUZIONE RISERVATA 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 6 (diffusione:334076, tiratura:405061) Bce: acquisti per 500 miliardi Francoforte potrebbe concentrare il Qe sui titoli di Stato con investment grade Alessandro Merli LE MODALITà Gli economisti temono che il rischio di perdite possa essere attribuito alle banche centrali nazionali: «Sarebbe la fine dell'unione monetaria» FRANCOFORTE Lo staff della Banca centrale europea ha messo sul tavolo del consiglio questa settimana diverse opzioni per l'acquisto di titoli pubblici, in vista dell'atteso annuncio del quantitative easing (Qe) alla riunione del 22 gennaio. Secondo diverse fonti monetarie, una delle ipotesi presentate mercoledì è stato l'acquisto di 500 miliardi di euro (la soglia più bassa della forchetta indicata finora dagli economisti di mercato) di titoli investment grade, che escluderebbe quindi Grecia e Cipro. Gli oppositori del Qe, secondo alcune di queste fonti, sarebbero pronti ad accettare una somma più alta a patto che il rischio, almeno di una parte degli acquisti, non venga assunto dalla Bce nel suo bilancio, ma resti alle banche centrali nazionali. Un punto cruciale, secondo molti: la mancata condivisione del rischio metterebbe in crisi l'idea stessa di unione monetaria, secondo l'economista Paul de Grauwe, della London School of Economics. L'idea che il Qe sia necessario si sta facendo strada nel consiglio, secondo diverse indicazioni, soprattutto dopo la pubblicazione del dato dell'inflazione di dicembre, negativo per la prima volta da oltre cinque anni, e l'aspettativa diffusa che l'inflazione possa restare sotto zero per buona parte dell'anno. Ieri si sono fatte sentire però ancora una volta voci di dissenso: Sabine Lautenschlaeger, ex vicepresidente della Bundesbank e oggi membro del comitato esecutivo, ha ribadito, secondo il settimanale tedesco "Spiegel", la sua opposizione all'acquisto di titoli pubblici in questo momento, ritenendo che possa trattarsi solo di una misura di ultima istanza. Il voto contrario della signora Lautenschlaeger vorrebbe dire che entrambi i membri tedeschi (dando per scontata l'opposizione del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann) potrebbero schierarsi contro il Qe, a differenza di quanto avvenne due anni fa al lancio del piano anti-crisi Omt, che fu invece appoggiato da Joerg Asmussen. Il governatore della Banca centrale estone, Arno Hansson (che peraltro non voterà al prossimo consiglio, in virtù della rotazione introdotta proprio all'inizio del 2015 con l'ingresso della Lituania, che ha portato i consiglieri a 25), ha ripetuto in un'intervista a Bloomberg Tv di ritenere il Qe "problematico". Un altro oppositore dichiarato è il presidente della Banca centrale olandese, Klaas Knot. Nei poco più di dieci giorni che mancano alla riunione, toccherà all'abilità diplomatica del presidente Mario Draghi raccogliere il più ampio consenso possibile. Il consiglio non ha finora preso alcuna decisione. Resta incerto sia il volume degli acquisti (che potrebbero essere integrati da quelli di titoli di enti europei, come Ue, Bei, Efsf e Esm, e da obbligazioni societarie) e il tempo di attuazione. Se realizzato in un solo anno, l'importo di 500 miliardi di euro vorrebbe dire oltre 40 miliardi al mese, che, sommato alle operazioni su obbligazioni bancarie garantite e titoli cartolarizzati (Abs) già in corso, costituirebbe un intervento non lontano da quelli della Federal Reserve americana. Diluito su due anni, invece lo stesso importo sarebbe insufficiente, secondo le valutazioni di mercato. La Bce ha l'opzione di dichiarare un importo complessivo oppure un importo mensile. È meno probabile che dichiari volumi e tempi illimitati, date le possibili controversie legali, come quelle già sollevate contro l'Omt. La scelta di puntare su titoli investment grade avrebbe il vantaggio di escludere, almeno temporaneamente, la Grecia, dove si svolgeranno le elezioni tre giorni dopo la riunione del consiglio Bce, almeno fino a che non venga concordata un'estensione del programma economico con i creditori internazionali. La situazione greca SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La lunga crisi 10/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 6 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato non farà rinviare la decisione sul Qe, ha detto giovedì il membro del comitato esecutivo Benoit Coeuré. L'ipotesi alternativa, di acquistare solo titoli tripla A non sembra percorribile, in quanto penalizzerebbe eccessivamente Italia e Spagna. Quanto alla suddivisione dei titoli da acquistare, ci si potrebbe basare sulle quote dei Paesi nel capitale della Bce o sulla quota nel mercato del debito sovrano, o una combinazione dei due parametri. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il bilancio delle Banche centrali Fonte: Statistiche di banche centrali nazionali Fonte: Statistiche di banche centrali nazionali Foto: Francoforte. La nuova sede della Banca centrale europea dove si terrà la conferenza stampa del 22 gennaio Foto: A CONFRONTO 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) BB Biotech, focus sull'oncologia La scommessa delle malattie rare Vittorio Carlini BB Biotech è un fondo, quotato a Piazza Affari (oltre che a Francoforte e Zurigo) che investe in società biotecnologiche. Il settore, seppure diverse sue realtà siano ormai aziende mature, resta ad alta crescita e difficile da approcciare. Insomma, non adatto al trader fai-da-te. Ciò detto, il Nasdaq Biotechnology Index in 10 anni (chiusura al 31 dicembre scorso) ha guadagnato oltre il 338%. Negli ultimi 12 mesi, poi, ha sovraperformato (+31,5%) l'S&P 500. Al che, inevitabilmente, viene da pensare che sussista il rischio di una bolla nel settore. Anche perchè, a fronte dell'eccesso di liquidità sui mercati, molti denari «generalisti» sono stati investiti nei titoli biotech.Una situazione che può agevolare, nel momento di difficoltà, la corsa alle vendite. BB Biotech non condivide l'analisi. Nonostante la attuali valutazioni il comparto è ancora in crescita. E questo grazie a ricche pipeline e imminenti lanci di nuovi farmaci. Certo, è necessario fare selezione. Però, aggiunge BB Biotech, l'incremento medio annuo di settore tra 2014-2016 è stimato a circa il 13%. Al di là delle considerazioni sul comparto, quali però le strategie del 2015 di BB Biotech? Il fondo specializzato indica che un focus rimane sul settore dell'oncologia. Oltre a questo si guarda, poi, alle malattie rare e a quelle infettive. Senza dimenticare, infine, settori di frontiera quali ad esempio, le «platform tecnologies». Cioè, processi tecnologici costruiti a misura del paziente. Servizio pagina 18 www.ilsole24ore.com/finanza La «Lettera» online per gli abbonati Le biotecnologie, mondo dove investe il fondo BB Biotech (quotato a Milano, Francoforte e Zurigo), non sono pane troppo adatto per i denti del signor Rossi. Soprattutto, se è dedito al fai-da-te. Si tratta infatti di un settore molto specializzato, caratterizzato dall'alta crescita, dove la classica scottatura è dietro l'angolo. Insomma: più rischi cui corrispondono, però, maggiori rendimenti. Per rendersene conto basta guardare all'andamento del Nasdaq Biotechnology Index (Nbi), cioè il paniere dove sono quotate gran parte delle società biotecnologiche. Ebbene, negli ultimi 10 anni (chiusura al 31 dicembre scorso) la performance semplice del Nbi mostra un incremento del 338,11%. Nello stesso arco di tempo l'S&P 500, anche con il re-investimento delle cedole nell'indice, guadagna «solamente» il 114,6%. La storia si ripete su tempi più brevi: nei 5 anni la «tradizionale» Wall Street è salita del 112,6% (sempre total return) mentre il paniere delle biotecnologie (senza contare i dividendi) è cresciuto del 269,4%. Negli ultimi 12 mesi, poi, il Nbi è aumentato del 31,5% a fronte del rialzo del 12,8% dell'S&P 500. I numeri, quindi, testimoniano la migliore performance del mondo biotech. I semplici dati, tuttavia, raccontano metà della storia. Come spesso accade per business di frontiera, seppure non più giovanissimi, i corsi azionari possono subire forti scossoni. Così, ad esempio, è accaduto tra la fine di febbraio fino a metà aprile del 2014. In quel periodo, mentre Wall Street proseguiva la sua marcia al rialzo, il Nasdaq Biotech Index è crollato da oltre 2800 punti in area 2250. Certo, poi si è ripreso e oggi viaggia su quota 3200. Il violento scossone, però, è innegabile. Così come non può nascondersi che, secondo il terminale Bloomberg, il rapporto tra prezzo e utili del Nbi sul 2015 è stimato a 40,99. Vale a dire, un valore inferiore al passato (ad esempio 72,6 nel 2012) ma superiore a quello dell'S&P 500 che è già considerato sopravvalutato. Al che sorge il dubbio: il rally di lungo periodo, conseguenza anche dell'eccesso di liquidità, può trasformarsi in bolla finanziaria. Alcuni esperti ricordano, ad esempio, che molti capitali di fondi «generalisti», in caccia di rendimento, hanno comprato titoli biotech. Una situazione che, alle prime difficoltà del comparto (o più, più in generale, della Borsa), può generare la corsa alle vendite . BB Biotech invita ad una lettura meno superficiale. Nonostante le attuali valutazioni il settore, seppure più maturo rispetto al 2000, è ancora in fase di crescita. E questo grazie a ricche pipeline e imminenti lanci di farmaci importanti. L'incremento atteso medio annuo di settore, sottolinea BB Biotech, tra il 2014 e il 2016 è SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LETTERA AL RISPARMIATORE 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato del 13%. Quindi le valutazioni correnti sono ancora attraenti. Ciò detto, può ulteriormente obiettarsi che le quotazioni, anche nel pharma, sono state drogate da dividendi e, soprattutto, mega buyback. Nel 2014, questi ultimi, dovrebbero avere raggiunto la cifra record di 914 miliardi di dollari. Diversi esperti, però, non condividono il dubbio: l'uso dei flussi di cassa per operazioni a supporto del titolo non è un male in sé. Anzi, è servito a sostenere i corsi azionari. Il fatto, poi, che gruppi come Amgen o Actelion paghino una cedola è la prova che molte società sono ormai solide e mature. Corretto! Però, queste strategie distolgono importanti denari dagli investimenti in ricerca e sviluppo. Cioè, quelle attività che sono vitali per qualsiasi azienda attiva nelle biotecnologie. BB Biotech ribatte che chi effettua simili operazioni sono essenzialmente le grandi realtà. Gruppi che hanno eccedenze di liquidità tali da non potere essere tutte indirizzate nell'R&D. Quindi, l'argomentazione non ha molta forza. Al di là del riacquisto di azioni proprie e dei multipli, gli esperti guardano comunque ad un altro elemento per definire lo stato dell'arte nelle biotecnologie: le Ipo. Secondo Dealogic, nel 2014 il valore globale dei collocamenti di società biotecnologiche ha raggiunto 3,085 miliardi. La cifra costituisce il record degli ultimi 14 anni ed è stata spinta soprattutto dall'effervescenza negli Stati Uniti. Qui le Ipo sono state 24 (13 in Europa) per un controvalore di 2,03 miliardi. Ebbene, a fronte di una simile dinamica l'interpretazione può essere duplice: da una parte c'è chi dice che si tratta dell'ulteriore prova del positivo «momentum» del settore; dall'altra si sottolinea, invece, che il grande numero di sbarchi in Borsa è il riflesso di una esuberanza irrazionale che darà vita a fuochi di paglia. BB Biotech, dal canto suo, articola il pensiero. Certo, non può escludersi che in futuro possano esserci dei fallimenti. Proprio per questo motivo, è l'indicazione, la selezione meticolosa delle società cui guardare è essenziale. Ciò detto, il mondo delle biotecnologie rimane l'origine di molti dei nuovi farmaci approvati dalla Fda. C'è, negli Stati Uniti, un atteggiamento più coraggioso rispetto all'«assumersi dei rischi» ed è proprio per questo che nascono tante aziende biotech. Oltre, poi, i moltissimi spin-off universitari nella Silicon Valley ( e non solo). Insomma, per BB Biotech c'è la speranza e la previsione che la tendenza sulle Ipo si confermi. Fin qui alcune indicazioni sulle potenzialità, e i corrispondenti rischi, del settore. Quali però le strategie di BB Biotech? Gli investimenti della società, che gestisce un fondo chiuso, sono (al 30/9/2014) focalizzati per il 38,6% sul settore dell'oncologia. Il quale, è l'indicazione di BB Biotech, rimane il comparto più rilevante. A seguire ci sono le malattie orfane (19,4% il peso sul portafoglio, sempre al 30/9/2014) e poi le malattie infettive (15,9%). Proprio in quest'ultimo comparto possono sussistere, indica BB Biotech, realtà già affermate ma con ulteriori potenziali. Così è, ad esempio, Gilead. Nei primi nove mesi del 2014, i ricavi del gruppo statunitense si sono assestati a 17,57 miliardi di dollari (erano stati 8,08 un anno prima). I costi operativi sono anch'essi aumentati ma ad una velocità inferiore rispetto a quella del giro d'affari. Tanto che l'utile netto è balzato a 8,6 miliardi. Al di là del conto economico il gruppo, ricordano gli esperti, ha una buona posizione nelle medicine anti-virali. Nel novembre scorso Gilead ha ricevuto in Europa l'ok per la commercializzazione della combinazione di Sovaldi e Ledipasvir contro l'Epatice C. Ma non sono solo le malattie infettive. Un altro focus, per l'appunto, è quello sulle «orphan drug». Le malattie rare senza cura sono, purtroppo, molto numerose. Per questo le potenzialità del settore rimangono elevate. Inoltre, aggiunge BB Biotech, il percorso di sviluppo di un farmaco per malattie rare può godere di diversi «vantaggi», considerando la mancanza spesso totale di terapie adeguate e di competitor. Così, in questo campo, nel radar di BB Biotech c'è, ad esempio, Alexion Pharmaceuticals. Si tratta di una società più piccola di Gilead. Seppure anch'essa è già in utile e, sul 2014, ha rivisto al rialzo le guideline. L'indicazione sui ricavi per l'esercizio appena concluso è, infatti, passata dalla forchetta tra 2,18 e 2,2 miliardi di dollari, a quella di 2,22 e 2,225 miliardi. Mentre le stime sull'utile non Gaap sono state ritoccate all'insù nell'intervallo tra 5,15 e 5,20 dollari per azione. Al di là delle «orphan drugs» e delle malattie infettive, rimane però sempre l'importanza delle cure al cancro. In tal senso, al 30/9/2014, la maggiore partecipazione era Celgene (12,2% il suo peso sul portafoglio). Il 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato gruppo Usa, focalizzato oltre che sulle cure del cancro ematico anche nelle patologie infiammatorie, nei primi nove mesi del 2014 ha riportato ricavi per 5,58 miliardi e un utile netto in crescita a 1,386 miliardi (erano stati 1,235 un anno prima). I conti, come già indicato in precedenza dalla «Lettera al risparmiatore» sono stati spinti anche, e soprattutto, dal suo blockbuster: il Revlimid. Il farmaco contro il mieloma multiplo, in avvio del 2014, era previsto generare vendite tra 4,9 e 5 miliardi. Ebbene, alla fine di settembre scorso Celgene ha confermato che i ricavi da Remivlid sono stimati leggermente oltre 4,95 miliardi. Tutto rose e fiori, quindi? Non proprio. I fondamentali, con il Nib sui massimi, contano meno. Il multipli delle società (il P/e di Celgene sul 2014, ad esempio, è 31) non sono a sconto. Essenziale, quindi, è la diversificazione. Oltre alla reale conoscenza del settore. © RIPRODUZIONE RISERVATA Vittorio Carlini Foto: I NUMERI DI BB BIOTECH PORTAFOGLIO E TITOLI 10 posizioni principali al 30/09/2014 Dati in percentuale PORTAFOGLIO E SETTORI Dati in % al 30/9/2014 IL SETTORE BIOTECH IN BORSA BB BIOTECH A PIAZZA AFFARI 7/1/2014=100 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Al via fondo pubblico-privato per l'industria, si comincia dall'Ilva Carmine Fotina Carmine Fotina pagina 7 ROMA Si partirà dall'Ilva per poi intervenire in altre crisi industriali: il governo è pronto a far decollare un nuovo strumento per le ristrutturazioni aziendali, che assumerà la forma di un Fondo di investimento o anche di una Spa holding di partecipazioni. La novità, che consentirà anche il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, dovrebbe entrare nel decreto "Investment compact" o in alternativa essere inserita nell'iter parlamentare del decreto Ilva attualmente all'esame del Senato. Contemporaneamente, sempre in chiave industriale, si lavora ai "Development bond", l'equivalente dei project bond finalizzato però allo sviluppo di reti e consorzi di impresa. Strumento anti-crisi Il pacchetto di proposte è al vaglio di un gruppo di lavoro composto dagli esperti di Palazzo Chigi e dai capi della segreteria tecnica del ministero dell'Economia e del ministero dello Sviluppo economico, rispettivamente Fabrizio Pagani e Stefano Firpo. Il nuovo strumento per le ristrutturazioni interverrebbe in crisi di aziende caratterizzate da squilibri patrimoniali e finanziari solo temporanei, quindi dotate di buone prospettive industriali ed economiche. Questo target di imprese è monitorato con interesse da grandi banche, fondi, investitori istituzionali che per investire, però, richiedono una forma di presenza pubblica. Di qui l'idea di coinvolgere la Cassa depositi e prestiti con le uniche modalità che consentano di farlo senza rischiare di violarne lo statuto, di attivare un intervento di vigilanza di Banca d'Italia o peggio ancora di innescare una procedura Ue di infrazione per aiuti di Stato. In sostanza Cdp può entrare in quest'operazione solo con il ruolo di anchor investor, a determinate condizioni, e con la garanzia dello Stato. Soggetti pubblici e privati Si sta immaginando la creazione di un Fondo di investimento o una Spa holding di partecipazioni, con conferimenti potenziali nell'ordine di 3-4 miliardi di cui 1 di fonte privata. Potrebbero entrare anche soggetti stranieri, in linea con le iniziative del governo per aumentare l'afflusso di investimenti esteri (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). Ci sarebbero due categorie di quote o azioni: le prime sottoscritte da banche, investitori istituzionali, fondi di investimento e altri privati; le seconde sottoscritte da Cdp ma anche fondi pensioni, Poste Vita, Inail, assicurazioni vita. I privati sarebbero comunque dotati di poteri speciali nella governance societaria, compreso il veto su nuovi investimenti. Gli altri investitori, invece, beneficerebbero di una garanzia dello Stato sul capitale investito e su un rendimento minimo. Uno schema di questo tipo potrebbe generare una buona redditività e con circa 300 milioni di copertura si potrebbero garantire 3-4 miliardi di conferimenti. Da un punto di vista strettamente normativo, si potrebbe sfruttare come base il «Fondo di servizio per la patrimonializzazione delle imprese» già previsto dal decreto sblocca Italia, ovviamente con tutte le modifiche del caso. Ilva Come detto, l'Ilva sarebbe la prima missione di questo nuovo strumento. Verrebbe creata un'ulteriore newco che prenderebbe in affitto gli asset Ilva depurati delle passività, per poi imbarcare anche altri soci (partner siderurgici ad esempio). Solo come ipotesi alternativa, il Fondo (o la Spa) entrerebbe in seconda battuta nel capitale di una newco costituita con fondi a disposizione dell'amministrazione straordinaria e con risorse Ue. Industrial bond In questi giorni viene messo a punto il decreto legge sull' "Investment compact" che, a meno di cambiamenti di rotta, il governo intenderebbe varare al consiglio dei ministri del 20 gennaio. Tra le proposte in ballo c'è anche quella dello Sviluppo economico per la creazione degli "Industrial development bond" sulla falsariga di alcuni analoghi strumenti presenti all'estero. Si tratterebbe di bond, destinati a investitori qualificati, emessi SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL RILANCIO DELL'ECONOMIA 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato per finanziare progetti di reti con soggettività giuridica o consorzi di imprese. Progetti di integrazione della filiera, internazionalizzazione, innovazione e ricerca, digitalizzazione dei processi aziendali, sviluppo della catena commerciale, ottimizzazione dei crediti commerciali. Le obbligazioni "industriali" godrebbero, come nel caso dei project bond riservati alle infrastrutture, di un trattamento fiscale equiparato ai titoli di Stato: ritenuta ridotta del 12,5%, anziché del 26 per cento. © RIPRODUZIONE RISERVATA I SEGNALI DI RIPRESA DELLA DOMANDA VALORE TOTALE DEI BANDI DI GARA PUBBLICATI Dati in milioni di euro LA RIPARTIZIONE Numero e importi (in milioni di euro) dei bandi pubblicati per committenti Valori assoluti Var. % su 2013 Numero Importo Numero Importo Comuni 10.104 6.368 21,1 46,0 Regioni 185 2.132 69,7 258,0 Aziende speciali 1.103 2.709 21,7 4,8 Anas 652 1.389 38,7 128,6 Concessionarie Anas 92 283 46,0 -50,1 Ferrovie 248 3.021 17,0 45,8 LE NOVITÀ LE AZIENDE «TARGET» Si interverrebbe in imprese con squilibri patrimoniali e finanziari solo temporanee, dotate quindi di buone prospettive industriali ed economiche. Aziende che ad esempio sono soffocate da temporanee crisi di liquidità. Non ci sarebbe il vincolo di investire esclusivamente in aziende che già sono in utile IL RUOLO DEI PRIVATI Inizialmente il Fondo o la Spa potrebbe essere costituito esclusivamente da Cdp e altri investitori della sfera pubblica, pe rpoi aprirsi successivamente ai privati. Quest'ultimi sarebbero dotati di speciali poteri nella governance, fino al possibile veto sull'adozione di nuovi investimenti LA COPERTURA Si calcola che 300 milioni di euro potrebbero essere sufficienti alla costituzione di un fondo che copra la garanzia dello Stato in modo da garantire tra i 3 e i 4 miliardi di conferimenti nel nuovo soggetto. La garanzia dello Stato è un elemento essenziale per poter consentire alla Cdp di intervenire nell'operazione L'OPERAZIONE ILVA Il Fondo o Spa dovrebbe creare un'ulteriore newco che prenderebbe in affitto gli asset Ilva depurati delle passività, per poi imbarcare anche altri soci. Solo come ipotesi alternativa, il Fondo (o la Spa) entrerebbe in seconda battuta nel capitale di una newco costituita con fondi a disposizione dell'amministrazione straordinaria e con risorse Ue 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 9 (diffusione:334076, tiratura:405061) Fabio Pavesi GLI EFFETTI DEGLI ACQUISTI Le banche venderanno con plusvalenze i BTp in portafoglio e i titoli industriali correranno con l'euro debole Arriva tardi, sarà (forse) insufficiente e pasticciato quando a efficacia e dimensioni, ma arriverà. E presto. Il mercato lo dà per certo: il bazooka della Bce, con l'acquisto di titoli pubblici, verrà messo in campo nella prossima riunione del 22 gennaio. Del resto il termometro, o meglio il sismografo delle Borse, lo segnala con particolare sensibilità. È bastato che l'altro giorno Draghi si riferisse ai bond sovrani nel preparare il terreno al Qe in salsa europea, per far scattare immediatemente al rialzo i listini. Così come è bastata l'indiscrezione su un piano da "soli" 500 miliardi, anzichè i mille attesi dal mercato per provocare il ritracciamento delle Borse. La solita cupidigia degli operatori finanziari che invocano ormai da più di un lustro sempre più stimoli monetari per far correre i loro investimenti, verrebbe da dire. Ma è così. I veri beneficiari delle manovre espansive non convenzionali delle banche centrali sono proprio i mercati. Con l'unica eccezione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, dove accanto alle massiccie iniezioni di liquidità sono state realizzate politiche fiscali altrettanto espansive, gli interventi d'acquisto di titoli non hanno prodotto granchè. Basti pensare al Giappone dove la Borsa di Tokio è stato di fatto il beneficiario assoluto dell'Abenomics. E certo la ripresa è tangibile e forte negli Usa, anche grazie all'attivismo di "mamma" Fed, ma il segnale più imponente è stato il triplicarsi del valore di Wall Street. Questo per dire che la cura massiccia della liquidità, praticata a più riprese per riavviare i motori dell'economia, ha avuto il suo effetto più pieno nel drogare letteralmente gli asset finanziari. Ecco perchè è facile intuire che il Qe di Francoforte finirà per trascinare all'insù le Borse, in particolare del Sud Europa, E dentro a quei listini saranno le banche italiane, spagnole, portoghesi e greche a mettersi a correre. Ma sarà un cammino denso di volatilità da qui all'avvio del piano di acquisto di bond. Saranno divisi per peso specifico per Paese? Saranno concentrati solo sui rating maggiori, o includeranno tutti i bond fino alla tripla BBB cioè tutti i livelli di investment grade? La dimensione degli acquisti arriverà ai mille miliardi o si ferma a cifre simboliche? Attorno a queste domande i listini si muoveranno a elastico nelle prossime settimane. Se è assodato che la nuova liquidità beneficerà la ricchezza finanziaria di chi investe in Borsa e bond, difficile capire se il bazooka della Bce sarà altrettanto efficace a ridare fiato all'economia europea. Molti analisti sono scettici. Finora le manovre di stimolo monetario della Bce si sono infrante nel nulla. Sia l'Ltro da mille miliardi, sia il Tltro sono stati un semi fiasco. La liquidità si è fermata al sistema bancario e non si è trasmessa all'economia reale. Le banche hanno fatto incetta di titoli pubblici trasformandosi in tesorerie finanziarie. Del resto la domanda di credito è bassa e il rischio di credito non è mai stato così alto. E quella liquidità a bassissimo costo non viene spesa, come ricorda Alberto Gallo di Rbs neanche da Governi e imprese. Leimprese non investono, i Governi non spendono: il deficit europeo, imbrigliato nella tagliola di Maastricht, è al 3%, meno di un terzo di quando gli Usa lanciarono il loro Quantitative easing. L'unico effetto visibile del Qe europeo, oltre all'apprezzamento delle Borse è, e sarà, quello della svalutazione della moneta unica. Sta già avvenendo e la futura manovra di Francoforte aiuterà l'euro a restare debole sul dollaro, aiutando le esportazioni europee. Oltre alle banche, che si libereranno con laute plusvalenze dei bond governativi che hanno accumulato in questi anni, saranno i titoli industriali esposti ai mercati mondiali a beneficiarne. Per tirare fuori l'Eurozona dalle secche della stagnazione però, servirà ben altro che il Qe di Francoforte. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato I listini attendono solo l'allentamento quantitativo Bce 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 17 (diffusione:334076, tiratura:405061) La «voluntary» vince sullo scudo Esborso minore per regolarizzare immobili ereditati se non hanno prodotto reddito Valentino Tamburro La voluntary disclosure può battere l'ultimo scudo fiscale in convenienza se le attività da regolarizzare non hanno prodotto redditi significativi o addirittura alcun reddito. È il caso, per esempio, degli immobili ricevuti in eredità o in donazione e non dichiarati al fisco italiano ma da cui non è stato mai ottenuto alcun reddito, perché per esempio non sono stati locati. Il costo dell'adesione alla procedura di rientro dei capitali potrebbe, infatti, risultare in alcuni casi inferiore rispetto a quello sostenuto dai contribuenti che hanno aderito all'ultima «edizione» dello scudo fiscale entro il 30 aprile 2010. Mentre l'applicazione dell'imposta dovuta nel caso di adesione allo scudo fiscale si basava su una presunzione assoluta che non teneva conto del periodo di effettiva detenzione all'estero delle attività oggetto di regolarizzazione o rimpatrio né del reale rendimento conseguito, la procedura di voluntary disclosure tiene conto di entrambi i predetti parametri e potrebbe risultare più conveniente rispetto all'ultimo scudo con aliquota effettiva applicabile al 7 per cento. Le condizioni Tale circostanza non si verifica quando le attività oggetto di regolarizzazione siano derivanti da evasione fiscale ancora accertabile (si veda «Il Sole 24 Ore» del 9 gennaio). Qualora, invece, le attività finanziarie e patrimoniali siano state acquisite per successione o donazione, l'adesione alla procedura di voluntary disclosure potrebbe risultare più conveniente rispetto ai costi che sarebbero stati sostenuti applicando le vecchie regole per lo scudo fiscale, soprattutto nel caso in cui le attività regolarizzate non abbiano prodotto redditi significativi o alcun reddito. Naturalmente per la Svizzera la convenienza dipende dalla stipula entro il prossimo 2 marzo 2015 dell'accordo di modifica alla Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con l'Italia. In questa ipotesi e con la conseguente riduzione delle sanzioni, il confronto dei costi negli esempi a lato è stato effettuato tra le seguenti situazioni: un contribuente che nel 2015 aderisce alla procedura di voluntary disclosure in relazione ad attività pervenute per successione nel corso del 2013; un contribuente che nel 2010 ha aderito allo scudo fiscale in relazione ad attività pervenute per successione nel corso del 2008. Le altre variabili Ma ci sono anche altre variabili da considerare rispetto alla sanatoria 2009-2010. In primo luogo, bisogna capire se il patrimonio oggetto di regolarizzazione proviene a sua volta da soggetti che abbiano correttamente adempiuto agli obblighi di dichiarazione in Italia oppure da soggetti fiscalmente residenti all'estero. A differenza dello scudo, la voluntary disclosure non garantisce più l'anonimato e ciò potrebbe determinare, ad esempio, l'apertura di un controllo fiscale nei confronti del defunto ovvero del soggetto donante. In tal caso, sebbene le sanzioni siano intrasmissibili agli eredi, sarebbero comunque dovute le imposte e relativi interessi. In secondo luogo, le attività finanziarie con una media delle consistenze al termine di ciascun periodo d'imposta oggetto di disclosure fino a due milioni di euro possono consentire l'opzione per la determinazione dei rendimenti con un forfait del 5% del valore complessivo della consistenza alla fine dell'anno e il calcolo dell'imposta dovuta con l'aliquota del 27 per cento. Si tratta di un'agevolazione che potrebbe avvantaggiare soprattutto chi non ha dichiarato redditi di natura finanziaria tassati secondo l'aliquota progressiva Irpef, come i dividendi da società non quotate residenti in Paesi black list. Negli altri casi potrebbe convenire di più la determinazione analitica dei rendimenti, anche per le consistenze inferiori ai 2 milioni di euro. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Fisco internazionale. Per le attività in Svizzera la convenienza dipende dalla firma dell'accordo che consentirà di ridurre le sanzioni 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 17 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Ivie e Ivafe La regolarizzazione degli immobili e delle attività finanziarie detenute in violazione del monitoraggio fiscale dovrà fare i conti anche con l'Ivie e l'Ivafe, dovute a partire dall'anno d'imposta 2012 e non comprese nella procedura di collaborazione volontaria. Allo stesso modo la voluntary disclosure non permette di sanare le eventuali imposte di successione e donazione dovute. Per quanto riguarda gli immobili, a partire dal periodo d'imposta 2009 in poi devono essere indicati in RW anche se non producono redditi imponibili in Italia. Senza dimenticare, infine, che dal 2013 i criteri di valorizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali estere da indicare nel modulo RW sono cambiati (si veda la circolare 38/E/2013). © RIPRODUZIONE RISERVATA a cura diValentino Tamburro IL CONFRONTO Le differenze tra la voluntary disclosure e l'ultimo scudo fiscale. Importi in euro GLI INVESTIMENTI 01 LA SITUAZIONE Nel 2013 un contribuente italiano ha ricevuto in eredità 100mila euro provenienti da un conto svizzero di un parente in linea retta di primo grado. L'importo è stato accreditato su un conto elvetico.Non superando i 2 milioni di euro, il contribuente opta per il calcolo a forfait. L'imposta dovuta sarà pari al 27% di una percentuale pari al 5% del patrimonio detenuto al 31 dicembre 2013. Per le somme su conto corrente è marginale l'impatto di Ivafe (34,20 euro) e sanzioni, sebbene non sia coperto dalla disclosure 02 LE SANZIONI In caso di accordo Italia - Svizzera, per l'omessa compilazione di RW si applicherà la sanzione del 3%, dimezzata e ridotta a un terzo in adesione. Per i redditi prodotti all'estero la sanzione è pari al 100% dell'imposta evasa aumentata di 1/3 e poi ridotta di 1/4 e a 1/6 in caso di adesione all'invito al contraddittorio a cura diValentino Tamburro LE DIFFERENZE CON L'ULTIMO SCUDO LE IPOTESI DI PARTENZA Attività finanziarie da regolarizzare Valore al 31 dicembre 2008 Valore al 31 dicembre 2013 100.000 1 00.000 IL CONFRONTO DI CONVENIENZA NELLA REGOLARIZZAZIONE Ultimo scudo fiscale Voluntary disclosure Imposta straordinaria pari al 7% del capitale 7.000 Imposte evase 1.350 Sanzioni sulle imposte evase 225 Sanzioni relative a RW 500 Interessi (3,5% per anno) 47 Costo totale della regolarizzazione 7.000 2.122 Risparmio in valore assoluto della voluntary rispetto allo scudo 4.878 L'IMMOBILE EREDITATO 1 LA SITUAZIONE Nel 2013 un contribuente italiano ha ricevuto per successione ereditaria un immobile situato in Svizzera e non locato. Il valore dell'immobile è pari a un milione di euro. Finora non ha mai provveduto a dichiararlo al fisco italiano, per questo intende mettersi in regola con la voluntary disclosure 2 LE SANZIONI In caso di accordo tra Italia e Svizzera, per l'omessa compilazione del modulo RW si applicherà la sanzione del 3%, dimezzata e ridotta a un terzo in adesione. Poiché l'Ivie sugli immobili esteri (che nel caso in questione sarebbe pari a 7.600 euro) non è compresa nella procedura di voluntary disclosure, nel calcolo del costo complessivo bisognerà tenere conto anche dell'impatto di tale imposta e delle relative sanzioni e interessi 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 17 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LE DIFFERENZE CON L'ULTIMO SCUDO LE IPOTESI DI PARTENZA Attività patrimoniali da regolarizzare Valore al 31 dicembre 2008 Valore al 31 dicembre 2013 1.000.000 1. 000.000 IL CONFRONTO DI CONVENIENZA NELLA REGOLARIZZAZIONE Ultimo scudo fiscale Voluntary disclosure Imposta straordinaria pari al 7% del valore dell'immobile 70.000 Sanzioni relative a RW 5.000 Costo totale della regolarizzazione* 70.000 5.000 Risparmio in valore assoluto della voluntary rispetto allo scudo 65.000 * Al netto dell'Ivie che non è compresa nella procedura di volontary disclosure 11/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 21 (diffusione:334076, tiratura:405061) L'economista Dean Baker ha ragione: il recente rialzo dell'economia Usa non è un boom e i paragoni con gli anni 90 sono assurdi. È evidente però che la crescita ha avuto uno scatto in avanti e l'opinione pubblica sembra essersene accorta. Ma allora, cosa dire del non-boom di Obama? La mia opinione è che quello che stiamo vedendo rispecchia in gran parte il graduale llentamento dell'austerity. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto un piano di austerity dichiarato, come in Gran Bretagna, ma un bel po' di austerity c'è stata comunque, specialmente sotto forma di tagli alla spesa per Stati ed enti locali. E anche se non c'è ancora stata una ripresa della spesa, almeno la contrazione si è fermata. Ed è importante rendersi conto che la realtà, con buona pace di tutti i blateramenti sulla riforma sanitaria, la retorica anti-impresa del presidente e il suo ateismo islamico keniano che stanno distruggendo le imprese, è che il settore privato si è relativamente rafforzato sotto la presidenza Obama. Da quando è entrato alla Casa Bianca sono stati creati 6,7 milioni di posti di lavoro in più nel settore privato, contro gli appena 3,1 milioni creati da George W. Bush allo stesso punto del suo mandato. Ma sotto Bush era cresciuta anche l'occupazione nel settore pubblico, di 1,2 milioni di posti di lavoro, mentre sotto Obama se ne sono persi 600mila. Il punto è che l'andamento relativamente positivo dell'occupazione nel settore privato è stato occultato dai tagli nel settore pubblico: è il contrario di quanto si sente dire comunemente, ma di questo non c'è da sorprendersi. E riguardo alle prospettive future? Come ho sottolineato prima, gli investimenti delle imprese sono relativamente alti. Gli investimenti residenziali invece dal 2006 rimangono su livelli molto bassi, e questo lascia intendere la presenza di un accumulo di domanda repressa, che dovrebbe far sentire il suo peso in presenza di un miglioramento del mercato del lavoro. È un elemento di forza, ma oltre a questo c'è anche il basso livello del prezzo del greggio, che in generale è una cosa positiva per l'economia. el complesso, insomma, i prossimi due anni andranno abbastanza bene. Questo non significa che la politica economica nel suo insieme sia stata efficace: abbiamo sprecato migliaia di miliardi di dollari di produzione potenziale e peggiorato la vita di milioni, se non addirittura decine di milioni di individui. Ma la situazione sarà ben più rosea che negli anni precedenti. Mosca nel Texas Beh, insomma, non proprio alla lettera. Però la caduta del prezzo del petrolio avrà effetti molto diversi nelle diverse regioni degli Usa: gli Stati che più hanno beneficiato del boom del petrolio di scisto saranno quelli che subiranno i contraccolpi più pesanti, anche se la maggioranza degli americani ci guadagnerà. A rimetterci di più saranno i due Dakota e il Nebraska, ma in tutta quell'area ci vive più o meno la popolazione di Brooklyn. Il pezzo da novanta fra gli Stati colpiti è il Texas: che impatto avrà il tracollo dell'oro nero da quelle parti? Un impatto grosso. In Texas il settore minerario ha fornito direttamente il 4,7 per cento del Pil. Applicando un moltiplicatore di 1,5, come indicato dalle ricerche più attendibili, arriviamo alla conclusione che il boom del petrolio di scisto ha aggiunto il 7% alla crescita del Texas: e quello che il petrolio di scisto dà, il petrolio di scisto può riprendersi. Non stiamo parlando di un disastro vero e proprio, ma forse di fronte a una situazione in cui il Texas scivolerà in recessione mentre il resto del Paese andrà piuttosto bene. Paul Krugman SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Non è un boom, l'America sta soltanto rimbalzando 12/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La certezza calpestata del diritto tributario Enrico De Mita Lo schema di decreto legislativo sull'abuso del diritto - ora impigliato nella vicenda della contestata soglia di punibilità del 3% - porta nel titolo il riferimento alla «certezza del diritto». Èstato detto che questo provvedimento dovrà lasciare all'interpretazione «uno spazio minimo quasi nullo». È un'affermazione, questa sullo spazio minimo quasi nullo, che va chiarita, perché secondo un'opinione diffusa la certezza del diritto è quella che non lascia alcun spazio all'interpretazione. Ora, il diritto tributario è un diritto come tutti gli altri. Sicché non si può stabilire a priori quanta parte di esso resti affidata alla interpretazione. I principi sono sempre gli stessi. Il tema della certezza del diritto come tema di carattere generale è stato accantonato. Altri temi hanno preso il suo posto come quello dell'affidamento. Perciò non serve a niente scrivere in testa a una legge che essa risponde alla certezza del diritto. È solo uno slogan e il riferimento a questa esigenza può creare degli equivoci se non correttamente inteso. C'è un profilo pacifico del tema che riguarda tutte le leggi tributarie: il numero delle leggi e la loro stabilità nel tempo. Questo è il tema. La semplificazione è un metodo che vuol dire tutto il contrario di una legislazione a getto continuo. La certezza del diritto non può essere data da una legislazione che per la sua immensità è inconoscibile. C'è l'esigenza nel nostro ordinamento (come in quello tedesco) di un codice tributario nel quale le leggi siano semplici e chiare, altrimenti si resta condannati a una legislazione scritta con la mentalità delle circolari e che, per la sua minuziosità, penalizza non solo i contribuenti ma la stessa amministrazione. Ma è la prassi delle circolari che aggrava la situazione, quando introduce nell'ordinamento un'interpretazione distorta, con limitazioni e distinzioni che non hanno fondamento e che contrastano con lo spirito delle leggi. E l'emanazione di una circolare vuol dire certezza di atti d'accertamento conseguenti. Continua pagina 12 Continua da pagina 1 Quindi l'aspirazione ad uno spazio minimo, quasi nullo per l'interpretazione, non è una prospettiva plausibile. Di fronte alla locuzione «sostanza economica», l'Amministrazione non rinuncerà a spiegare, con una circolare, che cosa si intende per sostanza economica nell'abuso del diritto. Lo slogan con cui è stata presentata la legge, la certezza del diritto, risulta vanificata dalla legge stessa. Volendo dare un contenuto proprio alla certezza del diritto, questa vuol dire ripugnanza delle nuove regole senza abrogazione espressa delle precedenti nell'ordinamento legale. Il diritto ha il compito di garantire soprattutto comportamenti sociali rendendo prevedibili valutazioni per il futuro nel processo economico di alto valore costituito dalla sicurezza. Nel diritto tributario, con il forte prevalere delle garanzie costituzionali, perdono di autorità il metodo dell'interpretazione teleologica e della giurisprudenza degli interessi. Al loro posto è subentrata una concezione delle fattispecie legali dirette a garantire l'applicazione perequatrice delle leggi tributarie. La nostra giurisprudenza della Cassazione ha imboccato questa strada quando ha inventato la nozione di abuso del diritto con una interpretazione teleologica e perseguito in modo improprio la tutela dell'interesse fiscale. È sufficiente il provvedimento sull'abuso del diritto a neutralizzare questa tendenza della nostra giurisprudenza? Solo il tempo potrà dirlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Enrico De Mita SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LA DELEGA FISCALE 12/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) La fiducia smarrita di Cristiano Dell'Oste Dare una casa in affitto è ancora un buon affare? A prima vista, vien da dire di sì, almeno guardando i migliori tra i rendimenti netti calcolati dal Sole 24 Ore del lunedì. Dopotutto, livelli medi di ritorno sul capitale tra l'1,78 e il 2,61% - al netto di imposte e spese, e senza considerare il rischio di morosità - non sono male di questi tempi. Ma ci sono altri aspetti che aiutano a capire perché gli italiani non stiano correndo a comprar case da affittare. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 Secondo gli ultimi dati, ci sono 2 milioni di proprietari "persone fisiche", cioè privati, che concedono in affitto 2,7 milioni di abitazioni. È un popolo di risparmiatori, che spesso non si muove analizzando le percentuali di rendimento, ma cogliendo i segnali che definiscono lo spirito del momento. Il primo segnale - chiarissimo - è l'aumento delle tasse. Certo, nel 2011 ha debuttato la cedolare secca. Ma poi è arrivato lo shock dell'Imu, e la pressione fiscale è sempre cresciuta. Basta vedere la progressione dell'aliquota media sulle case locate nei capoluoghi, rilevata dal Caf Acli: 9,49 per mille nel 2012, poi 9,62 per mille l'anno seguente e 10,35 per mille nel 2014 con l'arrivo della Tasi accanto all'Imu. Senza dimenticare la riduzione dal 15 al 5% della deduzione forfettaria per gli affitti in tassazione ordinaria. Il secondo segnale è la diminuzione dei canoni, accompagnata dall'esplosione della morosità. Tra gli indicatori giudiziari di crisi, il numero degli sfratti per morosità è quello che è salito di più negli ultimi quattro anni: +46% tra il 2011 e il 2014 (si veda «Il Sole 24 Ore» del 5 gennaio). Da una parte ci sono famiglie di inquilini in forte difficoltà economica. Dall'altra c'è sempre maggiore prudenza nella selezione dei conduttori, periodi più lunghi in cui la casa resta sfitta e timore di dover anticipare le imposte su affitti non incassati. Il terzo segnale è la diminuzione delle quotazioni immobiliari, che ha scavato crepe profonde nel vero pilastro su cui si è sempre fondato ogni investimento popolare nel mattone, al di là del canone mensile. Se vacilla la certezza della rivalutazione dell'immobile, il risparmiatore medio guarda all'acquisto della casa come alle azioni di Wall Street: prospettive interessanti, magari, ma con l'incognita che il cambio rovini tutto. Al calo delle prezzi si è poi accompagnato il crollo delle compravendite, ridotte a poco più di 400mila rispetto alle 869mila del 2006, anche per la stretta delle banche sui mutui. E così è venuta meno un'altra delle convinzioni granitiche degli italiani: la possibilità di vendere l'immobile in caso di bisogno, velocemente e a un buon prezzo. La crescita dei depositi bancari mostra esattamente che in tempi di incertezza molti risparmiatori preferiscono "restare liquidi", come si dice in gergo. Naturalmente, esistono anche buone ragioni per investire in immobili, se non altro perché molti dei cattivi segnali descritti fin qui potrebbero valere anche per le altre asset class. Ma il clima è questo da qualche anno, e ormai ha un po' incrinato la storica fiducia degli italiani nel mattone. Ecco perché, nel bene e nel male, ogni tentativo di rimettere in moto la fiducia non può trascurare il modo in cui il popolo dei proprietari guarda all'investimento immobiliare. © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ANALISI 12/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) Per i settori del made in Italy segnali di timida ripresa Netti All'orizzonte si profila una ripresa fragile, alimentata dal buon andamento di ordini ed export, agevolati dall'euro e dal greggio ai minimi. In arrivo c'è anche il timido ritorno della domanda interna. Sono gli elementi che quest'anno dovrebbero caratterizzare i sette settori chiave del made in Italy. Ma sulle prospettive di ripresa pesa l'assenza di una politica industriale strategica. pagina 15 Una ripresa fragile, alimentata dalle esportazioni che crescono al traino dell'euro e del petrolio ai minimi, a cui si somma il timido ritorno della domanda interna, seppur condizionata dal clima di (scarsa) fiducia e dalla pressione fiscale (al massimo) che grava su famiglie e imprese. Sono i fattori che nel corso dell'anno condizioneranno l'andamento di sette settori chiave del made in Italy, sempre più proiettati verso i mercati del mondo per compensare l'immobilismo e l'assenza di una concreta politica industriale in grado di ridare il giusto ritmo al manifatturiero. Questo il sentiment che accomuna i pilastri dell'industria nazionale secondo i vertici delle federazioni confindustriali del manifatturiero. «I cali delle materie prime e dell'euro sono elementi che aiutano, ma sono casuali. A mancare sono la fiducia e una politica industriale che supporti e detti le priorità agli investimenti pubblici e privati - dice Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica -. Si devono liberare risorse da investire, altrimenti l'Italia non riparte». La metalmeccanica è stata pesantemente colpita dalla recessione e rispetto agli anni pre-crisi ha perso un terzo della produzione e un quarto della capacità produttiva. Anche il 2015 si preannuncia un anno difficile: l'export rimarrà stabile e la domanda interna ferma. Nell'anno dell'Expo la filiera del food accelera sull'export. «Crescerà del 5-6% e per la prima volta si fermerà la caduta dei consumi alimentari delle famiglie, che dovrebbero aumentare dello 0,3-0,4%» spiega Luigi Scordamaglia, alla guida di Federalimentare. Il calo del greggio, poi, dovrebbe migliorare la capacità di spesa delle famiglie, ma il presidente è preoccupato per un sempre possibile aumento di tasse e accise. Relativamente più facile l'affermazione sui mercati mondiali, «dove la domanda di food made in Italy c'è e cresce». In tutti i casi alle imprese che esportano servono aiuti e un maggior supporto dallo Stato. È quanto oggi Roberto Snaidero, presidente di Federlegno-Arredo, chiederà nel corso di un incontro con il ministro Gentiloni. Lo scorso anno il comparto è riuscito, grazie al bonus mobili, a fermare la caduta della domanda e quest'anno punta a una leggera crescita. La messa in sicurezza è comunque affidata all'export, che dovrebbe crescere del 5 per cento. «Presidiamo sempre più i mercati dell'area del dollaro e quelli emergenti, sperando che le sanzioni alla Russia si allentino - sottolinea Snaidero -. Quest'anno sono in programma oltre venti missioni e nel 2016 si svolgerà la prima grande fiera del design italiano a Shanghai». Si aspetta un anno piatto Claudio Andrea Gemme, presidente Anie (elettronica ed elettrotecnica). «La flessione della domanda interna è compensata dalle esportazioni, ma servono politiche industriali, un piano energetico e una strategia che finalmente favorisca la manutenzione e l'aggiornamento tecnologico di impianti, infrastrutture, immobili pubblici e privati». Gemme tocca anche un altro tasto chiave: quello dell'innovazione. «In queste condizioni sono fortunate le imprese che riescono a investire in ricerca e sviluppo» rimarca. All'interno del perimetro della federazione l'incremento atteso è del 2%, ma non mancano segmenti, come quello della sicurezza, che dovrebbero crescere del 4 per cento. Il 2% è l'aumento previsto anche per i beni strumentali. «Le prime stime evidenziano un altro anno di crescita, ma nel biennio 2012-2013 il comparto ha registrato un calo della produzione e ora stiamo ritornando ai valori del 2008 - premette Alfredo Mariotti, segretario generale di Federmacchine -. I consumi interni continueranno a essere sostenuti, anche grazie agli effetti della Sabatini bis, che lo scorso anno ha risvegliato la domanda». Il portafoglio ordini copre un trimestre «ed è in miglioramento». Anche qui si registra una nicchia che riuscirà SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le stime su ordini, export e domanda interna 12/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 1 (diffusione:334076, tiratura:405061) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato a fare meglio della media. Si tratta delle macchine utensili e dei robot: la prospettiva è di un aumento della produzione tra il 4-5%, avvicinando così i 5 miliardi di ricavi. Un exploit che andrà a ripercuotersi positivamente su altri comparti della federazione, resi ancora più competitivi dal calo delle materie prime e dalla bolletta energetica più leggera. Dopo sei anni di affanni un cauto ottimismo contraddistingue il tessile e la moda. «Per la prima volta si vede qualche bagliore di luce e il tessile avrà migliori prospettive rispetto all'abbigliamento» osserva Gianfranco Di Natale, direttore generale di Smi (Sistema moda Italia). La domanda interna è ferma, «non si vedono segni di ripresa e se a fine anno si confermeranno i risultati del 2014 sarà già un buon risultato». Così la filiera rafforza la presenza nell'area del dollaro. Stabilità anche per la meccanica varia. «Non ci sono grandi aspettative - premette Sandro Bonomi, presidente di Anima -. Il calo dell'euro ci aiuterà negli Usa e nel Far East e la crescita sarà più vigorosa in nicchie come la meccanica fine e l'automotive». La domanda interna invece resterà «stagnante per la mancanza di fiducia». [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Enrico Netti I NUMERI 3-4% Tessile e moda Rispetto al 2014 l'andamento delle esportazioni dovrebbe far registrare un aumento tra il 3 e il 4 per cento 1,5% Arredamento È la crescita del giro d'affari alla produzione prevista per la filiera del legno-arredo. Il comparto beneficia della spinta sui mercati esteri e di un ritorno della domanda interna 15 Miliardi di euro Le esportazioni di componenti e macchinari verso gli Stati Uniti superano i 15 miliardi di euro. Per la metalmeccanica il mercato Usa vale più dell'8% del valore dell'export della filiera Le previsioni sui trend del 2015 legati a ordinativi, domanda interna ed esportazioni Portafoglio ordini in aumento e la Sabatini bis fa ripartire la domanda interna. L'export è visto in aumento (+2,5%) e punta verso i mercati del dollaro Il comparto resiste grazie all'export, soprattutto extra-Ue, mentre la domanda interna resta stagnante Un anno all'insegna della continuità, con una domanda interna ferma e tensioni sui prezzi di vendita. Export verso Usa, Cina e Corea del Sud È attesa una lieve (+0,3%) ripresa della domanda interna, mentre l'export dovrebbe aumentare del 5-6%. Stabili gli ordinativi (+0,1%) Cauto ottimismo grazie ai ricavi attesi in aumento al traino dell'export (+5%) e di una domanda interna stabile Ci sarà una parziale inversione del trend recessivo grazie a una moderata ripresa della domanda di beni di consumo. In aumento l'attività verso la Ue e gli Usa La buona crescita dell'export riporta un po' di ottimismo, ma manca la domanda interna. Prospettive migliori per il tessile rispetto all'abbigliamento IL CRUSCOTTO DEI SETTORI 12/01/2015 Il Sole 24 Ore Pag. 6 (diffusione:334076, tiratura:405061) «Grexit? Fantapolitica pura» C. Bu. La «Grexit», ovvero l'uscita della Grecia dall'area euro, non è contemplata dai Trattati. L'addio di Londra all'Unione europea, la cosiddetta «Brexit», sarebbe invece possibile. Parola di André Sapir, senior fellow del think tank Bruegel ed ex consulente economico della Commissione Ue. La settimana scorsa il dibattito europeo è stato dominato da indiscrezioni e smentite di una «Grexit». Lo scenario sarebbe possibile? No, non sarebbe possibile. Il Trattato non lo prevede e sancisce che l'adesione all'euro è irrevocabile, non esistono regole che vanno nella direzione opposta. Un'ipotesi del genere sarebbe, inoltre, una follia dal punto di vista economico e politico, per la Grecia e per i partner. Se poi vogliamo fare un esercizio di fantapolitica... Proviamoci. Che cosa succederebbe se la Grecia decidesse di uscire dal club dell'euro? Atene dovrebbe ripristinare la sua Banca centrale nazionale per poter stampare moneta, perché con l'introduzione dell'euro questo non è più possibile per gli istituti nazionali. È chiaro che la decisione creerebbe una frattura, la Grecia non rispetterebbe più gli obblighi assunti con i partner europei e sarebbe naturale una sua uscita dall'Unione. Questo, infatti, è possibile. Dubito, però, fortemente che i Paesi europei vogliano rinunciare a un angolo del Mediterraneo, strategico dal punto di vista economico e politico. E poi, lo ripeto, è fantapolitica pura. La «Brexit» sarebbe invece consentita? Teoricamente sì e, a mio avviso, non è un'ipotesi neppure così remota. Il Trattato di Lisbona prevede infatti un meccanismo di recesso volontario e unilaterale. Il rapporto conflittuale tra Londra e Bruxelles è un fenomeno non nuovo . Alla fine degli anni 50, prima di arrivare ai Trattati di Roma, l'Europa si trovava a un bivio: poteva scegliere se limitarsi a essere una zona di libero scambio o una Comunità economica con il sogno di un'unione politica. Per Londra si tratterebbe di tornare a quel progetto relegato in soffitta. Quali sarebbero i tempi? Abbastanza veloci, da uno a due anni. Occorrerebbe avviare i negoziati per definire la nuova relazione che dovrà intercorrere tra la Ue e la Gran Bretagna. A quel punto, però, gli altri non avrebbero più alibi per proseguire sulla strada di una maggiore integrazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Senior fellow. André Sapir SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA ANDRÉ SAPIR SENIOR FELLOW BRUEGEL 10/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) Sale il potere di acquisto delle famiglie grazie anche al calo dell'inflazione I dati Istat del terzo trimestre. In alto il deficit-Pil dei primi nove mesi: 3,7% ROSARIA AMATO ROMA. Aumenta il reddito disponibile, ma i consumi rimangono fermi: gli italiani preferiscono risparmiare. I dati Istat del terzo trimestre 2014 ritraggono per l'ennesima volta un Paese molto prudente, con poca voglia di spendere. Si tratta dei primi tre mesi in cui chi ne aveva diritto ha ricevuto gli 80 euro in busta paga per l'intero periodo,e gli effetti in termini contabili si vedono: reddito disponibile in crescita dell'1,8% rispetto al trimestre precedente e dell'1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2013. Meglio ancora il potere d'acquisto, favorito anche dal deciso calo dei prezzi, e in rialzo dell'1,9% rispetto a giugno e dell'1,5% sul 2013. Però le famiglie continuano a moderarsi nella spesa, rimasta invariata rispetto al trimestre precedente e in lieve crescita solo rispetto al 2014 (più 0,4%), e preferiscono per il momento ricostituire le riserve, messe a dura prova negli anni di crisi: la propensione al risparmio torna infatti al 10,8%, riavvicinandosi al valore della media 2009, 11%, ma ancora lontanissima dal picco del 19% del 1996. Un comportamento che fa dire ad alcune associazioni dei consumatori,a cominciare dal Codacons, che il bonus «è un flop», ma che viene invece valutato positivamente dal ministero dell'Economia: «Il ministro Padoan - si legge in una nota - ha più volte sostenuto che le famiglie tendono a ricostruire lo stock di risparmio intaccato durante la crisi prima di riprendere il livello adeguato di consumi e investimenti». La dinamica della spesa delle famiglie conferma puntualmente le previsioni di sondaggi e indagini che, come quello di Confesercenti-Swg, pronosticavano che solo il 26% dei beneficiari del bonus avrebbe destinato gli 80 euro alla spesa: gli altri avrebbero impiegato la liquidità per il pagamento delle spese pregresse oppure per alimentare i risparmi. Eppure la stessa Confesercenti, come la Cisl, chiedono al governo di non tornare indietro sul bonus e anzi di ampliarne la platea, allargandolo ai pensionati. I conti pubblici però, sempre a giudicare dai dati Istat, non lasciano molti margini per un ulteriore ampliamento del bonus e della spesa in generale: nei primi nove mesi del 2014 il rapporto tra indebitamento netto e Pil sale al 3,7%, 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2013. Anche in questo caso, il ministero dell'Economia frena eventuali allarmismi, spiegando che nel terzo trimestre dell'anno l'indebitamento «mostra con sistematicità un valore maggiore rispetto al dato finale». Le uscite del terzo trimestre sono appesantite dal bonus di 80 euro ma beneficiano del calo dello spread: infatti le spese per interessi passivi sono diminuite tra luglio e settembre del 7,8%. III° trim. 2014 su II° trim. 2014 + 1,8 + 1,9 + 1,4 + 1,0 + 0,8 + 1,5 + 0,5 0,0 + 0,4 3,7 2,6 0,6 FONTE: Istat Redditi e spese delle famiglie Reddito lordo disponibile III° trim. 2014 su III° trim. 2013 Potere d'acquisto delle famiglie* * Reddito lordo disponibile espresso in termini reali Spesa delle famiglie per SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Redditi più alti grazie agli 80 euro ma i consumi restano al palo tornano a crescere i risparmi 10/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato consumi Þnali Investimenti Þssi lordi Gen-Set 2014 su Gen-Set 2013 10/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) Si è tornati ai livelli precrisi, ma molti lavoratori per adesso sono solo part-time Quasi tre milioni di nuovi impieghi nel corso del 2014 ma i salari languono L'ANALISI FEDERICO RAMPINI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK. Un'annata d'oro, quasi tre milioni di posti di lavoro creati, una performance che non si vedeva da 15 anni. Il tasso di disoccupazione che scende sempre più giù, al 5,6%, cioè ai livelli precrisi del giugno 2008. E' un gran finale del 2014 per l'economia americana. Con un'ombra, però. I salari continuanoa languere,a conferma che la ripresa avviene in un contesto di debolezza contrattuale dei lavoratori, incapaci di spuntare condizioni retributive migliori. Anche se il loro potere d'acquisto non ne risente così negativamente, grazie alla manna petrolifera che regala alla famiglia media Usa dai 350 ai 700 dollari di risparmi annui. Il dato di dicembre sul mercato del lavoro Usa ha superato ancora una volta le previsioni: +252.000 assunzioni in un mese, al di sopra anche della media annuale. Nella stessa occasione è stato rivisto al rialzo anche il dato di novembre: dai 321.000 si è saliti a 353.000, in quello che è stato il mese migliore del 2014. Complessivamente i posti di lavoro creati nel corso del 2014 sono 2,95 milioni e negli ultimi sei anni - cioè dall'inizio della presidenza Obama - sono ormai 10 milioni. L'unico dato "stonato" riguarda quindi le retribuzioni. A novembre erano salite solo dello 0,2% e a dicembre sono ridiscese nella stessa misura, meno 0,2%. Bonaccia piatta su quel fronte, insomma. Questa dei salari è una preoccupazione, oltre che per i lavoratori (non a caso i sondaggi li descrivono assai meno ottimisti sullo stato dell'economia di quanto si potrebbe credere), anche per la Federal Reserve. In particolare da quando è presidente della banca centrale Janet Yellen, la Fed segue con attenzione non solo i dati quantitativi sul mercato del lavoro ma anche quelli qualitativi. Cioè la tipologia di posti e anche la dinamica salariale. Il quadro che ne esce è meno trionfale dei dati generici. Molti lavoratori occupati debbono ancora accontentarsi di un lavoro part-time mentre ne vorrebbero uno a tempo pieno. Il fenomeno della riduzione del tasso di partecipazione (disoccupati che rinunciano a cercarsi un posto e quindi escono dalle statistiche) è in miglioramento ma non ha riassorbito tutti i danni della crisi. All'interno dei disoccupati - pur in diminuzione - è più elevata del normale la quota di coloro che sono senza lavoro da più di sei mesi, la cosiddetta disoccupazione di lungo periodo cheè anche la più difficile da sanare perché comporta una perdita di addestramento e di attitudini professionali. Il fatto che i salari siano immobili riporta a dati strutturali del modello di sviluppo americano, preesistenti la crisi del 2008: è una crescita che concentra la massima parte dei benefici in una minoranza di privilegiati; il poteAL VERTICE Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama re dei sindacati è ai minimi da mezzo secolo. In controtendenza, c'è il fatto che proprio all'inizio di gennaio è entrato in vigore in molti Stati Usa l'aumento legale del salario minimo garantito. E' un'antica battaglia di Obama che tentò di far passare al Congresso un rialzo dagli attuali 7,25 dollari oraria 10,10 dollari orari, per il salario minimo imposto dalla legge federale. Il Congresso a maggioranza repubblicana non gliel'ha mai passata, argomentando che l'imposizione di aumenti salariali danneggerebbe le imprese e alla fine ridurrebbe l'occupazione. Ma la battaglia si è trasferita a livello localee ormai sono 30 gli Stati ad avere aumentato i minimi legali. Questo dovrebbe avere effetti positivi a partire dalle retribuzioni del 2015. Separatamente a New York è in corso una battaglia collegata: per convincere il governatore Andrew Cuomo a sopprimere il privilegio concesso ad alberghi e ristoranti dove i datori di lavoro possono pagare molto meno del minimo legale, appena 5 dollari l'ora, col pretesto che il salario viene arrotondato dalle mance. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Disoccupati americani al minimo: 5,6% e mai così tante assunzioni da 15 anni 10/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 34 (diffusione:556325, tiratura:710716) Fondi speculativi alla guida di Seat l'ultimo tentativo di far rinascere le Pagine gialle Tutto straniero il libro soci dopo l'aumento di capitale Goldentree e Avenue capital al 50% VITTORIA PULEDDA MILANO. A questo punto si faranno i giochi veri. Quella che è al listino, ormai, è infatti una "nuova" Seat, con l'azionariato - vedremo quanto duraturo nel tempo - uscito dalla feroce conversione dei crediti in azioni che a fine 2013 ha spazzato via i soci precedenti (riducendoli tutti insieme allo 0,25% del capitale postconversione). Dunque, due azionisti di riferimento sono i fondi speculativi Goldentree Asset Management (con il 26,128%) e Avenue Capital di Marc Lasry (con il 23,87%). Al terzo posto c'è un nome già molto noto alla società: Royal Bank of Scotland, che era la capofila dei creditori bancari, ora al 4,22%, e poi altri due fondi specializzati in ristrutturazioni, Bennet management corporation (3,36%) ed Elvis Leigh (3,23%). Nel 2012 Goldentree già aveva compiuto un investimento sempre nel settore delle directories in Canada arrivando a detenere oltre il 40% di Yellow media (poi dismessa) nell'ambito di una ristrutturazione finanziaria simile a quella che ha interessato Seat Pagine Gialle. Ma in generale il nuovo azionariato, che evidentemente nel tempo aveva rilevato i crediti (bancari e non) è fatto in larghissima parte da fondi specializzati in situazioni di stress e da un flottante al 39%. Questa è una Seat senza debiti post ristrutturazione, qualche decina di milioni di euro di cassa, un concordato chiuso e una possibile transazione con i vecchi azionisti-manager, i fondi di private equity, già approvata dal consiglio e che a fine mese sarà sottoposta all'assemblea dei soci. A questo punto può ripartire la storia industriale del gruppo e per la società, non più zavorrata dal miliardo e mezzo di debiti (che erano già molto scesi, dopo la prima ristrutturazione) è giunto il momento della verità. Se il modello di business funziona potrà ripartire; poi si vedrà se l'assetto azionario attuale reggerà nel tempo o se ci sarà un futuro di matrice più industriale. Foto: EX PRESIDENTE Guido De Vivo ha lasciato il cda di Seat pochi giorni fa dopo il cambio degli azionisti SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL PUNTO 11/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 15 (diffusione:556325, tiratura:710716) Ecco il piano Ue sulla flessibilità investimenti fuori dal Patto e meno tagli a chi fa le riforme Il documento sarà subito operativo e così l'Italia potrebbe evitare la procedura a marzo A certe condizioni cadrà l'obbligo di risanare il deficit strutturale dello 0,5%: per noi 8 miliardi ALBERTO D'ARGENIO ECCO le 25 pagine sulla flessibilità dei conti pubblici che potrebbero salvare l'Italia da pesanti guai in Europa. Il testo è ancora provvisorio, il negoziato interno alla Commissione europeaè incandescente, ma quanto al momento si legge nella bozza della Comunicazione sulla flessibilità voluta dal presidente Jean Claude Juncker lascia ben sperare Roma, Parigi e le altre capitali che vogliono stoppare l'ortodossia rigorista che in questi anni ha regnato a Bruxelles. Il testo verrà approvato dall'esecutivo comunitario martedì durante la sua riunione settimanale che questa volta si terrà a Strasburgo, in coincidenza con la plenaria dell'Europarlamento di fronte al quale Renzi esporrà il bilancio del semestre di presidenza italiana dell'Ue. Ed è innegabile che un'influenza sulla svolta di Juncker l'Italia, come la Francia, l'abbia avuta. La bozza è suddivisa in quattro sezioni. La prima conferma che i soldi che i governi eventualmente decideranno di versare al nuovo Fondo strategico per gli investimenti, cuore del pacchetto da 315 miliardi varato da Juncker per rilanciare l'eurozona, non saranno conteggiati nel calcolo del deficit dei singoli paesi. In bilico invece la possibilità di scorporare dal deficit non solo i soldi versati nel Fondo, ma anche quelli usati per partecipare direttamente ai progetti di una singola nazione legati al piano Juncker. Ma il meglio arriva nella seconda sezione del documento, che dopo anni di richieste italiane, Renzi ne ha fatto una vera battaglia, permette di scomputare dal conteggio del disavanzo strutturale anchei soldi nazionali (cofinanziamento) che i governi devono stanziare per accedere ai fondi strutturali o ai denari comunitari per il finanziamento delle reti di comunicazione (Connecting Europe). Dunque potranno essere sfilati dal deficit i cosiddetti investimenti pubblici produttivi (quelli che generano crescita) a condizioni ben più abbordabili rispetto a quelle che in passato erano tanto rigide da rendere la clausola praticamente inservibile. Se resta fermo che un governo può chiedere di sfilare gli investimenti virtuosi solo se resta sotto il tetto del 3% del deficit, potendo però utilizzare lo spazio di spesa fino a quella soglia senza incappare nelle varie procedure di infrazione, leggi commissariamento e sanzioni, previsti dal Fiscal Compact anche per chi non sfora il parametro di Maastricht, la novità è che se prima per accedere alla clausola era necessario che tutta la zona euro fosse in grave recessione, ora basterà che lo sia solo il paese che desidera investire (si negozia sulla definizione di recessione "grave"). Fondamentale per Roma è anche il terzo capitolo della bozza, quello dedicato alle riforme strutturali secondo il quale chi ammoderna davvero il Paese, e per deciderlo servirà ogni volta una verifica ad hoc di Bruxelles, potrà evitare di risanare il deficit strutturale dello 0,5% all'anno (per Roma si tratta di 8-10 miliardi). Una deroga importante, che i falchi avevano provato ad azzoppare inserendo una velenosa postilla - al momento saltata dalla bozza - secondo cui chi accede alla clausola delle riforme viene automaticamente messo sotto procedura per squilibri macroeconomici, uno strumento di cui l'Europa si è dotato di recente per mettere sotto tutela, e imporre un vero e proprio programma di politica economica, anche i paesi che non sforano il 3%. Infine il capitolo quarto, secondo il quale in determinati casi indicati da rigidissime formule matematiche, un Paese che non ha ancora azzerato il deficit può procedere con una correzione dello 0,25% all'anno, e non dello 0,5. Se il documento - che sarà subito operativo senza dover incassare il via libera di governi ed Europarlamento - verrà approvato dalla Commissione così come scritto al momento, darà una svolta all'Unione e l'Italia potrebbe sorridere. Già, perché Juncker a novembre ha rinviato a marzo il giudizio sui conti di Roma (che non SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La bozza della Commissione europea Il testo voluto da Juncker e appoggiato da Roma e Parigi sarà approvato martedì a Strasburgo. Se passerà senza correzioni sarà una svolta storica per la politica di bilancio europea e il nostro Paese avrà più margini di manovra 11/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 15 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato rispetta vari parametri pur restando sotto il 3% del defcit) e con le regole attuali una procedura sarebbe quasi scontata. I PUNTI FONDO JUNCKER La prima ipotesi è quella di scomputare dal calcolo del deficit tutte le risorse nazionali indirizzate al fondo Juncker per gli investimenti FONDI STRUTTURALI L'idea è di scomputare anche i cofinanziamenti nazionali che sbloccano i fondi strutturali Ue, in caso di recessione del Paese in questione RIFORME E MANOVRA Chi dimostra di realizzare le riforme avviate può evitare di tagliare il deficit strutturale di 0,5 punti all'anno: per l'Italia sono 8-10 miliardi ULTERIORE SCONTO Infine, solo in taluni casi, un Paese che non ha ancora azzerato il deficit strutturale può limitarsi a una correzione di 0,25 invece che di 0,50 Il labirinto delle regole europee sul bilancio 1997 2005 2011 X€X€ 2013 2013 2011 X€ X€ €€ X X E inÞne... il "Two Pack" per ra•orzare la sorveglianza Obblighi introdotti: 1) invio anticipato al 15 aprile del Def (Documento di economia e Þnanza) e del Programma nazionale di riforme 2) presentazione alla Ue della bozza della legge di Stabilità entro il 15 ottobre Poteri Ue: può richiedere modiÞche e d'ora in poi controllare attuazione riforme Arriva il Fiscal Compact Obblighi introdotti: 1) obiettivo deÞcit strutturale dello 0,5% del Pil per i Paesi con debito oltre il 60% 2) regola da inserire in Costituzione Poteri Ue: sanzioni pari allo 0,1% del Pil Arriva il "Six Pack" con regole più severe sul debito Obblighi introdotti: 1) chi ha un debito oltre il 60% del Pil deve ridurlo ogni anno di un ventesimo della di•erenza tra il debito/Pil reale e il 60% Poteri Ue: sanzioni semi-automatiche pari allo 0,1% del Pil Arriva il "Semestre europeo" 1) presentazione a Þne aprile del Programma di stabilità (con Obiettivo di medio termine e misure) 2) presentazione entro aprile del Programma nazionale di riforme Poteri Ue: la Commissione li giudica e fa le sue raccomandazioni Riforma del Patto di Stabilità Obblighi introdotti: 1) correzione annuale di almeno 0,5 punti del deÞcit strutturale 2) convergenza rapida verso Obiettivo di medio termine (Omt) che varia da Paese a Paese Poteri Ue: procedura di infrazione e multa Entra in vigore il Patto di Stabilità e di Crescita Obblighi introdotti: 1) soglia massima deÞcit/Pil 3% 2) soglia massima debito/Pil 60% Poteri Ue: procedura di infrazione e multa Sei passaggi, dal 1997 ad oggi, uno più complicato dell'altro, durante i quali le regole europee sui bilanci pubblici dei singoli Paesi si sono moltiplicate. Ecco in estrema sintesi tutti i diktat Ue su deÞcit e debito PER SAPERNE DI PIÙ ec.europa.eu www.consilium.europa.eu Foto: PRESIDENTE Jean Claude Juncker, presidente della Commissione Ue ha definito il piano sulla flessibilità dei conti 11/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 22 (diffusione:556325, tiratura:710716) "Nessun diktat Bce alle banche italiane I piani non cambiano" Panetta (Bankitalia): Francoforte non ha chiesto aumenti nelle lettere dell'Eurotower solo indicazioni già note "Gli istituti non dovranno rafforzare il capitale di 1 euro se coprono il deficit come previsto" Vale la pulizia già effettuata nei bilanci sui crediti inesigibili L'esempio del Mps FEDERICO FUBINI ROMA. Alla riapertura dei mercati domani gli occhi saranno puntati sulle banche italiane. Venerdì i titoli del credito quotati a Piazza Affari hanno fatto segnare crolli in molti casi violenti. A innescare la caduta è stata la notizia che il Consiglio di vigilanza della Banca centrale europea stesse per alzare ancora una volta l'asticella delle richieste di patrimonializzazione per gli istituti italiani, con gli ulteriori aumenti di capitale o un inasprimento della stretta al credito che ciò avrebbe comportato. Questa volta il mercato non sembra saltato a conclusioni fondate sulla realtà. La Bce dal 4 novembre ha assunto poteri di vigilanza diretta sui primi 15 istituti italiani, insieme alla Banca d'Italia, ma non sta chiedendo niente di più di quanto sia noto da mesi. Non arrivano nuove pressioni per alzare i coefficienti patrimoniali oltre quanto già fatto o previsto per il 2015 dalle banche italiane passate al vaglio della Bce: quelle che hanno passato l'esame europeo del 2014 e le altre, come Montepaschi e Carige, che stanno mettendo a punto un piano di aumenti di capitale. «Non ci sono informazioni nuove al mercato diverse da quelle già note», osserva Fabio Panetta, vicedirettore di Banca d'Italia, componente del nuovo Consiglio di vigilanza della Bce presieduto dalla francese Danièle Nouy. Panetta osserva: «Non c'è da parte di Francoforte nessuna richiesta di aumenti di capitale ad alcuna banca né italiana, né europea. Le banche che sono emerse con un deficit di capitale dal comprehensive assessment (l'esame Bce sulla qualità del credito e la solidità patrimoniale, ndr ) non dovranno rafforzare il capitale di un solo euro di più rispetto a quanto già richiesto e come da loro stesse previsto». Resta che venerdì gli istituti hanno bruciato decine di miliardi di euro in Borsa. A innescare le vendite, un servizio del Sole 24 Ore secondo il quale la Bce ha inviato a ciascuna banca una lettera con cui indica un "coefficiente patrimoniale minimo" da rispettare. Nelle lettere alle banche italiane questo minimo sarebbe molto più alto della soglia del 7% di "Core Tier 1" (CET1, il capitale di base immediatamente disponibile) previsto dagli accordi internazionali di Basilea 3. A prima vista, è un'ulteriore richiesta di aumenti o di stretta al credito. Una seconda occhiata invece fa capire che nonè così. Quelle lettere sono una pratica abituale dei supervisori, fino al 2014 affidata alla vigilanza nazionale e oggi effettuata dalla Bce con Banca d'Italia. Il comprehensive assessment ha riguardato la copertura del rischio delle banche sul credito e sui mercati finanziari. Quelle lettere invece guardano anche a fattori come i rischi legali, operativi e sui tassi d'interesse. Nelle lettere non si indicano nuovi coefficienti patrimoniali ma un obiettivo temporaneo, che quest'anno riflette i risultati del comprehensive assessment . In altri termini, i requisiti di capitale più alti inseriti dalla Bce nelle lettere sono quelli che le banche dovrebbero raggiungere se non facessero rettifiche di valore sui crediti deteriorati emersi (o stimati) con l'esame europeo. Se invece le banche recepiranno a bilancio 2014 le rettifiche, il coefficiente di patrimonio indicato come obiettivo verrà ridotto in misura corrispondente. L'ulteriore capitale in più è necessario solo se non ci fosse la pulizia in bilancio. Ma quella pulizia è già avviata e gli aumenti relativi per rafforzare il patrimonio nella gran parte dei casi sono stati realizzati prima che l'esame europeo fosse concluso. Quanto a Carige e Mps, sui quali c'è un deficit di capitale negli stress test, sono pubblicamente al lavoro per preparare i prossimi aumenti. Il caso più delicato riguarda proprio Mps, venerdì crollata in Borsa dell'8,6%. Per il Monte la lettera della Bce cita un obiettivo di patrimonio al 14,3%, a fronte di un CET1 attuale del 12,8%. Questo non vuol dire che la Bce stia spingendo il Monte a raccogliere nuovo capitale oltre ai 2,5 miliardi del piano già richiesto in ottobre. Il 14,3% varrebbe solo se Mps non portassea bilancio le rettifiche derivanti dal comprehensive assessment della Bce. Ossia se non farà chiarezza delle sofferenze e non abbatterà il SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'ANALISI 11/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 22 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato capitale di conseguenza. Qualora lo facesse, come annunciato e previsto, quel cuscinetto in più non sarà richiesto. «La stretta della vigilanza europea c'è stata - riconosce Panetta di Banca d'Italia - ma è quella nota da ottobre». Ora la Bce sta solo mettendo in pratica le sue stesse regole, non senza qualche (in Borsa, costoso) cortocircuito di comunicazione. La patrimonializzazione delle banche in Europa Capitale di migliore qualità in rapporto al totale attivo ponderato per il rischio, dati set 2014 I M C P S A I G G F B S F S L L L P E 25 % livello medio 20 15 10 5 FONTE: ELABORAZIONE CER SU DATI BCE Foto: BANKITALIA Fabio Panetta, classe 1959, vicedirettore generale della Banca d'Italia e supplente del governatore nel consiglio direttivo della Banca centrale europea 11/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 22 (diffusione:556325, tiratura:710716) Portugal Telecom tutte le incognite dell'assemblea per decidere sulle cessioni La partita si intreccia con la vicenda che vede coinvolta l'italiana Tim Brasil CARLOTTA SCOZZARI MILANO. E' avvolto nell'incertezza l'appuntamento del 12 gennaio cui guardano Telecom Italia e gli altri operatori interessati al mercato brasiliano. Domani si riunirà l'assemblea degli azionisti di Portugal Telecom (Pt) Sgps, ossia la holding che possiede una quota nell'operatore nato dalla travagliata fusione tra l'omonimo gruppo telefonico portoghese e la brasiliana Oi. Quest'ultima, a dicembre, ha raggiunto un'intesa per cedere a 7,4 miliardi le attività telefoniche portoghesi ad Altice, con sede in Lussemburgo e presente anche in Francia e Israele. Ma l'operazione è condizionata al via libera degli azionisti di Pt Sgps, che non è affatto scontato diano il loro benestare. Di mezzo sembrano esserci ragioni politiche, legate all'opportunità di vendere attività domestiche tanto delicate a un operatore estero. Secondo i detrattori, non era nei patti della fusione che Oi decidesse una simile cessione. Inoltre, ad alimentare interrogativi sull'integrazione è la recente relazione dei consulenti di Pwc sull'investimento da quasi 900 milioni di Portugal Telecom nel debito di Rioforte (operazione nel mirino della Procura generale del Portogallo, che di recente ha perquisito nella sede di Pt Sgps), la holding della famiglia Espirito Santo che l'estate scorsa non ha onorato i prestiti. Così, i sindacati dei lavoratori del gruppo nato dalla fusione hanno chiesto di sospendere l'assemblea di lunedì sulla base della considerazione che non siano valide le stesse nozze tra Portugal Telecom e Oi. Non si sa quali siano le intenzioni dei soci di Pt Sgs (tra cui Novo Banco, nato dalle ceneri di Banco Espirito Santo) all'appuntamento di domani, che resta avvolto dunque nell'incertezza. Se, però, alla fine, l'assemblea dovesse esprimersi a favore della cessione delle attività portoghesi ad Altice, l'operazione, oltre che servire per abbattere parte del debito, fornirebbe a Oi le munizioni per trattare meglio l'avvicinamento alla controllata di Telecom Italia, Tim Brasil. A quel punto, sarà da vedere se - e nel caso come - deciderà di replicare il gruppo italiano. Foto: AL TIMONE Patrick Drahi, miliardario nato in Marocco, fondatore di Altice SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL PUNTO 12/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 19 (diffusione:556325, tiratura:710716) Piano salva-banche crediti a forte rischio venduti alla Bce con garanzia statale** Si trattarebbe di una specie di "bad bank". Intervento nell'ambito dei prossimi acquisti FEDERICO FUBINI ROMA. A Bruxelles circola in queste settimane una presentazione preparata alla Banca centrale europea. Il suo messaggio, espresso in grafici, è inconfondibile: la stretta al credito in Italia o altrove nel Sud Europa continua, ma non è per mancanza di liquidità. Una ragione di fondo sono le sofferenze, la montagna dei prestiti a rischio di insolvenza (o già in default) prodotti dalla recessione e ora arenati nei bilanci delle banche. Nasce di qui il progetto a cui Palazzo Chigi e il Tesoro stanno lavorando dopo mesi e anni di esitazioni, di questo e dei precedenti governi. L'obiettivo è attaccare la montagna: rimuovere parte delle sofferenze, veri e propri ostacoli che paralizzano gli istituti e ostruiscono la circolazione di credito nei canali nel sistema finanziario. Il metodo individuato è farlo grazie agli acquisti di titoli sul mercato da parte della stessa Bce: quello che gli addetti ai lavori chiamano "quantitative easing". A settembre la Banca centrale guidata da Mario Draghi ha lanciato un programma di interventi su pacchetti di titoli privati (gli Abs, assetbacked securities) fino a 500 miliardi di euro. L'idea alla quale si lavora in Italia è far comprare alla Bce dei pacchetti di Abs che raccolgano parte dei crediti deteriorati delle banche italiane: prestiti alle imprese o mutui alle famiglie sui quali i debitori sono in ritardo o già in parte insolventi. Poiché si tratterebbe in gran parte di titoli di bassa qualità, la Bce verrebbe incoraggiata a comprarli grazie alla garanzia dello Stato italiano. In altri termini la Bce verrebbe rimborsata dal Tesoro in caso di ulteriori perdite, dopo aver acquisito quei titoli già a sconto rispetto al valore originario dei prestiti. La proposta per liberare le banche di almeno 50 dei loro 180 miliardi di sofferenze è contenuta in un documento già inviato a Draghi e alla Banca d'Italia. Su di essa Matteo Renzi lavora da settimane con il Tesoro e i suoi stessi consiglieri. In realtà l'idea di intervenire per ridurre i crediti deteriorati era già stata discussa in un incontro di quest'autunno fra lo stesso premier, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco e il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Rimuovere le sofferenze delle banche con un'azione di governo è una priorità per la ripresa e, da anni, un tabù della politica. La Banca d'Italia ha pronto da tempo uno schema di "bad bank", un veicolo finanziario sostenuto da garanzie pubbliche che riassorba dalle banche i crediti deteriorati. Per ora però non si è mai passati dagli studi alla pratica: sia il governo di Enrico Letta che l'attuale hanno a lungo esitato di fronte alla scelta, impopolare, di aiutare le banche con denaro dei contribuenti. La proposta a cui si lavora in queste settimane non nasce nel governo. La firmano Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, il banchiere ed ex ministro del Bilancio Rainer Masera, gli economisti della Cdp Edoardo Reviglio e Gino del Bufalo, l'ex direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra e Marcello Minenna della Consob. Il piano si basa sul fatto che i pacchetti di crediti deteriorati, raccolti in titoli Abs, generebbero ancora flussi di cassa dati dai pagamenti dei debitori. I titoli verrebbero segmentati in parti a rischio piùo meno alto, con una parte intermedia ("mezzanino") coperta dalla garanzia pubblica. «Il rischio della tranche mezzanino è allineato al rischio di credito della Repubblica italiana - si legge nel documento Bassanini - e in questo modo potrebbe essere sottoscritto, insieme alla tranche di qualità più alta, dalla Bce». Il tentativo è dunque di usare il quantitative easing della Bce per liberare le banche italiane della zavorra. Circa 50 miliardi di prestiti originari posso essere venduti all'Eurotower a 20 miliardi circa. Eventuali perdite ulteriori per circa il 40%, a causa dei default dei debitori, comporterebbero poi per il governo un indennizzo di 8 miliardi all'Eurotower. Tecnicamente non appare fuori portata, ma restano vari scogli: nessun governo italiano ha mai osato usare denaro pubblico per le banche, anche se ciò ha poi aggravato il credit crunch e la SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La finanza Il progetto. Ecco il documento al quale stanno lavorando governo, Bankitalia e Francoforte per fronteggiare le sofferenze Verrebbero impacchettate in titoli cartolarizzati da cedere alla Banca centrale europea a prezzi scontati 12/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 19 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato recessione stessa. Se Renzi lo facesse, forse vorrebbe imporre il licenziamento dei manager che ricevono l'aiuto tramite la Bce. I manager dunque ultimi rischiano di non voler vendere nulla all'Eurotower, pur di conservare il loro posto a dispetto delle enormi sofferenze in bilancio che paralizzano la loro attività. C'è poi un dubbio sul governo: l'Italia è a un solo gradino dal rating "spazzatura". Se fosse ancora declassata, la Bce non potrebbe più accettare una garanzia così svilita. Più passano i mesi, più il tempo stesso lavora contro la soluzione del problema più urgente. Quello che quasi nessuno ha mai voluto affrontare. PER SAPERNE DI PIÙ www.bancaditalia.it www.ecb.europa.eu GARANZIA Il meccanismo, in pratica una specie di bad bank, avrebbe la garanzia pubblica: lo Stato italiano rifonde la Bce in caso di perdite CARTOLARIZZAZIONE Parte di questi crediti verrebbe impacchettata in titoli cartolarizzati (Abs) e ceduti con forte sconto alla Banca centrale europea CREDITI DETERIORATI Le sofferenze delle banche italiane, ossia i crediti deteriorati, sono saliti a180 miliardi I PUNTI Le so•erenze del sistema bancario italiano ott 2012 119.825 nov 2012 dic 2012 gen 2013 feb 2013 mar 2013 apr 2013 mag 2013 giu 2013 lug 2013 ago 2013 set 2013 ott 2013 nov 2013 dic 2013 gen 2014 feb 2014 mar 2014 apr 2014 mag 2014 giu 2014 lug 2014 ago 2014 set 2014 ott 2014 121.860 124.973 126.146 127.655 130.975 133.276 135.748 138.185 12/01/2015 La Repubblica - Ed. nazionale Pag. 19 (diffusione:556325, tiratura:710716) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 139.862 141.853 144.537 147.313 149.603 155.885 160.428 162.040 164.603 166.478 168.613 170.330 172.351 173.969 176.862 179.255 so•erenze lorde in milioni di euro FONTE: Elaborazione Abi su dati Banca d'Italia Foto: BANKITALIA Foto: La proposta, sui tavoli di Visco e di Draghi, viene sostenuta dal vertice della Banca d'Italia 11/01/2015 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 11 (diffusione:309253, tiratura:418328) L'Europa rilancia i cantieri "Investimenti fuori dal Patto Ue" Le grandi opere e i progetti del piano Juncker non rientreranno nel calcolo del deficit. Così l'Italia avrà più risorse da mettere in campo per la crescita MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTE DA BRUXELLES Al ministero del Tesoro attendono con qualche ansia di conoscere il destino del riquadro che segna le pagine 8 e 9 delle nuove tavole europee della legge in materia di flessibilità contabile che la Commissione Ue sta scrivendo in queste ore. Compiendo un passo nella direzione auspicata da Matteo Renzi, l'ultima bozza introduce fra le spese ammissibili alla «Clausola d'investimento» (cioè al codice che può garantire uno sconto sul deficit ai paesi virtuosi) i progetti cofinanziati dal fondo strategico (Efsi) del piano Juncker da 321 miliardi. Temporaneamente, e a precise condizioni, la mossa libererebbe risorse dal Patto di Stabilità. Sarebbe un segnale politicamente rilevante dell'equilibrio delle euroregole che si sposta da austerità a crescita. «Il negoziato è in corso, tutto può succedere - concede una fonte europea -, però la proposta relativa all'Efsi ha possibilità di farcela». Sino a domani i tecnici dell'esecutivo comunitario continueranno il lavoro sulla comunicazione da cui avranno origine le linee guida della «nuova» flessibilità. Al netto di colpi di scena, il documento sarà varato martedì. Per sapere come, bisogna attendere la fine. I leader Ue hanno promesso più volte di sfruttare tutti i margini esistenti nei Trattati. Ma i punti di vista dei rigoristi (Germania in testa) e del partito del sostegno alla crescita (con Italia e Francia) non sono facili da combinare. La «Clausola d'investimento» è un'idea del luglio 2013, fu la prima risposta all'esigenza di minor rigidità del Patto che sovrintende alla governance economica europea. In realtà, il tempo ha dimostrato che si trattava d'uno strumento difficile da utilizzare. Il governo Letta ci ha provato, sfruttando piano di riforme e deficit sotto il 3% del pil, tuttavia Bruxelles non ha ritenuto che avessimo le carte in regola, salvo poi ammettere che la formula non è fatta per funzionare. Di qui la decisione di rivedere le regole e allargarne lo spettro. A caccia di fondi Posto che la partecipazione eventuale, e alla fine probabile, dei Ventotto alla dote dell'Efsi (21 miliardi) non sarà oggetto di contestazione qualora fosse causa dello sforamento del Patto di Stabilità, ora si valuta di non contare nemmeno la quota nazionale dei progetti scelti col piano Juncker. Nella mente di Bruxelles, grazie alla garanzia dell'Efsi, molti cantieri infrastrutturali potrebbero essere rilanciati attirando capitali privati. Visto che si tratta di lavori col bollino Ue - il piano per "la Buona scuola" da 8,7 miliardi come il terzo valico della GenovaTortona, per dirne due - i denari spesi dei governi potrebbero essere sterilizzati ai fini delle pagelle europee, sempre che parametri come il rapporto deficit/ Pil siano nella norma. Passando nella stretta via della «Clausola», l'Italia potrebbe ritrovarsi i miliardi extra per la scommessa sulla ripresa che Renzi chiede da sempre. Magari di più. Soprattutto se passasse un'altra proposta sul tavolo in queste ore, cioè l'allargamento delle maglie per considerare anche lo scorporo dei progetti cofinanziati nell'ambito della Politica strutturale e le reti transeuropee. «Difficile, eppure possibile», dicono alla Commissione. Faciliterebbe un esito favorevole all'Italia, il riconoscimento della singola recessione come scusa di flessibilità invece che l'intera Ue in rosso come chiede qualcuno. Il resto è aperto: la facoltà che Bruxelles abbia più discrezione nel redigere la pagella dei Paesi e il legame dell'intera architettura con le riforme. «Equazioni e formule», spiega una fonte. Che poi aggiunge: «Ci saranno più margini. Però nessuno si illuda che si possa chiudere un occhio sui conti o sugli interventi strutturali: di questo, non se ne parla». I numeri del piano europeo Il presidente della Commissione Ue Jean•Claude Juncker 321 miliardi I finanziamenti stanziati per il piano varato dal presidente della Commissione europea Juncker 21 miliardi L'ammontare dei contributi che verseranno gli Stati europei per partecipare al piano di investimenti 2000 progetti Le iniziative presentate dall'Italia per Tlc, energia, trasporti, infrastrutture sociali e tutela della natura 75 miliardi l'anno L'ammontare dei finanziamenti erogati dalla Banca europea degli investimenti negli ultimi due anni SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato FLESSIBILITÀ, SVOLTA DI BRUXELLES 11/01/2015 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 11 (diffusione:309253, tiratura:418328) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Alcuni progetti da approvare Lo scalo di Malpensa Per rafforzare l'aeroporto lombardo servono 225 milioni. Ma i progetti comprendono anche porti e autostrade L'alta velocità Per far correre il treno veloce sul Terzo valico dei Giovi fra Genova e Tortona servono almeno sei miliardi di euro La «buona scuola» Il progetto da 8,7 miliardi prevede ristrutturazione di edifici, digitalizzazione, formazione degli insegnanti e scuole innovative La banda larga Il governo ha in cantiere un investimento per accelerare la «rivoluzione digitale», con reti più veloci e un piano per snellire la P.a. Foto: ALESSANDRO DI MARCO/ANSA Foto: Il piano europeo prevede il rilancio di molti cantieri infrastrutturali 12/01/2015 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 16 (diffusione:309253, tiratura:418328) Fca a Detroit per crescere con l'Alfa Al salone dell'auto più importante d'America Marchionne presenta la 4C Spider PIERO BIANCO DETROIT Gli otto mesi che hanno cambiato faccia alla galassia FiatChrysler partirono da Auburn Hills il 6 maggio dell'anno scorso, con l'ambizioso piano industriale annunciato da Sergio Marchionne. Una svolta epocale, nei numeri e nella sostanza. La rivoluzione, subito avviata, è andata in qualche caso oltre le previsioni: ad esempio con il cambio di presidenza alla Ferrari e lo scorporo che porterà alla quotazione del 10% del Cavallino «sul listino Usa e in un altro mercato europeo». In attesa dei dettagli sull'ipo, Credit Suisse ha alzato il giudizio su Fiat a «neutral» e fissato a 9 il rapporto fra valore d'impresa ed ebitda della Rossa. Probabilmente sarà più preciso, sulla data e sulle sedi delle quotazioni Ferrari, lo stesso Marchionne nell'incontro con la stampa in programma stamane al Salone dell'Auto di Detroit. Il balzo di Jeep Il manager che guida Fca può intanto esibire risultati già concreti, a testimonianza di una «visione» di crescita realistica e di uno scenario promettente in proiezione futura. Addirittura clamoroso il balzo del marchio Jeep, passato a 1.017.019 consegne mondiali con una crescita del 39% sul 2013. E ancora non sono compresi i frutti della nuova Renegade, in fase di lancio. Jeep sta per diventare un brand sempre più forte e globale, una bandiera universale di Fca che si rafforzerà ulteriormente con l'inaugurazione dello stabilimento brasiliano di Pernambuco, a marzo. Di sicuro i primi mesi della cura-Marchionne dopo la presentazione del piano industriale hanno rinvigorito il gruppo italo-americano. Il successo in Borsa La nascita di Fca (sigla che esordisce a livello internazionale proprio al North America Auto Show) e la successiva quotazione a Wall Street, dal 13 ottobre, hanno prodotto un guadagno del 30%: più di quanto ottenuto dalle altre sorelle di Detroit, General Motors e Ford. Fca ha incassato dall'operazione con gli investitori americani 3,88 miliardi di dollari grazie alle azioni e alle obbligazioni piazzate, risorse preziose per finanziare nuovi modelli e ridurre l'indebitamento. «È il risultato concreto del lavoro svolto negli ultimi 5 anni e mezzo», ha sintetizzato Marchionne, che il 27 gennaio presenterà i conti del bilancio 2014. I mercati strategici A fronte di una crescita complessiva del gruppo, con oltre 4,55 milioni di veicoli venduti e un incremento che sfiora il 6% (7° posto nella classifica globale guidata da Volkswagen, Toyota e Gm), resta il problema dell'Europa, la cui ripresa è ancora molto debole. In compenso, Fca si è confermata leader in Brasile e registra nel mercato nordamericano una crescita del 16,1%. «Le vendite di dicembre sono state le più alte dell'ultimo decennio ha commentato Reid Bigland, responsabile commerciale per gli Usa - e ci hanno permesso di superare i 2 milioni di unità raggiungendo il miglior risultato dal 2006. È il 5° anno consecutivo di incremento e ancora una volta siamo stati il costruttore con il tasso di crescita più elevato nel Paese». Vinta la sfida della Maserati (35 mila unità globali e 13 mila consegne in Usa, due record storici), la prossima tappa si chiama Alfa Romeo. A Detroit debutta la versione definitiva della supercar compatta 4C Spider, il 24 giugno Marchionne svelerà la berlina medio-grande che forse non si chiamerà più Giulia. Però la scalata verso le 400 mila vetture annunciate qui si prospetta ancora difficile e sarà più lenta. Gli eventi della settimana Domani Decreto Ilva n Comincia in Senato (commissioni Industria e Ambiente) l'iter di conversione in legge del provvedimento Mercoledì Referendum n La Corte costituzionale decide se ammettere i quesiti sulla legge Fornero per le pensioni e sui tagli dei tribunali Giovedì La Corte su Omt n A Bruxelles la Corte di Giustizia Ue comunica il parere sul programma Omt di acquisto dei titoli di Stato Foto: Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo Fiat•Chrysler SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato JEEP DIVENTA UN BRAND GLOBALE SEMPRE PIÙ FORTE: A MARZO VERRÀ INAUGURATO LO STABILIMENTO IN BRASILE 12/01/2015 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 17 (diffusione:309253, tiratura:418328) In Borsa con export e lusso per difendersi dal rischio Grecia Gli esperti: bene le aziende che vendono all'estero, le Tlc e i beni di consumo SANDRA RICCIO Inizio d'anno con il fiato sospeso sui mercati finanziari: dopo le prime giornate di forti vendite è tornata a farsi spazio l'euforia per poi lasciare di nuovo il passo ai crolli. Gli operatori guardano alle mosse della Bce di Mario Draghi che offre segnali sempre più convincenti di un lancio del «quantitative esasing» sui titoli di Stato già il 22 gennaio. Restano immutate le preoccupazioni per la Grecia e per gli effetti sistemici del crollo del prezzo del petrolio. Come muoversi in questo contesto di rinnovate tensioni? Gli esperti sono convinti che il timone debba restare puntato sull'azionario. «Nonostante i mercati azionari siano scesi durante queste ultime settimane, non ci aspettiamo che la situazione si inasprisca fino a causare situazioni critiche - dice Claudio Barberis, responsabile assetallocation di MoneyFarm.com -. Tuttavia queste tensioni potrebbero creare un periodo protratto di elevata volatilità e riteniamo che questo calo dei mercati azionari possa costituire un buon momento per investire». Per l'esperto i mercati azionari europei si riprenderanno se verrà annunciato l'acquisto di bond governativi da parte della Bce nel 2015 e i mercati azionari americani ritorneranno a salire per il continuo miglioramento dell'economia. Meglio le azioni, quindi? «Vari segnali sembrano favorevoli ai mercati della azioni - sostiene Marc Craquelin, direttore della Gestione di Financière de l'Echiquier -. Tra questi ci sono un elevato premio di rischio e uno scostamento storicamente ampio tra il rendimento delle azioni e quello delle obbligazioni corporate». Da non dimenticare poi che la flessione del prezzo del petrolio dovrebbe rivelarsi positiva per l'Eurozona con un effetto benefico sulla domanda interna stimato dagli esperti in uno stimolo alla crescita europea fino al +0,5%. Per questo nel mirino finiscono i titoli del consumo con grandi gruppi della distribuzione fino alle telecomunicazioni. Naturalmente l'interesse è alto anche per i grandi esportatori europei che potranno approfittare nei prossimi mesi di condizioni favorevoli e di un euro basso. Tra i nomi italiani citati da Marc Craquelin ci sono Luxottica e Prysmian. La prima è apprezzata per la grande forza di crescita all'estero mentre Prysmian piace perché «è leader del settore e il management è al top nel comparto ed è molto focalizzato sul ritorno agli azionisti. Ci aspettiamo poi altre acquisizioni». E il mercato dei titoli di Stato? «Se gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla soppressione globale del rischio, la fase di normalizzazione iniziata con la conclusione del Quantitative Easing americano porterà tra l'altro a un generale ritorno della volatilità sui mercati finanziari - spiega Donatella Principe, Institutional Business di Schroders Italia -. Proprio attività d'investimento come i governativi italiani, per il loro grado di rischio e per la loro elevata reattività, potrebbero quindi sperimentare più di una fase di turbolenza nel corso di quest'anno, legata in modo particolare all'incertezza sulla tempistica del lancio del Qe da parte della Bce». Cosa fare? Per l'esperta se la volatilità dello spread italiano non è legata a cambiamenti strutturali, in particolare nell'azione di politica monetaria della Bce, non dovrebbe rappresentare un catalizzatore per le vendite. Sebbene oggi il rischio associato ai Btp sia asimmetrico e il rendimento non paghi correttamente per il rischio associato, fino a quando permane il supporto della Bce (cosiddetta Draghi put) non c'è fretta di liquidare le posizioni. La partenza del Qe della Bce non è un'opzione ma un imperativo, specie dopo la caduta in deflazione dell'eurozona e la necessità di liberare risorse delle banche per sostenere una ripresa economica sempre più incerta e a rischio. Per l'esperta, il rilancio dell'azione ultra-espansiva della Bce porterà benefici ai periferici europei, con i governativi italiani che sono l'opzione preferita dalla casa d'investimento. Piazza Affari e Wall Street a confronto 0 % -5% 10% - LA STAMPA Indice Dow Jones Andamento nell'ultimo anno della Borsa di Milano 2014 Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic 2015 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato tutto SOLDI 12/01/2015 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 17,20 (diffusione:309253, tiratura:418328) "De Rigo, tre nuovi marchi per crescere in Usa e Cina" ** L'ad Michele Aracri: "In Italia puntiamo su design e prezzi competitivi E con la linea firmata Pininfarina ci apriremo nuovi spazi nel lusso" ELEONORA VALLIN LONGARONE "Un 2015 di crescita per gli occhiali firmati De Rigo" L'AD ARACRI «All'estero oltre il 90% del nostro giro d'affari Oggi annunciamo un accordo coi francesi di Zadig& Voltaire, a marzo con Pininfarina e da luglio offriremo altri due marchi» IN ESPANSIONE «Tre nuove basi logistiche in Cina e un polo in Italia Ottime performance in Turchia, Germania Bene anche il Portogallo nonostante la crisi» Il 2015 si apre all'insegna della crescita per la bellunese De Rigo, storica produttrice di occhiali che crea e distribuisce, oltre agli house brand Police, Sting e Lozza, dieci licenze internazionali quali: Blumarine, Chopard, CH Carolina Herrera, Carolina Herrera New York, Escada, Furla, Givenchy, Lanvin, Loewe e Tous. «Gli obiettivi sono molto ambiziosi» spiega l'ad Michele Aracri: ampliare le filiali all'estero presidiando meglio le Americhe, rinforzare il portafoglio marchi e potenziare la struttura italiana. Sono trenta i giovani profili che saranno assunti in azienda nei prossimi mesi: «Un rinforzo in funzione dei brand che aggiungeremo nel 2015» precisa Aracri. Proprio oggi il gruppo annuncia un accordo con Zadig&Voltaire. Mentre a marzo saranno in anteprima al Mido le capsule collection Lozza sartoriale firmate Pininfarina. A luglio, anticipa Aracri, «saremo sul mercato internazionale con due nuovi marchi». Come finanziate lo sviluppo? «Direttamente; per fortuna l'azienda negli anni ha avuto una gestione oculata con cash in attivo e si finanzia da sola. Tuttavia, non abbiamo mai nascosto che, di fronte a un'opportunità, saremmo aperti a una eventuale entrata in Borsa o all'apertura del capitale». Com'è andato il business nel 2014? «De Rigo è un'azienda solida sotto il profilo finanziario e ha attraversato un 2014 con segno positivo anche sul mercato italiano, che molto ha sofferto. Abbiamo reagito bene, con un design più attrattivo e un aggiustamento dei listini. Su Sting, per esempio, abbiamo definito un prezzo d'entrata tra gli 80 e i 120 euro. Abbiamo investito nella logistica, con un nuovo polo a Longarone, per servire tutti gli ottici europei. Oggi siamo più tecnologici ed efficienti». Qualche cifra? «Ci aspettiamo una leggera crescita sul 2013 che è stato chiuso con un consolidato di 365 milioni di euro (219 wholesale e 146 retail, ndr). Di certo non sarà a due cifre ma siamo contenti. Posso tuttavia dire che gli investimenti complessivi nel 2014 sono stati di 25 milioni». All'estero quali Paesi trainano? «Abbiamo avuto ottimi numeri in Europa, Russia esclusa. Si sono distinti la penisola iberica e la Francia. Ottime performance in Turchia e Germania mentre Grecia e Portogallo, dopo qualche anno di sofferenza, crescono a doppia cifra». Il futuro sarà sempre più Asia•Pacifico dopo l'headquarter appena inaugurato in Cina? «Nell'area asiatica cresciamo attorno al 5%, purtroppo lo yen ci ha creato qualche problema: abbiamo aumentato le quantità ma non il fatturato. In Giappone cresciamo del 20%, con record di vendite ma cresciamo a due cifre anche in Middle East. In Cina De Rigo ha una sede storica a Hong Kong, ma abbiamo deciso di investire su altre tre basi logistiche a Guangzhou, Pechino e Shanghai». Obiettivi? «La Cina ci può dare un valore aggiunto che solo un Paese di quelle dimensioni offrire. Punteremo su Police, il nostro housebrand più forte, e Chopard che è lusso. Ma per vendere in Cina non bastano gli uffici, serve tarare il prodotto a misura di quel mercato per design e fitting. Ci aspettiamo già ottimi risultati nel 2015». Com'è la torta dei ricavi? «Il 60% del fatturato lo fa l'Europa, 20% Asia, 11% in America e un 9% resto del mondo. L'Italia è al 9%, stabile». L'euro debole vi aiuta in America? «Sì, non vediamo ancora segnali ma di certo porterà benefici. In Usa la crescita è buona ma anche in Brasile: +15% a valore sul 2013». Portafoglio e licenze, cosa insegna il caso Safilo•Kering sul marchio Gucci? «Il cambio delle licenze è un grande problema, specie per le medio-piccole aziende che investono per anni per sviluppare brand che poi vengono scippati dai big. Noi siamo nati con i nostri marchi aziendali: Lozza, Police, Sting che pesano per il 40% e qui continuiamo a investire con progetti ben definiti. Nel 2014 siamo cresciuti del 5% sui brand di proprietà». Quanto a licenze? «Sono fondamentali per essere internazionali e coprire diversi segmenti. Oggi lanciamo un nuovo accordo SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL GRUPPO DEGLI OCCHIALI L'intervista 12/01/2015 La Stampa - Ed. nazionale Pag. 17,20 (diffusione:309253, tiratura:418328) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato con Zadig&Voltaire e ne aggiungeremo altri due a luglio». Come si vende un occhiale sartoriale? «Lozza sartoriale è stato presentato al Mido lo scorso anno. Fare un occhiale su misura vuol dire offrire al consumatore la possibilità di costruirselo da solo come forma, aste, colore ma anche valorizzare la professione dell'ottico. Quest'anno al Mido lanceremo un nuovo progetto in collaborazione con Pininfarina: una capsule collection per fare breccia sul mercato internazionale perché Pininfarina è un marchio globale». All'estero I Paesi che si sono distinti nel 2014 sono la Penisola Iberica e la Francia. «Vantiamo ottime performance in Turchia e Germania», dice Aracri La logistica Nel 2014 il gruppo ha realizzato un nuovo polo a Longarone, da cui serve tutti gli ottici europei Adesso sta consolidando le filiali sparse per il mondo made in Italy LO SVILUPPO Ci finanziamo direttamente ma non abbiamo mai nascosto che, di fronte a un'opportunità, saremmo pronti ad entrare in Borsa o ad aprire il nostro capitale LA SPINTA DEL MINI•EURO Non vediamo ancora segnali ma di certo porterà benefici Negli Stati Uniti la crescita è buona, e anche in Brasile. E dall'Asia ci aspettiamo ottimi risultati Tecnologia ed efficienza Il 2015 si apre all'insegna della crescita per la bellunese De Rigo, storica produttrice di occhiali che crea e distribuisce, oltre agli house brand Police, Sting e Lozza, dieci licenze internazionali quali: Blumarine, Chopard, CH Carolina Herrera, Carolina Herrera New York, Escada, Furla, Givenchy, Lanvin, Loewe e Tous 60 per cento La quota di fatturato realizzata in Europa L'Asia vale il 20%, l'America l'11% L'Italia è stabile al 9% 30 assunzioni Nei prossimi mesi il gruppo veneto amplierà l'organico puntando su giovani italiani laureati Fondazione L'azienda in cifre 1978 80 40.000 25 365 3.500 milioni Dipendenti Presenza nel mondo Investimenti circa - LA STAMPA Fatturato consolidato 2013 milioni di euro paesi con 13 società Punti vendita clienti di euro nel 2014 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) Federico Fubini Mettiamoci per un attimo nei panni di un investitore di un Paese lontano, privo di affetti o di pregiudizi verso l'Italia: una persona che ha bisogno di capire se impiegare una somma per produrre qui. Un operatore del genere non si soffermerà sui punteggi bassi del Paese nelle classifiche della Banca Mondiale, perché sa che ogni mercato ha difetti o punti di forza e ritiene inutili le medie generiche. Probabile invece che guardi ai laureati in Italia e noti che sono il 12% della popolazione, contro il 22% in Francia o il 26% in Germania. Neanche questo lo dissuaderà, perché questi sono ritardi antichi e oggi i flussi dei nuovi laureati sono simili al resto d'Europa. Assumere ragazzi usciti dall'università del resto può convenire: in due casi su tre hanno una preparazione adatta e costano poco, specie dopo che il Jobs Act detassa i nuovi contratti. Poi però questo investitore estero guarderà i grandi casi industriali aperti nel Paese. Vedrà che all'Ilva il governo ha nazionalizzato un'impresa privata cambiando apposta una legge. Qualcuno gli spiegherà che era necessario per mantenere in funzione l'azienda e pagare i lavoratori, dopo che i vecchi azionisti sono stati raggiunti da accuse gravissime: reati ambientali, fiscali e valutari. Al che l'investitore estero chiederà se quegli ex proprietari per caso siano già stati condannati in via definitiva. No, gli diranno, aspettano il rinvio a giudizio ma intanto i loro fondi sequestrati (se si trovano) verranno versati nell'azienda che non è più loro. L'investitore estero penserà che questa sia una forzatura, magari giustificabile se esiste un vero piano del governo per risanare l'Ilva e portarla sul mercato. No, gli diranno di nuovo: non è chiaro con quali soldi l'azienda sarà risanata, quale sia il percorso e l'acquirente finale. A quel punto l'investitore volterà pagina, e vorrà sapere quanto veloce sia Internet nel Paese: sempre più in futuro i grandi gruppi avranno bisogno di scambiare enormi masse di dati in pochi attimi. Gli diranno che questa è la questione degli investimenti da fare nella rete di Telecom Italia, un'azienda a controllo estero sulla quale non esiste dentro e intorno al governo una strategia. Esiste una cacofonia di voci. Non è chiaro chi attorno al premier debba occuparsene e quanto credibile forse poco - sia l'idea di scorporare la rete dal resto dell'azienda. A quel punto l'investitore estero vorrà informarsi sul sistema finanziario. Gli diranno che la terza banca del Paese, Mps, ha attivi per 190 miliardi, ma non ha passato gli esami della vigilanza europea. Andrebbe fusa a una concorrente. Neanche in privato però il governo ha chiarito se preferisce una solida fusione con una grande banca estera o una soluzione più fragile con una banca nazionale, magari una delle popolari del Nord. Anche qui per ora si cerca giusto di parare i colpi, giorno per giorno. L'investitore annuirà. Senza pregiudizi, vorrà pensarci ancora per un po'. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LE SCELTE INDUSTRIALI CHE MANCANO AL PAESE 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) Euro-Dollaro e il gran ballo delle valute Marcello De Cecco Nel mese di dicembre l'Euro ha perso il 5% nei confronti del dollaro. All'inizio dell'estate scorsa era a 1,4, ora è sceso attorno a 1,2. Euro e dollaro sono le monete delle due più grandi potenze economiche mondiali. Il cambio che le lega è soggetto a oscillazioni rapide e profonde anche perché le autorità europee e quelle americane attivano le proprie politiche monetarie principalmente per motivi di ordine economico interno, con poco riguardo ai riflessi di esse sul cambio. Ma il rapporto euro-dollaro è influenzato anche da avvenimenti politici e strategici di primaria importanza. C'è la crisi ucraina, che minaccia direttamente l'Europa. Ma anche il prezzo del petrolio è uno dei protagonisti permanenti di questa storia. Il ritorno degli Stati Uniti come grande produttore di petrolio estratto con il nuovo metodo della fratturazione conferisce forza al dollaro. Le reazioni dell'Arabia Saudita, che non vuole perdere quote di mercato e aumenta le vendite facendo cadere i prezzi, mettono in difficoltà Russia e Venezuela, che hanno il petrolio come principale componente delle esportazioni, ma non bastano a ridurre la forza che la nuova produzione di petrolio conferisce al dollaro. segue a pagina 10 segue dalla prima Le reazioni dell'Arabia Saudita, che non vuole perdere quote di mercato e aumenta le vendite facendo cadere i prezzi riescono a mettere in difficoltà paesi come Russia e Venezuela, ma non bastano a ridurre la forza che la nuova produzione di petrolio conferisce al dollaro. Dopo la crisi ucraina, la variabile più importante è l'andamento assai differente delle economie della zona Euro e di quella statunitense. L'Eurozona cade ufficialmente in deflazione e questo fa aumentare le aspettative di un intervento massiccio da parte della Bce, che potrebbe addirittura iniziare a comprare titoli dal mercato, inclusi i titoli di stato, mentre finora ha rifinanziato le banche della zona Euro, come prevede il suo statuto. La parte meno informata del mercato finanziario continua a credere che, allo stesso tempo, la Federal Reserve comincerà una manovra restrittiva, per tornare a metodi più ortodossi della gestione della politica monetaria. Si può tuttavia dubitare del realismo di entrambe queste ipotesi. Innanzitutto, perché non si sono affatto arresi quelli che, in Germania, osteggiano una manovra di acquisto massiccio di titoli da parte della Bce. Ma anche perché un cambiamento radicale della politica monetaria americana in senso restrittivo trova negli Usa parecchi che lo osteggiano. Il rafforzamento cospicuo e rapido del dollaro gioca a favore di un mantenimento dello status quo in entrambe le aree. Il dollaro forte, infatti, favorisce le spese americane all'estero e scoraggia le esportazioni dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo l'euro debole incoraggia le esportazioni europee verso gli Stati Uniti e rende meno pressanti le istanze di coloro che nei paesi deboli reclamano un deciso intervento espansivo da parte della Bce. Attorno al cruciale cambio eurodollaro si pongono, nell'anno che si apre, anche i dilemmi dei cambi di paesi come Gran Bretagna, Giappone e Cina. Nella parte più esterna del cerchio al cui centro è il cambio tra euro e dollaro, ci sono infine le valute dei paesi emergenti, fortemente influenzati dai movimenti di capitali a breve che originano nei paesi finanziariamente più importanti. Un rafforzamento del dollaro spesso fa da supporto anche alla sterlina. Ma nel 2015 si svolgeranno in Gran Bretagna cruciali elezioni politiche, animate dal nuovo partito isolazionista Ukip, che rischia di minacciare seriamente la maggioranza dei conservatori e spingerli ad azioni estremistiche contro l'Europa. La parte più aperta alle transazioni internazionali dell'economia britannica ha manifestato la propria preoccupazione per queste tendenze isolazionistiche, che minacciano seriamente il ruolo assunto da Londra di piazza finanziaria di tutta l'Europa. In vista di tutti questi elementi, la sterlina è crollata contro l'Euro mentre il dollaro cresceva. Nella minaccia di un referendum incerto, ma forse anche per evitarlo, chi ha sterline le vende. Una cruciale coppia di monete è poi certamente quella costituita da Yen e Yuan-Renmimbi. Nel corso dell'anno il raffreddamento dell'economia cinese e il tentativo di cambiamento del modello di sviluppo dell'economia hanno causato la riduzione delle importazioni di materie prime e beni di investimento. Essa spiega in buona parte la debolezza recente dei prezzi delle materie prime e delle monete dei paesi che le producono. Il cambio di rotta economica da parte cinese induce una riduzione del ritmo di crescita anche nei paesi che SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato [ IL COMMENTO ] 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato forniscono beni industriali e investimenti privati alla Cina. Quindi, nell'area, innanzitutto il Giappone, ma anche la Corea del Sud e Taiwan. La diminuzione della domanda cinese spiega il moderato successo della forte svalutazione dello Yen voluta da Shinzo Abe, che invece è stata più efficace verso altre aree. Concludendo, da una situazione politica internazionale in deterioramento possiamo aspettarci il rafforzamento del dollaro per il cosiddetto "effetto porto sicuro". Ma è anche bene ricordare, guardando al grafico dell'intera vita del cambio euro-dollaro, che il livello attuale è stato raggiunto altre volte, incluso il 1999, quando fu introdotto l'Euro, anche se l'avvio della sua circolazione avvenne nel 2002. Tutti ricordano la fase di estrema debolezza che seguì l'inaugurazione della moneta europea, quando il cambio toccò lo 0,8 verso il dollaro. Allora il malato d'Europa era la Germania e la si poteva curare solo con l'Euro ultra debole. L'inizio della circolazione delle banconote Euro coincise con una decisa risalita del cambio, che culminò nell'1,59 toccato ad aprile del 2008. Essa si spiega in buona parte con la straordinaria politica monetaria espansiva americana di quegli anni, giustificata prima dalla recessione dopo la bolla Ict e dall'attacco dell'11 settembre, poi dalla guerra contro l'Iraq. Lo scoppio della bolla immobiliare-creditizia americana del 2008 e la recessione mondiale spiegano l'andamento successivo del cambio, che alterna fasi di rialzo e ribasso rapide e profonde. Le politiche monetarie non ortodosse americane ed europee spiegano le montagne russe del cambio. Ma la non ortodossia europea è moderata dalla difficoltà di far fronte all'attacco, degno di Martin Lutero, dell'intera nazione tedesca contro l'espansione monetaria che la congiuntura europea disperatamente richiede. 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) Pronto il piano della Bce quattro opzioni per Draghi Giovanni Pons Facile dire "Quantitative easing", una delle espressioni più utilizzate ultimamente da giornali, commentatori economici e addetti ai lavori e la cui popolarità cresce di giorno in giorno. Ma è difficile spiegare effettivamente che cos'è il Qe che Mario Draghi, il banchiere italiano che guida la Banca Centrale Europea, si appresta a lanciare sul territorio dell'eurozona, ufficialmente per salvaguardare la stabilità dei prezzi. Può facilmente diventare un passaggio storico per l'intera economia europea o un grande flop. segue a pagina 4 Il compito che Draghi ha davanti a sé è più arduo di quello affrontato dai suoi colleghi della Fed, della Bank of England e della Bank of Japan, dal 2009 a oggi. I loro programmi di quantitative easing erano obbiettivamente più semplici perché si rivolgevano a un solo paese. Il problema di Draghi è che in Europa esistono 19 paesi nell'euro e 28 partecipanti alla Ue ognuno con proprie emissioni di titoli di stato. Dunque la metodologia con cui procederà agli acquisti sul mercato sarà determinante e probabilmente in grado di discriminare questo o quel paese. In più Draghi deve far fronte alla fronda interna al Consiglio della Bce, guidata dal tedesco Jens Weidmann che si porta dietro almeno gli olandesi, con l'intento di impedire che gli acquisti a pioggia di bond vadano in qualche modo a pesare sui bilanci degli Stati e quindi in ultima stanza sui contribuenti. Infine Draghi deve combattere contro lo scetticismo degli economisti, la maggior parte dei quali non è sicura che l'effetto finale del Qe possa tradursi in una ripresa dell'economia e quindi dell'inflazione verso la soglia minima del 2%, obiettivo esistenziale della Bce. Insomma una lunga serie di incognite circonda questo passaggio della politica monetaria europea e molte sono difficili da comprendere per il cittadino che però dovrebbe godere dei suoi benefici. Vediamo di dipanare almeno in parte la matassa. Indebolire l'euro . Il primo effetto tangibile del Qe è quello di deprimere il cambio attraverso la creazione di base monetaria aggiuntiva. Si comprano i titoli di stato i cui rendimenti scendono e per questa via vi saranno meno afflussi di denaro verso i titoli denominati in euro. La svalutazione dell'euro è già in corso da qualche mese come diretta conseguenza degli annunci che via via Draghi ha fatto. Da 1,38 dollari per un euro si è passati a 1,18 ma l'obiettivo dovrebbe essere quello di arrivare ancora più giù. «È inevitabile che l'euro si indebolisca, solo con lo shale gas gli Usa hanno guadagnato il 4-5% di competitività rispetto all'Europa. Il Qe deve avere l'obiettivo di abbattere il cambio fino a 1-1,1 contro il dollaro e di sollecitare i governi a continuare sul terreno delle riforme strutturali», osserva Davide Serra, fondatore e gestore dei fondi Algebris basati a Londra. Dai suoi conti il petrolio sotto i 60 dollari al barile vale per l'Italia uno 0,4% di Pil mentre ogni 10 centesimi di svalutazione dell'euro aumentano del 10% le esportazioni delle aziende. L'effetto combinato di valuta e petrolio dovrebbe far uscire l'Europa dal tunnel della recessione e portare una ripresa sostenuta. Le banche impiombate. Draghi si è convinto della necessità di un Qe sui titoli di Stato perché i tentativi fin qui portati avanti di far affluire liquidità all'economia reale non hanno funzionato. La cinghia di trasmissione si è inceppata. I primi prestiti alle banche di inizio 2012 si sono tradotti in profitti per gli istituti attraverso gli impieghi in titoli di Stato ma non si sono trasformati in maggiori prestiti alle imprese. Anche le più recenti aste "Tltro" finalizzate all'economia reale, hanno registrato bassa richiesta da parte del sistema bancario (212 miliardi sugli oltre 400 previsti). «Il declassamento del rischio paese e i maggiori requisiti di capitale richiesti dagli organismi di sorveglianza inducono le banche a chiedere uno spread più alto sugli impieghi per remunerare il capitale», spiega Davide Grignani, responsabile Financial institutions di Société Générale a Milano. Il risultato è che in Italia e in altri Paesi i crediti in sofferenza rappresentano il problema principale e le erogazioni di prestiti alle imprese è diventata più selettiva. Le aziende sane che chiedono soldi per aumentare gli investimenti quelle export-oriented mentre le altre sono guardate con diffidenza. Il cavallo non beve, come si dice in questi casi. E le banche non gli danno da bere. Incognita Grecia. «Il Qe potrebbe incidere ancor di più sul cambio rinvigorendo la crescita delle esportazioni visto che il 50% dei ricavi delle imprese viene da fuori dell'area euro», spiega Maria Paola Toschi, market strategist di JP Morgan Asset Management. «Draghi SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'OPERAZIONE "QUANTITATIVE EASING" 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato ha creato una forte aspettativa sul Qe e se questo non dovesse essere risolutivo sorgerebbe un altro problema per la Bce». Il percorso è accidentato e lo spettro di una nuova crisi della Grecia è tornato a materializzarsi nelle scorse settimane. Con una vittoria di Tsipras alle elezioni del 25 (3 giorni dopo la riunione della Bce) il tema della rinegoziazione del debito greco tornerebbe d'attualità e il percorso di austerity imposto dalla Troika (Bce, Ue, Fmi) messo in dubbio. A questo punto il dilemma di Draghi è il seguente: se include i titoli di stato greci nel Qe solleva le proteste della Germania e degli altri paesi rigoristi; se discrimina la Grecia con il Qe il mercato potrebbe pensare che la Germania e le nazioni forti hanno deciso di lasciare la Grecia al suo destino anche fuori dall'euro, come è stato paventato dai giornali tedeschi nei giorni scorsi. «Un'eventuale perdita sui titoli greci andrebbe a pesare sul bilancio della Bce e quindi sugli Stati partecipanti», ricorda Serra. «La Bce dovrebbe dire ai governi: vi compro i titoli di stato se fate una serie di riforme». Quattro tipi di Qe . È cruciale la modalità che verrà scelta dalla Bce per realizzare l'agognato Qe. Le indiscrezioni dei giornali tedeschi e olandesi riferiscono di gruppi interni di studio su almeno quattro modalità. La prima, la più semplice, vedrebbe gli acquisti di titoli di stato effettuati in proporzione alle quote di partecipazione delle banche centrali alla Bce, che riflettono bene o male il Pil dei singoli paesi. Ma poiché alla Bce partecipano anche le nazioni che aderiscono alla Ue ma non all'euro, come la Gran Bretagna, ciò vorrebbe dire acquistare anche titoli del debito inglese o della Bulgaria. La seconda ipotesi è che la Bce compri titoli in relazione alla quantità di bond già emessi oggi sui mercati dai singoli paesi. In questo l'Italia sarebbe avvantaggiata dagli acquisti avendo circa 1600-1700 miliardi di titoli di stato "outstanding". La terza opzione pone come discriminante per gli acquisti i rating dei titoli emessi. La Bce potrebbe comprare solo i titoli AAA oppure scendere fino a BBB-, cioè quelli investment grade tagliando così fuori la Grecia e Cipro. L'effetto di concentrare gli acquisti sui titoli più "solidi" dovrebbe essere quello di indurre gli attuali possessori di quei titoli a vendere, visti i rendimenti che diventano negativi, e a riposizionarsi su asset più rischiosi. Il quarto spartiacque potrebbe invece far riferimento al rispetto delle regole Ue sui bilanci pubblici e utilizzare questa via potrebbe essere un altro modo per tener fuori dal Qe quei paesi che appaiono meno affidabili sul fronte del rispetto dei conti. L'ultimo compromesso di Draghi con i tedeschi sarebbe quello di far comprare i titoli in questione alle singole banche centrali nazionali, in modo da non pesare direttamente sul bilancio della Bce e quindi sugli Stati. Ma anche questa modalità presenta controindicazioni di mercato. Se non funziona? Non ci sono solo i dubbi degli economisti: lo stesso Draghi ha più volte ripetuto che la politica monetaria da sola non basta per far ripartire l'Europa. E ha avvertito i governi e la politica che tocca a loro incidere con le riforme e la politica fiscale. «Il cambio favorevole e la bolletta energetica più bassa potrebbero non essere sufficienti - avverte Grignani - occorre stimolare la domanda interna per consumi e investimenti che in questo momento, almeno in Italia, è ai minimi storici. Occorrono riforme strutturali e un coordinamento europeo per liberare risorse abbassando la pressione fiscale». Se ciò non succedesse gli effetti del Qe, in gran parte già nei prezzi, verrebbero vanificati. Peggio, senza una solida ripresa i paesi ad alto indebitamento come l'Italia vedrebbero il loro rapporto debito/Pil crescere a dismisura fino a rendere necessaria una ristrutturazione che sarebbe dolorosa per tutti, trattandosi del terzo o quarto debito del mondo in valore assoluto. Un'eventualità che anche i tedeschi cercheranno di scongiurare in tutti i modi. S. DI MEO Foto: Il presidente della Bce, Mario Draghi : è molto probabile che annuncerà il Qe il 22 gennaio Foto: Nel grafico in alto a sinistra, l'inarrestabile avanzata della deflazione che ha investito l'economia europea: solo il "Qe" che aumenta di molto la massa monetaria in circolazione, può contrastarla decisamente Il leader di Syriza e favorito alle elezioni greche Alexis Tsipras (1); il presidente della Bundesbank Jens Weidmann (2); il finanziere Davide Serra (3) Foto: Il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente della Bce, Mario Draghi , i due maggiori protagonisti della politica economica europea 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) Varoufakis il greco-texano che fa paura ai mercati Eugenio Occorsio a pagina 6 «Ho 54 anni, e non ne posso più: sono cresciuto con la dittatura dei colonnelli e mi ritrovo sotto la tirannia delle banche e degli economisti sedicenti liberisti». Ma forse Yanis Varoufakis, che si presenta con quest'amara autoironia, sta per smetterla di girare il mondo alla ricerca di una nazione veramente libera: se tutto andrà secondo le previsioni, fra due settimane sarà ministro dell'Economia del suo Paese, la Grecia. Gliel'ha promesso Alexis Tsipras, capo di Syriza e tutt'ora accreditato di un 3% di vantaggio su Nuova Democrazia, il partito del premier uscente Antonis Samaras. Che è, neanche a dirlo, il più grande dei bugiardi secondo Varoufakis: «Ha messo in giro questa voce che la Grecia sia in ripresa, solo perché ha chiuso un trimestre (il terzo del 2014, ndr ) con un aumento del Pil dello 0,7%. Ma a parte che non significa niente perché siamo in deflazione e i prezzi scendono dell'1,9% e quindi la somma algebrica sarebbe tutta un'altra, di quale ripresa parla? Ma gira, Samaras, per le strade di Atene? Le vede le file dei disoccupati, di chi va a mangiare alla Caritas e fruga nei cassonetti? Ma si è accorto che per dare retta all'Europa che ci impone di privatizzare tutto il possibile a marce forzate abbiamo svenduto beni inestimabili a una serie di lestofanti? Guardi, mi creda, la Grecia è ancora nel profondo di una spaventosa depressione che dura da sette anni». Il rimedio? Ovviamente «cambiare governo». Sbaglierebbe però chi definisse Varoufakis solo un massimalista di sinistra, uno che usa questi toni perché è in campagna elettorale. In realtà è più realista, dialogante e metodico di quanto si potrebbe pensare. E di quanto indicherebbe il suo aspetto da duro, con quella faccia da pugile a riposo che ama ripetere "When the going gets tough, the tough gets going", che non sarebbe altro che "quando il gioco si fa duro...". Invece c'è proprio lui, il guru economico di Syriza, dietro il cambiamento forse decisivo di atteggiamento internazionale di Tsipras. E' avvenuto un paio di settimane fa. Fino a quel momento il leader di Syriza aveva costruito il suo successo politico su uno slogan tanto semplice quanto irresistibile: "Basta con i sacrifici, la Grecia fuori dall'euro". Poi, all'improvviso questa minaccia è sparita e Tsipras ha cominciato a parlare di comprehensive agreement , un accordo complessivo che risolva la situazione senza drammi. Anche perché dai sondaggi pre-elettorali si è scoperto che il 74% dei greci nell'euro, malgrado tutto quello che gli costa, ci vuole restare. I due protagonisti di questa battaglia sembrano essersi divisi perfettamente i compiti: Tsipras è l'oratore, il demagogo, il catturapopolo, Varoufakis è l'eminenza grigia e anche il tecnico di profonda esperienza che suggerisce le formule giuste. «L'euro è stato costruito malissimo, e manderei a processo chi ne ha formulato le technicalities », dice Varoufakis. «Per la Grecia, ma anche per tanti altri a partire dall'Italia, sarebbe stato molto meglio starne alla larga fin dall'inizio. È crollato miseramente sotto i colpi della crisi finanziaria americana del 2008 e non si è più ripreso perché le cure sono state le più sbagliate possibile. Ma ormai a bordo ci siamo e indietro non si torna. È come una nave che in mezzo all'Atlantico comincia a imbarcare acqua. Vogliamo metterci a fare il processo agli ingegneri che l'hanno costruita mentre stiamo per affondare? L'unica cosa da fare è mettercela tutta e arrivare sull'altra sponda». Ed è su questo "mettercela tutta" che Varoufakis ha concepito la sua ricetta, che è diventata la piattaforma economica di Syriza ma prima aveva riassunto in un libro intitolato "Una modesta proposta per risolvere la crisi dell'euro», scritto a quattro mani con James Galbraith (figlio del grande John Kenneth Galbraith che era stato l'economista di Kennedy), suo collega alla Lindon Johnson University di Austin, Texas, dove attualmente insegna economia politica dopo un giro del mondo che l'ha portato dall'Australia all'Inghilterra, e infine in America. La proposta "complessiva" comprende un ampio raggio di misure interne di razionalizzazione e riduzione della spesa, ma il tutto si basa sull'assunto che pretendere che la Grecia, così come forse altri debitori in difficoltà, sia costretto a pagare nei tempi previsti fino all'ultimo euro di debito, rappresenta un supplizio irragionevole. «È solo una tortura inutile, condotta oltretutto a carico di chi, per quanto abbia buona volontà, non ce la farà mai a rientrare nei termini previsti. Aggrava la situazione in una spirale di dolore infinita». Varoufakis aveva coniato in un'intervista proprio a Repubblica che ha anche inserito SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA [ IL PERSONAGGIO ] 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato nel suo sito, il termine "fiscal waterboarding" come la peggiore delle torture della Cia in versione finanziaria, «ma forse era un po' forte», ammette ora. Sta di fatto che se Syriza vincerà, chiederà «entro i primi cento giorni di governo», assicura Varoufakis, una completa rinegoziazione del suo debito estero, detenuto ormai in massima parte (81%) dai tre membri della Troika. Tassi molto più agevolati per tutte e tre le fattispecie di creditori: Bce, Fmi, Paesi europei, Fondo salvastati (per la verità sono stati già rinegoziati più volte e la media è scesa dal 3,5 all'1,5%). E scadenze dilazionate «senza un termine prefissato, almeno la parte dovuta alla Bce: cominceremo a restituire quando si sarà ripristinata una crescita adeguata». Ma quante possibilità, ammesso che un capo di governo come la Merkel porti questa proposta all'approvazione del Bundestag, quante possibilità esistono perché passi? «Non lo so, ma noi non cederemo. È la nostra linea rossa, non arretreremo. E poi, almeno per la parte di debito in mano alla Bce, ci è dovuto». E perché? «Perché quando nel 2011 ci fu la ristrutturazione del debito greco, le banche avevano già pensato bene di liberarsi dei titoli cedendoli alla Bce. La quale era esente dall' haircut e così nessuno ha perso niente. Ci sono rimasti impigliati solo i debitori privati. È stata un'ingiustizia e una manifestazione di arroganza da parte del sistema finanziario alla quale ora c'è l'occasione di porre rimedio». Ma quello che fa più infuriare Varoufakis, economista di pura marca keynesiana, è l'intromissione «in una campagna elettorale democratica». Due sono i colpevoli: la Merkel, naturalmente, e Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione reo di aver detto di «fare attenzione» alle idee di Syriza in economia. «Juncker- accusa Varoufakis - dimostra un profondo disprezzo per la democrazia e un atteggiamento neocoloniale che si fa beffa dell'idea secondo cui l'Unione rispetta la sovranità dei suoi stati membri». In teoria, aggiunge l'economista ateniese, «dovrebbe essere la Commissione europea ad essere tenuta a rispondere delle sue scelte di fronte ai cittadini degli Stati membri, e non i cittadini ad essere tenuti a rispondere delle loro scelte di fronte alla Commissione. E per definizione la Commissione non può esprimere alcun giudizio di merito sull'esito di un'elezione, figurarsi se può indicare il candidato giusto e quello sbagliato». Il problema resta: i mercati sono ora nella fase in cui pensano che, d'accordo, vinca il migliore ad Atene. Ma se arrivano Tsipras e Varoufakis con le loro richieste e queste non vengono accolte, cosa succede? MINISTERO DELLE FINANZE GRECO, UBS , S. DI MEO [ LA BIOGRAFIA ] Da Atene ad Atene via Austin e Sydney alla ricerca del pensiero libero Yanis Varoufakis aveva sei anni nel 1967 quando con un colpo di Stato i militari presero il governo ad Atene. Ci resteranno fino al 1974, e furono anni, ricorda l'economista, di profonda sofferenza, di maturazione ma anche di incertezza. Tanto che, visto che anche dopo il ripristino della democrazia la situazione non era stabilizzata, nel 1977 se ne andò in Gran Bretagna a studiare economia all'Università di Essex, dove poi divenne professore nel 1982. «Ma nella notte della terza vittoria della Thatcher nell'87 - racconta - mi dissi: è troppo. Cominciai a cercarmi un'alternativa e per fortuna nell'88 arrivò una chiamata dalla Sydney University, dove insegnai fino al 2000 non senza tenere anche corsi a Glasgow e Lovanio». Ma poi anche l'Australia svoltò a destra, «con un piccoletto odioso di nome John Howard». E fu la volta del rientro all'Università di Atene, «anche perché avevo una nostalgia tremenda». Ma per colmo di sfortuna piombò sulla Grecia la crisi economica, e nel 2010 l'ateneo fu costretto a chiudere fra gli altri proprio il suo istituto, l'International Doctoral Program in Economics. Sono anche gli anni dell'impegno in politica, e dell'amicizia con Tsipras che culminerà con un articolo che Varoufakis scrisse per il New York Times poco più di un anno fa proponendo il capo di Syriza come presidente della Commissione europea. «Che straordinario segno di buona volontà e di solidarietà sarebbe stato. Il problema era che avrebbe rovesciato la politica economica dell'Unione, e la Merkel lo fermò». Intanto il comitato centrale (si chiama proprio così) di Syriza l'ha nominato economista di riferimento e lui ha scritto la parte economica del programma pur essendosi nel frattempo trasferito in America: l'Università di Atene l'aveva mantenuto nel ruolo di capo dipartimento, ma lui nel 2011 ha avuto l'offerta dall'università di Austin, allora ha preso un'aspettativa senza stipendio ed è risalito sull'aereo. Salvo tornare in questi giorni ad Atene per la campagna elettorale. Foto: L'economista di Syriza Yanis Varoufakis visto da Dariush Radpour ; a fianco, le scadenze dei bond greci compresi quelli trentennali dell'ultima tranche dei prestiti della Troika in via di erogazione 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) Poste, parte la rivoluzione di Caio Marco Panara Il problema delle Poste sono le poste. Il servizio per il quale sono nate, distribuire lettere e pacchi, è in crisi profonda, mangia i margini prodotti dalle altre attività del gruppo e alla lunga, senza una cura seria, è insostenibile. «Gli italiani inviano meno corrispondenza dei cittadini di altri paesi, la riduzione della corrispondenza cartacea è più forte che altrove, gli operatori privati, in un settore apertissimo alla concorrenza, negli anni scorsi anni hanno avuto la capacità di assicurarsi i servizi più lucrosi». Francesco Caio, amministratore delegato di Poste Italiane dal maggio scorso, dopo aver fatto la diagnosi, con il piano industriale presentato in dicembre ha indicato anche la terapia. Che sarà lunga: cinque anni contro i consueti tre. «Perché ci vogliono orizzonti temporali coerenti. L'innovazione sono le start up, i prodotti tecnologici, ma anche le infrastrutture e un mutamento culturale». Una cura ambiziosa. «Poste Italiane può essere un motore di sviluppo inclusivo nella transizione epocale verso l'economia digitale, utilizzando strumenti e meccanismi semplici e alla portata di tutti». Cosa c'entrano le Poste con lo sviluppo inclusivo? «L'idea di un modello di sviluppo inclusivo ci è venuta dalla constatazione di quanto la digitalizzazione sia divisiva e crei un fossato sempre più largo tra chi ha la cultura digitale e chi non ce l'ha». segue a pagina 2 IL SERVIZIO UNIVERSALE OGGI NON HA MARGINI MA NON VA TAGLIATO: VA SNELLITO SALVANDO LA SUA CAPILLARITÀ E FAMILIARITÀ PER GLI UTENTI PER LANCIARE PRODOTTI PIÙ AVANZATI: DALLE POLIZZE DI VIAGGIO AI PAGAMENTI ONLINE Italia è molto indietro rispetto agli altri principali paesi europei nell'e-commerce come nei pagamenti non cash, la ragione è un divario tra gli utilizzatori che è lo specchio del divario delle conoscenze. Poste è, e ancora di più sarà, una porta tra - diciamo così il mondo analogico e il mondo digitale, una porta aperta a tutti perché arriva ovunque». Lei è arrivato alla guida del gruppo otto mesi fa, che azienda ha trovato? «Un'azienda con una centralità delle relazioni umane, sia interne che soprattutto esterne, dai portalettere agli uffici postali, che non avevo mai visto. Un'azienda che si è trasformata da ente pubblico in spa, poi si è reinventata aprendosi su molti fronti, dalle assicurazioni, alla telefonia. Un gruppo che sta soffrendo una compressione importante dei margini soprattutto nella componente postale tradizionale, dove c'è una tendenza inerziale che se non corretta è insostenibile. E infine un gruppo che nella proiezione verso l'esterno non ha valorizzato appieno il ruolo sistemico che può giocare, a cominciare da una raccolta di risparmio che raggiunge 420 miliardi e che richiede una cura e una riflessione attenta». In effetti Poste è diventata tante cose, banca e assicurazione, compagnia telefonica e azienda logistica. Sono troppe? «Occorre in effetti una nuova reinvenzione, che passa per una semplificazione e una concentrazione su tre mestieri, la logistica, i pagamenti e le transazioni bancarie, la raccolta e la gestione del risparmio». Il buco nero sembra essere la logistica. «La corrispondenza tradizionale è in crisi con volumi calanti e costi elevati. Dal 2012 i volumi, già bassi, sono crollati del 13 per cento l'anno e il servizio universale, così come è stato disegnato fino ad ora, non solo non risponde più alle esigenze degli utenti ma non è economicamente sostenibile. Nella consegna dei pacchi, che invece è un settore in crescita e che lo sarà ancora di più con la diffusione dell'e-commerce, Poste ha solo il 10 per cento del mercato, una quota decisamente troppo bassa per una struttura che ha una rete come la nostra». E infatti il piano strategico si basa su una revisione del servizio universale del quale però non sono ancora chiari i parametri. «La base normativa del nuovo servizio universale è stata fissata con la Legge di Stabilità, da alcuni mesi inoltre è in corso un dialogo con il ministero dello Sviluppo Economico, che è la nostra controparte, che porterà ad una definizione del contratto entro febbraio. L'ultima parola spetterà poi all'AgCom e dovremo definire il tutto entro la fine di marzo». Avremo un servizio universale meno universale? «Avremo semplicemente un servizio universale più razionale e più sostenibile. Abbiamo ascoltato i nostri utenti e le associazioni dei consumatori e ne emerge che quello che conta per gli utenti più che la velocità è la certezza della consegna. Che la lettera ci metta due giorni invece di uno non cambia molto, l'importante è essere sicuri che arrivi. Per la velocità SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato utenti e imprese sono già abituati a pagare di più, sia che acquistino su Amazon sia che utilizzino altri servizi, accadrà lo stesso con le Poste». Licenzierete postini? «Non licenzieremo nessuno. Il piano industriale prevede che si confermi il programma avviato nel 2010 per turn over e uscite agevolate finanziate dall'azienda e prevede anche 8 mila assunzioni, nonché 3 milioni di ore di formazione». Secondo la Cisl negli ultimi anni sarebbero usciti 4mila-4.500 dipendenti l'anno. In cinque anni, i tempi del piano, fanno circa 20 mila, contando le 8mila assunzioni sarebbero circa 12 mila dipendenti in meno. «Non ci siamo dati obiettivi numerici sui dipendenti, ci siamo dati obiettivi qualitativi, e i 3 milioni di ore di formazione sono l'indicazione più importante di tutto il piano su quanto puntiamo sulle risorse umane per migliorare i servizi del gruppo». Per la consegna dei pacchi vi siete dati un obiettivo ambizioso, il 30 per cento del mercato, il triplo della quota att u a l e . C o m e pensate di arrivarci? «Con l'integrazione dei servizi. Ai clienti possiamo offrire oltre alla consegna a domicilio anche nel più vicino ufficio postale, e ne abbiamo 13mila, nonché il pagamento alla consegna con la dotazione dei portalettere con pos mobili. Non sono in molti che possono offrire altrettanto». 13 mila sportelli sono troppi? Ne chiuderete? «Da una parte abbiamo chiesto di chiudere 500 sportelli monodipendente che hanno in media meno di 30 clienti, dall'altra in molti luoghi abbiamo aumentato l'orario di apertura». Ma per logistica e corrispondenza, con lo Stato che vuole contribuire sempre meno ai costi del servizio universale, riuscirete a raggiungere il pareggio? «Ci avvicineremo, con le correzioni che ci apprestiamo a fare recupereremo la sostenibilità perduta». Mi sembra che lei ponga molta attenzione al settore del risparmio, ma in gran parte a gestirlo è la Cassa Depositi e Prestiti. «Tutti e tre i nostri business sono importanti per Poste. Per quanto riguarda il risparmio la raccolta complessiva supera oggi 420 miliardi e a fine piano contiamo di essere a 500. Il risparmio postale è il primo pilastro, sono i 320 miliardi che gestisce la Cassa, il resto sono soprattutto assicurazioni sulla vita, ma stiamo pensando a inserire altri strumenti». Con quale obiettivo? «In un contesto di tassi bassi, se vogliamo allargare la fascia di mercato di chi può accedere a investimenti più redditizi le Poste possono fare la loro parte, per esempio con l'offerta di fondi. Io vedo in questo un ruolo strategico delle Poste, sia come ho detto per allargare la platea degli investitori ma anche come ponte tra risparmio ed economia reale». Vuol dire che investirete nelle imprese? «Non investiremo né presteremo soldi alle imprese, ma ci sono fondi infrastrutturali e di altro tipo attraverso i quali si può contribuire alla modernizzazione del paese». L'assicurazione è la gallina dalle uova d'oro del gruppo, che sviluppo prevede? «Oltre al settore Vita, nel quale è diventata uno dei primi operatori italiani, abbiamo intenzione di occuparci della protezione della casa e della salute, anche qui per avvicinarci all'Europa». Tra logistica, raccolta del risparmio e sistemi di pagamento, cosa c'è in comune? «La linea logica che unisce i nostri diversi mestieri è la capillarità della rete che dà vicinanza al cliente e il patrimonio di fiducia accumulato negli anni». Che ha trovato un intoppo nell'indagine della Consob che ha rilevato alcune incongruenze nella valutazione della disponibilità al rischio dei clienti. «L'indagine si riferisce al periodo 2011-2013. Il Cda peraltro ha già adottato tutte le azioni necessarie per adeguare le attività di Poste alle indicazioni della Commissione». Poste è caratterizzata da una forte burocrazia interna e da ancora più forte influenza sindacale. Sono un ostacolo a quella che lei definisce una "seconda reinvenzione" del gruppo? «Secondo la mia esperienza in tutte le aziende, quando c'è chiarezza degli obiettivi e un piano credibile per raggiungerli, la struttura risponde. E questa azienda ha già realizzato cambiamenti importanti». Si era parlato di una sorta di accordo per introdurre nel gruppo una sorta di "modello tedesco" con una maggiore partecipazione dei lavoratori, è quello lo scambio? «Non c'è nessuno scambio, né io potrei farlo. Nell'ambito del progetto di privatizzazione tutte le decisioni che riguardano la governance sono dell'azionista, non del management. L'ipotesi di favorire la partecipazione dei dipendenti nell'azionariato e le forme per farlo saranno oggetto delle riflessioni dei prossimi mesi». Poste è un'azienda tecnologica, come la valuta da questo punto di vista? «E' stato fatto un grande lavoro perché la rete che collega tutti gli uffici e gli sportelli c'è e funziona. La fase successiva è una crescente digitalizzazione che passa per una maggiore integrazione tra i vari settori di attività. Per passare alle Poste 2.0 abbiamo previsto investimenti per oltre 3 miliardi. Obiettivo appunto integrazione, tracciabilità, rendicontazione, evoluzione dei servizi PostePay, portare il collegamento oltre gli 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:581000) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato uffici fino ai clienti. Il tutto con strumenti che devono essere semplici e utilizzabili da tutti. Ma vogliamo andare anche oltre, dal ruolo che vogliamo giocare come fornitori dell'identità digitale ai servizi che possiamo offrire alle imprese e allo Stato nella gestione dei documenti dematerializzati». Poste Mobile in tutto questo che ruolo ha? «Poste Mobile è una componente del progetto di costituzione delle Poste 2020 al quale stiamo lavorando, basti pensare ai pagamenti mobili e alle app per i bollettini». Tra le vostre partecipazioni ce ne sono due che hanno fatto discutere. La prima, in ordine di tempo, è la Banca per il Mezzogiorno, si parla di una cessione a Invitalia. «La banca va bene, stiamo ragionando su diverse ipotesi ma ancora non sono state prese decisioni». L'altra partecipazione, che ha fatto discutere ancora di più, è Alitalia. Che senso ha la presenza di Poste nel capitale di una compagnia aerea? «Ci sono sinergie delle quali abbiamo discusso a lungo con il management di Etihad e di Alitalia. La prima è senz'altro la logistica, i pacchi, per i quali il ruolo dell'hub merci di Malpensa che la compagnia sta studiando può essere potenzialmente rilevante. Poi ci sono forme di collaborazione commerciale che vanno dall'emissione dei biglietti all'emissione di carte di pagamento congiunte che ci aprirebbero un mercato che oggi non raggiungiamo appieno. Infine abbiamo già creato delle app legate ai siti di prenotazione e ora stiamo pensando a collegarle anche a forme di assicurazione per i viaggiatori». Tutte cose importanti, ma che si potrebbero fare anche senza essere azionisti. La domanda vera, quella che le faranno nei road show per la privatizzazione, è se rivedrete mai quei soldi. «Sono convinto di sì, il piano della compagnia è valido e io sono convinto che sia un buon investimento». Un'altra domanda che investitori e analisti le faranno è sul paio di miliardi di crediti che l'azienda vanta nei confronti dello Stato. Vorranno sapere se li rivedrete mai. «Stiamo discutendo con l'azionista e certamente prima dell'avvio della privatizzazione avremo delle certezze». Infine: il 2013 ha chiuso con un miliardo di utile netto, cosa dobbiamo aspettarci per il 2014? «Le posso rispondere con quello che ho detto alla presentazione della semestrale: che la prima metà dell'anno ha registrato una flessione importante dei margini legata alla contrazione dei volumi postali e che non erano previste inversioni nel secondo semestre». Traduzione: quest'anno niente miliardo, ci si fermerà più o meno a due terzi del risultato del 2013. S. DI MEO LOGISTICA Nella consegna dei pacchi il gruppo ha il 10% del mercato e punta al 30 CORRISPONDENZA Il servizio più antico, la consegna delle lettere, ha le maggiori diseconomie ASSICURAZIONI Nel settore Vita è ormai tra i primi in Italia, ora si aprirà al ramo Danni BANCOPOSTA Il servizio bancario copre anche carte di debito e gestione del risparmio [ AL COMANDO ] L'amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio [ TECNOLOGIE ] E-commerce e moneta elettronica il digital divide tra l'Italia e l'Europa Il digital divide è forte all'interno del paese, tra chi utilizza tecnologie digitali e chi no, ma è molto forte anche nel confronto tra nazioni diverse. In Italia l'e-commerce è in crescita ma il confronto con gli altri paesi è impietoso, la penetrazione è pari alla metà della media dei paesi europei, un quarto del Regno Unito, meno di metà della Germania e sostanzialmente inferiore anche a Francia e Spagna. Quanto ai pagamenti non in contanti va ancora peggio, siamo quasi a metà della Spagna un terzo della Germania, un quarto di Francia e Regno Unito. PAGAMENTI Sistemi avanzati per la diffusione della moneta elettronica POSTE MOBILE Tre milioni di sim attive, in arrivo app per i bollettini e i pagamenti online 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 23 (diffusione:581000) LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI TRA AMMINISTRAZIONI FISCALI DIVENTERÀ PRESTO AUTOMATICO E RICHIEDE AL CONTRIBUENTE CHE ABBIA INVESTIMENTI ALL'ESTERO NON DICHIARATI DI REGOLARIZZARLI. I RISVOLTI ECONOMICI E GIURIDICI Stefania Pescarmona Un'opportunità vantaggiosa sotto il profilo della depenalizzazione, ma anche una procedura che presenta diverse criticità, la cui convenienza - dal punto di vista economico dev'essere valutata caso per caso. Questa l'opinione condivisa dai professionisti dei principali studi legali e tributari in merito alla voluntary disclosure , la nuova procedura di collaborazione volontaria che ha per oggetto l'emersione e il rientro di capitali detenuti all'estero in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale. Quelle relative alla voluntary disclosure sono pratiche articolate, che richiedono una pluralità di competenze specifiche. Per supportare i propri clienti, i principali studi legali e tributari hanno quindi c o s t i t u i t o a p p o s i t i gruppi di lavoro. Tra i pionieri c'è Bonelli Erede Pappalardo. "Lo studio è stato il primo in Italia", spiega il managing partner Stefano Simontacchi, che aggiunge che "già dal 2010 è stato creato un focus team dedicato ai cosiddetti private client" che comprende professionisti con tutte le specializzazioni interessate (tributario, privato, giudiziale, internazionale, opere d'arte e penale). Secondo Simontacchi, la voluntary disclosure rappresenta "un'opportunità obbligata" per il contribuente. "Il contesto internazionale in cui lo scambio di informazioni tra Amministrazioni fiscali diventerà automatico richiede al contribuente che abbia investimenti all'estero non dichiarati di procedere con la loro regolarizzazione, pena sanzioni molto rilevanti in caso di accertamento", spiega il socio di Bep, che stima che ci sarà un buon flusso di lavoro. Dello stesso avviso anche Raul-Angelo Papotti, avvocato e dottore commercialista, socio dello studio legale Chiomenti. "Prevedo un flusso di lavoro consistente, anche sulla base del flusso che ci ha tenuto estremamente impegnati negli anni p r e c e d e n t i " , c o m menta Papotti, che poi aggiunge che anche lo studio Chiomenti, da anni, ha un team di professionisti che si occupa di queste tematiche che richiedono una pluralità di competenze specifiche. "Diversamente da altri Paesi, la procedura adottata in Italia è estremamente complessa dal punto di vista burocratico", dichiara Cesare Vento, partner di Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, che poi spiega che lo studio ha dato vita a una task force di una dozzina di avvocati e commercialisti in 5 sedi, coordinata da tre partner, tra cui lui. "Per il momento vi è un grande fermento, diversi italiani stanno facendo visite agli uffici delle banche estere e successivamente prendono contatto con noi", prosegue Vento. "È una procedura vantaggiosa sotto il profilo della depenalizzazione, che presenta però talune criticità, come l'eccessivo costo, che può variare dal 4 al 90%, a seconda dello stato di provenienza e dell'anzianità delle somme detenute illecitamente fuori dall'Italia, oppure il mancato anonimato nella fase di contraddittorio preventivo con l'Amministrazione finanziaria, che non consente al contribuente di valutare a conti fatti la convenienza della procedura", commenta Francesco Giuliani, partner del dipartimento Litigation dello studio Fantozzi Associati, nel cui interno è stato creato un dipartimento ad hoc composto da 6 professionisti di diversa seniority coordinato da due soci a Roma e uno a Milano. "Le fee sono proporzionali alle somme oggetto della procedura, in caso di importi superiori ai 2 milioni; per le somme inferiori, in caso di calcolo della redditività e della tassazione con il metodo forfetario, abbiamo una tariffa fissa", spiega Giuliani. "Applichiamo un compenso fisso e uno variabile in funzione della dimensione dell'operazione", dichiara anche Tommaso Di Tanno, fondatore dello studio legale tributario Di Tanno e Associati, che al pari degli altri studi ha costituito un apposito team a Roma e a Milano. Quanto al successo di questa proceduta, è difficile avanzare delle stime. La ricchezza detenuta all'estero è prevista in 200 miliardi, quindi il gettito per l'erario dai rimpatri potrebbe aggirarsi dai 3-5 miliardi, fino ai 10. Solo per avere un'idea, l'ultimo scudo fiscale del 2009-2010 aveva fatto emergere circa 104 miliardi. "Le aspettative di lavoro sono elevate anche se credo gli importi delle singole operazioni non saranno così consistenti come ai tempi dello scudo, che rappresentò negli anni coinvolti un 20% del fatturato dello studio", commenta Di SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Voluntary disclosure, pioggia di milioni sugli studi legali e tributari 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 23 (diffusione:581000) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Tanno. Secondo Giuliani, invece, "sarebbe un errore confrontare la voluntary con gli scudi, dato che in quei casi i calcoli erano forfetari e la convenienza era più evidente". In generale, "occorre capire se le ricchezze nascoste sono statiche, cioè riconducibili a operazioni condotte in passato e ormai esaurite, o a operazioni tuttora in corso e fatte per distrarre utili da società italiane in piena attività. I fatti vanno, poi, collocati in epoche storiche e nel Paese dove le ricchezze sono detenute, considerato che questo incide sul numero di anni da sanare", spiega Di Tanno. Simontacchi ricorda poi che il panorama di clienti-contribuenti è alquanto variegato. "Principalmente si tratta di disponibilità mantenute da diversi anni nei consueti cosiddetti paradisi fiscali, con prevalenza della Svizzera", commenta Vento, mentre Papotti aggiunge che "la tipologia più ricorrente potrebbe essere rappresentata da chi ha ereditato o accumulato patrimoni esteri costituiti in periodi di imposta non più accertabili". Giuliani distingue infine tra i clienti che hanno il "salvadanaio" all'estero, frutto di eredità o risparmi riconducibili a oltre 10 anni, "per i quali la voluntary disclosure è più attraente", e chi ha un patrimonio formato da redditi sottratti a tassazione in epoche più recenti, per i quali "l'operazione è più onerosa". 1 Foto: GRUPPI DI LAVORO Foto: La ricchezza detenuta all'estero è prevista in 200 miliardi, quindi il gettito per l'erario dai rimpatri potrebbe aggirarsi dai 3-5 miliardi, fino ai 10. Per supportare i propri clienti i più grandi tra Law Firm e studi commerciali, da Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners a Erede Bonelli Pappalardo, da Chiomenti a Fantozzi Associati e a Di Tanno, hanno costituito delle apposite commissioni interne. Le fee applicate sono variabili al di sopra di una certa cifra, fisse al di sotto Foto: Nelle foto qui sopra, Stefano Simontacchi (1), Raul Papotti (2) e Francesco Giuliani (3) 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 4 (diffusione:581000) Bini Smaghi: "Così l'Europa potrà fare meglio degli Usa" L'ECONOMISTA, A LUNGO NEL BOARD DELL'EUROTOWER, PREVEDE UNA SCADENZA MENSILE DA 50 MILIARDI PER DUE ANNI: "VISTI I TASSI SUI DEPOSITI NEGATIVI NON AVRÀ PIÙ NESSUN SENSO TENERE I FONDI PARCHEGGIATI A FRANCOFORTE" Eugenio Occorsio Il quantitative easing formato europeo potrebbe essere ancora più benefico di quello americano, il "caposcuola". Parola di Lorenzo Bini Smaghi, che le technicalities della Bce le conosce bene essendone stato consigliere esecutivo dal giugno 2005 al novembre 2011, gli anni più caldi dello scoppiare della crisi. «Che si faccia - premette - è ormai sicuro perché i mercati lo danno talmente per scontato che annullarlo avrebbe effetti negativi molto pesanti». Perché è sicuro che darebbe più benefici ancora che in America? «Perché è in vigore un'altra delle misure non convenzionali, l'applicazione del tasso negativo del -0,20% ai depositi delle banche presso la Bce. Ora, il Qe consiste nell'acquisto di titoli che stanno già nel bilancio delle banche, in cambio di liquidità. Questo cambia la composizione del portafoglio delle banche, che al posto dei titoli, che un qualche rendimento lo danno, si trovano liquidità a rendimento negativo senza potersi opporre. Devono quindi trovare il modo per disfarsi di questa liquidità diventata un onere. Potrebbero comprare altri titoli più rischiosi facendone abbassare i rendimenti. Oppure possono prestare soldi a imprese o famiglie, soprattutto in quest'ultimo caso concedendo mutui immobiliari a tassi interessanti. In America il mercato immobiliare si è stabilizzato così. Insomma, le istituzioni finanziarie saranno obbligate a passarsi la patata bollente della liquidità, e per questo l'impatto potrebbe essere ancora più potente che negli Usa: il trasferimento all'economia reale sarebbe maggiore». Come dovrebbe essere strutturata l'operazione, e su quali importi? «Per il valore complessivo l'indicazione ufficiale l'ha data Draghi parlando di un trilione, mille miliardi, di euro. Si riferiva a tutto l'arco delle misure non convenzionali, dagli Abs agli Ltro, però come sapete tutte queste operazioni faticano ad incontrare il favore del mercato. Il Qe sarebbe, a differenza delle altre misure, uno strumento attivo e non passivo. Senza una "imposizione", le banche non hanno interesse a domandare più liquidità alla Bce per la carenza di domanda di credito da parte dei loro clienti. Questo spiega perché il bilancio della Bce, e quindi la massa monetaria in circolazione, continua a scendere. La Bce continua a "guadagnare" dagli interessi sui titoli che già detiene e ora addirittura sui depositi. Solo con il Qe si darà la scossa necessaria a raggiungere lo scopo di ampliare il proprio bilancio». E quali saranno le modalità operative? «Occorre agire il più rapidamente possibile ma si deve evitare di turbare troppo i mercati. L'obiettivo potrebbe essere il biennio, dunque circa 50 miliardi al mese». Cosa sarà comprato? «La Bce ha bisogno di comprare titoli il più liquidi possibili, e quindi si concentrerà sui titoli di Stato, pur senza escludere titoli privati. Potrebbe poi comprare anche delle obbligazioni della Bei, dando un ulteriore contributo al rilancio degli investimenti». I titoli di Stato verranno comprati solo sul mercato secondario o anche su quello primario? «Per statuto la Bce può comprare solo sul secondario. A vendere saranno i detentori di titoli, principalmente banche e altre istituzioni finanziarie come le assicurazioni». Il coro dei consensi però ha alcune voci, anche autorevoli, di dissenso, c'è chi teme il crearsi di bolle su certi asset. «Mi sembra che siamo veramente lontani dal rischio di bolle in Europa. Anche il mercato immobiliare è ancora in crisi, a differenza come dicevo di quello americano. C'è invece la deflazione, un problema gravissimo che sta "giapponesizzando" l'Europa. Gli eventuali rischi del Qe sono talmente minori dei benefici che correrli vale sicuramente la pena». MERILL LYNCH, S. DI MEO Foto: Lorenzo Bini Smaghi , consigliere esecutivo della Bce dal 2006 al 20011 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato [ L'INTERVISTA ] 12/01/2015 Corriere Economia - 12 gennaio 2015 Pag. 1 Quanto ci costano le tante aziende pubbliche per caso SERGIO RIZZO P er Nando Pasquali, da nove anni sul ponte di comando del Gestore dei servizi energetici, la sorpresina del 2015 è in una lista sterminata comparsa sulla Gazzetta Ufficiale quasi quattro mesi fa. Dove compare per la prima volta pure il gruppo pubblico da lui amministrato, proliferato per paradosso in seguito alla privatizzazione e liberalizzazione dell'energia, e che dal 2006 ha raggiunto dimensioni mastodontiche: con dipendenti passati da 364 a 1.277. Ebbene dal primo gennaio anche il Gse, per essere in quell'elenco, fa parte delle pubbliche amministrazioni che concorrono al conto economico consolidato statale. Ciò comporta l'osservanza di regole di particolare rigore su retribuzioni, assunzioni e anche consulenze: che nel 2013 il gruppo ha distribuito nella misura di 16,8 milioni, con un aumento di 3,6 milioni rispetto al 2012. Più 27,3 per cento. Pasquali si può parzialmente consolare pensando di non essere stato l'unico a finire in quell'elenco. Condivide medesima sorte la Consip, società incaricata degli acquisti collettivi della pubblica amministrazione i cui compiti dal primo gennaio si dovrebbero estendere in misura rilevante. Così come la Sogei, la società pubblica che ha la delicatissima mansione di gestire l'anagrafe tributaria. Ma anche la Sose, altra spa controllata dal Tesoro che elabora, fra l'altro, gli studi di settore. E poi Armamenti e aerospazio, scatola dov'erano state stivate le partite incagliate dell'Efim dopo che la Finmeccanica aveva assorbito le attività di quell'ente disastrato. Decisioni che non fanno una piega: nel conto consolidato dello Stato non possono che esserci tutte le società pubbliche. Proprio qui, però, c'è una sorpresa nella sorpresa. Perché tutte non ci sono. Nell'elenco, per esempio, figura anche Expo 2015. O meglio, figurava. Perché un emendamento alla legge di Stabilità l'ha esclusa da quella lista per tutto l'anno in corso «in considerazione», c'è scritto, «del suo scopo sociale». Anche se qui le motivazioni reali sono forse un po' diverse, considerando i ritardi che l'Expo milanese ha già accumulato. Un altro esempio? Per la prima volta la lista comprende le federazioni sportive. Finalmente. Peccato che manchi forse la più importante di tutte, per un Paese come il nostro: la Federcalcio. Un bel regalino per il nuovo presidente Carlo Tavecchio. Il quale non è il solo a dover ringraziare la manina che l'ha graziosamente salvato dall'elenco di chi deve rispettare i principi più rigidi a cui si devono attenere le pubbliche amministrazioni, e in molti casi francamente non se ne comprende la ragione. Per quale motivo hanno messo la società statale che si occupa degli acquisti, ossia la Consip, e hanno invece escluso alcune società regionali che operano nello stesso campo? Come Arca, l'Azienda regionale centrale acquisti della Lombardia, oppure la Soresa, Società regionale per la sanità della Campania... Mentre altre società regionali invece sono state inserite nell'elenco, e lo dimostra il caso della Scr Piemonte. E perché nella lista figurano, anche in questo caso per la prima volta, alcune imprese pubbliche locali del settore informatico, ma soltanto alcune? C'è Lombardia Informatica, della Regione Lombardia guidata dal leghista Roberto Maroni, il cui consiglio di sorveglianza è presieduto dall'assessore regionale ed ex parlamentare del Carroccio Massimo Garavaglia. Manca invece Lait, la Lazio innovazione tecnologica controllata dalla Regione presieduta dal democratico Nicola Zingaretti. C'è la Insiel della Regione Friuli-Venezia Giulia amministrata da Debora Serracchiani, anche lei democratica. E non c'è Informatica Trentina della Provincia autonoma guidata dalla giunta di centrosinistra di Ugo Rossi... Sbadataggini, amnesie o che altro? © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Gse Nando Pasquali, presidente e a. d. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Sorprese Nell'elenco della «Gazzetta Ufficiale» appare il Gse, ma è stata cancellata Expo 2015. C'è Lombardia Informatica, non la laziale Lait 12/01/2015 Corriere Economia - 12 gennaio 2015 Pag. 1 Xiaomi, Uber e le altre: tutte le matricole che scalderanno le Borse COMETTO A pagina 13 Il 2014 è stato un anno d'oro per le start-up tecnologiche e il 2015 può andare ancor meglio. Dopo l'Ipo ( Initial public offering , offerta iniziale pubblica di azioni) di Alibaba, il gigante cinese di Internet che ha raccolto un record di 25 miliardi di dollari quotandosi al New York Stock Exchange lo scorso settembre, nei prossimi mesi a debuttare in Borsa potrebbero essere centinaia di altre società con valutazioni dai 100 milioni di dollari in su. Cautele Ma non tutti gli investitori applaudono il boom: alcuni temono sia eccessivo come quello delle dot.com del 1999-2000 finito nel crollo del Nasdaq, la Borsa specializzata in titoli high-tech il cui indice ancor oggi è in perdita rispetto a 15 anni fa. Diverso di sicuro è il modo di finanziarsi delle start-up . Durante la prima Internet mania, le aziende innovative correvano a quotarsi il più presto possibile, non solo senza avere profitti, ma a volte senza nemmeno un vero fatturato. Ora riescono a farsi finanziare facilmente sia ricorrendo a Wall Street sia standone fuori. Sui mercati azionari americani 293 aziende hanno raccolto 96 miliardi di dollari nel 2014, il numero più alto dal 2000 quando le Ipo erano state 432 per un valore complessivo di 105 miliardi. Allo stesso tempo le società non quotate ma partecipate da fondi di venture capital e private equity , e quindi candidate a una prossima Ipo oppure ad essere acquisite da un'altra azienda, hanno raccolto 24,7 miliardi di lire, più del doppio dell'anno precedente. Fra queste ultime, ben 21 hanno raggiunto una valutazione di 1 miliardo di dollari o più, tante quante nei tre anni precedenti. Tendenze Sui mercati globali il trend è stato simile: oltre 1.200 aziende hanno raccolto quasi 250 miliardi di dollari con Ipo. L'attuale «club miliardario» conta 70 start-up nel mondo, quasi il doppio di quelle nel biennio 1999-2000. La più «cara» è Xiaomi, detta anche «la Apple cinese»: diventata l'anno scorso il numero tre sul mercato globale degli smartphone , a fine dicembre ha annunciato di aver ricevuto 1,1 miliardi di dollari di finanziamenti per una valutazione totale di 46 miliardi. Solo il social network Facebook era stato valutato di più, ovvero 50 miliardi, prima della sua quotazione. Lei Jun, il fondatore e ceo (amministratore delegato) di Xiaomi non ha dichiarato se e quando vuole debuttare in Borsa e se il mercato scelto sarebbe quello americano. Ma i suoi fan sperano in un bis del successo di Alibaba, la cui performance dal prezzo dell'Ipo è del 51%. Poco meno di Xiaomi è valutata Uber, la app usata all'inizio solo dai giovani professionisti in poche grandi città americane come alternativa al taxi e ora diventata un colosso attivo in oltre 50 Paesi. L'anno scorso ha ricevuto finanziamenti per 1,2 miliardi di dollari con un valore totale implicito di 41,2 miliardi, oltre il doppio della somma delle società di autonoleggio Hertz e Avis che posseggono vere flotte di auto, mentre Uber è solo un'applicazione mobile. Ma la sua espansione trova sempre più ostacoli legali e regolamentari, il che può rallentare il suo debutto in Borsa. C oncorrenti Stessi problemi, di conflitto con le autorità, il fisco e i concorrenti, li ha Airbnb, il sito che sta rivoluzionando il modo di viaggiare in tutto il mondo. Partito come un modo per trovare «un sofà» su cui dormire a basso costo, adesso è un temibile rivale delle catene alberghiere e offre sistemazioni anche di lusso. È valutato 10 miliardi di dollari. Ma almeno ha un fatturato (le commissioni pagate da chi affitta i locali), mentre Snapchat la applicazione per scambiare foto, video e messaggi - non ha ancora un vero modello di business profittevole eppure ha appena annunciato di aver ricevuto 486 milioni di dollari di investimenti, il che la SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LISTINI DIGITALI 12/01/2015 Corriere Economia - 12 gennaio 2015 Pag. 1 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato catapulta anch'essa a 10 miliardi di valutazione virtuale. Ad alimentare questo boom dei prezzi pre-Ipo è la fame degli investitori istituzionali come i fondi comuni e i fondi pensione a caccia di rendimenti: i loro gestori diversificano sempre più spesso nei fondi di venture capital , che l'anno scorso hanno raccolto il 60% di capitali più del 2013. È questo denaro abbondante che permette alle start-up di crescere senza quotarsi. E che sta facendo suonare l'allarme del rischio di una nuova Bolla. Senza dubbio in alcuni settori i prezzi esagerati, almeno secondo Peter Fenton, partner della società di venture capital Benchmark e uno dei primi investitori in Uber, Dropbox e Snapchat. Fra i possibili effetti negativi, si contano i forti rialzi dei salari per gli ingegneri e degli affitti a San Francisco e dintorni, dove le nuove società high-tech sono fiorite. «Stiamo creando una generazione di start-up il cui comportamento è avvelenato dai capitali facili?», si chiede Fenton. Nel 2000 il crac del Nasdaq bruciò i risparmi degli investitori individuali. Il prossimo sboom rischia di mandare in fumo quelli dei pensionati. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le new entry nel club dei miliardari I nuovi protagonisti nel business legato a Internet e possibili matricole di borsa. Dati in miliardi di dollari Bolla o non bolla? Fonte: Cb insights, VentureBeat, WSJ, Yahoo! Finance *Finanziate da privati La performance peggiore nel 2014: North Atlantic Drilling, compagnia petrolifera norvegese (quotata a gennaio) -82,7% La performance migliore del 2014: Cbd, catena brasiliana di negozi (quotata a giugno) +759% Raccolti a livello globale dalle società che si sono quotate nel 2014. Le Ipo sono state 1.200 250 MILIARDI $ Ricavati da Alibaba con l'Ipo del 22 settembre, il valore più alto nella storia delle Ipo in Usa 25 MILIARDI $ Performance media nel 2014 dal prezzo dell'offerta pubblica delle matricole (contro un guadagno dell'11,4% dell'indice S&P500) 18,9% Dalla quotazione sui mercati azionari Usa di 293 aziende Nel 2000 raccolsero 105 miliardi di dollari 432 Ipo 96 MILIARDI $ Xiaomi Uber Dropbox Airbnb Snapchat Flipkart Square Pinterest Cloudera Stripe 46 41,2 10 10 10 10 6 5 4,1 3,6 Produttore cinese di smartphone App mobile che connette passeggeri e autisti Servizio di immagazzinaggio file «nella nuvola» Mercato online per l'affitto di case private App per scambiare foto, video e messaggi Società indiana di shopping online Servizio di pagamenti per piccoli business Sito social media per condividere immagini Software open source per aziende Sistema di pagamenti online Società Valutazione Attività Le aziende tech* in America che valgono 100 milioni di dollari o più e potrebbero quotarsi in Borsa nel 2015 588 Pparra Foto: Quotatissimo Jack Ma, inventore del sito cinese di commercio Alibaba Grande attesa Lei Jun di Xiaomi. Un marchio pressoché sconosciuto in Italia Contestato Travis Kalanick fondatore di Uber, il sito che fa concorrenza ai taxi Viaggi low-cost Brian Chesky, «ceo» e fondatore di Airbnb App Evan Spiegel, «ceo» di Snapchat: manca ancora un business model 12/01/2015 Corriere Economia - 12 gennaio 2015 Pag. 1 Il Fisco non dà tregua e la crescita langue Un errore rassegnarsi DANIELE MANCA Un euro avviato a indebolirsi ancora. Il petrolio che abbatte nuovi record in discesa. Un costo del denaro che è destinato a rimanere basso a lungo. Una sostanziale buona salute del sistema finanziario e delle aziende sopravvissute a una delle più estese crisi degli ultimi 100 anni. Si dovrebbe essere ottimisti per questo 2015. Ma inutile illudersi. Almeno in questa prima parte dell'anno l'incertezza guiderà le scelte degli investitori e dei cittadini come spesso accade quando i segnali dall'economia sono contrastanti. C'è un'America che nel 2014 è riuscita a creare 2,95 milioni di posti di lavoro, il miglior risultato dal 1999. La Cina sembra ben intenzionata a impedire che un rallentamento della sua economia possa avvenire in modo brusco e incontrollato. Il Giappone ha varato un ulteriore piano di stimoli da 29 miliardi di dollari. E spesso dimentichiamo che a Oriente l'India potrebbe rivelarsi come una delle locomotive mondiali dei prossimi anni. Persino l'Europa, grazie soprattutto all'azione della Bce di Mario Draghi, pare intenzionata a non ripetere gli errori passati nell'affrontare le crisi di singoli Paesi come la Grecia. Le premesse di una svolta positiva ci sono tutte. Ma è innegabile che ogni nazione debba fare la sua parte. L'Italia si porta a casa la fine della presidenza del semestre europeo con l'aver imposto la parola crescita come una delle priorità dell'Unione. Sul fronte interno l'aver avviato un percorso di riforme sia pure con una zavorra che si chiama Fisco per il quale lavoriamo per 173 giorni all'anno (vedi inchiesta alle pagine 22-23). Restano però due pesanti punti interrogativi. Quesiti che riguardano i tagli alla spesa finiti in qualche cassetto di Palazzo Chigi. E un indebitamento sulla cui sostenibilità ogni giorno subiamo esami e che non si può sperare di ridurre soltanto grazie a una crescita che, se ci sarà, resterà anemica. @Daniele_Manca © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato IL PUNTO 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) Paolo Panerai Terrorismo islamico? Un male comune a tutto il mondo, anche a quello islamico non integralista. Riforme? Una necessità per molti Paesi, anche per quelli che crescono più del 7% come la Cina, perché il mondo è stato rivoluzionato dalla rete, dal genoma, dallo shale gas. Deflazione? Un male dell'Europa e del Giappone, un continente soggiogato dall'imperialismo economico della Germania terrorizzata, irrazionalmente, dall'inflazione al punto da essere arrivata essa stessa quasi alla deflazione, e un Paese una volta invidiato per la sua crescita, che poi per troppi anni è rimasto convinto che il rigore portasse alla crescita. Pericolo di guerra? Un rischio di quella fredda per tutto il mondo occidentale e per la Russia, a causa dei tentativi degli Usa, della Nato e irresponsabilmente dell'Unione europea di far sì che l'Ucraina non fosse più uno Stato cuscinetto; pericolo di guerra reale per tutte le aree calde del mondo che si stanno moltiplicando per i sommovimenti in atto e la conquista di territori da chi Stato non era, come gli islamici integralisti di Isis fra Iraq e Siria, o nella ex Libia intorno a Bengasi. Nessuno di questi pericoli e di queste sofferenze che il mondo sta patendo è dovuto al caso. Dietro ci sono sempre le scelte dell'uomo, animate da desiderio di imperialismo, da furia religiosa, da disinteresse verso il bene supremo degli esseri umani fino alla crescente tendenza a uccidere in f a m i g l i a , m a a n c h e dall'incapacità di gestire il progresso che la tecnologia impone. C'è chi vede in tutto ciò la replica degli anni che introdussero al Medioevo. Per esempio Padre Eligio, che da 50 anni combatte la sofferenza nel nome di Francesco. Si può discutere il convincimento del Frate, che ha inventato Telefono Amico e creato una cinquantina di comunità per il recupero dei persi dalla droga: quest'ultima per anni è sembrata essere il vero pericolo dell'uomo (come in effetti è) ma ora è stata sorpassata nella scala dei pericoli da tutte le manifestazioni deteriori che sembrano introdurre appunto a un nuovo Medioevo. Certamente un ruolo non secondario lo hanno le religioni, che stanno diventando una maledizione per l'uomo, per pseudo-teologismi e falsi moralismi. È come se il mondo si fosse dimenticato che il bene è bene in quanto c'è anche il male. Papa Francesco scopre che in Vaticano c'è corruzione? Fa arrestare un Monsignore, ma da secoli e secoli nella Chiesa c'è stato anche il male. I due sciagurati fratelli franco-algerini scoprono che le vignette sono il male, che offendono il loro dio, e ammazzano anche un poliziotto della loro stessa religione perché, nella loro sciagurata visione, chi è per Maometto e convive con chi crede in Cristo è degno solo di essere ammazzato. Il mondo sembra, per un verso o per l'altro, come un computer impazzito che va resettato. Ma ognuno dovrebbe fare la sua parte. E un giornale come questo, che si occupa di economia e finanza, deve in primo luogo dare un contributo sul piano della conoscenza di quanto occorre fare per alleviare almeno la vita materiale, che comunque è vita, combattendo la povertà. Che si combatte con lo sviluppo, la creazione di posti di lavoro, una equa distribuzione della ricchezza. Tutti obiettivi che vengono a parole condivisi da tutti coloro che hanno il potere di governare, ma che nella pratica solo pochi perseguono realmente. In una democrazia il potere primo è dei cittadini che lo delegano ai politici. Ma se le leggi per delegarlo sono inefficienti; se le istituzioni che devono gestire il potere sono antiquate rispetto all'evoluzione continua indotta dal progresso tecnologico; se nell'animo di chi si candida a rappresentare i cittadini prevale l'interesse di parte sull'interesse di tutti; se tutto ciò convive, c'è la storia di Atene o quella di Roma che indicano come quello Stato o quell'Impero finiscono la loro esistenza. Ora non vi è dubbio, purtroppo o per fortuna, che la globalizzazione e prima ancora l'Unione fra gli Stati europei hanno determinato un'interdipendenza fra le economie nazionali e non solo fra le economie. Come succede anche in qualsiasi branco animale, c'è sempre uno che vuole prevalere. In Europa vuole prevalere la Germania. E non da ora, essendo stata protagonista negativa di tutte e due le guerre mondiali che il pianeta ha vissuto. Non potendo oggi combattere con le armi che uccidono direttamente, combatte con le armi dell'economia, che ugualmente possono uccidere anche se indirettamente. Ci fosse un tedesco, autorevole o no, che avesse raccolto la provocazione dell'economista più anticonformista di oggi, l'autore del best seller Capitalismo del XXI secolo. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato ORSI &TORI 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Come è stato riportato su queste colonne, Thomas Piketty in alcune interviste ha detto cose sacrosante e riportato fatti decisivi: per esempio che la Germania, tutta la Germania, guardando alla Grecia e al suo debito si dimentica che finita la Seconda guerra mondiale il suo di debito era pari al 200% del prodotto interno lordo (pil). Se ci fosse stata una potenza che avesse imposto al grande sconfitto di ridurre il debito del 2% all'anno, come la Germania chiede agli altri Paesi europei con l'imposizione del Fiscal compact, il Paese non sarebbe la prima potenza economica europea come oggi è. Quell'estenuante fatica di ogni anno si sarebbe tradotta in una lunga agonia. Invece, alla Germania fu accordato un condono da tutti gli altri Paesi creditori che portò il debito al 30%. Grazie a quella generosità la Germania è risorta. Mentre la Germania oggi sta ripagando quella generosità con egoismo, che non accenna a ridursi neppure quando appare a tutti evidente che della politica del rigore sta sempre più diventando vittima essa stessa. Perché la Germania, cinque anni fa, acconsentisse a che l'Ue e i singoli Stati dessero un aiuto alla Grecia ci volle una telefonata notturna, quasi un ultimatum, di quello che è stato il gendarme del mondo, cioè gli Stati Uniti. Il presidente Barack Obama intimò quasi alla cancelliera Angela Merkel di smetterla con il rifiuto di intervenire, che comunque avvenendo con grave ritardo dovette essere molto più consistente e meno efficace di quanto sarebbe stato possibile con un prestito al primo manifestarsi della crisi greca. E ora, invece di assumere un atteggiamento chiaro rispetto al punto fondamentale se la Grecia possa e/o debba rimanere nell'eurozona, la Merkel lancia messaggi equivoci, che vengono usati e strumentalizzati per creare confusione e incertezza. Il paradosso è che la Merkel segue gli Stati Uniti non nella linea (la migliore finora) dell'espansione monetaria per combattere la crisi, ma nelle scelte imprudenti di mettere lo zar Vladimir Putin in difficoltà con sanzioni economiche ridicole ma, per la dimensione che hanno assunto, dannosissime non solo per la Russia ma anche per i Paesi forti esportatori nell'ex Unione sovietica, il primo dei quali è proprio la Germania. Quindi non solo rigore inutile e dannoso, ma anche una sorta di masochismo. Masochismo anche doppio, se si tiene conto che la grande crisi economica che sta bloccando l'Europa è nata come la più grave crisi finanziaria della storia degli Stati Uniti. Wall Street, le banche d'affari americane, la tolleranza legislativa dello Stato federale verso investimenti folli, i mutui subprime, i derivati, l'uso del denaro dei depositanti per condurre speculazioni da parte delle banche, sono le cause della crisi nella quale l'Europa continua a sprofondare, mentre Wall Street, sulle notizie del ritorno alla crescita degli Usa, è arrivato ai massimi; le banche sono tornate a correre; il Tesoro americano ha raddoppiato gli investimenti che aveva fatto, stampando moneta, nelle banche e nelle società vicine al fallimento; la crescita su base annua ha superato il 3,5%; la disoccupazione è scesa ai livelli più bassi che si ricordino. Tutto questo grazie alla possibilità per la Federal reserve di inondare il Paese di liquidità stampando dollari. E di fronte a una ricetta come questa, descritta e analizzata in tutti i suoi aspetti positivi (in grande maggioranza) e negativi (il pericolo di una forte inflazione futura), la Germania da mesi impedisce al presidente della Banca centrale europea di stampare euro e di comprare titoli di Stato in modo che la liquidità arrivi alle banche e al mercato. Il presidente della Bce, Mario Draghi, con la pazienza di Giobbe, fa da mesi dichiarazioni sempre più compromettenti per l'avvio di una campagna simile a quella della Federal reserve. E quando le borse del Vecchio continente crollano, non solo per l'attentato a Charlie Hebdo ma soprattutto per il dato scontato che l'Europa è in deflazione visto che i prezzi sono diminuiti dello 0,2%, Mario Giobbe riprende la parola per dire che la Banca è pronta ad agire. Ecco che allora le Borse tornano a salire, ma resta l'incognita di quando quel dirsi pronti diventa realtà operativa. Eppure Draghi ci ha spiegato che compito statutario della Bce è quello di garantire un'inflazione intorno al +2%, mentre ora appunto il Continente è in deflazione; ci ha poi detto che per approvare il lancio degli acquisti di titoli di Stato è sufficiente una maggioranza semplice, su cui sicuramente può contare; lo dice ma non fa votare. È giusto che si cerchi il consenso più alto possibile, ma tutto ha un limite. Draghi e la maggioranza del Consiglio della Bce devono smetterla di fare come Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore. I guai che il mondo intero deve sopportare sono già pesantissimi. La fiducia della gente è frustrata da oltre sei anni di crisi. La minaccia al cuore dell'Europa da parte dell'integralismo islamico è diventata tragica realtà molto prima che la Germania si convinca che oggi il rigore peggiora le condizioni economiche dell'Unione e che dia la sua adesione alla 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato ricetta americana di Draghi, in salsa europea. A Francoforte e Berlino si devono rendere conto che se la gente non recupera fiducia almeno nel suo futuro economico, la marcia verso il nuovo Medioevo sotto il terrore dell'islamismo porterà sempre più persone alla disperazione. I delitti in famiglia cresceranno ancora. Il rispetto della vita, nonostante le prediche di Papa Francesco e il suo rigore contro il male, sarà sempre più basso. Risollevarsi per l'Europa, che dovrebbe insegnare al resto del mondo come ci si deve comportare, diventerà sempre più un miraggio. Eppure la possibilità di invertire la rotta è concreta. Basterà che Draghi passi dalle parole ai fatti. Che gli Stati Uniti la smettano (come Henry Kissinger ha suggerito a Obama) di provocare Putin e pensino semmai a combattere realmente il Califfato perché questa è la vera, tragica realtà: l'integralismo musulmano si è fatto Stato. Uno Stato che continua a ingrandirsi, che fa sempre più proseliti. Osama Bin Laden al confronto era quasi un idealista. È stato sconfitto perché gli Stati Uniti dovevano vendicare le Due Torri. Chi vendicherà Charlie Hebdo? Un'Europa che non sa dialogare e convenire sulla ricetta più elementare per uscire dalla crisi economica? Pur nella sua dignità, giovedì 8, a Porta a Porta, il ministro della Difesa Roberta Pinotti era quasi patetica nel dire che aveva parlato con il suo collega francese, che era molto ottimista sull'esito della cattura dei due fratelli franco-algerini. Quanti fratelli terroristi vivono in Europa? E quanto distante è dall'Italia il Califfato di Bengasi? Nessuno ricorda che il terrorismo delle Brigate rosse alzò la cresta man mano che la crisi economica si fece più forte. E la Mafia dove ha avuto spazio e quasi consenso? Dove prosperava e prospera la miseria, la povertà. Signor Presidente Draghi, smetta di mediare e passi all'azione. L'essenza della democrazia non è l'unanimità, ma la maggioranza. Chi è in minoranza, anche se è il più forte, non può far aumentare la disperazione dei cittadini europei. (riproduzione riservata) Paolo Panerai 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) Altro che sottozero Ecco come avere un 8% Roberta Castellarin e Paola Valentini Azioni (come l'Eni), bond, Etf e polizze vita che offrono rendimenti elevati e rischi contenuti Oggi chi vuole titoli privi di rischio deve accettare rendimenti negativi. E con l'aumento della volatilità nelle ultime settimane molti investitori hanno fatto questa scelta. Uno studio di Bank of America Merrill Lynch ha appena calcolato un flusso di 1.200 miliardi di euro verso titoli di Stato a breve termine che offrono un rendimento negativo. D'altronde la Bce, penalizzando con tassi negativi chi parcheggia il denaro invece di investirlo nell'economia reale, di fatto vuol spingere gli investitori a rischiare. «Per quello che si può capire ora, il 2015 potrebbe anche essere un anno di finti movimenti su borse e tassi», avverte Alessandro Fugnoli (strategist di Kairos) nella newsletter il Rosso & il Nero. «Stare in borsa potrebbe rendere poco o perfino nulla, mentre con il cash avremo la certezza assoluta del rendimento zero». Ancora Bofa Merrill Lynch segnala che la media dei tassi del debito pubblico nel mondo è scesa negli ultimi giorni ai minimi: 1,3%. I tassi non sono micro soltanto in Usa e in Germania, ma anche in Itali, dove il Btp decennale ha aperto il nuovo anno con il minimo storico di rendimento (1,83%). La conclusione di Fugnoli è che, «mentre negli anni scorsi è bastato stare seduti su bonde azioni per guadagnare, nel 2015 bisognerà navigare in mare aperto. Il mare sarà mosso, ma per il momento non è il caso di parlare di tempeste». Di certo i primi giorni del 2015 hanno già fatto capire agli investitori che cosa vuol dire navigare in acque agitate. La stima preliminare dell'indice dei prezzi al consumo armonizzato dell'Eurozona è per la prima volta da ottobre 2009 sceso in territorio negativo, attestandosi a dicembre allo -0,2% tendenziale e alimentando i timori di chi vede l'Eurozona avviata verso un lungo periodo di prezzi in calo. Tale dato però non va drammatizzato. «I timori di deflazione continueranno a essere elevati, aumentando la pressione sulla Bce affinché attui nuove misure di stimolo», ragiona l'economista Azad Zangana (Schroders). «Ma sono pochi i segnali a sostegno della tesi di un'economia europea più deflativa». Un altro nodo è rappresentato dal calo del petrolio, un movimento carico di conseguenze sia per le economie sviluppate sia per quelle emergenti. Senza dimenticare il ruolo che potranno giocare da una parte la Bce, pronta ad avviare un quantitative easing che preveda anche l'acquisto di titoli di Stato, e dall'altra parte la Fed, che invece dovrà decidere quando iniziare a rialzare i tassi. Due manovra che inevitabilmente avranno un forte impatto forte sull'andamento di bond e azioni. Bond. Allora: per non arrendersi ai tassi negativi, senza al contempo rischiare troppo, in questa fase nel portafoglio si possono inserire obbligazioni con un buon rapporto rischio-rendimento e azioni ad alto dividendo. Partendo dai bond, Milano Finanza ha chiesto alla boutique di gestione Tendercapital una selezione dei bond oggi più interessanti. «Investire nel mercato obbligazionario, con il Bund decennale al record storico di 0,5% e con mezza Europa che presenta tassi nominali negativi o a zero fino alla scadenza quinquennale, è un'impresa difficile ma non impossibile, a patto di costruire un paniere di investimenti diversificato per valuta e per rischio emittente», spiega Nicola Esposito, chief investment officer di Tendercapital. «Bisogna comunque rimanere con scadenze massime entro cinque anni». Secondo il gestore un buon rapporto rischio-rendimentoè offerto, per esempio, dai titoli di Stato di Australia, Polonia, Romania e Turchia in valuta locale, a patto di accettare una certa volatilità sui cambi, in un'ottica di ulteriore compressione degli spread di questi Paesi nei confronti della Germania. «Si tratta di Paesi con buoni fondamentali economici, con un basso debito pubblico e con una crescita del pil stimata oltre il 2,5% per i prossimi due anni», aggiunge Esposito. Per chi invece pensa che dollaro e sterlina continueranno ad apprezzarsi nei confronti dell'euro, conderando il probabile rialzo dei tassi che Fed e Bank of England effettueranno nel corso del 2015, «i bond in dollari di Hellenic Petroleum, Alcoa, Pemex rappresentano un ottimo compromesso sul fronte rischio-rendimento, anche per sfruttare la possibile stabilizzazione del prezzo di petrolio e materie prime», consiglia il gestore. «Anche i bond i sterline di Tesco e Gazprom possono rappresentare un'occasione per sfruttare rispettivamente la ristrutturazione aziendale in SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato RENDIMENTI Ben 1.200 miliardi di euro sono già investiti in titoli che hanno tassi negativi Perché giudicati un porto sicuro in caso di turbolenze. Ma per chi non ha paura... 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato atto e l'eventuale stabilizzazione della crisi russa». Le idee d'investimento non finiscono qui. Chi per esempio apprezza valute più volatili, come il dollaro neozelandese o il rand sudafricano, «può investire in emittenti obbligazionari di qualità come General Electric e Kfw, sfruttando ancora appieno il carry trade sui due Paesi», aggiunge il resposabile investimenti di Tendercapital. Chi invece preferisce valute-rifugio come il franco svizzero, l'emissione (investment grade) del gruppo indiano di telecomunicazioni Bharti appare un valido investimento a 5 anni con uno rendimento a scadenza dell'1,5%, più che soddisfacente considerando che i titoli governativi svizzeri a 5 anni attualmente presentano un rendimento negativo dello 0,42%. «Per chi invece non vuole correre rischi valutari, due interessanti idee sono i bond in euro della belga Nyrstar, leader mondiale nella produzione di zinco, e del portoghese Novo Banco, la good bank del vecchio Banco Espirito Santo», dice ancora Eposito. Il quale segnala anche l'emissione in euro di Kazagro, agenzia statale del Kazakhstan, con scadenza 2019, investment grade e rendimento del 6,2%. «La Russia risulta sì il primo partner commerciale del Kazakhstan, ma le riserve di oltre 30 miliardi di dollari e la forte partnership che sta stringendo con la Cina rendono il Paese asiatico un'interessante idea di investimento in euro, tenuto conto che, nonostante la crisi russa e il crollo del prezzo del petrolio, il pil kazako nel 2015 probabilmente crescerà di oltre il 3%», conclude il gestore di Tendercapital. Azioni. Sul fronte delle azioni italiane che offrono ricche cedole, in questa fase la più redditizia è Eni, con un dividend yield atteso dell'8,2%. È quanto emerge da un'analisi di Cellino e Associati sim sui dividend yield attesi di un panel di società di Piazza Affari selezionato da MF-Milano Finanza. I principali titoli presentano in media un dividend yield superiore al 3%, ben più ricco quindi rispetto all'1,8% offerto attualmente dal Btp decennale. «La divaricazione fra i rendimenti azionari e quelli obbligazionari ha raggiunto livelli che nella storia recente si erano visti solo dopo il crollo dei mercati azionari del 20082009», sottolinea Silvio Olivero, responsabile dell'ufficio studi di Cellino e Associati sim. «Questa situazione straordinaria si spiega con la notevole sottovalutazione del mercato azionario, ma anche con attese per una deflazione che potrebbe erodere le cedole pagate in futuro dalle azioni, mentre i rendimenti obbligazionari, in quanto nominali, sono destinati a rimanere costanti». Dunque in uno scenario deflattivo la convenienza dei titoli azionari rispetto a quelli obbligazionari sarebbe solo apparente, «ma, se il Qe di Draghi riuscirà a invertire la tendenza dei prezzi al consumo, gli attuali livelli dei mercati azionari sono molto attraenti», aggiunge Olivero. A questo proposito, la maggiore redditività è offerta dai titoli assicurativi, con un dividend yield medio di quasi il 6%, seguiti dagli energetici (5,3%) e dalle utility (4,9%). Salta all'occhio il notevole balzo messo a segno dal dividend yield di Eni, che risulta il miglior titolo del campione. «Tale balzo si spiega ovviamente con il calo del prezzo dell'azione, visto che le attese di dividendo sono immutate», conclude Olivero. «E va infine sempre ricordato che l'occasione si rivelerà buona solo se Eni riuscirà a confermare le attese di dividendo nonostante il crollo del prezzo del petrolio». (riproduzione riservata) UNA SELEZIONE DI SOCIETÀ REDDITIZIE A PIAZZA AFFARI GRAFICA MF-MILANO FINANZA Eni UnipolSai Unipol G. Finanziario Snam Ascopiave Cattolica Iren Terna Erg STMicroelectronics Gas Plus Mediolanum A2A Acea Hera IGD Banca Generali Gtech Marr Atlantia Sias Zignago Vetro Enel Astm Generali Cnh Industrial Ima Beni Stabili Tod's Pirelli & C. Tenaris Recordati Bpm Prysmian Azimut De'Longhi Intesa Sanpaolo Unicredit Credito Emiliano Telecom Italia Saipem Mediobanca Salvatore Ferragamo Salini Impregilo Ansaldo Sts Enel Green Power Parmalat Campari Saes Getters DiaSorin Luxottica Danieli & C. Ubi Piaggio & C. Italcementi Mediaset Exor Buzzi Unicem Autogrill Bper MEDIA 8,2% 7,8% 7,0% 6,4% 6,2% 5,8% 5,7% 5,6% 5,5% 5,3% 5,3% 5,2% 5,1% 4,8% 4,7% 4,6% 4,5% 4,4% 4,2% 4,0% 3,9% 3,8% 3,7% 3,7% 3,6% 3,6% 3,6% 3,5% 3,4% 3,3% 3,1% 3,0% 2,9% 2,9% 2,8% 2,7% 2,7% 2,4% 2,4% 2,4% 2,3% 2,3% 2,2% 1,8% 1,8% 1,8% 1,7% 1,6% 1,6% 1,6% 1,6% 1,5% 1,5% 1,4% 1,3% 1,1% 1,0% 1,0% 0,3% 0,3% 3,4% 13,62 2,17 3,83 3,92 1,76 5,50 0,89 3,58 9,11 6,19 3,56 5,14 0,79 9,00 1,93 0,65 22,45 17,62 14,26 19,67 7,94 5,04 3,49 9,55 16,54 6,42 35,21 0,58 70,45 10,71 11,71 12,99 0,53 14,50 17,82 14,73 2,25 4,96 6,35 0,85 8,10 6,48 20,29 2,74 8,21 1,69 2,38 5,10 6,18 33,55 45,82 20,18 5,42 2,35 4,65 3,18 33,39 10,05 6,08 4,99 1,120 0,170 0,270 0,250 0,110 0,320 0,051 0,200 0,500 0,331 0,187 0,265 0,040 0,430 0,090 0,030 1,000 0,775 0,606 0,779 0,309 0,190 0,130 0,355 0,600 0,229 1,250 0,020 2,400 0,350 0,365 0,391 0,016 0,420 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 0,500 0,403 0,060 0,120 0,150 0,020 0,190 0,150 0,442 0,050 0,147 0,030 0,040 0,080 0,100 0,530 0,717 0,310 0,080 0,033 0,060 0,035 0,345 0,100 0,018 0,014 -6,1% -2,9% -6,9% -4,3% -3,5% -3,9% -1,2% -4,7% 1,6% -0,1% +1,9% -2,9% -5,5% +0,6% -0,8% +0,9% -2,6% -4,7% -3,1% +1,8% -0,6% -0,6% -5,7% -0,1% 2,7% -3,6% -3,0% -0,9% -2,2% -4,5% -6,0% +1,1% -1,6% -4,3% -1,2% -1,6% -7,2% -7,1% +1,9% -3,5% 7,6% -4,4% -0,6% -9,2% -1,4% -2,7% -0,4% -1,3% +1,2% +0,7% +0,7% -1,9% -9,1% -2,6% -5,9% -7,7% 1,9% -4,4% -2,7% -8,7% -2,9% Società Dati in euro Dividend Yield 2014 Variaz. prezzo da inizio anno Dividendo atteso 2014 Prezzo al 22/10/2014 Fonte: elaborazioni Cellino e Associati Sim su dati propri e di FactSet Nota: La colonna «Dividendi attesi 2014» contiene i dividendi sugli utili 2014 che verranno generalmente distribuiti nel corso del 2015. Fanno eccezione a questa regola i dividendi di Mediobanca e Danieli, poiché tali società, chiudendo l'esercizio il 30 giugno, distribuiscono i dividendi di ciascun anno nel corso dell'anno stesso. I dividendi attesi di Stm e Tenaris, denominati in dollari Usa, sono stati convertiti in euro al cambio corrente UN PANIERE DI OBBLIGAZIONI IN EURO E IN VALUTA SELEZIONATE DA TENDERCAPITAL GRAFICA MF-MILANO FINANZA Rating Codice isin Isin Scadenza Cedola Prezzo Taglio minimo (€) Rendim. lordo a scadenza Valuta XS1068226114 XS0269584669 TRT161116T19 PTBEQKOM0019 XS0838228996 RO1418DBN040 US013817AP64 XS1070363343 PL0000105441 XS1107268135 AU3TB0000184 XS0159013068 CH0234487426 US71654QAW24 XS0974126186 Hellenic Petroleum General Electric Repubblica Di Turchia Novo Banco Kfw Repubblica di Romania Alcoa Kazagro Repubblica di Polonia Nyrstar Repubblica di Australia Tesco Plc Bharti Airtel Comun. Pemex Gazprom MEDIA 92,8 104,45 101,1 96,17 95,6 103,21 110,09 89 116,20 101,2 102,5 109,2 107,5 112,5 84,00 200.000 5.000 1.000 100.000 5.000 5.000 100.000 100.000 1.000 100.000 1.000 1.000 5.000 10.000 100.000 10,45% 4,03% 7,55% 4,39% 6,80% 2,14% 3,09% 6,20% 1,92% 8,34% 2,19% 3,44% 1,50% 3,33% 8,97% 4,956% Dollaro Usa Dollaro Neozelandese Lira Turca Euro Rand Sudafricano Leu Rumeno Dollaro Usa Euro Zloty Polacco Euro Dollaro Autraliano Sterlina Franco Svizzero Dollaro Usa Sterlina n.d. AA+ BBB BAAA BBB BBBBBB+ A BAAA BBBBBBABBB 16-05-2016 26-09-2016 16-11-2016 8-05-2017 4-10-2017 17-01-2018 23-02-2019 22-052019 25-10-19 15-09-2019 21-10-2019 13-12-2019 31-03-2020 5-03-2020 25-09-2020 4,625% 6,750% 8,200% 2,625% 5,000% 3,250% 5,720% 3,255% 5,500% 8,50% 2,75% 5,50% 3,00% 6,00% 5,338% 5,068% Nota: tutti i titoli sono del tipo senior non garantiti 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 9 (diffusione:100933, tiratura:169909) Matteo Radaelli La corsa del dollaro nei confronti dell'euro è proseguita anche nella settimana appena conclusa, con il cambio che venerdì 9 gennaio è sceso in zona 1,18 dollari, con un minimo di giornata a 1,176. A spingere al ribasso il cambio euro-dollaro sono le opposte prospettive della politica monetaria della Federal Reserve e della Bce, diventate ancora più evidenti nelle ultime settimane. Se da una parte la Bce è attesa rendere la propria politica monetaria più espansiva con l'acquisto di titoli di stato già dalla riunione del 22 gennaio, la Fed non dovrebbe invece deviare dallo scenario di base che la vede aumentare i tassi a metà anno, anche se poi i rialzi saranno moderati. A confermare che la Bce è pronta a incrementare gli interventi sul mercato per ridurre i rischi che la deflazione diventi cronica dopo essere scesa al -0,2% su base annua in dicembre sono state le parole del presidente della Bce, Mario Draghi, che ha sottolineato come l'Eurotower sia pronta ad acquistare titoli governativi, pur rimanendo il parere contrario di alcuni membri del Consiglio direttivo. In tale direzione vanno le indiscrezioni secondo cui lo staff della Bce ha preparato un piano di acquisto di titoli governativi con il rating di investment grade (quindi italiani compresi) di 500 miliardi di euro. Gli ultimi dati economici pubblicati in area euro hanno evidenziato come un intervento delle autorità monetarie sia necessario, se non altro per ridare fiducia agli investitori. In settimana segnali di debolezza dell'economia sono arrivati dagli ordini all'industria tedeschi di novembre, scesi del 2,4% su base mensile contro le attese di un calo del -0,8%, e dalla produzione industriale francese, sempre di novembre, diminuita dello 0,3% rispetto a ottobre, contro le attese di un aumento dello 0,3%. I solidi dati economici statunitensi, di cui l'ultimo esempio è stato la discesa del tasso di disoccupazione al 5,6% in dicembre, nonostante le perplessità legate al calo dei salari e della forza lavoro, dovrebbero rassicurare la Fed sul fatto che la crescita economica possa proseguire vigorosa nei prossimi mesi, anche in presenza di una fase di rialzo dei tassi. La stretta dovrebbe iniziare in giugno, nonostante le dichiarazioni del presidente della Fed di Chicago, Charles Evans, secondo cui il primo rialzo dovrebbe essere rinviato al 2016 ed essere molto graduale, come confermato dalle minute dell'ultima riunione della Fed pubblicate pochi giorni fa. Il rialzo dei tassi da parte della banca centrale Usa dovrebbe continuare ad attrarre flussi di capitali dagli investitori alla ricerca di rendimenti più alti sui mercati obbligazionari. In questo scenario il dollaro potrebbe continuare a guadagnare terreno contro la moneta unica. Il consensus degli analisti interpellati da Bloomberg è per una discesa del cambio a 1,15 entro la fine del 2016, ma alcuni strategist, come per esempio quelli di Ing, Abn Amro e Citigroup, stimano una discesa del tasso di cambio alla parità. Si tratterebbe di una quotazione che non si vede dalla fine del 2002, ma che non rappresenterebbe un minimo assoluto. A fine 2000, infatti, l'euro toccò il minimo storico di 0,822 dollari prima di iniziare il trend al rialzo che l'ha portato a registrare il massimo storico di 1,60 nel 2008. Un'ulteriore discesa dell'euro ne aumenterebbe la sottovalutazione rispetto al dollaro sulla base della parità del potere d'acquisto calcolata dall'Ocse. Sulla base dei calcoli dell'istituto di Parigi, a 1,18 l'euro sarebbe sottovalutato del 9% e del 22% in caso di discesa a 1. Anche in questo caso, però, non si tratterebbe di una novità storica poiché già nel 2002 si era raggiunto questo livello di sottovalutazione. Il calo dell'euro avrà effetti positivi sulla crescita economica sia nel 2015 sia nel 2016. Secondo le stime dell'Ocse, un calo del 10% dell'euro ha l'effetto di aumentare la crescita economica dello 0,8% nell'anno seguente alla svalutazione e di un ulteriore 0,9% in quello successivo. Per questo motivo la Bce dovrebbe assicurarsi che il recente trend al ribasso della valuta continui anche nei prossimi mesi, aiutando così la crescita economica e riducendo le pressioni deflazionistiche. Una discesa sostenuta in deflazione, infatti, ha l'effetto di aumentare il valore di una valuta, come dimostrato dallo yen negli ultimi anni, incrementandone il potere d'acquisto a fronte di prezzi in discesa. Il raggiungimento del target di un attivo di bilancio a 3 mila miliardi di euro annunciato da Draghi è, quindi, quanto mai necessario per garantire la discesa dell'euro. Tanto più che la Fed, in presenza di un rallentamento dell'economia o di pressioni inflazionistiche contenute, sarebbe molto veloce nel fermare la SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Per l'euro la parità non è un'utopia 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 9 (diffusione:100933, tiratura:169909) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato fase di rialzo dei tassi, riducendo così l'appeal del dollaro, con la conseguente rivalutazione della moneta unica. (riproduzione riservata) IL DOLLARO SALE GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fed/Bce attivo di bilancio Euro/dollaro 2009 2010 2011 2012 2013 2014 1,5 1,0 0,5 2,0 2,5 1,3 1,2 1,1 1,4 1,5 Fonte: Bloomberg 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1,20,21 (diffusione:100933, tiratura:169909) Internet of thing$ Davide Fumagalli Dopo personal computer, smartphone e tablet, ora è la volta di case, automobili e pc indossabili. Al Consumer Electronic Show di Las Vegas, annuale kermesse dedicata all'elettronica di consumo, le novità più interessanti non sono infatti stati smartphone e tablet, ma vasi da fiori intelligenti, telecamere di videosorveglianza domestica e orologi smart ( si veda articolo a pagina 21 ). Il tratto distintivo di tutti questi dispositivi è la connessione costante a internet, che non solo consente di trasmettere i dati dai dispositivi agli utenti, ma permette anche di sfruttare la mole stessa di dati generata dai sensori (nelle abitazioni, nelle automobili e nei pc indossabili) per creare servizi prima impensabili a prezzi compatibili con una vera diffusione di massa. È il mercato dell'internet of things, come viene definito l'insieme di centinaia di milioni di dispositivi connessi al web, che, secondo McKinsey, nel 2025 varrà qualcosa come 6.200 miliardi di dollari, grazie anche a un numero di dispositivi connessi che entro il 2020 dovrebbe salire a quota 20-30 miliardi. Un'opportunità quindi enorme per una pluralità di aziende, che comprende tanto nuove realtà nate proprio con questo focus quanto protagonisti già affermati e dotati di asset indispensabili per sostenere l'ecosistema dei dispositivi connessi. Molte delle start-up e delle società che hanno creato ecosistemi di dispositivi connessi a internet hanno infatti utilizzato le server farm di Amazon e Microsoft che mettono a disposizione tutte le infrastrutture server, storage e applicative necessarie in una logica di costo a consumo. Si tratta di un business ideale per questo genere di società, dal momento che permette di modulare istantaneamente la potenza di calcolo e i dati gestiti in base numero di utenti e con costi marginali bassissimi, senza dover quindi immobilizzare in conto capitale somme incompatibili con piccole realtà o linee di business da costruire. Non a caso nei bilanci di Amazon e Microsoft le divisioni responsabili di queste operazioni stanno registrando crescite di fatturato sensibilmente superiori a quelle complessive dei due colossi tecnologici. Sebbene non direttamente protagonisti anche di questo settore, smartphone e tablet giocano ugualmente un ruolo fondamentale, dal momento che costituiscono i terminali su cui le informazioni generate dai sensori ed elaborate dai server vengono poi fruite dagli utenti. In questo caso, quindi, Apple e Google proseguiranno la propria sfida senza esclusioni di colpi, mentre Microsoft con Windows Phone rimane per il momento decisamente indietro nonostante i progressi evidenziati nell'ultimo anno. Da notare però come ancora una volta Apple si sia dimostrata in grado di monetizzare anche il business delle app in modo decisamente più efficiente rispetto alla rivale di Mountain View. Il colosso guidato da Tim Cook lo scorso anno ha infatti messo a segno un aumento del 50% dei ricavi legati alle app scaricabili da iTunes Store, il negozio digitale in cui acquistare programmi e contenuti per iPhone e iPad, generando così guadagni per gli sviluppatori superiori a 10 miliardi di dollari. Calcolando che Apple trattiene una percentuale del 30% sul fatturato complessivo generato dalle vendite di app, risulta che la società di Cupertino ha incassato così 4,3 miliardi di dollari dalle sole app, sulle quali i margini di utile sono elevatissimi considerato che il costo di sviluppo è a carico di software house esterne. Sebbene 4,3 miliardi rappresentino una goccia nel mare per il colosso di Cupertino, che fattura più di 180 miliardi di dollari l'anno, l'alto livello di redditività di questo particolare business si trasforma in una percentuale significativa dei 40 miliardi di dollari di utile complessivo dell'ultimo esercizio. E il tutto evidenziando un tasso di crescita impressionante. Trenta miliardi di dispositivi connessi sono una ghiotta occasione anche per gli operatori di telecomunicazioni. Se infatti la domotica rende ancora più urgente la disponibilità di reti di nuova generazione in fibra ottica, pc indossabili e automobili connesse costituiscono un business su cui gli operatori mobili come Vodafone stanno già investendo. Il colosso inglese delle tlc guidato da Vittorio Colato ha infatti acquisito Cobra, società italiana specializzata in soluzioni intelligenti per automobili, e ha concluso un accordo con il gruppo Volkswagen Audi per la fornitura di sim card da integrare nelle vetture del costruttore tedesco per la connessione al web dei sistemi di bordo. A fianco dei colossi dell'It, l'internet of things sta portando però alla nascita e all'affermazione di nuovi protagonisti, anche in SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato NASDAQ 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1,20,21 (diffusione:100933, tiratura:169909) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Europa. La Francia, in particolare, si sta rivelando un terreno fertile per start-up innovative in questo settore. Withings, partecipata tra gli altri da 360 Capital Partners, si sta per esempio dimostrando capace muoversi con abilità nel mercato dell'internet of things e in modo particolare dei dispositivi legati al benessere, spaziando dalle bilance e misuratori di pressione sanguigna collegati a internet sino a braccialetti e orologi intelligenti diffusi ormai su scala globale. Molto interessante anche la crescita messa a segno da Netatmo, altra società francese specializzata invece nella domotica, che dopo il successo della stazione meteorologica intelligente ha presentato un termostato connesso a internet per gestire da remoto il riscaldamento domestico per poi debuttare, proprio al Ces di Las Vegas, nell'arena della videosorveglianza domestica facendo tesoro tanto delle soluzioni tecniche mese a punto quanto della grande attenzione al design. La domotica, campo in cui il design svolge un ruolo fondamentale, offre potenzialità da cogliere anche per realtà italiane innovative come Easydom, specializzata però in soluzioni di alto livello che necessitano di professionisti per l'installazione. (riproduzione riservata) AMAZON APPLE MICROSOFT BLACKBERRY VODAFONE GRAFICA MF-MILANO FINANZA 250 400 350 300 450 quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen '14 299,1 € -25,4% 60 120 110 70 80 90 100 130 quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen '14 111,6 € +45,6% 30 50 45 40 35 55 6 12 11 10 13 quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen '14 47,3 € +33,2% quotazioni in dollari Var. % sul 9 gen '14 10,4 $ +19,3% 160 240 220 200 180 260 quotazioni in pence Var. % sul 9 gen '14 224,9 p -6,17% 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 9 gen '15 9 gen '14 Foto: Jeff Bezos Foto: Tim Cook 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 20 (diffusione:100933, tiratura:169909) Itablet, gli smartphoneei loro touchscreen hanno finora dato la possibilità di interagire con internet come mai in passato: si può scegliere che cosa vedere, allargare e stringere le pagine web in punta di dita. Ma, a parte occasionali popup e notifiche, non è arrivata molta interazione. Secondo quanto riporta il sito americano qz.com, la prossima generazione di dispositivi wireless potrebbe cambiare lo scenario. Alcuni studi indicano che nel giro di 20 anni la rete wireless sarà in grado di inviare e ricevere grandi quantità di dati in meno di un millisecondo, ossia con la stessa velocità di reazione del corpo umano quando tocca qualcosa. Ciò implica che sarà possibile controllare oggetti in qualsiasi parte del mondo, in tempo reale, da un dispositivo mobile con la stessa sensazione che si ha quando l'oggetto è di fronte a noi. Gerhard Fettweis, professore di tecnologia all'Università di Dresda, ritiene che il 5G, la prossima generazione di reti di telefonia mobile, potrebbe essere abbastanza veloce da creare una rete di dispositivi internet a reazione istantanea, imitando l'esperienza della vita reale. Uno recentissimo studio sul futuro del 5G comprende anche il concetto di connettività di Fettweis, ovvero internet tattile. In che cosa si tradurrà l'internet tattile? Ecco di seguito alcuni esempi concreti. Mondo virtuale. Fettweis vede in futuro studenti che imparano sul campo, utilizzando la realtà virtuale per interagire in classe. Gli studenti saranno virtualmente in giro per le strade dell'antica Roma e potranno toccare ciò che vedranno. Patenti virtuali. Si potranno acquisire nuove abilità, come guidare l'auto o fare surf, grazie a simulazioni realistiche nei salotti di casa, senza mettere piede in strada o in mare. Conversazioni più coinvolgenti. La prossima generazione di video-chat darà alle persone l'impressione di trovarsi nella stessa stanza, con la potenzialità di stringere la mano a qualcuno che si trova dall'altra parte del mondo. Medicina a distanza. I medici potrebbero riuscire a diagnosticare e operare su pazienti, ovunque si trovino, utilizzando tecnologie di telerobotica.I medici potrebbero essere in grado di sentire il polso o misurare la pressione su internet. Nessun semaforo. Il 5G potrebbe consentire alle automobili di essere completamente automatiche, in grado di reagire in un istante ai cambiamenti di traffico e viabilità, in base ai movimenti di altri veicoli 5G e al comportamento dei pedoni, eliminando la necessità della presenza di semafori. Quanto probabile è il futuro di questo internet tattile? Secondo quanto dichiarato a qz.com da Fettweis, sta già accadendo. In alcune fabbriche robot posti su particolari pavimenti già possono interagire tra loro e con l'ambiente quasi istantaneamente. Ma ci sarà bisogno di dispositivi più potenti e di una rete wireless più veloce prima di vedere un internet veramente tattile. Fettweis, che ha lavorato con Vodafone e con l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (braccio tlc dell'Onu), sostiene che occorrerà una rete di dati 100 volte più veloce rispetto all'attuale 4G e passerà un altro decennio o giù di lì prima che le società di telecomunicazioni comincino a investire seriamente in questo tipo di rete. «I grandi balzi tecnologici avvengono ogni dieci anni», dice Fettweis, «se la gente e le aziende si accorgono che si tratta di un'opportunità, faranno in modo da non perderla». SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Realtà virtuale, nel 2035 la stretta di mano sarà online SCENARIO PMI 12 articoli 10/01/2015 Il Messaggero - Civitavecchia Pag. 41 (diffusione:210842, tiratura:295190) CIVITA CASTELLANA Dalle parole ai fatti. Il parlamentare viterbese Massimiliano Bernini e quello di origine civitonica Alessandro Di Battista, insieme ad altri sei colleghi del Movimento Cinque Stelle, hanno presentato al Governo una mozione in cui propongono la ricetta per sollevare le sorti del distretto industriale della ceramica di Civita Castellana. Si tratta della promessa fatta ai ceramisti qualche mese fa e che oggi sarà presentata alle associazioni, agli operai e ai simpatizzanti presso lo spazio Catalano a partire delle 16,30. Di fatto la proposta, che dovrà essere votata dal Parlamento, impegna il Governo guidato dal premier Renzi a porre in essere ogni iniziativa per superare la crisi dell'unico polo della Tuscia. Il disegno è molto articolato e prevede la riduzione dei costi di acquisto di energia, un percorso di riduzione della pressione fiscale sulle piccole e medie imprese, prima fra tutte l'Irap; di adottare iniziative per valorizzare l'immagine del distretto attraverso l'introduzione di un programma di protezione del marchio "made in Italy" nonché di un vero e proprio "marchio del distretto industriale di Civita Castellana" che accerti la provenienza del prodotto ceramico e che sia garanzia di elevata qualità; di aprire un procedimento con l'istituzione di un dazio antidumping nei confronti delle imprese che importano prodotti di ceramica sanitaria dalla Repubblica popolare cinese; incentivare e facilitare l'accesso ai fondi regionali ed europei con la mediazione delle amministrazioni territoriali competenti. La mozione propone inoltre di adottare ogni iniziativa per sostenere le attività delle piccole e medie imprese all'estero, soprattutto per quanto riguarda i mercati; introdurre un pacchetto di "defiscalizzazioni" sulle ristrutturazioni edilizie e sui prodotti ecosostenibili al fine di stimolare la domanda interna; incentivare la sostituzione di sanitari in favore delle nuove tecnologie cosiddette di "water saving"; promuovere campagne di informazione della cittadinanza volte a incentivare l'installazione di sanitari a ridotto consumo di acqua e sostenere le attività di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica. Paolo Baldi © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Dai 5 Stelle una ricettaper salvare la ceramica 10/01/2015 Il Messaggero - Marche Pag. 42 (diffusione:210842, tiratura:295190) L'ACCORDO Si chiama Reti d'impresa il progetto della Camera di Commercio di Ascoli e portato avanti da Piceno Promozione che si è concluso con la sigla di due contratti di rete dei settori tessile e nautica: «Rete integrated texile service» e «Rete nautica integrata». Alla loro guida due donne: Doriana Marini per il tessile e Silvia Merlini per la nautica. Il progetto è stato finanziato con il fondo di perequazione (in tutto 30 mila euro). «Il tessuto economico locale- ha spiegato il presidente della Camera di Commercio, Gino Sabatini- è caratterizzato da micro e piccole imprese che, singolarmente, riscontrano difficoltà nel processo di internazionalizzazione e che, grazie al finanziamento del sistema camerale, hanno adesso a disposizione uno strumento per essere più competitive». Si tratta, in particolare, di 7 imprese della nautica (Cmm di Simone Giacoponi, Frigoemme, Gem Elettronica, Iscar funi metalliche, Movinox, Mori Carlo Società a responsabilità limitata, Idromeccanica Forani e Pecorari) e 7 imprese del tessile (Dienpi, Mactec, Itaclab, Itv Industria tessile del Vomano, Wash spa, Gpg, Abbigliamento G &G). Inevitabile il percorso di aggregazione per superare il difficoltoso momento con indice di crescita vicino allo "zero", come ha ricordato Rolando Rosetti, presidente di Piceno Promozione. «Già la prossima settimana l'attivazione di tavoli di lavoro-ha aggiunto- per la conquista di tre mercati: Tunisia, Marocco e Senegal». Per il prof Gianluca Gregori, prorettore Politecnica delle Marche un progetto innovativo. «Le Marche fanalino di coda per i contratti di rete, appena 50 che coinvolgono 325 aziende. Nella provincia di Ascoli finora solo 25 imprese, ora grazie ai due nuovi contratti, sul tavolo altre 14 aziende». A guidare le due nuove aggregazioni Doriana Marini, presidente della rete tessile che si estende all'Abruzzo fino alte Marche, e Silvia Merlini della nautica. «Dobbiamo puntare sulla qualità e tracciabilità del prodotto - ha ribadito la Marini. All'estero siamo molto apprezzati per il denim». Nella nautica, invece, aziende molto diverse tra loro con l'unico obiettivo, ha sottolineato la presidente Merlini «di portare all'estero il sistema del Piceno. Sarà una sfida, già fissato un incontro in Tunisia». Tiziana Capocasa © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Reti d'impresadue donneper tessilee nautico 10/01/2015 Libero - Ed. nazionale Pag. 20 (diffusione:125215, tiratura:224026) Scommettiamo sugli immobili, meglio stare lontani dalla finanza ERNESTO PREATONI Il 2015 è cominciato come peggio non si poteva immaginare. Già nella prima settimana c'è stato un tambureggiamento di cattive notizie per l'Italia: l'indice Pmi sull'attività produttiva è sceso sotto la soglia critica di cinquanta punti, la disoccupazione cresce al record storico del 13,4%, l'inflazione cala allo 0,2% con tendenza a diventare negativa come nel resto dell'area euro. Una partenza da incubo che è stata completata dalla caduta dei mercati: lunedì le Borse europee hanno perso complessivamente 200 miliardi di capitalizzazione. Milano, da sola, ha lasciato sul terreno il 4,9%. Le sedute successive sono state caratterizzate da una altalena mozzafiato. I MERCATI I mercati avevano già scontato il fatto che nella riunione del 22 gennaio Draghi darà inizio, con più di sei anni di ritardo rispetto alla Federal Reserve americana, al quantitative easing (cioè l'acquisto di titoli di Stato sul mercato). Illudersi che manovre così tardive possano avere lo stesso effetto positivo che hanno avuto negli Stati Uniti è molto pericoloso. Tanto più che i mercati, in questo momento spinti da motivazioni meramente finanziarie, stanno dimenticando i fondamentali dell'economia reale. Nelle ultime settimane le Borse si sono mosse scommettendo (è proprio il caso di dirlo) sulle dichiarazioni di Draghi e su quello che la Bce deciderà nella riunione del prossimo 22 gennaio. Tra l'altro nessuno sa (forse neppure Draghi) attraverso quali modalità si effettuerà l'annunciata immissione di liquidità. Le possibilità sul tappeto sono tre: l'acquisto di titoli di stato europei in misura proporzionale alle loro economie, oppure (come vorrebbe il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann) tramite l'acquisto di titoli con la tripla A (che pochi stati europei possiedono). Oppure, terza ipotesi, utilizzando la garanzia delle banche centrali nazionali. Ognuna di queste strade accentuerà le tensioni all'interno dell'Ue. Consentitemi una notazione personale: mi sono occupato di gestione di portafoglio per molto tempo. Sono, però, diciotto anni che non compro né azioni né obbligazioni in Borsa e sono molto contento della scelta che ho fatto. LA FINANZA Per completare il quadro delle criticità aggiungo che la Bce ha rivisto al rialzo i parametri patrimoniali delle banche europee. È un provvedimento forse poco importante per la finanza, ma estremamente rilevante per l'economia. Significa, in buona sostanza, che vi saranno meno risorse da parte delle banche per erogare credito alle famiglie e alle imprese. Ciò allargherà ancora di più lo spread (la forbice) tra finanza ed economia reale. Comprare titoli del debito pubblico in questa situazione è una vera follia. È un investimento che non ha alcuna possibilità di rialzo e ne ha molte al ribasso. Per quanto riguarda i titoli azionari americani vorrei ricordare che il rapporto prezzo utili è del 70% superiore alla media degli ultimi dieci anni. GLI IMMOBILI In questa situazione aspetterei a comprare titoli azionari fin quando gli scenari saranno più chiari. Sono certo, invece, che saranno premiati coloro che compreranno immobili in Paesi che hanno cinque caratteristiche: 1) Politica stabile; 2) Situazione sociale tranquilla; 3) Scarso debito pubblico, 4) Tassazione contenuta, 5) Prezzi degli immobili accettabili. Conosco alcuni Paesi che hanno queste caratteristiche: Estonia, Lettonia, Lituania e Russia (avete letto bene: Russia). Ma sono sicuro che ce ne sono degli altri. Se i lettori avranno voglia di segnalarmeli sarò contento. Foto: Ernesto Preatoni SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Una scelta diversa 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 25 (diffusione:581000) DEBOLEZZA DELL'EURO, RIPRESA ECONOMICA IN USA E "RESHORING": SONO LE TRE CARTE VINCENTI PER CONFERMARE LA RIPRESINA CHE HA SEGNATO GIÀ IL 2014, SECONDO L'INDAGINE CAMPIONARIA DI "SISTEMA MODA ITALIA". MA CI SONO ANCORA RISCHI NASCOSTI Sibilla Di Palma Milano La debolezza dell'euro; la ripresa dell'economia americana; il ritorno alle produzioni in patria. Tre fattori che inducono gli analisti a vedere un 2015 rosa per la moda italiana. Non che siano spariti di colpo i fattori di tensione, dalla persistente debolezza dei consumi interni ai problemi geopolitici in alcuni mercati emergenti, ma adesso vi sono le condizioni perché il settore torni al suo ruolo di perla dell'economia italiana, grazie a grandi gruppi internazionalizzati, ma anche a multinazionali tascabili che si fanno strada a colpi di innovazioni. I primi segnali di inversione della rotta, dopo il biennio 20122013 in rosso, si erano già visti. Un'indagine campionaria di Sistema Moda Italia, che ha coinvolto 120 aziende attive in tutti gli stadi della filiera tessile-moda italiana, ha censito per il primo trimestre 2014 un balzo del 3,4%, merito soprattutto del tessile, in crescit a d e l l ' 8 , 5 % , m e n t r e l'abbigliamento-moda si è fermato a un timido +0,7%. Anche per la società di consulenza Pambianco, «l'anno appena iniziato si preannuncia migliore rispetto al 2014», come spiega il vicepresidente David Pambianco. Sistema Moda Italia sottolinea che, per le aziende a campione, il giro d'affari è risultato in crescita anche nel secondo trimestre 2014 (+6,1%); trend che in base alle stime delle imprese si estende anche al periodo luglio-settembre, con un incremento delle vendite del 6,4%. Risultati merito soprattutto del grande favore che il made in Italy registra sui mercati esteri, tappa ormai obbligata per le aziende italiane considerato che a livello interno la situazione resta piatta, con i consumi delle famiglie che nel 2014 si sono attestati ai livelli del 1999. Tanto per dare un'idea, secondo i dati diffusi dal Wto (Organizzazione mondiale del commercio), le vendite oltre confine del tessile-moda italiano da gennaio a luglio sono aumentate su base annua del 4,6%. Scambi con l'estero che hanno portato il saldo commerciale del comparto a superare nei primi sette mesi del 2014 i 5,7 miliardi di euro. Anche se ad avere il vento in poppa su questo fronte sono soprattutto i grandi marchi del lusso, mentre «le medie imprese, che hanno risentito di più della crisi degli ultimi anni, continuano ad avere una maggior difficoltà di accesso ai mercati esteri più promettenti che sono anche quelli geograficamente più distanti», sottolinea Pambianco. Resta poi la categoria delle piccole aziende, che crescono nella misura in cui riescono a ritagliarsi nicchie di mercato anche fuori dai confini nazionali. Secondo l'analista, gli Stati Uniti sono il paese al quale guardare per crescere nel 2015. «I recenti dati sul Pil mostrano un'economia a stelle e strisce in salute dove non a caso la Fed si prepara ad alzare i tassi di interesse. Il dollaro che si sta rivalutando rispetto all'euro rappresenta poi un'ulteriore carta a favore delle aziende italiane esportatrici». Nonostante il rallentamento degli ultimi tempi, anche la Cina resta un mercato importantissimo, per quanto di difficile accesso per le Pmi. Mentre «la Russia rischia di rivelarsi il tasto dolente del 2015 per via della svalutazione del rublo determinata dal calo del prezzo del petrolio che ha reso le esportazioni nella Federazione molto meno remunerative. Qui, inoltre, il consumo locale è in crisi per via della recessione che sembra ormai alle porte» secondo Claudio Marenzi, presidente del Sistema Moda Italia. Uno scenario nel quale le aziende italiane continuano a tenere l'acceleratore puntato sulla qualità come vantaggio competitivo. «Noi siamo bravi a competere sulla fascia alta, anche perché è molto difficile vendere all'estero un prodotto italiano che non sia di valore». Non a caso diverse aziende del settore moda hanno scelto di riportare la produzione nel nostro Paese (il fenomeno è indicato come reshoring ). E non solo per l'aumento del costo dei trasporti o della manodopera estera, ma soprattutto per la forza del marchio made in Italy. Un fenomeno che però, secondo Pambianco, riguarda principalmente le grandi aziende del fashion «che stanno aumentando la produzione nella Penisola perché l'etichetta made in Italy è sinonimo di lusso. Mentre da parte delle medie imprese l'approccio alla delocalizzazione è lo stesso di tre anni fa, anche perché in America dove molte aziende stanno attuando politiche di reshoring sono state SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato 2015, il made in Italy vede "rosa" 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 25 (diffusione:581000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato promosse delle politiche fiscali incentivanti, percorso che in Italia invece non è stato compiuto», conclude. Foto: Nella foto qui sopra Claudio Marenzi , presidente del Sistema Moda Italia 12/01/2015 La Repubblica - Affari Finanza - N.1 - 12 gennaio 2015 Pag. 14 (diffusione:581000) PICCOLE DONNE CRESCONO NELL'IMPRESA SVIZZERA Franco Zantonelli Aconferma del buon stato di salute economico della Svizzera non ci sono solo il Pil in costante crescita e i conti pubblici in ordine, ma anche il boom di nuove imprese che nascono anno dopo anno. Nel 2014 ne sono state create 41.588, ovvero l'1,86 per cento in più del 2013. C'è inoltre, all'interno di questo dato, già di per sé lusinghiero in un'Europa tuttora impantanata nella crisi, un elemento ancor più significativo. "Il 26 per cento delle nuove imprese- rileva il sito Startups.ch - è stato costituito da donne". Tante piccole imprenditrici che sembra vogliano ribaltare l'immagine di un Paese ancora parecchio maschilista, almeno in economia. Talmente maschilista da costringere, poco tempo fa, il Governo di Berna a imporre, di qui al 2020, un 30 per cento di quote rosa nel management delle aziende elvetiche. Ma qual è il profilo tipo di queste donne che decidono di lanciarsi nel mondo del lavoro, dando vita a una loro impresa? "Una buona metà- rileva sempre Startups.ch - cerca l'indipendenza professionale dopo avere avuto dei figli". Dopo la pausa di maternità molte donne, nonostante un'istruzione elevata, fanno fatica a rientrare nel mondo del lavoro, non riuscendo a conciliare la carriera con la cura dei figli. Ecco, allora, che mettendo in piedi un'attività per conto proprio, ottengono flessibilità e soddisfazioni professionali. Mediamente queste donne hanno dai 35 ai 41 anni, sono madri di due figli e l'attività che mettono in piedi opera nel settore dei servizi, con non più di 3 dipendenti e un capitale sociale non superiore ai 100 mila franchi, circa 80 mila euro. SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato LE CAPITALI BERNA 12/01/2015 Corriere Economia - 12 gennaio 2015 Pag. 26 Da La Doria a Rummo: buoni affari producendo per gli altri r. sCA. Sono un migliaio le imprese italiane che producono beni di largo consumo con l'etichetta delle grandi catene di distribuzione. Tutti insieme questi produttori invisibili generano un fatturato di 10 miliardi. Tra loro ci sono piccole aziende del territorio a gestione familiare, aziende medio-grandi con quote di export significative e anche multinazionali ben conosciute. Come Parmalat-Lactalis o Kimberly Clark. La scommessa di questi cosiddetti copaker è quella di cavalcare il trend di crescita di un mercato che, sia pure con la battuta di arresto del 2014, dovrebbe allinearsi nel lungo termine ai livelli europei, e quindi raddoppiare. Oppure, più semplicemente come nel caso delle multinazionali, la produzione per conto terzi serve a ottimizzare la gestione di alcuni impianti. In ogni caso si tratta di un business in attivo. Secondo i dati raccolti da Adm-Lab su un campione di queste imprese, solo il 5% sostiene di aver subito una contrazione del business nel corso dello scorso anno, mentre più del 50% ha registrato una modesta crescita o stabilità. Il resto del campione segnala una buona crescita (18% delle risposte) se non addirittura uno sviluppo consistente (14%). Ormai destinare una parte della produzione alle insegne dei supermercati è la norma nell'agroalimentare e nel largo consumo. E le aziende più efficienti realizzano le loro esportazioni attraverso le forniture alle catene retail estere. Aziende come la cartaria Sofidel o La Doria nelle conserve sono fornitrici delle principali insegne europee. Dietro le confezioni di prodotti targati Esselunga, Coop, Conad o Carrefour ci sono per il 90% aziende italiane. Piccole o medie imprese che, pur rimanendo anonime per il grande pubblico, nelle loro nicchie di mercato vendono di più dei competitor più famosi e internazionali. La Formec Biffi, per esempio, è il numero uno della maionese, la siciliana Nino Castiglione, fondata nel 1933, lo è nel tonno in scatola, la Lillo nel pesce affumicato, la Valbona o la Inpa, nei sottoli e nelle conserve, Rummo o Zara nella pasta. Lo stesso vale per le imprese lucchesi nella carta per uso sanitario. Alcune di queste aziende non sono specializzate ma hanno diverse produzioni come la romagnola Deco, che realizza per la marca privata sia biscotti sia detersivi. Le aziende dedicate solo alla produzione per conto terzi con contratti di esclusiva sono una minoranza, la maggior parte sono imprese che hanno solo una quota del loro business destinata a terzi e il resto alle attività core del proprio brand. La selezione dei copaker è diventato così importante che le catene clienti certificano i processi produttivi, lavorano in partnership coi fornitori sull'innovazione e sul packaging. Perché l'ambizione delle grandi insegne nazionali è quella di vendere all'estero i propri prodotti a marchio. Coop sta negoziando con diversi gruppi esteri per siglare partnership dedicate all'export in tre aree Usa, Europa e Asia, mentre Conad ha appena aperto cinque negozi con i propri prodotti in Cina. © RIPRODUZIONE RISERVATA Foto: Conserve Antonio Ferraioli, alla guida del gruppo La Doria, oltre 600 milioni di ricavi fatti per il 90% con le private label, per lo più all'estero SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Fornitori 12/01/2015 ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:91794, tiratura:136577) Nuovi minimi, un regime a perdere DI VALERIO STROPPA Fisco punitivo per i giovani professionisti. Il nuovo regime forfettario previsto dalla legge di Stabilità 2015 non solo costa di più dei vecchi minimi, ma anche della tassazione ordinaria. Ma tra le partite Iva, le libere professioni e i freelance risultano discriminati anche rispetto ad altre categorie (come per esempio artigiani e commercianti), che potranno quantomeno neutralizzare il maggior carico fi scale con sgravi contributivi, pur sacrifi cando la futura pensione. In tutto ciò, lo stato non incamera neanche un maggiore gettito, ma anzi le casse pubbliche saranno incise negativamente per quasi 5 miliardi di euro in sei anni. Per tutti questi motivi il regime forfettario previsto dalla legge n. 190/2014 deve essere ripensato. È quanto ha affermato nei giorni scorsi la Cna, che ha realizzato due studi intitolati «Il fi sco non è uguale per tutti» e «Nuovi forfettari alla ricerca delle opportunità perdute». E anche tutti gli ordini professionali si sono schierati compatti per chiedere al governo di rivedere le misure, innalzando le soglie dei ricavi ammessi e/o riducendo l'imposta sostitutiva. Stroppa a pag. 13 Fisco punitivo per i giovani professionisti. Il nuovo regime forfettario previsto dalla legge di Stabilità 2015 non solo costa di più dei vecchi minimi, ma anche della tassazione ordinaria. Ma tra le partite Iva, le libere professioni e i freelance risultano discriminati anche rispetto ad altre categorie (come per esempio artigiani e commercianti), che potranno quantomeno neutralizzare il maggior carico fi scale con sgravi contributivi, pur sacrifi cando la futura pensione. In tutto ciò, lo stato non incamera neanche un maggiore gettito, ma anzi le casse pubbliche saranno incise negativamente per quasi 5 miliardi di euro in sei anni. Per tutti questi motivi il regime forfettario previsto dalla legge n. 190/2014 deve essere ripensato.È quanto ha affermato nei giorni scorsi la Cna, che ha realizzato due studi intitolati «Il fi sco non è uguale per tutti» e «Nuovi forfettari alla ricerca delle opportunità perdute». Le differenze tra forfetari e ordinari. L'applicazione dell'imposta sostitutiva del 15% sul reddito determinato con metodi forfetari potrebbe apparire, a prima vista, una forma di riduzione della pressione fi scale. In realtà ciò si verifi ca solo al di sopra dei 35 mila euro di ricavi. Tetto però al quale solo poche categorie possono arrivare (commercianti, albergatori, ristoratori). Per i professionisti il limite di fatturato per poter restare nel regime a forfait è fi ssato a 15 mila euro annui, con un coeffi ciente di redditività del 78% per determinare l'imponibile. Pertanto, osserva la Cna, sebbene l'aliquota Irpef del primo scaglione sia pari al 23%, a cui devono aggiungersi le addizionali regionali e comunali (in media il 2,06%), per livelli bassi di reddito l'imposta dovuta nel regime ordinario risulta comunque più bassa. A ridurre il prelievo ordinario giocano un ruolo fondamentale sia la detrazione Irpef prevista dall'articolo 13 del Tuir per i lavoratori autonomi, pari a 1.104 euro, sia la franchigia Irap di 10.500 euro (laddove l'imposta regionale risultasse applicabile). Le differenze tra autonomi e dipendenti. Ma dai calcoli della Cna emerge una ulteriore sperequazione anche nel trattamento fi scale di partite Iva e lavoratori dipendenti,a parità di reddito. Come evidenziato nel grafi co in pagina, in corrispondenza di un reddito di 10 mila euro gli imprenditori in contabilità semplifi cata e i professionisti subiscono una tassazione effettiva che supera di poco il 15%. Nella stessa fascia di reddito, i dipendenti scontano un'imposizione effettiva pari a zero,a seguito dell'applicazione delle detrazioni da lavoro dipendente (circa 1.700 euro) e del bonus degli 80 euro mensili introdotto dal dl n. 66/2014. Gli effetti sul gettito. Il giro di vite sulle piccole partite Iva non consentirà comunque all'erario di incassare di più. Anzi, le conseguenze finanziarie sul bilancio dello stato saranno negative per una cifra variabile tra gli 800 e i 900 milioni di euro all'anno (si veda altra tabella in pagina).A generare l'onere è prevalentemente la norma che permette ad artigiani e commercianti aderenti al regime forfettario di usufruire di un sistema di favore nel calcolo dei contributi previdenziali: invece di determinarli su un reddito fi gurativo detto «minimale» (che prescinde da quello effettivamente realizzato), potranno quantifi carli «a percentuale». Si ricorda che tra il 2012 e il 2014 il minimale è stato pari rispettivamente a 14.930, 15.357 e 15.516 euro. Ciò che i contribuenti risparmieranno nell'immediato si ri SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Professionisti penalizzati dal forfettario, da un lato. Ma dall'altro, nelle casse dello stato non arriverà maggior gettito 12/01/2015 ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:91794, tiratura:136577) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato etterà però inevitabilmente sulle aspettative della futura pensione. La possibilità di scegliere sarà tuttavia limitata solamente ai soggetti iscritti alle predette gestioni speciali. I professionisti che si trovano in una delle casse previdenziali di categoria, così come gli autonomi senza cassa iscritti alla gestione separata Inps non avranno alcun benefi cio. Le differenze tra vecchi e nuovi minimi. La disparità di trattamento maggiore rimane quella tra chi applicava i vecchi regimi agevolati alla data del 31 dicembre 2014 e chi ha avviato la propria attività dal 1° gennaio 2015 in poi. Con l'inizio del nuovo anno, infatti, la legge di stabilità ha mandato in soffi tta sia il regime dei minimi previsto dal dl n. 98/2011 (con tetto di ricavi a 30 mila euro e aliquota al 5% per tutti), sia il regime delle nuove iniziative produttive (fatturato ammesso di 30.987 euroe imposta sostitutiva al 10%). In via transitoria, tuttavia, la legge n. 190/2014 ha previsto che chi al 31 dicembre già applicava tali meccanismi agevolati avrebbe potuto continuare a utilizzarli fi no a naturale scadenza. Disposizione, questa, che ha innescato una vera e propria corsa ad aprire la partita Iva entro la fi ne del 2014 (si veda ItaliaOggi dell'11 dicembre 2014). Soprattutto da parte dei soggetti under-35, che avrebbero potuto continuare ad avvalersi della tassazione agevolata fino al compimento di tale età. Un giovane professionista che avvia la sua attività nel 2015, quindi, a parità di reddito si troverà a pagare in media più del doppio delle tasse del coetaneo che ha iniziato prima del 31 dicembre 2014. Le prospettive di modifica. La riforma dei minimi prevista dalla legge di Stabilità ha subito innescato un focolaio di polemiche. Tutti gli ordini professionali si sono schierati compatti per chiedere al governo di rivedere le misure, innalzando le soglie dei ricavi ammessi e/o riducendo l'imposta sostitutiva (si veda ItaliaOggi dell'8 dicembre 2014). Anche dal mondo dell'artigianato e delle piccole imprese, che pure sono i soggetti per i quali il sistema forfettario può risultare più conveniente, non mancano le richieste di intervento. «Dalle analisi effettuate emerge con chiarezza che il nuovo regime forfettario prevede delle concrete semplificazioni fiscali, eliminando qualsiasi onere contabile e di comunicazione di dati all'Agenzia delle entrate», osserva la Cna, «i vantaggi economici derivanti dai risparmi di oneri amministrativi sono però completamente mangiati dai maggiori tributi dovuti». Anche per le piccole partite Iva che riterranno più conveniente optare per il regime ordinario, comunque,i benefi ci fi scali sono inferiori rispetto ai vantaggi riservati ai dipendenti (su tutti il bonus 80 euro). «È vero che per le imprese individuali in contabilità semplifi cata e per i professionisti le riduzioni delle imposte e le eccezioni previste nella tassazione ordinaria riducono l'aliquota effettiva di imposizione al di sotto del 15%», prosegue la Cna, «è importante sottolineare, tuttavia, che si tratta di riduzioni non parificabili a quelle previste per gli altri redditi da lavoro». Al punto che anche il presidente del consiglio, Matteo Renzi, in un'intervista del 23 dicembre ha riconosciuto che «le giovani partite Iva hanno avuto meno vantaggi di tutti» e si è assunto «la responsabilità di fare un provvedimento ad hoc nei prossimi mesi». La tassazione effettiva per autonomi e dipendenti Nuovo regime forfettario: gli effetti sul gettito Addizionale regionale Addizionale comunale Fonte: relazione tecnica governativa alla legge di stabilità 2015. Dati in milioni di euro. Sostitutiva regime forfettario (15%) 367,1 392,9 418,6 444,3 470,0 495,8 Sostitutiva vecchi minimi (5%) -1,3 -35,2 -69,2 -103,1 -137,0 171,0 Sostitutiva nuove attività produttive (10%) -1,3 -1,7 -2,0 -2,3 -2,7 -3,0 Iva -241,6 -233,7 -225,7 -217,8 209,9 -201,9 Contributi previdenziali -519,2 -554,9 -590,4 -625,9 -661,5 -697,1 TOTALE -870,6 -864,6 -858,6 -852,4 -846,6 -840,4 12/01/2015 ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015 Pag. 31 (diffusione:91794, tiratura:136577) Carte business, spese in chiaro Tra i vantaggi, un più effi ciente controllo sulle fi nanze Pagina a cura DI ANNA DI SANTO Sono pensate per rispondere alle esigenze della clientela business e offrono diversi vantaggi, tra i quali il monitoraggio delle spese aziendali, la possibilità di evitare l'uso del contante e di accedere a una serie di servizi accessori. Sono le carte di credito aziendali che iniziano a prendere sempre più piede anche in Italia, non solo tra le grandi imprese. Occhio però ai costi che potrebbero lievitare in seguito all'entrata in vigore di un nuovo Regolamento in via di approvazione dalla Commissione Ue che disciplina i pagamenti con moneta elettronica. Vantaggi e a cosa fare attenzione. Le carte di credito aziendali offrono diversi vantaggi dal punto di vista pratico. Solitamente, infatti, le banche propongono condizioni particolarmente favorevoli, come l'addebito posticipato a uno o due mesi senza interessi aggiuntivi o commissioni, il monitoraggio dei costi legati a trasferte e altre spese effettuate dai dipendenti, la possibilità di pagamenti rateali e assicurazioni gratuite o una via di assistenza preferenziale in caso di frode. Spesso, inoltre, vengono proposte offerte personalizzate a seconda del target al quale è riservata la carta, per esempio artigiani o professionisti; le condizioni variano anche in base alle dimensioni dell'impresa. Vantaggi ai quali fanno da contraltare alcuni aspetti ai quali fare attenzione. Come per esempio la possibilità di imbattersi in dipendenti disonesti, con il rischio di sostenere più spese di quelle realmente dovute. E anche sul fronte dei costi le carte business potrebbero non essere in futuro più così vantaggiose in seguito all'entrata in vigore di un nuovo regolamento europeo in via di approvazione che impone un taglio alle commissioni sui pagamenti con carte di credito e di debito, con l'intento di incentivare i pagamenti con moneta elettronica. Secondo uno studio realizzato dall'istituto di ricerca francese Galitt, però, la norma potrebbe avere tutt'altro effetto. Secondo l'indagine, infatti, le società che emettono le carte e le banche, potrebbero alzare i prezzi per far fronte al calo dei ricavi garantiti dalle commissioni (oltre 770 milioni di euro i mancati ricavi). Da qui l'aumento dei canoni, che si tradurranno in 305 milioni di euro di costi in più per le imprese. In particolare, l'istituto ipotizza due scenari per il 2018, con e senza l'applicazione della norma europea. Nel secondo caso, l'istituto francese prevede che entro quattro anni saranno circa 60 milioni le carte (di credito e debito) aziendali in circolazione nell'Unione europea (per più di 2,4 miliardi di transazioni); mentre nel primo si ridurranno a 49 milioni (per 1,95 miliardi di transazioni). Le proposte degli operatori. Tra gli istituti di credito, Unicredit propone UnicreditCard Business Easy, carta prepagata nominativa per le aziende. Il limite di utilizzo consentito arriva fino a 10 mila euro; il costo di emissione ammonta a 5 euro, stessa cifra per il costo di gestione. La validità è di tre anni. La banca offre anche UnicreditCard Business, con plafond fi no a 25mila euro per un canone annuale di 50 euro e tre anni di validità. Mentre la UnicreditCard Business Gold offre un plafond fi no a 50 mila euro, per un canone annuale di 100 euro e tre anni di validità (sono previste un'ampia copertura assicurativa e servizi di concierge esclusivi). Intesa Sanpaolo propone invece la soluzione Carta Commercial, carta di credito pensata per i clienti business (liberi professionisti, artigiani, commercianti, imprese di piccole, medie e grandi dimensioni). Il plafond mensile di spesa arriva fino a 50 mila euro ed è previsto l'addebito posticipato delle spese il 28° giorno del mese successivo a quello di utilizzo. La banca offre anche la Carta Prepaid Commercial, prepagata ricaricabile dedicata alla gestione delle spese aziendali. Mentre Mps propone le seguenti offerte: Carta Montepaschi Business e Carta Montepaschi Business Gold per piccole e medie aziende e liberi professionisti, e Carta Montepaschi Corporate e Carta Montepaschi Corporate Gold per grandi aziende. Le modalità di rimborso sono a saldo con addebito, mentre la validità è di 36 mesi. Banco Popolare propone invece YouCard Business, carta aziendale emessa dalla banca con funzione prepagata e debito. Con CartaSi l'istituto offre inoltre CartaSi Business, creata per rispondere alle esigenze delle piccole/medie imprese e CartaSi Idea Business che offre una vasta gamma di servizi per le pmi. Mentre con American Express propone Carta Verde Business, pensata su misura per le imprese, insieme a Carta Oro Business che non SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Prendono piede le card aziendali: cosa offre il mercato e i parametri per contenere i costi 12/01/2015 ItaliaOggi Sette - N.9 - 12 gennaio 2015 Pag. 31 (diffusione:91794, tiratura:136577) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato prevede limiti di spesa e presenta un ricco programma «Fedeltà». Si chiama invece Libra Business l'offerta di Ubi Banca per liberi professionisti e imprese che consente di ricevere un unico estratto conto mensile con il dettaglio delle spese effettuate, usufruire di un'assistenza dedicata, ottenere copertura assicurative grazie alle polizze furto, infortuni e assistenza. È possibile scegliere tra Libra Business Individuale, dedicata a liberi professionisti, studi professionali e titolari di aziende individuali e Libra Business Aziendale, dedicata alle piccole e medie imprese. Infi ne, Credem propone Carta Ego Business per le piccole e medie imprese. Il canone annuo si riduce in base all'utilizzo fi no ad azzerarsi e sono previsti servizi assicurativi, come assistenza 24 ore su 24, diaria di ricovero, rimborso spese mediche, rimborso bagaglio ed effetti personali. Le proposte degli istituti di credito Mps Credem Unicredit Ubi Banca Intesa Sanpaolo Banco Popolare Banca Proposta UnicreditCard Business Easy, carta prepagata nomina• tiva per le aziende. Il limite di utilizzo consentito arriva fi no a 10 mila euro; il costo di emissione ammonta a 5 euro, stessa cifra per il costo di gestione. La validità è di tre anni. UnicreditCard Business, con plafond fi no a 25 mila • euro per un canone annuale di 50 euro e tre anni di validità. È possibile richiederne l'emissione anche per i propri collaboratori. UnicreditCard Business Gold offre un plafond fi no a • 50 mila euro, per un canone annuale di 100 euro e tre anni di validità (sono previste un'ampia copertura assicurativa e servizi di concierge esclusivi). Carta Commercial, carta di credito pensata per i clienti • business (liberi professionisti, artigiani, commercianti, imprese di piccole, medie e grandi dimensioni). Il plafond mensile di spesa arriva fi no a 50 mila euro ed è previsto l'addebito posticipato delle spese il 28° giorno del mese successivo a quello di utilizzo. Carta Prepaid Commercial, prepagata ricaricabile de• dicata alla gestione delle spese aziendali. Carta Montepaschi Business e Carta Montepaschi • Business Gold per piccole e medie aziende e liberi professionisti. Carta Montepaschi Corporate e Carta Montepaschi • Corporate Gold per grandi aziende. Le modalità di rimborso sono a saldo con addebito, • mentre la validità è di 36 mesi. YouCard Business, carta aziendale emessa dalla banca • con funzione prepagata e debito. Con CartaSi l'istituto offre inoltre CartaSi Business, • creata per rispondere alle esigenze delle piccole/medie imprese e CartaSi Idea Business che offre una vasta gamma di servizi per le Pmi. Mentre con American Express propone Carta Verde Business, pensata su misura per le imprese, insieme a Carta Oro Business che non prevede limiti di spesa e presenta un ricco programma «Fedeltà». È possibile scegliere tra Libra Business Individuale, • dedicata a liberi professionisti, studi professionali e titolari di aziende individuali e Libra Business Aziendale, dedicata alle piccole e medie imprese . Carta Ego Business per le piccole e medie imprese. • Il canone annuo si riduce in base all'utilizzo fi no ad azzerarsi e sono previsti servizi assicurativi, come assistenza 24 ore su 24, diaria di ricovero, rimborso spese mediche, rimborso bagaglio ed effetti personali. 10/01/2015 Milano Finanza - N.10 - gennaio 2015 Pag. 1 (diffusione:100933, tiratura:169909) Il Fondo Europeo per li Investimenti (Fei) e UniCredit hanno sottoscritto il 3 giugno 2014 un nuovo accordo nell'ambito di Jeremie Sicilia al fine di sostenere le micro, piccole e medie imprese dell'Isola. Il plafond complessivo è pari a 50,7 milioni di euro, di cui 22,8 milioni di euro quota Fei e 27,9 milioni UniCredit. Il 20 gennaio alle 10 in via Volta un incontro organizzato da Confindustria Sicilia, partner di Enterprise Europe Network, e da Unicredit, mira a presentare nei dettagli le opportunità e i vantaggi offerti dalla rimodulazione di questo strumento. Firmato l'accordo per arantire la cassa integrazione straordinaria per crisi ai lavoratori della Selital di Carini. Lo ha reso noto il vicesegretario regionale dell'Ugl Metalmeccanici Sicilia, Saverio La Rosa, aggiungendo che «adesso l'auspicio è che lo stabilimento possa gradualmente ripartire con i ritmi di produzione». A questo fine, il 20 gennaio si terrà un tavolo al Mise, nel corso del quale si avvierà un dialogo sull'agenda da seguire per la ripresa. SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato NORMANNI, AQUILE & ELEFANTI 11/01/2015 Business People - N.1 - gennaio 2015 Pag. 38 (tiratura:60000) VENDERE CARA la PELLE DAI GIUBBOTTI ALLE BORSE, NON C'È CAPO DI MODA CHE NON ABBIA LA SUA VERSIONE LEATHER. NON È SOLO QUESTIONE DI TENDENZA, MA DI TRADIZIONI E ARTIGIANALITÀ ANTICHE AL SERVIZIO DELLE GRANDI GRIFFE. DIETRO IL SUCCESSO DEI BRAND C'È PERÒ UN TESSUTO DI PMI SCHIACCIATO DALLA CONCORRENZA CINESE, E IL GOVERNO HA PERSO LA CHANCE EUROPEA PER TUTELARE IL MADE IN ITALY FRANCESCO PERUGINI Chissà che ne penserebbe James Dean. O i bikers maledetti degli anni '50, per non parlare dei punk. I loro giubbotti di pelle nera, segno universale di ribellione, sono finiti sulle passerelle di tutto il mondo. Che il chiodo sia divenuto un fashion victim non è una novità: tutta colpa di Yves Saint Laurent, il primo a intraprendere negli anni '70 la strada del leather nelle collezioni. Krizia, Dior, Versace, tutti hanno seguito poi l'esempio del maestro. A impressionare però oggi è la quantità immensa di prodotti che hanno abbandonato il tessuto per il versatile materiale dalla forte impronta italiana. Non solo giubbotti, capispalla, soprabiti, giacche college, ma anche gonne e bolerini da donna. Cavalli ne ha fatto uno stile di vita, mentre Trussardi (foto in apertura) l'ha sempre avuta nel proprio Dna: il fondatore Dante era un pellettiere che riuscì a portare i propri guanti fin sulle mani dei re d'Inghilterra. Gucci ne ha reinventato l'utilizzo per le sue collezioni di quest'anno, applicandola su revers e bottoni dei capispalla, giacche di velluto e persino su camicie e pantaloni da smoking. Ferragamo la esalta nelle enormi borse da uomo nelle vetrine. E piace così tanto da aver portato sulla scena modaiola anche i brand motoristici: da Audi, che ha lanciato una capsule collection con PZero, a Ducati, ospite d'eccezione a Pitti immagine uomo ( vedi cover story ). Una cosa è certa: nessuno potrà farci la pelle. Non potrebbe essere altrimenti per un settore che in barba alla crisi fa segnare +5,9 nell'export, segnando dati positivi sotto tutti i punti di vista: dalle cartelle portadocumenti alle custodie per strumenti musicali, in rigoroso ordine di dimensione. Storia, design e capacità di innovare sono le armi in più dell'artigianalità del Belpaese che la Cina non riuscirà mai a eguagliare. I dati della World Trade Organization dicono che la tanto vituperata economia italiana è prima per competitività a livello mondiale addirittura in tre settori: nell'abbigliamento, nel tessile e nella pelletteria. A far da padrone ovviamente sono le borse da donne, ambasciatrici del gusto tricolore nel mondo. Gucci, Prada, Ferragamo, Fendi, Bottega Veneta: i grandi nomi capaci di far sognare qualunque ragazza o signora hanno totalizzato 1,4 miliardi di euro di vendite solo nei primi sei mesi del 2014 in attesa del consuntivo di fine anno. Si tratta di circa il 70% del mercato mondiale per una produzione realizzata nella quasi totalità nei distretti tricolori, dalla Toscana alle Marche, dal Veneto alla Campania: la pelletteria è una tradizione che unisce l'Italia. Se non è un monopolio, gli somiglia moltissimo. Perché riconoscere la pelle di qualità non è difficile, garantiscono i maestri: tatto, morbidezza e profumo sono segnali inequivocabili di un prodotto con una lunga storia alle spalle. MERCATO SCHIZOFRENICO «Le griffe segnano gran parte del saldo commerciale attivo, ma le piccole e medie imprese sono in sofferenza», denuncia Mauro Muzzolon, d.g. uscente Aimpes e del salone Mipel (appuntamento a febbraio per l'edizione 107). «Il nostro è un mercato schizofrenico: chi esporta riesce anche ad avere dei risultati apprezzabil, chi punta sul mercato interno è messo molto male. Ormai in Italia siamo sui valori di consumo di inizio anni Duemila». Il trend si riflette anche nell'andamento dei Paesi esteri che fanno da riferimento per interpretare l'andamento della domanda. Cresce la richiesta negli Stati Uniti, una piazza storicamente appannaggio dei marchi di lusso. Si avverte invece una contrazione in Giappone dove le nostre pmi avevano a lungo trovato uno sbocco per i propri prodotti. Ad acuire la crisi c'è la situazione russa, tra le tensioni geopolitiche con le relative sanzioni internazionali e la contemporanea svalutazione del rublo che ha frenato lo sviluppo di quello che stava diventando un mercato di riferimento per la pelle italiana. «Oggi i contoterzisti che producono per i colossi vanno molto bene perché quasi tutta la produzione di alta qualità è in Italia», spiega ancora Muzzolon guardando al mondo della produzione, «nel frattempo si impoverisce il mercato dei brand di seconda fascia che avrebbero bisogno di politiche aggressive per restare a galla ma non hanno i soldi per implementarle. E SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Mercato 11/01/2015 Business People - N.1 - gennaio 2015 Pag. 38 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato sono massacrati dalla contraffazione: su 20 milioni di borse vendute ogni anno, il mercato parallelo ne commercia 30 milioni. E questo è un rischio anche per le griffe: i loro centri stile vivono all'interno di tessuti dinamici e propositivi. Se muore il comparto, si perderà anche il significato stesso di made in Italy». Perché è proprio la filiera il segreto del successo tricolore. In Toscana, nella piccola area del distretto di Santa Croce sull'Arno (circa 330 mq per 90 mila abitanti), si trovano conciatori, pellettieri e produttori di metalleria. I rapporti sono tali che ognuno può creare il prodotto che vuole sfruttando anche le innovazioni di ciascuna fase del processo di produzione. OCCASIONE PERSA La difesa del "made in Italy" è la priorità assoluta anche per Assocalzaturifici che ha monitorato con attenzione il semestre europeo a guida italiana nella speranza che divenisse l'occasione per approvare finalmente il Regolamento europeo sulla sicurezza dei prodotti destinati ai consumatori e la vigilanza del mercato, ma anche l'ultimo Consiglio Competitività Ue si è rivelato un'occasione mancata da parte del governo che ha rimbalzato la palla ai lettoni. «Ci attendevamo molto. Il dossier sul Made In è stato più volte bloccato a causa dell'ostruzionismo di alcuni Paesi e non siamo stati in grado di superarlo con determinazione», denuncia il presidente Cleto Sagripanti, «quella del 4 dicembre era l'ultima occasione durante la presidenza europea dell'Italia per mettere a segno un provvedimento che va aldilà degli interessi nazionali». Anche perché la difesa e promozione del made in Italy stimolerebbe ulteriormente il fe1nomeno di back reshoring , cioè il rientro in patria di aziende delocalizzate ( vedi anche l'articolo a pag. 40 ), di cui proprio il mondo della calzatura è protagonista: sul totale delle rilocalizzazioni registrate nel mondo, il 19,3% riguarda aziende di abbigliamento e calzature, secondo lo studio Uni Club MoRe back reshoring. «Questo perché si tratta di eccellenze che richiedono filiera e capacità professionali e artigiane che è difficile traslocare», ricorda Sagripanti in vista del prossimo Micam (15-18 febbraio) che potrebbe vedere l'ufficializzazione del tripledip per il settore dall'inizio della crisi, «crediamo fortemente che il valore del made in Italy sia legato al territorio e alla sua tradizione tornare a produrre in Italia significa valorizzare tutta la rete del tessuto produttivo». Le richieste non mancano, dalla defiscalizzazione delle spese per i campionari al credito di filiera garantito fino agli incentivi per gli investimenti in ecommerce. La più importante, però, riguarda il lavoro. La proposta di Assocalzaturifici è quella dell'introduzione del "contratto di servizio", un percorso formativo on the job per permettere alle aziende di crearsi in casa gli artigiani specializzati che ormai paradossalmente sono una rarità in un settore di così lunga tradizione. «In Toscana e in Veneto si strappano i modellisti», concorda Muzzolon (Mipel). Quasi come gli ingegneri nella Silicon Valley, i pellettieri sono un tipo di personale altamente conteso anche se per ragioni storiche ben diverse. A lungo snobbata per la durata rilevante dell'apprendistato, oggi la forza lavoro è avanti con gli anni e rischia di non trovare sufficiente ricambio. Così Gucci, Prada e Confindustria Firenze collaborano con l'Alta scuola di pelletteria di Scandicci (Firenze), che offre corsi simili a un Mba per organizzazione e prezzi. Mentre da Testoni la formazione avviene in fabbrica per cinque anni. LOTTA GLOBALE Nel frattempo, oltre alla lotta locale per i migliori artigiani, si è aperta quella globale per le materie prime. Con l'Europa in ritirata, indiani, africani e turchi che sono arrivati a controllare oltre il 50% del grezzo, portando a un'impennata dei prezzi tra il 20% e il 40% solo nel periodo 2011-2013. «Solo l'Europa esporta ancora pelli, in molti altri Paesi sono in vigore misure protezionistiche sulle materie prime semilavorate», racconta Tommaso Lapi, della conceria GiElle-Emme di Ponte a Egola (Pisa) specializzata in cuoio per suola da scarpe, «l'instabilità delle monete e la lotta al consumo di carne, che ha svuotato le stalle favorendo le multinazionali, hanno fatto il resto. E se poi, com'è successo, il governo di Pechino impone più sobrietà alla classe media, ci toglie una grossa fetta di clienti». Così i grandi brand si sono attrezzati per non farsi mancare il materiale. Louis Vuitton ed Hermès hanno comprato allevamenti di coccodrilli in Australia, Prada si è aggiudicata una storica conceria francese di Limoges. Tod's fa da sé a Casette d'Ete (Fermo), meno di tremila anime nel quadrilatero marchigiano e 910 dipendenti con padri e figli che lavorano fianco a fianco. In Toscana ha investito molto Gucci che impiega 1.300 dipendenti nel fiorentino, ha un indotto da 45 mila persone nel territorio e da oltre due anni lavora per certificare la filiera. Il gruppo, di proprietà della francese Kering ma con la produzione al 100% made in Italy, negli anni ha acquisito quattro calzaturifici e due concerie. In una di queste, la Blutonic, è stato creato il primo 11/01/2015 Business People - N.1 - gennaio 2015 Pag. 38 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato metodo di conciatura metal free al mondo. «Per stare a galla non possiamo fare battaglie sul prezzo perché una scarpa deve mantenere estetica e comodità», conclude uno degli eredi della Figli di Guido Lapi, «nel resto del mondo le concerie sono grosse e isolate, noi invece facciamo sistema e siamo capaci di innovare in tempi rapidi. Abbiamo fondato tre anni fa il marchio "Cuoio di Toscana" per segnalare i prodotti realizzati con metodo tradizionale: unirci è l'unica strada per non dover lasciare l'Italia verso il Terzo mondo. All'estero l'essere italiano viene ancora premiato, l'importante è farsi riconoscere». © GettyImages (2), Trussardi (1), A. Testoni (1), Gi-Elle-Emme (1) LA TOP 11 DELLE ESPORTAZIONI VALORI IN EURO PERIODO GENNAIO-GIUGNO 2014 PAESI 2013 2014 VAR % % QUOTA 2014 SVIZZERA 484.779.351 515.528.124 6,34% 17,84% FRANCIA 348.038.527 383.272.000 10,12% 13,26% STATI UNITI 240.568.912 260.201.974 8,16% 9,00% HONG KONG 219.973.522 229.551.773 4,35% 7,94% GIAPPONE 207.797.940 196.403.553 -5,48% 6,80% REGNO UNITO 152.086.050 175.752.181 15,56% 6,08% GERMANIA 153.812.845 167.547.113 8,93% 5,80% REPUBBLICA DI COREA 152.690.250 154.989.009 1,51% 5,36% CINA 95.480.140 105.459.411 10,45% 3,65% SPAGNA 58.901.496 62.778.044 6,58% 2,17% FEDERAZIONE RUSSA 68.037.127 61.866.603 9,07% 2,14% VALORE EXPORT DATI GENNAIO-GIUGNO 2014 PRODOTTI VALORE IN MIGLIAIA DI EURO 2013 2014 VAR % CARTELLE SOTTOBRACCI E PORTADOCUMENTI 44.679.210 52.265.272 16,98 VALIGIE E ARTICOLI DA VIAGGIO 92.934.471 93.548.171 0,66 BORSE 1.330.292.636 1.433.793.653 7,78 PICCOLA PELLETTERIA 378.908.313 413.685.982 9,18 CINTURE 184.536.388 199.802.107 8,27 ALTRI LAVORI IN PELLE 61.781.275 77.859.419 26,02 TOTALE 2.093.132.293 2.270.954.604 8,50 Fonte: Aimpes/Mipel Veneto, Toscana, Firenze, Marche e Campania: la tradizione della pelletteria unisce la Penisola. E ogni distretto si segnala per la specializzazione in un settore, dall'abbigliamento al calzaturiero fino alle borse. Accanto alla storica produzione di borse da donna per le griffe più prestigiose, la qualità della concia e delle lavorazioni tricolori permette di adattare la pelle a ogni prodotto per ottenere capi di qualità imbattibile per i cinesi L'INDICE DELLE PELLI GREZZE ELABORATO DALLA CAMERA DI COMMERCIO DI MILANO E UNIONPELLI gen '12 feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic gen '13 feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic gen '14 feb mar apr mag Lotta al consumo di carne e politiche protezionistiche da parte dei Paesi emergenti hanno fatto schizzare negli ultimi anni il prezzo delle pelli grezze come si vede nel grafico, elaborato dall'Ufficio prezzi della Cciaa di Milano e Unionpelli: un problema per le pmi ma anche per le griffe che, per assicurarsi le materie prime migliori, hanno dovuto acquisire concerie storiche e allevamenti di animali pregiati Foto: ABBIGLIAMENTO, TESSILE E PELLETTERIA: IN QUESTI TRE SETTORI IL NOSTRO PAESE È PRIMO AL MONDO PER COMPETITIVÀ Foto: FILIERA E INDOTTO CONSENTONO ALLE GRANDI AZIENDE DI RISPONDERE CON RAPIDITÀ AI CAMBIAMENTI DELLE TENDENZE Foto: LA PELLETTERIA ESIGE UN LUNGO APPRENDISTATO CHE OGGI RENDE DIFFICILE IL RICAMBIO GENERAZIONALE NELLE AZIENDE 11/01/2015 Business People - N.1 - gennaio 2015 Pag. 40 (tiratura:60000) ORGANIZZAZIONE E FORMAZIONE: LE CHIAVI DEL SUCCESSO Intervista a Enrico Bracalente, fondatore di NeroGiardini Il lusso alla portata di tutti. Perché un bel prodotto di pelle italiano non deve essere per forza inarrivabile. Basta un po' di organizzazione e tanto coraggio, come insegna Enrico Bracalente. Bracalente, si può crescere anche puntando sull'Italia? Sì, ma ormai è d'obbligo internazionalizzare. Fino al 2013 oltre il 90% del fatturato lo facevamo sul mercato interno, l'ultima semestrale invece ci vede salire al 19% all'estero. Per noi esportare vuol dire andare in mercati simili al nostro per stile e cultura dove poter vendere le stesse collezioni senza dover aumentare i costi. La Germania, ad esempio, si è allineata al nostro gusto: lo avevamo capito guardando al successo dei nostri negozi altoatesini sul pubblico bavarese e austriaco. Esiste un'Unione europea dello stile? Monumenti, musei, territorio, spiagge, montagne, agroalimentare: la bellezza è in Europa e in particolare in Italia. E sono cose che i cinesi non possono copiare. Quindi, il segreto del vostro successo è stato puntare sul territorio? A fine anni '90 abbiamo deciso di non delocalizzare, ma di competere sul mercato globale producendo nella Penisola. Oggi quella scelta ci sta premiando, il made in Italy - che è il terzo marchio più citato al mondo dopo Coca-Cola e Visa - permette di dare al mercato un servizio che gli altri non possono fornire lavorando a 4 mila chilometri di distanza. Molti stanno tornando, soprattutto in America, e devono ricominciare. Noi invece abbiamo usato questi anni per strutturarci, migliorare l'organizzazione, aumentare gli standard qualitativi e fare economie di scala. Così oggi siamo un marchio leader in Italia e riconosciuto all'estero. Ora vogliamo arrivare al 50% di export, raddoppiare il fatturato delle calzature e portare a 100 milioni di euro quello dell'abbigliamento. Per questo replicheremo all'estero quello che abbiamo fatto in Italia con la comunicazione: abbiamo iniziato in Belgio e Spagna, il prossimo passo è la Russia. Insomma, nessuno potrà farvi la pelle... Nel settore calzaturiero siamo primi in Europa come distretto fermano-maceratese. Prada aprirà due stabilimenti, abbiamo Gucci e Tod's. Con una tradizione di oltre 50 anni, il nostro valore aggiunto è l'alta specializzazione. Ma per conservarla dobbiamo investire nella formazione perché negli ultimi 10-15 anni il settore ha sofferto la mancanza di giovani nelle aziende. Gli apprendisti erano emarginati nella società dei "dottori", ma è proprio il manifatturiero che dà lavoro ai professionisti. Così abbiamo avviato una collaborazione con l'istituto tecnico "Artigianelli" di Fermo per creare corsi di formazione in operatore per la calzatura: i primi 14 diplomati sono già stati assunti da noi e dalle aziende del nostro indotto. SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Mercato 11/01/2015 Business People - N.1 - gennaio 2015 Pag. 65 (tiratura:60000) Il TEMPO parla anche ITALIANO NON POTRÀ VANTARE LA FAMA DI SVIZZERA E SASSONIA, MA ANCHE LA PENISOLA HA I SUOI CAMPIONI DELL'OROLOGERIA MECCANICA E LA ESPORTA IN TUTTO IL MONDO a cura di Michele Mengoli Il meglio dell'orologeria italiana di qualità nasce in provincia: quella produttiva, delle aziende individuali e delle piccole e medie imprese, dove la qualità della vita è certificata periodicamente dalle classifiche dei giornali. È ovvio, in questo settore, soprattutto nel segmento dell'alto di gamma, nessuno può competere davvero con la Svizzera, almeno a livello generale, di filiera integrata. Tranne rarissime eccezioni. Come la Sassonia, in Germania, nel distretto che ruota intorno alla cittadina di Glashütte, per un livello alto e numeri comunque microscopici rispetto a quelli elvetici. Oppure il Giappone, su una fascia di prezzo medio-bassa ma con vendite importanti (parliamo sempre di orologeria meccanica), dove esistono colossi noti a tutti: vedi Seiko e Citizen, titolare della manifattura Miyota, tanto per fare un paio di nomi che propongono (anche) movimenti meccanici affidabili e precisi a prezzi concorrenziali. Fatta questa precisazione necessaria, l'Italia ha comunque un ruolo importante nell'orologeria che fa "tic tac". In un mondo sempre più spostato verso le tigri asiatiche sembra difficile anche solo ricordarlo, ma prima il fenomeno della lista d'attesa presso il concessionario di zona per allacciarsi al polso il celeberrimo sportivo in acciaio e, dopo, la riscoperta del "vintage" sono fenomeni che nascono proprio da noi negli anni '80 del secolo scorso e che abbiamo esportato ovunque. In Italia, tuttora, abbiamo una rete unica al mondo, tanto capillare quanto competente, di venditori autorizzati dei marchi più prestigiosi. Per non dimenticare che Panerai, una delle case che hanno fatto la storia del mercato contemporaneo, nasce a Firenze nel 1860 e resta di proprietà italiana fino al 1997, quando viene acquisita dal Vendôme Luxury Group - oggi Richemont - mantenendo comunque una identità molto italiana (nonostante la produzione odierna sia dislocata a Neuchâtel), come peraltro la direzione manageriale affidata all'italianissimo Angelo Bonati. E molti italiani sono protagonisti nella filiera svizzera: su tutti il geniale Giulio Papi, progettista di tanti capolavori di Audemars Piguet (e non solo). Poi ci sono gli orologi di questa rassegna. © assistantua/IStock/Thinkstock (1) DREAM TEAM TRICOLORE CI SONO NAZIONALI LEGGENDARIE CHE HANNO SEGNATO L'IMMAGINARIO COLLETTIVO, OLTREPASSANDO I CONFINI SPORTIVI. BASTI PENSARE AL BRASILE DI PELÉ O ALL'OLANDA DI CRUIJFF. OPPURE AL "DREAM TEAM" DEL BASKET USA CHE HA VINTO LE OLIMPIADI DEL 1992 SCHIERANDO UNA ROSA DI 12 MITI ASSOLUTI, CAPEGGIATI DAL TRIO LARRY BIRD, MAGIC JOHNSON E MICHAEL JORDAN. SEMPRE NEL '92 GLI USA - STAVOLTA NEL TENNIS - VINCONO LA DAVIS CON AGASSI, COURIER, MCENROE E SAMPRAS, TRA I PIÙ GRANDI DI SEMPRE. UN PARALLELO CON GLI ITALIANI PROTAGONISTI NELL'OROLOGERIA MECCANICA È POSSIBILE? SÌ. E LO DIMOSTRA QUESTO POKER D'ASSI: GERALD GENTA, DESIGNER DI ROYAL OAK E NAUTILUS; MICHEL PARMIGIANI, FONDATORE DELL'OMONIMA CASA; GIULIO PAPI, MAESTRO DEI MAESTRI; E DEMETRIO CABIDDU, "ANIMA" DI MONTBLANC MINERVA. POI CI SONO DECINE DI OTTIMI MANAGER E ADDETTI AI LAVORI. PER UN "DREAM TEAM" DAVVERO DI TUTTO RISPETTO. Ennebi Da Prato, Luciano Nincheri e Alessandro Bettarini, capisaldi di Officine Panerai (la cassa del Luminor è stata disegnata proprio da Bettarini), nel 2004 hanno creato Ennebi, che oggi conta una produzione annua di 500 orologi, quasi tutti venduti su prenotazione. La meccanica è svizzera e le casse sono realizzate in modo del tutto artigianale. Qui il Fondale GF (cassa in titanio grado 5 Ø 44 mm; 2.977 euro). www. ennebiwatch.com GaGà Milano Da Crema, nella bassa Padana, Ruben Tomella ha avuto l'intuizione di attaccare le anse a un orologio da tasca, svecchiando il quadrante, per un successo commerciale che ha portato GaGà Milano fino in Asia. Ecco la sua creatura più virtuosa: il Quirky Tourbillon in 20 esemplari, con movimento svizzero manuale scheletrato (cassa in titanio Ø 47 mm; prezzo su richiesta). www. gagamilano.com SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Orologi 11/01/2015 Business People - N.1 - gennaio 2015 Pag. 65 (tiratura:60000) SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/01/2015 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Giuliano Mazzuoli Da Tavarnelle Val di Pesa, niente meno che nelle zone del Chianti fiorentino, l'artigianodesigner Giuliano Mazzuoli ha saputo come nessun altro coniugare oggetti professionali all'orologeria di alta gamma prima con il manometro, poi con il contagiri e ora con il segnatempo denominato Trasmissione Meccanica. Qui in versione cronografo (cassa in acciaio Ø 46 mm; 5.800 euro). www. giulianomazzuoli.it Locman Dall'isola d'Elba, sulla baia di Marina di Campo, è dal 1986 che Locman, prima come contoterzista e poi con il proprio marchio, diventa un riferimento per l'orologeria italiana con movimenti al quarzo. Poi dal 2006, attraverso la fondazione della Scuola Italiana di Orologeria, arrivano anche i movimenti meccanici. In foto il Montecristo Cronografo Automatico (cassa in acciaio Ø 44 mm; 1.380 euro). www. locman.it TCM Da Gallarate, nel Basso Varesotto, TCM (che sta per Terra Cielo Mare) è stata fondata alla fine degli anni '90 da Emilio Fontana e Giorgio Lattuada, grandi professionisti del settore orologiero italiano. In questi anni TCM ha creato segnatempo legati alla storia del nostro Paese, come il Crono Sorci Verdi Mancino, che omaggia l'omonima squadriglia della Regia Aeronautica (cassa in acciaio Ø 44 mm; 2.980 euro). www.tcm.com Tonino Lamborghini Da Funo di Argelato, nel bolognese, a pochi chilometri dalla storica sede di Sant'Agata, dove vengono prodotte le tanto leggendarie quanto "spigolosissime" supersportive del Toro, dal 1981 il commendator Tonino Lamborghini ha messo in moto un vero e proprio "lifestyle experience brand". E il crono automatico 1947 ne è il perfetto esempio (cassa in acciaio Ø 42 mm; 3.200 euro). www.lamborghini.it
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