Volume degli atti 2013 parte I - Società Italiana di Diagnostica di
Transcript
Volume degli atti 2013 parte I - Società Italiana di Diagnostica di
con il patrocinio di: SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. VOLUME DEGLI ATTI Monreale (Palermo) 23 - 25 Ottobre 2013 - Genoardo Park Hotel XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Società Italiana di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Monreale (PA) Genoardo Park Hotel 23-25 Ottobre 2013 VOLUME DEGLI ATTI 1 A cura di Santo Caracappa, Rossella Lelli, Giorgia Montanari e il Comitato Scientifico XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Consiglio Direttivo S.I.D i.L.V. Alfredo Caprioli, Presidente Elena Bozzetta, Vice Presidente Paolo Cordioli, Segretario Antonio Fasanella, Tesoriere Monica Cagiola, Membro Giuseppe Arcangeli, Membro Sergio Rosati, Membro Gian Luca Autorino, Past President Antonio Battisti, Revisore dei Conti Fabrizio Vitale, Revisore dei Conti Aldo Marongiu, Revisore dei Conti Comitato Scientifico Rossella Colomba Lelli, Palermo Salvatore Dara, Palermo Vincenzo Ferrantelli, Palermo Maria Foti, Messina Annalisa Guercio, Palermo Anna Maria Fausta Marino, Catania Antonino Panebianco, Messina Alessandra Stancanelli, Caltanissetta Alessandra Torina, Palermo Gesualdo Vesco, Palermo Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V. Comitato Organizzatore Santo Caracappa, Palermo Giuseppina Chiarenza, Palermo Antonella Costa, Palermo Vittoria Currò, Palermo Guido Ruggero Loria, Palermo Stefano Reale, Palermo Antonino Salina, Palermo Maria Luisa Scatassa, Palermo Francesco Paolo Tronca, Palermo Giusy Alimena, Palermo SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma - Tel. 0521 290191 - Fax 0521 945334 e-mail: [email protected] www.sidilv.org - www.mvcongressi.com PROVIDER ECM Via G. Marinuzzi, 3 - 90129 Palermo - Tel. +39 091 6565471 Email: [email protected] 2 3 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Prefazione Dopo Trani e Sorrento, anche l’edizione 2013 del Congresso Nazionale, la quindicesima, si svolge in una regione del Mezzogiorno d’Italia: la Sicilia, e in particolare nella splendida cittadina di Monreale. Di questo dobbiamo ringraziare l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia e la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Messina, che hanno reso possibile l’organizzazione dell’evento. I nostri soci e ospiti potranno certamente godere delle bellezze naturali e dello straordinario patrimonio culturale ed enogastronomico di quest’area del nostro Paese. Ma anche di un programma scientifico di elevato livello, con esperti di levatura internazionale che hanno accolto l’invito a partecipare e tratteranno argomenti di grande rilevanza e attualità: il contributo della metagenomica alla diagnostica delle infezioni virali di interesse veterinario, lo sviluppo di farmaci biotecnologici, il contributo della microbiologia predittiva alla sicurezza alimentare, le problematiche diagnostiche legate alle morie di mammiferi marini, un evento che ha occupato le pagine dei giornali italiani nello scorso inverno. I contributi scientifici presentati al Congresso e pubblicati in questo volume hanno superato la soglia dei 200 (a Sorrento furono 192) e possiamo quindi prevedere un elevato numero di iscritti. I colleghi membri del Comitato Scientifico hanno dedicato grande attenzione alla valutazione dei lavori presentati e alla selezione di quelli da destinare alla presentazione orale, e per questo lavoro li ringrazio caldamente. Anche la partecipazione degli sponsor del settore, che presenteranno come sempre le novità della loro produzione e hanno organizzato interessanti simposi satellite, può essere considerata soddisfacente. Considerando la situazione economica particolarmente difficile del nostro Paese, i numeri del Congresso testimoniano ancora una volta l’interesse della comunità scientifica nei confronti della nostra Società. Nell’ultimo anno è continuato l’impegno del Consiglio Direttivo a perseguire la crescita culturale della Società incoraggiando l’attività scientifica dei giovani ricercatori: anche quest’anno saranno attribuiti riconoscimenti ai migliori lavori presentati ai nostri congressi e, soprattutto, saranno assegnate borse di studio per supportare brevi soggiorni di studio in laboratori esteri, volti a favorire il perfezionamento della formazione post-universitaria di giovani studiosi operanti nel campo della diagnostica di laboratorio veterinaria. Il XV Congresso vedrà anche l’ elezione del nuovo Consiglio Direttivo, che dovrà lavorare per mantenere il costante e progressivo trend di crescita di SIDiLV e dovrà affrontare due importanti impegni internazionali assunti dalla Società: l’organizzazione del III Congresso della Europen Association of Veterinary Laboratory Diagnosticians (EAVLD), che si terrà a Pisa il 12-15 Ottobre 2014, e del XVIII Congresso della World Association of Veterinary Laboratory Diagnosticians (WAVLD), che si terrà a Sorrento nel Giugno 2017. Mi auguro pertanto che i Soci partecipino numerosi alle elezioni e tengano conto del valore scientifico dei candidati e delle esperienze da loro maturate, anche in seno alla Società. A proposito dell’organizzazione dei congressi internazionali sopra menzionati, desidero esprimere un sincero ringraziamento all’amico Pietro Montanari, che ci incoraggiato a intraprendere questa avventura, e allo staff di M.V. Congressi, che ha collaborato con grande professionalità al successo della candidatura SIDiLV. Questo sarà anche l’ultimo Congresso del mio mandato di Presidente. Sono stati tre anni impegnativi ma densi di soddisfazioni, che hanno visto SIDiLV giocare un ruolo importante nel panorama della Medicina Veterinaria italiana. La Presidenza della Società è stata per me un arricchimento dal punto di vista professionale e umano e desidero ringraziare pubblicamente gli amici che hanno lavorato con me nel Consiglio Direttivo. Nell’augurare a tutti i convenuti un proficuo lavoro e una piacevole permanenza in Sicilia, rivolgo un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo XV Congresso: il Comitato Organizzativo, lo staff di M.V. Congressi, gli sponsor del settore e soprattutto la Direzione i colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, che hanno tenacemente voluto l’organizzazione del Congresso e che ci hanno permesso di tenerlo in una sede prestigiosa, nella cornice di una delle più belle cittadine italiane. 4 5 Alfredo Caprioli Presidente S.I.Di.L.V. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Il XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. si svolge con il patrocinio di: Università degli Studi di Palermo Università degli Studi di Messina OIE – World Organization for Animal Health Città di Palermo Assessorato Regionale delle Risorse Agricole ed Alimentari Il Comitato Organizzatore del XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. è grato ai seguenti Enti ed Aziende per il fattivo contributo alla realizzazione dell’evento: Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia COLDIRETTI CALATRASI CASTELLUCCI MIANO AGROLABO BIO-RAD LABORATORIES FOSS ITALIA ID-VET IDEXX LABORATORIES LIFE TECHNOLOGIES ITALIA MEDICAL SERVICE 2000 OXOID PALL ITALIA PRIONICS ITALIA QIAGEN REAL GENE 6 7 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INDICE LETTURE PLENARIE, COMUNICAZIONI ORALI 8 INQUINANTI INORGANICI E ORGANICI NEL MOLOSSO DI CESTONI (TADARIDA TENIOTIS) Cannavacciuolo A., Accurso D., Tomassini A., Isani G., Cappi F., Vitellino M., Menotta S. 29 PROFILI DI CONTAMINAZIONE DA IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA) NELLE MOZZARELLE DI BUFALA AFFUMICATE MEDIANTE DIFFERENTI TECNICHE DI LAVORAZIONE Marigliano L., Citro A., Marotta M., Seccia G., Serpe F., Di Nicola C., Esposito M. 31 STUDIO DI UN NUOVO METODO T-NOS PER LO SCREENING DI OGM E UGM IN FAST PCR REAL-TIME Pierboni E., Curcio L., Tovo G.R., Rondini C. 34 NUOVI PUNTI DI VISTA NEL CAMPO DELL’ ISTOLOGIA APPLICATA ALLA RICERCA DI TRATTAMENTI ILLECITI CON STEROIDI SESSUALI IN VITELLI DA CARNE Richelmi G.B., Pezzolato M., D’Angelo A., Bellino C., Ruta F., Meistro S., Perazzini A.Z., Caramelli M., Bozzetta E. 36 NEW VIRUSES IN VETERINARY MEDICINE DETECTED BY METAGENOMIC APPROACHES Granberg F. 38 RIASSORTIMENTO ED EVOLUZIONE FILOGENETICA DEI VIRUS INFLUENZALI SUINI H1N2: CONFRONTO TRA I CEPPI ITALIANI ED EUROPEI Moreno A., Gabanelli E., Sozzi E., Lelli D., Chiapponi C., Ciccozzi M., Gianguglielmo Z., Cordioli P. 39 RUOLO DELLA POLARIZZAZIONE DEI MACROFAGI DURANTE L’INFEZIONE DA SMALL RUMINANT LENTIVIRUS Bertolotti L., Crespo H., Juganaru M., Glaria I., De Andrés D., Amorena B., Reina R., Rosati S. 41 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI CAMPO DI PESTE EQUINA ISOLATI IN NAMIBIA TRA IL 2006 E IL 2008 Bortone G., Cosseddu G.M., Molini U., Scacchia M., Lelli R., Monaco F. 43 SORVEGLIANZA ENTOMOLOGICA DEL VIRUS WEST NILE IN EMILIA-ROMAGNA NEL 2013 Calzolari M., Bonilauri P., Defilippo F., Maioli G., Pinna M., Cordioli P., Lelli D., Bellini R., Natalini S., Angelini P., Dottori M. 45 SORVEGLIANZA PER NOROVIRUS IN ITALIA 2012-2013 Martella V., Medici M.C., Tummolo F., Calderaro A., De Grazia S., Terio V., Buonavoglia C., Giammanco G.M. 47 EFFICIENZA DI IXODES RICINUS NELLA TRASMISSIONE TRANSOVARICA DI FRANCISELLA TULARENSIS. NOTE PRELIMINARI Genchi M., Prati P., Manfredini A., Vicari N., Bragoni R., Sacchi L., Epis S., Fabbi M. 50 NUOVE VARIANTI DI BRONCHITE INFETTIVA NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI SICILIANI Antoci F., Tumino G., Guercio A., Coniglio A., Chiaracane G., Sallemi S.*, Terregino C., Purpari G. 52 9 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DIAGNOSI DI ENTERITI INFETTIVE DI ORIGINE VIRALE NEL CANE Purpari G., Mira F., Cannella V., Di Marco P., Buttaci C., Macaluso G., Guercio A. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 54 CARATTERIZZAZIONE GENETICA E FILOGENESI DI CRYPTOCOCCUS GATTII ISOLATO IN SARDEGNA DA CAPRE CON MENINGO-ENCEFALITE Maestrale C., Masia M., Pintus D., Lollai S., Contu C., Cabras P., D’Ascenzo V., Ligios C. 56 ANALISI DELLA VARIABILITA’ GENETICA DELLE API SICILIANE PER IL RECUPERO DELLE SOTTOSPECIE A RISCHIO Reale S., Cosenza M., Dall’Olio R., Costa C., Oliveri E., Zaffora G., Piazza A., Vitale F. 58 LEPTOSPIROSI IN ANIMALI SELVATICI PROVENIENTI DA DIFFERENTI HABITAT SARDI Piredda I., Palmas B., Noworol M., Canu M., Picardeau M., Falchi A., Pintore A., Denurra D., Ruiu A., Ponti M.N. 60 PREVALENZA DI LISTERIA MONOCYTOGENES NEGLI STABILIMENTI DI PRODUZIONE DI PRODOTTI A BASE DI LATTE: UN NUOVO APPROCCIO PER IL CONTROLLO AMBIENTALE D’Amico S., Daminelli P., Cosciani Cunico E., Todeschi S., Tilola M., Crotta M., Gradassi M. Andreoli G., Colmegna S., Vitali A., Losio M.N. 62 BIOCONTROLLO DI LISTERIA MONOCYTOGENES ATTRAVERSO L’ UTILIZZO DI BATTERIOFAGI P100 IN RICOTTA SALATA PRODOTTA IN SARDEGNA Terrosu G., Pirisi A., Melillo R., Mura E., Pes M., Rossi M.L., Fadda A. 64 DINAMICHE DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. E L.MONOCYTOGENES IN DUE SALUMI ITALIANI: SALAME TIPO CACCIATORE E SALAME TIPO FELINO Bellio A., Astegiano S., Adriano D., Bianchi D.M., Gallina S., Zuccon F., Civalleri N., Liuni F.F., Rovetto F., Mataragas M., Cocolin L., Decastelli L. 66 MODELLAZIONE MATEMATICA DELLE INTERAZIONI MICROBICHE IN UN ECOSISTEMA COMPLESSO Cosciani Cunico E., Daminelli P., Baranyi J., D’Amico S., Sfameni C., Dalzini E., Losio M.N., Varisco G. VALUTAZIONE DEI RISCHI-BENEFICI ASSOCIATI AL CONSUMO DI LATTE CRUDO VACCINO ATTRAVERSO L’APPROCCIO BRAFO Cibin V., Barrucci F., Losasso C., Cappa V., Ricci A. SVILUPPO DI FARMACI BIOTECNOLOGICI INNOVATIVI PER LE MALATTIE DEGENERATIVE Giacca M. 68 71 74 LISTERIA FLEISCHMANNII E LISTERIA ROCOURTIAE: CARATTERIZZAZIONE DEI PRIMI ISOLATI IN ITALIA Caruso M., Latorre L., Parisi A., Fraccalvieri R., Padalino I., Goffredo E., Santagada G. 76 ESCHERICHIA COLI ENTEROAGGREGATIVI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA: NUOVO PATOTIPO O EVENTO ACCIDENTALE? Grande L., Ranieri P., Michelacci V., Tozzoli R., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S. 79 NANOPARTICELLE DI ARGENTO E SALMONELLA: EFFICACIA ANTIBATTERICA E MECCANISMO DI RESISTENZA Losasso C., Belluco S., Cibin V., Cappa V., Zavagnin P., Longo A., Gallocchio F., Ricci A. 82 ATTIVITÀ CITOTOSSICA DEL PENTADECANO IN COLTURE DI LEISHMANIA Bruno F., Castelli G., Piazza M., Lo Verde V., Migliazzo A., Vitale F. 84 10 MICROBIAL CHALLENGE TESTS AND PREDICTIVE MODELLING SOFTWARE FOR EVALUATING AND IMPROVING FOOD SAFETY - A CASE STUDY WITH LISTERIA MONOCYTOGENES AND READY-TO-EAT FOOD Mejlholm O., Dalgaard P. 86 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI IN UN CASEIFICIO AZIENDALE NEL BIENNIO 2011/2012 Macori G., Bellio A., Bianchi D.M., Gallina S., Adriano D., Zuccon F., Gramaglia M., Monfardini S., Fabbri M., Ghia C.A., Cazzaniga G.F., Riina M.V., Acutis P.L., Decastelli L. 88 CONFRONTO TRA FAGI VEICOLANTI LA VEROCITOTOSSINA IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI ENTEROAGGREGATIVI: EVOLUZIONE CONVERGENTE DI UN NUOVO PATOTIPO Michelacci V., Grande L., Ranieri P., Ashton P., Jenkins C., Tozzoli R., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S. 91 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI VIRUS HAV ISOLATO DA ALIMENTI E UOMO NEL CORSO DI UN FOCOLAIO EPIDEMICO DI EPATITE A CORRELATA AL CONSUMO DI FRUTTI DI BOSCO IN ITALIA Pavoni E. 93 EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI BACILLUS ANTHRACIS IN ALBANIA Peculi A., Marino L., Giangrossi L., Boci J., Affuso A., Sabia C., Fasanella A. 95 CARATTERIZZAZIONE ANTIGENICA DELLA GLICOPROTEINA E DI BUBALINE HERPESVIRUS 1 E SVILUPPO DI UN TEST PER LA DIFFERENZIAZIONE SIEROLOGICA DELLE INFEZIONI DA ALPHAHERPESVIRUS NEL BUFALO MEDITERRANEO Nogarol C., De Carlo E., Masoero L., Bertolotti L., Caruso C., Profiti M., Martucciello A., Galiero G., Cordioli P., Nardelli S., Ingravalle F., Rosati S. 97 VALIDAZIONE DI 16S-RDNA-PCR-DGGE PER LA DIAGNOSI DI MICOPLASMOSI IN CAMPO VETERINARIO Rodio S., Baldasso E., Fincato A., Qualtieri K., Moronato M.L., Catania S. 99 SVILUPPO DI UN TEST SIEROLOGICO INDIRETTO SU LATTE DI MASSA PER LA SORVEGLIANZA SANITARIA DI ALLEVAMENTI BOVINI INDENNI DA IBR Bertolotti L., Nogarol C., Profiti M., Ariello D., Varetto L., Rosati S. 102 MARINE MAMMAL DIAGNOSIS Gulland F. 104 UNUSUAL MORTALITY EVENTS: DILEMMAS WITH EVENTO DI MORTALITA’ ANOMALA DI CETACEI LUNGO LE COSTE TIRRENICHE Pautasso A., Mazzariol S., Terracciano G., Scholl F., Cardeti G., Fichi G., De Carlo E., Di Nocera F., Lucifora G., Caracappa S., Guercio A., Puleio R., Pintore A., Denurra D., Mignone W., Goria M., Podestà M., Pavan G., Di Guardo G., Casalone C., Franco A. 105 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA E GENOTIPICA DI ISOLATI DI PHOTOBACTERIUM DAMSELAE SUBSP. DAMSELAE DA STENELLE STRIATE (STENELLA COERULEOALBA) SPIAGGIATE SULLE COSTE DEL TIRRENO NEL 2013: RISULTATI PRELIMINARI Caprioli A., Franco A., Alba P., Cocumelli C., Terracciano G., Ianzano A., Lorenzetti S., Dottarelli S., Di Matteo P., Donati V., Sorbara L., Buccella C., Onorati R., Di Nocera F., Fichi G., Cerci T., Eleni C., Battisti A. 107 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DEI CETACEI SPIAGGIATI NELLE SICILIANE Reale S., Vitale F., Cosenza M., Currò V., Pitti R., Lupo T., Caracappa S. 110 11 COSTE XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 POSTERS SENSIBILITA’ AD ANTIMICOTICI IN LIEVITI ISOLATI DA SPECIE ANIMALI UMBRE: DATI PRELIMINARI Agnetti F., Crotti S., Maresca C., Scoccia E., Tentellini M., Circolo A., Marini C., Pitzurra L. STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI ED ENTEROTOSSINA STAFILOCOCCICA IN FORMAGGI A LATTE OVINO PASTORIZZATO DELLA REGIONE LAZIO Amiti S., Marozzi S., Di Giamberardino F., Dell’Aira E., Colonna S., Migliore G., Tommassetti F., Bossù T., Lanni L. RESAZURIN MICROTITRE ASSAY PER LO SCREENING RAPIDO DELL’ANTIBIOTICO RESISTENZA NEL MYCOBACTERIUM BOVIS Armas F., Boniotti M.B., Pacciarini M.L., Mazzone P., Di Marco V., Marianelli C. COMPORTAMENTO DI L.MONOCYTOGENES E S.AUREUS IN UN FORMAGGIO PORZIONATO E CONFEZIONATO SOTTOVUOTO Astegiano S., Bellio A., Traversa A., Adriano D., Bianchi D.M., Gallina S., Gramaglia M., Zuccon F., Corvonato M., Mantoan P., Radium P., Vitale N., Decastelli L. STUDIO PRELIMINARE SULLA PREVALENZA DI TOXOPLASMA GONDII IN SUINI MACELLATI IN PIEMONTE Barbero R., Dezzutto D., Vitale N., Ferroglio E., Gennero M.S., Bergagna S. ICAA, MECA E LEUCOCIDINA PANTON-VALENTINE (PVL) IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E DA PRODOTTI LATTIERO CASEARI IN PUGLIA Basanisi M.G., Pedale R., Nobili G., Cafiero M.A., Chiocco D., La Salandra G. CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DI DIFFERENTI GENOTIPI DI PAENIBACILLUS LARVAE Bassi S., Pizzuto A. ISOLAMENTO DI P.LARVAE IN API IMPORTATE DALL’ARGENTINA: CONFRONTO DELLA SENSIBILITA’ AGLI ANTIBIOTICI DEI CEPPI ISOLATI CON QUELLA DI CEPPI ITALIANI Bassi S., Milito M., Giacomelli A., Carra E., Cordaro G., Cersini A., Formato G., Pizzuto A., Amoruso R., Franco A. VIEW 2.0: EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI VISUALIZZAZIONE DEGLI ESITI ON-LINE DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J.B., Faccenda L., Mingolla A. DESK: REINGEGNERIZZAZIONE DEI SISTEMI DI SUPPORTO E DI CONTROLLO NELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J.B., Faccenda L., Mingolla A. 115 117 119 122 125 127 130 132 134 136 STUDIO DELL’INTERAZIONE TRA NANOPARTICELLE METALLICHE E CEPPI DI SALMONELLA ENTERICA ATTRAVERSO LA MICROSCOPIA ELETTRONICA A TRASMISSIONE Berton V., Montesi F., Losasso C., Belluco S., Cibin V., Terregino C., Ricci A. 138 CONTENUTO DELLE VARIE FRAZIONI PROTEICHE NEL SIERO DI PECORE DI DIFFERENTI ETA’ Bonelli P., Serra S.P., Re R., Pilo G., Pais L., Fresi S., Nicolussi P. 141 INDAGINI SULLA PRESENZA DI ESCHERICHIA COLI VEROCITOTOSSICI (VTEC) IN ALLEVAMENTI DI BOVINI DA LATTE DEL LODIGIANO Borella L., Bianchini V., Lentini L., Sabatucci G., Bertasi B., Finazzi G., Luini M. 143 12 IMPATTO DELLE VERNICI ANTI-FOULING SULL’AMBIENTE ACQUATICO: LIVELLI DI RAME, ZINCO E STAGNO NEL LAGO D’ORTA E NEL LAGO MAGGIORE Brizio P., Benedetto A., Scanzio T., Arsieni P., Abete M.C., Prearo M. 146 LA SOIA: UN INDICATORE AMBIENTALE DI CONTAMINAZIONE DA METALLI Brizio P., Abete M.C., Pellegrino M., Ferrero M., Curcio A., Squadrone S. 148 KIT ELISA PRONTO-USO PER DIAGNOSI E SIEROTIPIZZAZIONE DI VIRUS AFTOSI Brocchi E., Dho G., Grazioli S., Ferris N. 150 RILEVAZIONE DI GENI CODIFICANTI LE TOSSINE DIARROICHE ED EMETICA IN CEPPI DI BACILLUS CEREUS ISOLATI DA ALIMENTI Buscemi M.D., Frasnelli M., Cammi G., Bardasi L., Bertasi B., Dalzini E., Andreoli G., Bragoni R., Fabbi M., Vicari N. 152 RIPRODUCIBILITA’ DEL METODO ISTOLOGICO PER LA VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI DEGLI ANIMALI DOMESTICI: COLORAZIONE CON EMATOSSILINA EOSINA Campanella C., Crescio M.I., Baioni E., Vito G., Dellepiane M., Ratto A., Ferrari A. 154 INTERFERENZA DELLE MODALITA’ DI CONSERVAZIONE DEL LATTE SULLE PERFORMANCES DEI TEST DIAGNOSTICI PER BRUCELLOSI E LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA. Canale G., Barbero R., Bergagna S., Contrucci M., Dezzutto D., Gennero M.S. 156 L’ATTIVITA’ DI PROFICIENCY TEST-PROVIDER DEL LABORATORIO DI RIFERIMENTO NAZIONALE ED EUROPEO PER ESCHERICHIA COLI DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S., Maugliani A., Galati F. 159 RODITORI SELVATICI CATTURATI NEL TERRITORIO PALERMITANO: POSSIBILI RESERVOIR DI LEISHMANIA? Caracappa S., Torina A., Disclafani R., Nucatolo G., Piazza M., Migliazzo A., Galuppo L., Nifosì D., Castelli G., Bruno F. 162 VALUTAZIONI SULLA QUALITÀ IGIENICO- SANITARIA DI SESAMO IMPORTATO DA PAESI EXTRACOMUNITARI Cardamone C., D’oca M.C., Oliveri G., Nicastro L., Arculeo P., Di Noto A.M. 164 L’IMPATTO MEDIATICO DELLA PARVOVIROSI DEL CANE: INGIUSTIFICATO ALLARME PER UN CEPPO MUTATO DI CPV-2 A ROMA NEL 2012 Cardeti G., Barcaioli R., Sittinieri S., Dante G., Cittadini M., Desario C., Decaro N., Amaddeo D. 166 RICERCA DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE E GENI CODIFICANTI DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E FORMAGGI DELLA REGIONE LAZIO Carfora V., Marri N., Sagrafoli D., Boselli C., Giacinti G., Patriarca D., Pietrini P., Giangolini G., Amatiste S. 169 ISOLAMENTO DI PSEUDORABIES VIRUS (PRV) GENOTIPO II IN VOLPE ROSSA ITALIANA (VULPES VULPES) Caruso C.C., Dondo A., Cerutti F., Masoero L., Rosamilia A., D’Errico V., Grattarola C., Acutis P.L., Peletto S. 172 EPATITE E (HEV): INDAGINE SIEROLOGICA, VIROLOGICA E FILOGENETICA SULLA POPOLAZIONE DI CINGHIALI PIEMONTESI Caruso C.C., Modesto P., Peletto S., Bertolini S., Soncin A., De Marco L., Buholzer P., Boin C. Acutis P.L., Masoero L. 175 13 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ESTRATTI POLISACCARIDI DA ALGHE DEL MEDITERRANEO: VALUTAZIONI DELL’ATTIVITà CITOTOSSICA IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM Castelli G., Bruno F., Migliazzo A., Vitale F., Piazza M., Armeli Minicante S., Michelet S., Sfriso A., Morabito M., Genovese G. 177 EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI PARVOVIRUS DEI CARNIVORI IN PUGLIA E BASILICATA Catanzariti R., Decaro N., Padalino I., Parisi A., Desario C., Narcisi D., Palazzo L., Nardella La Porta A., Cavaliere N., Buonavoglia C. 179 MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI METALLI PESANTI (PIOMBO, CADMIO E MERCURIO)NEI PRODOTTI ITTICI COMMERCIALIZZATI IN PUGLIA NEL 2012 Chiaravalle A.E., Iammarino M., Miedico O., Pompa C., Tarallo M. 181 SVILUPPO DI UN TEST DIAGNOSTICO IN REAL TIME PCR PER LA DIAGNOSI DI MICOPLASMI AVIARI PATOGENI Ciprì V., Puleio R., Macaluso G., Messina F., Sallemi S., Tumino G., Antoci F., Messina A., Tamburello A., Loria G.R. 183 APPLICAZIONE DELLA PCR REAL TIME PER LA RILEVAZIONE DI ANISAKIDAE IN PRODOTTI ITTICI: PRIMI RISULTATI Costa A., Sciortino S., Migliazzo A., Giangrosso G., Ferrantelli V. 207 VALUTAZIONE COMPARATIVA FRA TRE METODICHE DI LABORATORIO PER L’IDENTIFICAZIONE DI LIEVITI DI ORIGINE ANIMALE Crotti S., Agnetti F., Maresca C., Scoccia E., D’Angelo G., Palmieri M., Morganti G., Papa P., Pitzurra L. 209 A FAST REAL-TIME PCR ASSAY FOR THE DETECTION OF CHLAMYDIA SPECIES FROM ANIMAL SAMPLES Curcio L., Sebastiani C., Ciullo M., Biagetti M.* 211 RILIEVI PARASSITOLOGICI IN VOLPI IN SICILIA Currò V., Antoci F., Disclafani R., Galluzzo P., Randazzo V., Lo Biundo G., Barreca S., Galuppo L., Caracappa S. 213 MIELOPATIA DEGENERATIVA NEI CANI Cutarelli A.*, De Roma A., Cecere B., Mandato D., Polli M., Riva J., Guarino A., Galiero G., Corrado F. 215 217 VALIDAZIONE DEL METODO SURETECT REAL-TIME PCR DI THERMO SCIENTIFIC PER LA DETERMINAZIONE DI SALMONELLA IN CAMPIONI ALIMENTARI E AMBIENTALI Cloke J., Zodo T.F., Clark D., Radcliff R., Leon-velarde C., Larson N., Dave K. 185 STUDIO DELL’ESPRESSIONE DEL BIOFILM, DELLA CELLULOSA E DELLE FIMBRIE CURLI IN CEPPI DI SALMONELLA SPP ISOLATI DA CINGHIALE Cocchi M., Deotto S., Ustulin M., Di Giusto T., Di Sopra G., Conedera G., Vio D. 187 SERRATOSPICULOSI (SERRATOSPICULUM TENDO) NEI RAPACI DIURNI DEL SUD ITALIA CON LA PRIMA SEGNALAZIONE D’INFEZIONE IN UN ASTORE (ACCIPITER GENTILIS) D’Alessio N., Di Prisco F., Troisi S., Degli Uberti B., Fusco G., D’Amore M., Guarino A., Veneziano V., Santoro M. 189 MASTITE DA PROTOTHECA ZOPFII GENOTIPO 2 NEL BUFALO (BUBALUS BUBALIS) IN UN ALLEVAMENTO CAMPANO De Carlo E., Muto M., Alfano D., Lucibelli M.G., Gallo A., Guarino A., Martucciello A. 219 RHDV2 IN ALLEVAMENTI CUNICOLI PIEMONTESI De Somma D., Lavazza A., Caruso C.C., Zoppi S., Cerrina P., Cavadini P., Giorgi I., Masoero L., Capucci L., Dondo A. 221 CANINE PNEUMOVIRUS IN CANI CON MALATTIA RESPIRATORIA Decaro N., Pinto P., Mari V., Elia G., Larocca V., Camero M., Terio V., Losurdo M., Martella V., Buonavoglia C. 224 REPORT DI UN CASO DI MENINGIOMA IN UNA TIGRE DELLO ZOO DI NAPOLI Degli Uberti B., Laricchiuta P., Campolo M., D’Amore M., Mizzoni V., Rosato G. 226 INDAGINI TOSSICOLOGICHE VETERINARIE (PARTE I): CASI DI AVVELENAMENTO IN LIGURIA Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Ercolini C., Ferrari A., Gili M. 228 INDAGINI TOSSICOLOGICHE VETERINARIE (PARTE II): PRINCIPALI SOSTANZE IDENTIFICATE NEI CASI DI AVVELENAMENTO IN LIGURIA Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Ercolini C., Ferrari A., Gili M. 230 SCHMALLENBERG: MODALITA’ DI GESTIONE E DESCRIZIONE DELLA CASISTICA IN REGIONE PIEMONTE D’Errico V., Grattarola C., Giorgi I., Perosino M., Zoppi S., Monaco F., Dondo A. 232 INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. IN ALLEVAMENTI BOVINI DELLA REGIONE VALLE D’AOSTA Dezzutto D., Bergagna S., Gennero M.S., Rosa R., Vitale N., Orusa R., Barbero R., Vevey M. Ruffier M., Barbero R., Domenis L. 234 UTILIZZO DEL SISTEMA INFORMATIVO APPA-RE ALL’INTERNO DEI LABORATORI DELL’IZS&AM “G.CAPORALE” Colangeli P., Ricci L., Cioci D. ASSOCIAZIONE TRA IL POLIMORFISMO 140T DEL GENE MHC DI CLASSE IIB E LA RESISTENZA ALLA LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA Colussi S., Prearo M., Maniaci M.G., Scanzio T., Peletto S., Bertuzzi S., Favaro L., Modesto P., Ru G., Desiato R., Acutis P.L. 191 MONITORAGGIO DEL VIRUS DELL’EPATITE A NEI PRODOTTI VEGETALI Consoli M., Galuppini E., Ferrari M., Malanga M., Meletti F., Pavoni E., Petteni A., Losio M.N. 193 VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA SU PRODOTTI TIPICI DELLA PASTICCERIA SICILIANA Corpina G.G., Ventura V.P., Cadili V., Pillera A., Bonaventura T., Spartà D., Marino A.M.F. GENETIC REASONS OF MEDITERRANEAN BUFFALOES INFERTILITY Corrado F., De Roma A., Cutarelli A., Mandato D., Cecere B., Coletta A., Cerino P., Guarino A., Galiero G. 195 197 CARATTERIZZAZIONE DI UN CEPPO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO-RESISTENTE (MRSA) E CATALASI NEGATIVO ISOLATO DA UN CANE Corrente M., Ventrella G., Parisi A., Desario C., Narcisi D., Buonavoglia D. 199 INDAGINE SULLA PRESENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS E DI MRSA NEL LATTE DI MASSA DI ALLEVAMENTI CAPRINI DELLA LOMBARDIA Cortimiglia C., Franco A., Battisti A., Colombo L., Stradiotto K., Vezzoli F., Luini M. 201 LARVE DI ANISAKIDAE ISOLATE DA PRODOTTI ITTICI D’IMPORTAZIONE: IDENTIFICAZIONE MORFOLOGICA E MOLECOLARE Costa A., Palumbo P., Graci S., Cammilleri G., Fischetti R., Marconi P., Ferrantelli V. 204 14 15 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PRODUZIONE E CARATTERIZZAZIONE DI ANTICORPI MONOCLONALI ANTIIMMUNOGLOBULINE EQUINE PER LA DIAGNOSI DELLE MALATTIE INFETTIVE DEGLI EQUIDI Di Febo T., Luciani M., Ciarelli A., Bortone G., Di Pancrazio C., Rodomomti D., Teodori L., Tittarelli M. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 236 ESPRESSIONE DELL’ENZIMA 5-LOX NEL CERVELLO DI STENELLE STRIATE (STENELLA COERULEOALBA) SPIAGGIATE E CON O SENZA (MENINGO)-ENCEFALITI DI NATURA INFETTIVA Di Guardo G., Di Francesco A., Falconi A., Baffoni M., Di Francesco C.E., Marsilio F., Mazzariol S., Centelleghe C., Casalone C., Mignone W., Cocumelli C., Eleni C., Petrella A., Troiano P., Marsili L., Maccarrone M., Giacominelli-stuffler R. 239 PROFILI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI ISOLATI DA MASTITE OVINA IN ALLEVAMENTI SICILIANI: RISULTATI PRELIMINARI Emanuele M.C., Agnello S., Bosco R., Piraino C., Vicari D., Scatassa M.L. 240 DETERMINAZIONE DI IDROCARBURI POLICICLICI AROMATICI (IPA) IN MOLLUSCHI (MYTILUS GALLOPROVINCIALIS) E PESCI (TRACHURUS TRACHURUS) PRELEVATI NELL’AREA MARINA DI TARANTO Esposito M., Urbani V., Marigliano L., Seccia G., Casamassima F., Gesualdo G., Mambelli P., Nardelli V. APPLICAZIONE DEL TRIAGE IN UN ISTITUTO ZOOPROFILATTICO – ANALISI, ENTRATA IN PRODUZIONE E RISULTATI PRELIMINARI Faccenda L., Pecorelli I., Berretta C., Biasini G., Capuccella M., Costarelli S., Olivieri E., Saccoccini R., Tonazzini S., Cenci T., Mingolla A. CASE REPORT: TUBERCOLOSI DA MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. HOMINISSUIS IN UN CANE DI RAZZA BASSET HOUND Ferraro G., Sandri C., Masserdotti C., Varello K., Zoppi S., Goria M., Perosino M., Dondo A. STENURUS GLOBICEPHALAE BAYLIS ET DAUBNEY, 1925 (NEMATODA: PSEUDALIIDAE) E CRASSICAUDA GRAMPICOLA (NEMATODA: SPIRURIDA) IN DUE GRAMPUS GRISEUS (G. CUVIER, 1812) SPIAGGIATI SULLA COSTA TOSCANA Fichi G., Manfredi M.T., Gazzonis A.L., Mazzariol S., Centellegre C., Carratori S., Di Guardo G., Fischetti R., Terracciano G. RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI EFFETTUATI SU ALIMENTI DI ORIGINE VEGETALE PRESSO L’IZS PLV NEL PERIODO 2009-2012 Galleggiante Crisafulli A., Vencia W., Decastelli L., Abete M.C., Brusa F., Pistone G., Ferrari A., Ercolini C., Caramelli M., Chiavacci L., Barbaro A. SALMONELLA SPP. E LISTERIA MONOCYTOGENES IN PRODOTTI A BASE DI CARNE: RISULTATI DEI CONTROLLI EFFETTUATI IN PIEMONTE NEL BIENNIO 2011-2012 Galleggiante Crisafulli A., Bianchi D.M., Decastelli L., Monfardini S., Brusa F., Pistone G., Chiavacci L., Barbaro A. RICERCA DI RESIDUI DI AVERMECTINE E MILBEMICINE IN TESSUTI E LATTE: CONFRONTO TRA DIVERSE FASI STAZIONARIE PER LA PURIFICAZIONE DEL CAMPIONE Gamba V., Abete M.C., Borra A., Massafra S., Giomi A., Stella P., Dusi G., Gili M. RILEVAMENTO DI LARVE DI TOXOCARA SPP. IN MUSCOLI DI CORVIDI SOTTOPOSTI A DIGESTIONE ARTIFICIALE PER LA RICERCA DI TRICHINELLA SPP. Garbarino C., Silva R., Merialdi G., Merenda M., Bolognesi E., Licata E., Genchi C., Marucci G., Pozio E. 16 242 244 246 249 252 254 256 259 DIAGNOSI DI LABORATORIO DELLA LEPTOSPIROSI IN FAUNA DOMESTICA E SELVATICA DEL TERRITORIO PALERMITANO Gargano V., Vesco G., Sciacca C., Arnone M., Lo Giudice V., Villari S. 261 SVILUPPO DI MARCATORI MITOCONDRIALI PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE DALLE MATRICI DI ESCHE AVVELENATE: UN CONTRIBUTO ALLE INDAGINI FORENSI NEI REATI CONTRO GLI ANIMALI Garofalo L., Fanelli R., Fico R., Lorenzini R. 264 UNA SCELTA DA CONDIVIDERE: PIANO DI MONITORAGGIO REGIONALE DELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA Garofalo F., Pesce A., De Marco G., Romano M., Salzano C., De Felice A., Guarino A. 266 BRUCELLA CETI: BIOTIPIZZAZIONE E GENOTIPIZZAZIONE TRAMITE MLVA-16 MLST E SNPS WGS Garofolo G., Di Giannatale E., Ancora M., Marcacci M., Orsini M., Persiani T., Marotta F., Zilli K., Cammà C. 268 SPIROCERCA LUPI: UN PARASSITA RARO O UNA PARASSITOSI OCCULTA? DESCRIZIONE DI UN CASO DI ANEURISMA AORTICO NELLA VOLPE Gavaudan S., Moscatelli F., Graziosi T., Morandi F., Tomasi V., Fioranelli F., Angelico G. 270 IDENTIFICAZIONE DEL PROFILO ENTEROTOSSICO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO SENSIBILI (MSSA) E STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO RESISTENTI (MRSA) ISOLATI DA LATTE BOVINO Giacinti G., Sagrafoli D., Giangolini G., Rosa G., Tammaro A., Bovi E., Marri N., Carfora V., Franco A., Amatiste S. 271 VALUTAZIONE DELL’INCIDENZA DI AVVELENAMENTI DA CUMARINICI NELLA REGIONE SICILIA MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA AD ALTA PRESSIONE (HPLC/DAD) Giangrosso G., Cicero A., Migliazzo A., Vella A., Ferrantelli V. 273 DETECTION OF COCCIDIOSTATS AT CARRY-OVER IN FEED: RESULTS OF A SURVEY PERFORMED IN THE PERIOD 2011-2012 IN PIEDMONT REGION Gili M., Stella P., Ostorero F., Abete M.C. 275 MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS (MAP): VALUTAZIONI PRELIMINARI SU PROTOCOLLO DIAGNOSTICO POST MORTEM IN BOVINI MACELLATI DI ALLEVAMENTI INFETTI Giorgi I., Goria M., Romano A., Garrone A., Bozzetta E., Varello K., Dondo A. 277 DIAGNOSI DI LABORATORIO DI TOXOPLASMOSI SU UN ASINO Giunta R.P., Salvaggio A., Alfonzetti T., Aparo A., Bauso R., Conti R., Marino A.M.F. 279 EFFETTI DELL’IRRAGGIAMENTO CON RAGGI X DI BASSA ENERGIA SULLA SOPRAVVIVENZA DI SALMONELLA SPP. Goffredo E., Azzarito L., Mangiacotti M., Altieri P., Chiaravalle E. 281 SORVEGLIANZA PER EMOPLASMI FELINI IN SUD ITALIA 2007-2011 Greco G., Ventrella G., Lorusso E., Decaro N., Martella V., Valentini L., Buonavoglia C. 284 VALUTAZIONE DELL’INTERFERENZA DELLA SINDROME ENTEROPATICA SULLA QUALITA’ DELLE CARCASSE SUINE AL MACELLO Grindatto A., Careddu M.E., Burzio G., Tron S., Gambino F., Apicella M., Varello K., Meistro S., Monnier M., Goria M., Decastelli L., Ru G. 286 ORDINANZA MINISTERIALE 18 DICEMBRE 2008: ATTIVITA’ DI SORVEGLIANZA DELLA SEZIONE DI CUNEO DELL’IZS DEL PIEMONTE LIGURIA E VALLE D’AOSTA Grindatto A., Pistone G., Rutigliano B., Lotti R., Caracciolo F., Fioravanti F., Leporati M., Capra P., Gili M., Biolatti P.G. 288 17 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALIDAZIONE DEL PROCESSO PRODUTTIVO DI UN TRADIZIONALE. CONTROLLO DI SALMONELLA Grisenti M.S., Frustoli M.A., Passera E., Dondi S., Barbuti S. SALAME XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ITALIANO 290 STUDIO PRELIMINARE PER L’UTILIZZO DELL’IMMUBLOT COME METODO DI CONFERMA PER LA RICERCA DI ALLERGENI Guglielmetti C., Mazza M., Buonincontro G., Fragassi S., Vencia W., Acutis P.L., Decastelli L. 291 INDAGINE PRELIMINARE SULLA CONTAMINAZIONE DA RADIONUCLIDI BETA EMITTENTI (90SR) NEI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE Iammarino M., Bortone N., Mangiacotti M., Chiaravalle A.E. 295 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI OCRATOSSINA A LUNGO LA FILIERA PRODUTTIVA DELLA LIQUIRIZIA (GLYCYRRHIZA GLABRA) Imbimbo S., Arace O., Castellano V., Soprano V., Esposito M. MYCOBACTERIUM BOVIS NELL’UOMO NELL’ITALIA NORD OCCIDENTALE: CONFRONTO TRA I CEPPI NELL’INDAGINE EPIDEMIOLOGICA Irico L., Ferraro G., D’Errico V., Mondo A., Turchi A., Goria M., Zoppi S., Chiavacci L., Dondo A. PROGETTO PILOTA DI SORVEGLIANZA SULLA MORTALITA’ DEGLI ALVEARI: RISULTATI PRELIMINARI IN PIEMONTE Irico L., D’Errico V., Caruso C., Vitale N., Radaelli M.C., Romano A., Mogliotti P., Masoero L., Goria M., Chiavacci L., Dondo A., Possidente R. 298 300 303 INDAGINI NEUROPATOLOGICHE IN CETACEI SPIAGGIATI LUNGO LE COSTE LIGURI (2007-2012) Iulini B., Giorda F., Pautasso A., Pintore M.D., Tittarelli C., Romano A., Goria M., Serracca L., Grattarola C., Dondo A., Di Guardo G., Mignone W., Casalone C. 306 CARATTERIZZAZIONE PROTEOMICA DI BRUCELLA SUIS PER L’IDENTIFICAZIONE DI TARGET ANTIGENICI PROTEICI DA IMPIEGARE AD USO DIAGNOSTICO Krasteva I., Travaglini D., Smith D., Inglis N., Tittarelli M., Sacchini F. 308 RILIEVI ANATOMOPATOLOGICI IN CASO DI AVVELENAMENTO DOLOSO NELLE PROVINCE DI FIRENZE, PRATO E PISTOIA Lombardo A., Ambrogi C., Corrias F., Ragona G., Fico R., Brajon G. 310 A SURVEY FOR YESSOTOXIN IN SHELLFISH FARMED AND MARKETED IN THE SARDINIA REGION IN 2013 Lorenzoni G., Arras I., Sanna G., Mudadu A., Muzzigoni C., Tedde G., Santucciu C., Nicolussi P., Marongiu E., Virgilio S. INDAGINE SIEROLOGICA SU FEBBRE Q NELL’UOMO IN CATEGORIE A RISCHIO Lucchese L., Raoult D., Marangon S., Mion M., Giurisato I., Barberio A., Lonardi U., Natale A. SVILUPPO DI UNA ELETTROFORESI SU GEL IN GRADIENTE DENATURANTE (DGGE) PER L’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE DI MYCOPLASMI Macaluso G., Puleio R., Ciprì V., Tamburello A., Loria G.R. GENETIC ASSESSMENT THROUGHOUT MT-DNA SEQUENCING FROM WILD POPULATIONS OF SICILIAN ROCK PARTRIDGE AS PRELIMINARY STEP FOR SPECIES CONSERVATION Macaluso G., Puleio R., Reale S., Lo Valvo M., Manno C., Loria G.R., Vitale F. PIANO DI SELEZIONE GENETICA PER LA RESISTENZA ALLE ENCEFALOPATIE SPONGIFORMI TRASMISSIBILI DEGLI OVINI NELLA REGIONE SICILIA: EFFICACE STRUMENTO DI CONTROLLO Macrì D., Bivona M., Buttitta O., Galante A., Randazzo V., Calderone S., Vitale F. 18 312 314 316 318 320 VALIDAZIONE DI UN METODO DI PROVA IN REAL TIME PCR: DETERMINAZIONE DEI POLIMORFISMI A SINGOLO NUCLEOTIDE (SNPS) NEI CODONI 136, 154 E 171, MARCATORI DELLA SUSCETTIBILITÀ ALLA SCRAPIE NELLA SPECIE OVINA Macrì D., Bivona M., Buttitta O., Lo Verde V., Acutis P.L., Chetta M., Muzzupappa C., Reale S.,Vitale F. 322 SENSIBILITA’ AGLI ANTIMICROBICI DI BRACHYSPIRA HYODYSENTERIAE IN ITALIA DAL 2005 AL 2013 Magistrali C.F., Cucco L., Scoccia E., Tartaglia M., Luppi A., Bonilauri P., Biasi G., Merialdi G., Maresca C. 324 CLOSTRIDIUM DIFFICILE NELLA FILIERA DEL VITELLO A CARNE BIANCA Magistrali C.F., Cucco L., Felici A., Dettori A., Filippini G., Broccatelli S., Bano L., Pezzotti G. 326 CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI DI CLOSTRIDIUM DIFFICILE NELLA FILIERA DEL VITELLO A CARNE BIANCA Magistrali C.F., Cucco L., Maresca C., Tartaglia M., Filippini G., Broccatelli S., Drigo I., Bano L., Pezzotti G. 329 SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA DEI MICRORGANISMI PATOGENI DI INTERESSE ALIMENTARE Malanga M., Bertasi B., Pavoni E., Losio M.N. 331 ZANZARE ESOTICHE (AEDES) NEI PORTI PUGLIESI: RISULTATI PRELIMINARI DI UNO STUDIO PILOTA Mancini G., Chiocco D., Galante D., Palmisano L., Raele D., Nardella La Porta C., Schino G., Cafiero M.A. 333 BATTERI LATTICI CON ATTIVITA’ ANTIBATTERICA ISOLATI DA FORMAGGI TRADIZIONALI SICILIANI Mancuso I., Carrozzo A., Ducato B., Todaro M., Miraglia V., Macaluso G., Fiorenza G., Scatassa M.L. 336 STUDIO RETROSPETTIVO SULLA PRESENZA DI CLAMIDIE ATIPICHE IN CAMPIONI DI SPECIE AVIARIE Manfredini A., Bellotti M., Labalestra I., Petasecca D., Mandola M.L., Rizzo F., Prati P., Fabbi M., Magnino S., Vicari N. 339 EFFETTI DELLA RIMOZIONE DEL SIERO FETALE BOVINO NELLA COLTIVAZIONE DI IBRIDOMI: UTILIZZO DI TERRENI SERUM-FREE Manna L., Armillotta G., Di Febo T., Luciani M., Ciarelli A., Di Ventura M. 341 IL VIRUS DELLA BLUETONGUE RIAPPARE IN SARDEGNA: CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E FILOGENESI DEI CEPPI COINVOLTI Marcacci M., Marini V., Spedicato M., Carmine I., Carvelli A., Puggioni G., Lorusso A., Savini G. 344 MONITORAGGIO DELLE CROSS CONTAMINAZIONI DA PAT NEI LABORATORI CHE ESEGUONO LE ANALISI UFFICIALI NEI MANGIMI Marchis D., Amato G., Benedetto A., Brusa B., Abete M.C. 347 SORVEGLIANZA MORTALITA’ API 2012/2013: RISULTATI UMBRI Maresca C., Dettori A., Scoccia E., Valentini A., Ghittino C., Macellari P. 349 VALUTAZIONE DELL’EFFICIENZA DEL KIT BOVIGAM®2 Marineo S., Mossi P., Crucitti D., Vargetto D., Giarratana R., Caracappa S. 351 NESTED- PCR PER LA DIAGNOSI DI TOXOPLASMA GONDII Marino A.M.F., Alfonzetti T., Puglisi M.L., Aparo A., Vitale F., Reale S. 353 19 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI DI UN TEST RFLP SU CEPPI VACCINALI DI CANINE DISTEMPER VIRUS IN ITALIA Mira F., Purpari G., Gucciardi F., Di Bella S., Guercio A. 380 357 PRIMO CASO DI FEBBRE CATARRALE MALIGNA IN UN CERVO PUDU (PUDU PUDA) OSPITATO IN UN GIARDINO ZOOLOGICO Modesto P., Biolatti C., Grattarola C., Varello K., Iulini B., Mandola M.L., Dondo A., Goria M., Rocca F., Acutis P.L. 382 359 INDAGINE CONOSCITIVA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNI AGENTI ZOONOTICI ALIMENTARI NEI CINGHIALI DELLA SARDEGNA CENTRO-ORIENTALE Mulas M., Goddi L., Carusillo F., Lisai A., Bassu M., Sanna S., Fancello C., Pirino T., Cabras P.A., Bandino E. 385 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI SALMONELLE ISOLATE IN ALIMENTI E MANGIMI: INDAGINI PRELIMINARI Napoli C., Cardamone C., Costa A., Piraino C., Vitale M. 387 INFEZIONE DA BOVINE PAPILLOMAVIRUS: DIAGNOSI MOLECOLARE E CARATTERIZZAZIONE DEGLI STIPITI IN CAMPIONI CUTANEI Nappi R., Ferraro G., Miceli I., Meistro S., Callipo M.R., Crescio M.I., Varello K., Goria M. 390 L’IMPORTANZA DI UN CAMPIONAMENTO STATISTICAMENTE SIGNIFICATIVO PER L’IDENTIFICAZIONE DELLA SPECIE BATTERICA DA UTILIZZARE NELL’ALLESTIMENTO DI UN VACCINO STABULOGENO PER LA PROFILASSI DI MASTITI OVINE E CAPRINE Marogna G., Barbato A., Fiori A., Carboni G.A., Schianchi G. 355 EDEMA MALIGNO IN BUFALE (BUBALUS BUBALIS) AL POST-PARTUM Martucciello A., Marianelli C., Grassi C., Armas F., Alfano D., Guarino A., De Carlo E.* INTERVENTO MIRATO DI EDUCAZIONE SANITARIA IN UN’AREA A RISCHIO PER RECRUDESCENZA DELLA TUBERCOLOSI BOVINA Masala S., Ponti M.N., Marongiu E., Pintore A., Canu M., Lucariello S., Rolesu S., *Coccollone A.M. IDENTIFICAZIONE MEDIANTE TECNICHE DI PROTEOMICA DI UNA PROTEINA PLASMATICA QUALE POSSIBILE MARKER DI TRATTAMENTO ILLECITO NEI VITELLI DA CARNE Mazza M., Guglielmetti C., Pagano M., Nodari S., Carrella S., Sciuto S., Pezzolato M., Richelmi G.B., Baioni E., Acutis P.L., Bozzetta E. 360 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA SUINA SARDA STAGIONATA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST DI PROCESSO : NOTA 1 - STUDIO PRELIMINARE DI DEFINIZIONE STANDARD DI PRODOTTO E DI PROCESSO Mele P., Marongiu E., Piras G., Delogu A., Noli A.C., Coppa G., Virgilio S. 362 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA SUINA SARDA STAGIONATA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST DI PROCESSO NOTA 2 FASE SPERIMENTALE Mele P., Marongiu E., Piras G., Porqueddu G., Terrosu G., Coppa G., Virgilio S. 365 PERFORMANCE DI CAMPO DEL NUOVO TEST RAPIDO TSE “PRIONICS® - CHECK PRIOSTRIP SR” Meloni D., Varello K., Loprevite D., Cavarretta M.C., Manzardo E., Nocilla L., Longo D., Bozzetta E. LO SCREENING CON METODICHE IMMUNOCHIMICHE PER LA RICERCA DI TRATTAMENTO ILLECITO CON CORTICOSTEROIDI: UNA STATEGIA AFFIDABILE? Meloni D., Olivo F., Meistro S., Nocilla L., Manzardo E., Pitardi D., Pezzolato M., Bozzetta E. GENOTIPIZZAZIONE DI STIPITI DI SALMONELLA TYPHIMURIUM E SALMONELLA ENTERICA 4,[5],12:I:- IN CINQUE EPISODI DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE Merla C.M., Andreoli G., Carra E., Corpus F., Morganti M., D’Incau M., Dalla Valle C., Marone P., Colmegna S., Fabbi M. DIAGNOSI DI LABORATORIO DI PRRS: VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE ANALITICHE DELLA MATRICE SALIVA NEI SUINI IN FASE DI MAGRONAGGIO Miceli I., Vitale N., Marro S., Monnier M., Zoppi S., Dondo A., Caruso C., Masoero L., Goria M., Faccenda M. DISEGNO E VALUTAZIONE DI UN METODO IN REAL-TIME PCR PER LA RICERCA DEI GENI CODIFICANTI LE VEROCITOTOSSINE DI TIPO 1 E 2 Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S. MOLECULAR AND MELISSOPALYNOLOGICAL ANALYSIS TO CHARACTERIZE HONEYS PRODUCED WITHIN THE MAJELLA NATURAL PROTECTED AREAS (CENTRAL ITALY) Milito M., Cersini A., Ciaschetti G., Giacomelli A., Di Santo M., Andrisano T., Puccica S., Antognetti V., Pietropaoli M., Pizzariello M., Marchesi U., Formato G., Amaddeo D. 20 367 369 372 374 376 378 TSE A CUNEO: UNA STORIA LUNGA 12 ANNI Nardella M.C., Marrone L., Marongiu L., Grindatto A., Careddu M.E., Biolatti P.G., Pistone G. ESCHERICHIA COLI VTEC IN LATTE CRUDO OVI-CAPRINO PRODOTTO NEL PROMONTORIO DEL GARGANO (PUGLIA) Nobili G., Zippone V., Basanisi M.G., Normanno G., Nardella M.C., La Salandra G. 392 394 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. NELLA SALSICCIA STAGIONATA UMBRA MEDIANTE MICROBIAL CHALLENGE TEST Ortenzi R., Valiani A., Scuota S., Roila R., Haouet M.N., Pezzotti G. 396 INTOSSICAZIONE DA METOLCARB IN CAPRETTE TIBETANE (CAPRA HIRCUS DOMESTICA) E LAMA (LAMA GLAMA) DI UNO ZOO PARCO Palazzo L., Quaranta V., Brigante B., Nesta S., Vignola M., Haouet M.N., Muscarella M. 399 GLI AVVELENAMENTI ACUTI NEGLI ANIMALI: I VANTAGGI DELL’APPLICAZIONE DELLE LINEE GUIDA IN PIEMONTE Perosino M., Grattarola C., Abete M.C., Dondo A., Giorgi I., Zoppi S. 401 PRESENZA DI PROTOTHECA SPP. NEGLI ALLEVAMENTI BUFALINI DELLA PROVINCIA DI CASERTA. DATI PRELIMINARI Pesce A., Garofalo F., Coppa P., Salzano C., Cioffi B., Mosca E., Guarino A. 403 SIEROPREVALENZA DI COXIELLA BURNETII IN AZIENDE CON TIPOLOGIA DI ALLEVAMENTO MISTO BUFALO E BOVINO DELLA PROVINCIA DI CASERTA. DATI PRELIMINARI Pesce A., Napoletano M., Coppa P., Grimaldi P., De Santo A., Tamburro A., Bove V., Guarino A. 405 BUFALO E BOVINO: ANTIBIOTICORESISTENZE A CONFRONTO Pesce A., Garofalo F., Coppa P., Salzano C., Cioffi B., Guarino A. 407 CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA DIAGNOSI DI PESTE SUINA AFRICANA IN SARDEGNA Petrini S., Bandino E., Liciardi M., Oggiano A., Ruiu A., Iscaro C., Giammarioli M., Feliziani F., De Mia G.M. 409 21 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI STIPITI DI CIRCOVIRUS SUINO TIPO 2 (PCV2) ISOLATI NEL CENTRO ITALIA Petrini S., Bazzucchi M., Casciari C., Pierini I., Feliziani F., Giammarioli M., De Mia G.M. CONSIDERAZIONI SULLA GESTIONE E PREVALENZA DELLE MALATTIE DENUNCIABILI DELLE API IN ITALIA NEGLI ANNI 2006-2010 Pietropaoli M., Maroni Ponti A., Ruocco L., Mutinelli F., Lavazza A., Bassi S., Sacchi C., Sala G., Nassuato C., Scholl F., Formato G. PRESENZA DI BORRELIA BURGDORFERI S.L., RICKETTSIA SPP. E ANAPLASMA PHAGOCYTOPHILUM IN PIEMONTE Pintore M.D., Ceballos L., Iulini B., Pautasso A., Giorda F., Tomassone L., Bardelli M., Scala S., Rizzo F., Mandola M.L., Peletto S., Mannelli A., Casalone C. L. INTERROGANS SEROVAR BRATISLAVA: PRIMO ISOLAMENTO IN SARDEGNA DA UN FETO BOVINO Ponti M.N., Palmas B., Noworol M., Canu M., Picardeau M., Carboni G.A., Pedditzi A., Pintore P., Piredda I. VALIDATION OF A NEW COMMERICAL ELISA FOR THE DETECTION OF ANTI-IBR GE ANTIBODIES Pourquier P., Comtet L. BIANCHETTI E ROSSETTI: UN NUOVO APPROCCIO DIAGNOSTICO AD UN ANTICO PROBLEMA Prearo M., Riina M.V., Maurella C., Scanzio T., Arsieni P., Orlandi M., Iacona F., Ru G., Acutis P.L., Ercolini C. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 411 EPISODIO DI TOSSICITÀ DA PALITOSSINA CAUSATO DA UN CORALLO (ZOANTIDAE, PALYTHOA MUTUKI / SP. MUTAKI / PROTOPALYTHOA SP.) IN UN ACQUARIO MARINO Ricci E., Fichi G., Ricci M., Fatighenti P., Fischetti R., Susini F. 439 413 PRESENZA DI LARVE DI ANISAKIDAE IN TRIGLIE DI FANGO (MULLUS BARBATUS) PESCATE NEL MAR LIGURE Righetti M., Bona M.C., Sabbadini M., Scanzio T., Favaro L., Arsieni P., Serracca L., Ercolini C. Ru G., Fioravanti M.L., Prearo M. 442 RISULTATI DELL’ATTIVITA’ DI MONITORAGGIO SANITARIO ESEGUITA SU CAMOSCI (RUPICAPRA RUPICAPRA RUPICAPRA) CACCIATI IN VALLE D’AOSTA NELLA STAGIONE VENATORIA 2012-2013 Robetto S., Orusa R., Notarnicola R., Spedicato R., Marchisio F., Botti V., Guidetti C., Ruffier M., Domenis L. 444 418 CARATTERIZZAZIONE BIOMOLECOLARE DI M. AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS TRAMITE MINI E MICROSATELLITE: RISULTATI PRELIMINARI IN PIEMONTE Romano A., Giorgi I., Ricchi M., Arrigoni N., Dondo A., Goria M. 447 420 DIVERSITÀ GENETICA DEL VIRUS DELLA DIARREA VIRALE DEL BOVINO IN ITALIA: IDENTIFICAZIONE DI UN NUOVO GENOTIPO VIRALE Rossi E., Ceglie L., Cunico G., Giammarioli M., Mion M., Rampazzo E., Torresi C., Nardelli S., De Mia G.M. 449 RISULTATO PRELIMINARE DEL MONITORAGGIO DELLA PARATUBERCOLOSI IN VALLE D’AOSTA PERIODO GENNAIO-MAGGIO 2013 Russo A., Guidetti C., De Nicolò D., Vitale N., Chiavacci L., Trentin C., Ragionieri M., Orusa R. 451 RISULTATI DEL PIANO DI ERADICAZIONE REGIONALE DELLA RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA IN VALLE D’AOSTA NEL PERIODO GENNAIO-MAGGIO 2013 Russo A., Guidetti C., De Nicolò D., Vitale N., Chiavacci L., Trentin C., Ragionieri M., Orusa R. 452 SISTEMI DIAGNOSTICI POINT OF CARE PER L’IDENTIFICAZIONE RAPIDA DI AGENTI INFETTIVI DEGLI ANIMALI DA COMPAGNIA Scagliarini A., Delledonne M., Battilani M., Francino O., Sanchez A., Arben M., Trentin B., Piquemal D., Temporin S. 454 APPROCCIO METODOLOGICO NELLA CLASSIFICAZIONE DELLE CERNIE: COME RISOLVERE LE CRITICITA’ Scanzio T., Riina M.V., Righetti M., Arsieni P., Colussi S., Acutis P.L., Prearo M. 456 UTILIZZO DEL LATTODINAMOGRAFO PER LA VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ COAGULANTE DI CAGLI IN PASTA ARTIGIANALI Scatassa M.L., Ducato B., Carrozzo A., Fiorenza G., Macaluso G., Miraglia V., Todaro M., Settanni L., Mancuso I. 458 RICERCA DI IMPURITÀ SOLIDE NEGLI ALIMENTI MEDIANTE ESAME ISPETTIVO E METODO FILTH TEST: REPORT 2009-2013 Schiavo M.R., Puleio R., Torina A., Zimmardi A., Manno C., Vodret B., Pagani M. 460 STUDIO DELLA POPOLAZIONE MICROBICA RESPONSABILE DELLA CONTAMINAZIONE UTERINA NEL PERIODO PUERPERALE IN BOVINE DA LATTE: DATI PRELIMINARI Sebastianelli M., Ciullo M., Sebastiani C., Papa P., Crotti S., Fortunati R., Gobbi M., Pezzotti G., Filippini G. 462 416 421 CASE REPORT: ELETTROCHEMIOTERAPIA DI UN CARCINOMA SQUAMOCELLULARE IN UNA CAVALLA. Puleio R., Tamburello A., Caracausi C., Russo Tiesi S., Mancuso R., Loria G.R. 423 INTERAZIONE TRA MINERALI ARGILLOSI E AFLATOSSINA M1 NEL LATTE Quaranta V., Muscarella M., Palazzo L., De Giacomo A., Carraro A., Giannossi G., Medici L., Tateo F., Summa V. 425 SORVEGLIANZA SANITARIA DELLA FAUNA SELVATICA IN PIEMONTE: OBIETTIVI, CRITERI E MODALITÀ OPERATIVE DEL NUOVO PIANO REGIONALE. Radaelli M.C., Maurella C., Delvento P., Rosso F., Dondo A. 427 MONITORAGGIO DELLO STATO SANITARIO DELL’AVIFAUNA MIGRATORIA IN PIEMONTE: CRITERI DI CAMPIONAMENTO E RISULTATI PRELIMINARI. Radaelli M.C., Rizzo F., Giammarino M., Scala S., Previto G., Irico L., Travaglio S., Dondo A., Zoppi S., Vicari N., Mandola M.L., Chiavacci L. 429 RESIDUI DI PESTICIDI IN CAMPIONI DI CERA IN APICOLTURA Ragona G., Fortini M., Lombardo A., Corrias F., Formato G., Brajon G. 431 RICERCA DI ALLERGENI NEGLI ALIMENTI: ALCUNE CRITICITÀ LEGATE ALLE NOCCIOLE Razzuoli E., Migone L., Michelotti L., Delfino S., Gennari M., Rubini D., Vito G., Tiso M., Ratto A., Rosatto S., Campanella C., Porcario C., Ferrari A. 433 DIAGNOSI DI TUBERCOLOSI ANIMALE MEDIANTE REAL TIME PCR Reale S., Fileccia V., Emanuele M., Chifari F.P., Pitti R., Caracappa G., Lupo T. 435 AMPLIFICAZIONE DI UN PANNELLO STANDARDIZZATO DI 15 LOCI MICROSATELLITI NELLA POPOLAZIONE OVINA SICILIANA Reale S., Cosenza M., Lanteri G., Foti M., Caracappa S., Crucitti D., Currò V. 437 22 23 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE A DIOSSINE E PCB ATTRAVERSO LA DETERMINAZIONE DEI LIVELLI EMATICI IN SOGGETTI RESIDENTI IN CAMPANIA Serpe F.P., Messina G., Diletti G., Ceci R., Monda M., Baldi L., Scortichini G., Esposito M. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 464 CINETICA DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN CORSO DI INFEZIONE SPERIMENTALE CON IL VIRUS DELLA PESTE SUINA CLASSICA Severi G., Forti K., Rizzo G., Curina G., Bazzucchi M., Iscaro C., De Mia G.M., Cagiola M. 466 SIEROCONVERSIONE PER SCHMALLENBERG VIRUS IN OVINI-CAPRINI IN PROVINCIA DI BRESCIA Sozzi E., Sozzi E., Moreno A.*, Lelli D., Lavazza A., Canelli E., Zanoni M.G., Alborali L., Cordioli P. 469 IDENTIFICAZIONE E SIEROTIPIZZAZIONE DI VIRUS AFTOSI MEDIANTE TECNOLOGIA LUMINEX Spagnoli E., Grazioli S., Dho G., Brocchi E. 471 INDAGINE CONOSCITIVA SULLA DIFFUSIONE DELLA PARATUBERCOLOSI IN ALLEVAMENTI BOVINI DEL CENTRO SICILIA – DATI PRELIMINARI Stancanelli A., Giunta R., Pilato V., Agnello S., Sabella S. INDAGINE SU ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI SHIGA-TOSSINA (STEC) IN ALLEVAMENTI BOVINI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA CHE PRODUCONO LATTE CRUDO Targhetta C., Pierasco A., Ustulin M., Vio D., Caprioli A.1, Conedera G. CARATTERIZZAZIONE DI STREPTOCOCCUS SUIS NELLA POPOLAZIONE SUINA DELLA SARDEGNA MERIDIONALE; VALUTAZIONE DEI DETERMINANTI DI PATOGENICITÀ ED EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE Tedde M.T., Pilo C., Orrù G., Liciardi M. IDENTIFICAZIONE DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE (PAT) DI SUINO MEDIANTE PCR REAL TIME. DATI PRELIMINARI. Tilocca M.G., Caneglias E., Oggiano M.A., Serratrice G., Marongiu E., Vodret B. CAVALLO: UTILIZZO DEI METODI MOLECOLARI EMERGENZA NELL’IDENTIFICAZIONE DI SPECIE Tilola M., De Libato E., Acutis P.L., Desantis P., Bertasi B., Peletto S., Lovari S., Modesto P., Petteni A., De Medici D. 474 476 478 494 PRESENZA DI LEISHMANIA IN VULPES VULPES MEDIANTE RT-PCR Vitale F., Reale S., Antoci F., Bruno F., Castelli G., Calderone S., Licitra F., Caracappa G., Nifosi D., Migliazzo A. 496 ST18 UN NUOVO STILBENE CHE INDUCE APOPTOSI IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM Vitale F., Tolomeo M., Colomba C., Titone L., Roberti M., Galante A., Migliazzo A., Bruno F., Castelli G. 498 VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA ESPOSIZIONE AD AGENTI CANCEROGENI O MUTAGENI Vitelli B.R., Piazzoli L., Saezza M.E., Cenci F., Severini S. 500 ANALISI DI PARAMETRI STRESS OSSIDATIVO-CORRELATI PER LA VALUTAZIONE DELLO STATO DI BENESSERE IN CANI INDOOR Vito G., Bassi A.M., Ratto A., Razzuoli E., Campanella C., Ferrari A. 502 ANDAMENTO E GESTIONE DELL’ALLERTA AFLATOSSINA M1 NEL LATTE IN LOMBARDIA NEL 2012-2013 Zanardi G., Bolzoni G., Delle Donne G., Biancardi A., Piro R., Bertocchi L. 504 STUDIO SULLA PRESENZA DI AGENTI INFETTIVI NELLE ZECCHE IN UMBRIA: RISULTATI PRELIMINARI Zema J., Maresca C., Caporali A., Iscaro C., Marchi S., Costarelli S., Principato M., Capelli G. 506 INDICE DEGLI AUTORI 509 481 483 VECTOR BORNE PATHOGENS AND ECTOPARASITES IN SICILIAN FOXES Torina A., Blanda V., Scimeca S., La Russa F., Randazzo K., Blanda M., Randazzo V., Caracappa S. 485 LINFOADENITE DA RHODOCOCCUS SPP.: ASPETTI ISTOPATOLOGICI E MESSA A PUNTO DI UNA METODICA IMMMUNOISTOCHIMICA PER LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON TUBERCOLOSI Varello K., Meistro S., Mascarino D., Zoppi S., Richelmi G., Perosino M., Pezzolato M., Dondo A., Bozzetta E. 488 VALUTAZIONE DELL’APOPTOSI DEL TIMO QUALE BIOMARCATORE INDIRETTO DI TRATTAMENTO ILLECITO CON CORTICOSTEROIDI NEI BOVINI DA CARNE Vascellari M., Marchioro W., Zanardello C., Gagliazzo L., Mutinelli F. 490 RISULTATI DI UNA INDAGINE SIEROLOGICA SULLA NEOSPOROSI IN ASINI DEL SUD ITALIA Veneziano V., Mariani U., Fusco G., Di Prisco F., D’Alessio N., Guarino A., Santoro M., Piantedosi D., Sedlak K., Machacova T., Bartova E. 492 24 ANALISI PRELIMINARI PER LA TRACCIABILITA’ GENETICA E LA CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI VOLPI SICILIANE Vitale F., Cosenza M., Reale S., Lupo T., Marineo S., Blanda V., Caracappa S. 25 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Letture plenarie, comunicazioni orali 26 27 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INQUINANTI INORGANICI E ORGANICI NEL MOLOSSO DI CESTONI (TADARIDA TENIOTIS) 1 1 Cannavacciuolo A., 1 Accurso D., 3 Tomassini A., 2 Isani G., 1 Cappi F., 1 Vitellino M., 1 Menotta S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Chimico degli Alimenti, Bologna 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Bologna 3 Lega Italiana Protezione Uccelli – LIPU di Roma, Centro di Recupero Fauna Selvatica, Roma Key words: Tadarida teniotis, environmental pollutants, PCDD/F, PCB-DL, PCB-NDL, PFAS SUMMARY European populations of bats are gradually declining due to environmental pollution (4). This was a preliminary study aimed at correlating the depopulation and the presence of environmental pollutants in a urban population of Tadarida teniotis. The tissues analyzed were liver, kidney, bone and the whole carcass. The contaminants determined were essential and non essential trace elements, dioxins, PCB-DL and NDL and PFAS. The high concentrations of Pb, dioxin and PCB suggest a correlation between acute environmental exposure and the depopulation of the urban colony of T. teniotis. casualità per ciascuno dei tre anni. Sui tessuti campionati sono state eseguite le determinazioni delle concentrazioni di elementi chimici essenziali e non essenziali. Tra gli esemplari prelevati nel 2011 ne sono stati scelti casualmente 60 (30 maschi e 30 femmine) successivamente suddivisi in 6 pool (3 pool di maschi e 3 pool di femmine). Su ciascun pool formato da 10 carcasse in toto, opportunamente omogeneizzate e Iiofilizzate, sono state effettuate le determinazioni quantitative di elementi chimici essenziali e non essenziali, PCCD/F, PCBDL, PCB-NDL e PFAS. Il metodo per la determinazione degli elementi essenziali e non essenziali ha previsto l’utilizzo di uno spettrometro di massa a plasma accoppiato induttivamente (ICP/MS). La determinazione dei 17 congeneri 2,3,7,8 sostituiti di PCCD/F è stata effettuata secondo il metodo EPA 1613/B (1994) mentre la determinazione di 12 congeneri di PCB-DL e di 6 congeneri di PCB-NDL è stata effettuata secondo il metodo EPA 1668/B (2008). È stato utilizzato un gascromatografo interfacciato ad uno spettrometro di massa ad alta risoluzione (HRCGHRMS). I campioni dei 6 pool preventivamente liofilizzati sono stati inoltre sottoposti alla determinazione di alcune PFAS mediante cromatografia liquida con rilevatore di massa a triplo quadrupolo (LC-MS/MS). INTRODUZIONE I livelli di contaminanti ambientali nei tessuti della fauna selvatica sono comunemente utilizzati nelle indagini eco-tossicologiche degli ambienti rurali e urbani. Il pipistrello è considerato un eccellente bio-indicatore perché vive a lungo, assume in una notte di caccia tra il 40% e il 100% della propria massa corporea (5) e spesso coabita con l’uomo in habitat urbani e agricoli (1) esponendosi ai potenziali contaminanti (2) legati ai vari ambienti. Questo studio si propone di esaminare alcune delle probabili cause del depopolamento di una colonia di chirotteri della specie Tadarida teniotis o Molosso di Cestoni in relazione ai ritrovamenti fatti dal Centro Recupero Fauna Selvatica – LIPU di Roma dal 2005 ad oggi di un numeroso gruppo di esemplari giovani di questa specie caduti prima dell’involo (luglio-agosto). Questi pipistrelli sono animali piuttosto stanziali ma il cui areale di caccia può raggiungere la distanza di 50 chilometri. La vita media è stimata attorno ai 20 anni. È una specie antropofila, con una dieta costituita essenzialmente da lepidotteri e ditteri. Nello studio sono state determinate le concentrazioni dei principali contaminanti ambientali quali metalli pesanti, Diossine (PCCD/F), Policlorobifenili (PCB-DL e PCB-NDL) e sostanze Perfluoalchiliche (PFAS) nella carcassa e in alcuni tessuti dei pipistrelli al fine di valutare l’eventuale correlazione sia con le manifestazioni cliniche (alterazioni osteo-articolari) sia con la possibile influenza ambientale della contaminazione. RISULTATI E CONCLUSIONI In Tabella 1 sono indicati i valori degli elementi che hanno presentato concentrazioni quantificabili (superiori al LOQ del metodo); tra questi, le concentrazioni di Pb, Al, Sr e sono state valutate elevate e quindi considerate potenzialmente a rischio. Tabella 1 – Concentrazioni di alcuni elementi chimici nei singoli tessuti e nei pool degli esemplari durante il triennio (2010-2011-2012). I valori sono espressi in mg/kg; NR: valore inferiore al LOQ del metodo (0,005 mg/kg). Al MATERIALI E METODI La colonia esaminata in questo studio è a tutt’oggi localizzata all’interno di un area urbana densamente popolata, costituita da condomini di 6 o più piani; i nidi si trovano all’interno di un‘intercapedine tra due palazzi. Dal 2005 ad oggi lo stato della colonia è monitorato dalla LIPU. Gli esemplari esaminati in questo studio sono stati ritrovati morti nel triennio 2010-2012. In sede autoptica sono state condotte valutazioni anatomo-patologiche su 222 esemplari del 2010, 189 esemplari del 2011 e 213 esemplari del 2012. Gli animali erano tutti lattanti, di peso medio di 19 g. Successivamente sono stati campionati il fegato, il rene e porzioni di osso di 10 esemplari (5 maschi e 5 femmine) scelti con il criterio della 28 As ANNO 2010 0,49 0,01 2011 0,06 0,02 2012 0,26 0,01 2010 0,04 NR 2011 NR 0,01 2012 1,62 0,01 2010 6,76 0,02 2011 6,57 0,03 2012 5,72 0,02 2011 64,26 0,06 2011 72,8 0,057 29 Cr Pb Ni Cu Sr FEGATO (n=30) 0,02 62,02 0,05 20,7 0,28 0,13 58,61 0,09 19,1 0,53 0,07 76,57 0,06 25,3 0,65 RENE (n=30) 0,02 4,04 0,1 5,52 0,17 0,5 5,69 0,2 5,75 0,28 0,35 7,30 0,14 7,52 0,29 OSSA (n=30) 0,64 144,5 0,84 1,32 70,88 0,5 192,6 0,87 1,04 70,5 0,52 168,2 0,75 0,89 63,55 POOL MASCHI (n=3) 0,39 37,47 0,29 4,18 10,82 POOL FEMMINE (n=3) 0,34 39,09 0,3 4,23 11,08 Zn Mn 44,6 2,21 39 1,97 47,1 1,75 31,2 0,68 28 0,77 32 0,69 47 0,47 50,5 0,48 50 0,51 33,4 1,57 30,5 1,6 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 2: confronto dei profili normalizzati per PCDD/F dei 6 pool in base alla loro cloro-sostituzione. Tra gli elementi studiati, Mg, Zn, Cu, Mn, Mo, Se e V svolgono funzioni sicuramente essenziali e le concentrazioni determinate nei campioni presi in esame riflettono le concentrazioni fisiologiche tessuto specifiche con la prevalenza di metalli nel tessuto osseo ad eccezione di Cu, Zn e Mn che presentavano concentrazioni superiori nel fegato. In Tabella 1 è inoltre inserito il valore medio riscontrato nei pool degli animali per confrontare le concentrazioni presenti nel singolo tessuto con quelle ritrovate nell’intera carcassa dei pipistrelli. Soltanto pochi studi hanno valutato la presenza di Pb nei pipistrelli (3). Le concentrazioni di Pb riscontrate nei pool ottenuti dall’intera carcassa in questo studio (min 31,86; max 49,95 mg/kg/peso fresco) sono simili alle concentrazioni riscontrate per l’intera carcassa da Clark (1979) nel grande pipistrello marrone (Myotis lucifugus) (min 31,49; max 46,56 mg/kg peso fresco) e nel piccolo pipistrello marrone (16,97 mg/kg di peso fresco) raccolti in aree contaminate da piombo nel Maryland. Riguardo ai PCDD/F i risultati ottenuti dall’indagine evidenziano che la contaminazione espressa come media tra i 6 pool analizzati è elevata, con un livello massimo di 358 pg/g di grasso corrispondenti a 32 pg TEQ/g di grasso. La differenza di contaminazione da PCDD/F tra i 6 pool appare sostanzialmente ampia con una concentrazione minima di 171 e una massima di 358 pg/g di grasso. Il pool 3 di femmine differisce dagli altri presentando una concentrazione più elevata della somma di PCDD/F e PCBDL (827331 pg/g di grasso corrispondenti a 120586 pg/g di grasso espressi come TEQ). Tale differenza è dovuta alla più elevata contaminazione da PCB-DL nel pool 3 di femmine rispetto agli altri pool (233 pg/g espressi come TEQ sulla frazione grassa). Per i 6 congeneri di PCB-NDL determinati, i livelli di contaminazione riflettono quelli dei PCB-DL, con il valore più alto per il pool 3 di femmine (255 ng/g sul TQ). Nelle Figure 1 e 2 sono riportati per un confronto i profili dei 6 pool in cui si evidenzia come il pool 6 femmine sia sostanzialmente diverso dagli altri. Nella Figura 2 si osserva una diversa impronta di PCDD/F, in particolare si rileva una prevalenza degli esa-sostituiti (valore normalizzato 66%). Nel grafico 3 si osserva una diversa impronta di PCB-DL tra il pool 3 femmine e gli altri 5 pool. In questo studio si registra un apporto determinante di PCB (DL e NDL) nei confronti delle diossine. La contaminazione da PCDD/F e da PCB-DL e PCB-NDL nei pipistrelli analizzati è da ritenersi importante anche se in bibliografia non sono riportati dati sulle diossine propriamente dette e quelli sui PCB sono datati e non si tiene conto dei rispettivi fattori di tossicità. I dati ottenuti sono sovrapponibili per 5 dei 6 gruppi esaminati e quindi correlabili ad un’unica fonte di contaminazione. Profili di contaminazione da Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) nelle mozzarelle di bufala affumicate mediante differenti tecniche di lavorazione Marigliano L.1, Citro A.2, Marotta M.P.2, Seccia G.1, Serpe F.P.1, De Nicola C.2 , Esposito M.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, via Salute, 2 - 80055 Portici 2 ASL Salerno ambito Nord, via G. Falcone, 4 - 84014 Nocera Inferiore Keywords: PAH, mozzarella, smoked Figura 3: confronto dei profili normalizzati per PCB-DL dei 6 pool Riguardo alle concentrazioni di PFAS riscontrate nei pool, i valori più elevati sono relativi all’acido perfluorooctansolfonico (C8PFOS) (min 1,4 – max 25,5 µg/Kg) inferiori a quelle riportate in chirotteri del genere Myotis lucifugus a New York (6) mentre le concentrazioni degli altri composti risultano non elevate o inferiori al limite di quantificazione. Tabella 2 – Concentrazioni di PFAS nei 6 pool degli esemplari di Tadarida teniotis. I valori sono espressi in µg/Kg peso fresco; NR: valore inferiore al LOQ del metodo (1 µg/Kg ). MASCHI Figura 1: confronto dei profili normalizzati per PCDD/F tra i 6 pool analizzati. FEMMINE PFOS/PFOA 1 2 3 1 2 3 C4PFBS NR NR NR NR NR NR C6PFHXA NR NR NR NR NR NR C7PFHPA NR NR NR NR NR NR C6PFHXS NR NR 4,9 NR NR NR NR C8PFOA NR 1,1 NR 1,1 1,3 C9PFNOA NR 4,1 1 1,4 1,4 2,1 C8PFOS 10 10 25,5 8,7 1,4 9,5 C10PFDCA NR NR 1,9 NR 1,4 NR C11PFUNA NR NR NR NR NR NR C12PFDOA NR NR NR NR NR NR SOMMA PFOS/PFOA 10 15,2 34,3 11,2 5,5 11,6 Investigare la possibile fonte di contaminazione con i dati a disposizione non è possibile; questa andrebbe ricercata sia nell’ambiente di predazione che in quello in cui vive la colonia. Prima di trarre conclusioni definitive, ulteriori studi sono necessari per analizzare le concentrazioni di questi inquinanti in altre popolazioni di pipistrelli provenienti da aree meno antropizzate, in modo da produrre dati utilmente applicabili sia alla salvaguardia della fauna selvatica che alla protezione della salute umana. 30 SUMMARY The smoked mozzarella is produced using different processes which, if not done properly properly, can result in the contamination with Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAHs) formed during incomplete combustion of wood or organic materials. PAHs are classified as carcinogenic, therefore the EU Commission has set maximum levels for PAHs in various food products, except for dairy products. We evaluated the PAH levels in mozzarella smoked according to various techniques and different materials (wheat straw, shavings of fir, alder bark, liquid smoke, smooth and corrugated cardboard). Determination of PAHs was carried out by an HPLC-FLD method validated according the EU Reg.836/2011. The results show profiles of PAH characteristic of the various smoking techniques. Low contamination was detected in products smoked with alder wood or wheat straw, while the use of corrugate cardboard determine very high values of IPA, such as to constitute a risk to the health of consumers. La normativa sui livelli massimi di IPA nei prodotti alimentari non contempla però tra le matrici, i derivati del latte come i formaggi sebbene alcune tecniche di lavorazione quali l’affumicatura, possano determinare un accumulo di IPA (3). Inoltre, il rischio di contaminazione è più elevato nel caso siano utilizzate tecniche e materiali diversi da quelli consentiti. Infatti i materiali autorizzati per l’affumicatura vanno dalla paglia di grano alla corteccia secca di pioppo, dai trucioli di legno alla corteccia di ontano, i quali sono posti in contenitori all’uopo approntati oppure nei più moderni affumicatoi dotati di una specifica “camera di combustione” in cui è possibile regolare le temperature e il tempo di esposizione. Purtroppo è diffuso anche l’uso illecito di altri materiali per la combustione, in particolare cartoni di vario genere o addirittura legni verniciati. In questo lavoro sono state messe a confronto varie tecniche di affumicatura e diversi materiali (paglia, legno, cartoni), andando a determinare i profili di contaminazione da IPA, i quattro normati più altri due, nella parte esterna e quella interna oltre che nel prodotto intero delle mozzarelle di bufala. INTRODUZIONE L’affumicatura è una delle più antiche tecniche di conservazione degli alimenti che ha inoltre un favorevole effetto sulle proprietà sensoriali, in particolare il gusto, il colore, la consistenza. Tra i prodotti alimentari affumicati, i formaggi occupano un posto di rilievo e anche per la mozzarella di bufala è richiesta la versione affumicata. Il D.P.C.M. 10/05/1993 stabilisce che la mozzarella di bufala campana affumicata debba essere prodotta secondo metodi naturali e tecnologie tradizionali. La tecnologia tradizionale consiste in una incompleta combustione di paglia o trucioli di legno posti in affumicatoi, oppure per immersione del prodotto nel cosiddetto fumo liquido, una soluzione estratto da fumo. Un effetto indesiderato dell’affumicatura, soprattutto se realizzata senza seguire correttamente le tecniche, è la contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che si formano dalla combustione incompleta di materiale organico (1, 2). Gli IPA sono composti caratterizzati da due o più anelli aromatici fusi, riconosciuti come agenti cancerogeni poiché nel fegato sono metabolizzati a diidro-dioli e quindi nei loro epossi-derivati che possono legarsi al DNA provocando processi di mutagenesi. Il benzo[a]pirene (BaP) fin dal 2002 è stato indicato dalle normative comunitarie quale marcatore della presenza di IPA cancerogeni nei prodotti alimentari, stabilendone limiti massimi in alcuni prodotti. Tuttavia, dal report dall’EFSA sui dati di monitoraggio, è emerso che non è più possibile utilizzare il solo BaP come unico marcatore per il gruppo di IPA, per cui con il Regolamento UE 835/2011, oltre ai tenori massimi per il BaP, sono stati fissati tenori massimi anche per la somma di quattro IPA, benzo[a] pirene, benzo[a]antracene, benzo[b]fluorantene e crisene. MATERIALI E METODI Campioni Lo studio è stato effettuato su campioni di mozzarella prodotta in uno stesso caseificio e sottoposta successivamente al trattamento di affumicatura in altri tre stabilimenti mediante differenti tecniche. L’affumicatura mediante paglia di grano, trucioli di abete e corteccia di ontano è stata effettuata in affumicatoi costituiti da un bidone in cui le mozzarelle, allacciate con una corda, sono appese a due a due ad un bastone poggiato sul bordo del bidone. Il materiale giacente sul fondo viene acceso e la bocca superiore viene chiusa con un sacco bagnato. La pratica illecita di affumicatura è stata riprodotta con la metodologia classica utilizzando cartoni lisci e cartoni ondulati posti al fondo di un bidone. Infine l’affumicatura con fumo liquido è stata realizzata immergendo le mozzarelle in una soluzione acquosa al 50% di fumo liquido commerciale, contenuta in una vasca di acciaio inox per alcuni minuti, dopodiché esse sono stata asciugate a temperatura ambiente. Subito dopo la produzione tutte le mozzarelle affumicate sono state inviate ai laboratori dell’IZS Mezzogiorno per la determinazione dei livelli di IPA. Contestualmente è stato prelevato un campione di mozzarella non trattato. Metodi di analisi Per la determinazione degli IPA è stato sviluppato un metodo di analisi in HPLC con rivelazione in fluorescenza, successivamente validato secondo i criteri di performance 31 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 stabiliti dal Regolamento CE 836/2011 Reagenti e materiali di riferimento I solventi cicloesano, etanolo 98% e acetonitrile (HPLC grade) e i reattivi potassio idrossido e sodio solfato anidro sono stati forniti dalla Carlo Erba (Milan, Italy) mentre l’acqua ultrapura è stata prodotta in laboratorio mediante un sistema Milli-Q (Millipore Corp., Bedford, MA). La cartucce Sep-Pak (500 mg/3 ml) Vac Silica sono state fornite dalla Waters (Milford, MA). Le soluzioni dei materiali di riferimento benzo[a]anthracene (BaA), chrysene (Chr), benzo[b]fluoranthene (BbF), benzo[k] fluoranthene (BkF), benzo[a]pyrene (BaP), dibenzo[a,h] anthracene (dBahA) a 10 µg/ml sono state ottenute dalla ditta Dr. Ehrenstorfer (Ausburg, Germany). Da queste soluzioni madre, per diluizione con acetonitrile, è stata preparata un’unica soluzione di lavoro a 10 µg/ml. Procedimento Dopo omogeneizzazione, 2 g di prodotto sono sottoposti a saponificazione con 10 mL di KOH 2N in etanolo, in bagnomaria a 80°C per 2h. Dopo raffreddamento sono aggiunti 10 ml di acqua ultrapura e quindi si procede all’estrazione con l’aggiunta di 20 ml di cicloesano e successivo passaggio in centrifuga a 3000 rcf per 5 minuti a 4°C. L’estrazione è ripetuta altre due volte con 20 mL di cicloesano. Le fasi organiche sono riunite e la soluzione è filtrata su filtro di carta contenente solfato di sodio anidro e poi ridotta a piccolo volume (0,2 mL ca) mediante evaporatore rotante a 40°C. Il residuo è dissolto in 3 mL ACN e applicato su Sep-Pak cartuccia pre-attivata con 3 mL ACN ed eluita con 3 mL ACN. L’eluato è portato a secco sotto flusso di azoto e ridissolto in 1 mL di ACN. Per l’analisi strumentale in HPLC (Waters) 50 µL di soluzione del campione sono iniettati in una colonna Envirosep PP 125´3.2 mm´5 µm (Phenomenex), munita di precolonna C18 e termostatata a T=25°± 2°C, con un programma di eluizione in gradiente con fase mobile costituita da Acqua e ACN. La rivelazione è eseguita in fluorescenza alle lunghezze d’onda λecc=294nm e λem=404nm. La determinazione quantitativa è effettuata mediante standardizzazione esterna, allestendo per ciascuna sessione le rette di taratura con soluzioni di materiali di riferimento degli IPA a varie concentrazioni. Validazione Il metodo sviluppato è stato ottimizzato e validato secondo i criteri di prestazione previsti dal Regolamento CE 836/2011 per l’analisi degli IPA. Il limite di quantificazione (LOQ) è stato calcolato per ciascun IPA utilizzando un campione bianco fortificato al livello di 0.5 µg/kg con una soluzione dei sei IPA. La precisione del metodo è stata valutata attraverso il calcolo del coefficiente di Horrat per ciascun IPA alla concentrazione di 5.0 µg/kg, in condizioni di ripetibilità (r) e riproducibilità (R). La precisione è stata valutata inoltre mediante l’analisi di bianchi campione fortificati a concentrazioni di 0.5, 2.0 e 5.0 µg/kg in almeno cinque replicati per ottenere la ripetibilità e altri replicati analizzati da un diverso operatore con diversi lotti di solventi e reattivi, in un giorno diverso, per ottenere la riproducibilità. Per l’accuratezza è stato quindi calcolato il recupero medio percentuale per tutti i singoli IPA e confrontato con l’intervallo di accettabilità previsto dal Reg. 836/2011 (50-120%): in tutti i casi i recuperi ottenuti rientrano nell’intervallo di accettabilità. La specificità è stata valutata verificando l’assenza di interferenti nel cromatogramma ai valori di Rt di ciascun IPA. La linearità del metodo è stata verificata nell’intervallo 0.001 -0.020 ppb corrispondenti a concentrazioni su matrice comprese tra 0.5 e 10 µg/kg. Il valore del r2 è risultato superiore a 0.99 per tutti e sei gli IPA. La specificità è stata valutata su venti campioni di derivati del latte (mozzarella, scamorza, formaggi a pasta dura) verificando nei cromatogrammi l’assenza di picchi interferenti nell’intorno (± 2.5%) del Rt dei singoli IPA. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 3. Livelli di IPA nella parte esterna delle mozzarelle affumicate con cartoni ondulati BIBLIOGRAFIA 1) Suchanovà M., Hajs lovà J. , Tomaniovà M., Kocourek V., Babicka L. (2008) Polycyclic aromatic hydrocarbons in smoked cheese J Sci Food Agric 2) Ozcan T., Akpinar-Bayizit A., Irmak Sahin O., Yilmaz-Ersan L. (2011) The formation of polycyclic hydrocarbons during smoking process of cheese. Mljekarstvo 61 (3), 193-198 RISULTATI E CONCLUSIONI Dalle analisi effettuate sui campioni di mozzarella è stato possibile ricavare dei profili di contaminazione da IPA caratteristici delle diverse tecniche di affumicatura a eccezione dell’impiego di aromatizzanti di fumo, poiché in nessuna delle tre parti di mozzarella affumicata (interno, esterno, tal quale) prodotta per immersione nel fumo liquido, è stata rilevata la presenza di IPA. Nelle mozzarelle affumicate con paglia di grano la contaminazione da IPA mostra dei livelli molto bassi seppure nella parte esterna siano rivelabili valori apprezzabili di BaP e BaA (Figura 1). Più elevati invece i livelli di IPA riscontrati nelle mozzarelle affumicate con legno di ontano, in cui il Bap mostra un valore medio di 2.9 µg/kg nel prodotto intero ma ben più alto nella parte esterna (Figura 2) con un profilo in cui prevalgono BaA e BaP. Per quanto riguarda infine l’impiego di combustibili illegali quali i cartoni, i profili risultano diversi a seconda che si utilizzino cartoni lisci o cartoni ondulati. Nel primo caso infatti i valori sono sovrapponibili a quelli ottenuti nell’affumicatura con legno di ontano, mentre nel secondo caso, i valori di BaP e della somma dei quattro IPA indicatori sono molto alti, e anche in assenza di limiti massimi di legge, sicuramente tali da costituire un danno per la salute dei consumatori. 3) Cirillo T., Milano N., Amodio Cocchieri R. 2010 Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) in traditional smoked dairy products from Campania (Italy) Italian Journal of Public Health 51-53 Figura 1. Livelli di IPA nella parte esterna delle mozzarelle affumicate con paglia Figura 2. Livelli di IPA nella parte esterna delle mozzarelle affumicate con legno di ontano 32 33 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 STUDIO DI UN NUOVO METODO T-NOS PER LO SCREENING DI OGM E UGM IN FAST PCR REAL-TIME Pierboni E., Curcio L., Tovo G. R., Rondini C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche Key words: Fast PCR Real-time, T-NOS, screening SUMMARY The development and diffusion of genetically modified plants and their increasing diversification of characteristics, need the strategies to detect the absence or presence of GMO and UGM (unauthorised GMOs). The recommended approach to apply detection is referred to as the “Matrix Approach” generally know as screening, efficient and cost-effective analysis multitarget. In this paper a new Fast Real-time PCR method for detection of NOS terminator (T-NOS) is described. The primers and probes sequences, already published and traditionally used, now were combined with a new method to develop an original system T-NOS. This work describes also, the optimisation and validation of the best method based on detection of NOS terminator in Fast Real-time PCR. (Qiagen); dalla farina di patata è stato estratto con il DNeasy Mericon Food kit (Qiagen). Il DNA estratto è stato quantificato fotometricamente e l’assenza d’inibitori di PCR è stata valutata tramite “Fast Monitor Run”, una PCR taxon-specifica eseguita sul DNA tal quale e sul diluito 1:4. Fast PCR Real-time Tutte le prove, tranne quelle per verificare la robustezza del metodo, sono state eseguite su piattaforma 7900HT Fast Realtime PCR Systems, con il seguente profilo termico: 95°C 30’’ [95°C 5’’, 60°C 30’’] x 50 cicli. La reazione avviene in un volume finale di 20 µl e la TaqMan® Fast Universal PCR Master Mix è utilizzata alla concentrazione finale 1X. INTRODUZIONE Lo stato dell’arte dei metodi analitici utilizzabili per il controllo degli OGM non include soluzioni definitive; il continuo aumento di OGM autorizzati e l’emergenza UGM (unauthorised GMOs) nel mercato europeo, stanno nel tempo condizionando le tecniche e gli obiettivi dei laboratori preposti al controllo ufficiale. Una strategia alternativa e raccomandata per la rilevazione degli OGM autorizzati e non, è il cosiddetto “Approccio Matrice” (4), uno screening combinato in PCR Real-time di numerosi elementi genetici più comuni, presenti nei costrutti OGM (1). Per diversi anni l’analisi di screening ha visto protagonisti il Promotore 35S (P35S) del virus del Mosaico del Cavolfiore e/o il Terminatore NOS (T-NOS) del gene della nopalina sintasi di Agrobacterium tumefaciens. Per l’ottimizzazione del flusso di lavoro, dei tempi e dei costi, da anni presso il nostro laboratorio si applicano metodiche analitiche qualitative e quantitative in PCR Real-time modalità “Fast”, validate e accreditate. In questo lavoro riportiamo lo studio di un metodo per rilevare il terminatore NOS più efficiente e sensibile, messo a punto in Fast PCR Real-time, per il quale è stato individuato un nuovo sistema di primers e sonda, testato in parallelo con altri metodi utilizzati per la rilevazione di T-NOS (3, 7). In base alla posizione delle sequenze dei primers e delle sonde, i sistemi sono stati considerati nelle singole componenti, combinati tra loro e testati in Fast PCR Real-time. Il metodo risultato migliore è stato ottimizzato e validato. Primers e sonde Per la rilevazione del target T-NOS sono state utilizzate le sequenze citate in tabella 1, nelle 15 combinazioni indicate in tabella 2, con concentrazione 900 nM per i primers forward e reverse e 250 nM per ciascuna sonda; ogni combinazione è stata testata in quadruplice copia. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 1 Disposizione dei tre sistemi di rilevazione per il terminatore NOS sulla sequenza V00087.1 medio e scarto tipo è il numero 2 come mostrato nella figura 2. Dall’ottimizzazione di questo sistema le migliori concentrazioni risultano 900 nM per i primers 5F e 7R e 200 nM per la sonda P1. La sensibilità e la specificità sono state testate sui MRC elencati e sono risultate del 100%, nonostante un segnale falsamente positivo della soia GM MON89788, dimostratosi frutto di una contaminazione da soia GM MON40-3-2 nel MRC. La prova eseguita con gli stessi DNA su diversa piattaforma strumentale ha fornito gli stessi segnali, ottenendo il pieno consenso e dimostrando la robustezza del sistema selezionato. Il limite di rilevazione della metodica per il terminatore T-NOS, che si identifica nella combinazione numero 2, è di 10 copie genomiche. Il presente lavoro dimostra che il nuovo metodo di rilevazione per il terminatore NOS (5F/7R e P1) è in grado di individuare efficacemente e velocemente il bersaglio specifico, quindi verrà integrato dal laboratorio in uno screening a 7 target in Fast PCR Real-time. Grazie a questo nuovo sistema saremo in grado di identificare, in breve tempo, ipotetici elementi genetici che combinati tra loro potranno indicarci una tipizzazione molto più selettiva, con conseguente riduzione delle successive analisi per l’identificazione e maggiore probabilità di individuare OGM non autorizzati, in tempi brevi e in modo efficace, con una notevole diminuzione dei costi e ottimizzazione del flusso di lavoro. Figura 2. Risultati delle 15 combinazioni ottenute dai tre sistemi di rilevazione per il terminatore NOS Tabella 1. Sequenza dei primers e delle probe Ottimizzazione di primers e sonda Individuato il sistema migliore per la rilevazione di T-NOS, l’ottimizzazione è stata eseguita testando 3 diverse concentrazioni di primers (150 nM, 300 nM, 900nM) per un totale di 9 combinazioni verificate in quadruplice copia. L’ottimizzazione della sonda si è ottenuta testando in quadruplice copia 5 diverse concentrazioni (100nM, 150nM, 200nM, 250nM, 300nM). Validazione La validazione del metodo di rilevazione per il T-NOS, di tipo qualitativo, ha previsto (5, 2): a) la verifica del limite di rilevazione (LOD), per cui sono state allestite 8 diluizioni a numero di copie genomiche decrescenti (318, 159, 79, 40, 20, 10, 5, 2 c.g.) partendo da DNA di soia GM MON40-3-2 e mais GM BT11 ad alta percentuale transgenica. Per ciascuna diluizione sono stati saggiati 10 replicati e l’esperimento è stato ripetuto due volte per un totale di 20 dati sperimentali; b) la verifica della sensibilità e specificità, testando MRC contenenti il DNA target e non; c) la verifica della robustezza, allestendo la stessa prova eseguita per la sensibilità e la specificità su piattaforma StepOnePlus Real-time PCR Systems. MATERIALI E METODI Materiali di riferimento certificati (MRC) Farine di soia GM MON-40-3-2 (ERM), MON89788; DNA di soia GM A2704-12 (AOCS). Farine di Bt11, MON810, Bt176, GA21, MON863, DAS1507, NK603, MIR604, DAS59122 (ERM); DNA di mais GM T25 (AOCS). Farina di patata EH92-527-1 (ERM). DNA di riso GM LL62 (AOCS). BIBLIOGRAFIA 1) A. Holst-Jensen (2009) “Testing for genetically modified organisms (GMOs): Past, present and future perspectives”, Biotecnology Advances, 27, 1071-1082. 2) European Network of GMO Laboratories (ENGL) Version 13/10/2008 “Definition of Minimum Performance Requirements for Analytical Methods of GMO Testing” http:// gmocrl.jrc.ec.europa.eu/doc/Min_Perf_Requirements_ Analytical_methods.pdf 3) Hugo R Permingeat, Martin I Reggiardo, Ruben H. Vallejos (2002) “Detection and Quantification of Transgenes in Grains by Multiplex and Real-Time PCR”, Journal of Agricultural and Food Chemistry, 50, 4431-4436. 4) JRC Scientific and Technical Reports (2011) “Overview on the detection, interpretation and reporting on the presence of unauthorised geneticaly modified materials” EUR25008 EN – 2011 5) JRC Scientific and technical Reports (2011) “Verification of analytical methods for GMO testing when implementing interlaboratory validated methods”, EUR 24790 EN (ISBN 978-92-79-19925-7). 6) P. Hübner, H.U.Waiblinger, K. Pietsch, P. (2001) “Validation of PCR Methods for Quantitation of Genetically Modified Plants in Food” Journal of AOAC International, 84, 18551864. 7) R. Reiting, H. Broll, H.-U. Waiblinger and L. Grohmann (2007) “Collaborative Study of a T-nos Real-time PCR Method for Screening of Genetically Modified Organisms in Food Products”, Journal fur Verbraucherschutz und Lebensmittelsicherheit, 2, 116-121. 8) http://www.ncbi.nlm.nih.gov FAM=6-carboxylfluorescein, TAMRA= 6-carboxytetramethylrhodamine, MGB-NFQ= minor groove binder-non fluorescent quencher Tabella 2. Combinazioni di primers e sonde testate in Fast PCR Real-time RISULTATI E CONCLUSIONI I primers 7F/7R e la sonda 7P sono stati disegnati tramite Primers Express 3.0 sulla sequenza data dal numero di accesso V00087.1 nel database GenBank (8). In base alla disposizione in figura 1, sono stati testati 15 sistemi diversi (tabella 2) con le stesse concentrazioni di primers e probe e la stessa quantità di DNA target (18 copie genomiche) ottenute da BT11 allo 0.1% (6). Il sistema risultato migliore per il più basso Ct Estrazione del DNA Il DNA è stato estratto dalle farine di mais e soia GM con metodica CTAB e purificazione mediante QIAamp DNA Mini Kit 34 35 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 NUOVI PUNTI DI VISTA NEL CAMPO DELL’ ISTOLOGIA APPLICATA ALLA RICERCA DI TRATTAMENTI ILLECITI CON STEROIDI SESSUALI IN VITELLI DA CARNE Richelmi G.B.1, Pezzolato M.1, D’Angelo A.2, Bellino C.2, Ruta F.3, Meistro S.1, Perazzini A.Z.1, Caramelli M.1, Bozzetta E.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino; 2 Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina Veterinaria; 3 Veterinario Libero Professionista, Torino. Key words: Progesteron Receptor, anabolics, calves. ABSTRACT Under current EU legislation the use of anabolic steroids in food producing livestock is banned. In a previous work we examined the use of the immunohistochemical marker Progesteron Receptor (PR) in the field of detection of 17β- estradiol illicit treatments. In this study 50 calves were divided into 4 groups: Group A treated with nortestosterone; B treated with a mixture of nortestosterone and 17β-estradiol, Group C 17β-estradiol and Group D used as control. The target organs (prostate and bulbourethral glands) were examined in depth for histological analysis and after immunohistochemical staining to assess the PR status following diversified protocols of treatment with sexual steroids. The logistic regression results showed that marker for PR is a significant predictor of treatment with 17β-estradiol, even in association with nortestosterone. The histological findings can offer an efficient tool to distinguish between different types of illicit treatments with sexual steroids. controllate, secondo quanto previsto dalla Direttiva 86/609/CEE, dell’età di circa 30-50 giorni. Gli animali sono stati sottoposti quotidianamente, durante tutto il periodo della sperimentazione, al controllo dello stato di benessere da parte di personale veterinario. E’ stato somministrato latte in polvere ricostituito mediante allattatrice automatica, insilato di mais è stato inserito gradualmente nella dieta fino ad una dose pro capite giornaliera di circa 1 Kg al raggiungimento dei 4 mesi dei vitelli. Abbiamo separato in box diversi i vitelli in base al gruppo di trattamento: Gruppo A: 20 vitelli trattati con nortestosterone decanoato, 50 mg ml-1 una volta a settimana per 4 settimane consecutive; Gruppo B: 20 vitelli trattati con un cocktail di nortestosterone decanoato, 50 mg ml-1 e 17β-estradiolo 5mg ml-1; Gruppo C: 3 vitelli trattati con 17β-estradiolo, 5mg ml-1; Gruppo D: 7 vitelli di controllo. Dopo 15-18 giorni dall’ultimo trattamento effettuato abbiamo macellato i diversi gruppi di vitelli, campionando in sede di macellazione le ghiandole sessuali accessorie: prostata e ghiandole bulbo-uretrali. Abbiamo sottoposto le stesse a fissazione in formalina, riduzione, processazione, inclusione in paraffina, sezionamento al microtomo (3μm) e colorazione con Ematossilina-Eosina. In ciascuna sezione due patologi hanno valutato i seguenti parametri a livello di tessuto ghiandolare: iperplasia, metaplasia, ipersecrezione, cisti. Sono stati valutati inoltre iperplasia e metaplasia dei dotti delle ghiandole bulbo-uretrali. E’ stato assegnato un grading (0-3), a ciascuno dei precedenti parametri: 0 assenza, 1 quadro lieve, 2 quadro moderato, 3 quadro grave. Per quanto riguarda le cisti abbiamo invece valutato esclusivamente la presenza e l’assenza. Le sezioni sono state inoltre sottoposte a colorazione immunoistochimica con anticorpo monoclonale diretto verso il recettore progestinico (clone hPRa 2 Thermo Fisher Scientific, Fremont, CA, USA). Le sezioni istologiche sono state sparaffinate mediante passaggi consecutivi in sostituto atossico dello xilolo, soluzioni a concentrazione decrescente di etanolo e risciacquate infine in acqua ultrapura. Lo smascheramento dell’antigene è avvenuta a 97°C ponendo le sezioni in tampone citrato pH6. Le perossidasi endogene sono state inibite ponendo le sezioni per 30’ a temperatura ambiente in soluzione al 10% di perossido di idrogeno. Si è proceduto quindi all’incubazione con anticorpo primario alla diluizione 1:50 in tampone fosfato salino per 60’. Il Kit En Vision System (Dako, Glostrup, Denmark) è stato impiegato come sistema di rilevazione. In ciascuna sessione di colorazione immunoistochimica è stata prevista la presenza di un controllo negativo, per il quale l’anticorpo primario è stato sostituito da tampone fosfato salino ed un controllo positivo ottenuto da un precedente studio (8). Dopo contro-colorazione con Ematossilina, le sezioni istologiche sono state quindi disidratate mediante passaggi consecutivi in soluzioni a concentrazioni crescenti di etanolo e quindi sono state poste in sostituto atossico dello xilolo e preparate per l’osservazione istologica. L’immunopositività, qualora presente, era INTRODUZIONE L’impiego di steroidi anabolizzanti in zootecnia è proibito in ambito europeo in base alla normativa vigente (4, 5, 6). La possibilità di identificare i casi di trattamento soggiace ai limiti delle metodiche chimiche ufficiali attualmente applicate, che sono vincolate alla cinetica delle molecole eventualmente impiegate nei protocolli dei trattamenti anabolizzanti (10). Le applicazioni dell’istologia in ricerca e quindi nell’ambito del Piano Nazionale Residui dal 2008 si sono dimostrate un efficace strumento atto a rilevare trattamenti illeciti in bovini da carne (1). In particolare l’identificazione di lesioni specifiche per classe di trattamento e lo studio di marker selettivi rappresentano metodi di screening biologici efficaci nel rilevare, anche dopo sospensioni prolungate, bovini sottoposti a trattamenti illeciti con steroidi anabolizzanti (2, 7, 9). Da studi effettuati precedentemente in animali trattati con estrogeno è stato possibile osservare che negli organi target dei trattamenti con steroidi sessuali (prostata e ghiandole bulbo-uretrali) la metaplasia, in particolare a livello delle ghiandole bulbo-uretrali, sia un rilievo pressoché costante (9). Abbiamo inoltre indagato i meccanismi biomolecolari che esitano dopo trattamento con 17β-estradiolo, ovvero l’iperespressione dei recettori progestinici, rilevabile mediante tecniche di immunoistochimica (3, 8). Mediante il presente studio abbiamo voluto ampliare le nostre conoscenze in relazione ai quadri istologici di vitelli trattati con androgeni, estrogeni e “cocktail” di tali molecole. Da indagini di campo appare infatti verosimile l’ipotesi che tali sostanze possano essere usate in associazione per mimare gli uni l’effetto degli altri ottenendo comunque un incremento ponderale associato ad una maggiore, rispetto alla norma, componente muscolare della carcassa. MATERIALI E METODI Abbiamo stabulato 50 vitelli maschi di razza Frisona in condizioni 36 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fig.1: Le immagini si riferiscono a preparati istologici di ghiandole bulbo-uretrali colorati rispettivamente con ematossilina ed eosina e sottoposti a colorazione immunoistochimica per PR rispettivamente in un animale trattato con nortestosterone (A-C) e in uno trattato con un cocktail di 17β-estradiolo e nortestosterone (B-D) Si può notare la positività immunoistochimica nel caso trattato con cocktail di estrogeni ed androgeni (D) contraddistinta da depositi marrone scuro nei nuclei delle cellule epiteliali.I dati ottenuti sono stati inseriti in un database e sottoposti ad analisi statistica. E’ stato utilizzato un modello di regressione logistica univariata applicato ai dati individuali di ciascun gruppo di trattamento per valutare la relazione tra i singoli trattamenti e la presenza di lesioni istologiche in ciascun organo e l’iperespressione del recettore progestinico. RISULTATI E CONCLUSIONI Tabella 1: Frequenza delle lesioni nei diversi gruppi sperimentali. L’analisi di regressione logistica ha permesso di individuare quali trattamenti fossero significativamente associati alla presenza di lesioni negli organi target. Per quanto riguarda la prostata si può osservare che sia la metaplasia che l’ipersecrezione siano lesioni più rappresentate nei gruppi dei trattati rispetto ai controlli, cosa che non si può invece affermare per le cisti, i cui dati di frequenza non sono infatti riportati in tabella. Nelle ghiandole bulbo-uretrali la metaplasia è significativamente associata ai trattamenti con steroidi sessuali, in particolare nei dotti; l’ipersecrezione non sembra per questi organi un parametro rilevante, così come la presenza di cisti. Guardando i risultati in maniera sintetica si può evidenziare che il trattamento con l’associazione di estrogeni ed androgeni sia quello che dia un maggior numero di lesioni rispetto agli altri, ciò è probabilmente dovuto all’effetto sommatorio delle due tipologie di molecole. Abbiamo infatti precedentemente dimostrato che il 17β-estradiolo causi come lesione specifica la metaplasia (9), in particolare delle ghiandole bulbo-uretrali (Fig.1), mentre è risaputo che gli androgeni possano causare ipersecrezione nelle ghiandole sessuali accessorie (2). Per quanto riguarda il gruppo dei trattati con solo estrogeno le lesioni erano nel complesso ben rappresentate, ma, a causa dell’esiguità dei soggetti che costituivano il gruppo, saranno necessarie ulteriori analisi per differenziare ancora meglio il pattern di trattamento con soli estrogeni da quello presente in caso di associazione di androgeni ed estrogeni. Dall’analisi statistica effettuata in riferimento al marker immunoistochimico si può constatare che il trattamento illecito con 17β-estradiolo induce iperespressione del recettore progestinico a livello prostatico in tutti gli animali trattati con tale molecola (Se 100%, I.C.95% 83.16-100; Sp 100%, I.C. 95% 59.04-100). Per quanto riguarda le ghiandole bulbo-uretrali tale iperespressione si evidenzia sia negli animali trattati con 17β-estradiolo, che in quelli trattati con un cocktail di estrogeni e androgeni, ma in quest’ultimo gruppo in un caso non si evidenziava positività a livello di ghiandole bulbo uretrali (p<0.00). I dati di sensibilità e specificità in relazione alle ghiandole bulbo uretrali sono quindi: Se 95%, I.C. 95% 75.1399.87; Sp 100% 59.04-100. In nessun controllo è stata evidenziata l’iperespressione del recettore e poiché il marker è si è dimostrato un predittore esatto di trattamento con 17β-estradiolo non è stata evidenziata nessuna associazione statisticamente significativa tra il trattamento con nortestosterone e l’iperespressione del recettore progestinico (Fig.1). BIBLIOGRAFIA 1. Bozzetta E, Pezzolato M, Maurella C, Varello K, Capra P, Meloni D, Bellino C, Borlatto L, Caramelli M. L’istologia come metodo di screening per il rilievo di trattamento illecito con estrogeni nei vitelli. 2010. 16:107-11. 2. Cannizzo FT, Zancanaro G, Spada F, Mulasso C, Biolatti B. 2007. Pathology of the testicle and sex accessory glands following the administration of boldenone and boldione as growth promoters in veal calves. J Vet Med Sci. 69(11): 1109-16. 3. De Maria R, Divari S, Spada F, Oggero C, Mulasso C, Maniscalco L, Cannizzo FT, Bianchi M, Barbarino G, Brina N, Biolatti B. 2010. Progesterone receptor gene expression in the accessory sex glands of veal calves. Vet Rec. 167:291-296. 4. Direttiva 96/22/CE del Consiglio, del 29 aprile 1996, concernente il divieto d’utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze ß-agoniste nelle produzioni animali e che abroga le direttive 81/602/CEE, 88/146/CEE e 88/299/CEE. 5. Direttiva 96/23/CE del Consiglio, del 29 aprile 1996, concernente le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti e che abroga le direttive 85/358/CEE e 86/469/CEE e le decisioni 89/187/CEE e 91/664/CEE. 6. Direttiva 2008/97/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, che modifica la direttiva 96/22/CE del Consiglio concernente il divieto d’utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze ß-agoniste nelle produzioni animali. 7. Groot MJ, Ossenkoppele JS, Bakker R, Pfaffl MW, Meyer HH, Nielen MW. 2007. Reference histology of veal calf genital and endocrine tissues - an update for screening on hormonal growth promoters. J Vet Med A Physiol Pathol Clin Med. 54(5):238-46. 8. Pezzolato M, Richelmi GB, Maurella C, Pitardi D, Varello K, Caramelli M, Bozzetta E. 2013. Histopathology as a simple and reliable method to detect 17β-oestradiol illegal treatment in male calves. Food Addit Contam Part A Chem Anal Control Expo Risk Assess. 30(6):1096-9. 9. Pezzolato M, Maurella C, Varello K, Meloni D, Bellino C, Borlatto L, Di Corcia D, Capra P, Caramelli M, Bozzetta E. 2011. High sensitivity of a histological method in the detection of low-dosage illicit treatment with 17β-estradiol in male calves. Food Control. 22:1668-1673. 10. Pinel G, Rambaud L, Cacciatore G, Bergwerff A, Elliott C, Nielen M, Le Bizec B. 2008. Elimination kinetic of 17beta-estradiol 3-benzoate and 17beta-nandrolone laureate ester metabolites in calves’ urine. J Steroid Biochem Mol Biol. 110(1-2):30-8. 37 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 New viruses in veterinary medicine, detected by metagenomic approaches RIASSORTIMENTO ED EVOLUZIONE FILOGENETICA DEI VIRUS INFLUENZALI SUINI H1N2: CONFRONTO TRA I CEPPI ITALIANI ED EUROPEI Fredrik Granberg1, 3, Oskar Karlsson1, 3, 4, Anne-Lie Blomström1, 3, Mikael Berg1, 3, Sándor Belák1, 2, 3 Moreno A.1, Gabanelli E.2, Sozzi E.1, Lelli D.1, Chiapponi C.1, Ciccozzi M.3, Zehender G.2, Cordioli P.1 Department of Biomedical Sciences and Veterinary Public Health (BVF), Swedish University of Agricultural Sciences (SLU); 2 Department of Virology, Immunobiology and Parasitology (VIP), National Veterinary Institute (SVA), 3 World Organization for Animal Health (OIE) Collaborating Centre for the Biotechnology-based Diagnosis of Infectious Diseases in Veterinary Medicine, Ulls väg 2B, SE-751 89, Uppsala, Sweden; 4 SLU Global Bioinformatics Center, Department of Animal Breeding and Genetics (HGEN), SLU, Uppsala, Sweden 1-Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia 2-Università di Milano, Ospedale Luigi Sacco, Azienda Ospedaliera Polo Universitario, Milano 3-Istituto Superiore di Sanità, Roma 1 Keywords: metagenomics; sequencing; unknown viruses, virus detection, diagnosis, unknown aetiology ing even low-copy-number pathogens. However, the limit of detection is still determined by the abundance of the pathogens in relation to the host background material. It is therefore important to also consider sample preparation and enrichment protocols as integrated and important steps in the overall detection scheme since they have been demonstrated to have a dramatic effect on the outcome of HTS-based diagnostics. Bioinformatics, the research field focusing on the study of methods for retrieving, analysing and storing biological data, is an integral part of all HTS applications. To improve the handling of the massive amounts of sequence data that are being produced, we are working closely with the SLU Global Bioinformatics Centre. By establishing a bioinformatics filtering, sorting and classification pipeline to streamline the analysis process, we are able to handle the large amounts of data and obtain valid results in short order. The emergence of viruses and new viral diseases has increased in the last decades due to intensive globalisation, climatic changes, among other factors. This has resulted in a growing demand for powerful broad-range detection and identification methods of the emerging viruses. In combination with classical methods, the molecular-based techniques provide sensitive and rapid means of diagnosis. Virus isolation, the most powerful conventional diagnostic test, is dependent on the capacity of the targeted virus to grow in cell cultures, something that is often problematic, requiring high level of expertise, and sometimes impossible. Other classical methods and even most of the newer molecular diagnostic tests are highly virus-specific or are targeted towards a limited group of infectious agents. This makes it often difficult, or impossible, to identify new or unexpected pathogens as well as new viral variants by the conventional methods. Metagenomics provides an effective way to screen samples and detect viruses without previous knowledge of the infectious agent. It can therefore be used a resource-intensive but powerful tool for better diagnosis and disease control within the fields of veterinary medicine and public health in line with the “One World, One Health” principles. Our group has established skills and facilities for highthroughput sequencing (HTS)-based metagenomic detection of viruses, including “unknown viruses” with a high degree of divergence from previously known agents. Because of our collaboration with SciLifeLab at Uppsala University, we also have continuous access to the latest HTS technologies. This allows us to apply more effective and affordable metagenomic sequencing to improve the capacity and likelihood of detect- In collaboration with veterinary practitioners and partner institutes in Sweden and around the world, in the global network of the OIE (www.oie.int), we have collected samples from a wide range of domestic and wild animals with various clinical syndromes of unknown etiology. Among the samples that we have investigated using HTS-based metagenomic approaches, we have identified a broad variety of viruses such as novel bocaviruses, Torque Teno viruses, astroviruses, kobuviruses, new variants of honeybee and dolphin viruses, as well as other infectious agents, both in domestic animals and in the wildlife. We also have collaborated with institutes to provide technology transfer as well as training for rapid preparedness deployment of the metagenomic detection methodologies. Key words: virus influenzali suini H1N2, analisi evolutiva, pressione selettiva due multiplex RT-PCR per la determinazione della H e della N (2). Sequenziamento e preparazione dei datasets L’analisi filogenetica è stata eseguita attraverso il sequenziamento completo dei geni HA e NA di 53 ceppi H1N2 (4). Le sequenze ottenute sono state analizzate in BLAST e confrontate con quelle di ceppi di riferimento ottenute in GenBank mediante allineamento con CLUSTAL W e successivo aggiustamento manuale con BioEdit. Per l’analisi evolutiva sono stati preparati due dataset: 120 sequenze complete di H1; 161 sequenze di N2. Per lo studio della pressione selettiva questi due dataset sono stati ulteriormente divisi in 5 sulla base dei gruppi evidenziati negli alberi filogenetici: 1- H1di origine aviare (avian-like), 2- H1 di origine umana (human-like), 3- N2 dei ceppi H1N2 suini europei (EU H1N2 SIVs), 4- N2 dei ceppi H3N2 umani 5- N2 dei ceppi H1N2 italiani recenti. Analisi filogenetica ed evolutiva L’albero filogenetico è stato costruito con il programma MEGA 5 utilizzando il metodo neigbour-joining, modello kimura due parametri. Le topologie evidenziate sono state confermate con i metodi maximun likelihood e maximum parsimony. Il calcolo del tMRCA (time of the most recent common ancestor) è stato stimato mediante analisi Bayesiana con il metodo delle catene di Monte Carlo con il modello evolutivo GTR+G+г4 per la condizione di orologio molecolare rilassato. L’albero (maximum clade credibility tree –MCCT) è stato generato con il massimo prodotto della posterior probability dopo un burnin del 10%. Analisi molecolare e pressione selettiva Sui geni HA e NA è stata eseguita l’analisi molecolare ed la stima del tasso di sostituzione sinonimo e non sinonimo (dN/dS). Per ogni data set il rapporto dN/dS è stato calcolato utilizzando il metodo Fixed Effects Likelihood (FEL) disponibile in Datamonkey (Hy-Phy package) (5). SUMMARY We investigated the evolutionary dynamics of 53 Italian H1N2 strains by comparing them with European H1N2SIVs. HA phylogeny revealed Italian strains fell into four groups: A and B had a human H1 similar to EU H1N2SIVs, which originated in mid 80’s but group B formed a subgroup that had a two aa deletion in HA. Group C contained an avian H1 that originated in mid 90’s and Group D had a H1 characteristic of the 2009 pandemic strain. Neuraminidase phylogeny suggested different genomic reassortments. Group A had a N2 that originated from human H3N2 in the late 70s. Group B had different human N2 closely related to the more recent human H3N2 virus, which occurred around 2000. Group C had an avian-like H1 combined with N2 of human or swine origin. Group D was part of the EU H3N2SIVs clade. Although selection pressure for HA and NA was low, several positively selected sites were identified in both proteins, some of which were antigenic, suggesting selection influenced the evolution of SIVs. INTRODUZIONE I virus influenzali suini, H1N1, H1N2 e H3N2, a differenza di quelli umani, presentano variazioni genetiche a secondo del continente di isolamento e si differenziano in due lineaggi: il lineaggio europeo (i ceppi isolati in Europa ed Asia) e quello americano (ceppi isolati in America). Il sottotipo H1N2 presente in Europa fu isolato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1994 e successivamente in Italia nel 1998. Questo sottotipo deriva dal riassortimento genetico tra tre differenti virus influenzali. Possiede, infatti, la emoagglutinina (HA) di un virus H1N1 umano circolante nei primi anni ‘80, la neuraminidasi (NA) di un virus H3N2 di origine umana ed i sei geni interni dei virus H1N1 e H3N2 europei di origine aviare (1). Lo scambio di geni virali tra diversi virus influenzali attraverso fenomeni di riassortimento è considerato uno dei meccanismi evolutivi in grado di generare nuovi ceppi virali potenzialmente pandemici. Studi evolutivi condotti recentemente sui ceppi H1N2 europei (6) hanno confermato l’origine di questo sottotipo come risultato di tre differenti eventi di riassortimento; tuttavia questo studio teneva n considerazione solo ceppi isolati fino al 2001. Il presente lavoro riguarda un’analisi filogenetica e uno studio dei fenomeni di riassortimento e di pressione selettiva condotto su 53 ceppi H1N2 italiani attraverso il sequenziamento completo dei geni HA e NA ed il confronto con ceppi influenzali suini (SIV), umani ed aviari (AIV) presenti in banca dati. Lo scopo di questo studio è quello di approfondire le relazioni genetiche fra virus influenzali provenienti da diverse specie animali, uomo compreso, per meglio comprendere l’importanza della continua evoluzione e la comparsa di possibili fenomeni riassortanti. Inoltre si stabilisce un confronto tra la tendenza evolutiva dei ceppi italiani ed europei. RISULTATI L’albero filogenetico del gene HA ha evidenziato la presenza di tre clades significativi: 1- H1 human-like dei ceppi EU H1N2 SIVs; 2- H1 avian-like dei ceppi EU H1N1 SIVs; 3- H1 dei ceppi H1N1 pandemici 2009 (H1N1pdm). I ceppi italiani sono stati suddivisi in quattro gruppi sulla base della filogenia HA: gruppo A con tre ceppi isolati nel 19982003 caratterizzati da un H1 human-like; gruppo B con 38 ceppi, uno isolato in 1998 ed il resto più recentemente nel 2003-2011. Questi due gruppi clusterizzano insieme ma il B forma un sottogruppo caratterizzato da una delezione di due amino-acidi nella HA in posizioni 146 e 147. Il gruppo C comprende 11 ceppi con un H1 avian-like altamente correlata con EU H1N1SIVs. Il quarto gruppo D contiene 1 ceppo riassortante H1N2 derivante dai H1N1pdm. L’analisi filogenetica del gene NA rileva la distribuzione dei ceppi italiani in tre clades. I ceppi A ed il ceppo B del 1998 formano parte del clade EU H1N2 SIVs. I restanti ceppi B si collocano nello stesso clade dei ceppi H3N2 umani ed infine il gruppo C comprende ceppi localizzati nei tre clades: 5 in quello dei ceppi H3N2 umani, 5 in EU H3N2 SIVs e 1 in EU H1N2 SIVs. L’analisi evolutiva ha evidenziato un maggior tasso di variazione genica per il gene HA rispetto il gene NA, espresso come sostituzioni per sito per anno (figura 1). Sulla base di questi risultati, i valori di tMRCA stimati suggeriscono che i ceppi H1N1 europei suini, MATERIALI E METODI Campionamento ed isolamento virale I ceppi oggetto dello studio sono stati isolati nel periodo compreso tra il 1998 ed il 2012 da tamponi nasali e polmoni di suini con sintomi clinici e lesioni anatomopatologiche. Per l’isolamento virali sono stati utilizzati uova embrionate di pollo e/o su linee cellulari MDCK e Caco-2. La determinazione del sottotipo virale è stata infine eseguita con l’utilizzo di 38 39 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 contribuito alla evoluzione determinando mutazioni amminoacidiche nei siti antigenici. Il monitoraggio continuo dei segmenti genici dei virus influenzali per l’identificazione di fenomeni di riassortimento è uno degli aspetti essenziali per una migliore comprensione dei processi di generazione di ceppi potenzialmente pandemici. compresi i ceppi italiani del gruppo A, si sono probabilmente evoluti da un antenato comune che aveva introdotto, tramite due eventi di riassortimento, il gene NA dai virus H3N2 umani alla fine degli anni 70 (evento n.1) e successivamente il gene HA dai virus H1N1 umani a metà degli anni 80 (evento n.2). Questo studio evidenzia inoltre altri tre nuovi fenomeni di riassortimento tra i ceppi suini ed umani riassunti nella figura n.1; il quarto evento rilevato nei ceppi B, risulta particolarmente interessante in quanto si presenta solo nei ceppi italiani. I valori del rapporto dN/dS, i siti sottoposti a pressione selettiva positiva cosi come la loro localizzazione e la presenza di siti antigenici sono riportati nella tabella 1. BIBLIOGRAFIA 1- Brown et al. (1998). J Gen Virol, 79: 2947-55 2- Chiapponi et al. (2012). J Virol Methods, 184:117-120 3- De Jong et al. (2007). J Virol,81:4315-4322 4- Hoffman et al. (2001). Arch Virol, 146: 2275-89 5- Kosakovsky Pond et al. (2005). Mol Biol and Evol, 22:1208-22 6- Lam et al. (2008). Virus Res, 131: 271-278 DISCUSSIONE Il sottotipo H1N2 è stato l’ultimo a stabilirsi nella popolazione suina europea ed in particolare in Italia dal 1998. Le analisi condotte in questo studio hanno evidenziato una chiara distinzione tra i ceppi italiani del gruppo A correlati con i ceppi H1N2 suini europei e quelli del gruppo B con una combinazione H-N diversa. Questa è caratterizzata da una doppia delezione amminoacidica nel receptor binding site della HA presente solo nei ceppi italiani e di una NA non correlata con quella dei ceppi suini europei ma derivante dai virus H3N2 umani. Il gruppo C, più eterogeneo, è formato da ceppi con una HA di derivazione aviare correlata con i ceppi suini H1N1 europei combinata con tre differenti N2 (dei ceppi suini H1N2, dei ceppi suini H3N2 e dei ceppi umani H3N2). Sulla base dell’analisi evolutiva si può ipotizzare che il genotipo H1N2 in Europa si sarebbe formato a partire da un ceppo precursore dotato di una NA di derivazione umana che avrebbe introdotto in seguito una HA sempre di derivazione umana attraverso due diversi eventi di riassortimento avvenuti in tempi diversi. Sembra quindi che i ceppi precursori H1N2 abbiano circolato nel territorio europeo per alcuni anni prima della identificazione del primo isolato nel 1994 in Scozia. Altri tre fenomeni di riassortimento si sono evidenziati nella evoluzione di questi virus. In particolare si segnala la presenza dei ceppi B la cui NA probabilmente deriva da un riassortimento con i ceppi H3N2 umani avvenuto circa nel 2000. Il gruppo C è più complesso e raggruppa ceppi probabilmente originati sia per il gene HA (evento 3) che NA (evento 5) come risultato di eventi di riassortimento tra ceppi suini di diversi sottotipi. Sono state rilevate quindi due linee evolutive diverse per i ceppi italiani. I ceppi A altamente correlati con i ceppi suini europei H1N2 ed una tipicamente italiana per i ceppi B più recenti. La presenza di tali ceppi è segnalata solo in Italia ma il numero di ceppi europei depositati in banca dati è ancora limitato in particolare per quanto riguarda l’Est Europa. L’analisi della pressione selettiva ha permesso di stimare tassi medi dN/dS non elevati per tutti i dataset. Questi sono in linea con quanto evidenziato da altri Autori (3) che ipotizzano per i virus influenzali suini una debole pressione selettiva da parte del sistema immunitario dell’ospite. Tuttavia le analisi sito per sito hanno rilevato la presenza di diversi siti nella HA e NA soggetti a pressione selettiva positiva, molti di questi localizzati in domini importanti ed in siti antigenici. Questo evidenzia che, sebbene la pressione selettiva media sia bassa, la selezione ha Tabella n.1- Pressione selettiva e siti sotto pressione selettiva positiva per i geni HA e NA di ogni dataset. 1- Dominio HA: E – vestigial esterase; RBD – receptor binding site; F – membrane fusion subdomain nella subunità HA2. Dominio NA: PIR – Phylogenetically important regions (Fanning et al, 2000); NA head .domain, antibody binding domain (Gulati et al., 2002) 2- Siti antigenici in HA: Ca, Sa, Sb (Caton et al,,1982). Siti antigenici NA (Colman et al., 1983) Gene H1 avian-like H1 human-like N2 EU sw H1N2 N2 Italiani H1N2 recenti N2 human H3N2 N. di N. aa sequenze 61 65 84 42 240 539 555 Mean dN/dS Siti sotto pressione selettiva positiva (95%CI) FEL P=0.1 0.208 (019-0.22) 0.185 (0.17-0.20) 461 0.181 (0.15-0.22) 459 116 HA1 - E 137, 152 159 172 185 213 232, 239 HA1 -RBD HA1 -RBD HA1 -RBD HA1 -RBD HA1 -RBD HA1 -RBD 392 HA2 - F 0.225 (0.21-0.24) 469 Dominio1 0.265 (0.24-0.29) 399 HA2 - F 102 HA1 - E 146 158 213 271 HA1 -RBD HA1 -RBD HA1 -RBD HA1 -RBD 550 HA2 - F 358 PIR H’ Ca Sa Ca Sb Ca Sb 381 455 0 43 PIR A’ NA head domain Antibody binding PRI F’ 151 221 339 370 Figura 1 - Diagramma riassuntivo degli eventi di riassortimento avvenuti nei virus H1N2 suini europei Sito antigenico2 Antigenic site Antigenic site RUOLO DELLA POLARIZZAZIONE DEI MACROFAGI DURANTE L’INFEZIONE DA SMALL RUMINANT LENTIVIRUS Bertolotti L.1, Crespo H.2, Juganaru M.1, Glaria I.2, de Andrés D.2, Amorena B.2, Reina R.2, Rosati S.1 Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università di Torino, Italy. Instituto de Agrobiotecnología, CSIC-Universidad Pública de Navarra, Mutilva Baja, Navarra, Spain. 1 2 Keywords: Macrophage polarization, small ruminants, SRLV. Abstract Small ruminant lentiviruses (SRLVs) infect the monocyte/ macrophage lineage inducing a long-lasting infection affecting body condition, production and welfare of sheep and goats. Macrophages play a pivotal role on host’s innate and adaptative immune responses against parasites by becoming differentially activated. Macrophage heterogeneity can be classified into differentiated M1 or M2 macrophages. We found that like in human and mouse systems, ovine and caprine macrophages can be differentiated with particular stimuli into M1/M2 subpopulations displaying specific markers. In addition, small ruminant macrophages are plastic since M1 differentiated macrophages can express M2 markers when the stimulus changes. SRLV replication was restricted in M1 macrophages and increased in M2 differentiated macrophages respectively according to viral production. Identification of the infection pathways in macrophage populations may provide new targets for eliciting appropriate immune responses against SRLV infection. risposta verso le diverse infezioni: i ceppi comprendevano ceppi MVV-like (genotipo A), CAEV-like (genotipo B) e i ceppi Roccaverano e Seui (genotipo E). La stimilazione è stata condotta utilizzando citochine di origine caprina, amplificando e clonando nel vettore di espressione pN3 le sequenze codificanti IFN-g, IL-4, IL-13 e IL-10. Cellule di E.coli TOP10 sono state trasformate per estrarre e purificare i plasmidi utilizzati nella trasfezione di HEK293-T. Il sovranatante è stato raccolto dopo 72 ore, chiarificato per centrifugazione e congelato a -80°C. Ogni citochina è stata quantificata utilizzando ove possibile kit commerciali. utilizzato per le fasi di stimolazione. In assenza di kit commerciali disponibili, IL-10 e IL-13 sono state quantificate mediante saggi di attività biologica, supponendo che l’efficienza di trasfezione e di produzione fosse comparabile a IFN-g e IL-4. Ogni citochina è stata aggiunta al terreno colturale dei macrofagi dopo 3 giorni dalla semina (concentrazione finale 50ng/ml). Dopo 3-4 giorni, il sovranatante è stato allontanato e cambiato con terreno fresco. Dopo 6 giorni dall’induzione dello stimolo, i macrofagi sono (i) stati lisati per estrarre l’RNA, (ii) infettati per valutare l’attività della retrotrascrittasi virale, o (iii) usati per valutare i livelli di entrata dei diversi ceppi virali. (i) L’RNA estratto dai macrofagi è stato testato in Real Time RTPCR per valutare l’espressione di diversi marker che potessero caratterizzare la diversa polarizzazione. TNF-α, CD80 and APOBEC3 Z1 (A3Z1) per il fenotipo M1 e Mannose Receptor (MR), DC-SIGN e IL-10 per il fenotipo M2. L’espressione della b-actina è stata misurata come gene housekeeping nel calcolo dei valori di espressione (2-ΔCt, Fig. 1). (ii) Dopo 6 giorni dallo stimolo, i macrofagi sono stati infettati con 6 diversi ceppi di SRLV (0.1 TCID50/cell). Dopo 2 ore, il terreno è stato cambiato con terreno fresco: 7 giorni post infezione, il sovranatante è stato raccolto per valutare la presenza di virus mediante la quantificazione dell’attività RT virale (HS-Lenti RT activity kit, Cavidi). (iii) La permissività dei macrofagi diversamente stimolati è stata valutata utilizzando pseudotipi virali ottenuti co-trasfettando HEK293-T con pCAEV-AP (un plasmide contenente in gene della fosfatasi alcalina) e con un secondo plasmide contenente il gene dell’envelope di diversi ceppi di SRLV. Inoltre, è stata valutata la polarizzazione causata direttamente dall’infezione, infettando i macrofagi con 0.1 TCID50/cell di ogni ceppo virale disponibile e valutando l’espressione dei diversi marker di polarizzazione. Tutti i risultati sono stati analizzati usando Kruskal Wallis test per valutare la differenza tra i diversi stimuli o verso i controlli non trattati. Nel caso di risultati statisticamente significativi, i paragoni successivi sono stati condotti con 2-tailed Wilcoxon rank-sum test. Introduzione I lentivirus dei piccoli ruminanti (SRLV) rappresentano un eterogeneo gruppo di virus in grado di infettare capre e pecore principalmente mediante la via lattogenica. A oggi non esistono efficaci misure profilattiche o terapeutiche e il controllo è basato prevalentemente sull’abbattimento degli animali infetti. Il bersaglio dell’infezione è rappresentato dalla linea cellulare monocita/macrofagica dove il provirus rimane integrato nel genoma dell’ospite. Questo porta a una lenta e continua replicazione virale e alla produzioni di citochine e chemochine proinfiammatorie, conducendo a processi infiammatori e lesioni tissutali (1). La permissività dei macrofagi a SRLV è modulata da citochine. Infatti IFN-γ reduce la replicazione di SRLV rallentando la maturazione del macrofago mentre aumentate concentrazioni di IL-8, GM-CSF, IL-16, IL-1beta, IL-4 e IL-10 sono associate a siropositività in vivo e a replicazione virale in vitro. La diversa stimolazione di cellule appartenenti alla linea monocita/macrofagica conduce all’attivazione di diverse sottopopolazioni: ad esempio, le citochine tipiche dei linfociti Th1 (IFNg, TNFa) portano alla polarizzazione verso M1, mentre le citochine prodotte da Th2 (IL-4, IL-13) polarizzano I macrofagi in M2 (2). Questo studio ha come scopo quello di valutare come l’infezioni da SRLV può essere modulata in presenza di diverse sottopopolazioni di macrofagi e come le infezioni stesse modificano la composizione di queste sottopopolazioni. Materiali e metodi Per descrivere la polarizzazione della linea monocita/ macrofagica nella capra, sono state utilizzate (i) linee cellulari fibroblastiche ottenute tramite biopsia, monociti di derivazione sanguigna, HEK293-T e CHO. Sei differenti ceppi virali sono stati usati, per valutare anche la possibile eterogeneità di 40 Risultati e Discussione I macrofagi hanno risposto alle diverse stimolazioni modificando il proprio fenotipo in M1 o M2. IFNg e LPS hanno 41 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 gene coinvolto nella risposta immunitaria innata. Ugualmente interessante è la polarizzazione verso un Risultati e Discussione fenotipo intermedio M1-2 dei macrofagi stimolati con LPS I macrofagi hanno risposto alle diverse stimolazioni (2). I dati direlativi all’ingresso del virus nella cellula modificando proprio fenotipo in M1 o M2. CD80 IFNg ee LPS una restrizione post-trascrizione all’infezione, portato a unailmaggiore espressione di TNFa, A3Z1 responsabili suggeriscono che la di riduzione della dei replicazione virale hanno portato una maggiore TNFa, la possibilità gemmazione virioni: il fenotipo (marker per M1),amentre i macrofagiespressione stimolati condiIL-4 e IL- riducendo avvenga in una successiva all’entrata: preliminari CD80 e A3Z1 (marker permaggiore M1), mentre presenta un fase aumento dell’espressione di dati APOBEC, fatto 13 mostrano un’espressione di MRi emacrofagi DC-SIGN M1 sullasuggerisce quantificazione DNA provirale integrato mostrano stimolatiin con IL-4 Le e analis IL-13 sul mostrano un’espressione il suo del ruolo nella riduzione dell’attività RT nel (p<0.05 tutti i test). tropismo dei fenotipi verso che infatti come cellulare. i macrofagi M1 mostrino una carica provirale maggiore chiaramente di MR e DC-SIGN in tutti M2 i test). Le sovranatante l’infezione mostrano(p<0.05 che il fenotipo favorisce inferiore rispetto ai ottenuti macrofagi M2.studio Inoltre TRIM5 e analis sul tropismo dei i sovranatanti fenotipi verso l’infezione i risultati in questo mostrano come la replicazione virale. Infatti di macrofagi M1 Concludendo, APOBEC, sono eresponsabili di unadelle restrizione postchiaramente mostrano che il fenotipo inferiore M2 favorisce la la differenziazione la caratterizzazione sottopopolazioni mostrano un’attività RT significativamente (Wilcoxon trascrizione in all’infezione, riducendoda la possibilità di replicazione virale. Infattiindipendentemente i sovranatanti di dal macrofagi M1 macrofagiche seguito all’infezione SRLV condividono Rank Sum test p <0.05), ceppo virale gemmazione dei virioni: il fenotipo M1 presenta un mostrano perun’attività significativamente caratteristiche con i pattern di differenziazione studiati utilizzato l’infezione.RT In accordo con i risultatiinferiore ottenuti, simili aumento indell’espressione di daAPOBEC, cheè (Wilcoxonda Rank p <0.05),laindipendentemente seguito all’infezione HIV: questofatto aspetto l’infezione SRLVSum tendetest a promuovere polarizzazione verso nell’uomo, suggerisce soprattutto il suo ruoloper nella riduzione dell’attività RT nel ceppo M2 virale accordo con i importante, comprendere come l’organismo ildal fenotipo in utilizzato macrofagiper nonl’infezione. stimolati. IlInmiglior tropismo sovranatante risultati ottenuti, da SRLV a promuovere possa cellulare. rispondere e interagire con SRLV e, di dei macrofagi M2l’infezione verso l’infezione nontende sembra però essere ospite Concludendo,valutare i risultati ottenuti in questo mostrano la polarizzazione verso il fenotipo in macrofagi non conseguenza, quali possano esserestudio le caratteristiche motivato a livello recettoriale, visto cheM2 i risultati relativi ai saggi come la migliori differenziazione e la all’infezione. caratterizzazione delle stimolati. Il migliorchetropismo dei differenze macrofagi M2 verso per la resistenza di entrata mostrano non vi sono significative tra genetiche sottopopolazioni macrofagiche in seguito all’infezione da non indipendentemente sembra però essere motivato livello il’infezione diversi fenotipi, dal ceppo virale autilizzato. SRLV condividono simili caratteristiche con i pattern di recettoriale, visto che i risultati relativi ai saggi di entrata I nostri risultati confermano che i pattern di polarizzazione Bibliografia differenziazione studiati E, nell’uomo, seguito all’infezioneI, mostrano che non vi sono differenze tra i Eriksson K, McInnes Ryan S, inTonks P, McConnell 1. M1/M2 sono conservati in specie diverse,significative compresi i piccoli da HIV: B: questo è importante, soprattutto per diversi fenotipi, indipendentemente dal ceppo virale Blacklaws CD4(+)aspetto T-cells are required for the establishment ruminanti. E’ interessante notare come il fenotipo M1 presenta, comprendere l’organismo ospite possa e utilizzato. maedi-visna come virus infection in macrophages butrispondere not dendritic a differenza di ciò che accade nell’uomo e nel topo (3), un of interagire con SRLV e, di conseguenza, valutare quali Iincremento nostri risultati confermano che i pattern di polarizzazione nell’espressione di APOBEC3, gene coinvolto nella cells in vivo. Virology 1999, 258:355-364. possano essere le caratteristiche genetiche migliori la M1/M2 sono conservati in Ugualmente specie diverse, compresi i 2. Mantovani A, Sica A, Sozzani S, Allavena P, Vecchi A,per Locati risposta immunitaria innata. interessante è la resistenza all’infezione. piccoli ruminanti. E’uninteressante notare M1-2 comedei il macrofagi fenotipo M: The chemokine system in diverse forms of macrophage polarizzazione verso fenotipo intermedio M1 presenta, a differenza di ciò che accade del nell’uomo e activation and polarization. Trends in immunology 2004, stimolati con LPS (2). I dati relativi all’ingresso virus nella nel topo (3), un incremento nell’espressione di APOBEC3, cellula suggeriscono che la riduzione della replicazione virale 25:677-686. avvenga in una fase successiva all’entrata: dati preliminari sulla 3. Martinez FO, Gordon S, Locati M, Mantovani A: Bibliografia quantificazione del DNA provirale integrato mostrano infatti Transcriptional profiling of the human monocyte-to-macrophage 1. Eriksson K, McInnes E, Ryan S, Tonks P, McConnell I, Blacklaws B: CD4(+) T-cells are required for the establishment of maedi-visna differentiation and polarization: new molecules and patterns of come i macrofagi M1 mostrino unadendritic carica provirale inferiore virus infection in macrophages but not cells in vivo. Virology 1999, 258:355-364. gene expression. Journal of immunology 2006, 177:7303-7311. rispetto ai macrofagi Inoltre TRIM5 P, e Vecchi APOBEC, sonoM: The 2. Mantovani A, Sica A, M2. Sozzani S, Allavena A, Locati chemokine system in diverse forms of macrophage activation and polarization. Trends in immunology 2004, 25:677-686. 3. Martinez FO, Gordon S, Locati M, Mantovani A: Transcriptional profiling of the human monocyte-to-macrophage differentiation and polarization: new molecules and patterns of gene expression. Journal of immunology 2006, 177:7303-7311. 50 40 3.0 LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control 2.0 1.0 IL-10 30 0 0.0 10 20 DC-SIGN 40 100 60 0 20 MR LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control 42 30 10 0 0 LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control 50 LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control 20 A3Z1 6 2 4 CD80 15 10 0 5 TNF! 20 8 25 Figura 1. Espressione relativa di TNF-α, CD80, A3Z1, MR, DC-SIGN e IL-10 misurata in qReal Time RT-PCR. I valori sono espressi -ΔCt x 100 calcolata su almeno 3 esperimenti indipendenti, normalizzati con il gene β-actina. come 2 LPS IFN! IL-4 IL-13 IL-10control 2 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI CAMPO DI PESTE EQUINA ISOLATI IN NAMIBIA TRA IL 2006 E IL 2008 Bortone G., Cosseddu G.M., Molini U., Scacchia M., Lelli R., Monaco F. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Via Campo Boario – 64100 Teramo Key words: African Horse Sickness, genetic characterisation, Namibia SUMMARY Nucleotide sequence of the S10 genomic segment of African Horse Sickness (AHS) virus was obtained from 5 virulent field isolates, collected during disease outbreaks occurred in Namibia in 2006 and 2008. Sequences were aligned and analysed in comparison with a large selection of sequences available on GenBank. Phylogenetic analysis confirmed that AHSV S10 sequences are divided in three distinct phylogenetic clades (α, β and γ). The Namibian isolates clustered in α (serotypes 4 and 9) and in γ (serotypes 1 and 2) in close relationship between them. None of these isolates clustered in the clade β. INTRODUZIONE La Peste Equina (African Horse Sickness - AHS) è una malattia infettiva, non contagiosa, ad eziologia virale (AHSV), che colpisce tutte le specie di equidi. È causata da un Orbivirus della famiglia dei Reoviridae; caratterizzata da alterazioni a carico delle funzioni respiratorie e circolatorie è trasmessa da insetti del genere Culicoides. AHS è endemica in una vasta area dell’Africa a sud del Sahara, che va dal Senegal fino all’Etiopia e alla Somalia e si estende a sud fino al Sud Africa (3). Sono stati descritti nove sierotipi del virus antigenicamente distinti fra loro (2). Nella seconda metà del 1900 la malattia ha fatto frequenti comparse in Medio Oriente, in Nord Africa e in Europa. Nel 1965, vennero osservati focolai di AHS in Marocco, in Tunisia, in Algeria, causati dal sierotipo 9. La malattia, dopo aver attraversato lo Stretto di Gibilterra, raggiunse la Spagna nel 1966 (3). Vent’anni più tardi, nel 1987, AHS ricomparve in Spagna, in seguito all’importazione di zebre, infettate dal sierotipo 4, provenienti dalla Namibia (6). Focolai vennero osservati nel paese anche negli anni successivi, fin quando la malattia non fu definitivamente debellata nel 1991 (3,6). Il genoma di AHSV è composto da dieci segmenti di RNA bicatenario, che codificano sette proteine strutturali (da VP1 a VP7) e quattro non strutturali (NS1, NS2, NS3 e NS3A). Il segmento 10 (S10), è il più piccolo e a causa della elevata variabilità della sequenza nucleotidica è stato impiegato in studi di epidemiologia molecolare (5,7,10). La Peste Equina è endemica In Namibia, la malattia ha un significativo impatto economico per il settore agricolo. Questo studio è stato realizzato nel ambito di un’ampia attività di collaborazione scientifica esistente tra il Central Veterinary Laboratory Namibiano e l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” e ha lo scopo di caratterizzare gli isolati virali raccolti nel corso di focolai di AHS. Il lavoro riporta le relazioni filogenetiche tra gli isolati Namibiani e un’ampia selezione di ceppi di campo e di riferimento, le cui sequenze sono disponibili su GeneBank. polmone, ghiandole parotide e linfonodi mandibolari, mediastinici e meseraici) sono stati, invece, prelevati da animali venuti a morte. I campioni raccolti sono stati testati per verificare la presenza del genoma di AHSV mediante una prova diagnostica real time RT-PCR, specifica per il segmento 8 del genoma virale (4). La circolazione di AHSV è stata confermata in 5 focolai. Dai campioni positivi si è proceduto, successivamente, all’isolamento virale su monostrati di cellule VERO (African green monkey kidney). Il sierotipo degli isolati è stato determinato mediante test di neutralizzazione virale, seguendo la procedura descritta nel Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals (OIE), il risultato è stato confermato ulteriormente mediante RTPCR sierotipo-specifica (8). La sequenza nucleotidica di S10 è stata ottenuta dopo il clonaggio del segmento genomico in un apposito vettore. Brevemente: cellule VERO a confluenza sono state infettate con gli isolati di AHSV ed incubate a 37°C fino ad effetto citopatico. L’RNA virale estratto è stato retro-trascritto e la sequenza del frammento S10 è stata amplificata mediante PCR utilizzando la coppia di primer: (fwd) AHSV9 NS3_1F 5I-GTTTAATTATCCCTTGTCATG-3I e (rev) AHSV9 NS3_R 5I-GTAAGTTGTTATCCCACTCCCTAGAA-3I. I prodotti della amplificazione sono stati purificati con QIAquick PCR Purification Kit (Qiagen) e clonati in TOPO TA Cloning Kit for Sequencing (Life Technologies) in cellule One Shot TOP10 (Life Technologies). Successivamente, sono stati selezionati tre cloni di ciascun isolato e i plasmidi ricombinanti sono stati digeriti con l’enzima EcoRI (Roche Diagnostics), per confermare la presenza dell’inserto, mediante corsa elettroforetica su gel di agarosio e visualizzazione di una banda di circa 800 bp. I frammenti risultanti sono stati sequenziati utilizzando i primers M13 forward e reverse (Life Technologies, Carlsbad, CA, USA) mediante sequenziatore l’ABI PRISM 3100 (Applied Biosystems) usando BigDye Terminator v 3.1 Cycle Sequencing Kit. Le sequenze ottenute sono state assemblate con il software Contig Express (Vector NTI Suite 9.1, Invitrogen) e un frammento di circa 707 nucleotidi (nt) è stato ottenuto da ciascun isolato. Sono state analizzate 5 sequenze in totale, una per ciascuno dei 5 focolai in cui è stata dimostrata la circolazione virale. Il programma di comparazione di sequenze BLAST (http://blast.ncbi.nlm.nih. gov/Blast.cgi) è stato usato per trovare sequenze omologhe nelle banche dati presenti in internet (http://www.ncbi.nlm.nih. gov / GenBank). Si è proceduto all’allineamento delle sequenze utilizzando il software MUSCLE (Multiple Sequence Comparison by LogExpectation) (1). L’analisi filogenetica è stata realizzata con il metodo Neighbor Joining (NJ) usando il software MEGA versione 5 (9) e 1000 ripetizioni (bootstrap) (Figura). MATERIALI E METODI In Namibia, tra il 2006 e il 2008, sono stati riportati numerosi focolai di AHS, in allevamenti di cavalli, in maneggi e scuderie. Campioni di sangue sono stati raccolti da animali affetti nella fase febbrile iniziale della malattia; campioni di tessuti (milza, RISULTATI E CONCLUSIONI Tra il 2006 e il 2008 è stata rilevata la circolazione di AHSV in 5 focolai, localizzati nei distretti di Okahandja, Omitara, Derm e Witvlei. I sierotipi messi in evidenza sono stati: 1, 2, 4 e 9 (Tabella 1) 43 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L’analisi filogenetica mostra che i ceppi di AHSV si raggruppano in tre distinti cluster, indicati come α, β e γ, come riportato in Figura 1. Gli isolati namibiani esaminati in questo studio, si collocano nei cluster α e γ, in particolare: AHSV_4 Namibia 2006, AHSV_4 Namibia 2008 e AHSV_9 Namibia 2008 nel cluster α, AHSV_1 Namibia 2008 e HSV_2 Namibia 2006 in γ. Nessuno di loro si trova in β. Gli isolati namibiani sono filogeneticamente vicini tra loro e non mostrano differenze marcate rispetto ai ceppi di AHSV provenienti dal Sud Africa, che rappresentano la grande maggioranza delle sequenze disponibili su GenBank. È possibile osservare che la assegnazione degli isolati nei tre cluster è influenzata dai 9 sierotipi di AHSV, in particolare alcuni sierotipi si raggruppano specificamente di un singolo cluster (9 in α, 3 e 7 in β, 2 e 6 in γ), mentre altri (1, 4, 5, 8) sono distribuiti in più cluster. Questa associazione, riscontrata anche da altri autori (5,7,10), potrebbe spiegare un legame funzionale tra il segmento VP2 che determina il sierotipo e S10. La caratterizzazione degli isolati namibiani sulla base della sequenza S10, non evidenzia specificità legate alla provenienza geografica dei virus namibiani, rispetto a quelli provenienti dal vicino Sud Africa. La disponibilità sui database di un maggior numero di sequenze provenienti da zone in cui la malattia è endemica che sono attualmente non rappresentate permetterebbe un’analisi più precisa delle relazioni filogenetiche tra i ceppi di AHSV. L’analisi con BLAST delle sequenze nucleotidiche dei ceppi isolati ha mostrato l’analogia con il genoma di AHSV. Sebbene, a causa della elevata variabilità genetica del segmento S10 di AHSV, è stato necessario, per trovare tutte le sequenze presenti in GeneBank, modificare l’algoritmo di ricerca, cambiando da megablast (indicato per sequenze altamente simili) a blastn (indicato sequenze alquanto simili). Tabella 1 - La tabella riporta il sierotipo, l’anno di isolamento e la provenienza degli isolati namibiani di AHS Isolato Sierotipo Anno Distretto AHSV 1_Namibia 1 2008 Okahondja AHSV 2_Namibia 2 2006 Witvlel AHSV 4_Namibia 4 2006 Okahondja AHSV 4_Namibia 4 2008 Omitara AHSV 9_Namibia 9 2008 Derm L’analisi delle sequenze ha mostrato un’elevata similitudine tra AHSV_4 Namibia 2006 e AHSV_4 Namibia 2008, e tra AHSV_1 Namibia 2008 e AHSV_2 Namibia 2006 (circa il 100% di identità nucleotidica). Differenze nucleotidiche più elevate sono state osservate tra i due ceppi AHSV 4_Namibia e AHSV 9_Namibia 2008 (circa 13%) e maggiormente ancora tra AHSV 2_Namibia_2006 e AHSV 9_Namibia 2008 e tra AHSV 2_ Namibia_2006 e AHSV 4_Namibia 2008 (circa 30%) Figura 1- Albero filogenetico che mostra le relazioni genetiche tra gli isolati virali di Peste Equina. L’albero è stato costruito sulla base dell’allineamento di 707 nucleotidi del segmento S10 di AHSV. Nella figura de sequenze ottenute in questo studio, sono indicate con cerchi neri. I virus sono identificati usando una denominazione che comprende: il nome del ceppo, il sierotipo, l’anno e il paese di provenienza seguito dal numero di accesso di GenBank. L’analisi è stata effettuata col software MEGA 5 ed il metodo Neighbor Joining. Nella figura vengono mostrati I valori di bootstrap >70 (1000 replicati). BIBLIOGRAFIA 1. Edgar, R.C., 2004. MUSCLE, multiple sequence alignment with high accuracy and high throughput. Nucleic Acid Res.32, 1792-1797. 2. Howell, P.G., 1962. The isolation and identification of further antigenic types of African horse sickness virus, Onderstepoort J. Vet. Res. 29, 139–149. 3. Mellor, P.S., Hamblin C., 2004. African horse sickness. Vet. Res. 35, 445–466. 4. Monaco, F., Polci, A., Lelli, R., Pinoni, C., Di Mattia, T., Mbulu, R.S., Scacchia, M., Savini, G. 2011. A new duplex real-time RTPCR assay for sensitive and specific detection of African horse sickness virus. Mol. Cell. Probes 25(2-3), 87-93. 5. Quan M., van Vuuren M., Howell P.G., Groenewald D., Guthrie A.J. 2008. Molecular epidemiology of the African horse sickness virus S10 gene. J Gen Virol. 89(Pt 5),1159-68. 6. Rodriguez, M., Hooghuis H., Castano M., 1992. African horse sickness in Spain. Vet. Microbiol. 33, 129–142. 7. Sailleau, C., Moulay, S. & Zientara, S., 1997. Nucleotide sequence comparison of the segments S10 of the nine African horsesickness virus serotypes. Arch Virol 142, 965–978. 8. Sailleau, C., Hamblin, C., Paweska, J.T., Zientara, S. 2000. Identification and differentiation of the nine African horse sickness virus serotypes by RT-PCR amplification of the serotype-specific genome segment 2. J. Gen. Virol. 81(Pt 3), 831-7. 9. Tamura, K., Peterson, D., Peterson, N., Stecher, G., Nei, M., Kumar, S. 2011. MEGA5: molecular evolutionary genetics analysis using maximum likelihood, evolutionary distance, and maximum parsimony methods. Mol. Biol. Evol. 28,2731-9. 10.van Niekerk, M., van Staden, V., Van Dijk, A. A. & Huismans, H. 2001. Variation of African horsesickness virus nonstructural protein NS3 in southern Africa. J Gen Virol 82, 149–158. 44 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SORVEGLIANZA ENTOMOLOGICA DEL VIRUS WEST NILE IN EMILIA-ROMAGNA NEL 2013 Calzolari M.1, Bonilauri P.1, Defilippo F.1, Maioli G.1, Pinna M. 1, Cordioli P.1, Lelli D.1, Bellini R.2, Natalini S. 3, Angelini P.3, Dottori M.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Via Bianchi, 9 – 25124 Brescia 2 Centro Agricoltura Ambiente “G. Nicoli”, Via Argini Nord, 3351 – 40014 Crevalcore (BO) 3 Regione Emilia-Romagna, Viale Aldo Moro, 52 – 40127 Bologna Key words: West Nile virus, zanzara , sorveglianza SUMMARY West Nile virus (WNV) is a worldwide emerging health problem. This virus, transmitted between mosquito (vectors) and wild birds (reservoirs), affects humans and horses as dead end hosts, causing meningitis in most severe cases. To monitor presence and spread of WNV, a surveillance program was set in Emilia-Romagna. This plan included also an entomological surveillance, based on examinations of field collected mosquitoes. Until the beginning of September, 276.144 mosquitoes, grouped in 2072 pools, were tested (partial data). Of these pools 107 tested positive for WNV and 99 tested positive for the closely related Usutu virus. Detection of WNV in mosquitoes anticipated the appearance of human cases. The obtained results highlight that, if mosquito trapping effort is intensive, detection of WNV in entomological surveillance precedes other surveillance tools, demonstrating its usefulness and reliability in terms of planning public health policies. Le zanzare catturate sono suddivise per specie, sito e data di cattura, con un massimo di 200 esemplari per pool. Le metodiche di estrazione, retrotrascrizione ed amplificaizone sono descritte diffusamente in (4), brevemente l’RNA viene estratto tradizionalmente dai pool di zanzare tramite reagente Trizol (o equivalenti) e retrotrascritto utilizzando random primer, quindi i campioni sono sottoposti ad un pannello di PCR: un protocollo tradizionale per i flavivirus e due protocolli real time per la ricerca specifica di WNV e USUV. I pool positivi vengono quindi confermati tramite sequenziamento. RISULTATI E CONCLUSIONI Nel 2013 il sistema di sorveglianza ha rilevato la presenza del WNV in Emilia-Romagna, la ricomparsa del virus segue 2 anni di mancata circolazione, dopo che esso è stato rilevato continuativamente dal 2008 al 2010 sul territorio regionale (2, 3, 4). Il sequenziamento evidenzia che, al contrario della precedente circolazione, questo virus appartiene al lineaggio 2, dimostrando che si tratta di una nuova introduzione. Questo virus è simile agli altri ceppi di lineaggio 2 circolanti in Europa, dall’Ungheria, dove questo lineaggio è stato rilevato per la prima volta nel 2004, alla Grecia, dove ha provocato più di 400 casi umani dal 2010 al 2012 (dati ECDC). Il primo pool positivo di zanzare è stato catturato il 3 Luglio, circa 6 settimane prima della conferma del primo caso umano (13 Agosto). A questo primo pool sono seguiti molti altri pool positivi, raccolti nella maggioranza delle provincie sorvegliate (con le esclusioni di Forlì-Cesena e Rimini), mostrando un’intensa circolazione virale (Figura 1, Tabella 1), alla quale sono seguiti diversi casi umani nelle stesse province. INTRODUZIONE Il virus West Nile (WNV) circola nell’ambiente fra uccelli selvatici, principali serbatoi riconosciuti del virus, e zanzare, i vettori. Il virus può accidentalmente colpire il cavallo e l’uomo, che non sviluppano una viremia in grado di infettare le zanzare e sono quindi ospiti a fondo cieco. Nell’uomo il virus è per la maggior parte asintomatico ma può causare stati febbrili e meningite in una minoranza dei casi. Il vettore principale in Italia settentrionale è la zanzara Culex pipiens, ma le specie di uccelli coinvolte come serbatoio sono molte e l’importanza relativa di ognuna di esse non è nota. Per questi motivi il ciclo di questo virus risulta molto complesso e difficilmente prevedibile. L’uomo non svolge un ruolo attivo come serbatoio, e l’ infezione è un evento accidentale, non necessario alla persistenza del virus. L’infezione nell’uomo avviene quando questo circola abbondantemente nell’ambiente e quindi compare tardivamente rispetto alla comparsa del virus in zanzare e uccelli. A supporto del piano di sorveglianza Nazionale, un piano di sorveglianza integrato è stato adottato in Emilia-Romagna proprio per individuare precocemente la presenza e valutare l’intensità di circolazione di WNV (1). Parte integrante di questo Piano è la sorveglianza entomologica di seguito descritta. Tabella 1 – Esemplari e numero pool esaminati per ogni specie di zanzara con i relativi esiti positivi (dati al 5 Settembre). Specie N Pool +/WNV +/USUV 1142 86 0 0 12.716 202 1 2 72 2 0 0 8750 107 0 0 An. maculipennis s.l. 25 2 0 0 Cq. richiardii 31 4 0 0 Cx. modestus 940 30 1 0 Cx. pipiens 252.468 1639 105 97 Totale 276.144 2072 107 99 Ae.albopictus Ae. caspius Ae. geniculatus Ae. vexans MATERIALI E METODI La parte entomologica del sistema di sorveglianza regionale WNV prevede l’utilizzo di trappole attrattive per la cattura delle zanzare, in particolare trappole ad anidride carbonica e gravid trap. Le trappole sono distribuite su tutto il territorio di pianura della regione, una per ogni quadrante di una griglia di 10x10 km, per un totale di 88 stazioni fisse. Altre 55 stazioni straordinarie sono state campionate con cadenza variabile. Ogni sito è georeferenziato e le trappole funzionano quindicinalmente per una notte, dalle 18:00 alle 9:00 del giorno successivo. NOTE: Ae. Aedes, An. Anopheles, Cq. Coquillettidia, Cx. Culex. I taxa Ochlerotatus e Stegomya sono stati considerati sottofamiglie della famiglia Aedes. 45 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 di zanzare. USUV appartiene allo stesso gruppo antigenico di WNV ed ha un ciclo simile, che coinvolge zanzare e uccelli selvatici, ma ha un minore potere patogeno per l’uomo. L’affinità fra questi due virus è confermata anche dalla condivisione del vettore principale, che anche per USUV è Cx. pipiens, 97 dei 99 pool positivi appartengono a questa specie. Altri 2 pool sono composti da Ae. caspius, questo dato era emerso anche negli anni precedenti (4). WNV ed USUV hanno inoltre circolato contemporaneamente sul territorio, come dimostrato dal rilevamento contemporaneo dei due virus in 28 pool di zanzare. I risultati ottenuti dimostrano che, se lo sforzo di campionamento è adeguato, il sistema di sorveglianza è in grado di rilevare il virus prima dell’insorgenza di casi umani, permettendo di organizzare adeguate strategie preventive. Ad inizio Settembre sono state testate 276.144 zanzare in 2072 pool (dati parziali), più del 90% di queste zanzare appartiene alla specie Cx. pipiens. Figura 1 – Pool positivi per i virus testati per le rispettive settimane di campionamento con riferimento al numero di esemplari di Cx. pipiens esaminati (dati parziali). BIBLIOGRAFIA 1. Angelini P, Tamba M, Finarelli AC, Bellini R, Albieri A, Bonilauri P, Cavrini F, Dottori M, Gaibani P, Martini E, Mattivi A, Pierro AM, Rugna G, Sambri V, Squintani G, Macini P. 2010. West Nile virus circulation in Emilia-Romagna, Italy: the integrated surveillance system 2009. Euro Surveill;15(16). doi:pii: 19547. 2. Calzolari M, Bonilauri P, Bellini R, Albieri A, Defilippo F, Maioli G, Galletti G, Gelati A, Barbieri I, Tamba M, Lelli D, Carra E, Cordioli P, Angelini P, Dottori M. 2010. Evidence of simultaneous circulation of West Nile and Usutu viruses in mosquitoes sampled in Emilia-Romagna region (Italy) in 2009. PLoS One; 5(12):e14324. 3. Calzolari M, Gaibani P, Bellini R, Defilippo F, Pierro A, Albieri A, Maioli G, Luppi A, Rossini G, Balzani A, Tamba M, Galletti G, Gelati A, Carrieri M, Poglayen G, Cavrini F, Natalini S, Dottori M, Sambri V, Angelini P, Bonilauri P. 2012. Mosquito, bird and human surveillance of West Nile and Usutu viruses in Emilia-Romagna Region (Italy) in 2010. PLoS One; 7(5):e38058. 4. Calzolari M, Bonilauri P, Bellini R, Albieri A, Defilippo F, Tamba M, Tassinari M, Gelati A, Cordioli P, Angelini P, Dottori M. 2013. Usutu virus persistence and West Nile virus inactivity in the Emilia-Romagna region (Italy) in 2011. PLoS One; 8(5):e63978. Dei pool testati 107 sono risultati positivi al WNV, 105 sono composti da Cx. pipiens, uno da Aedes (Ochlerotatus) caspius ed uno da Cx. modestus, specie ornitofila, come Cx. pipiens, ma più comune in acque basse e soleggiate. Questo dato conferma che il vettore principale di WNV nel territorio sorvegliato è Cx. pipiens. Mentre il coinvolgimento di Cx. modestus nel ciclo del virus era già stato ipotizzato, più improbabile appare quello di Ae. caspius, specie con scarsa competenza vettoriale per WNV e con abitudini mammofila. L’importanza vettoriale relativa di una specie è comunque legata all’area sorvegliata, visto che in ogni territorio il ruolo di vettore principale può essere ricoperto da una diversa specie di zanzara, in dipendenza delle particolari condizioni ambientali. Come nel periodo precedente, a partire dal 2009 (anno del suo primo rilevamento nelle zanzare in Emilia-Romagna) (2), anche nel 2013 è stato rilevato il virus Usutu (USUV) in ben 99 pool XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SORVEGLIANZA PER NOROVIRUS IN ITALIA 2012-2013 Martella V.1, Medici M.C.2, Tummolo F.2, Calderaro A.2, De Grazia S.3, Terio V.1 Buonavoglia C. 1, Giammanco G.M.3 Dipartimento di Medicina Veterinaria, Valenzano, Università di Bari; Unità di Microbiologia e Virologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Parma; 3 Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile “G. D’Alessandro”, Università di Palermo 1 2 Key words: norovirus, sorveglianza, Italia SUMMARY Noroviruses (NoVs) are important enteric pathogens of humans. Contaminated food is an important transmission route. Surveillance for NoV has been enacted in several countries. However, data on NoVs in Italy in the European databases are scanty. In order to fill this gap, Italian microbiological laboratories (ISGEV) started collecting and analysing data in a concerted fashion. In the 2012-13 winter season, global surveillance for NoV evidenced the onset of a new GII.4 variant, termed Sydney 2012. In Italy, ISGEV surveillance revealed that this variant already circulated at low frequency in the winter season 2011-12 and emerged definitively only in the late 2012. Analysis of these early strains of the variant Sydney 2012 revealed mutations in key epitopes. Also, inter-pandemic (2009/2012) recombinant GII.4 strains were detected, thus posing a challenge for the diagnostic. effettua una sorveglianza sulla circolazione dei virus enterici umani ed animali. La sorveglianza dei virus enterici umani è effettuata in pazienti pediatrici con gastroenterite ricoverati in ospedale o visitati a livello ambulatoriale. Tale sorveglianza viene condotta mediante genotipizzazione utilizzando una strategia “multi-target” che mira a tipizzare sia il gene che codifica per la RNA-polimerasi virale (ORF1), nelle regioni diagnostiche A e B, che quello della proteina capsidica maggiore VP1 (ORF2), nelle regioni C e D del genoma (8). Le sequenze geniche ottenute dalle regioni rappresentative del genoma virale consentono di definire il genotipo polimerasico e capsidico del ceppo analizzato mediante confronto con le sequenze di riferimento depositate nella banca dati del NoroNet, istituita in Olanda presso il RIVM (RijksInstituut voor Volksgedondheid en Milieu), utilizzando il software di analisi filogenetica on-line Norovirus Typing Tool (http://www.rivm.nl/ mpf/norovirus/typingtool). INTRODUZIONE I norovirus (NoV), appartengono alla famiglia Caliciviridae, e sono la causa più frequente di epidemie di gastroenterite acuta in tutte le fasce di età. Essi acquisiscono un particolare ruolo eziologico nei bambini di età inferiore a 5 anni rappresentando la seconda causa di ricovero per gastroenterite dopo rotavirus (5,6,13). Il fenomeno della globalizzazione e i cambiamenti nelle abitudini alimentari (crescente consumo di prodotti surgelati e/o preparati), nonché alcune caratteristiche biologiche dei NoV, spiegano la crescente diffusione di questi virus. I NoV possono essere suddivisi geneticamente in almeno sei genogruppi, GI-GVI (4,10). Sebbene all’interno dei genogruppi GI, GII e GIV siano stati descritti più di 30 genotipi di NoV che infettano l’uomo (7), un singolo genotipo, GII.4, è associato alla maggior parte delle gastroenteriti da NoV in tutto il mondo (1). L’analisi di sequenza dei NoV GII.4 ha evidenziato che tali ceppi sono particolarmente soggetti ad accumulo di mutazioni puntiformi e/o a eventi di ricombinazione genetica, generando varianti pandemiche ogni 2-3 anni (11). In vari Paesi alla fine del 2012 è stata segnalata un’aumentata incidenza sia di episodi epidemici che di casi sporadici di gastroenterite da NoV associati all’emergenza di una nuova variante del genotipo GII.4, denominata Sydney 2012, in quanto identificata per la prima volta in Australia nel marzo del 2012 (12). La variante GII.4 Sydney 2012 sembra riconoscere l’origine del gene cap dalle precedenti varianti GII.4 Apeldoorn 2008 e New Orleans 2009 mentre il gene pol (GII.e) deriva dalla variante Osaka 2007 (2). Tabella 1: ISGEV Durante la stagione invernale 2011-12 (novembre-marzo), la prevalenza dell’infezione da NoV, diagnosticata mediante metodiche molecolari, è stata del 22,2% (121/545). Il 41,7% dei campioni tipizzati è stato riconducibile alla variante GII.4 New Orleans 2009. Tale variante è considerata una variante pandemica che ha circolato su scala globale a partire dal 2008 (2). Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 (novembre 2011- gennaio 2012) sono stati identificati 4 casi sporadici e un piccolo focolaio epidemico (febbraio 2012), originariamente associati ad un ceppo NoV ricombinante pol/cap, GII.Pe_ GII.4. A seguito del più recente aggiornamento del database Norovirus Typing Tool è stato possibile riclassificare questi ceppi ricombinanti GII.Pe_GII.4 come appartenenti alla nuova variante GII.4 Sydney 2012. La sorveglianza è proseguita anche nei periodi primaverile, estivo e autunnale del 2012 e da aprile a ottobre sono stati identificati altri 56 campioni NoV-positivi su 737 analizzati (7,6%). L’analisi di sequenza di 34 (60,7%) di questi ceppi ha dimostrato che nel 41,2% dei casi il gene cap era riconducibile a NoV GII.3 (la maggior parte in combinazione con GII. Pb pol), il 26,5% era riconducibile a virus GII.Pg_GII.1 ed il 17,6% a diverse varianti GII.4, tra le quali la variante New Orleans 2009 era predominante, mentre la variante Sydney 2012 sembrava essere apparentemente scomparsa. Alla fine del 2012 (novembre-dicembre) e nel gennaio 2013 l’ISGEV ha rilevato una prevalenza del 28,9% (90/311) di infezione da MATERIALI E METODI Il Gruppo di Studio Italiano sui Virus Enterici (ISGEV; http:// isgev.net) arruola laboratori di microbiologia umana e veterinaria di Bari, Palermo, Teramo e Parma (Tabella 1). ISGEV 46 47 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 NoV ed il 74,3% dei ceppi è stato caratterizzato come variante GII.4 Sydney 2012. Tale dato conferma che anche in Italia questa variante ha acquisito una rilevanza epidemiologica analogamente a quanto evidenziato in altri paesi europei ed extra-europei (3). Sydney 2012 (cap) (Figura 1). Questi dati suggeriscono un’ulteriore evoluzione della variante Sydney 2012. La comparsa di ceppi privi della pol GII.e, considerata una sua peculiarità, costituisce un’ulteriore difficoltà diagnostica in sede di tipizzazione di cui tenere conto. Al fine di analizzare i ceppi circolanti sul territorio italiano, una selezione di stipiti NoV GII.4 Sydney 2012 rappresentativi della stagione 2011-12 e 2012-13 è stata sottoposta a sequenziamento di una porzione informativa del genoma. Sono stati inoltre analizzati degli stipiti GII.4 Sydney 2012 con gene pol non GII.e. Un’ampia porzione di 3.2 kb all’estremità 3’ del genoma è stata determinata mediante protocollo RACE 3’ e sequenziamento dopo clonaggio. Le sequenze sono state assemblate ed analizzate usando il software nel pacchetto Geneious vers 6.1.6 (Biomatters Ltd) ed una selezione di sequenze ORF2 (cap) estratte dai database. Figura 1: ricombinazione tra varianti pandemiche GII.4 New Orleans 2009 e Sydney 2012 a livello di ORF1/ORF2 junction region. Le regioni diagnostiche A, B, C e D sono evidenziate. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 11. Siebenga JJ, Vennema H, Renckens B, de Bruin E, van der Veer B, Siezen RJ, et al. Epochal evolution of GGII.4 norovirus capsid proteins from 1995 to 2006. J Virol 2007; 81: 9932–41. 12. van Beek J, Ambert-Balay K, Botteldoorn N, Eden J, Fonager J, Hewitt J, et al. Indications for worldwide increased norovirus activity associated with emergence of a new variant of genotype II.4, late 2012. Euro Surveill 2013; 18: 8–9. 13. Zeng M, Xu X, Zhu C, Chen J, Zhu Q, Lin S, et al. Clinical and molecular epidemiology of norovirus infection in childhood diarrhea in China. J Med Virol 2012; 84: 145–51. 8. Kroneman A, Vennema H, Deforche K, v d Avoort H, Penaranda S, Oberste MS, et al. An automated genotyping tool for enteroviruses and noroviruses. J Clin Virol 2011; 51: 121–5. 9. Lindesmith LC, Beltramello M, Donaldson EF, Corti D, Swanstrom J, Debbink K, Lanzavecchia A, Baric RS. Immunogenetic mechanisms driving norovirus GII.4 antigenic variation. PLoS Pathog. 2012;8(5):e1002705. 10. Martella V, Decaro N, Lorusso E, Radogna A, Moschidou P, Amorisco F, Lucente MS, Desario C, Mari V, Elia G, Banyai K, Carmichael LE, Buonavoglia C. Genetic heterogeneity and recombination in canine noroviruses. J Virol. 2009 Nov;83(21):11391-6. In molti paesi la comparsa e la diffusione della variante GII.4 Sydney 2012 è stata associata a un incremento dell’attività di NoV (1). I dati ottenuti dall’ISGEV sembrano suggerire un andamento analogo anche in Italia. La continua sorveglianza delle infezioni da NoV attuata dall’ISGEV e la disponibilità di maggiori informazioni sulle caratteristiche cliniche ed epidemiologiche delle infezioni sostenute da questa nuova variante consentirà di valutare le implicazioni della variante GII.4 Sydney 2012 sulla salute pubblica in Italia. Inoltre si rende disponibile un database aggiornato/background per lo studio comparativo dei NoV nell’ambiente e nelle matrici alimentari sul territorio italiano. RISULTATI E CONCLUSIONI Durante l’attività di sorveglianza della circolazione di NoV in Italia sono stati identificati dall’ISGEV dei ceppi “precoci” (2012e) della variante GII.4 Sydney 2012. Negli epitopi A, D ed E (9) localizzati sul sottodominio P2, i ceppi GII.4 della variante Sydney 2012 mostrano diverse variazioni rispetto alle varianti precedenti GII.4 Den Haag 2006b e New Orleans 2009 (Tabella 2). Polimorfismi sono inoltre osservabili nei residui 297 (Arg/His) e 372 (Asp/Asn) nell’epitopo A e nel residuo 393 (Gly/Ser) nell’epitopo D. Le varianti precoci Sydney 2012e mostrano due mutazioni peculiari, Met-333 ae Ser-393 nell’epitopo B e D. Ser-393 è anche presente in alcuni ceppi del clade 2012m, che include la maggior parte dei ceppi Sydney 2012 identificati sinora. Il ceppo ancestrale AlbertEi337/2011/CAN è molto simile al prototipo Sydney/ NSW0514/2012/AUS in tutti gli epitopi, ad eccezione dell’epitopo C nel residuo 340-Ala. Questo residuo è anche Ala in alcuni ceppi del clade 2012e mentre è Thr in tutti gli altri stipiti Sydney 2012 (clade 2012m). BIBLIOGRAFIA 1. Bok K, Abente EJ, Realpe-Quintero M, Mitra T, Sosnovtsev SV, Kapikian AZ, et al. Evolutionary dynamics of GII.4 noroviruses over a 34-year period. J Virol 2009; 83: 11890–1. 2. Eden JS, Bull RA, Tu E, McIver CJ, Lyon MJ, Marshall JA, et al. Norovirus GII.4 variant 2006b caused epidemics of acute gastroenteritis in Australia during 2007 and 2008. J Clin Virol 2010; 49: 265–71. 3. Giammanco GM, De Grazia S, Tummolo F, Bonura F, Calderaro A, Buonavoglia A, Martella V, Medici MC. Norovirus GII.4/Sydney/2012 in Italy, Winter 2012-2013. Emerg Infect Dis. 2013 Aug;19(8):1348-9. 4. Green KY. Caliciviridae. In: Knipe DM, Howley PM, Griffin DE, Lamb RA, Martin MA, Roizman B, et al., editors. Fields virology. 5th 4 ed. Philadelphia, PA: Lippincott Williams & Wilkins; 2007. p. 949–9. 5. Hoa Tran TN, Trainor E, Nakagomi T, Cunliffe NA, Nakagomi O. Molecular epidemiology of noroviruses associated with acute sporadic gastroenteritis in children: global distribution of genogroups, genotypes and GII.4 variants. J Clin Virol 2013; 3: 185–93. 6. Koopmans M. Progress in understanding norovirus epidemiology. Cur Opinion Infect Dis 2008; 21: 544–2. 7. Kroneman A, Vega E, Vennema H, Vinjé J, White PA, Hansman G, et al. Proposal for a unified norovirus nomenclature and genotyping. Arch Virol 2013; In corso di stampa Nell’insieme i dati indicano che i ceppi GII.4 Sydney 2012e identificati in Italia nella stagione invernale 2011-12 sono diversi dai ceppi epidemici della stagione invernale 2012-13. Mediante analisi filogenetica e comparazione di sequenza con stipiti identificati a livello globale, è chiaro che i risultati ottenuti nella sorveglianza italiana non sono un pattern epidemiologico locale ma rispecchiano la circolazione globale di due clade distinti (2012e e 2012m) con tre residui (333, 340, 393) apparentemente coinvolti nell’adattamento della variante pandemica GII.4 Sydney 2012. Tabella 2: mutazioni negli epitopi sulla regione P2 della variante GII.4 Sydney 2012. Abbreviazioni: 2012p, prototipo NSW0514/2012/AUS; 2012m, clade dominante; 2012e, ceppi precoci; 2012a, ceppo ancestrale. Mediante sequenziamento di contig nella regione di giunzione ORF1/ORF2, 4 ceppi NoV sono stati identificati come ricombinanti tra la variante pandemica New Orleans 2009 (pol) e 48 49 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 efficienza di Ixodes riciNus nella trasmissione TRANSOVARICA di Francisella tularensis. Note preliminari Genchi M.1, Prati P.1, Manfredini A.1, Vicari N.1, Bragoni R.1, Sacchi L.2, Epis S.3, Fabbi M.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “B. Ubertini” - Sezione Diagnostica di Pavia, Centro di Referenza Nazionale per la Tularemia, 2 Dipartimento di Biologia Animale, Università degli Studi di Pavia, 3 Dipartimento di Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Milano Keywords: Francisella tularensis, trasmissione transovarica, Ixodes ricinus Abstract Ixodes ricinus (Acari: Ixodidae) is a small hard tick able to transmits a large variety of pathogens to humans and animals. This tick has been described as a potential vector of Francisella tularensis, a highly contagious zoonosis for a wide number of mammals, including reptiles and birds. Transtadial transmission of this bacterium from larva to adult has been demonstrated under laboratory conditions. However, transovarial transmission is still debated. The aim of this study was to evaluate the possible transovarial transmission of F. tularensis in I. ricinus. One hundred and fifty adult females of I. ricinus were attached on guinea pigs experimentally infected with 500 cfu of F. tularensis subsp. holarctica. After oviposition the eggs were analyzed by PCR, culture and mice inoculation. The preliminary result show the failure of transovarian trasmission of F. tularensis in eggs and larvae of I. ricinus. puntura di insetti e artropodi vettori (2). Tra questi, le zecche sono le più importanti perché svolgono un ruolo sia come vettore biologico che come vettore meccanico del batterio, dato questo dimostrato dalla replicazione del batterio all’interno della zecca prima dei passaggi di muta (8). Nonostante la trasmissione transovarica sia ancora dibattuta, le zecche sono spesso indicate come reservoir del batterio. Col termine “trasmissione transovarica” si indica non solo lo sviluppo di agenti patogeni nei tessuti dell’ovario, dove possono moltiplicarsi all’interno delle cellule epiteliali senza invadere la cellula follicolare, ma anche il passaggio del patogeno attraverso le uova da una generazione all’altra. La trasmissione transovarica produce due distinti tassi di infezione: (i) il tasso di infezione transovarica: percentuale di femmine che trasmettono i microrganismi alla progenie, e (ii) il tasso di infezione finale: percentuale di progenie infetta derivante da un femmina infetta. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di valutare la possibile trasmissione per via transovarica di F. tularensis subsp. holarctica in zecche appartenenti alla specie I. ricinus. Introduzione Le zecche e le zanzare sono i principali vettori di innumerevoli agenti patogeni potendo trasmettere virus, batteri, protozoi ed elminti. La zecca dura Ixodes ricinus (Acari: Ixodidae), è una specie trifasica (ogni stadio: larva, ninfa, adulta, va attivamente alla ricerca di un ospite), diotropa (gli stadi immaturi si possono nutrire su ospiti diversi da quelli degli adulti), e a bassissima specificità d’ospite essendo in grado di compiere il pasto di sangue su una vastissima varietà di ospiti quali mammiferi selvatici e domestici, uccelli e rettili (1). In Europa è la specie che aggredisce più frequentemente l’uomo in tutte le sue fasi di sviluppo. In Europa la sua distribuzione è in aumento, sia in estremi di altitudine che di latitudine (4) ed è stata segnalata in tutte le regioni italiane. E’ una specie molto resistente: le larve possono sopravvivere a digiuno per 13-19 mesi, le ninfe 24 mesi e gli adulti 21-31 mesi. Oltre ad essere in grado di trasmettere batteri e virus a carattere zoonosico, tra i quali Borrelia burgdorferi s.l. (malattia di Lyme) e virus del gruppo “tick-borne encephalitis” (Flaviviride), I. ricinus è riconosciuta come vettore competente nella trasmissione di Francisella tularensis, agente eziologico della tularemia. La tularemia è una malattia batterica altamente contagiosa e potenzialmente letale anche per l’uomo, inclusa nella categoria A degli agenti biologici a potenziale impiego bioterroristico secondo il Center for Disease Control and Prevention americano (CDC). F. tularensis è in grado di infettare un vastissimo numero di vertebrati, anfibi e uccelli compresi. Sono note 4 specie di F. tularensis, ma quelle di maggior rilevanza sanitaria per l’uomo e gli animali sono F. tularensis subsp. tularensis (nota anche come tipo A) e F. tularensis subsp. holarctica (tipo B). La prima è distribuita esclusivamente nel Nord America, mentre il tipo B è presente in Europa, Asia e in minor misura in Nord America e possiede una patogenicità inferiore per l’uomo. La trasmissione può avvenire attraverso molteplici vie: aerogena, orale (cibo o acqua contaminati), percutanea e attraverso la Materiali e metodi Esemplari adulti di I. ricinus sono stati raccolti dalla vegetazione tra il 2011 e il 2013 nel territorio dell’oltrepò pavese. Nella prova sono state utilizzate due cavie sulle quali sono state poste 25 femmine adulte e 35 maschi di I. ricinus. Le zecche sono state confinate all’interno di una “camicia” di tessuto durante il pasto di sangue. Due giorni post-infestazione, le cavie sono state infettate per via sottocutanea con 0.5 ml di una sospensione di F. tularensis tipo B alla concentrazione di 1000 ufc/ml. Al sesto giorno post-infezione le cavie hanno manifestato la forma clinica, sono state quindi soppresse mediante eutanasia e sottoposte ad esame autoptico e prelievo di sangue per verificare l’avvenuta infezione e per quantificare la batteriemia. Sono state contestualmente recuperate le zecche “engorged”, i maschi e le feci delle zecche presenti sull’animale. Ventiquattro femmine “engorged” sono state sezionate e sono stati prelevati: ghiandole salivari, intestino e ovario per l’allestimento di una PCR real-time target 23 kDa, microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e ibridazione fluorescente in situ (FISH). Le restanti femmine sono state identificate e poste in termostato a 26°C e 90% di umidità relativa per l’ovodeposizione. Circa 1 mese dopo, al termine dell’ovodeposizione, sono state recuperate le uova, le ghiandole salivari, l’intestino e l’ovario delle singole zecche. Pool di 50 uova sono state analizzate tramite PCR real-time, esame colturale e prova biologica su topo. I pool di 50 uova, per escludere una possibile contaminazione superficiale con F. tularensis, sono stati sottoposti a 6 lavaggi in PBS. Il primo e l’ultimo lavaggio sono stati testati tramite PCR ed esame colturale. Circa 600 uova sono state omogenizzate, risospese in soluzione fisiologica e inoculate per via sottocutanea in 2 topi. Gli organi delle zecche sono stati analizzati tramite PCR, TEM e FISH. Altri gruppi di uova sono stati lasciati maturare in termostato per ottenere le 50 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Ulteriori indagini sono attualmente in corso, utilizzando D. reticulatus, zecca meno aggressiva nei confronti dell’uomo ma con prevalenze maggiori di infezione rispetto a I. ricinus nella trasmissione di F. tularensis subsp. holarctica. larve. Trecento larve sono state utilizzate per infestare due topi. Un analogo quantitativo di larve è stato testato tramite esame colturale e PCR in pool da 50. Le zecche morte durante il periodo di ovodeposizione sono state analizzate tramite PCR, TEM e FISH. L’esperimento è stato eseguito in 3 repliche per un totale di 150 femmine adulte di I. ricinus. Progetto di Ricerca Corrente finanziato dal Ministero della Salute: PRC 2010/001 Risultati e conclusioni La percentuale di zecche “engorged” recuperate al termine del pasto di sangue sulla cavie infettate sperimentalmente con F. tularensis subsp. holarctica è stato dell’88.6% (133/150). L’esame colturale e la PCR eseguite da fegato e milza delle cavie hanno confermato l’avvenuta infezione. La carica batterica dal sangue delle cavie era mediamente di 1100 ufc x ml. Tutte le zecche analizzate (prima, dopo o morte durante l’ovodeposizione) sono risultate positive alla PCR (intestino), TEM (ovario) e FISH (ovario). I pool di feci delle zecche recuperate sulle cavie sono risultati positivi alla PCR. La PCR e la coltura del primo e dell’ultimo liquido di lavaggio (PBS) delle uova sono risultate negative, mentre la PCR eseguita sui pool di uova è risultata positiva. La coltura e la prova biologica sui topi è risultata negativa in tutti i pool di uova. Il medesimo risultato è stato ottenuto analizzando le larve: PCR positiva, coltura e prova biologica sui topi negative. Le ninfe ottenute dopo la muta dalle larve che avevano compiuto il pasto di sangue sui topi sono risultate negative alla PCR. Fig. 1. Immagine al TEM di ovario previtellogenico di I. ricinus. Si noti la presenza di corpi residuali (cr) all’interno di un ampio vacuolo di fagocitosi (freccia). I dati preliminari del nostro studio indicano che la trasmissione transovarica di F. tularensis tipo B in zecche della specie I. ricinus non avviene. Il TEM e le FISH hanno mostrato l’avvenuta infezione dell’ovario da parte di F. tularensis e la PCR ha evidenziato la presenza del DNA batterico nelle uova e nelle larve. Tuttavia i risultati negativi ottenuti attraverso l’esame colturale delle uova e delle larve e soprattutto la negatività delle prove biologiche sui topi, indicano il passaggio di DNA batterico non vitale dalle femmine adulte alle uova e alle larve. Questo risultato è confortato dalle immagini al TEM che hanno mostrato batteri Gram-negativi contenuti in vacuoli in evidente stato di degenerazione cellulare riconducibili per forma e dimensioni a F. tularensis (Fig. 1). Una ipotesi condivisa anche da altri autori potrebbe essere che, per infettare oogoni e oociti in modo efficiente, F. tularensis, abbia bisogno di una interazione prolungata con la zecca e questo sarebbe possibile se l’infezione avvenisse durante gli stadi di larva e/o ninfa. La presenza di F. tularensis nelle feci supporta l’ipotesi che la zecca possa fungere da vettore anche attraverso la contaminazione fecale dell’ambiente circostante come mostrato in alcuni studi (6). Questo risulta essere il primo studio effettuato con l’intento di riprodurre la naturale trasmissione del batterio da un animale infetto a I. ricinus. La trasmissione transovarica era stata dimostrata alla metà del ‘900, in Dermacentor variabilis e D. andersoni, ma studi successivi non erano riusciti a riprodurre l’esperimento (5). Il fatto che l’infezione possa incidere sul tasso di sopravvivenza di alcune zecche e diminuisca la capacità di muta (7), può indicare che la zecca non sia l’effettivo reservoir di F. tularensis e che probabilmente questo vada ricercato in protozoi acquatici come Acantamoeba castellani, dove il batterio riesce a sopravvivere e a replicare. Se questa ipotesi fosse confermata le zecche continuerebbero a ricoprire un ruolo chiave come “amplificatori” nella trasmissione dell‘infezione potendo trasmettere il batterio a tre potenziali ospiti differenti attraverso il passaggio transtadiale. Ad ulteriore sostegno di ciò è stato dimostrato che la saliva delle zecche induce un aumento della proliferazione di F. tularensis sugli ospiti parassitati (3). Bibliografia 1. Balashov YuS. 1968. Bloodsuking Tichs (Ixodoidea)-Vectors of Diseases of Man and Animals. Nauk Publishers, Leningrad Department. In Miscellaneus Publication of the Entomological Society of America, 1972. pp. 161-376. 2. Foley JE, Nieto NC. Tularemia. 2010. Vet Microbiol. 27; 140 (3-4): 332-8. 3. Krocová Z, Macela A, Hernychová L, Kroca M, Pechová J, Kopecký J. 2003. Tick salivary gland extract accelerates proliferation of Francisella tularensis in the host. J Parasitol.; 89(1):14-20. 4. Medlock JM, Hansford KM, Bormane A, Derdakova M, Estrada-Peña A, George JC, Golovljova I, Jaenson TG, Jensen JK, Jensen PM, Kazimirova M, Oteo JA, Papa A, Pfister K, Plantard O, Randolph SE, Rizzoli A, Santos-Silva MM, Sprong H, Vial L, Hendrickx G, Zeller H, Van Bortel W. 2013. Driving forces for changes in geographical distribution of Ixodes ricinus ticks in Europe. Parasit Vectors. 2; 6:1. 5. Petersen JM, Mead PS, Schriefer ME. 2009. Francisella tularensis: an arthropod-borne pathogen. Vet Res.; 40(2): 07 6. Reese SM, Dietrich G, Dolan MC, Sheldon SW, Piesman J, Petersen JM, Eisen RJ. 2010. Transmission dynamics of Francisella tularensis subspecies and clades by nymphal Dermacentor variabilis (Acari: Ixodidae). Am J Trop Med Hyg.; 83(3):645-52. 7. Reese SM, Petersen JM, Sheldon SW, Dolan MC, Dietrich G, Piesman J, Eisen RJ. 2011. Transmission efficiency of Francisella tularensis by adult american dog ticks (Acari: Ixodidae). J Med Entomol.; 48(4):884-90. 8. Reif KE, Palmer GH, Ueti MW, Scoles GA, Margolis JJ, Monack DM, Noh SM. 2011. Dermacentor andersoni transmission of Francisella tularensis subsp. novicida reflects bacterial colonization, dissemination, and replication coordinated with tick feeding. Infect Immun.; 79(12):4941-6. 51 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 NUOVE VARIANTI DI BRONCHITE INFETTIVA NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI SICILIANI Antoci F.¹, Tumino G.¹, Guercio A.¹, Coniglio A.¹, Chiaracane G.1, Sallemi S.¹, Terregino C.2, Purpari G.1 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Via G. Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università, 10 – 35020 Legaro (Padova) BIBLIOGRAFIA 1. Britton P., Armesto M., Cavanagh D., Keep S. (2012). Modification of the avian coronavirus infectious bronchitis virus for vaccine development. Bioeng Bugs 1;3(2). [Epub ahead of print]. 2. Callison S.A., Hilt D.A., Boynton T.O., Sample B.F., Robison R., Swayne D.E., Jackwood M.W. (2006). Development and evaluation of a real-time Taqman RTPCR assay for the detection of infectious bronchitis virus from infected chickens. Journal of Virological Methods 138(1-2): 60-65. 3. Dolz R., Vergara-Alert J., Pèrez M., Pujols J., Majò N. (2012). New insights on infectious bronchitis virus pathogenesis: characterization of Italy 02 serotype in chicks and adult hens. Vet. Microbiol. 4;156(3-4): 256-64. 4. Jones R.C., Worthington K.J., Capua I., Naylor C.J. (2005). Efficacy of live infectious bronchitis vaccines against a novel European genotype, Italy 02. The Veterinary Record 156: 646-647. In Figura 1 sono riportate le curve anticorpali nei confronti dei sierotipi M41 e 793-B (4/91), relative ai capi (broilers) vaccinati secondo lo schema convenzionale (2° e 15° giorno di vita) e controllati al 10°, 35° e 50° giorno dalla vaccinazione. Figura 1 – Titolo anticorpale/tempo (broilers) Key words: Avian Infectious Bronchitis, poultry, QXIBV SUMMARY Avian Infectious Bronchitis (IB) is a disease caused by a Coronavirus, included in Coronaviridae family. The disease, endemic in Italy, affects both broilers and laying hens. It represents one of the main health issue in sicilian poultry farms. The presence of new antigenic variants makes problematic the implementation of an adequate prophylaxis through the use of appropriate vaccines. The present work aims to study the spread of IB strains in Sicily by serological and biomolecular tests in order to investigate the presence of “historical” strains as well as new strains and to carry out the genotyping of viruses isolated. The serological results show that the used vaccination protocols are able to develop an adequate antibody titre along all production steps both laying hens and broilers. The virological results underline the presence of QX strain in a broilers farm. This is a strain widespread in Italy but never reported in the regional territory. Galline ovaiole: • pulcini 1 giorno: emosiero; • pollastre 20 settimane: emosiero, tampone tracheale; • galline 45 settimane: emosiero, tampone tracheale; • galline fine ciclo: emosiero, tampone tracheale. Broilers: • pulcini 10 giorni: emosiero, tampone tracheale; • polli 35 giorni: emosiero, prelievo trachea; • polli 50 giorni: emosiero, prelievo trachea. 5. Lelli R., De Santis P., Luciani M., Savini G. (2000). Caratterizzazione dei ceppi di virus Bronchite infettiva isolati in Italia mediante tecnica RFLP. Bollettino delle Ricerche, 2(1): 128-129. 6. Lim T.H., Kim M.S., Jang J.H., Lee D.H., Park J.K., Youn H.N., Lee J.B., Park S.Y., Choi I.S., Song C.S. (2012). Live attenuated nephropathogenic infectious bronchitis virus vaccine provides broad cross protection against new variant strains. Poult Sci;91(1):89-94. 7. Meir R., Krispel S., Simanov L., Eliauh D., Maharat O., Pitcovski J. (2012). Immune responses to mucosal vaccination by the recombinant A1 and N proteins of infectious bronchitis virus. Viral Immunol;25(1):55-62. 8. Terregino C., Beato M.S., Ortali G., Battisti C., De Drago A. (2006). Indagine sulla circolazione dei virus della bronchite infettiva aviaria in Nord Italia. Congresso f Italian Society of Avian Diseases (SIPA), 44, Forlì (Italy). 9. Terregino C., Toffan A., Beato M.S., De Nardi R., Vascellari M., Meini A., Ortali G., Mancin M., Capua I. (2008). Pathogenicity of a QX strain of infectious bronchitis virus in specific pathogen free and commercial broiler chickens, and evaluation of protection induced by a vaccination programme based on the Ma5 and 4/91 serotypes. Avian Pathology 37:5: 487-493. 10.Valastro V., Monne I., Fasolato M., Cecchettin K., Parker D., Terregino C., Cattoli G. (2010). QX-type infectious bronchitis virus in commercial flocks in the UK. The Veterinary Record 167(22): 865-866. Nei campioni di emosiero è stata effettuata la ricerca di anticorpi specifici per il virus IB mediante prove di inibizione dell’emoagglutinazione (HI), utilizzando gli antigeni M41 e 793-B (4/91). La ricerca del virus IB è stata condotta su tamponi tracheali e trachea, mediante Real Time RT-PCR (2). I campioni positivi sono stati tipizzati mediante RT-PCR convenzionale e successivo sequenziamento (4, 10). INTRODUZIONE La Bronchite Infettiva Aviare è una malattia che colpisce sia i polli da carne (broilers) che le galline ovaiole, con notevoli ripercussioni a livello sanitario ed economico. Il virus, appartenente alla famiglia Coronaviridae, provvisto di envelope, presenta genoma a RNA a singolo filamento con polarità positiva. Ad oggi sono stati riportati circa 60 sierotipi, di cui i più noti: M41, 4/91, H120, Ma5, ITA02. Una volta introdotta in allevamento la malattia propaga rapidamente, favorita dal contagio per via aerogena in seguito all’inalazione di particelle di essudato infetto. Il periodo di incubazione è variabile da uno a quattro giorni e la sintomatologia è correlata all’età degli animali: pulcini: scolo nasale sieroso, starnuti, dispnea e ritardo della crescita; broilers: sintomi subclinici; ovaiole: manifestazioni respiratorie di lieve entità, ripercussioni negative sull’ovodeposizione. Si pensa che il ricorrere annuale dell’infezione sia dovuto al fatto che gli animali guariti possano rimanere portatori e quindi eliminatori. La continua comparsa di nuove varianti antigeniche rende problematica la realizzazione di un’adeguata profilassi immunizzante (1). Pertanto, le indagini epidemiologiche indirizzate alla caratterizzazione dei ceppi IB isolati risultano fondamentali per la scelta di programmi vaccinali protettivi (1, 3). La tipizzazione del virus con metodiche tradizionali si presenta lunga e difficile, per tale motivo può essere utile ricorrere a tecniche di biologia molecolare (5, 8). Il presente lavoro si propone come scopo quello di studiare la diffusione dei ceppi IB nel territorio regionale siciliano, attraverso l’impiego di tecniche sierologiche e della Real Time RT-PCR, e di effettuare la tipizzazione dei ceppi virali isolati al fine di individuare nuove varianti virali e ceppi “storici”. RISULTATI E CONCLUSIONI La tabella 1 mostra le positività relative alla ricerca diretta del virus. Tabella 1 - Risultati Real-Time RT-PCR e tipizzazione TIPIZZAZIONE Positivi N° Matrice Real Time Ceppo Ceppo Ceppo Campioni RT-PCR 4/91 H120 QX Trachea 112 57 57 1 2 Tamponi tracheali 50 1 1 21 0 Rene 13 5 5 0 0 Totale 175 63 63 22 2 I risultati sierologici ottenuti (Fig. 1) dimostrano che gli interventi vaccinali consentono di mantenere il livello anticorpale protettivo per tutta la durata del ciclo di produzione. I risultati dell’indagine virologica dimostrano la circolazione di ceppi vaccinali (4/91 e H120) e la presenza del ceppo QX, isolato da trachee di broilers. Trattasi di un ceppo di campo circolante da alcuni anni in Italia (8) ma fino ad ora mai identificato in Sicilia, nei confronti del quale nel territorio italiano non esiste ancora alcun presidio immunizzante specifico (7). La dimostrazione della circolazione del ceppo QX ha consentito di suggerire agli allevatori di riformulare gli schemi vaccinali, sostituendo il ceppo H120 con il ceppo Ma5, maggiormente immunogeno ed in grado di garantire, in combinazione con il ceppo 4/91, una copertura anticorpale efficace anche contro il ceppo QX (6, 9). I risultati virologici confermano la presenza dei ceppi vaccinali 4/91 e H120 nei campioni sottoposti ad esame. Inoltre, nei broilers è stata riscontrata la presenza anche del ceppo QX. La tabella 2 riporta le positività riscontrate sui sieri mediante ricerca indiretta. Tabella 2 - Risultati HI MATERIALI E METODI Sono state selezionate e monitorate 5 aziende avicole (3 broilers e 2 ovaiole), tra le 42 presenti nel territorio. I campionamenti sono stati condotti sia sugli animali in vita che al momento della macellazione secondo il seguente schema: 52 MATRICE CAMPIONI Positivi HI M41 Positivi HI 793-B (4/91) Emosiero 210 182 175 Totali 210 182/210 (86%) 175/210 (83%) 53 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DIAGNOSI DI ENTERITI INFETTIVE DI ORIGINE VIRALE NEL CANE Purpari G., Mira F., Cannella V., Di Marco P., Buttaci C., Macaluso G., Guercio A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Via G. Marinuzzi, 3 – 90129 Palermo Key words: Canine Viral Enteritis, Diagnosis, Characterization SUMMARY Canine Viral Enteritis are widespread in farms and kennels. Responsible viruses are Parvovirus (CPV), Coronavirus (CCoV), Rotavirus (CRV) and Distemper Virus (CDV). Aim of this study was to assess their prevalence in Sicily and to characterize the strains isolated during 2009-2012. For this purpose, samples (stools, rectal swabs, intestine, liver, spleen, heart, lung, brain) collected from dogs were analyzed by PCR, RT-PCR and Real Time RT-PCR. Positive samples were processed for virus isolation on cell lines. Viruses isolated were analyzed by RFLP and sequencing for molecular characterization. Results show an high prevalence of CPV infection in dogs, followed by CCoV, CRV and CDV. CPV prevalence was confirmed by virus isolation. Molecular analysis of CPV has shown the prevalence of CPV-2c variant. Molecular characterization has implemented information about the CPV-2 variants spread in Sicily and to discriminate between CDV vaccine strains and wild type strains. causa di morte o di inabilità permanente. Lo scopo del presente lavoro è stato quello valutare la diffusione di questo gruppo di agenti virali nella popolazione canina in Sicilia e caratterizzare dal punto di vista genetico i ceppi isolati. MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto dal 2009 al 2012 su campioni prelevati da soggetti con sintomatologia gastroenterica o deceduti, conferiti in laboratorio dai canili pubblici e privati, dalle cliniche e dai liberi professionisti. Dai soggetti sintomatici sono stati prelevati campioni di feci e tamponi rettali; dai soggetti deceduti sono stati prelevati gli organi di elezione (intestino, fegato milza, cuore, polmone, cervello). I campioni sono stati analizzati tramite prove biomolecolari in PCR, RT-PCR e Real Time RT-PCR, al fine di identificare l’agente etiologico. Tutti i campioni risultati positivi alle prove biomolecolari sono stati processati per l’isolamento virale in linee cellulari permissive (Tab. 1). INTRODUZIONE Le enteriti virali del cane rappresentano le malattie infettive più ricorrenti, spesso causa di morte, negli allevamenti e nei canili. I virus responsabili sono principalmente il Parvovirus (CPV), il Coronavirus (CCoV), il Rotavirus (CRV) e il virus del Cimurro (CDV). Tra questi, soltanto CCoV e CRV sono realmente virus enterici; il CPV ed il CDV sono invece responsabili di infezioni sistemiche. In considerazione della loro elevata resistenza nell’ambiente, il rischio di epidemie connesso a questi agenti eziologici è elevato. Inoltre, il rischio di zoonosi associato al CRV, impone un maggior controllo della loro diffusione. Attualmente, in Italia per alcune di queste infezioni non sono presenti in commercio vaccini allestiti con i ceppi virali circolanti. Il CPV è un virus a ssDNA (-) lineare di cui si conoscono due sottotipi, il CPV-1 e il CPV-2. Il CPV-1 causa un’infezione latente e banale, il CPV-2 è responsabile di una “gastroenterite emorragica” che nel giro di 24–48 ore porta a morte l’animale. Il CPV-2 ha subito negli anni una evoluzione che ha comportato la comparsa di nuove varianti, indicate come CPV-2a, CPV-2b e CPV2c, il cui monitoraggio risulta importante ai fini della profilassi vaccinale. Il CCoV è considerato un patogeno emergente, in quanto le segnalazioni negli allevamenti sono recentemente aumentate. Esso è un virus a ssRNA (+), responsabile di un’enterite non sempre fatale, ma che espone i cuccioli ad infezioni virali e batteriche secondarie. Il CRV è un virus ad dsRNA (±) che nel cane provoca una forma enterica subclinica, talvolta associata ad anoressia e vomito. Diversi studi, basati su indagini sierologiche condotte su popolazioni di cani adulti, hanno dimostrato un elevato tasso di sieropositività. Tuttavia, le segnalazioni di isolamento virale dai cani affetti sono alquanto scarse. Ciò dimostra che l’infezione è molto diffusa nella popolazione canina anche se, la maggior parte di essi subisce un’infezione clinicamente poco rilevante. Infine, il Cimurro del cane è una malattia altamente contagiosa sostenuta da un virus a ssRNA (-) che può decorrere in forma subacuta o acuta, caratterizzata da febbre, bronchite, polmonite e sintomi nervosi Tabella 1 - Linee cellulari usate biomolecolari di caratterizzazione genetica, hanno consentito di implementare le informazioni relative ai ceppi virali isolati, permettendo una più dettagliata conoscenza dei sottotipi circolanti, verso cui attuare una strategia vaccinale mirata. Infine, la possibilità di discriminare i ceppi vaccinali di CDV dai ceppi wild type, tramite RFLP e sequenziamento ha reso più specifica la diagnosi, permettendo di individuare le positività in RT-PCR dovute ai ceppi wild type, piuttosto che ad una interferenza tra vaccini vivi attenuati, da anni ampiamente utilizzati, e la metodica stessa. RISULTATI E CONCLUSIONI I risultati del presente lavoro sono mostrati in tabella 2 e tabella 3. Dall’analisi dei risultati si può concludere che l’agente virale più diffuso tra i responsabili di enteriti nei cani è il CPV-2, mostrando un tasso di positività in PCR pari al 49.7% di tutti i campioni esaminati (Tab. 2). BIBLIOGRAFIA 1. Barret T., Visser I.K.J., Mamaev L., Goatley L., van Brassem M.F., Osterhaus A.D.M.E. (1993). Dolphin and Porpoise are genetically distinct from Phorcine Distemper Virus. Virology, 193: 1010-1012. 2. Buonavoglia C., Martella V., Pratelli A., tempesta M., Cavalli A., Buonavoglia D., Bozzo G., Elia G., Decaro N., Charmichael L.E. (2001). Evidence for evolution of canine parvovirus type-2 in Italy. J. Gen. Virol., 82: 3021-3025. 3. Demeter Z., Lakatos B., Palade E.A. Kozma T., Forgach P., Rusvai M. (2007). Genetic diversity of Hungarian canine distemper virus strains. Vet. Microbiol. , 122 (3-4): 258-269. 4. Demeter Z. Palade E.A., Hornyack A., Rusvai M. (2010). Controversial results of the genetic analysis of canine distemper vaccine strain. Vet. Microbiol., May 19; 142 (34): 420-426. 5. Erles K., Dubovi E.J.,. Brooks H. W. and Brownlie J. (2004). Longitudinal Study of Viruses Associated with Canine Infectious Respiratory Disease. J. Clin Microbiol. 10: 4524–4529. 6. Freeman M.M., Kerin T., Hull J., McCaustland K., Gentsch J. (2008). Enhancement of detection and quantification of Rotavirus in stool using a modified Real Time RT-PCR assay. J. Med. Virol. 80:1489-1496. 7. Hu RL, Huang G, Qiu W, Zhong ZH, Xia XZ, Yin Z. (2001). Detection and differentiation of CAV-1 and CAV-2 by polymerase chain reaction. Vet. Res. Commun., 25 (1): 77-84. 8. Pratelli A., Tempesta M., Greco G., Martella V., Buonavoglia C. (1999 b). Development of a nested PCR assay for the detection of canine coronavirus. J. Virol Methods, 80: 11-15. 9. Touihri L., Bouzid I., Daoud R., Desario C., El Goulli A.F., Decaro N., Ghorbel A., Buonavoglia C., Bahloul C. (2009). Molecular characterization of canine parvovirus variants circulating in Tunisia. Virus Genes, 38: 249-258. Tabella 2 – Risultati analisi biomolecolari Agente etiologico PCR / RT-PCR / Real Time RT-PCR Positivi (%) Parvovirus CPV-2 49.7 Parvovirus CPV-2c 71 Coronavirus 6.2 Rotavirus 4.1 CDV 2.3 N° Totale Campioni esaminati dal 2009-2012 370 Seguono il CCoV, il CRV ed infine il CDV. La positività in PCR per CPV-2 è stata anche confermata da una elevata percentuale di isolamenti virali in linee cellulari, pari al 74.4% (Tab. 3). Linea cellulare Virus suscettibili A72 (Canine tumor) Canine Coronavirus; Canine Parvovirus; Canine Adenovirus 1 e 2; Canine Herpes virus MA-104 (Fetal Monkey Kidney) Rotavirus Parvovirus Canine Adenovirus 1 e 2; Canine Herpes virus Coronavirus 5 MDCK (Madin Darby Canine Kidney) Rotavirus 50 VERO ORWELL (African Green Monkey Kidney) Virus del Cimurro L’isolamento virale è stato confermato tramite le specifiche prove biomolecolari. I ceppi virali isolati sono stati successivamente caratterizzati tramite analisi di restrizione (RFLP) e sequenziamento. L’ estrazione dell’ RNA e del DNA è stata realizzata rispettivamente con i kits “QIAmp viral RNA mini kit” e “DNeasy Blood and Tissue kit”, entrambi della QIAGEN. Per la ricerca del CPV-2 è stata utilizzata una PCR specifica per il gene VP2. Al fine di individuare le varianti del CPV-2, sugli isolati virali è stata eseguita una RFLP e il sequenziamento (2, 9). La ricerca del CDV è stata condotta tramite una RT-PCR specifica per la fosfoproteina P (1). Ulteriori analisi di restrizione (RFLP) e di sequenziamento, sono state effettuate al fine di caratterizzare i virus circolanti e discriminare i ceppi wild type dai ceppi vaccinali di CDV. Queste sono state condotte sugli amplificati positivi poiché il CDV è difficilmente isolato sulle linee cellulari. La ricerca del CCoV è stata eseguita tramite una RTPCR specifica per il gene M (8). Per i CRV è stata eseguita una Real Time RT-PCR specifica per il gene NSP3 dei Rotavirus 54 di gruppo A (6). Inoltre, tutti i campioni in esame sono stati sottoposti ad analisi differenziali per Adenovirus canino (CAV-1 e CAV-2) e per Herpesvirus canino (CHV), tramite isolamento e PCR (7, 5). Tabella 3 – Risultati isolamento virale Agente etiologico Isolamento Positivi (%) N. totale campioni esaminati dal 2009-2012 74.4 129 Le analisi biomolecolari volte alla caratterizzazione dei ceppi di CPV-2 isolati hanno permesso di dimostrare che il CPV-2c è la variante più frequentemente riscontrata nei campioni positivi, rappresentando il 71% di essi. Inoltre sono stati riscontrati casi di co-infezione tra CPV e CCoV o CPV e CAV. Le metodiche 55 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE GENETICA E FILOGENESI DI CRYPTOCOCCUS GATTII ISOLATO IN SARDEGNA DA CAPRE CON MENINGO-ENCEFALITE Maestrale C., Masia M., Pintus D., Lollai S., Contu C., Cabras P., D’Ascenzo V., Ligios C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna – Sassari. Key words: Cryptococcus gattii, MLST, albero filogenetico SUMMARY – The present study was aimed to define the genetic aspects of 3 strains of Cryptococcus gattii isolated from the central nervous system (CNS) of goats with meningo-encephalitis. By using Mating-serotype PCR and Multi-Locus Sequence Typing (MLST) analysis we identified in all the 3 cases Cryptococcus gattii serotype B, belonging to the genotype VGI and MATα mating- type. This study establishes for the first time in Italy a baseline knowledge of the Cryptococcus gattii variety and genotype causing meningo-encephalitis in goats. 2% e proteinasi K (400µg). Il MAT-typing è stato definito tramite amplificazione dei loci Ste12a e Ste12α, come descritto da Hagen et al. (2010) (7). Per MLST sono stati amplificati e sequenziati i 5 loci cromosomici GPD1, IGS1, LAC1, PLB1, e URA5 secondo il metodo messo a punto da Meyer et al. (2009) (8) e i tre loci CAP10, MPD1 e TEF1α aggiunti al MLST da Hagen nel 2012 (5). Le sequenze consensus ottenute dai campioni in esame sono state assemblate e allineate con il programma BioEdit e MEGA5 e confrontate con sequenze omologhe di ceppi di riferimento dei diversi genotipi delle specie C. gattiii e C. neoformans; e con ceppi europei e italiani isolati da persone, animali e alberi e depositate nelle banche dati NCBI e CBS-KNAW Fungal Biodiversity Centre. Gli alberi filogenetici sono stati ottenuti applicando il metodo Neighbor-Joining e il modello Kimura 2 parametri (MEGA5) con 1000 repliche di bootstrap. INTRODUZIONE - Con la locuzione ‘Emerging infectious diseases’ si definiscono quelle patologie infettive la cui incidenza è andata aumentando in aree circoscritte del mondo o a livello globale nell’ultimo ventennio e che rappresentano ormai un importante problema di salute pubblica, causando spesso paura e angoscia nella popolazione. Un rilevante numero di queste malattie, che colpiscono sia gli animali che l’uomo, è rappresentata dalle infezioni da miceti. Tra queste, degna di nota è l’infezione da Cryptococcus gattii che, fino a non molto tempo fa, aveva bassa incidenza e si manifestava principalmente nelle zone tropicali e subtropicali, associata alla presenza di alberi di eucalipto (Eucalyptus camaldulensis) (1, 2). Negli ultimi 10 anni questa infezione ha iniziato a interessare animali e uomini anche in climi temperati. In particolare, nel 1999 C. gattii ha determinato un focolaio di infezione nell’isola di Vancouver, in Canada (3), e da lì si è diffuso negli Stati Uniti dove è stato causa di malattia in pazienti immunocompetenti (4). Studi epidemiologici successivi hanno evidenziato la presenza di ceppi autoctoni di C. gattii nel Nord Europa e nel Bacino del Mediterraneo e di ceppi provenienti sia da zone tropicali che dagli Stati Uniti (5). Per lo studio dell’epidemiologia e la caratterizzazione dei ceppi circolanti, sono state utilizzate diverse tecniche biomolecolari quali PCR fingerprinting, Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP) e Multilocus Sequence Typing (MLST) le quali hanno messo in evidenza che C. gattii è presente con 2 differenti Mating-typing (MAT-typing), indicati come a e α; 2 serotipi (B e C); 5 genotipi indicati come VGI, VGII, VGIII, VGIV-7 e VGIV-10 (5). Il serotipo B comprende i genotipi VGI, VGII e VGIV-10. Il serotipo C, i genotipi VGIII e VGIV-7. Il MAT puo’ essere invariabilmente a o α in tutti i serotipi e genotipi. C. gattii, genotipo VGII, è stato isolato nel focolaio di Vancouver e si è rilevato il più virulento in esperimenti di infezione su topi (6). Al contrario, in Europa, il genotipo più diffuso è VGI, che risulta essere endemico in tutta l’aerea del Mediterraneo, con caratteristiche genetiche distinte (5). Il presente lavoro ha lo scopo di caratterizzare geneticamente 3 isolati di Cryptococcus gatti ottenuti dal sistema nervoso centrale (SNC) di capre allevate in Sardegna in 3 allevamenti diversi ed affette da meningo-encefalite. RISULTATI E CONCLUSIONI - Dall’analisi del MAT-typing, tutti e 3 gli isolati di criptococco sono risultati di tipo α. Inoltre, ad un preliminare controllo delle sequenze dei singoli loci cromosomici e nucleari effettuato con il programma Basic Local Alignment Search Tool (BLAST SEARCH) si è rilevata per ognuno una similarità del 99-100% con corrispettivi loci di C. gattii WM179, ceppo di riferimento del genotipo VGI serotipo B. L’analisi filogenetica delle sequenze MLST dei campioni in esame e dei diversi ceppi di riferimento di C. gattii e C. neoformans depositati nelle banche dati ha confermato l’appartenenza dei tre isolati alla specie C. gatti genotipo VGI (Fig.1). Gli isolati sardi formano un cluster definito da un nodo con bootstrap 100 con tutti i ceppi di riferimento per questa specie. Il cluster costituito dai diversi genotipi di C. neoformans risulta completamente separato. Inoltre, dall’albero si può rilevare che C. gattii isolato in Sardegna si discosta dal ceppo di riferimento WM179, determinando un cluster separato con bootstrap significativo (92). Figura 1 – Albero filogenetico dei genotipi di C. gattii e C. neorfomans e confronto con gli isolati sardi. Tutti e tre gli isolati da capre rientrano nel cluster costituito dal ceppo di riferimento di C. gattii genotipo VGI, con bootstrap 100. C. gattii outbreak on Vancouver island. Proc Natl Acad Sci USA 101: 17258-17263 7. Hagen F, Illnait-Zaragosi MT, Bartlett KH, Swinne D, (2010) In vitro antifungal susceptibilities and amplified fragment length polymorphism genotyping of a worldwide collection of 350 clinical veterinary and environmental Cryptococcus gattii isolates. Antimicrob. Agents Chemother. 54:5139-5145 8. Meyer W, Aanensen DM, Boekhout T, Cogliati M, et al. (2009) Consensus multi-locus sequence typing scheme for Cryptococcus neoformans and Cryptococcus gattii . Med Mycol 4786): 561-570 Dal confronto degli MLST di isolati autoctoni, umani, animali e ambientali, provenienti da Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Grecia, Germania e Olanda si evidenzia che i criptococchi sardi clusterizzano con bootstrap alto, pari ad 81, con i ceppi italiani, spagnoli e francesi. I ceppi greci costituiscono un gruppo ben distinto dagli altri ceppi europei, mentre quelli portoghesi hanno netta similitudine con quelli tedeschi e olandesi (Fig. 2). In particolare, i ceppi di C. gattii isolati in Sardegna mostrano una diversità genetica rilevabile dal fatto che all’interno del cluster che raccoglie i ceppi isolati in Italia, Spagna e Francia, costituiscono un piccolo gruppo separato nel quale rientrano due ceppi spagnoli provenienti da Alicante, isolati da alberi di carrubo (Ceratonia siliqua). Analizzando gli allineamenti MLST, le differenze genetiche risultano costituite da due mutazioni puntiformi a carico del locus Ribosomal RNA intergenic spacer (IGS1). Dai risultati di questo lavoro emerge che in Sardegna C. gattii è presente nella popolazione caprina dove causa episodi di meningo-encefalite. I ceppi isolati hanno il genotipo VGI, attualmente il più diffuso in Europa. Tuttavia, pur essendo i ceppi esaminati filogeneticamente correlati ai ceppi isolati in altre parti d’Italia ed in Spagna, essi mostrano una propria intrinseca variazione genetica che li farebbe assimilare a due ceppi spagnoli, di origine ambientale, isolati ad Alicante. Per completare la nostra indagine, sarebbe necessario, tuttavia, ricercare C. gatti nell’ambiente per stabilire l’unicità di ceppo nell’isola. In Sardegna a tutt’oggi non risultano segnalati casi clinici nell’uomo attribuibili ad infezione da C. gattii, sebbene non siano state effettuate ricerche specifiche a questo proposito. Il fatto che il ceppo virulento VGI sia stato isolato da capre con patologia manifesta fa supporre che probabili episodi d’infezione nell’uomo debbano essere preventivati anche in Sardegna. Figura 2 – Albero filogenetico di ceppi di C. gatti isolati in Europa e confronto con gli isolati sardi. I ceppi sardi clusterizzano con quelli isolati in Italia, Spagna e Francia sia da animali, piante e casi clinici umani. Tuttavia, mostrano una variabilità genetica rilevata solo in due ceppi isolati da albero di carrubo, in Spagna. Portugal Human RKI97_482 Italy Human 5UM Spain carob CCA328 Spain carob CCA319 Spain Human CCA312 Spain Human CCA311 Spain ferret CCA308 Spain ferret CCA307 Spain Human CCA232 Spain stone pine CBS11751 81 Spain eucalyptus CBS11748 Italy enviromental 87CN Italy animal 84CN Italy enviromental 81CN Italy enviromental 78CN Italy animal 64CN BIBLIOGRAFIA 1.Kwon-Chung KJ, Bennett JE (1984) Epidemiologic differences between the two varieties of Cryptococcus neoformans. Am J Epidemiol 120:123-130 2. Kwon-Chung KJ, Bennett JE (1984) High prevalence of Cryptococcus neoformans var. gattii in tropical and subtropical regions. Zentralbl bakteriol Mikrobiol Hyg (A) 257: 213-218 3. Georgi A, Schneemann M, Tintelnot K, Calligaris-Maibach RC, et al. (2009) Cryptococcus gattii meningoencephalitis in an immunocompetent person 13 months afterexposure. Infection. 37. 370-3 4. Byrnes EJ III, Li W, Lewit Y, Ma H, Volelz K, Ren P, Carter DA.et al. (2010) Emergence and pathogenicity of highly virulent Cryptococcus gattii genotypes in the northwest United States. Plos Pathog 6(4): e1000850 doi:10.1371 5. Hagen F, Colom MF, Tintelnot SK, Iatta R, et al. (2012) Autochthonous and dormant Cryptococcus gattii infections in Europe. Emerg Infect Dis. 18: 1618-1624 6. Kidd SE, Hagen F, Tscharke RL, Huynh M, et al. (2004) A rare genotype of Cryptococcus gattii caused the cryptococcosis Spain goat 58A Spain goat 53A Spain goat 50A Italy animal 51CN 75 France Human IP05_215 Spain carob CCA320 Sardinia goat 1 Spain carob CCA321 79 Sardinia goat 2 Sardinia goat 3 82 Portugal enviromental IP97_18 64 Portugal enviromental IP97_19 51 Netherlands Human CBS2502 95 Germany Human RKI85_888 Greece Human CBS10609 Greece Human CBS10608 Greece Human IUM98_1969 0.005 C. neoformans MATERIALI E METODI - L’estrazione del DNA genomico di criptococco in coltura in fase esponenziale è stata effettuata da 3 ml di brodo utilizzando il metodo fenolo-cloroformio-isoamilalcol, CTAB 56 Spain goat 54A 11 57 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ANALISI DELLA VARIABILITA’ GENETICA DELLE API SICILIANE PER IL RECUPERO DELLE SOTTOSPECIE A RISCHIO Reale S.1, Cosenza M., Dall’Olio R.2, Costa C.2, Oliveri E.1, Zaffora G. 1, Piazza A. e Vitale F. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia-Palermo Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura CRA-API, Bologna KEY WORDS: Apis, microsatelliti, DNA mitocondriale SUMMARY The subspecies Apis mellifera siciliana, of Sicily, is threatened with extinction due to hybridization with A. m. ligustica, from 1970. Based on distribution of large numbers of A. m. siciliana queen mothers to beekeepers in the Western part of the island is current a project about the reintroduction of the subspecies. Here we present preliminary data about genetic characterization of bee population on the basis of microsatellites analysis. Molecular data were statistically examined to investigate the inbreeding degree trough the Sicilian country. regioni non codificanti, uniformemente distribuite nei genomi eucariotici, che mostrano una grande variabilità nel numero di corte sequenze ripetute in tandem; la lunghezza dell’unità ripetitiva è compresa tra 2 e 5 bp, con una lunghezza totale dell’intera sequenza da alcune decine fino a poche centinaia di basi. La variazione dei singoli genomi a livello dei microsatelliti si deve al diverso numero di unità ripetute dei vari alleli presenti nella popolazione. L’obiettivo del lavoro è l’ottimizzazione e la standardizzazione della tecnica di fingerprinting molecolare per la caratterizzazione di sottospecie di Apis mellifera. INTRODUZIONE In Italia sono presenti due sottospecie autoctone, Apis mellifera ligustica distribuita nella penisola e Apis mellifera sicula (MONTAGANO, 1911), nella sicilia. Quest’ultima ha origine filogenetica distinta da A.m.ligustica, in quanto originatasi dalle api africane. Ha un’origine insulare che ha favorito il suo processo di differenziamento da altri taxa affini, così come per altre sottospecie, quali Apis mellifera ruttneri (Malta), Apis mellifera adamii (Creta), Apis mellifera cypria (Cipro). . L’ape nera sicula (Apis mellifera siciliana) è particolarmente importante da un punto di vista ecologico in quanto endemica dell’isola Sicilia, ponte evoluzionistico tra le razze africane e le razze europee, adattata a climi mediterranei e fonte di variabilità genetica residua. La massiccia importazione di api italiane, ad opera degli apicoltori siciliani, il cui scopo è la produzione di miele, ha causato una caduta delle barriere geografiche. In questo modo le due sottospecie, sviluppatesi in condizioni di isolamento riproduttivo per mantenere le identità genetiche, si sono ritrovate nello stesso habitat. Questo avvenimento ha provocato la quasi scomparsa della sottospecie sicula in purezza, portando alla formazione di una popolazione ibrida con caratteristiche intermedie. La variabilità genetica della popolazione di Apis mellifera ligustica e di Apis mellifera siciliana fu verificata mediante il controllo del DNA mitocondriale. Apis mellifera ligustica ha una origine ibrida da due rami europei (M e C), mentre Apis mellifera siciliana ha un mitotipo genetico africano (A). Si pensava infatti che solo la penisola iberica fosse stata un rifugio per le api del gruppo mediterraneo durante l’ultima glaciazione nel quaternario. Oggi sappiamo che la Sicilia ebbe un ruolo similare. L’ape sicula si differenzia dalla ligustica per il suo colore scuro e per la dimensione più piccole delle ali. La colorazione più scura è dovuta alla colorazione completamente bruna dei primi tergiti addominali. Si differenzia invece dalle altre api scure per la colorazione giallastra dei peli del torace e dell’addome. L’ape sicula negli anni 70 veniva allevata nei bugni di ferula, alveari in legno a forma di cassa rettangolare che, con il passaggio alla ligustica, vennero sostituiti radicalmente da alveari moderni. L’ape sicula rischiò in quegli anni la totale estinzione, evitata grazie agli studi e alle ricerche di un entomologo siciliano, Pietro Genduso, che la studiò per anni dopo la classificazione avvenuta ad opera di Montagano nel 1911. In questo lavoro sono stati utilizzati i microsatelliti o short tandem repeats (STR), ovvero MATERIALI E METODI La tecnica è stata sperimentata su api di provenienza e razza nota, preliminarmente accertata dal CRA-API di Bologna, ex Istituto Nazionale di Apicoltura. La tecnica di estrazione seguita è stata messa a punto lavorando sulle zampe posteriori evitando così di portare dietro buona parte di zuccheri, pollini e DNA di batteri che potrebbero essere invece presenti utilizzando le altre regioni dell’ape. Le zampe, in particolare, sono state staccate meccanicamente mediante una pinzetta e un puntale, avendo cura che il prelievo sia fatto alla base dell’addome. Successivamente sono state sminuzzate mediante l’ausilio di un bisturi sterile e poste quindi all’interno di un pozzetto, unico per ciascuna ape. Cosi facendo, utilizzando una piastra da 96 pozzetti, è stato possibile estrarre il DNA da 95 api (più un bianco di estrazione). In ciascuno pozzetto, oltre al campione, vengono aliquotati 100µl di Chelex al 5% e 5µl di proteinase K. L’estrazione avviene mediante un ciclo termico direttamente in un termociclatore GeneAmp PCR system 9700 (Applied-Biosystems). PCR multilocus. La tecnica della multiplex-PCR ci consente di amplificare più loci in una stessa reazione, con questa tecnica il polimorfismo viene messo in evidenza amplificando le sequenze dei microsatelliti usando, come oligonucleotidi di innesco, primers marcati con coloranti fluorescenti e complementari alle regioni fiancheggianti le STRs. 58 Loci PRIMER FWD PRIMER REV bp A113 CTCGAATCGTGGCGTCC CCTGTATTTTGCAACCTCGC 202-236 A007 CCCTTCCTCTTTCATCTTCC GTTAGTGCCCTCCTCTTGC 105-113 Ap055 GATCACTTCGTTTCAACCGT CATTCGGTATGGTACGACCT 169-201 A088 CGAATTAACCGATTTGTCG GATCGCAATTATTGAAGGAG 135-158 Ab124 GCAACAGGTCGGGTTAGAG CAGGATAGGGTAGGTAAGCAG 216-240 Loci PRIMER FWD PRIMER REV bp A29 AAACAGTACATTTGTGACCC CAACTTCAACTGAAATCCG 130-138 A008 CGAAGGTAAGGTAAATGGAAC GGCGGTTAAAGTTCTGG 154-190 Ap226 AACGGTGTTCGCGAAACG AGCCAACTCGTGCGGTCA 233-255 A43 CACCGAAACAAGATGCAAG CCGCTCATTAAGATATCCG 135-143 A14 GTGTCGCAATCGACGTAACC GTCGATTACCGATCGTGACG 200-260 Pannelli 1 e 2 di PCR multilocus I prodotti che risultano dall’amplificazione mediante la multiplexPCR sono poi separati per elettroforesi capillare mediante un sequenziatore automatico (ABI-PRISM 3130), per determinare le varianti alleliche presenti nei loci presi in considerazione. Sono quindi stati tabellate le frequenze alleliche relative a ciascun locus microsatellite analizzato. Dai dati è emerso che l’allele a maggiore frequenza è il 212 al locus A113, con una frequenza di 0,774. Nonostante l’elevata frequenza di tale allele all’interno della popolazione analizzata (n=190), l’informatività e il suo potere discriminativo risultano bassi. RISULTATI E CONCLUSIONI I profili genotipici sono stati letti e analizzati mediante l’uso del software GeneMapper ID v4.0 (Applied Biosystems). Tale applicazione ci permette di visualizzare i profili elettroforetici relativi a ciascun campione. L’amplificato cosi analizzato, produce picchi principali cui si aggiungono le stutter bands (-2bp, -4bp, -6bp), compresi in un intervallo massimo di sei paia di basi dal vero picco allelico. È possibile che il software rilevi contaminanti sotto forma di falsi picchi, distinguibili dai picchi dei microsatelliti in quanto privi dei tipici stutters (spike). E’ pertanto opportuno un controllo diretto delle letture effettuate in automatico dal software. Il numero di picchi allelici per ciascun locus dipende dal fatto che l’individuo analizzato sia omozigote o eterozigote Le analisi statistiche sono state condotte sulla base dei 10 loci microsatelliti analizzati. I dati estrapolati dalla lettura degli elettroferogrammi sono stati importati nel software di calcolo GenAlEx v6.4, che rappresenta un valido strumento per l’analisi di genetica di popolazioni. Tale applicazione si avvale di un foglio di calcolo formato Excel nel quale verranno riportati i dati numerici (input). In accordo con Barker (1994), i 10 microsatelliti testati in questo studio possono essere considerati utili per la diversità genetica poiché il loro numero di alleli osservati (Na) era maggiore di 4. Tutti i loci valutati sono dunque risultati polimorfici (PIC>0,5) con un numero totale di alleli di 119 e una media di 11,9 ± 1,4. Il range allelico è risultato variabile da 5 (A113) a 17 (A29 e A14) (Tabella 3). I mutamenti climatici e le sempre più frequenti zoonosi dalla rapida dispersione, evidenziano la necessità delle popolazioni di mantenere una plasticità genetica. Per questo motivo, è diventato necessario tutelare le razze autoctone e il loro patrimonio genetico, importante fonte di biodiversità. L’analisi della variabilità genetica di Apis mellifera siciliana è finalizzata al recupero di questa specie, a rischio di estinzione, ed alla sua reintroduzione nel territorio. In tal modo più apicoltori potranno allestire un allevamento in purezza di ape nera, meglio adatta all’ambiente ed al clima e di conseguenza maggiormente in grado di difendersi da parassitosi e patologie. Il progetto prevede la ricerca di nuove linee genetiche, indispensabili per combattere il problema più grave (la consanguineità), la formazione di stazioni di fecondazione in luoghi isolati sull’isola (poiché i costi per la conservazione sulle isole minori sono troppo elevati e scoraggiano gli apicoltori), oltre alla valutazione delle prestazioni della nera sicula a paragone con la ligustica. L’analisi della variabilità genetica di Apis mellifera sicula è finalizzata al recupero di questa specie, a rischio di estinzione, ed alla sua reintroduzione graduale nel territorio. I nostri risultati grezzi in termini di frequenze alleliche sono stati inviati al CRA-API provveduto dove sono stati confrontati con i dati di riferimento sia molecolari che di tipo morfologico, per giungere ad una identificazione univoca delle colonie studiate. Questo ci ha consentito da un lato di ottenere dei quadri molecolari di identificazione dei soggetti, dall’altro di selezionare i genotipi puri per la creazione di una banca dati preziosa in termini di germoplasma. La conservazione del germoplasma serve a stabilizare il DNA di riferimento essenziale al riconoscimento per confronto di nuove famiglie. La stessa sarà in futuro impiegata per l’approfondimento mediante lo studio di ulteriori loci e per la validazione definitiva del metodo. I metodi molecolari così validati se da un lato rappresentano un successo delle nuove tecnologie al servizio della natura, dall’altro serviranno al monitoraggio delle generazioni future in purezza e al controllo della loro diffusione sul territorio in modo da garantire e certificare il patrimonio delle linee in purezza. Così facendo avremo contribuito al recupero di una sottospecie altresì destinata all’estinzione. Figura 1. Tipico pattern ottenuto da un individuo eterozigote per una ripetizione dinucleotidica. A113 (FAM); Ap55 (HEX); AB124 (NED). MICROSATELLITE A113 A007 Ap55 A88 AB124 Na 5 11 9 6 10 A29 17 A008 Ap226 A43 A14 Mean ± SE 16 15 13 17 11.9 ± 1.4 BIBLIOGRAFIA Murray, V. – Monchawin, C. & England, P.R.; The determination of the sequences present in the shadow bands of a dinucleotide repeat PCR, «Nucleic Acids Research» 21 (1993), pp. 2395-2398. P. Franck, L. Garnery, G. Celebrano, M. Solignac, J.M. Cornuet; Hybrid origins of honeybees from Italy (Apis mellifera ligustica) and Sicily (A. m. sicula), «Molecular Ecology» (2000), pp. 907-921. P. Franck, L. Garnery, A. Loiseau, B.P. Oldroyd, H.R. Hepburn, M. Solignac, J.M. Cornuet; Genetic diversity of the honeybee in Africa: microsatellite and mitochondrial data, « The Genetics Society of Great Britain », Heredity 86 (2001) , pp. 420-430. A. Estoup, L. Garnery, M. Solignac, J.M. Cornuet; Microsatellite variation in honeybee (Apis mellifera L.) populations: hierarchical genetic structure and test of the infinite allele and stepwise mutation models, « Genetics society of America » (1994-1995), pp. 679-695. R. Dall’Olio, A. Marino, M. Lodesani, R. F. A. Moritz; Genetic characterization of italian honeybees, Apis mellifera ligustica, based on microsatellite DNA polymorphisms, « Apidologie » (2006), pp. 207-217. Tabella 3 59 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Leptospirosi in animali selvatici provenienti da DIFFERENTI habitat Sardi 1 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tab. 1 Campioni esaminati BIBLIOGRAFIA 1) WHO-International Leptospirosis Society. 1999 Leptospirosis worldwide. Weekly Epidemiological Record; 74:237– 242. Piredda I., 1Palmas B., 1Noworol M., 1Canu M., 2Picardeau M., 1Falchi A., 1Pintore A., 1Denurra D., 3Ruiu A., 1Ponti N. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento Sanità Animale, Laboratorio Sieroimmunologia e Gestione Tecnica Piano eradicazione ruminanti, Sassari 2 Institut Pasteur, Unitè de Biologie des Spirochetès, Paris 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dipartimento diagnostico territoriale, Oristano 1 2) Abela-Ridder B, Sikkema R, Hartskeerl RA. 2010 Estimating the burden of human leptospirosis. Int. J. Antimicrob. Agents. 36:S5–7. 3) Pintore A., Palmas B., Noworol M,, Canu M., Fiori E., Picardeau M., Tola A., Piredda I., Ponti M. N. First record of leptospira isolation from wild boars of Sardinia 2012 Abstracts book of European Meeting of Leptospirosis. Key Words: Leptospirosi, selvatici, habitat MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra il gennaio 2009 e agosto 2013 sono stati saggiati presso i laboratori dell’IZS di Sassari, 612 campioni di rene provenienti da varie specie animali selvatiche popolanti differenti habitat della Sardegna. Di questi, 504 erano reni di cinghiali collezionati nell’ambito delle diverse stagioni venatorie ed in specifiche campagne di depopolamento, 42 reni di ratto catturati mediante trappole, 31 di volpe, 12 di martora, 13 di riccio e 10 di nutria (Tab. 1). Tutti gli organi sono stati sottoposti inizialmente ad omogenizzazione e successivamente ad analisi sia batteriologica che molecolare. Su ogni campione è stata applicata la tecnica PCR (Polymerase Chain Reaction), nella quale il DNA di ciascun organo viene amplificato con una coppia di primers (LigA e LigB) i quali rilevano una banda di 331 bp del gene 16S rRNA evidenziabile mediante elettroforesi in gel d’agarosio al 2% (4). L’indagine batteriologica è stata eseguita mediante metodo colturale seminando 25 mg di tessuto omogenato in tre tubi differenti contenenti terreno EMJH (Ellinghausen-MacCullough-Johnson-Harris) reso semisolido con agar allo 0,1% e selettivo con 5-fluorouracile. Tali tubi vengono poi messi ad incubare in condizioni di aerobiosi alla temperatura di 28-30°C in termostato al buio per almeno 60 gg. Il controllo settimanale di un piccolo volume dei tre tubi al microscopio in campo oscuro permette di valutare la presenza e quindi l’eventuale isolamento del microorganismo. Gli isolati vengono sottoposti ad estrazione del DNA con un apposito kit (Qiagen) e successivamente tipizzati mediante tecnica di fingerprinting VNTR (Variable Number Tandem Repeats). Il protocollo prevede l’amplificazione di particolari loci del genoma batterico, sede di ripetizioni in tandem, con cinque set di primers: VNTR-4, VNTR-7, VNTR-10, VNTR-Lb4 e VNTR-Lb5 (5), i quali originano un pattern di bande visualizzabili mediante elettroforesi in gel d’agar all’1,2% in TBE. I primi tre vengono applicati alle genospecie L. interrogans, L. kirschneri, L. noguchi e L. borgpetersenii, mentre gli ultimi due sono specifici per la sola genospecie L. borgpetersenii. Essendo tale tecnica facilmente riproducibile e standardizzabile, garantisce la possibilità di confrontare gli isolati consentendo di identificare differenti profili di amplificazione, dimostrando una notevole capacità di discriminazione. SUMMARY The aim of this study was to determine the prevalence of leptospirosis in wild animal samples collected between 2009 and 2013 from different Sardinia environments. We tested 605 samples of organs and biological fluids from various species including european hedgehog, pine marten, rat, fox and wild boar. 279 of these were PCR positive with a prevalence of 46% and leptospira spp were isolated from 51 specimens (9%). The most representative serovar in Sardinia is L. Pomona and wild boar is considered the major host for the maintenance of this strain. L. Bratislava is widespread among the remaining species including fox and hedgehog which represent a new and unexpected finding. The excretion of highly pathogenic serovars in the environment could represents an increasing risk for animals populations, mainly living in rural areas. Our data suggest both a high level of environmental contamination and that wild animals could become a good sentinels for the monitoring of leptospirosis. INTRODUZIONE La leptospirosi è una zoonosi diffusa in tutto il mondo in particolare nei paesi come l’America Latina ed il Sud-Est asiatico, in cui il numero di casi gravi umani è stimato in più di un milione l’anno (1). La malattia umana rappresenta un evento accidentale e può verificarsi in tutti i gruppi di età, in ogni stagione ed in entrambi i sessi. L’ampia varietà degli ospiti umani ne fa una malattia sia rurale che urbana. E’ una patologia riemergente causata da una spirocheta del genere Leptospira il cui serbatoio principale è il ratto ma colpisce moltissime specie di mammiferi sia domestiche che selvatiche provocando morbilità e mortalità non trascurabili (2). Differenti sierotipi possono essere responsabili di svariate sindromi cliniche e la prognosi è generalmente condizionata dalla virulenza del ceppo infettante, oltre che dalle condizioni generali dell’ospite. L’obiettivo dei nostri studi negli ultimi cinque anni è stato quello di determinare la presenza dell’agente eziologico in campioni d’organo prelevati da varie specie animali provenienti da differenti zone della Sardegna quali ratti, martore, ricci, volpi, nutrie e cinghiali. I dati scaturiti dalle indagini condotte, indicano che la circolazione di leptospira spp nel nostro territorio è degna di considerazione in particolare in quest’ultima specie, indicando che l’esposizione e/o l’infezione è relativamente comune nel cinghiale, pur in assenza di lesioni macroscopicamente apprezzabili a carico degli organi (3). Tali dati pongono l’accento sulla suscettibilità e sul probabile ruolo di questi animali selvatici nel mantenimento e nella trasmissione dell’infezione alle specie domestiche allevate allo stato semi-brado con cui condividono le stesse aree rurali. L’escrezione di serovar patogeni nell’ambiente rappresenta un potenziale rischio di infezione sia per gli animali che vivono in queste zone, sia per l’uomo. I ceppi isolati sono stati sottoposti ad estrazione del DNA e genotipizzati mediante ricerca di ripetizioni in tandem in particolari loci (4), ad opera di coppie di primers descritti nella sezione precedente. Il pattern di bande ottenuto ha rivelato per i cinghiali la prevalenza di L. interrogans serovar Pomona, mentre per altre specie come il riccio e la volpe il serovar rappresentativo è stato L. interrogans serovar Bratislava (Fig. 1). Sebbene esista una correlazione tra sensibilità della specie animale e serovar di leptospira (Hardjo nei bovini, Canicola nei cani, Tarassovi e Pomona nei suini), i nostri risultati mettono in luce un nuovo serovar emergente (L. Bratislava), il quale viene ospitato da differenti categorie selvatiche popolanti differenti habitat della nostra isola. Gli alti livelli di contaminazione e l’ampia diffusione ambientale, stanno ad indicare una ingente circolazione di leptospire spp. nel territorio sardo, aumentando il rischio di esposizione alla malattia sia da parte dell’uomo che di molti animali che vivono allo stato brado nelle aree rurali. La cattura di ratti mediante posizionamento di trappole in prossimità di aziende, allevamenti, canili etc. permette un monitoraggio, seppur limitato, della diffusione e contaminazione di queste aree da parte di piccoli roditori, fra i maggiori responsabili della emissione di leptospire nell’ambiente. La sorveglianza, il controllo e la prevenzione delle malattie dei selvatici costituiscono elementi chiave del management della salute della popolazione umana ed animale nell’ottica di “una sola salute” (One world - One health). 4) Merien, F., Amouriaux, P., Perolat, P., Baranton, G., Saint Girons, I., 1992. Polymerase chain reaction for detection of Leptospira spp. in clinical samples. J. Clin. Microbiol. 30: 2219–2224. 5) Salaün L., Merien F., Gurianova S., Baraton G., and Picardeau M. 2006 Application of Multilocus Variable-Number Tandem-Repeat Analysis for Molecular Typing of the Agent of Leptospirosis. J. of Clin. Microbiol. 3954-3962. Fig. 1 Profili elettroforetici ai VNTR-4 (fila 2,3,4), VNTR-7 (fila 5,6,7) e VNTR-10 (8,9,10) rispettivamente del DNA del riccio, DNA della volpe e serovar Bratislava. RISULTATI E CONCLUSIONI L’analisi molecolare condotta sui 612 campioni di rene ha evidenziato 279 positivi alla PCR, di cui 257 cinghiali, 10 ratti, 4 volpi, 1 martora, 1 riccio e 9 nutrie, indicando una generale prevalenza del 46% (Tab. 1). Mentre l’indagine colturale si è rivelata positiva per 51 campioni (8,5%), di cui 45 reni di cinghiale, 1 rene di riccio, 5 reni di ratto ed 1 di volpe (Tab. 1). Non tutti gli organi dai quali si è riusciti ad isolare sono risultati positivi alla PCR; infatti soltanto 31 reni di cinghiale e 4 di ratto hanno riportato esito positivo ad entrambe le tecniche. 60 61 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 PREVALENZA DI Listeria monocytogenes NEGLI STABILIMENTI DI PRODUZIONE DI PRODOTTI A BASE DI LATTE: UN NUOVO APPROCCIO PER IL CONTROLLO AMBIENTALE D’Amico S.1, Daminelli P.1, Cosciani Cunico E.1, Todeschi S.1, Tilola M.1, Crotta M.1, Gradassi M.1, Andreoli G.1, Colmegna S.1, Vitali A.2, Losio M.N.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Via A. Bianchi, 9 – 25124 Brescia 2 Referente Regione Lombardia, DG-Sanità Key words: Listeria monocytogenes,Soft repined cheese, Food contact surface l’ecosistema dei formaggi erborinati cambia durante la maturazione. Il fattore dominante che permette l’aumento della concentrazione di microrganismi indesiderati è l’incremento del valore di pH, per effetto degli enzimi proteolitici di lieviti e del Penicillium roqueforti (3). Challenge test effettuati su formaggi erborinati e a crosta lavata hanno evidenziato che l’aumento del valore di pH durante la maturazione permette la sopravvivenza e la crescita di Lm presente nel substrato alimentare (4). Obiettivo del presente lavoro è illustrare i risultati preliminari dell’attività di controllo ambientale svolta nel corso del primo semestre 2013 al fine di individuare i fattori in grado di contrastare la contaminazione e la successiva moltiplicazione di Lm nei prodotti in esame e definire linee guida / protocolli applicativi la cui adozione da parte degli stabilimenti è finalizzata al controllo del pericolo Lm con riduzione dei casi segnalati e maggiori garanzie per il consumatore e per l’export. SUMMARY Soft repined cheeses have often been subject of community alerts; that explain why Lombardy Region, as part of the activities planned by Expo 2015 event, provided the activation of an integrated system of official controls, in order to contain Listeria monocytogenes in dairy products. The aim of this work is to present the preliminary results of environmental monitoring, done during the first half of 2013, in order to identify factors able to contrast the contamination and subsequent multiplication of L. monocytogenes in this type of food. It’s been observed that surfaces with more chance of a unfavorable outcome, both in first that in second trimester (2013), are those relating to maturing rooms (shelves, boxes, etc.) and portioning and packaging environments. INTRODUZIONE La listeriosi è una grave malattia di origine alimentare nell’uomo, relativamente rara nell’Unione Europea (UE), ma con alta morbilità, ospedalizzazione e mortalità in soggetti a rischio. Il fatto che Listeria monocytogenes (Lm) sia in grado di moltiplicarsi in vari alimenti a temperature a partire da 2 a 4 °C rende possibile la presenza del patogeno in prodotti pronti per il consumo (RTE) con una relativamente lunga conservazione, come ad esempio i prodotti della pesca, prodotti a base di carne RTE trattati termicamente e formaggi; dati recenti (1) indicano che la prevalenza nella UE di Lm in campioni di formaggio alla fine della durata di conservazione è dello 0,47%, mentre la percentuale di campioni che hanno superato il livello di 100 ufc/g è dello 0,06% (n= 3 452 formaggi molli o semi-molli). Tali tipologie di formaggio risultano essere spesso al centro di allerte comunitarie; per tale motivo Regione Lombardia, nell’ambito delle attività previste dall’evento Expò 2015 “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, intende promuovere lo sviluppo di risposte concrete ed efficaci ai complessi ed attuali problemi inerenti l’alimentazione, sia in termini di food safety sia di food security, elaborando uno specifico progetto di intervento avente come tema “GARANTIRE LA SICUREZZA ALIMENTARE E VALORIZZARE LE PRODUZIONI”. Il progetto ha previsto un’azione specifica caratterizzata dall’organizzazione di un sistema integrato di controlli ufficiali finalizzato alla promozione della sicurezza alimentare mediante azioni volte al contenimento di Lm nei prodotti a base di latte mediante la promozione di interventi mirati alla individuazione della fonte di contaminazione e alla verifica dell’efficacia delle azioni messe in atto dagli OSA. Le azioni volte al contenimento del patogeno in oggetto hanno previsto: • controllo delle eventuali criticità dei processi di produzione ed i possibili fattori di rischio inerenti alla contaminazione dei prodotti finiti e sul successivo sviluppo di Lm; • verifica delle condizioni igieniche dei locali di trasformazione delle linee di produzione di formaggi erborinati ed a crosta lavata / fiorita. La scelta di concentrare l’attenzione su questa tipologia di prodotti è dettata dal fatto che, tra i prodotti caseari, il formaggio a pasta erborinata è il più frequentemente contaminato (2). In particolare, MATERIALI E METODI Sono stati eseguiti 2 schemi di campionamento ambientale (Fig.1) in 2 differenti trimestri dell’anno in corso, durante i quali sono stati censiti 30 caseifici (con differenti volumi di produzione) della Regione Lombardia attraverso l’esecuzione di tamponi ambientali delle superfici di contatto alimentare (FCS), delle superfici limitrofe alle precedenti (indirette-FCS) e delle superfici non a contatto con l’alimento (NFCS) lungo tutta la linea produttiva, dalla cagliata al confezionamento. Per questo scopo è stato applicato uno specifico protocollo di campionamento previsto dalle normative Food safety and Ispection Service – FSIS (5) e opportunamente adattato alle condizioni di trasformazione dei caseifici. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Nel primo trimestre (aprile – giugno), secondo lo schema in figura 1, sono stati eseguiti un totale di 410 tamponi delle FCS riguardanti le linee produttive di formaggi erborinati / crosta lavata, suddivisi per ogni azienda in funzione del volume di produzione. I campioni, prelevati in collaborazione con le Asl territorialmente competenti, sono stati processati entro le 24h successive, presso i laboratori della Sede dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), secondo il seguente protocollo: Arricchimento in brodo selettivo e incubazione specifica; Screening mediante metodo di prova interno accreditato per la ricerca di Listeria spp in PCR Real-Time; • I campioni risultati positivi allo screening sono stati sottoposti in parallelo sia al metodo di prova interno accreditato per la ricerca di Lm in PCR Real-Time, che alla conferma microbiologica mediante metodo ISO 11290/1-2 (6); • Gli isolati identificati come Lm sono stati caratterizzati mediante Ribotipizzazione e PFGE ed infine confrontati per valutarne la percentuale di similarità con software Bionumerics. Nel secondo trimestre (luglio – settembre) sono stati eseguiti un totale di 430 tamponi, comprendenti le medesime FCS campionate nel primo trimestre e le FCS-indirette (follow-up di campionamento) degli stabilimenti che avevano dato esito sfavorevole (Fig.1). I campioni sono stati processati entro le 24h successive, dalle Sezioni Diagnostiche territorialmente competenti dell’IZSLER, secondo lo schema precedentemente illustrato. • • Figura 2 – Prevalenza I e II Trimestre Si è osservato inoltre che le superfici con più probabilità di un esito Sfavorevole, sia nel primo che nel secondo trimestre sono: Le superfici relative alle celle di stagionatura (scalere, casse, ecc.); Le superfici degli ambienti di porzionatura e confezionamento. La maggior parte di questi campioni, (90%) sono riferibili a superfici delle linee di produzione di formaggi a crosta lavata, confermando il maggior rischio associato a questo prodotto rispetto ai formaggi erborinati. A tal proposito, infatti, i campioni identificati e caratterizzati nel primo trimestre (Lm vitali) sono stati tutti isolati dalle linee di produzione dei formaggi a crosta lavata. In conclusione si sottolinea come buone pratiche di fabbricazione, adeguati programmi di pulizia, sanificazione e igiene ed un attento controllo della temperatura durante tutta la fase di produzione alimentare, sono necessari per la prevenzione della contaminazione o l’inibizione della crescita di Lm a livelli superiori a 100 ufc/g in alimenti che possono costituire un rischio per tale patogeno. In quest’ottica è previsto un ulteriore attività di campionamento che prevede, in caso di ripetuti esiti sfavorevoli il campionamento anche dei lotti di prodotto ancora presenti in fase di stagionatura. RISULTATI E CONCLUSIONI La tabella 1 presenta i dati ottenuti dopo il primo ed il secondo trimestre di campionamento. Tabella 1 – Riepilogo Analisi I Trimestre II Trimestre N° Tamponi Eseguiti 410 430 Esiti SFAVOREVOLI per L. spp 32 50 Esiti SFAVOREVOLI per L. mono 22 11 Isolati microbiologici 25 40 Identificati e caratterizzati L. mono 5 5 BIBLIOGRAFIA 1. Scientific Report of Efsa “Analysis of the baseline survey on the prevalence of Listeria monocytogenes in certain ready-toeat foods in the EU, 2010-2011 Part A: Listeria monocytogenes prevalence estimates” EFSA Journal 2013;11(6):3241 2. www.ec.europa.eu 3. www.combase.cc 4. www.ars-alimentaria.it 5. FSIS Compliance Guideline: Controlling Listeria monocytogenes in Post-lethality Exposed Ready-to-Eat Meat and Poultry Products – September 2012 – http://www.fsis.usda.gov 6. ISO 11290-1 1996/Amd. 1:2004 Microbiology of Food and Animal Feeding Stuffs — Horizontal Method for the Detection and Enumeration of Listeria monocytogenes. part.1 6. ISO 11290-2 1998 Microbiology of Food and Animal Feeding Stuffs — Horizontal Method for the Detection and Enumeration of Listeria monocytogenes part. 2 Dal confronto tra il primo ed il secondo trimestre si può notare come i ceppi isolati siano aumentati, anche se il numero dei ceppi di Lm identificati e caratterizzati siano rimasti invariati. Allo stesso modo si può notare come la prevalenza di Lm (calcolata sulla base dei risultati PCR Real-Time) si sia dimezzata; infatti nel primo trimestre la prevalenza calcolata è pari a 5.3%, mentre nel secondo risulta 2.5%. Si può ipotizzare che ciò sia dovuto alle azioni correttive svolte dalle aziende dopo il primo esito sfavorevole, nonché dall’intensificazione dei campioni dovuta al follow-up di campionamento (Fig. 2). Figura 1 – Schema di Campionamento Trimestrale 62 63 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Via Duca degli Abruzzi, 8 – 07100 Sassari 2 AGRIS Sardegna, Viale Adua, 2/c – 07100 Sassari Key words: bacteriophage, ricotta cheese, decontamination SUMMARY Ricotta cheese is a Sardinian typical dairy product obtained by heat-coagulation of whey proteins of ovine milk. In recent years several alert notifications were sent in RASFF system as consequence of Listeria monocytogenes contamination of ricotta cheese. Bacteriophages are virus able to infect and lyse bacterial cells. Bacteriophage P100 can be used for biocontrol of L. monocytogenes in foods. In this work the efficacy of bacteriophage P100 treatment in ripened Ricotta cheese was investigated. Ricotta was contaminated with three different levels of L. monocytogenes (5 x 106 UFC/cm2; 5 x 102 UFC/cm2; 10 UFC/ cm2). A concentration of 5x107 and 108 UFP/cm2 of phage P100 was utilized. For control purpose, a batch of ricotta was manufactured without addition of phage. We conclude that the addition of phage P100 in Ricotta cheese can be a useful support to reduce L. monocytogenes cells, however concentration of bacteriophages may be far higher than those of bacteria. l’uomo hanno sviluppato nei confronti delle più comuni molecole in uso. Recentemente molte ricerche si sono concentrate sull’utilizzo dei batteriofagi negli alimenti (6, 7); il fine può essere quello di controllare lo sviluppo della flora contaminante, per prolungare la shelf-life oppure per garantire la sicurezza alimentare attraverso il biocontrollo degli eventuali agenti patogeni presenti. Diverse ricerche hanno verificato l’efficacia del listeriofago P100 in molteplici alimenti, ottenendo spesso risultati discordanti (1, 2, 5, 8). Scopo del nostro lavoro era quello di verificare il comportamento, l’efficacia e la durata d’azione del listeriofago P100 su ricotte salate artificialmente contaminate e di ricercare dei metodi di utilizzo applicabili alla pratica industriale. MATERIALI E METODI Sono state eseguite 3 prove sperimentali che differivano principalmente per il titolo di contaminazione di L. monocytogenes. Le ricotte venivano contaminate a 4 gg dalla salatura e l’inoculo era costituito da 2 ceppi di campo e 1 ceppo di referenza. Nella prova sperimentale n. 1 sono state utilizzate n. 25 ricotte poste sotto vuoto a 7 gg dalla salatura: n. 15 ricotte sono state sottoposte a decontaminazione 4 h dopo la contaminazione, n. 5 ricotte sono state utilizzate come controllo positivo e n. 5 per i controlli fisicochimici. L’ inoculo di L. monocytogenes, in questo caso, aveva un titolo tale da raggiungere una contaminazione superficiale di 5 x 106 UFC/cm2. La prova di decontaminazione avveniva con un inoculo di batteriofagi tale da raggiungere la concentrazione superficiale di 5 x 107 UFP/cm2 . Le ricotte venivano quindi sottoposte ai controlli microbiologici e fisico- chimici a 1, 3, 6, 10 e 18 gg dalla decontaminazione. Per la prova sperimentale n. 2 sono state preparate n. 15 forme, in seguito contaminate, per raggiungere una contaminazione superficiale di 5 x 102 UFC/cm2; n. 3 forme erano utilizzate per i controlli fisico-chimici, n. 3 come controllo positivo, mentre n. 9 venivano sottoposte a decontaminazione 4 h dopo l’ esecuzione della contaminazione con un inoculo di batteriofago P100 tale da ottenere una concentrazione superficiale di 108 UFP/cm2. Venivano eseguiti campionamenti a 1, 4 e 9 gg. Per la prova sperimentale n. 3 è stato invece utilizzato un inoculo tale da raggiungere una contaminazione superficiale di L. monocytogenes di 10 UFC/cm2. Sono state utilizzate n.18 ricotte: n.9 sono state sottoposte a decontaminazione, n. 6 rappresentavano il controllo positivo e infine n. 3 venivano impiegate per la determinazione dei parametri fisico-chimici. Il titolo dell’inoculo di batteriofagi utilizzato per la decontaminazione e il campionamento erano uguali a quelli riportati per la prova sperimentale n. 2. I campioni della prova sperimentale n. 2 che erano posti sottovuoto venivano conservati ad una temperatura di 10 °C, mentre gli altri a 6 °C. Per quanto riguarda i controlli microbiologici veniva eseguita la ricerca di L. monocytogenes sia con il metodo della presenza/assenza (UNI EN ISO 11290-1:2005) che attraverso la conta su piastra (UNI EN ISO 11290-2:2004). I controlli fisicochimici eseguiti comprendevano il pH (metodo potenziometrico) e l’aw (Novasina aw sprint). INTRODUZIONE La ricotta salata è un prodotto tipico della regione Sardegna ottenuto da siero di latte ovino. Ha una pasta dura, compatta che si presenta di colore bianco. Può essere utilizzata come prodotto da tavola entro i tre mesi di stagionatura o come prodotto da grattugia quando subisce una stagionatura oltre questo periodo. Il siero viene riscaldato per ottenere la coagulazione delle proteine, le quali una volta affiorate vengono poste in stampi e pressate. Le forme così ottenute vengono salate a secco e stagionate per un breve periodo, variabile dai 5 ai 15 giorni. Solitamente dopo una settimana la ricotta viene conservata sotto vuoto. E’ incluso nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con la denominazione di “ricottone” (3). Inoltre la ricotta salata assume un certo rilievo commerciale nell’economia isolana dovuto in particolare alle consistenti esportazioni verso paesi extra-comunitari. Negli ultimi anni sono state pubblicate nel sistema RASFF diverse allerte comunitarie che coinvolgevano ricotte prodotte nel territorio regionale per la presenza di L. monocytogenes; le più recenti si riferiscono alla fine del 2012 e a esse sono collegati diversi focolai di tossinfezioni alimentari anche con casi di mortalità negli Stati Uniti. L. monocytogenes è un batterio Gram +, psicrofilo e anaerobio facoltativo che tende a persistere negli ambienti dei caseifici anche in conseguenza di ripetute sanificazioni. Può provocare meningite in soggetti immunocompromessi e aborto. Le sue caratteristiche lo rendono capace di sopravvivere in molti alimenti, anche in condizioni di refrigerazione. Alcuni studi hanno dimostrato la capacità di questo microrganismo di contaminare e svilupparsi in ricotta salata durante il periodo di stagionatura ed in particolare anche dopo il confezionamento sotto-vuoto (4). I batteriofagi sono virus capaci di parassitare le cellule batteriche e di provocarne la lisi. Sono state studiate molte applicazioni dei batteriofagi in medicina, sia nella profilassi che nella terapia di malattie batteriche, anche per contrastare l’antibiotico-resistenza che molti agenti patogeni per 64 Grafico 1. Risultati della prova sperimentale 1 (C=controllo; m.c.=valore medio campioni) 1,00E+08 1,00E+07 log UFC/cm2 Terrosu G.1, Pirisi A.2, Melillo R.1, Mura E.1, Pes M.2, Rossi M.L.1, Fadda A.1 di L. monocytogenes. Infatti, come si può vedere dalla tabella 1, i risultati relativi alla ricerca di L. monocytogenes tramite metodo di presenza/assenza permettono di evidenziare come sia stato possibile isolare il microrganismo solo nei controlli, mentre la ricerca nei campioni delle ricotte sottoposte a decontaminazione con batteriofagi ha sempre dato esito negativo. Dai risultati della ricerca emerge che i fagi da noi utilizzati per le varie prove di decontaminazione agiscono con diversa intensità ed efficacia in relazione al rapporto tra la loro concentrazione e quella delle cellule bersaglio. Appare infatti evidente che sia necessaria una concentrazione di batteriofagi P100 molto più alta rispetto a quella delle cellule di L. monocytogenes perché si esplichi una evidente azione di controllo nella crescita del microrganismo. Sulla ricotta salata, a prescindere dall’intensità dell’azione, i batteriofagi utilizzati sono in grado di sopravvivere ed infettare le cellule bersaglio in diverse condizioni di confezionamento e conservazione. Riteniamo comunque opportuno sottolineare che il trattamento con batteriofagi testato non può essere utilizzato come metodo di risanamento risolutivo o come sostitutivo delle buone prassi igieniche, ma semplicemente come un ulteriore e valido strumento capace di controllare la crescita di L. monocytogenes sul prodotto in caso di livelli di contaminazione non eccessivi e che comunque non superino le 100 UFC/cm2. Dai dati ottenuti emerge che sarebbe consigliabile utilizzare i batteriofagi P100 come mezzo di biocontrollo nelle prime fasi di produzione della ricotta salata, quando l’eventuale contaminazione di L. monocytogenes non dovrebbe aver ancora raggiunto livelli di carica superiori alle 100 UFC/cm2 , le quali potrebbero costituire un limite per l’efficacia del trattamento tramite batteriofago P100. RISULTATI E CONCLUSIONI Nella prova sperimentale n. 1 (grafico 1), nei 3 gg dopo il trattamento con i fagi è stato possibile rilevare una lieve azione degli stessi. Infatti la differenza nella conta di L. monocytogenes tra il controllo e i campioni decontaminati passa da 0,37 log UFC/cm2 alle 24h dall’inoculo dei fagi sino a raggiungere 0,7 log UFC/cm2 nel secondo campionamento. Tale differenza diminuisce leggermente nel successivo campionamento per aumentare nuovamente in quello a 10 e 18 gg (rispettivamente 0,53 e 0,57 log UFC/ cm2), soprattutto per effetto del sensibile aumento del titolo di L. monocytogenes nei campioni di controllo. Relativamente alla prova sperimentale n. 2 (grafico 2) può essere messa sicuramente in evidenza una più marcata azione dei fagi. Già alle 24h si può notare una differenza tra il controllo e i campioni trattati con i fagi di 1,53 log UFC/cm2; questa differenza aumenta al 4° giorno per attestarsi a 2 log UFC/cm2 e rimane sostanzialmente uguale anche nel successivo campionamento relativo al 9° giorno dalla decontaminazione. 1,00E+06 1,00E+05 1,00E+04 C m.c. 1,00E+03 1,00E+02 BIBLIOGRAFIA 1. Carlton R.M., Noordman W.H., Biswas B., de Meester E.D., Loessner M.J. 2005. Bacteriophage P100 for control of Listeria monocytogenes in foods: Genome sequence, bioinformatic analyses, oral toxicity study, and application. Regulatory Toxicology and Pharmacology. Vol. 43, p. 301–312. 2. Comi G., Brichese R., Iacumin L., Cantoni C. 2011. Inattivazione di Listeria monocytogenes da prosciutti crudi stagionati e da biofilm di attrezzature e ambient di lavorazione di prosciuttifici di san Daniele tramite l’impiego di batteriofagi (Listex p100). Industrie Alimentari. Novembre 2012, p. 7–16. 3. Dodicesima revisione dell’elenco nazionale dei prodotti alimentari tradizionali. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n.142 del 20 giugno 2012, supplemento ordinario n.124. 4. Fadda A., Addis M., Mele P., Furesi M., Pes M., Rossi L., Terrosu G., Pirisi A. 2010. Fate of Listeria monocytogenes in ripened Ricotta cheese contaminated in controlled conditions. Atti IDF World Dairy Summit. 5. Guenther S., Huwyler D., Richard S., Loessner M.J. 2009. Virulent bacteriophage for efficient biocontrol of Listeria monocytogenes in Ready-To-Eat foods. Applied and Environmental Microbiology. Vol. 75, N. 1, p. 93–100. 6. Kim K.P., Klumpp J., Loessner M.J. 2007. Enterobacter sakazakii bacteriophages can prevent bacterial growth in reconstituted infant formula. International Journal of Food Microbiology. Vol. 115, N. 2, p. 195–203. 7. Sillankorva S.M., Oliveira H., Azeredo J. 2012. Bacteriophage and their role in food safety. International journal of Microbiology. Vol. 2012, 2012:863945. 8. Soni K. A., Nannapaneni R., Hagens S. 2010. Reduction of Listeria monocytogenes on the Surface of Fresh Channel Catfish Fillets by Bacteriophage Listex P100. Foodborne Pathogens and Disease. Vol. 7, N. 4, p. 427-434. 1,00E+01 1,00E+00 1 3 6 10 18 Giorni da inoculo batteriofagi Grafico 2. Risultati della prova sperimentale 2 (C=controllo; m.c.=valore medio campioni) 1,00E+04 1,00E+03 Log UFC/cm2 BIOCONTROLLO DI LISTERIA MONOCYTOGENES ATTRAVERSO L’ UTILIZZO DI BATTERIOFAGI P100 IN RICOTTA SALATA PRODOTTA IN SARDEGNA XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 1,00E+02 C m.c. 1,00E+01 1,00E+00 1 4 9 Giorni da inoculo batteriofagi Tabella 1. Esperimento 3: risultati della ricerca di Listeria monocytogenes tramite metodo di presenza/assenza (c.=campione; - = assente; + = presente) Giorno campionamento Controllo Controllo c. 1 c. 2 c. 3 1 + + - - - 4 + + - - - 9 + + - - - La prova sperimentale 3 conferma che un’ alto titolo di batteriofagi è in grado di decontaminare il prodotto in presenza di bassi titoli 65 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Key words: Listeria monocytogenes, Salmonella spp., salami Tabella 1 – Ceppi utilizzati per inoculi SUMMARY Salmonella spp. and Listeria monocytogenes are microorganisms often implicated in food borne outbreaks. The aim of this study was to evaluate the survival of these two pathogens in two Italian fermented sausages: Cacciatore and Felino salami. Two batches of hitch salami were contaminated twice with both pathogens separately. Lactococci, staphylococci, Salmonella spp., L.monocytogenes, pH and Aw were monitored during fermentation and ripening period. Concentrations of starter cultures were constantly high in this kind of sausages. Salmonella spp. and L.monocytogenes decreased gently in both salami. Cacciatore and Felino had a negative effects on Salmonella and L.monocytogenes growth, although pathogens survived in twice salami at the end of ripening period. ID ATCC 14028 22754-2012 54398-2012 56596-2011 57002-2010 EGDe V7 #5 #19 #36 Ceppo S.TYPHIMURIUM S.DERBY S.TYPHIMURIUM 1,4, (5),12:i:S.TYPHIMURIUM S.TYPHIMURIUM 1,4, (5),12:i:L.monocytogenes sierotipo 1/2a Origine Collezione Feci – Suino Insaccato - Suino Feci – Suino Carne trita - Suino Collezione Isolato clinico L.monocytogenes umano Carne trita L.monocytogenes sierotipo 4b Bovino L.monocytogenes sierotipo 1/2b Salame – Suino L.monocytogenes sierotipo 1/2a Carne - Suino I ceppi sono stati rivitalizzati in Brain Heart Infusion (BHI) (OXOID) a 37 °C per 24 ore. Successivamente le colture sono state centrifugate ed il pellet è stato risospeso in Soluzione di Ringer (OXOID). La concentrazione dell’inoculo è stata verificata mediante scala McFarland. Sono state eseguite diluizioni seriali al fine di ottenere una contaminazione dell’impasto di circa 5-6 log UFC/g per ogni patogeno. L’asciugatura e la stagionatura è avvenuta in cella climatica per 20 (Cacciatore) e 40 giorni (Felino). Durante il processo produttivo sono stati eseguiti i campionamenti, rispettivamente a 0, 2, 5, 10, 20 giorni per il Cacciatore e 0, 3, 7, 10, 20, 40 giorni per il Felino. Per ogni momento di prelievo sono stati eseguiti ed analizzati 2 campioni per ogni lotto: - Salmonella spp.: Xylose Lysine Deoxycholate agar (XLD) a 37 °C per 24-48 ore - L.monocytogenes: Agar Listeria Ottaviani e Agosti (ALOA) a 37 °C per 24-48 ore - Stafilococchi: Mannitol Salt Agar (MSA) a 30 °C per 72 ore - Lattobacilli: Man Rogosa Sharpe Agar (MRS) a 30 °C per 72 ore In parallelo sono state eseguite le analisi qualitative per L.monocytogenes (ISO 11290-1:1996) e Salmonella spp. (ISO 6579:2002), per valutare la presenza del patogeno con cariche inferiori a 1 log UFC/g. È stata inoltre eseguita la determinazione del pH con metodo potenziometrico (MFHPB-03:Feb. 2003) e dell’Aw con metodo capacitivo (ISO 21807:2004). INTRODUZIONE La produzione di salumi in Italia vanta eccellenze riconosciute in tutto il mondo. La lavorazione di materie prime con caratteristiche microbiologiche adeguate è fondamentale in quanto molti salumi non subiscono trattamenti in grado di eliminare gli eventuali microrganismi patogeni. Salmonella spp. è uno dei principali agenti di tossinfezione a livello europeo. La causa principale di salmonellosi nell’uomo è rappresentata dall’assunzione di alimenti di origine animale contaminati (1). Il Regolamento (CE) 2073/2005 e s.m.i. impone l’assenza di Salmonella in 25 g di carne macinata e di prodotti a base di carne destinati ad essere consumati crudi. L.monocytogenes è un microrganismo patogeno ubiquitario in grado di sopravvivere e svilupparsi in ambienti freddi e umidi. Queste caratteristiche lo rendono perfettamente adattabile alle superfici di lavorazione degli stabilimenti alimentari. La contaminazione dei prodotti alimentari può avvenire sia per materie prime contaminate che per cross-contaminazione in fase di lavorazione. Salmonella spp. e L.monocytogenes possono essere quindi presenti e sopravvivere nei salumi fermentati durante le fasi di asciugatura e stagionatura (3). Uno studio condotto su salami in vendita a livello nazionale, ha mostrato come il 22,7% dei campioni analizzati fosse positivo per L.monocytogenes, ma con concentrazioni inferiori a 10 ufc/g (2). Scopo del presente lavoro è quello di conoscere le dinamiche di sopravvivenza di questi due patogeni nel salame tipo Cacciatore e tipo Felino. MATERIALI E METODI Sono stati preparati due lotti di salame tipo Cacciatore e due di salame tipo Felino per ogni microrganismo patogeno, utilizzando colture starter commerciali composte da lattobacilli e stafilococchi. L’impasto prodotto è stato diviso in due parti uguali: metà è stato contaminato con Salmonella spp. e l’altra metà con L.monocytogenes. Ogni lotto è stato inoculato con una soluzione contenente un pool di 5 ceppi rispettivamente di Salmonella spp. e L.monocytogenes, provenienti da ceppoteche internazionali o isolati da diverse matrici (Tabella 1). RISULTATI E CONCLUSIONI Le analisi eseguite sul salame tipo Cacciatore hanno dimostrato l’omogeneità dei lotti prodotti (Grafico 1, 2). La componente degli starter rappresentata dai lattococchi ha raggiunto la sua massima concentrazione (circa 9 log ufc/g) dopo 5 giorni dall’insacco. Gli stafilococchi presenti nell’impasto hanno mantenuto livelli costanti (circa 6 log ufc/g) durante tutto il processo di asciugatura/stagionatura. L’aumento 66 Felino - Salmonella spp. 10,0 9,0 8,0 Log ufc/g 7,0 6,0 Lattococchi 5,0 Stafilococchi 4,0 Salmonella 3,0 2,0 1,0 0,0 Grafico 1 - Cacciatore contaminato Salmonella spp. 0 7 14 21 28 35 42 Giorni Cacciatore - Salmonella spp. Grafico 4 – Felino contaminato L.monocytogenes 10,0 Felino - L.monocytogenes 9,0 8,0 10,0 7,0 6,0 Lattococchi 5,0 Stafilococchi 4,0 Salmonella 9,0 8,0 7,0 Log ufc/g Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta – Torino 2 Università degli Studi di Torino – Dip. di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari – Grugliasco (TO) 3 Agriculture University of Athens – Dep. Food Science and Technology, Lab. Food Quality Control and Hygiene – Athens 1 Log ufc/g Bellio A.1, Astegiano S.1, Adriano D.1, Bianchi D.M.1, Gallina S.1, Zuccon F.1, Civalleri N.1, Liuni F.F.1, Rovetto F.2, Mataragas M.3, Cocolin L.2 e Decastelli L.1 Grafico 3 - Felino contaminato Salmonella spp. dei batteri lattici nei primi giorni di asciugatura ha causato un abbassamento del pH da 5,7 ± 0,1 a 4,7 ± 0,2. L’iniziale asciugatura e la successiva stagionatura hanno determinato un abbassamento dell’Aw da 0,98 ± 0,01 a 0,92 ± 0,01. La concentrazione di Salmonella spp. presente nell’impasto (6,2 ± 0,2 log ufc/g) decresce gradualmente raggiungendo, dopo 20 giorni di stagionatura, una riduzione di circa 1 log (5,1 ± 0,4 log ufc/g). Le prove eseguite inoculando L.monocytogenes alla stessa concentrazione, hanno permesso di osservare un andamento simile per tale microrganismo, seppur meno marcato: concentrazione finale (5,7 ± 0,3 log ufc/g). 3,0 2,0 1,0 6,0 Lattococchi 5,0 Stafilococchi 4,0 L.monocytogenes 3,0 0,0 0 3 6 9 12 15 18 2,0 21 1,0 Giorni 0,0 0 7 14 21 28 35 42 Giorni Grafico 2 - Cacciatore contaminato L.monocytogenes I dati raccolti dalle prove eseguite sul salame tipo Cacciatore mostrano come per entrambi i patogeni la concentrazione al momento dell’insacco, non aumenta durante la stagionatura. Al contrario si è osservata una diminuzione dei patogeni presenti, anche se dopo 20 giorni erano ancora presenti con cariche elevate. La maggiore sensibilità di Salmonella rispetto a L.monocytogenes, sarebbe da attribuire alla maggiore resistenza dei microrganismi Gram+, rispetto ai Gram- durante le fasi di fermentazione e stagionatura degli insaccati. Quanto osservato nelle prove condotte su salame tipo Felino, è sovrapponibile ai risultati ottenuti per il Cacciatore. Tuttavia, la stagionatura di durata maggiore determina una riduzione dei patogeni più evidente rispetto al salame tipo Cacciatore. L’andamento delle concentrazioni dei patogeni durante il processo produttivo, potrebbe essere attribuito alla competizione esercitata dalle colture starter utilizzate nell’impasto, e dall’abbassamento del pH e dell’Aw durante le fasi di asciugatura e stagionatura. Dai dati ottenuti si evince che il prodotto non favorisce la crescita di Salmonella spp. e L.monocytogenes, ma al contrario ha un effetto negativo sulla sopravvivenza di entrambi i patogeni, non garantendo però la loro assenza in caso di alte concentrazioni nel prodotto fresco. Cacciatore - L.monocytogenes 10,0 9,0 8,0 7,0 Log ufc/g DINAMICHE DI COMPORTAMENTO DI SALMONELLA SPP. E L.MONOCYTOGENES IN DUE SALUMI ITALIANI: SALAME TIPO CACCIATORE E SALAME TIPO FELINO XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 6,0 Lattococchi 5,0 Stafilococchi 4,0 L.monocytogenes 3,0 2,0 1,0 0,0 0 3 6 9 12 15 18 21 Giorni I dati ottenuti dalle analisi condotte sul salame tipo Felino hanno mostrato andamenti sovrapponibili per i parametri microbiologici e chimico-fisici nei diversi lotti. Gli stafilococchi sono rimasti costanti durante il processo produttivo con una concentrazione di circa 6 log ufc/g. I batteri lattici presenti nell’impasto (circa 6,5 log ufc/g) sono aumentati durante i primi 3 giorni di circa 2 log. Tale incremento ha determinato un abbassamento del pH iniziale (5,8 ± 0,2), durante i primi giorni di asciugatura (5,2 ± 0,2), rimanendo poi pressoché costante fino a 40 giorni (5,2 ± 0,3). L’Aw del prodotto fresco (0,96 ± 0,01) è diminuito progressivamente durante l’asciugatura e la stagionatura, sia per i lotti contaminati con Salmonella (0,94 ± 0,01) che per quelli contaminati con L.monocytogenes (0,93 ± 0,01). Salmonella spp., presente nell’impasto con cariche di 4,7 ± 0,1 log ufc/g, ha mostrato un incremento nei primi 3 giorni (5,4 ± 0,1 log ufc/g) di asciugatura, diminuendo poi la propria concentrazione a 3,4 ± 0,7 log ufc/g a fine processo. L.monocytogenes era presente con concentrazioni pressoché costanti durante i primi 20 giorni, per poi diminuire nella seconda metà della stagionatura, risultando pari a 4,4 ± 0,8 log ufc/g. BIBLIOGRAFIA 1.EFSA ECDC, 2013. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2011, EFSA Journal 11(4):3129 [250 pp.] 2.Gianfranceschi M.V., Gattuso A, Fiore A, D’Ottavio MC, Casale M, Palumbo A, Aureli P. 2006. Survival of Listeria monocytogenes in uncooked italian dry sausage (salami). Journal Food Protection. Vol. 69, pagg.: 1533-1538. 3.Leroy F, Verluyten J, De Vuyst L, 2006. Functional meat starter cultures for improved sausage fermentation. Int J Food Microbiol 106:270-85. 67 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MODELLAZIONE MATEMATICA DELLE INTERAZIONI MICROBICHE IN UN ECOSISTEMA COMPLESSO Cosciani-Cunico E.1, Daminelli P.1, Baranyi J.2, D’Amico S.1, Sfameni C.1, Dalzini E.1, Losio M.N.1, Varisco G.3 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna – Reparto Microbiologia degli Alimenti Laboratorio Tecnologie Acidi Nucleici Applicati agli Alimenti, Brescia 2 Institute of Food Research Norwich, UK 3 Centro di Referenza Nazionale per i rischi emergenti nella sicurezza alimentare, Milano, Italia Key words: Listeria monocytogenes, dynamic predictive model, soft ripened cheese SUMMARY The subject of this modelling study is the manufacturing of blue-veined cheese considering the most relevant biochemical reactions in the cheese ecosystem. The model must be dynamic, since a series of interactions between bacterial and chemical elements change this ecosystem considerably during maturation. In this simplified model, the system has three microbial variables: log concentrations of Listeria monocytogenes, lactic acid bacteria and mould, and environmental/chemical variables: temperature, pH and protease activity. VA, USA), e ceppi di campo, isolati da formaggi a pasta molle, Lm273250 e Lm242382/9 provenienti dalla collezione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER). I ceppi sono stati rigenerati in Brain Heart Infusion (BHI; Oxoid, Milano, Italia) incubati a 37°C per 24h con due passaggi per raggiungere la fase stazionaria di crescita. La conta del patogeno è avvenuta su piastre di Agar Listeria Ottaviani Agosti (ALOA; Microbiol Diagnostici, Cagliari, Italia). La miscela dei tre ceppi, alla medesima concentrazione (circa 6-7 log ufc/ml), costituisce l’inoculo del latte per la produzione del formaggio erborinato contaminato. La caseificazione e la stagionatura del formaggio a pasta erborinata sono avvenute nell’impianto pilota del Reparto Microbiologia Alimenti dell’ IZSLER, seguendo il processo produttivo descritto su ars-alimentaria (4), sito pubblico riguardante la sicurezza alimentare. Il latte, suddiviso in aliquote, è stato utilizzato per produrre le forme contaminate con Lm (formaggio contaminato) e le forme non contaminate (formaggio in bianco). Il latte è stato inoculato con un volume pari all’1% v/v della miscela di ceppi di Lm o con soluzione fisiologica sterile. Nel formaggio contaminato è stata misurata la concentrazione del patogeno in triplice analisi, nel formaggio in bianco sono stati misurati i valori di pH, di aw, la temperatura di processo e la concentrazione dei batteri lattici mesofili (LAB). Le analisi sono state effettuate sul latte, sulla cagliata e sul formaggio, con campionamento a cuore. I prelievi sono stati eseguiti durante il processo e la maturazione e, successivamente, durante la shelf life. Infatti, alla fine del processo, il formaggio è stato aliquotato in ragione di 100 grammi in vaschette termosaldate, idonee allo scopo, e conservato a 6°C ±0.5 per 55 giorni. Le analisi sono state eseguite a intervalli prestabiliti di tempo. L’analisi microbiologica del latte è stata effettuata mediante conta diretta in piastra. Per la cagliata e il formaggio, contaminati o di controllo, 25 g di materiale sono stati trasferiti in sacchetti con filtro per stomacher (NEOMED, Milano, Italia) e omogeneizzati in acqua peptonata sterile (AP) 1/3 (wt/v) + Tween 80 al 10% (CONDA, Madrid, Spagna) per 3 minuti utilizzando uno stomacher 400 (Seward medico, Londra, Regno Unito). Le diluizioni decimali sono state allestite in AP sterile. Per il conteggio di Lm è stata applicata la norna ISO (5). Per la numerazione dei LAB 1 ml delle appropriate diluizioni è stato inoculato per inclusione in terreno de Man, Rogosa e Sharpe (MRS; Microbiol Diagnostici) ed incubato a 37 °C con il 5% di CO2 per 72 h. Il pH è stato misurato utilizzando un pH metro con compensazione automatica della temperatura (Hanna Instrument, USA), il rilievo dell’aw mediante apparecchiatura che utilizza un sensore capacitivo (Aqualab, Pullman, USA). -Le equazioni differenziali che rappresentano il modello predittivo sono state calcolate utilizzando dati consultati dalla INTRODUZIONE Nel database on line RASFF, sistema di allerta rapido per gli alimenti e i mangimi, voluto dalla Commissione Europea, è reso noto che, negli ultimi dieci anni, su 58 notifiche riguardanti la presenza di Listeria .monocytogenes (Lm) nei prodotti lattiero-caseari italiani, 40 si riferiscono a formaggi erborinati. Infatti, tra i prodotti caseari il formaggio a pasta erborinata è il più frequentemente contaminato (1). L’ecosistema di questo formaggio cambia durante la maturazione. Il fattore dominante che permette l’aumento della concentrazione di microrganismi indesiderati è l’incremento del valore di pH, per effetto degli enzimi proteolitici di lieviti e del Penicillium roqueforti (2). Challenge test effettuati su formaggi erborinati e a crosta lavata hanno evidenziato che l’aumento del valore di pH durante la maturazione permette la sopravvivenza e la crescita di Lm presente nel substrato alimentare (3). A supporto dei dati epidemiologici sono stati allestiti specifici challenge test per valutare l’andamento di Lm nel formaggio a pasta erborinata contaminando il latte utilizzato per la produzione e monitorando l’andamento del patogeno e delle variabili chimico-fisiche e microbiologiche del prodotto alimentare. I dati sperimentali sono stati utilizzati per validare il modello predittivo dinamico, sviluppato per prevedere il comportamento di Lm in funzione delle interazioni microbiche presenti nell’ecosistema del formaggio a pasta erborinata. La compresenza di diversi organismi nel substrato alimentare, e l’attività biochimica degli stessi, generano interazioni metaboliche che a loro volta influenzano le variabili intrinseche del formaggio durante il processo produttivo e la maturazione. Pertanto, l’obiettivo del lavoro presentato è di sviluppare un modello dinamico relativamente semplice, ma abbastanza sofisticato, per definire le caratteristiche principali dell’”ecosistema formaggio” e prevedere il comportamento di Lm eventualmente presente in esso. MATERIALI E METODI -Per il challenge test è stato utilizzato un cocktail di tre ceppi di Lm, ceppo registrato ATCC® 19115TM (ATCC, Manassas, 68 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 3 – Concentrazione, con dev. st., di Lm (Lm) nel formaggio erborinato durante la shelf life. letteratura internazionale riguardanti parametri biochimici e microbiologici misurati su formaggi a pasta erborinata (6, 7, 8). I dati sono stati raccolti in un foglio di calcolo Microsoft Excel e, per ragioni di semplicità, è stato programmato on the spot, un risolutore Runge-Kutta del secondo ordine, per simulare il modello sviluppato. La validazione del modello è stata effettuata secondo il metodo proposto da Baranyi et al. (9). L’analisi statistica dei dati è stata effettuata su fogli di calcolo Microsoft Excel. RISULTATI E CONCLUSIONI I valori nelle tabelle riguardano la media delle analisi con rispettiva deviazione standard. La tabella 1 presenta i valori microbiologici e chimico fisici misurati durante il processo di produzione e stagionatura del formaggio a pasta erborinata. LAB (log ufc g-1) <0.47 4.91 ± 0.19 5.62 ± 0.11 7.65 ± 0.11 6.69 ± 0.12 6.65 ± 0.14 7.38 ± 0.44 7.38 ± 0.44 6.9 ± 0.04 7.14 ± 0.04 7.6 ± 0.13 7.56 ± 0.36 pH 6.65 ± 0.02 6.56 ± 0.06 4.93 ± 0.01 4.82 ± 0.03 4.73 ± 0.12 4.69 ± 0.09 4.76 ± 0.07 4.73 ± 0.04 5.25 ± 0.47 6.07 ± 0.74 6.64 ± 0.14 6.8 ± 0.02 La tabella 2 mostra i valori della concentrazione di Lm durante il processo produttivo e la maturazione. Tabella 2 Concentrazione, con dev. st., di Lm nel formaggio. I dati riguardano il processo e la maturazione. matrice/ giorno latte cagliata formaggio/1 formaggio/3 formaggio/7 formaggio/15 formaggio/21 formaggio/27 formaggio/49 formaggio/56 formaggio/62 Lm (log ufc g-1) 6.10 ± 0.66 7.02 ± 0.18 6.84 ± 0.59 7.46 ± 0.21 7.07 ± 0.52 6.68 ± 0.86 7.11 ± 0.19 8.27 ± 0.12 formaggio in vaschetta / 55 5.39 ± 0.45 I valori iniziali del modello sono parametri estrinseci. La temperatura (e la sua variazione nel tempo) non è influenzata dalla dinamica del sistema, pertanto è stata considerata un parametro estrinseco. Essa ha un ruolo di controllo dominante nel determinare la velocità delle reazioni biochimiche dell’ecosistema “formaggio erborinato”. Le variabili nelle equazioni differenziali del modello sono state le tre concentrazioni microbiche (muffa, LAB e Lm) e le variabili chimiche fisiche (pH, attività enzimatica). Per semplificazione, si è ipotizzato che i coefficienti cinetici dipendessero solamente dalla temperatura e che le reazioni biochimiche fossero con una cinetica di primo ordine. Il modello predittivo è stato convalidato da dati sperimentali indipendenti, ottenuti nel formaggio a pasta erborinata durante il processo produttivo e la shelf life (Fig. 1). La simulazione ottenuta riflette le interazioni previste: l’acido lattico prodotto dai batteri lattici è metabolizzato dalle muffe, che producono proteasi, con rilascio di ammoniaca, che, a sua volta, fa aumentare il pH. L’aumento di pH ha creato le condizioni favorevoli per la crescita del patogeno. La previsione della crescita di Lm è stata l’obiettivo dello studio proposto. Il challenge test ha mostrato una ragionevole accuratezza del modello. Concludendo, la microbiologia predittiva è ancora, e rimarrà, una disciplina essenzialmente empirica; tuttavia, quando possibile le interazioni meccanicistiche devono poter essere incluse nel modello predittivo. Il modello proposto è utile per prevedere il comportamento del patogeno nelle diverse fasi di processo e conservazione anche con profili termici variabili. Tabella 1 – Formaggio erborinato durante il processo e la maturazione. Parametri microbiologici e pH con dev.st. matrice/ giorno latte cagliata formaggio/ 1 formaggio/ 3 formaggio/ 7 formaggio/ 15 formaggio/ 21 formaggio/ 27 formaggio/ 35 formaggio/ 49 formaggio/ 56 formaggio/ 62 matrice/ giorno formaggio in vaschetta / 0 formaggio in vaschetta / 9 formaggio in vaschetta / 13 formaggio in vaschetta / 17 formaggio in vaschetta / 20 formaggio in vaschetta / 23 formaggio in vaschetta / 30 formaggio in vaschetta / 42 Lm (log ufc g-1) 5.64 ± 0.01 6.14 ± 0.04 6.14 ± 0.05 6.16 ± 0.16 6.24 ± 0.01 5.64 ± 0.06 5.68 ± 0.08 5.47 ± 0.3 5.03 ± 0.42 4.59 ± 0.47 5.93 ± 0.16 I batteri lattici durante la shelf life rimangono in fase stazionaria di crescita (concentrazione media log(ufc/g) pari a 7.83 ±0.32). Il pH ha un valore superiore a 6 (pH medio pari 6.37 ±0.32) mentre la concentrazione di Lm ha un incremento di 2.88 Log ufc/g, come mostrato in tabella 3. Il valore medio di aw misurato durante il processo, la maturazione e la shelf life è pari a 0.955 ± 0.015. Fig 1 – Formaggio erborinato durante il processo e la shel-life. Logc(log(ufc/g) di Lm(¯), valre di pH (á), modello predittivo (▬). Temperatura °C (▬ ▬). 69 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. www.ec.europa.eu 2. Lee K., Watanabe M., Sugita-Konishi Y., HaraKudo Y., Kumagai S. (2012) Journal of Food Science. 77, 102-107 3. www.combase.cc 4. www.ars-alimentaria.it 5. ISO 11290-2 1998/Amd. 1:2004 (E) Microbiology of Food and Animal Feeding Stuffs — Horizontal Method for the Detection and Enumeration of Listeria monocytogenes 6. Gobbetti M., Burzigotti R., Smacchi E., Corsetti A., De Angelis M. (1997) Microbiology and biochemistry of Gorgonzola cheese during ripening. Int. Dairy Journal. 7, 519-529 7. Prieto B., Franco I., Fresno J., Bernardo A., Carballo J. (2000) Picón Bejes-Tresviso blue cheese: an overall biochemical survey throughout the ripening process. Int. Dairy Journal, 10, 159-167. 8. Gori K., Mortensen D., Arneborg N., Jespersen L. (2007) Ammonia production and its possible role as mediator of communication on Debaryomyces hansenii and othe cheese-relevant yeast species. J. Dairy Sci.90, 5032-5041 9. Baranyi, J., Pin, C., Ross, T. (1999) Validating and comparing predictive models. Int. J. Food Microbiol. 48, 159– 166. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Valutazione dei rischi-benefici associati al consumo di latte crudo vaccino attraverso l’approccio BRAFO* Cibin V.1, Barrucci F., Losasso C.1, Cappa V.1, Ricci A.1 SCS1 Analisi del Rischio e Sorveglianza in Sanità Pubblica, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10 – 35020 Legnaro (PD) 1 Key words: risk-benefit assessment; raw milk; BRAFO SUMMARY Healthy and dangerous aspects due to food consumption have been deeply explored separately up to now and few studies integrating risks and benefits by using a common metric, have been published. Aim of the present study was to deep insight into benefits and risks associated to the consumption of dairy cow raw milk thought the application of the BRAFO tiered approach. Results displayed that the unique scientifically consistent benefit related to the consumption of raw milk is the reduction of the probability to be affected by asthma during childhood. The qualitative chemical risk assessment showed no evidence of differences between heat treated and raw milk. Nevertheless, as far as the microbiological hazards are concerned, the quantitative stochastic model estimated a high probability of foodborne diseases, principally caused by E.coli O157 VTEC. The DALY calculation both for the microbiological risks and the characterized benefit, demonstrated a clear prevalence of risks versus benefit. Il primo livello consiste nell’identificazione dei rischi e dei benefici e nella valutazione separata di ciascun rischio e di ciascun beneficio. Qualora vi siano solo rischi o solo benefici la valutazione si ferma, altrimenti procede al secondo livello con la comparazione qualitativa dei rischi e dei benefici: in questa fase non si utilizza una metrica comune. Nel secondo livello si valuta il guadagno netto in termini qualitativi del passare dallo scenario base allo scenario alternativo. Poiché alcuni effetti sulla salute riguardano la qualità di vita futura rispetto al momento dell’esposizione, il modello BRAFO prevede di tenere in considerazione: • Incidenza, • gravità dell’effetto sulla salute, • durata (anni vissuti sotto quell’effetto sulla salute), • mortalità aggiuntiva (incremento di probabilità di decesso) dovuta all’effetto e conseguente perdita di anni di vita (rispetto alla vita attesa media). Il terzo e quarto livello si intraprendono quando il bilanciamento in termini qualitativi tra rischi e benefici non è già evidente con la sola valutazione qualitativa, e si procede quindi con una valutazione comparativa quantitativa che può essere di tipo deterministico (terzo livello) e/o probabilistico (quarto livello). In ogni caso il confronto tra i rischi e i benefici viene espresso in una metrica comune e le usuali metriche utilizzate per la comparazione quantitativa sono il DALY (Disability Adjusted Life Years) e il QALY (Quality Adjusted Life Years). Il DALY in particolare è una delle misure più comuni per valutare l›impatto delle malattie e rappresenta la metrica scelta dall’OMS per misurare il Global Burden of Diseases (GBD), ovvero l’impatto delle patologie in termini di mortalità e disabilità. I pesi che vengono utilizzati per il calcolo del DALY riflettono e quantificano la percezione sociale della qualità della vita in rapporto ai diversi stati di salute rispetto allo stato di salute ottimale. Oggetto di interesse di questo studio è stato valutare in modo integrato i possibili benefici e gli effetti negativi sulla salute derivanti dal consumo di latte crudo vaccino. INTRODUZIONE La valutazione dei rischi e benefici alimentari è una disciplina relativamente nuova che sta richiamando notevole attenzione. Un alimento per sua natura contiene degli elementi benefici (i nutrienti) ma anche degli elementi potenzialmente dannosi per la salute (i pericoli), e talvolta lo stesso elemento può avere sia effetti benefici che dannosi. Fino ad oggi la valutazione dei rischi sia chimici che microbiologici e la valutazione dei benefici (tipicamente nutrizionali) sono state condotte più frequentemente separatamente. La valutazione rischio-beneficio (benefit-risk assessment, BRA) consiste nell’integrare la valutazione dei rischi e dei benefici associati all’esposizione ad un alimento in termini di effetto sulla salute. Gli approcci metodologici per lo sviluppo di una valutazione comparata dei rischi e dei benefici sono svariati. Tra questi, l’approccio BRAFO (1) consiste in quattro livelli consecutivi e prevede il confronto tra due scenari (quello di base e quello alternativo) al fine di quantificare gli effetti sulla salute in termini di guadagno netto (Figura 1). MATERIALI E METODI Per la comparazione dei rischi e benefici applicata al latte crudo è stato utilizzato l’approccio BRAFO, definendo lo “scenario base” come la situazione in cui gli individui assumono esclusivamente latte sottoposto a trattamento termico, con una frequenza e in quantità pari alle abitudini della popolazione italiana; lo “scenario alternativo” è stato definito come quello in cui tutti gli individui consumano latte crudo (ovvero non sottoposto a trattamento termico industriale né sottoposto a bollitura durante la preparazione domestica dell’alimento). É stata identificata come popolazione di interesse una ipotetica coorte di 100.000 nuovi nati e sono stati studiati gli effetti avversi e favorevoli dovuti al consumo di latte crudo durante l’intero arco di vita degli individui appartenenti a tale coorte. Il passaggio dallo scenario base allo scenario alternativo è stato definito come la completa sostituzione del consumo di latte trattato termicamente con il consumo di latte crudo. Per la stima dell’effetto netto di questo cambiamento è stata utilizzata la metrica del DALY (2). Figura 1: Diagramma di flusso dell’approccio BRAFO (1). 70 71 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1: anni di vita persi per morte prematura dovuta all’asma (YLL), anni vissuti con l’asma e DALY per l’asma, per i bambini di età 5-14 di ambo i sessi nei due scenari (di base e alternativo) Scenario base Maschi Scenario alternativo YLL* YLD* DALY YLL* YLD* DALY 37 921 958 37 681 718 Δ DALY** 240 Femmine 0 607 607 0 449 449 158 Totale 37 1528 1565 37 1130 1167 398 * YLL = anni di vita persi per morte prematura; YLD = anni di vita vissuti in disabilità * *Calcolato come differenza tra il DALY dello scenario base (uso univoco di latte trattato termicamente) e scenario alternativo (uso univoco di latte crudo) RISULTATI E CONCLUSIONI La prima fase della valutazione dei rischi e dei benefici, in accordo con l’approccio BRAFO, è consistita nell’identificare gli agenti causali di possibili effetti avversi e benefici conseguentemente alla sostituzione del consumo di latte trattato termicamente con il consumo di latte crudo. Tra gli agenti causali di condizioni avverse per la salute sono stati presi in considerazione i seguenti pericoli microbiologici e chimici: Salmonella spp, Campylobacter spp., E.coli O157 VTEC, aflatossina M1, diossine e PCB diossina simili. La valutazione del rischio relativa ai pericoli microbiologici si è svolta attraverso la realizzazione di un modello di tipo quantitativo stocastico. Assumendo di non sottoporre il latte a bollitura, condizione che caratterizza lo “scenario alternativo” del modello rischio-beneficio, il numero medio di casi di tossinfezione alimentare è stato stimato essere pari a 15 casi di campilobatteriosi per 100,000 porzioni (da 200ml) (con 5% percentile=0.00, 95% percentile=102). a 10.24 casi di salmonellosi per 100,000 porzioni (5% percentile=3.48x10-3, 95% percentile=36.53 casi per 100,000 porzioni); il numero medio di casi di tossinfezione dovuta alla presenza di E. coli O 157 VTEC è risultata pari a 723.38 per 100,000 porzioni (con 5% percentile=3.49x10-4, 95% percentile=4110.51 casi per 100,000 porzioni). Per quanto riguarda la valutazione del rischio chimico, i dati di letteratura e i dati analitici a disposizione, hanno dimostrato che la presenza di aflatossina M1, diossine e PCB diossina simili nel latte crudo, oltre i limiti consentiti, è un evento raro; in aggiunta, essendo il trattamento termico ininfluente è possibile affermare l’improbabilità di cambiamenti in termini di esposizione per il consumatore derivanti dal passaggio dallo scenario base (consumo di latte trattato termicamente) allo scenario alternativo (consumo di latte crudo). Per questa ragione i pericoli chimici non sono stati inseriti nel modello rischio beneficio e non si è proceduto con una valutazione più approfondita degli aspetti ad essi correlati. La valutazione dei benefici, ha permesso di fare chiarezza sugli effetti positivi per la salute associati al consumo di questo tipo di alimento, identificando come unico plausibile effetto benefico riportato in letteratura scientifica, la riduzione dei casi di asma in bambini alimentati esclusivamente con latte crudo nei primi anni di vita (1-13 anni) (3). Si tratta quindi non tanto di un effetto di per sé favorevole per la salute ma della riduzione della probabilità che si manifesti uno stato negativo per la salute. Poiché le valutazioni condotte nella prima fase mostravano la concomitanza sia di effetti benefici sia dannosi per la salute umana, è stato necessario procedere alla fase 2 del modello, mento importante del DALY ovvero un “peggioramento dello stato di salute” corrispondente ad un valore pari a 2599 DALY. É necessario porre l’accento sul fatto che il modello è necessariamente influenzato dai dati utilizzati come input e di conseguenza modifiche nel risultato sono possibili sulla base di nuove evidenze scientifiche e/o sulla base del cambiamento della situazione epidemiologica. 2. Murray CJL, Acharya AK. (1997) Journal of Health Economics.16:703–730. 3. Waser M, Michels KB, Bieli C, Flöistrup H, Pershagen G, von Mutius E, Ege M, Riedler J, Schram-Bijkerk D, Brunekreef B, van Hage M, Lauener R, Braun-Fahrländer C; PARSIFAL Study team. (2007) Clin Exp Allergy 2007;37:661–670. BIBLIOGRAFIA 1. Hoekstra J, Hart A, Boobis A, Claupein E, Cockburn A, Hunt A, Knudsen I, Richardson D, Schilter B, Schütte K, Torgerson PR, Verhagen H, Watzl B, Chiodini A. (2012) Food Chem Toxicol. 50 Suppl 4:S684-98. * Questo studio è parte del Progetto di Ricerca Finalizzata “L’analisi integrata rischio-beneficio come strumento di supporto e valutazione delle strategie di educazione alimentare” CUP B21J10000520001, bando 2009, co-finanziato dal Ministero della Salute. integrando qualitativamente solo gli effetti benefici e rischiosi elencati nella fase 1 per cui esiste un potenziale cambiamento, benefico o dannoso, passando da uno scenario all’altro. Di fatto quindi sulla base delle nuove conoscenze acquisite durante la fase 1 si è riformulato il problema, ovvero la valutazione del rischio-beneficio intende rispondere alla domanda: “cosa succederebbe in termini di guadagno netto per la salute se invece di consumare latte vaccino trattato termicamente, la popolazione di 100.000 nuovi nati assumesse solamente latte vaccino crudo nel periodo di vita compreso tra 1 e 13 anni di età?”. Poiché l’integrazione qualitativa non è stata sufficientemente esaustiva e non ha consentito di definire se il consumo di latte crudo nella popolazione di riferimento determina effetti positivi o negativi in termini di guadagno netto, si è proceduto con l’integrazione quantitativa. Si è calcolato il DALY per la popolazione di riferimento sia per l’asma che per le malattie alimentari causate dai pericoli microbiologici oggetto di studio, sia nel caso dello scenario base che per quello alternativo. La stima del DALY per l’asma e delle sue componenti è descritta in Tabella 1. In sintesi nella popolazione di riferimento la sostituzione del latte crudo con il latte trattato termicamente determina sia per i maschi che per le femmine una riduzione del DALY ovvero un “miglioramento dello stato di salute”. La stima del DALY relativo alle gastroenteriti e sequele è riportata in Tabella 2. Tabella 2 DALY per le gastroenteriti associate ai patogeni Campylobacter spp., Salmonella spp. ed E coli O 157VTEC Scenario base Scenario alternativo Δ DALY Campylobacter spp. 88 88 0 Salmonella spp. 59 80 21 1 2977 2976 E coli O 157 VTEC Totale 148 3145 2997 Il costo in termini di DALY delle gastroenteriti dovute consumo di latte crudo negli anni di vita da 1 a 13, relativo agli individui della coorte di 100.000 nuovi nati, è pari a 2997, di cui 2976 sono attribuibili alle tossinfezioni da E. coli O 157 VTEC e in particolare ai decessi per SEU (sindrome uremico emolitica) che ammontano a 72 contribuendo con un DALY di 2600. In sintesi nella popolazione di riferimento la sostituzione del latte crudo con il latte trattato termicamente determina un au72 73 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SVILUPPO DI FARMACI BIOTECNOLOGICI INNOVATIVI PER LE MALATTIE DEGENERATIVE XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Giacca M. tumori. Secondo, che la procedura per ottenerle è ancora largamente inefficiente, e che quindi in molte situazioni, come nel caso del cuore, non è semplice generare un numero sufficiente di cellule tali da poter riparare un danno esteso. International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB) Trieste, Italy Il discusso potenziale rigenerativo delle cellule staminali adulte disorganizzati. Le cellule ES possono però essere coltivate in laboratorio e fatte differenziare nel tipo cellulare desiderato, ad esempio cardiomiociti nel caso del cuore, o neuroni nel caso del cervello, e quindi inoculate in vivo nei rispettivi tessuti danneggiati. L’allungamento della vita cui abbiamo assistito durante l’ultimo secolo è stato impressionante e progressivo: all’inizio del 1900, l’aspettativa di vita in Europa era di 49 anni, per poi diventare 70 negli anni ’70, 76 nel 2000 ed oltre 85 anni ai nostri giorni. Questo sta però portando alla luce un problema di straordinaria rilevanza, ovvero l’incapacità di molti organi di rinnovarsi, e quindi riparare i danni che subiscono nella vita adulta. Questo è sostanzialmente il motivo per cui il numero di persone che soffrono di malattie degenerative sta aumentando in maniera eclatante. Non si rigenerano i neuroni della corteccia cerebrale (oggi, un individuo su tre sopra gli 80 anni è affetto da una demenza, nella maggior parte dei casi il morbo di Alzheimer), le cellule della retina (più del 30% delle persone sopra i 75 anni soffre di degenerazione retinica legata all’età), le cellule sensoriali dell’orecchio interno (più del 50% delle persone sopra i 75 anni ha un difetto dell’udito), le cellule beta del pancreas (170 milioni di diabetici al mondo), o i cardiomiociti del cuore, per cui vivono in una condizione di scompenso cardiaco il 2-3% degli individui della popolazione generale, ed il 10-20% di quelli sopra i 70 anni. Utilizzare le cellule ES nell’uomo è tuttavia complicato e discusso. Complicato perché queste sono derivate dal prodotto di un oocita fecondato, e quindi di fatto esprimono un MHC diverso da quello del paziente in cui potrebbero essere iniettate, che quindi dovrebbe essere immunosoppresso per riceverle. Discusso perché le cellule ES derivano dalla disgregazione di una blastocisti, generando quindi i problemi etici connessi alla generazione di embrioni con la fecondazione in vitro e al loro successivo utilizzo. In Italia, la contestata Legge 40 del 2004 non consente la derivazione di cellule ES umane dalle blastocisti, mentre peraltro permette l’utilizzo di quelle sviluppate in altri Paesi e importate in Italia. Oggi è però possibile ottenere cellule ES in maniera tale da non dovere necessariamente ricorrere alla fecondazione in vitro. Già alla fine degli anni ‘50, John Gurdon aveva scoperto che, in Xenopus, quando inseriva il nucleo di una cellula specializzata, quale una cellula della pelle, all’interno di un oocita, il prodotto di questo processo di trasferimento nucleare generava una cellula del tutto simile all’oocita fecondato, in grado quindi di generare una blastocisti. Questa, una volta inoculata in un individuo femmina, portava alla formazione di un nuovo organismo geneticamente identico a quello da cui era stato prelevato il nucleo. Questa tecnica per ottenere la cosiddetta clonazione somatica rimase per decenni ristretta agli anfibi, finché, nel 1997, Ian Wilmut, dimostrò che essa poteva essere anche applicata ai mammiferi grazie all’esperimento che portò alla nascita della pecora Dolly. L’impatto medico, sociale e economico delle malattie degenerative impone la ricerca di terapie innovative; è infatti difficile pensare che farmaci di tipo tradizionale, solitamente piccole molecole chimiche, possano innescare un processo biologico complesso come la rigenerazione dei tessuti. In questo senso è paradigmatico l’esempio del cuore: nonostante la prevalenza dello scompenso cardiaco nella popolazione mondiale, gli ultimi farmaci a essere stati sviluppati per questa condizione (i sartani) datano alla metà degli anni ’90. Questo significa che, dal punto di vista farmacologico, un paziente con scompenso cardiaco viene oggi trattato con le stesse categorie farmacologiche di una ventina di anni fa. E’ in questo contesto che la ricerca di nuove strategie rigenerative basate sull’uso di approcci di tipo biotecnologico è oggi al centro di un crescente interesse. In particolare, l’utilizzo di cellule con potenzialità staminale, ovvero capaci di moltiplicarsi ma anche di differenziarsi in diversi tipi cellulari, potrebbe offrire delle opzioni terapeutiche rivoluzionarie. Più recente, e per certi versi rivoluzionario, è stato invece il contributo di Shinya Yamanaka, che, nel 2006, dimostrò che la riprogrammazione di una cellula somatica a diventare una cellula ES può essere ottenuta inserendo, in un fibroblasto coltivato in laboratorio, i geni che codificano per quattro fattori di trascrizione propri delle cellule ES, la cui combinazione è in grado di innescare un programma identico alle cellule embrionali. Le cellule ottenute grazie ai geni di Yamanaka (induced Pluripontent Stem cell, cellule iPS), e sono funzionalmente analoghe alle cellule ES della blastocisti. Dal momento che queste possono essere generate senza la necessità di creare o distruggere un embrione, esse non pongono le problematiche etiche che invece accompagnano l’utilizzo delle cellule ES o quelle generate mediante la clonazione. Cellule staminali embrionali per la medicina rigenerativa La cellula staminale per eccellenza è quella che proviene dall’embrione nelle primissime fasi dello sviluppo, quando, circa 5 giorni dopo la fecondazione, questo è sotto forma di una blastocisti composta da 150-200 cellule. Già dagli anni ’80 è noto che dalla massa cellulare interna della blastociti possono essere derivate delle cellule embrionali staminali (cellule ES) che sono in grado di differenziarsi in virtualmente qualsiasi dei più di 200 tipi cellulari presenti in un organismo adulto. Le cellule ES, tuttavia, non possono essere utilizzate in maniera diretta: una volta inoculate in un organo, infatti, queste continuano la propria proliferazione incontrollata, e formano dei teratomi con diversi gradi di aggressività, costituiti da tessuti eterogenei e La generazione di cellule iPS per la rigenerazione dei tessuti rappresenta oggi una delle strade più eccitanti che la ricerca medica sta percorrendo. Due sono però i problemi principali da risolvere prima di poter arrivare alla sperimentazione umana. Il primo, che le cellule iPS presentano le stesse problematiche legate alle cellule ES, ovvero soprattutto il rischio di indurre 74 DNA o RNA in grado di attivare programmi biologici complessi, come appunto quelli coinvolti nella formazione dei tessuti. In particolare, da qualche anno è noto che il nostro DNA, oltre a contenere i geni che codificano per circa 24mila proteine diverse, comprende anche qualche migliaio di geni che producono dei filamenti di RNA deputati a funzioni di regolazione. Prima nel nucleo e poi nel citoplasma, questi RNA subiscono una serie di tagli enzimatici, che ne riducono le dimensioni fino a generare piccoli RNA di 21-22 nucleotidi, a doppio filamento. Ciascuno di questi microRNA si associa quindi a quegli RNA messaggeri della cellula che portano una sequenza complementare e blocca la produzione delle proteine da questi codificate. Dal momento che un microRNA può avere come bersaglio centinaia o migliaia di diversi mRNA cellulari, ciascuno di essi è in grado di regolare interi programmi biologici complessi, tra cui la proliferazione e il differenziamento cellulare. Da diverse decine di anni è noto che nel liquido amniotico prima e nell’organismo adulto poi sono presenti delle cellule con potenzialità staminale, anche se più limitata delle cellule ES. Queste cellule staminali adulte hanno capacità rigenerative che persistono nell’arco della vita, ma in genere possono produrre una progenie funzionalmente molto più limitata delle cellule ES, talvolta ristretta alla produzione di un solo tipo cellulare, come nel caso dell’epidermide o comunque di pochi, come nel caso della cellula staminale ematopoietica. Il paradigma della relativa specializzazione delle cellule staminali adulte fu messo in discussione una quindicina di anni fa, quando una serie di studi sembravano indicare che cellule staminali totipotenti, ovvero in grado di trasformarsi in una varietà di tessuti, dall’osso al cuore, esistessero anche in diversi organi adulti. Queste osservazioni hanno portato a una vasta serie di sperimentazioni cliniche, soprattutto centrate sull’utilizzo di cellule mesenchimali staminali (o stromali; MSC) prelevate dal midollo osseo o dal tessuto adiposo – queste cellule, in laboratorio, sono effettivamente capaci di generare molti tipi cellulari diversi, quali cellule del muscolo, cuore, osso e cartilagine. I risultati di queste sperimentazioni, tuttavia, sono per ora deludenti: a tutt’oggi, non esiste alcuna evidenza che le MSC possano rigenerare in maniera utile dal punto di vista terapeutico alcun tessuto nell’uomo. I marginali effetti terapeutici osservati in alcune delle sperimentazioni sono, con ogni probabilità, da scrivere a un effetto paracrino, ovvero alla produzione, da parte delle cellule inoculate, di fattori di crescita in grado di sostenere, in maniera transitoria, la funzione dell’organo trattato o di stimolare la formazione di vasi sanguigni. Quindi, le uniche applicazioni cliniche in cui cellule staminali hanno effettivamente capacità rigenerativa rimangono oggi quelle basate sulle cellule staminali ematopoietiche (per il trapianto di midollo osseo) e le cellule staminali epiteliali (utilizzate per la produzione di epidermide in laboratorio per il trattamento delle grandi ustioni, per la rigenerazione della cornea o per la copertura di tessuti artificiali o biocompatibili, nelle applicazioni di chirurgia plastica o ricostruttiva). In ambito cardiologico, la possibilità di indurre la rigenerazione del cuore stimolando la capacità proliferativa dei cardiomiociti differenziati prende spunto sostanzialmente da due considerazioni. Primo, durante lo sviluppo embrionale e poi fino al momento della nascita, il cuore un organo che assolve alla sua funzione di pompa ma allo stesso tempo contiene più del 35% dei cardiomiociti in fase di attiva replicazione. Soltanto alla nascita che, per motivi ancora non compresi, la proliferazione cessa e il successivo accrescimento del cuore avviene con un meccanismo di ipertrofia delle cellule esistenti. Secondo, nelle specie in cui la rigenerazione cardiaca avviene anche nell’adulto, come in Zebrafish, questa non sostenuta dalle cellule staminali, ma da direttamente dalla proliferazione dei cardiomiociti adulti. Studi recenti condotti nel mio laboratorio hanno effettivamente dimostrato che almeno una quarantina di microRNA codificati dal genoma umano sono in grado di stimolare in maniera efficace la proliferazione dei cardiomiociti nel topo e quindi indurre la rigenerazione cardiaca dopo infarto (Eulalio, A, et al. 2012. Nature 492, 376). Questi risultati sembrano particolarmente incoraggianti, soprattutto perché qualcuno di questi microRNA potrebbe essere direttamente utilizzato come un farmaco genetico, iniettabile nel cuore in condizioni di perdita di tessuto contrattile, come nel caso dell’infarto o nel corso di cardiomiopatia. Infine va ricordato che, qualunque sia la modalità terapeutica sviluppata sperimentalmente per cercare di ottenere la rigenerazione dei tessuti, la sua applicazione all’uomo deve seguire le regole rigorose dei protocolli di sperimentazione clinica. In questo senso, la legislazione Italiana si uniforma ai protocolli europei, che equiparano le cellule staminali o gli acidi nucleici da iniettare in un paziente a veri e propri farmaci, e quindi richiedono che questi vengano prodotti in laboratori autorizzati. Esistono attualmente più di una decina di Cell Factory in Italia, autorizzati dall’AIFA a produrre cellule staminali. Farmaci genetici per la rigenerazione cardiaca Quando si considera la potenzialità rigenerative delle cellule staminali, è inevitabile anche porsi la domanda di quanto possa essere accessibile una medicina basata sul loro utilizzo. Ad esempio, nel campo delle malattie cardiovascolari, che colpiscono un terzo dell’umanità e in cui l’80% dei pazienti vive nei Paesi meno avanzati, metodiche che prevedano il recupero di cellule staminali dal cuore, la loro espansione in laboratori avanzati e certificati e la loro reintroduzione mediante sofisticate procedure interventistiche non sembra sostenibile in termini di accessibilità e costi. Sembra quindi importante considerare lo sviluppo di metodi alternativi, ad esempio in grado di stimolare direttamente la capacità rigenerativa dei diversi tessuti e che possano essere utilizzati come veri e propri farmaci. Va fermamente rimarcato che ogni terapia avanzata deve in ogni caso essere eseguita nel contesto dei protocolli scientificamente rigorosi della sperimentazione clinica, utilizzando trial controllati in doppio cieco ogniqualvolta sia possibile. Fughe in avanti con trattamenti personalizzati di sapore artigianale devono essere rigorosamente evitati. Analogamente, la valutazione dell’eventuale efficacia deve seguire i canoni rigorosi della medicina basata sull’evidenza, rifuggendo da esperienze di sapore aneddotico. E’ per questi motivi che è oggi al centro dell’interesse la nuova classe dei farmaci genetici, ovvero quelli basati su segmenti di 75 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 LISTERIA FLEISCHMANNII E LISTERIA ROCOURTIAE: CARATTERIZZAZIONE DEI PRIMI ISOLATI IN ITALIA Caruso M. 1, Latorre L. 1, Parisi A.3, Fraccalvieri R. 1, Padalino I.2, Goffredo E. 2, Santagada G. 1 1 IZS Puglia e Basilicata-Matera; 2 IZS Puglia e Basilicata-Foggia; 3 IZS Puglia e Basilicata-Putignano (BA) Keywords: Listeria fleischmannii, Listeria rocourtiae, first detection SUMMARY Two Listeria-like strains, the first isolated from ricotta cheese collected in Puglia and the second from bovine raw milk of Basilicata, not identified as belonging to any known Listeria species using conventional methods, were identified by 16S rDNA sequencing as L. fleischmannii and L. rocourtiae respectively. Phenotypic characterization of both the isolates and comparison with L. fleischmannii and L. rocourtiae type strains and other Listeria species were performed. This represents the first detection of L. fleischmannii and L. rocourtiae in Italy. INTRODUZIONE Il genere Listeria comprende attualmente 6 specie “classiche” (L. monocytogenes, L. innocua, L. welshimeri, L. ivanovii, L. seeligeri e L. grayi) identificate dai test convenzionali, e 4 specie “nuove” (L. marthii, L. rocourtiae, L. fleischmannii e L. weihenstephanensis) solo recentemente isolate e incluse nel genere Listeria, la cui identificazione richiede l’utilizzo di metodiche molecolari più complesse rispetto alle tradizionali (1,2,3). L. fleischmannii è stata isolata per la prima volta nel 2011 in Svizzera da formaggio (1). Recentemente sono stati descritti in Colorado isolati di L. fleischmannii fenotipicamente e geneticamente differenti dal ceppo isolato in Svizzera, identificati come una nuova sub specie denominata L. fleischmannii subsp. coloradensis (3). Attualmente quindi, nell’ambito della specie L. fleischmannii, si riconoscono la subsp. fleischmannii e la subsp. coloradensis. L. rocourtiae è stata isolata nel 2002 in Austria da lattuga pretagliata pronta al consumo (2). Nel presente lavoro è descritta la caratterizzazione fenotipica di due isolati con caratteristiche morfologiche riferibili a Listeria spp. che, non identificabili con i metodi convenzionali nell’ambito del genere Listeria, sono stati rispettivamente identificati come L. fleischmannii e L. rocourtiae mediante analisi della sequenza del 16S rDNA; essi rappresentano il primo isolamento di queste due nuove specie di Listeria in Italia. due isolati è stato sottoposto a PCR utilizzando i primer universali del gene 16S rDNA. I prodotti di amplificazione sono stati sequenziati utilizzando il BigDye 3.1 Ready reaction kit (Life Technologies) e sottoposti ad elettroforesi mediante 3130 Genetic Analyzer (Life Technologies). Le sequenze ottenute sono state assemblate con il software Bionumerics 7.1 e sottomesse in BLAST nel database nr di NCBI Genebank. Caratterizzazione fenotipica. Entrambi gli isolati sono stati sottoposti alle seguenti prove: colorazione di Gram, test della catalasi e test dell’ossidasi; valutazione dell’attività emolitica sia mediante semina per infissione su Agar Sangue (AS) al 5% di globuli rossi di montone sia mediante CAMP test con Staphylococcus aureus e Rhodococcus equi; valutazione della motilità a 25, 30 e 37 °C mediante semina per infissione in terreno mobilità al 2‰. È stata inoltre valutata la crescita dopo incubazione alle temperature di 4°C per 15 giorni, 25-30-37 e 42°C per 24-48 h, sia su terreno solido (AS) sia in terreni liquidi (Brain Heart Infusion (BHI); Tryptone Soy Broth (TSB) e la crescita sui terreni selettivi PALCAM, Oxford, ALOA a 37°C per 24-48h. Sono stati condotti inoltre i seguenti test: riduzione dei nitrati mediante inoculazione per infissione su Agar Mobilità Nitrati; idrolisi del sodio ippurato; valutazione della produzione di idrogeno solforato sia in micro metodo mediante API20E® bioMérieux sia in macrometodo su terreno Triple Sugar Iron. La fermentazione dei carboidrati e le attività enzimatiche sono state valutate mediante test biochimici miniaturizzati del commercio (API Listeria®; API 50CH® sia con API 50 CHL® sia con API 50 CHB® medium bioMérieux). La sensibilità ad un’ampia gamma di antimicrobici è stata valutata mediante diffusione su piastra con metodica Kirby-Bauer (tab.2). Per la valutazione della virulenza, sono stati eseguiti il test di patogenicità su topino, mediante inoculazione per via intraperitoneale di topini Swiss, e il test di invasività su monostrati confluenti di cellule intestinali umane Caco2. I ceppi sono stati sierotipizzati usando specifici antisieri del commercio (Denka-Seiken). MATERIALI E METODI Isolamento e identificazione. I due ceppi sono stati isolati, nel periodo ottobre-dicembre 2012, da campioni prelevati dal Servizio Sanitario Nazionale, nell’ambito delle attività di controllo ufficiale degli alimenti . Il ceppo di L. fleischmannii è stato isolato da ricotta stagionata ovina prodotta in Puglia. Il ceppo di L. rocourtiae è stato invece isolato da latte bovino prelevato in un distributore di latte crudo in Basilicata. Sia i campioni di ricotta stagionata che i campioni di latte crudo sono stati esaminati secondo ISO 11290-1+Amendment 1-2004 per la ricerca di L. monocytogenes. Al fine di identificare e caratterizzare i due isolati, che presentavano caratteristiche riferibili a Listeria spp., ma che con le comuni prove di conferma non risultavano appartenere a nessuna delle specie classiche del genere Listeria, sono state effettuate le prove di seguito riportate. Analisi della sequenza del 16 S rDNA. Il DNA genomico dei RISULTATI E CONCLUSIONI L’analisi della sequenza del 16S rDNA ha identificato l’isolato di Listeria proveniente da ricotta stagionata ovina come L. fleischmannii e l’isolato riscontrato nel latte di massa bovino come L. rocourtiae (dati non mostrati). Entrambi gli isolati hanno mostrato crescita dopo 24-48 h a 25-30-37-42°C e dopo 2 settimane a 4°C, sia su AS che in BHI e TSB. Tali riscontri sono in accordo con quanto riportato in letteratura per i ceppi target di L. fleischmannii e L. rocourtiae, ad eccezione della crescita a 42°C presente nel ceppo di L. rocourtiae da latte ma assente nel ceppo target (1, 2, 3). Le colonie di L. fleischmannii e di L. rocourtiae si presentavano marrone-nero su Oxford e blu-verdi senza alone su ALOA; il ceppo target di L. rocourtiae era invece incapace di crescere su ALOA (2). Su PALCAM L. rocourtiae formava le tipiche colonie grigio verdi con alone nero, mentre le colonie di L. fleischman76 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 due sub specie target, è risultata resistente alla amoxicillina; L. rocourtiae, a differenza della specie target, è risultata resistente a amoxicillina e penicillina e sensibile a tetraciclina, streptomicina, cefoperazone e cefazolina (1, 2, 3). Sia L. fleischmannii che L. rocourtiae sono risultate incapaci di uccidere i topini e di invadere le cellule Caco2, a conferma dell’assenza di patogenicità già rilevata per le specie target (1, 3). Entrambi i ceppi non sono stati agglutinati dagli antisieri specifici diretti contro gli antigeni somatici e flagellari, come già evidenziato per le specie target (1, 3). nii mostravano margini sfrangiati con centro nero depresso, aspetto peculiare che la differenzia dalle altre specie. In tabella 1 sono riportati i risultati delle prove biochimico-metaboliche e di mobilità a confronto con le altre specie di Listeria. Il ceppo di L. fleischmannii condivide alcune caratteristiche biochimicometaboliche con L. fleischmannii subsp. fleischmannii e altre con L. fleischmannii subsp. coloradensis (1, 3). Il ceppo di L. rocourtiae differisce dalla specie target nella fermentazione di diversi zuccheri (2). In tabella 2 sono riportati i risultati dei test di sensibilità agli antibiotici. L. fleischmannii, a differenza delle Tabella 1 – Principali caratteristiche fenotipiche degli isolati di L. fleischmannii da ricotta ovina e di L. rocourtiae e confronto con le altre specie del genere Listeria 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Gram + + + + + + + + + + + + + Catalasi + + + + + + + + + + + + + Ossidasi - - - - - - - - - - - - - Emolisi - - - - - - + + - - - + - Motilità (25-30°C) - - - + + + + + + + + + + Nitrati + + nr + nr - - - - v - - + Ippurato + + nr + nr + + + + v + + nr H 2S - + nr - nr - - - - - + - + Esculina + + + + + + + + + + + + + Arilamidasi - - - - - + + v v + - - - a-mannosidasi - - - - + + - - + v + + - D-arabitolo + - + - - + + + + + + + + D-galattosio - - nr - + - - - - + - - - D-mannitolo + + v - + - - - - + - - + D-melezitosio + + - - - + + v + v - + - D-melibiosio - - nr - + - - - - - - - - D-turanosio - + - - - v - - - - nr - - Glicerolo - - + - + + + + + v nr v + Inositolo - - + - + - - - - - nr - + Eritritolo - nr nr - + nr nr nr nr nr nr nr nr L-sorbosio - + nr - + - - - - v - - - Dulcitolo - nr nr - + nr nr nr nr nr nr nr nr Sorbitolo - nr nr - + nr nr nr nr nr nr nr nr D-maltosio + nr nr - + nr nr nr nr nr nr nr nr D-raffinosio - nr nr - + nr nr nr nr nr nr nr nr Glicogeno - nr nr - + nr nr nr nr nr nr nr nr D-saccarosio - + - - - + + + + - - + - 1: L. fleischmannii da ricotta ovina; 2: L. fleischmannii subsp. fleischmannii; 3: L. fleischmannii subsp. coloradensis; 4: L. rocourtiae da latte crudo; 5: L. rocourtiae; 6: L. innocua; 7: L. seeligeri; 8: L. ivanovii; 9: L. welshimeri; 10: L. grayi; 11: L. marthii; 12: L. monocytogenes; 13: L. weihenstephanensis (+: reazione positiva; -: reazione negativa; nr: non riportata; v: variabile) 77 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 2 – Sensibilità agli antibiotici degli isolati di L. fleischmannii da ricotta ovina (1) e di L. rocourtiae da latte bovino (2) e confronto con L. fleischmannii subsp. fleischmannii (3), L. fleischmannii subsp. coloradensis (4), L. rocourtiae (5) ANTIBIOTICI 1 2 3 4 5 Amoxicillina R S S R S Cloramfenicolo S S S S S Gentamicina S S S S S Ampicillina S S S S S Acido nalidixico R R R R R Tetraciclina S S S S R Clindamicina R R R S S Ciprofloxacin S S S S S Eritromicina S S S S S Kanamicina S S S R R Rifampicina S S S S S Penicillina S S S R S Vancomicina S S S S S Minociclina - - R - - Cefalessina - - - R R Streptomicina - - - S R Cefalotina - - - R R Cefoperazone - - - S R Cefazolina - - - S R La dimostrata circolazione di L. fleischmannii e di L. rocourtiae anche in Italia suggerisce la necessità di considerare anche queste specie nelle prove di identificazione. Al momento, la prova biochimico-metabolica in grado di discriminare facilmente queste due specie di Listeria dalle altre è la riduzione dei nitrati. Atteso che i due ceppi isolati esprimono alcune caratteristiche fenotipiche differenti rispetto alle corrispondenti specie target, sono in corso ulteriori indagini molecolari per evidenziare anche eventuali differenze genetiche. BIBLIOGRAFIA 1 Bertsch D, Rau J, Eugster MR, Haug MC, Lawson PA, Lacroix C, Meile L. 2012. Listeria fleischmannii sp. nov., isolated from cheese. Int J Syst Evol Microbiol 63: 526-32. 2 Leclercq A, Clermont D, Bizet C, Grimont PA, Le Flèche-Matéos A, Roche SM, Buchrieser C, Cadet-Daniel V, Le Monnier A, Lecuit M, Allerberger F. 2010. Listeria rocourtiae sp. nov. Int J Syst Evol Microbiol 60: 2210-4. 3 den Bakker HC, Manuel CS, Fortes ED, Wiedmann M, Nightingale KK. 2013. Genome sequencing identifies Listeria fleischmaniii subsp. coloradensis subsp. Nov., a novel Listeria fleischmannii subspecies isolated from a ranch in Colorado. Int J Syst Evol Microbiol (ahead of print). La bibliografia completa è disponibile presso gli autori. Ringraziamenti: si ringraziano per la collaborazione tecnica Decandia P., Filazzola L., Nardella La Porta A. (S: sensibile; R: resistente; -: non testato) 78 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Escherichia coli ENTEROAGGREGATIVI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA: NUOVO PATOTIPO O EVENTO ACCIDENTALE? Grande L., Ranieri P., Michelacci V., Tozzoli R., Maugliani A., Caprioli A., Morabito S. Laboratorio Comunitario e Nazionale di Riferimento per Escherichia coli, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia; Keywords: Escherichia coli, infection, vtx-phages ABSTRACT The Escherichia coli O104:H4 strain that caused the large outbreak in 2011 showed atypical combination of virulence factors between Enteroaggregative (EAEC) and Verocytotoxinproducing E. coli (VTEC). A retrospective study confirmed that this was not the first event of acquisition of Verocytotoxin genes by an EAEC. The aim of this study was to ascertain if the acquisition of vtxphages by EAEC is a common event or if it occurs rarely. High titer lysates of several vtx-phages were used to infect a panel E. coli strains as recipients by spot agar test. Results showed that acquisition of vtx-phages by E. coli strains belonging to several pathotypes is possible but occurs rarely and with a very low efficiency in the conditions used in the laboratory. da parte di un pannello di ceppi EAEC e di speculare sulle condizioni che favoriscono questo evento. Inoltre, è stata valutata la possibilità che un simile scenario sia possibile con altri patogruppi di E. coli, generando così nuovi patotipi ad alto potenziale patogeno. MATERIALI E METODI Esperimenti di infezione sono stati condotti utilizzando preparazioni di lisato fagico ad alto titolo (da 109 a 1011 PFU/ ml). Tali preparazioni sono state ottenute dal ceppo O111:H2 che causò nel 1990 il focolaio epidemico in Francia, in seguito all’induzione del ciclo litico del batteriofago e all’amplificazione del lisato fagico attraverso successive infezioni in un ceppo E. coli K12 propagatore, e dal ceppo O104:H4 che è stato associato ad un caso pediatrico di SEU in Italia nel 2009 (7). I lisati fagici sono stati utilizzati per infettare un pannello di stipiti di E. coli appartenenti a diversi patotipi (tabella 1). Gli stessi ceppi sono stati infettati anche con il fago BP933W, ottenuto con il medesimo procedimento dal ceppo VTEC O157 di riferimento EDL933. Sono stati infettati 10 ceppi EAEC, 10 EPEC, 5 ETEC (tabella 1), facenti parte della collezione di ceppi dell’Istituto Superiore di Sanità e isolati tra il 1987 e il 2010, utilizzando la tecnica dell’infezione in agar o spot test. Questa metodica consiste nella produzione di uno strato omogeneo dei ceppi da infettare in un film sottile di agar sulla superficie di una piastra di terreno ricco, in modo da poter valutare l’eventuale effetto litico tramite l’osservazione di singole placche o aree litiche estese in seguito alla deposizione in punti circoscritti della piastra di estratti virali concentrati sottoforma di gocce (10 µl in volume). Sono stati anche condotti tentativi di re-infezione del ceppo EAHEC O111:H2 derivativo privato del fago vtx2. Quest’ultimo ceppo è stato ottenuto in seguito ad induzione con raggi UV di una coltura del ceppo selvatico e successiva analisi di numerose colonie mediante saggio di citotossicità su monostrato di cellule Vero per valutare la produzione di VT. Su 380 colonie testate 2 risultavano negative a questo test. L’assenza del batteriofago vtx2 è stata confermata sia per PCR che attraverso un saggio di Southern Blot utilizzando 500 ng di sonda in grado di ibridare il gene codificante la subunità B della VT2. In entrambi i casi la coppia di primers utilizzata è GK3/GK4 (cccggatccatgaagaagatgtttatggc/ cccgaattctcagtcattattaaactgcac) (6). INTRODUZIONE Escherichia coli è una specie batterica caratterizzata da un’elevata plasticità genomica correlata all’emergenza di numerosi gruppi patogeni o patotipi. Per ogni patotipo, i fattori di virulenza sono veicolati da elementi genetici mobili acquisiti per via orizzontale. Nell’estate 2011 si è verificata in Germania e Francia una grande epidemia causata da un ceppo di E. coli particolarmente virulento, caratterizzato da una inusuale combinazione di fattori di virulenza generalmente presenti in patotipi distinti, gli E. coli enteroaggregativi (EAEC) e i ceppi produttori di Verocitotossina (VTEC). Il ceppo epidemico, di sierotipo O104:H4, presentava i geni associati al il meccanismo di adesione proprio dei ceppi EAEC, ed era in grado di produrre la Verocitotossina (VT). In seguito all’epidemia tedesca, è stato coniato il termine di Escherichia coli Enteroaggregativo Emorragico (EAHEC) (1) per definire questi ceppi con elevato potenziale patogeno. Ceppi EAHEC O104 sono stati retrospettivamente identificati in alcuni casi sporadici di infezione in Europa avvenuti tra il 2001 e il 2010, incluso un caso pediatrico di Sindrome EmoliticoUremica (SEU) riportato in Italia (3). Tale combinazione di caratteristiche di virulenza non era completamente sconosciuta prima dell’epidemia tedesca. Nel corso delle indagini su un piccolo focolaio epidemico che si verificò in Francia nel 1990 fu infatti isolato un ceppo EAEC di sierotipo O111:H2 capace di produrre la VT2 (5). Recentemente, un ceppo EAHEC di sierotipo O111:H21 ha provocato nell’Irlanda del Nord un caso pediatrico di SEU e 2 casi correlati di diarrea emorragica (2). L’osservazione dei casi sporadici di infezione osservati negli ultimi 20 anni culminati con la grande epidemia avvenuta in Germania e Francia nel 2011, suggerisce che gli EAHEC costituiscano un nuovo patotipo di E. coli, piuttosto che eventi accidentali di acquisizione da parte di ceppi EAEC dei batteriofagi veicolanti i geni VT. Lo scopo di questo lavoro è stato valutare sperimentalmente l’evento di acquisizione dei batteriofagi che producono le VT RISULTATI E CONCLUSIONI Prove di infezione mediante lisi su agar di ceppi EAEC, EPEC ed ETEC. Un totale di 25 ceppi di E. coli appartenenti a diversi patotipi (Tabella 1) sono stati sottoposti a prove di infezione mediante lisi su agar come descritto in Materiali e Metodi. Sono state utilizzate preparazioni fagiche appartenenti al ceppo VTEC O157 di riferimento EDL933, al ceppo O104:H4 isolato in Italia nel 2009, e al ceppo O111:H2 del focolaio epidemico 79 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 francese. In ogni esperimento, 2 ceppi di E. coli K12 (MG1655 e LE392) sono stati utilizzati come controllo positivo d’infezione. Nel caso del batteriofago BP933W e di quello ottenuto dal ceppo O104:H4 italiano nessun ceppo test mostrava lisi dopo essere stato infettato con 107 PFU sebbene entrambi i ceppi K12 mostrassero lisi ascrivibile ad un’avvenuta infezione. Nel caso della preparazione fagica ottenuta dal ceppo O111:H2 alcuni tra i ceppi test mostravano una blanda area litica dopo essere stati infettati con 109 PFU, e in particolare: 1/10 EPEC, 1/5 ETEC e 3/10 EAEC. I due ceppi K12 mostravano invece un’estesa area litica. VT2. A conferma dell’infettività, il ceppo LE392-vtx2 ha mostrato effetto citopatico su monostrato di cellule Vero. Il grave episodio epidemico avvenuto in Germania e in Francia, nel Maggio 2011, che ha fatto registrare più di 4000 casi di infezione, di cui 850 casi di SEU e 50 decessi (4; 8) ha drammaticamente sollevato il problema dell’emergenza di nuovi tipi patogeni di E. coli derivanti dalla fusione delle caratteristiche di virulenza proprie di patotipi pre-esistenti. I risultati degli esperimenti riportati in questo studio suggeriscono che l’acquisizione di un batteriofago veicolante la VT da parte di ceppi EAEC, almeno nelle condizioni sperimentali utilizzate, è un evento possibile ma poco efficiente, dal momento che i ceppi EAEC infettati con diverse preparazioni fagiche ad alto titolo hanno mostrato solo in alcuni casi delle blande aree ascrivibili a lisi, ma mai un’estesa area litica come quella mostrata dai ceppi di E. coli K12. Stesso tipo di conclusioni possono essere tratte per i ceppi di E. coli appartenenti agli altri patogruppi testati (EPEC, ETEC). Inoltre, il batteriofago proveniente dal ceppo E. coli O111:H2, pur avendo mantenuto la propria infettività in quanto in grado di lisogenizzare stabilmente un ceppo E. coli K12, non è stato in grado di re-infettare il medesimo ceppo da cui deriva nella sua versione curata dal fago vtx2. Queste osservazioni suggeriscono che, perché l’evento si manifesti, devono probabilmente sussistere condizioni ambientali e biologiche favorevoli non presenti nelle condizioni di laboratorio utilizzate, e che potrebbero esistere fattori batterici o fagici specifici perché l’infezione abbia successo. I patogruppi VTEC ed EAEC differiscono per il loro habitat naturale, infatti i VTEC sono agenti di zoonosi con serbatoio bovino, mentre gli EAEC si diffondono per via interumana e l’ospite naturale è l’uomo. Si può ipotizzare che un ambiente fortemente contaminato da feci di origine umana e condiviso con i ruminanti, come si riscontra comunemente nei paesi in via di sviluppo, possa rappresentare il substrato ideale perché avvenga l’acquisizione, da parte di ceppi EAEC, dei fagi codificanti la VT. A supporto di questa tesi ci sono le osservazioni che, oltre che per il ceppo epidemico EAHEC O104, anche per molti altri casi di infezione causati da ceppi EAHEC è stato possibile tramite analisi retrospettive stabilire dei collegamenti diretti/indiretti con i paesi in via di sviluppo (4,7). Ulteriori studi sono in corso per identificare i fattori in grado di influenzare l’acquisizione di batteriofagi vtx da parte di ceppi di E. coli selvatici. Tabella 1. Ceppi di E. coli utilizzati per gli esperimenti di infezione. Ceppo Patogruppo Sierogruppo EF 2 EPEC O55 EF 4 EPEC O86 EF 5 EPEC O127 EF 21 EPEC O128 EF 22 EPEC O128 EF 28 EPEC O55 EF 31 EPEC O26 EF 33 EPEC O111 EF 79 EPEC O26 EF 117 EPEC O127 EA 1 ETEC - EA 4 ETEC O39 EA 5 ETEC O159 EA 9 ETEC - EA 22 ETEC - EF 40 EAEC O78:H33 EF 81 EAEC - EF 114 EAEC O3:H2 EF 283 EAEC O126 EF 314 EAEC - EF 322 EAEC - EF 347 EAEC O114 EF 366 EAEC O126 EF 368 EAEC O111 EF 392 EAEC O26 Prove di infezione mediante lisi su agar di un ceppo O111:H2 derivativo privato del fago vtx2. Le stesse prove di infezione sono state condotte sul ceppo O111:H2 derivativo privato del fago vtx2. Utilizzando questo approccio non è stato possibile individuare alcuna area litica; il ceppo curato pertanto non poteva essere re-infettato dal batteriofago vtx2 proveniente dal ceppo O104:H4, né da quello proveniente dal VTEC O157, e nemmeno dal fago vtx2 che il medesimo ceppo O111:H2 veicola come ceppo selvatico. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 7. Scavia G., Morabito S., Tozzoli R., Michelacci V., Marziano M. L., Minelli F., Ferreri C., Paglialonga F., Edefonti A., Caprioli A., (2011).Similarity of Shiga toxin-producing Escherichia coli O104:H4 strains from Italy and Germany. Emerg Infect Dis.17(10):1957-8. 8. Weiser A. A., Gross S., Schielke A., Wigger J. F., Ernert A., Adolphs J., Fetsch A., Müller-Graf C., Käsbohrer A., Mosbach-Schulz O., Appel B., Greiner M., (2013). Traceback and trace-forward tools developed ad hoc and used during the STEC O104:H4 outbreak 2011 in Germany and generic concepts for future outbreak situations. Foodborne pathogens and disease, 10(3): 263-9. seeds, in particular fenugreek (Trigonella foenumgraecum) seeds, in relation to the Shiga toxin-producing E. coli O104:H4 2011 Outbreaks in Germany and France. Technical report of EFSA. 5. Morabito, S., Karch, H., Mariani-Kurkdjian, P., Schmidt, H., Minelli, F., Bingen, E. & Caprioli, A., (1998). Enteroaggregative, Shiga toxinproducing Escherichia coli O111: H2 associated with an outbreak of hemolytic-uremic syndrome. J Clin Microbiol 36: 840–842. 6. Russmann, H., Kothe, E., Schmidt, H., Franke, S., Harmsen, D., Caprioli, A., Karch H., (1995). Genotyping of Shiga-like toxin genes in non-O157 Escherichia coli strains associated with haemolytic uraemic syndrome. J. Med. Microbiol., 42: 404–410. Bibliografia 1. Brzuszkiewicz E., Thürmer A., Schuldes J., Leimbach A., Liesegang H., Meyer F. D., Boelter J., Petersen H., Gottschalk G., Daniel R., (2011). Genome sequence analyses of two isolates from the recent Escherichia coli outbreak in Germany reveal the emergence of a new pathotype: Entero-Aggregative-Haemorrhagic Escherichia coli (EAHEC). Archives of Microbiology, 193(12):883-91. 2. Dallman T., Smith G. P., O’Brien B., Chattaway M. A., Finlay D., Grant K. A., Jenkins C., (2012). Characterization of a verocytotoxin-producing enteroaggregative Escherichia coli serogroup O111:H21 strain associated with a household outbreak in Northern Ireland. J Clin Microbiol. 50(12):4116-9. 3. European Food Safety Authority, EFSA, (2011). Shiga toxin-producing E. coli (STEC) O104:H4, 2011 outbreaks in Europe: Taking Stock. EFSA Journal 9(10):2390. 4. European Food Safety Authority, EFSA, (2011). Tracing Lisogenizzazione di un ceppo E. coli K12 con il batteriofago vtx2 proveniente dal ceppo O111:H2. Il batteriofago proveniente dal ceppo O111:H2 non aveva tuttavia perso la propria infettività. E’ stato infatti possibile lisogenizzare stabilmente il ceppo E. coli K12 LE392 con questo batteriofago. Alcune colonie cresciute nell’area litica prodotta in seguito all’infezione del ceppo LE392 con questo batteriofago, prelevate e trasferite su terreno ricco, dopo numerosi passaggi risultavano ancora positive in PCR per la presenza del gene 80 81 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 NANOPARTICELLE DI ARGENTO E SALMONELLA: EFFICACIA ANTIBATTERICA E MECCANISMO DI RESISTENZA Losasso C.1, Belluco S.1, Cibin V.1, Cappa V.1, Zavagnin P.1, Longo A.1, Gallocchio F.1, Ricci A.1 SCS1 Analisi del Rischio e Sorveglianza in Sanità Pubblica, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10 – 35020 Legnaro (PD) 1 Key words: Salmonella, Silver nanoparticles, Silver resistance SUMMARY Great interest exists toward the possibility of using silver nanoparticles (AgNPs) to control foodborne pathogens because their strong biocidal effect against different bacteria species (1). Since Salmonella spp. is one of the main cause of foodborne illnesses in humans worldwide its sensitivity to AgNPs has been studied. The bactericidal activity of different concentration of AgNPs against three Salmonella serovars (S. Senftenberg, S. Enteritidis, and S. Hadar) has been tested. The results show an immediate but time limited reduction of bacterial viability depending on the Salmonella serovar. In the case of S.Senftenberg, the loss of viability can be observed up to 4h of incubation in the presence of 200mg/L of AgNPs; on the contrary, S. Enteritidis, and S. Hadar result to be inhibited up to 48h. A PCR screening demonstrated the presence of Ag resistance determinant (SilB) only in the case of the S. Senftenberg strain. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 canismo antimicrobico simile per entrambe le forme chimiche, probabilmente causato dalla ionizzazione dell’Ag nel mezzo di coltura. La riduzione selettiva dell’efficacia antimicrobica dell’Ag sui diversi sierotipi di Salmonella suggerisce la presenza di uno specifico meccanismo di resistenza, dipendente dal ceppo testato. teritidis (Figura 3E), inibita completamente dopo la prima ora di esposizione ad una dose di 50mg/L; in presenza di 100mg/L di AgNPs, la crescita cellulare continua ad essere inibita anche dopo 72 ore di esposizione. Nel caso di S. Hadar (Figura 3C), nonostante l’efficacia delle AgNPs sia paragonabile a quella osservata per S. Enteritidis, la fine dell’inibizione è osservabile in un tempo compreso tra 1 e 72 ore, in dipendenza dalla dose. Le AgNPs sono risultate inefficaci nei confronti di S. Senftenberg (Figura 3A), nel cui caso si osserva una ripresa completa della crescita microbica in un tempo compreso tra 1 e 4 ore, in dipendenza dalla dose. Un effetto dipendente dalla dose e un andamento delle curve di crescita parallelo a quello osservato per le AgNPs si osserva anche in presenza di AgNO3 per ognuno dei tre sierotipi (Figura 3,B,D,F). Figura 1: Curve di crescita di S. Senftenberg, S. Hadar e S. Enteritidis in presenza di AgNPs 200 mg/L (A) e AgNO3 20mg/L (B) le della selezione di specifici determinanti di resistenza (6) ma, attualmente, non ci sono informazioni disponibili sulla possibilità che il medesimo effetto possa anche essere causato dall’argento nanoparticellare. Questo studio si pone l’obiettivo di testare l’efficacia delle AgNPs quali antimicrobici nei confronti di S. Enteritidis, S.Hadar e S.Senftenberg e di studiare da un punto di vista molecolare le cause di eventuali differenze di efficacia osservate. MATERIALI E METODI Le AgNPs (NM300K) sono state acquistate presso la LGC Standards (US). Come controllo è stato utilizzato il Nitrato di Argento (AgNO3) (Sigma-Aldrich US). I ceppi di S.Enteritidis, Hadar e Senftenberg, sono stati selezionati dalla collezione del laboratorio di referenza OIE per la Salmonellosi. S. Enteritidis ed S. Hadar sono stati selezionati in base all’ importanza che rivestono per la salute pubblica, S. Senftenberg per la capacità di adattarsi a condizioni ambientali estreme. Le colture microbiche sono state mantenute in Agar Tryptone (TA), trasferite in 15ml di Mueller Hinton Broth (MHB) e incubate a 37°C per 16 ore, prima di essere utilizzare per i test. I test di inibizione della crescita microbica sono stati effettuati utilizzando soluzioni acquose di AgNO3, come controllo, e sospensioni di AgNPs. L’efficacia delle AgNPs quali agenti antimicrobici è stata determinata testando il numero di cellule microbiche in grado di formare colonie dopo l’esposizione a diverse concentrazioni di AgNPs. Brevemente, colture di Salmonella, coltivate in MHB fino a raggiungere l’ OD600 = 0.3, sono state incubate in agitazione ad una temperatura di 37°C per 30’, 1h, 2h, 4h, 24h, 48h and 72h in presenza di AgNPs (200, 150, 100, 50, 20 mg/L) o di AgNO3 (20, 15, 10 mg/L). Nei tempi previsti 100 ml di coltura batterica sono stati prelevati e diluiti serialmente in MHB, seminati in piastre di XLT4 Agar e incubati a 37°C per 24h. Il numero di colonie vitali è stato espresso come CFU/ml. Ogni esperimento è stato condotto in triplicato. Per studiare da un punto di vista molecolare la resistenza all’Ag dei ceppi batterici analizzati, è stato messo a punto uno screening basato sulla tecnica della PCR per la ricerca del gene SILB che codifica per una proteina che esplica un ruolo centrale nell’ambito del complesso SilBCA deputato all’efflusso dell’Ag dall’interno della cellula all’esterno (6). INTRODUZIONE Salmonella spp. è riconosciuta essere uno dei patogeni maggiormente responsabili di malattie a trasmissione alimentare. Nel 2011, nella sola Unione Europea sono stati registrati 95,548 casi di salmonellosi ed è stato stimato che il 26% di tutti i focolai di malattie alimentari sia stato causato da Salmonella spp. (2). Diverse misure sanitarie sono state efficacemente applicate per il controllo di Salmonella spp. tra cui l’attuazione di piani di controllo nella popolazione animale e la corretta gestione dell’igiene della produzione degli alimenti; si sottolinea che a livello di allevamento l’utilizzo di antibioticii a questo scopo è espressamente vietato dalla normativa Comunitaria vigente (3), anche a causa dell’aumentato rischio di diffusione di fenomeni di antibiotico resistenza. Per questo motivo lo studio dell’efficacia e dell’applicabilità di nuovi composti ad azione antibatterica rappresenta una delle priorità per la comunità scientifica internazionale. L›argento è stato usato per secoli come antimicrobico, sia nella terapia delle infezioni microbiche che nel miglioramento delle condizioni di conservazione degli alimenti, grazie alla sua estrema tossicità sia nei confronti dei batteri Gram-negativi che Gram-positivi. Vari studi hanno dimostrato che alcune formulazioni di nanoparticelle, a causa della maggiore reattività derivante dall’elevato rapporto superficie/volume, esercitano un potere antimicrobico che le rende potenzialmente utilizzabili come agenti battericidi efficaci (1). In particolare, l’argento in forma nanoparticellare (AgNP) è noto per le sue notevoli proprietà biocide nei confronti di diverse specie batteriche. E’ generalmente accettato che la tossicità di queste formulazioni nei confronti dei microrganismi è fortemente associata alla capacità delle nano particelle metalliche, o degli ioni da esse liberati, di legare la struttura molecolare della membrana cellulare batterica, destabilizzandone il potenziale di membrana e causando perdite protoniche (4). Anche se l›efficacia delle AgNPs è già stata testata contro il genere Salmonella (5), ad oggi non sono ancora disponibili dati riguardanti l’attività nei confronti di specifici sierotipi. Inoltre, l’uso di Ag come antimicrobico è stato dimostrato essere responsabi- RISULTATI E CONCLUSIONI Le curve di crescita microbica ottenute mostrano la rapida e completa riduzione della vitalità cellulare di tutti e tre i sierotipi di Salmonella nei primi 30 minuti di incubazione in presenza di 200 mg/L AgNPs (Figura 1A) e 20mg/L AgNO3 (Figura 1B). Ciò nonostante, dall’analisi delle curve di crescita si evince che l’effetto antimicrobico è strettamente associato al tempo di incubazione per tutti e tre i ceppi microbici. Nel caso di S. Senftenberg, infatti, l’inibizione della crescita microbica termina completamente dopo le prime 4 ore di incubazione mentre nel caso di S. Hadar ed S. Enteritidis l’inibizione si osserva fino a 48 ore di incubazione. Questo effetto è visibile sia in presenza di AgNPs che di AgNO3, suggerendo un mec82 Figura 3: Curve di crescita di S. Senftenberg (A), S. Hadar (C) e S. Enteritidis (E), in presenza di diverse dosi di AgNPs. In Figura 2 è illustrato il risultato dell’amplificazione del gene SILB nei tre ceppi microbici considerati. Il prodotto di PCR da 233bp corrispondente, è stato identificato esclusivamente in S. Senftenberg (pozzetto n.6); questo è coerente con il fenotipo resistente mostrato nel saggio di vitalità dallo stesso ceppo. Klebsiella pneumoniae, clone ST258, è stata utilizzata come controllo positivo essendo già stata descritta come contenente determinanti di resistenza all’Arsenico, al Rame e all’Argento. Figura 2: Prodotti della PCR per la ricerca di SILB ottenuti a partire da DNA totale di K. pneumoniae (1 e 2), S. Enteritidis (3), S. Hadar (4), controllo negativo (5) e S. Senftenberg (6). Dall’analisi delle curve riportate in Figura 3 l’effetto inibitorio delle AgNPs appare essere dose-dipendente. Dai risultati ottenuti si può concludere che le AgNPs possono essere considerate efficaci nell’inibizione delle Salmonelle in assenza di specifici determinanti genetici di resistenza. Tuttavia l’azione antibatterica limitata nel tempo, suggerisce la necessità di ripetute somministrazioni al fine di controllare efficacemente la carica microbica. BIBLIOGRAFIA 1. Rai M., Yadav A., Gade A. (2009) Biotechnol Adv., 27:76-83; 2. European Food Safety Authority, European Centre for Disease Prevention and Control. (2010) Union Summary report on trends and sources of zoonoses zoonotic agents and food-borne outbreaks. EFSA Journal 2012;10:2597; 3. Regolamento CE N.2160/2003 sul Controllo della Salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti 4. Sanberg M., Orndorff P., Monteiro-Riviere N. (2011) Nanotoxicology, 5:244-253; 5. Martinez A., Sanchez G., Langaron JM, Ocio MJ (2012) Int. J. of Food Microbiology, 158:147-154; 6. Silver S., Phung L., Silver G. (2006) J. Ind. Microbiol Biotechnol., 33:627-634. Dall’analisi delle curve riportate in Figura 3 l’effetto inibitorio delle AgNPs appare essere dose-dipendente tranne che per S. Senftenberg (Figura 3A.) per cui le AgNPs sono risultate inefficaci . La dose di 200mg/L di AgNPs è quella maggiormente efficace per inibire S.Hadar e S.Enteritidis, la cui vitalità cellulare risulta inibita per 48 e 72 ore di incubazione mentre la dose di 20 mg/L di AgNPs è inefficace. Le AgNPs risultano essere particolarmente efficaci contro S. En83 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Istituto Zoprofilattico Sperimentale della Sicilia, C.Re.Na.L.- Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, 90129 Palermo, Italy 1 Key words. Leishmania, Pentadecane, cytotoxic activity. Leishmanie, tramite conteggio in camera di Bϋrker, e rispetto alla coltura di controllo rappresentativa del 100% di vitalità. Inoltre, per valutare la tossicità in vitro del Pentadecano si è utilizzato il Kit “Neutral Red Assay”. Le Leishmanie trattate con concentrazioni seriali di Pentadecano, per 48 ore, vengono esposte al colorante Neutral Red e l’assorbanza è stata letta a 540 nm, usando un lettore di micropiastre Spectrostar Nano (BMG LabTech). Per valutare l’interferenza del Pentadecano sul ciclo cellulare del parassita si è proceduto alla preparazioni di fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di coltura RPMI-PY, dove sono state inoculate 4x106 Leishmania infantum/ml in forma promastigote e trattate con 300 µM di Pentadecano, per 72 a 26 °C. In seguito, i parassiti sono stati centrifugati a 350 g a 4 °C per 10 minuti e lavati tre volte con PBS contenente 0,02 M EDTA per evitare la formazione di aggregati cellulari. In seguito le Leishmanie sono state fissate con metanolo freddo per 24 ore. I parassiti sono stati risospesi in 0,5 ml di PBS contenente RNasi I (50 microgrammi / ml) e ioduro di propidio (25 g / ml) e incubate a 25 °C per 20 min. Il materiale è stato mantenuto in ghiaccio fino al momento dell›analisi. I parassiti marcati, sono stati analizzati, utilizzando un citometro a flusso FACScan (Becton Dickinson, San Jose, CA®). L’attività citotossica del Pentadecano è stata esaminata utilizzando il saggio colorimetrico 3-(4,5-dimethyl-2thiazolyl)-2,5diphenyl-2H-tetrazolium bromide (saggio MTT) nella linea immortalizzata di macrofagi canini (DH82) e in cellule primarie epiteliali di cercopiteco (CPE). Le cellule sono state seminate in piastre da 96 pozzetti ad una densità di 1×105 cellule/ pozzetto e incubate a 37 ° C, con il 5% di CO2. Dopo 24 ore il Pentadecano è stato aggiunto alle concentrazioni finali di 50, 100, 150, 200, 250 e 300 µM a 37 °C. Dopo 48 ore, l›assorbanza è stata letta a 570 nm, usando un lettore di micropiastre Spectrostar Nano (BMG LabTech). I dati ottenuti, dagli esperimenti ripetuti in triplicato, sono stati confrontati con analisi statistica mediante t-test. I valori considerati statisticamente significativi presentano un p-value inferiore a 0,05. SUMMERY Pentadecane is an organic compound that is made up of primarily carbon and hydrogen atoms and can be found as floral volatile in different plants. Many essential oils and crude extracts of some plants, containing Pentadecane, showed an interesting antimicrobial activity. Previous data demonstrated as some derivate Pentadecane inhibits progression of disease in Leishmania-infected Balb/c mice. The aim of this study was to analyze the in vitro toxicity of Pentadecane against different species of Leishmania. Pentadecane shows an interesting in vitro activity anti-Leishmania and don’t alters cell viability in immortalized cell lines and in primary cell line, assuming an action Leishmania-target. INTRODUZIONE La ricerca mirata all’identificazione e allo sviluppo di nuovi farmaci contro la leishmaniosi è in continuo aumento. Diversi composti naturali estratti da piante e fonti marine hanno mostrato diversi gradi di efficacia nel trattamento della leishmaniosi sperimentale (1). Nell’ultimo decennio, infatti, è emerso un crescente interesse nello studio dei composti organici come agenti chemioterapici (2). Molti oli essenziali ed estratti grezzi di alcune piante, contenenti principalmente il Pentadecano, hanno mostrato una interessante attività antimicrobica (3,4). Il Pentadecano, composto organico che si compone principalmente di carbonio e atomi d’idrogeno ha mostrano un’interessante azione inibente nella progressione di leishmaniosi in murini Balb/c infetti (5). Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare la tossicità in vitro del Pentadecano in colture di promastigoti e amastigoti di Leishmania infantum e in colture di Leishmania panamensis nella forma promastigote. Il presente studio, inoltre, descrive gli effetti della Pentadecano nel ciclo cellulare di Leishmania e valuta l’azione citotossica del Pentadecano in linee cellulari immortalizzate macrofagiche e in colture cellulari primarie. RISULTATI E DISCUSSIONI In figura 1 sono riportate le percentuali di vitalità delle diverse specie di Leishmania, dopo un trattamento di 48 ore con il Pentadecano, alle differenti concentrazioni. Il Pentadecano presenta un’interessante azione leishmanicida, con un LD50 di 40 e 39 µM in Leishmania infantum, in forma promastigote e amastigote, rispettivamente, e una LD50 di 86 µM nella Leishmania panamensis nella forma promastigote. MATERIALI E METODI L’azione citotossica del Pentadecano è stata valutata in ceppi di Leishmania infantum (IPTI/ZMON1, ottenuti dalla collezione dell’Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italy) e in ceppi di Leishmania panamensis (L594, ottenuti dalla collezione dell’Università Cattolica di Salta, Argentina). L. infantum e L. panamensis in forma promastigote sono state coltivate nel terreno di crescita RPMI-PY con pH 7,18 e incubati a 25 ° C. L. infantum in forma amastigote sono state coltivate nel terreno di crescita RPMI-PY con un pH di 5,4 e incubati a 37°C. Fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di coltura RPMI-PY, sono state inoculate con 4x106/ml Leishmanie e trattate con concentrazioni seriali (50, 100, 150, 200, 250 e 300 µM) di Pentadecano. Dopo 48 ore di incubazione, si è proceduto alla valutazione della percentuale di vitalità delle 84 100 90 Vitalità Leishmania (%) Bruno F.1, Castelli G.1, Piazza M.1, Lo Verde V.1, Migliazzo A.1, Vitale F.1 impedire alle Leishmanie di iniziare la duplicazione del DNA e quindi di entrare in fase S (coltura controllo 62,56%, coltura trattata 60,51%). Inoltre si osserva un notevole incremento della percentuale di cellule che si trovano in fase sub-G1, nonché cellule apoptotiche con un quantitativo di DNA inferiore alle cellule in G1 (coltura controllo 7,24%, coltura trattata 17,41%). Figura 1 – Istogramma rappresentante le percentuali di vitalità della Leishmania infantum sia in forma promastigote ed amasti gote e della Leishmania panamensis promastigote, trattate per 48 ore con Pentadecano. I dati sono statisticamente significativi con un p-value <0,001. Figura 3. L’effetto della Pentadecano sul ciclo cellulare di Leishmania. Nel controllo mostra le aree del relativo istogramma per le cellule in fase G1, S e G2M. “A” indica fase le cellule in fase sub-G1, in apoptosi. 80 70 60 50 40 30 20 10 0 50 100 150 200 250 300 µM Leishmania infantum in forma promastigote trattata con Pentadecano Leishmania infantum in forma amastigote trattata con Pentadecano Leishmania panamensis in forma promastigote trattata con Pentadecano Alla massima concentrazione di Pentadecano saggiata (300 µM) si osserva una riduzione del 15% di vitalità, nelle due specie di Leishmania analizzate. L’azione citotossica in vitro, tramite saggio “Neutral Red”, conferma l’azione citotossica del composto Pentadecano in colture di Leishmania infantum (figura 2). I dati attinenti l’azione citotossica del Pentadecano, nella linea cellulare macrofagica DH82 e nella linea cellulare epiteliale primaria di cercopiteco (CPE), hanno mostrato una vitalità cellulare maggiore rispetto al valore cut-off (60%), definendo il composto Pentadecano come potenzialmente non tossico in cellule. L’azione citotossica Leishmania-target del Pentadecano esercitata in differenti specie del parassita, e l’assenza di un’azione apoptotica in linee cellulari, incoraggia la ricerca scientifica nel comprendere il pathway d’azione di tale composto e la successiva analisi in vivo. Figura 2 – Curva di vitalità della Leishmania infantum trattata per 48 ore con concentrazioni seriali di Pentadecano. I dati sono statisticamente significativi con un p-value <0,001. 100 Vitalità Leishmania (%) ATTIVITÀ CITOTOSSICA DEL PENTADECANO IN COLTURE DI LEISHMANIA XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 80 (1) Murray HW (2001) Clinical and experimental advances in treatment of visceral leishmaniasis. Antimicrob Agents Chemother 45: 2185–2197. (2) Tiuman TS, Santos AO, Ueda-Nakamura T, Filho BPD, Nakamura CV (2011) Recent advances in leishmaniasis treatment. Int J Infect Dis 15: 525–532. (3) Szmigielski R, Cieslak M, Rudziński KJ, Maciejewska B. 2012. Identification of volatiles from Pinus silvestris attractive for Monochamus galloprovincialis using a SPME-GC/MS platform. Environ Sci Pollut Res Int. 2011 Aug;19(7):2860-9. (4) El-Baroty, GS; Moussa, MY; Shallan, MA; Ali, MA; Sabh, AZ; Shalaby, EA. (2007) Contribution to the aroma, biological activities, minerals, protein, pigments and lipid contents of the red alga: Asparagopsis taxiformis (Delile) Trevisan. Journal Article. 1825-1834 (5) Mbati PA, Abok K, Orago AS, Anjili CO, Kagai JM, Githure JI, Koech DK. (1994). Pristane (2,6,10,14-Tetramethyl-pentadecane) inhibits disease progression in Leishmania-infected Balb/c mice. Afr J Health Sci.;1(4):157-159 60 40 20 0 50 100 150 200 250 300 µM Al fine di valutare l’azione del Pentadecano, sulle varie fasi del ciclo cellulare delle Leishmanie infantum, si è effettuata un’analisi citofluorimetrica mediante colorazione con propidio di ioduro . Il Pentadecano ha determinato un incremento della percentuale di cellule apoptotiche in fase G1 del ciclo cellulare, rispetto la coltura controllo (coltura controllo 34,24 %, trattato 39,49 %) (figura 3). I risultati suggeriscono che tale composto tende a 85 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MICROBIAL CHALLENGE TESTS AND PREDICTIVE MODELLING SOFTWARE FOR EVALUATING AND IMPROVING FOOD SAFETY – A CASE STUDY WITH LISTERIA MONOCYTOGENES AND READY-TO-EAT FOODS Mejlholm O., Dalgaard P. National Food Institute (DTU Food), Technical University of Denmark, Kgs. Lyngby, Denmark INTRODUCTION The pathogenic bacterium Listeria monocytogenes has been identified as a major risk associated with consumption of ready-to-eat (RTE) foods. L. monocytogenes has frequently been isolated from different types of RTE foods due to its ubiquitous nature and ability to persist and proliferate in the food processing environment. In a recent European Union (EU) baseline survey, the prevalence of L. monocytogenes in seafood and meat products was established as 10.4% and 2.1%, respectively (EFSA, 2013). Furthermore, L. monocytogenes is highly tolerant towards salt (> 10%) and is able to grow at chill temperatures, typically being used for storage of RTE foods. According to the EU regulation on RTE foods (EC, 2005), it is the responsibility of the food processors to document that the critical limit of 100 L. monocytogenes/g is not exceeded throughout the shelf-life of their products, either by eliminating contamination or limiting/preventing the potential growth of the pathogen. In regulation EC 2073/2005, challenge tests and predictive modelling are specified as two of the main approaches for demonstrating compliance with the legal requirements for L. monocytogenes. PREDICTIVE MODELLING SOFTWARE Today, several predictive modelling software packages are available and they include a wide range of models for both spoilage and pathogenic microorganisms. Incorporation of predictive microbiology models in software packages is important in order to facilitate their use by the food industry, regulatory authorities and other interested parties. At DTU Food, we have developed the Seafood Spoilage and Safety Predictor (SSSP) software which was released for the first time in 1999. A new version is scheduled for 2014 and on that occasion the software will be renamed the Food Spoilage and Safety Predictor (FSSP). At the moment, more than 6000 persons from 113 countries use our free software (http://sssp.dtuaqua.dk/ ), which is available in 18 different languages (e.g. Italian) and includes (i) models to predict the growth of specific spoilage bacteria in fresh fish, (ii) models to predict histamine formation in marine fin-fish and (iii) models to predict growth and the growth boundary of L. monocytogenes and lactic acid bacteria in seafood and meat products. Our predictive model for L. monocytogenes includes the effect of 12 environmental parameters (temperature, pH, salt, CO2, smoke components, nitrite, acetic acid, benzoic acid, citric acid, diacetate, lactic acid and sorbic acid) as well as their interactive effects (Mejlholm and Dalgaard, 2009). This model has been successfully validated on data from more than 1000 experiments with seafood and meat products, both with respect to the growth rate as well as the growth boundary of L. monocytogenes (Mejlholm et al., 2010). Recently, the SSSP software was approved by the Danish Veterinary and Food Administration as a means to predict growth of L. monocytogenes and to document compliance of RTE foods with regulation EC 2073/2005. Similarly to our model for L. monocytogenes we have also developed an extensive model for lactic acid bacteria to be able to model the importance of microbial interaction (i.e. the Jameson effect) between the two types of microorganisms. Without the Jameson effect, the maximum cell concentration of L. monocytogenes in e.g. cold-smoked salmon has been shown to be overestimated by as much as 5-6 log10 units (i.e. 100.000-1.000.000 times too high). This new combined model for L. monocytogenes and lactic acid bacteria will be included in the FSSP software to be released in 2014. To be able to use predictive microbiology models in an appropriate way, knowledge about the product characteristics affecting growth of e.g. L. monocytogenes is a prerequisite. Without a careful product characterization, predictions are likely to be misleading rather than indicative. CHALLENGE TESTS To assess the growth potential of L. monocytogenes in RTE foods, challenge tests are often performed. The EU Community Reference Laboratory (CRL) has developed a technical guidance document that describes the procedure for establishing the growth potential of L. monocytogenes in artificially contaminated (i.e. inoculated) samples of RTE foods stored under foreseeable conditions (EU CRL, 2008, Beaufort, 2011). The growth potential is estimated as the difference between the concentration of L. monocytogenes (log10, cfu/g) at the beginning and at the end of the challenge test. The EU CRL procedure includes the following points as a minimum to be considered: product characteristics, shelf-life of the product, number of batches, choice of the strains, preparation of the inoculum, preparation and inoculation of the test unit, storage conditions and microbiological analysis. RTE foods subjected to challenge testing should be characterized carefully with respect to for example pH, salt, preservatives, packaging conditions and the background microbiota (e.g. lactic acid bacteria) to make sure that the samples are representative of the variability typically associated with the examined type of product. For the same reason, at least three batches of the same product should be examined to account for product variability. Vermeulen et al. (2011) addressed this point as particularly important for challenge testing in order not to underestimate the growth potential of L. monocytogenes. To include the importance of strain variability, at least three strains of L. monocytogenes should be used for the inoculum including one reference strain. L. monocytogenes should be subcultured at a temperature close to the storage temperature of the product in order to adapt the strains to the experimental conditions. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CONCLUSION Successfully validated predictive microbiology models are powerful tools for evaluating and improving food safety, particularly when models are included in user-friendly application software. Today the best predictive microbiology models can, in many situations, replace the use of challenge testing. Furthermore, these models provide information on the distance to the growth boundary. This information is important for food safety management and cannot conveniently be obtained by challenge testing. model is valid. However, when developed and successfully validated, predictive microbiology models possess a range of advantages as compared to challenge tests. Challenge tests are important in order to generate data for model development and validation, but, for evaluation of the growth potential of microorganisms as well as for product development the use of predictive microbiology models seem more promising for several reasons. Firstly, the use of predictive microbiology models is both faster and cheaper than challenge tests. Predictions can be obtained within days (including time to carefully determine product characteristics) and it is relatively easy to change one or more of the environmental parameters in order to obtain combinations of product characteristics and storage conditions that prevent or limit the growth of L. monocytogenes to an acceptable level. In contrast, the requirements for challenge tests to be carried out at foreseeable storage conditions of RTE foods, means that this type of experiments typically will take 4 to 6 weeks and sometimes even longer. Secondly, challenge tests are only valid for the examined product, so each time the product formulation or the process is changed new experiments has to be carried out. In this context, predictive microbiology models have a great advantage as the impact of substituting e.g. one set of preserving parameters with another can be predicted relatively fast. If challenge tests for some reasons are a requirement, predictive microbiology models can be used constructively to reduce the number of experiments to an absolute minimum by providing suggestions for suitable product formulations. Finally, challenge tests provide only information about the growth potential of e.g. L. monocytogenes. For example, if no growth of L. monocytogenes is observed, no additional information is given on how much (or how little) the product characteristics and/or storage conditions can be changed without resulting in growth. Our predictive model for L. monocytogenes provides a quantitative measure on the distance between the product (i.e. combination of product characteristics and storage conditions) and the predicted growth boundary of the pathogen. Thus, in addition to prediction of no growth, a quantitative measure is also given reflecting the safety of the product and vice versa if growth is predicted. REFERENCES Beaufort, A., 2011. The determination of ready-to-eat food into Listeria monocytogenes growth and no growth categories by challenge tests. Food Control 22, 1498-1502. EC, 2005. Commission regulation (EC) No 2073/2005 of 15 November 2005 on microbiological criteria for foodstuffs. Official Journal of the European Union 338, 1–25. EFSA, 2013. Analysis of the baseline survey on the prevalence of Listeria monocytogenes in certain ready-to-eat foods in the EU, 2010-2011 Part A: Listeria monocytogenes prevalence estimates. EFSA Journal 11(6): 3241, 1-75. EU CRL, 2008. Technical guidance document on shelf-life studies for Listeria monocytogenes in ready-to-eat foods. Mejlholm, O., Dalgaard, P., 2009. Development and validation of an extensive growth and growth boundary model for Listeria monocytogenes in lightly preserved and ready-to-eat shrimp. Journal of Food Protection 72 (10), 2132–2143. Mejlholm, O., Gunvig, A., Borggaard, C., Hansen, F., Mellefont, L., Ross, T., Leroi, F., Else, T., Visser, D., Dalgaard, P., 2010. Predicting growth and growth boundary of Listeria monocytogenes – an international validation study with focus on processed and ready-to-eat meat and seafood. International Journal of Food Microbiology 141 (3), 137-150. Vermeulen, A., Devlieghere, F., De Loy-Hendrickx, A., Uyttendaele, M., 2011. Critical evaluation of the EU-technical guidance on shelf-life studies for L. monocytogenes on RTE-foods: A case study for smoked salmon. International Journal of Food Microbiology 145 (1), 176-185. DISCUSSION Development and validation of predictive microbiology models is a time demanding and labour intensive job. As an example, our model for L. monocytogenes was developed and validated continuously over a period of more than 5 years by consecutively adding the effect of new environmental parameters and by expanding the range of products for which the 86 87 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI IN UN CASEIFICIO AZIENDALE NEL BIENNIO 2011/2012 Macori G.1, Bellio A.1, Bianchi D.M.1,2, Gallina S.1,2, Adriano D.1, Zuccon F.1,2, Gramaglia M. 1, Monfardini S.1, Fabbri M.1,2, Ghia C.A.1,2, Cazzaniga G.F.1, Riina M.V.1, Acutis P.L.1, Decastelli L.1,2 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta - Torino National Reference Laboratory for Coagulase Positive Staphylococci including S.aureus - Torino Key words: Staphylococcus aureus, spa-typing, PFGE SUMMARY Different techniques have been applied for S.aureus typing to isolates of a dairy farm during 2011 and 2012. Strains were typed phenotypically (biotyping) and genotypically (Enterotoxins genes by multiplex-PCR, PFGE and spa-typing). Biotyping identified 3 Non-Host-Specific strains (NHS4, NHS5, NHS6) and 1 hostspecific (cattle origin), while a strain could not be biotyped. In order to identify different molecular profiles, genotypic tests were combined and resulted 12 types. The analysis showed that some strains were present in both years. This can be attributed to inadequate cleaning and sanitizing procedures or not correctly performed. Another hypothesis could be the constant presence of the bacteria among the diary cows. The use of molecular analysis in an integrated manner seems to be the election typing method for food and feeding isolates considering the genetic variability of S.aureus populations, likewise to the context of a small diary farm investigated in the present study. L’analisi del dendrogramma della PFGE permette di correlare i 22 ceppi in tre cluster differenti identificati come A, B e C. I cluster A e B raggruppano due ceppi ciascuno, con identico profilo (similarità 100%), mentre il cluster C è costituito da 18 pulsotipi con una similarità maggiore del 75%. (Figura 1). Mediante spa-typing sono stati messi in evidenza 2 ceppi attribuiti allo spa-tipo t164, 8 allo spa-tipo t524, 10 allo spa-tipo t2953, e uno rispettivamente appartenente agli spa-tipo t5268 e t024. Al profilo molecolare I appartengono i ceppi A1 e A3 isolati nel 2011, rispettivamente da latte crudo e dalla vasca destinata alla destinata a contenere la cagliata. Il ceppo A1 è risultato essere biotipo NHS6, mentre il ceppo A3 “non biotipizzabile”. I 6 ceppi appartenenti al profilo di tipo II (A2, A5, A8, A14, B3 e B5) sono stati isolati sia nel 2011 (n=4) che nel 2012 (n=2), e sono risultati essere biotipo “non ospite specifico” - NHS5. I due ceppi che hanno presentato un profilo di tipo III (A4 e B2), isolati uno nel 2011 (asse di asciugatura) e l’altro nel 2012 (formaggio) sono risultati essere biotipo bovino. I ceppi appartenenti ai profili molecolari IV, V, VI e VII, sono stati isolati nel 2011, mentre quelli appartenenti ai profili VIII, IX, X, XI e XII nel 2012. I ceppi del profilo II, sono stati isolati nel 2011 da superfici di lavorazione e dalla salamoia, mentre nel 2012 da due campioni di formaggio, dimostrando la sua resistenza nel corso dei due anni sia in allevamento che nel caseificio. Questo può essere ricondotto a procedure di pulizia e sanificazione inadeguate o non eseguite correttamente. Altra ipotesi potrebbe essere la presenza costante del microrganismo tra i capi in lattazione. Questo ceppo peraltro presenta il gene codificante l’enterotossina D, una delle principali tossine implicate in casi di Malattie Trasmesse da Alimenti causate da tossine stafilococciche, e potrebbe quindi rappresentare un rischio per i consumatori. I ceppi appartenenti al profilo molecolare III (A4 e B2) hanno presentato analoghe caratteristiche venendo isolati entrambi gli anni sulla superficie di lavorazione (2011) e sul prodotto finito (2012). La biotipizzazione ha dimostrato l’origine bovina di questo ceppo, permettendo di supporre un mantenimento di tale microrganismo a livello di allevamento. I ceppi A2 e A3 hanno evidenziato un basso accordo della biotipizzazione con le metodiche molecolari. Le analisi molecolari, ed in particolare il loro utilizzo in modo integrato, risultano essere oggi il metodo di tipizzazione di elezione vista la notevole variabilità genetica delle popolazioni di S.aureus, anche nel contesto di una piccola realtà aziendale artigianale come quella analizzata nel presente studio. Figura 1 – Esiti tipizzazione: PFGE e spa-typing. (Staphylococcal Enterotoxins – Ses) è stata condotta utilizzando due differenti multiplex-PCR (mPCR), in accordo con i protocolli del laboratorio Comunitario di Riferimento per gli Stafilococchi Coagulasi Positivi (EU-RL CPS) (1, 2). Il primo protocollo identifica i geni che codificano per le enterotossine SEA, SEB, SEC, SED, SEE e SER, mentre il secondo per SEG, SEH, SEI, SEJ e SEP. I pulsotipi ottenuti con protocollo PFGE (7) sono stati utilizzati per la determinazione dei cluster genomici. Il DNA genomico è stato digerito utilizzando l’enzima di restrizione SmaI (Roche, USA) secondo il protocollo dell’EU-RL CPS (6, 4). La corsa elettroforetica è stata eseguita utilizzando lo CHEF Mapper XA System (Bio-Rad Laboratories, USA), includendo nella corsa il ceppo standard di riferimento S.aureus NCTC 8325. I profili di bande ottenuti sono stati interpretati con il software BioNumerics ver. 7.1 (Applied Math, Belgio). La comparazione è stata effettuata impostando l’ottimizzazione del coefficiente di similarità (coefficiente di correlazione Jaccard) all’1,0% e l’analisi dei cluster con metodo UPGMA impostando al 70% il cut-off. La tipizzazione con metodo SPA prevede il sequenziamento della regione polimorfica X del gene della proteina A di S.aureus. L’amplificazione e il successivo sequenziamento del gene di interesse sono stati effettuati come descritto da Strommenger et al. (8). Le sequenze ottenute sono state assegnate agli spa-tipi corrispondenti usando il server http://www. spaserver.ridom.de/. INTRODUZIONE Le materie prime, gli operatori del settore alimentare e gli ambienti di lavorazione possono fungere da fonte di contaminazione da Staphylococcus aureus negli alimenti. Indagare la relazione genetica che intercorre tra ceppi isolati in uno stabilimento può risultare molto utile per conoscere le fonti di contaminazione, al fine di valutare le strategie di prevenzione e controllo. In questo studio, sono state utilizzate diverse tecniche di tipizzazione messe a punto per S.aureus su ceppi isolati nel biennio 2011-2012 in un caseificio aziendale. RISULTATI E CONCLUSIONI Tra i ceppi isolati sono stati identificati un biotipo ospite-specifico (bovino) e 3 biotipi non ospite-specifico (NHS4, NHS5, NHS6), mentre un ceppo è risultato non biotipizzabile (Tabella 1). MATERIALI E METODI Nel corso del biennio 2011-2012 sono stati prelevati 14 campioni e 8 tamponi/sponge ambientali presso un caseificio aziendale in provincia di Torino. I campioni sono stati trasportati refrigerati presso il Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, dove sono stati analizzati entro 24 ore dal prelievo. Su tutti i campioni è stato eseguito il conteggio degli Stafilococchi Coagulasi Positivi (SCP) secondo la metodica ISO 6888-2:1999. Per ogni campione positivo è stata scelta una colonia caratteristica, che è stata sottoposta ad identificazione mediante gallerie API ID 32 STAPH (bioMérieux, France), oppure card di tipo GP del sistema VITEK (bioMérieux, France). I ceppi isolati sono stati caratterizzati dal punto di vista fenotipico (biotipizzazione) e genotipico (ricerca di geni codificanti tossine tramite multiplex-PCR, PFGE e Spa-typing) Il protocollo di biotipizzazione prevede l’esecuzione di 4 differenti prove di tipo fenotipico (3, 5). La combinazione dei 4 esiti permette di individuare il biotipo ospite specifico (umano, bovino, ovino) o non ospite specifico (NHS1, NHS2, NHS3, NHS4, NHS5, NHS6). Qualora il profilo non rientri in uno dei 9 possibili il risultato è espresso come “non biotipizzabile”. La ricerca dei geni codificanti le enterotossine stafilococciche Tabella 1 – Informazione campioni ed esiti biotipizzazione 88 ID A1 A2 A3 A4 A5 A6 A7 A8 A9 A10 A11 A12 A13 A14 B1 B2 B3 B4 Anno 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2011 2012 2012 2012 2012 Matrice latte crudo vasca cagliata vasca cagliata asse asciugatura asse asciugatura asse asciugatura asse stagionatura asse asciugatura asse asciugatura formaggio siero formaggio formaggio salamoia formaggio formaggio formaggio formaggio Biotipo NHS6 NHS5 NON BIOTIPIZZ BOVINO NHS5 NHS5 BOVINO NHS5 NHS5 NHS5 NHS6 BOVINO NHS5 NHS5 NHS4 BOVINO NHS5 BOVINO B5 2012 formaggio NHS5 B6 2012 formaggio NHS5 B7 2012 formaggio BOVINO B8 2012 formaggio BOVINO La ricerca dei geni codificanti le tossine stafilococciche ha messo in evidenza la presenza di almeno un gene in 16 ceppi, mentre 6 ceppi sono risultati completamente negativi. In 13 ceppi si sono riscontrati almeno un gene codificante le tossine da A ad E, target dei metodi analitici per la ricerca delle tossine preformate sugli alimenti. Mediante la combinazione degli esiti delle prove genotipiche, sono stati identificati 12 profili molecolari (Tabella 2). BIBLIOGRAFIA 1. Anonymous (a). 2009 “Detection of genes encoding staphylococcal enterotoxins. Multiplex PCR for sea to see and ser.” Method of the EU- Reference Laboratory for Coagulase Positive Staphylococci including Staphylococcus aureus (EU-RL presso ANSES, Maison Al Fort, Francia). Version 1. N°Internal Method(10):1-5. 2. Anonymous (b). 2009 “Detection of genes encoding staphylococcal enterotoxins. Multiplex PCR for seg to sej and sep.” Method of the EU- Reference Laboratory for Coagulase Positive Staphylococci including Staphylococcus aureus (EU-RL presso ANSES, Maison Al Fort, Francia). Version 1. N°Internal Method(10):1-5. 3. Devriese L.A. 1984. “Identification and characterization of staphylococci isolated from cats” – Veterinary Microbiology. N°9:279-285. 4. Hennekinne J.A., Kerouanton A., Brisabois A, De Buyser M.L. 2003. “Discrmination of Staphylococcus aureus biotypes by pulsed field gel electrophoresis of DNA macrorestriction fragments”. Journal of Applied Microbiology. N°94(2):321-329. Tabella 2 – Profili molecolari ottenuti Profilo molecolare N° ceppi SEs Spa typing PFGE SEG, SEI t164 3 SED, SER, SEJ t2953 6 III 2 (A1, A3) 6 (A2, A5, A8, A14, B3, B5) 2 (A4, B2) t524 4 IV 2 (A6, A10) t2953 6 V VI VII VIII IX X XI XII 2 (A7, A12) 2 (A9, A13) 1 (A11) 1 (B1) 1 (B4) 1 (B6) 1 (B7) 1 (B8) NEG SEA, SED, SER, SEJ NEG SED, SER, SEJ SED, SER, SEJ SED, SER, SEJ NEG SER, SEJ NEG SEA, SER t524 t2953 t524 t024 t524 t5268 t524 t524 5 4 6 6 1 6 2 2 I II 89 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 S., Olsson-Liljequist 1B., Ransjo U., Coombes G., Cookson B. 2003. “Harmonization of pulsed-field gel electrophoresis protocols for epidemiological typing of strains of methicillin-resistant Staphylococcus aureus: a single approach developed by consensus in 10 European laboratories and its application for tracing the spread of related strains”. J Clin Microbiol. N°41(4):1574-1585. 8. Strommenger B., Kettlitz C., Weniger T., Harmsen D., Friedrich D.W., Witte W. 2006. “Assignment of Staphylococcus Isolates to Groups by spa Typing, SmaI Macrorestriction Analysis, and Multilocus Sequence Typing” J Clin Microbiol. N°44(7):2533– 2540. 5. Isigidi B.K, Devriese, L.A., Godard, C. and van Hoof, J. 1990. “Characteristics of Staphylococcus aureus associated with meat products and meat workers”. Letters in Applied Microbiology. N°11:145147. 6. Marault M., Roussel S., Brisabois A. Febbraio 2011. “Staphylococcus aureus pulsed field gel electrophoresis subtyping method”. Metodo interno:1-15. 7. Murchan S., Kaufmann M.E., Deplano A., de Ryck R., Struelens M., Zinn C.E., Fussing V., Salmenlinna S., Vuopio-Varkila J., El Solh N., Cuny C., Witte W., Tassios P.T., Legakis N., van Leeuwen W., van Belkum A., Vindel A., Laconcha I., Garaizar J., Haeggman XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CONFRONTO TRA FAGI VEICOLANTI LA VEROCITOTOSSINA IN CEPPI DI Escherichia coli ENTEROAGGREGATIVI: EVOLUZIONE CONVERGENTE DI UN NUOVO PATOTIPO 1 Michelacci V. , 1Grande L., 1Ranieri P., 2Ashton P., 2Jenkins C., 1Tozzoli R., 1Maugliani A., 1Caprioli A., 1Morabito S. Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Laboratorio Europeo e Nazionale di Riferimento per E. coli, Roma, Italia; 2Public Health England, Gastrointestinal Bacterial Reference Unit, Colindale, United Kingdom 1 Keywords: Verocytotoxin-producing E.coli, Enteroaggregative E. coli, Bacteriophages ABSTRACT Verocytotoxin(VT)-producing Enteroaggregative Escherichia coli (EAEC) have been identified as an emerging pathotype of E. coli after the severe outbreak of haemolytic uraemic syndrome occurred in Germany in 2011, caused by an O104:H4 EAEC which had got the ability to produce VT following the acquisition of a VT-encoding phage. A few other VT-producing EAEC have been described in the last decade. Here we compare the genome of the VT-encoding phage from the O104:H4 German strain with those from two other VT-producing EAEC strains, reporting a strong similarity with one of these and a marked difference with the other. This attests the existence of at least two different VTencoding phages able to stably infect EAEC and raises questions on the genetic and environmental features favouring these acquisition events. ed in particolare in Africa, od il consumo di alimenti provenienti da queste regioni. Questo ha permesso di ipotizzare la possibile emergenza di questo ceppo in tali aree, dalle quali sembra riemergere sporadicamente. L’analisi del genoma dei ceppi EAEC produttori di VT, con particolare riferimento ai batteriofagi integrati che veicolano le tossine VT, risulta quindi interessante per investigare i meccanismi che hanno portato all’emergenza di questo patotipo di E. coli e chiarirne i percorsi evolutivi. MATERIALI E METODI Ceppi batterici I ceppi ED 191 e str. 226 corrispondono ai ceppi EAEC produttori di VT rispettivamente di sierotipo O111:H2 e O111:H21 che sono stati responsabili il primo di una piccola epidemia in Francia nel 1996 (7) ed il secondo di un piccolo focolaio epidemico in Irlanda del Nord nel 2012 (3). INTRODUZIONE Nel corso del 2011 si è verificata in Germania ed in Francia una gravissima epidemia di diarrea emorragica e sindrome emolitico uremica (SEU), che ha fatto registrare 4033 casi, di cui 901 casi di SEU e 50 morti (4). Il ceppo responsabile dell’epidemia era uno stipite di EAEC di sierotipo O104:H4 in grado di aderire alla mucosa intestinale dell’ospite mediante il tipico meccanismo di adesione degli EAEC e al contempo di produrre la verocitotossina (2). Tale combinazione inusuale di fattori di virulenza ha reso il ceppo particolarmente virulento, capace di causare la sintomatologia più grave anche in individui adulti non immunocompromessi, caratteristica inusuale per i ceppi classici di E. coli produttori di VT (VTEC). Questa epidemia ha assunto dimensioni straordinarie a causa dell’ingresso del patogeno nella catena alimentare. Le analisi retrospettive hanno infatti permesso di identificare la sorgente dell’infezione in un lotto di semi di fieno greco, che hanno raggiunto le tavole dei consumatori sotto forma di germogli da consumare crudi (5). In precedenza erano stati già descritti alcuni ceppi con un simile assetto di geni di virulenza, costituito dalla presenza contemporanea, nel genoma, di un plasmide di virulenza coinvolto nella produzione delle fimbrie responsabili dell’adesione alla mucosa intestinale dell’ospite di tipo aggregativo e del batteriofago veicolante i geni codificanti la VT. Il primo caso descritto risale al 1996, quando è stato isolato un ceppo EAEC di sierotipo O111:H2 produttore di VT responsabile di una piccola epidemia di SEU in Francia (7). A seguito della vasta epidemia del 2011, una analisi retrospettiva ha permesso l’identificazione di ceppi di sierotipo O104:H4 con le stesse caratteristiche di virulenza isolati da casi riportati in Germania nel 2001, in Corea nel 2005, in Finlandia nel 2011 (6) ed in Italia nel 2009 (8). Più recentemente un ulteriore ceppo EAEC produttore di VT di sierotipo O111:H21 è stato isolato nel corso di un piccolo focolaio epidemico nell’Irlanda del Nord nel 2012 (3). Per quasi tutti i casi causati da ceppi EAEC produttori di VT di sierotipo O104:H4 è stato possibile identificare come denominatore comune la permanenza in Paesi a basso reddito, 90 Isolamento del fago veicolante la VT dal ceppo ED 191 (Φ191) ed estrazione del DNA Il fago veicolante la verocitotossina nel ceppo ED 191 è stato isolato mediante induzione fagica con esposizione ai raggi UV, amplificazione mediante infezioni ripetute del ceppo propagatore LE392 di E. coli K12 ed ultracentrifugazione in gradiente di cloruro di cesio. La banda identificata è stata poi estratta ed il contenuto sottoposto a dialisi, seguita da estrazione del DNA con il metodo classico Fenolo-Cloroformio. Sequenziamento del fago Φ191 Il DNA del fago Φ191 è stato sequenziato mediante il protocollo 200bp della LifeTechnologies per lo strumento IonTorrent. La library di partenza è stata ottenuta mediante frammentazione enzimatica, ligasi con adattatori e selezione di frammenti di circa 350bp. Questa è stata poi amplificata mediante utilizzo per PCR in emulsione nel termociclatore IonOneTouch, cui ha fatto seguito la reazione di sequenziamento mediante un chip 314 nello strumento IonTorrent PGM. Analisi Bioinformatiche La sequenza del fago P13374 veicolante la VT nel ceppo di sierotipo O104:H4 è stata derivata dalla banca dati dell’NCBI (Acc. No. NC_018846). Le letture risultanti dal sequenziamento del fago Φ191 sono state assemblate in contigs mediante il programma di de novo assembly distribuito sull’IonServer. I file grezzi di sequenza utilizzati relativi all’intero genoma del ceppo O111:H21 str. 226 sono stati invece ricavati dal database dell’NCBI (Acc No SRA055981) ed assemblati in contigs mediante il programma di de novo assembly Velvet (www.ebi. ac.uk/~zerbino/velvet/). Ulteriori analisi condotte su questa sequenza hanno avuto lo scopo di identificare ed isolare dalla sequenza del resto del cromosoma la sequenza del fago codificante la VT in questo ceppo. I confronti multipli tra le sequenze fagiche sono stati eseguiti 91 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 mediante il programma di allineamento MAUVE, che permette una facile visualizzazione delle regioni conservate anche a partire da sequenze suddivise in contigs (asap.ahabs.wisc.edu/ software/mauve/overview.html). la VT nel ceppo O111:H21 str. 226 rispetto ai due fagi P13374 e Φ191, che invece risultano estremamente conservati sia per organizzazione generale dei blocchi funzionali che per sequenza. Conclusioni Questo è il primo studio che si occupa di comparare il genoma di fagi codificanti le verocitotossine in ceppi diversi di EAEC. I dati ottenuti permettono di escludere che esista un singolo fago veicolante la VT in grado di infettare gli EAEC ed integrarsi nel loro cromosoma, poiché i batteriofagi identificati nei tre ceppi in analisi appartengono ad almeno due famiglie diverse. Inoltre, l’aver identificato l’esistenza di almeno due fagi diversi integrati nel genoma di ceppi EAEC permette di stabilire che tale integrazione sia avvenuta attraverso almeno due eventi evolutivi distinti, escludendo invece un’origine comune di tutti i ceppi analizzati da un unico ceppo ancestrale EAEC produttore di VT. Alla luce delle differenze identificate con la sequenza derivante dal ceppo O111:H21 str. 226, soltanto la corrispondenza tra i fagi integrati nel ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia tedesca e nel ceppo O111:H2 ED 191 potrebbe essere spiegata con una derivazione da uno stesso ceppo, andato incontro a fenomeni di conversione degli antigeni superficiali. Ulteriori analisi volte allo studio dell’intero genoma di tali ceppi sono attualmente in corso allo scopo di verificare questa ipotesi. Inoltre uno studio più accurato del genoma dei fagi veicolanti le VT e dei loro siti di inserzione nel cromosoma di ceppi enteroaggregativi permetterà di evidenziare eventuali caratteristiche fagiche o batteriche che possano favorire l’infezione determinando l’insorgenza di ceppi EAEC produttori di VT. Questa conoscenza rappresenta la base scientifica necessaria per lo studio delle condizioni ambientali coinvolte nel favorire l’infezione di ceppi EAEC con fagi veicolanti le VT e per l’identificazione dei possibili veicoli coinvolti nella trasmissione di tali patogeni all’uomo. RISULTATI E CONCLUSIONI Il sequenziamento del batteriofago che codifica la VT nel ceppo O111:H2 ED 191 ha prodotto 320044 letture di lunghezza media di 204 bp, per un totale di 65,30 Mb. Tali letture sono state assemblate in 151 contigs, utilizzati per le successive analisi di confronto con i batteriofagi veicolanti la verocitotossina negli altri due ceppi EAEC fino ad oggi sequenziati: il fago P13374 del ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia verificatasi in Germania nel 2011, la cui sequenza è stata completamente chiusa e recentemente pubblicata (1); ed il batteriofago integrato nel genoma interamente sequenziato del ceppo O111:H21 str. 226, che è stato assemblato in 456 contigs. Poiché la sequenza del batteriofago P13374 risulta l’unica completamente assemblata in un unico contig tra quelle ad oggi disponibili derivanti da fagi che veicolano le VT in ceppi EAEC, questa è stata utilizzata come riferimento per ordinare con il programma MAUVE i contigs ottenuti dalle sequenze del genoma del fago del ceppo ED 191 e dell’intero genoma del ceppo str. 226. Lo stesso programma MAUVE è stato poi utilizzato per effettuare allineamenti progressivi delle sequenze in esame con la sequenza del fago di riferimento P13374. Figura 1. Allineamento MAUVE tra i fagi P13374 (in alto), isolato dal ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia verificatasi in Germania nel 2011, ed il fago Φ191 isolato dal ceppo O111:H2. Le barre verticali presenti nella sequenza Φ191 rappresentano le giunzioni tra i diversi contigs. Le regioni non allineabili sono indicate in bianco, mentre in grigio sono indicati i blocchi di corrispondenza. BIBLIOGRAFIA 1. Beutin L, Hammerl JA et al. Spread of a distinct Stx2encoding phage prototype among Escherichia coli O104:H4 strains from outbreaks in Germany, Norway, and Georgia. J Virol. 2012 Oct;86(19):10444-55. 2. Bielaszewska M, Mellmann A et al. Characterisation of the Escherichia coli strain associated with an outbreak of haemolytic uraemic syndrome in Germany, 2011: a microbiological study. Lancet Infect Dis. 2011 Sep;11(9):6716. 3. Dallman T, Smith GP et al. Characterization of a verocytotoxinproducing enteroaggregative Escherichia coli serogroup O111:H21 strain associated with a household outbreak in Northern Ireland. J Clin Microbiol. 2012 Dec;50(12):4116-9. 4. European Centre for Disease Prevention and Control, Shiga toxin-producing E. coli (STEC): Update on outbreak in the EU, 27 July 2011 5. European Food Safety Authority, Tracing seeds, in particular fenugreek (Trigonella foenum-graecum) seeds, in relation to the Shiga toxin-producing E. coli (STEC) O104:H4 2011 Outbreaks in Germany and France, July 5th 2011; 6. European Food Safety Authority, Shiga toxin-producing E. coli (STEC) O104:H4 2011 outbreaks in Europe: Taking Stock, October 3rd 2011; Da questa analisi la composizione del genoma del fago Φ191 è risultata generalmente sovrapponibile a quella del fago P13374 del ceppo O104:H4 responsabile dell’epidemia del 2011 (Fig. 1), con alcune regioni non allineabili (in bianco in figura) per lo più in corrispondenza delle giunzioni tra i diversi contigs (indicate come barre verticali in figura), ma anche, seppur più raramente, all’interno di uno stesso contig, indicando la presenza di regioni diverse nel genoma dei due fagi. Allo scopo di definire completamente la sequenza del fago Φ191, sono attualmente in corso reazioni di sequenziamento di 20 frammenti di PCR ottenuti congiungendo contigs apparentemente limitrofi. Le dimensioni dei frammenti ottenuti fino ad ora confermano la presenza di alcune differenze con la sequenza di riferimento. Il confronto del genoma del ceppo O111:H21 str. 226 con quello dei fagi P13374 e Φ191 non ha permesso di identificare regioni altamente conservate con nessuno di questi ultimi due, fatta eccezione per i geni codificanti la verocitotossina di tipo 2 (VT2). Si è proceduto quindi ad allinearne i contigs con le sequenze genomiche di fagi codificanti la VT2 disponibili in database come assemblati completi, ma nessun fago tra quelli ad oggi pubblicati è risultato simile al fago del ceppo str. 226. Nonostante un confronto dettagliato con il fago del ceppo str. 226 sia reso impossibile dalla difficoltà di ordinarne i contigs utilizzando come riferimento il fago P13374, il dato interessante che emerge da questo studio è una netta differenza del batteriofago veicolante 92 7. Morabito S, Karch H et al. Enteroaggregative, Shiga toxinproducing Escherichia coli O111:H2 associated with an outbreak of hemolytic-uremic syndrome. J Clin Microbiol. 1998 Mar;36(3):840-2. 8. Scavia G, Morabito S et al. Similarity of Shiga toxin-producing Escherichia coli O104:H4 strains from Italy and Germany. Emerg Infect Dis. 2011 Oct;17(10):1957-8. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DI VIRUS HAV ISOLATO DA ALIMENTI E UOMO NEL CORSO DI UN FOCOLAIO EPIDEMICO DI EPATITE A CORRELATA AL CONSUMO DI FRUTTI DI BOSCO IN ITALIA Pavoni E.1 per la Task-Force Epatite A2 Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Via Bianchi, 9 – 25124 Brescia 2 Task Force Epatite A: Guizzardi S., Cappelletti B., Lena R., Massaro M., Menghi A., Monteleone D., Pompa M.G., Martini V., Vellucci L., Borrello S. (Ministero della Salute); Rizzo C., Alfonsi V., Montano-Remacha C., Ricotta L., Tosti M.E., Busani L., Escher M., Scavia G., De Medici D., Di Pasquale S., Ciccaglione A., Bruni R., Taffon S. (Istituto Superiore di Sanità); Losio M.N., Pavoni E., Varisco G. (Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare. IZSLER) 1 Key words: Hepatitis A virus, berries, outbreak SUMMARY In Italy, a specific Sentinel Surveillance System for Acute Viral Hepatitis (SEIEVA) allows the prompt evaluation of incidence of the disease and insight into the risk factors. From January 2013 a marked increase of cases of hepatitis A was reported, corresponding to a 70% increase in the notifications compared to the same period in 2010-2012. The highest increase in the number of cases was observed in the Northern regions. The sequencing of VP1/2A genomic region of hepatitis A Virus (HAV) from patients showed that a genotype IA strain was involved in several cases. The sequence of the virus from a batch of mixed frozen berries was shown to be identical to the sequences from a subgroup of patients, several of which reported consumption of frozen berries. Preliminary epidemiological investigations for the identification of risk factors also focused on consumption of mixed frozen berries as the possible source of the outbreak. di frutti di bosco congelati (ribes rossi, mirtilli, more e lamponi) quali possibile veicolo d’infezione del virus HAV (2). La plausibilità di tale ipotesi è stata supportata anche da un preliminare riscontro microbiologico che mostrava la presenza di virus HAV in un campione di mix di frutti di bosco congelati che risultava associato ad un caso epidemico. Per indagare il focolaio epidemico ed individuare la fonte di infezione è stata costituita presso il Ministero della Salute con il supporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’Istituto Zooprofilattico della Lombardia ed Emilia Romagna (IZSLER) una Task-force multidisciplinare con lo scopo di completare l’indagine epidemiologica dei casi, effettuare gli studi di epidemiologia analitica, indagare e confermare attraverso l’attività analitica il ruolo delle diverse matrici alimentari quale veicolo d’infezione epidemica ed individuare attraverso il rintraccio delle materie prime la potenziale sorgente epidemica. Scopo del presente lavoro è descrivere i risultati delle indagini microbiologiche e di tipizzazione molecolare condotte sugli alimenti potenzialmente implicati nell’epidemia di infezione da HAV e di confrontarli con quanto emerso dalla sorveglianza molecolare/genetica condotta sui casi epidemici. INTRODUZIONE Il virus dell’epatite A (Hepatitis A Virus, HAV) è responsabile della trasmissione all’uomo della malattia attraverso diverse vie tra le quali il consumo di acqua e alimenti contaminati. Tra gli alimenti più frequentemente implicati nella trasmissione dell’infezione all’uomo troviamo il consumo di frutti di mare, particolarmente rilevante in Italia, vegetali e frutti di bosco. Questi ultimi, già causa di diverse epidemie di epatite A in Scozia e negli USA, sono stati implicati quale sospetta fonte d’infezione di un focolaio epidemico da HAV genotipo IB che ha colpito tra Ottobre 2012 e Aprile 2013 quattro Paesi NordEuropei (1;2). Sebbene ci sia un solo sierotipo, attraverso le analisi di sequenziamento del genoma sono stati identificati differenti genotipi di HAV. Esso sopravvive anche in condizioni ambientali estreme come il congelamento ed è sufficientemente resistente al calore può infettare il fegato umano anche se presente in basse concentrazioni. Nelle persone affette il periodo di incubazione può variare dai 15 ai 50 giorni. Anche se l’epatite A è generalmente una malattia autolimitante e con esito benigno, talvolta asintomatica nei bambini, in casi sporadici può dar forma a complicanze, soprattutto nei soggetti immunocompromessi o già colpiti da altre patologie epatiche. In Italia, il Sistema Epidemiologico Integrato dell’Epatite Virale Acuta (SEIEVA) ha consentito di individuare, a partire dal gennaio 2013, un rilevante aumento dei casi di Epatite A sull’intero territorio nazionale, in particolare in alcune regioni del Nord, con un incremento pari al 70% rispetto al triennio precedente (3). I risultati preliminari delle indagini epidemiologiche condotte sui pazienti hanno consentito di individuare il consumo di mix MATERIALI E METODI Campionamento Nel periodo maggio-agosto 2013 sono state eseguite presso l’IZSLER di Brescia 403 analisi ufficiali e 477 analisi non ufficiali per un totale di 880. Oltre agli alimenti, sono stati sottoposti a ricerca per HAV anche 28 campioni di feci umane da pazienti affetti da epatite A e provenienti da diverse Aziende Ospedaliere del centro-nord Italia. Il 54,7% degli alimenti (comprensivo di analisi ufficiali e di autocontrollo) era composto da frutti di bosco surgelati, sia in buste di gran mix sia in singole specie come lamponi, ribes neri o rossi, more, mirtilli rossi o neri, fragole. Il restante 45,3% era composto da frutta in diverse tipologie di conservazione (marmellate, succhi, torte guarnite, macedonie), da insalate della IV gamma “ready to eat”, da funghi surgelati e da acqua di lavorazione. Seminested e nested PCR Le analisi per la ricerca di HAV sono state eseguite mediante un metodo di prova accreditato presso l’IZSLER, in accordo alla ISO_TS 15216-2 (4), per quanto riguarda la preparazione delle diverse matrici, ed in accordo ad una seminested PCR con primer specifici per la regione conservata VP1/VP3 del genoma virale già descritta in letteratura (5). Al fine di caratterizzare genotipicamente i ceppi di HAV rilevati è stata utilizzata una nested PCR con primer degeneri e diretti verso una regione meno conservata e più variabile denominata VP1/2A (6). 93 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Sequenziamento Gli ampliconi positivi, sono stati purificati con il QIAquickGel Extraction Kit (Qiagen) e sono stati sequenziati su entrambi i filamenti con il BigDye Terminator Cycle Sequencing Kit (v 2.0 Applied Biosystems) su sequenziatore automatico ABI PRISM 3500XL Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Le sequenze ottenute sono state confrontate con sequenze già depositate in GenBank mediante BLAST al sito http://blast.ncbi.nlm.nih.gov/ Blast.cgi Analisi filogenetica L’analisi filogenetica è stata effettuata mediante programmi di allineamento e di analisi filogenetica disponibili nel software MEGA 5.2. A seguito di tali rilievi sono stati notificati attraverso il sistema RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed), i risultati della ricerca di HAV ed è stato avviato un lavoro di rintracciabilità dei prodotti alimentari e delle materie prime, tuttora in corso. Tali indagini hanno consentito di accertare che tutte le materie prime utilizzate per la produzione dei mix di frutti di bosco contaminati provenivano da diversi paesi europei ed extra-europei. A seguito della notifica RASFF, inoltre, sono stati adottati provvedimenti di ritiro dei lotti di mix-frutti di bosco positivi e di richiamo da parte delle Regioni. I risultati descritti mostrano l’importanza di armonizzare le tecniche di tipizzazione molecolare e caratterizzazione genetica adottate nell’ambito diagnostico umano e in sicurezza alimentare. Sebbene infatti le evidenze prodotte nei diversi ambiti di indagine del focolaio epidemico circa il ruolo dei frutti di bosco, siano risultate concordanti l’analisi comparativa delle sequenze ovvero il rilievo del’identità nucleotidica degli isolati virali HAV da uomo e alimento è ciò che ha consentito di individuare definitivamente nei frutti di bosco la fonte d’infezione dei casi epidemici. È da sottolineare infine che nonostante alla base del focolaio epidemico da HAV individuato in Italia vi sia la stessa matrice sospettata quale fonte epidemica del recente focolaio da HAV genotipo IB che ha interessato i Paesi Nord-Europei, i risultati della caratterizzazione genetica del virus consentono di escludere legami tra le due epidemie. RISULTATI E CONCLUSIONI Tre campioni di mix di frutti di bosco, 11 prodotti ortofrutticoli e 2 acque di lavorazione provenienti da analisi Ufficiali sono risultati contaminati, mentre le analisi in autocontrollo sono risultate negative. Tutte le 28 feci umane si sono confermate positive (Tabella 1). Tabella 1 – Dati relativi alle analisi effettuate per la HAV in matrici alimentari Tipologia Matrice ricerca di Positivi Negativi 43 43 mix frutti di bosco 3 358 361 lampone - 43 43 mirtillo nero - 11 11 ribes - 22 22 mirtillo rosso - 1 1 TOTALE FRUTTI ROSSI 3 478 481 (54,7%) ortaggi a foglia 10 173 183 zuppe, brodi, salse 1 46 47 acqua di lavorazione 2 8 10 confettura di frutta - 15 15 funghi - 12 12 prodotti pasticceria - 17 17 succhi e - 1 1 altro - 114 114 TOTALE ALTRI ALIMENTI 13 386 399 (45,3%) TOTALE ALIMENTI 16 864 880 fragole Totale feci umane 28 0 28 TOTALE COMPLESSIVO 44 864 908 BIBLIOGRAFIA 1. European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), European Food Safety Authority (EFSA). Outbreak of hepatitis A virus infection in residents and travellers to Italy. 28 May 2013. Joint ECDC-EFSA rapid outbreak assessment. Stockholm: ECDC; 2013. Available from: http:// ecdc.europa.eu/en/publications/Publications/hepati tis-A-outbreak-of-hepatitis-A-virus-infection-in-residentsand-travellers-to-Italy.pdf 2. Gillesberg Lassen S, Soborg B, Midgley SE, Steens A, Vold L, Stene-Johansen K, Rimhanen-Finne R, Kontio M, Löfdahl M, Sundqvist L, Edelstein M, Jensen T, Vestergaard HT, Fischer TK, Mølbak K, Ethelberg S. Ongoing multistrain food-borne hepatitis A outbreak with frozen berries as suspected vehicle: four Nordic countries affected, October 2012 to April 2013. Euro Surveill. 2013;18(17):pii=20467. Available online: http://www.eurosurveillance.org/ ViewArticle. aspx?ArticleId=20467 3. Ongoing outbreak of hepatitis A in Northern Italy in 2013: preliminary report. C Rizzo, V Alfonsi, R Bruni, L Busani, A Ciccaglione, D de Medici, S Di Pasquale, M Equestre, M Escher, M C Montaño-Remacha, G Scavia, S Taffon, V Carraro, S Franchini, B Natter, M E Tosti and the Central Task Force on Hepatitis A. Eurosurveillance 2013. 4. ISO-TS 15216/2. Microbiology of food and animal feed – Horizontal method for determination of hepatitis A virus and norovirus in food using real time PCR. Part 2: method for qualitative detection. 5. Le Guyader F., E. Dubois, D. Menard e M. Pommepuy. 1994. Detection of Hepatitis A Virus, Rotavirus and Enterovirus in Naturally Contaminated Shellfish and Sediment by Reverse Transcription-Seminested PCR. Appl. Environ. Microbiol. 60 (10): 3665-3671. 6. Kathrine Stene-Johansen, Grace Tjon, Eckart Schreier, Viviane Bremer, etc .2007. Molecular Epidemiological Studies show that hepatitis A virus is endemic among active homosexual men in Europa. Journal of Medical Virology 79:356-365 A seguito della caratterizzazione genetica di HAV rilevato in un campione di frutti di bosco, è risultato che la sequenza molecolare di quest’ultimo, di genotipo IA, mostrava 100% identità nucleotidica con sequenze isolate da un gruppo di pazienti affetti da epatite A, molti dei quali riportavano consumo di frutti di bosco. L’omologia molecolare del genoma virale rinvenuto nei frutti di bosco e con i genomi virali identificati nei pazienti ha rafforzato l’ipotesi che i frutti di bosco potessero essere il veicolo di infezione dei casi, escludendo dai probabili alimenti a rischio altre tipologie di vegetali. 94 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI BACILLUS ANTHRACIS IN ALBANIA Peculi A. 1, Marino L. 2, Giangrossi L.2, Boci J.1*, Affuso A.3, Sabia C.3, Fasanella A.2 1 Instituti I Sigurise Ushqimore dhe Veterinarise – Tirana,Albania 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata, Anthrax Reference Institute of Italy - Foggia, Italy. 3 Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Modena, Italy Key words: Bacillus anthracis, Albany, Molecular epidemiology, MLVA, CanSNPs SUMMARY Anthrax in Albania is an endemic disease characterized by few outbreaks involving a very low number of animals. Seven samples of soil coming from different regions of Albany and four strains isolated in Lezha area, were examined in the laboratories of Istituto Zooprofilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata. All the isolated strains of Bacillus anthracis were identified by Real time PCR. CanSNP analysis indicated that all the genotypes of Bacillus anthracis belong to sublinage A. Br 008/009 confirming that the strains circulating in Albania belong to the trans Eurasian genotypes. The MLVA with 15 VNTRs indicated the presence of three different genotypes. morti nella regione di Lezha (Tab.1, Fig.1) Tabella 1 – Elenco dei campioni esaminati. INTRODUZIONE L’Albania applica controlli e programmi di eradicazione degli animali in accordo con le linee guida dell‘ OIE. L’importazione del bestiame avviene principalmente dalla Macedonia, dalla Bulgaria, dal Kosovo e dalla Grecia. La popolazione animale del paese è costituita da: 1.900.000 pecore, 846.000 capre, 378.000 bovini, 100.000 maiali e 103.000 cavalli. Tutti gli animali sono obbligatoriamente denunciati e registrati al Ministero dell’Agricoltura albanese che provvede ad offrire diversi servizi agli allevatori come la vaccinazione del bestiame contro le maggiori malattie considerate enzootiche: brucellosi, peste suina classica e antrace animale (carbonchio ematico). Per quanto concerne la Brucellosi nel 2011 è stato messo a punto un nuovo piano vaccinale, basato su una vaccinazione per 2 anni consecutivi seguita da un richiamo dopo 2 anni. Il programma di profilassi contro la peste suina classica si basa invece sulla vaccinazione degli animali recettivi in un numero limitato di distretti. L’antrace animale è una malattia considerata endemica e ogni anno vengono registrati nuovi focolai. Per la profilassi viene utilizzato un vaccino tipo Sterne (vivo attenuato acapsulato), prodotto in Albania. Il programma di profilassi prevede la vaccinazione obbligatoria degli animali per almeno dieci anni dall’ultimo focolaio. Dal 2009 al 2012 i focolai confermati sono stati 17 (4 bovini, 9 pecore, 4 capre) e sono stati anche segnalati casi umani di antrace cutaneo. Nel corso dell’anno 2012 sono state somministrate 329.717 dosi di vaccino che hanno coperto il 7.68% della popolazione bovina, l’11.4% di quella ovina, il 9.2% di quella caprina, l’1.3% della popolazione suina e il 4% della popolazione equina. La diagnosi di antrace si basa sull’osservazione al microscopio di vetrini allestiti con sangue proveniente da animali morti e colorati con blu di metilene. Alcuni laboratori utilizzano la prova biologica. In caso di sospetto focolaio di antrace, il veterinario è tenuto ad informare il Ministero dell’Agricoltura il quale allerta i servizi veterinari interessati ad adottare le adeguate procedure di sicurezza. Tipo di campione Area geografica ID Terra Milot A Terra Shkodër B Terra Lushnje C Terra Vlorë D Terra Shkodër E Terra Fushë-Kuqe F Terra Vlorë G Slant Lezha H Slant Lezha I Slant Lezha L Slant Lezha M Campioni di terra. I campioni di terra sono stati analizzati mediante il metodo Ground Anthrax Bacillus Refined Isolation (G.A.B.R.I.) (1,2). Brevemente, da ogni campione di terra un’aliquota di 7.5g è stata stemperata in 22.5ml di Washing Buffer (soluzione acquosa contenente 0.5% di Tween 20) e sottoposta a lavaggio in agitatore magnetico per 30 minuti. Successivamente la sospensione è stata centrifugata a 2000 rpm per 5 minuti. Il supernatante è stato prelevato ed incubato a 64°C per 20 minuti. Dopo l’incubazione sono stati i raccolti 5ml si sospensione a cui sono stati aggiunti 5 ml di brodo triptosio fosfato contenente 125µg/ml di fosfomicina. Un ml di questa sospensione è stata seminata in piastra di terreno TMSP (Agar 5% di sangue addizionato con Trimethoprime Sulfametossazolo Polimixina B). Per ogni campione sono state utilizzate 10 piastre. Dopo la semina le piastre sono state messe ad incubare a 37°C in aerobiosi per 24 ore. Dopo l’incubazione si è proceduto a verificare l’esame morfologico delle colonie sospette, l’attività emolitica e l’esame microscopico previa colorazione di Gram. Le colonie sospette sono state clonate in piastre di agar sangue al 5% e incubate a 37°C per 24 ore. Ceppi batterici. Da ciascuna provetta è stata prelevata un’aliquota di materiale batterico che è stato seminato a colonie isolate sul terreno semiselettivo agar sangue TSMP (Trimethoprime Sulfametossazolo Polimixina B) e incubato a 37°C per 24 ore. Estrazione DNA. Il DNA delle colonie è stato estratto utilizzato il “DNeasy Blood & Tissue Kit (Qiagen)” secondo la procedura indicata per i batteri Gram positivi. Test biomolecolari. Su ciascun DNA è stata eseguita una Real MATERIALI E METODI Al fine di valutare le caratteristiche genetiche dei ceppi circolanti in Albania sono stati esaminati 7 campioni di terra provenienti da diverse regioni dell’Albania e 4 ceppi di Bacillus isolati da ovini 95 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fig.1 - Distribuzione geografica dei ceppi di Bacillus anthracis isolati time PCR utilizzando primers specifici per il cromosoma e per i plasmidi pXO1 e pXO2 di Bacillus anthracis (2). Il saggio per l’identificazione dei Canonical Single Nucleotide Polymorphisme (CanSNPs) è stato effettuato sui DNA dei ceppi identificati come B.anthracis utilizzando tredici PCR di discriminazione allelica secondo quanto indicato da Van Ert et al. (3). Infine è stata effettuata la genotipizzazione mediante una Multilocus Variable Tandem Repeat Analysis (MLVA) a 15 loci (3). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE ANTIGENICA DELLA GLICOPROTEINA E DI BUBALINE HERPESVIRUS 1 E SVILUPPO DI UN TEST PER LA DIFFERENZIAZIONE SIEROLOGICA DELLE INFEZIONI DA ALPHAHERPESVIRUS NEL BUFALO MEDITERRANEO 1 Nogarol C., 2De Carlo E.,3Masoero L., 1Bertolotti L., 3Caruso C., 1Profiti M., 2Martucciello A., 2Galiero G., 4 Cordioli P., 5Nardelli S., 3Ingravalle F., 1Rosati S. 1 Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università degli Studi di Torino, Italy Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sezione di Salerno, Italy 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, Torino, Italy 4 Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia, Brescia, Italy 5 Istituto Zooprofilattico delle Venezie, Legnaro (PD), Italy 2 RISULTATI E CONCLUSIONI L’analisi PCR, utilizzando primers specifici per il cromosoma ed i due plasmidi pXO1 e pXO2, eseguita sui DNA delle colonie batteriche sospette è risultata positiva per Bacillus anthracis nei quattro campioni di terra identificati come B, D,E e G mentre dei 4 ceppi isolati nella regione di Lezha solo i due classificati come H e M sono risultati essere Bacillus anthracis (Fig. 1). L’analisi dei CanSNPs ha mostrato che tutti gli isolati appartengono al lineage maggiore A del sottogruppo A Br. 008/009 equivalente a quello largamente rappresentato in Europa e Asia. Il test MLVA a 15 loci ha evidenziato che i ceppi isolati dai campioni di terra D e G (provenienti dalla regione di Vlorë) appartengono allo stesso genotipo che in questo lavoro è stato identificato come GT Albania 1. I campioni di terra proveniente dalla regione di Shkodër e classificati con le lettere B ed E hanno evidenziato una variazione rispetto al genotipo precedente nel locus vrra e pertanto risultano appartenere ad un genotipo diverso che in questo lavoro è stato identificato come GT Albania 2. Infine i ceppi classificati con H ed M, provenienti dalla regione di Lezha, risultano appartenere ad un genotipo differente dai 2 precedenti che in questo lavoro è stato identificato come GT Albania 3. I risultati presentati, pur essendo preliminari, indicano che l’antrace animale è un problema sanitario che le autorità albanesi devono continuare a considerare con un certa attenzione. Da un punto di vista strettamente epidemiologico, i ceppi isolati nelle diverse regioni indicano l’appartenenza al sottogruppo A Br. 008/009 che risulta prevalente nell’area Europea a Asiatica. Ciò indica che l’Albania non presenta eccezioni e che rientra nell’area geografica in cui questo sottogruppo è prevalente. Infine l’esame MLVA a 15 VNTR indica una variazione genetica minima tra i diversi genotipi identificati e questo probabilmente sottolinea il fatto che i ceppi attualmente circolanti in Albania sono il risultato dell’evoluzione genetica di un comune ceppo ancestrale. Keywords: Bubaline Herpesvirus 1, recombinant glycoprotein E, ELISA Abstract Bubaline herpesvirus 1 (BuHV1) is a member of ruminant alphaherpesviruses antigenically related to the prototype bovine herpesvirus 1 (BoHV1). To date is difficult to establish the impact of BuHV1 infection due to the lack of specific diagnostic test able to differentiate between the two infections. In this study the ectodomain of glycoprotein E of BuHV1 was amplified, cloned and expressed as secreted protein in eukaryotic system and used in indirect ELISA as well as in a discriminatory test using the BoHV1 counterpart. Results indicate that recombinant BuHV1 gE is a sensitive marker of infection, when compared with SN test or gB blocking ELISA. When both recombinant gEs (BoHV1 and BuHV1) were immobilized in different wells of the same ELISA microplate, bovine and water buffalo sera were more reactive, by a factor of two, against the respective infecting virus, even in case of experimental cross-infection. caratterizzare la gE di BuHV1 dal punto di vista genetico ed antigenico al fine di valutare un test su base ricombinante per la diagnosi sierologica dell’infezione e per la differenziazione delle infezioni da BoHV1 e BuHV1. Materiali e metodi Il dominio extracellulare della gE di BuHV1 è stato amplificato da DNA estratto da cellule infette con il ceppo australiano B6, utilizzando primers disegnati su regioni consenso della glicoproteina I di BoHV1 e BoHV5 e porzioni note della gE (dominio transmembranario). Il prodotto amplificato è stato sequenziato e sub-clonato nel vettore pSecTag2/Hygro (Invitrogen). Preparazioni purificate di plasmide sono state utilizzate per trasfezioni transienti di HEK293T con terreno protein free Ex-cell 293 (Sigma). A 48 ore post-trasfezione il terreno è stato raccolto, centrifugato ed utilizzato come antigene. La gE di BoHV1 espressa,, utilizzata già in precedenti studi, è stata impiegata nel test comparativo. In alcune prove. è stato utilizzato come antigene negativo il liquido di trasfezione ottenuto da cellule transfettate con plasmide vuoto. La quantità di antigene per pozzetto è stata bilanciata mediante un test ELISA indiretto utilizzando un anticorpo monoclonale diretto verso il carrier di fusione 6xhis. Un pannello di 60 liquidi colturali di ibridomi IFAT positivi (immunogeno: BuHV1), sviluppati in precedenti studi, sono stati caratterizzati in gE ELISA indiretto: sette cloni sono risultati positivi. Inoltre, tre monoclonali sviluppati verso BoHV1 e reattivi verso la gE omologa sono stati impiegati in alcuni esperimenti per valutare il grado di cross-reattività. Un pannello di 91 sieri bovini e 85 sieri bufalini sono stati impiegati per lo sviluppo e la validazione del test ELISA indiretto. Lo stato di infezione verso BoHV1 o BuHV1 è stato definito in base alla reattività in SN ed ELISA competitivo verso gB e gE. Dei 91 sieri bovini 30 provenivano da animali infetti (SN+; gB+/gE+), 30 da animali vaccinati con vaccino marker (SN+; gB+/gE-), 30 da animali ufficialmente indenni (SN-; gB-/gE-). E’ stato inoltre impiegato un siero derivante da un soggetto precedentemente infettato sperimentalmente con un ceppo di BuHV1 e raccolto a 50 giorni p.i. Degli 85 sieri bufalini,83 provenivano da allevamenti senza documentati contatti con bovini e non sottoposti a nessun trattamento immunizzante per IBR. Di questi 26 risultavano negativi alla SN (omologa ed eterologa) ed ai test competitivi (gB-/gE-) e pertanto considerati veri negativi; 38 risultavano SN positivi e gB+/gE- e considerati infetti da BuHV1. 18 risultavano SN positivi e gB+/gE+: lo stato di infezione in questo gruppo è stato classificato come indeterminato. Infine, sono stati utilizati sieri provenienti da due bufali sperimentalmente infettati con rispettivamente con Introduzione Il bufalo mediterraneo (Bubalus bubalis) è l’ospite primario e reservoir di Bubaline herpes virus 1 (BuHV1), un alphaherpesvirus originariamente isolato in Australia e più recentemente in Italia. L’infezione da BuHV1 è associata ad infezioni genitali subcliniche; tuttavia, sequenze di virus specifiche sono state messe in evidenza anche da feti abortiti (1). BuHV1 è antigenicamente e geneticamente correlato a BoHV5 ed in grado minore a BoHV1 (2,3). L’impatto di tale infezione sui piani di controllo per IBR non è al momento valutabile, poiché non sono disponibili sul mercato metodi diagnostici affidabili per la differenziazione delle infezioni da BoHV1 e BuHV1 (4). Sierologicamente, sia i bovini che i bufali risultano recettivi all’infezione eterologa. Inoltre, bufali infetti con BuHV1 reagiscono in vario grado ai test sierologici utilizzati per la diagnosi d’infezione da BoHV1, compresi la sieroneutralizzazione (SN) e i test competitivi. In accordo con precedenti studi, le infezioni da alphaherpesvirus nei ruminanti si possono differenziare dal prototipo BoHV1 utilizzando la cross-neutralizzazione (per esempio Caprine Herpesvirus 1) o utilizzando in serie due test competitivi per la ricerca di anticorpi diretti verso le glicoproteine B (gB) ed E (gE) (per esempio BoHV5). Nel primo caso il titolo SN verso l’infezione da virus omologo risulta circa 4 volte superiore rispetto all’infezione eterologa, mentre nei test competitivi, i ruminanti infetti con virus diversi da BoHV1 reagiscono positivamente verso il test gB e negativamente verso gE, a condizione che non siano stati vaccinati con vaccini marker. L’applicazione di questi criteri per definire lo stato di infezione nei bufali è stata valutata in pochi lavori, producendo risultati contrastanti (5). Scopo del presente studio è quello di BIBLIOGRAFIA 1. Fasanella A. et al., 2013, Ground Anthrax Bacillus Refined Isolation (GABRI) method for analyzing environmental samples with low levels of Bacillus anthracis contamination.BMC Microbiology 2013, 13:167. 2. Fasanella A. et al., 2012, Bangladesh anthrax outbreaks are problably caused by contaminated livestock feed. Epidemiol Infect. Jul 20:1-8. 3. Fasanella A. et al., 2001, Detection of Anthrax vaccine virulence factors by Polimerase Chain Reaction. Vaccine 19:4214-4218. 4. Van Ert MN et al., 2007, Global genetic population structure of Bacillus anthracis. PloS ONE 2(5):E461.doi:10.1371/journal.pone.0000461. Collaborazione tecnica: Giuseppe Stramaglia, Francesco Tolve Il presente lavoro è stato svolto con i fondi della Ricerca Corrente IZS PB 04/2010 96 97 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 vaccinati risulterebbero negativi a questo test. In conclusione, lo sviluppo di due test basati sul dominio extracellulare della gE di BuHV1 e BoHV1 consentirà l’applicazione di idonei metodi di controllo dell’infezione da BuHV1 nel bufalo mediterraneo e di valutare, con maggiore accuratezza, il ruolo del bufalo come reservoir di BoHV1. BoHV1 e BuHV1, entrambi prelevati 48 giorni p.i. Sono stati quindi sviluppati due differenti test ELISA indiretti. Il primo test prevedeva l’utilizzo di pozzetti sensibilizzati unicamente con l’ antigene gE di BuHV1 (ELISA gE BuHV1), mentre per il secondo test di tipo comparativo le gE ricombinanti di BoHV1 e BuHV1 sono state immobilizzate su file separate (pari e dispari) della stessa piastra. I test immunoenzimatici sono stati condotti come descritto in precedenti studi. Il livello di concordanza fra i test è stato calcolato utilizzando la Kappa di Cohen, mentre l’associazione fra il titolo SN di sieri bufalini e la reattività verso il test competitivo gE è stata valutata mediante Wilcoxon Rank Sum test. Tutte le analisi statistiche sono state condotte utilizzando il software R (6). Bibliografia 1- Amoroso M.G., Corrado F., De Carlo E., Lucibelli M.G., Martucciello A., Guarino A., Galiero G., 2013. Bubaline herpesvirus 1 associated with abortion in a Mediterranean water buffalo. Research in Veterinary Science 94, 813–816. 2- De Carlo, E., Re, G.N., Letteriello, R., Del Vecchio, V., Giordanelli, M.P., Magnino, S., Fabbi, M., Bazzocchi, C., Bandi, C., Galiero, G., 2004. Molecular characterisation of a field strain of bubaline herpesvirus isolated from buffaloes (Bubalus bubalis) after pharmacological reactivation. Vet. Rec. 154, 171–174. 3- Thiry, J., Keuser, V., Muylkens, B., Meurens, F., Gogev, S., Vanderplasschen, A., Thiry, E. 2006. Ruminant alphaherpesviruses related to bovine herpesvirus 1. Vet. Res. 37, 169–190. 4- Scicluna M. T., Caprioli A., Saralli G., Manna G., Barone A., Cersini A., Cardeti G., Condoleo R.U., Autorino G. L., 2012. Should the domestic buffalo (Bubalus bubalis) be considered in the epidemiology of Bovine Herpesvirus 1 infection? Vet. Microbiol. 143 (2010) 81–88 5- Scicluna, M.T., Condoleo, R.U., Bruni, G., Saralli, G., Cardeti, G., Battisti, A., Cocumelli, C., Autorino, G.L. 2006. Herpesvirus infections in buffaloes (Bubalus bubalus): comparative analysis of various serological assays for diagnosis and epidemiological evaluations. In: International Proceedings of the 4th IVVDC, Oslo, Norway, p. 102. 6- R Core Team, 2012. R: A Language and Environment for Statistical Computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria. Risultati e Discussione Il dominio extracellulare della gE di BuHV1 mostra un grado di similarità del 77% rispetto alla gEdi BoHV1. La proteina ricombinante, espressa in forma secreta, è stata riconosciuta in western blotting sia dall’anticorpo monoclonale anti 6xhis, sia da uno dei 7 Mab positivi in gE ELISA (peso molecolare > di 60KDa). Dei restanti sei Mabs, uno è risultato cross-reattivo con la gE di BoHV1 mentre gli altri cinque sono risultati specifici per la gE di BuHV1. Utilizzando i sieri bufalini nel test gE BuHV1 indiretto, la massima concordanza si è ottenuta con la SN (K=1.00, 95%CI 0.65-1.00) ed una concordanza quasi perfetta con il test competitivo gB (K=0.944, 95%CI 0.70-1.00). I sieri bufalini positivi al gE competitivo sono risultati statisticamente associati a titoli SN più alti rispetto ai sieri gB+/gE- (Wilcoxon Rank Sum test p<0.001). La maggior parte dei sieri bovini positivi verso l’antigene gE omologo in ELISA indiretto sono risultati positivi anche verso la gE di BuHV1. Tuttavia, testando i sieri bovini e bufalini nel test comparativo (BoHV1-BuHV1 gE ELISA indiretto), è risultata un’evidente discriminazione. Infatti, tutti i sieri bovini mostrano una assorbanza doppia verso l’antigene omologo rispetto all’antigene eterologo, mentre i sieri bufalini risultano maggiormente reattivi verso l’antigene gE BuHV1, indipendentemente dal risultato ottenuto con il test gE competitivo. D’altro canto, i sieri di bovini e bufali infettati sperimentalmente con BuHV1 e BoHV1 sono risultati maggiormente reattivi verso gli antigeni omologhi al ceppo utilizzato. Infine la SN crociata si è dimostrata inadeguata alla corretta classificazione delle due infezioni con titoli molto simili e talvolta non coerenti con il reale stato di infezione. I risultati fin qui ottenuti suggeriscono che l’antigene gE BuHV1 espresso in forma ricombinante rappresenta un marker sensibile di infezione. Il test comparativo consente inoltre di discriminare l’infezione da BoHV1 da quella da BuHV1, indipendentemente dalla specie animale considerata. Un discorso a parte merita il riscontro di sieri bufalini positivi al test competitivo gE senza un apparente contatto con bovini infetti da BoHV1. Il riscontro di bufali gE positivi è stato documentato in altri casi in cui BuHV1 è stato isolato o identificato mediante PCR. Nel nostro studio i sieri risultati positivi al test gE competitivo sono statisticamente associati ad alti titoli in SN, suggerendo una positività al test competitivo, piu’ da impedimento sterico che da reale infezione da BoHV1. Si desume perciò che il test gE competitivo non sia idoneo a discriminare le due infezioni. Inoltre, l’uso dei vaccini marker per il controllo dell’infezione da BuHV1 è stato per molto tempo limitato dalla mancanza di idonei metodi diagnostici in grado di discriminare gli animali infetti da quelli vaccinati. L’uso del test gE indiretto potrebbe quindi essere utilizzato in associazione ai vaccini marker dal momento che animali XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALIDAZIONE DI 16S-RDNA-PCR-DGGE PER LA DIAGNOSI DI MICOPLASMOSI IN CAMPO VETERINARIO Rodio S., Baldasso E., Fincato A., Qualtieri K., Moronato M. L., Catania S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10, 35020 Legnaro (PD), Italy [email protected] Keywords: DGGE, validation, Mycoplasma Abstract A denaturing gradient gel electrophoresis (DGGE) of a 16S ribosomal DNA polymerase chain reaction was validated for the detection of Mycoplasma belonging to the class Mollicutes. The genus Mycoplasma are important pathogens and commensals, causing considerable economic losses in animal commercial production. These losses may be widely reduced or limited if a rapid diagnosis is available. This short communication describes the validation procedure to detect and differentiate mycoplasma species of veterinary significance from cultivated isolates. The internal procedure, according to the IZS.IDD.015 of the IZSVe, considers different trials: Analytic Specificity (Inclusive and Exclusive), Repeatability (intra-run and between-run) and Sensitivity. This protocol gave good performances resulting suitable for a rapid identification of many mycoplasma species for which no specific PCRs are currently available. M. bovirhinis NCTC 10118 M. bovis NCTC 10131 M. dispar NCTC 10125 M. alkalescens NCTC 10135 M. ovipneumoniae (da sequenziamento 12diaPD/3197) M. arginini NCTC 10129 Materiale e Metodi Isolamento da brodocolture: i ceppi selezionati sono stati coltivati mediante procedura interna (PDP DIA 014 rev. 01-9/11) basata sul manuale OIE [3], con incubazione a 37° C al 5% di CO2 in terreno liquido. La coltura è controllata giornalmente fino a cambiamento di colore e torbidità, e titolata per le successive analisi, utilizzando il metodo delle UCC/ml (Unit Changing Colour) [1]. Inoltre son stati coltivati i più frequenti batteri Gram negativi, patogeni delle vie aeree in campo aviare per la prova di specificità analitica esclusiva (fig.4). Estrazione del DNA: il DNA è stato estratto con metodo manuale mediante il kit “HP PCR Template Preparation Kit” (Roche Diagnostics S.p.A.) partendo da brodocolture a concentrazione nota titolata 108 e successive diluizioni 105, 104, 103, 102, 101, ai fini delle prove di ripetibilità e sensibilità. 16S-PCR DGGE: I DNA estratti sono sottoposti a reazione di amplificazione utilizzando i primer descritti in tabella 2. Tabella 1 - Lista dei principali micoplasmi isolati nei settori aviare, bovino/ovino e suino utilizzati per la validazione. Figura 1. Plot a dispersione delle reattività in ELISA verso le gE ricombinanti di BoHV1 (asse Y) e BuHV1 (asse X). Sieri bovini (cerchi) e bufalini (quadrati e triangoli) sono stati classificati in base alla reattività con i test competitivi gB e gE o il virus infettante (solo animali sperimentali): sieri bovini infetti BoHV1 (cerchi bianchi); sieri bufalini gB+/gE- (quadrati neri); sieri bufalini gB+/gE+ con alti titoli SN (triangoli neri); bovino sperimentalmente infettato con BuHV1 (cerchio nero e freccia); bufalo sperimentalmente infettato con BoHV1 (quadrato bianco e freccia); bufalo sperimentalmente infettato con BuHV1 (quadrato nero e freccia) 98 Settore M. gallinarum NCTC 10120 M. gallisepticum NCTC 10115 M. iowae NCTC 10185 M. imitans NCTC 4229 M. gallinaceum NCTC 10183 M. meleagridis NCTC 10153 M. synoviae NCTC 10124 Aviare Aviare Aviare Aviare Aviare Aviare Aviare M. hyopneumoniae NCTC 10110 M. hyorhinis NCTC 10130 M. hyosynoviae ATCC 25591 M. hyopharyngis (da sequenziamento 12dia-PD/4139) Suino Ovi-caprino/Bovino/Suino La differenziazione delle diverse specie di micoplasmi è stata possibile mediante amplificazione della regione variabile del gene V3 nel DNA ribosomiale 16S (rDNA). Il prodotto di amplificazione di ciascun campione è poi sottoposto a corsa elettroforetica in gradiente denaturante (Denaturing Gradient Gel Electrophoresis - DGGE), portando così alla separazione della doppia elica durante la corsa. Tale metodica è potenzialmente in grado di evidenziare fino a una mutazione puntiforme nella sequenza del DNA target, così i campioni diagnostici possono essere comparati con pattern di campioni noti di riferimento. Inoltre, sono facilmente identificabili anche coinfezioni di micoplasmi all’interno di uno stesso campione. Introduzione I micoplasmi rientrano in una classe di batteri unica, caratterizzata dall’assenza di una parete cellulare, con dimensioni estremamente ridotte (da 300 a 800 nm di diametro). Un’altra caratteristica che li contraddistingue è un genoma di piccole dimensioni, che facilita la loro sopravvivenza in stretta associazione con l’organismo ospite in veste di commensale. Alcune specie di micoplasmi hanno grande rilevanza nella patogenesi di certe malattie in campo veterinario e in medicina umana, soprattutto a carico dell’apparato respiratorio, urogenitale ed osteoarticolare sia nei mammiferi, come suini, bovini e ovi-caprini, che negli uccelli. Sono isolabili in laboratorio mediante specifici terreni e condizioni di crescita. Poiché i micoplasmi non sono distinguibili su base biochimica, risulta necessario eseguire metodiche aggiuntive per l’identificazione della specie isolata quali l’immunofluorescenza, l’inibizione della crescita e l’utilizzo di PCR specie-specifiche, che naturalmente aumentano ancora di più i tempi di risposta. Si riporta in tabella 1 una lista dei principali e più frequenti micoplasmi di aviari, suini e bovini. Identificazione Mycoplasma Bovino Bovino Bovino Bovino Ovi-caprino/Bovino Tabella 2 - Sequenze dei primer utilizzati per l’amplificazione della regione V3 del gene 16S [2]. L’amplificato ha una lunghezza di 340 pb. Primer Sequenza 5’-CGCCCGCCGCGCGCGGCGGGC GC-341 F Suino Suino GGGGCGGGGGCACGGGGGGCC TACGGGAGGCAGCAG -3’ Suino R543 99 5’-ACCTATGTATTACCGCG-3’ XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 A fine ciclo di amplificazione, 20 ul di prodotto di PCR sono caricati in gel di acrilammide precedentemente assemblato e costituito da un gradiente lineare di urea dal 60% al 30%. La corsa elettroforetica denaturante è effettuata in buffer TAE 1x preriscaldato a 60° C. Tale temperatura è tenuta costante per l’intera durata della corsa di circa 17 ore. Visualizzazione dell’immagine: A fine corsa il gel è recuperato e incubato con Sybr gold 1x (Invitrogen®), che funge da agente intercalante al DNA e permette la visualizzazione agli UV del pattern di amplificazione del DNA dei micoplasmi. Risultati e Conclusioni Ai fini della validazione della metodica di PCR sono state rispettate le regole descritte nel documento del nostro Istituto IZS.IDD.015, dove si richiedono il rispetto e il buon esito delle prove di specificità analitica (sia inclusiva che esclusiva), di ripetibilità intra-run e between-run. In più è stata effettuata una prova di sensibilità della metodica. La prova di specificità analitica inclusiva è stata eseguita in maniera indipendente rispettivamente per l’identificazione di Micoplasmi bovini, suini e aviari. Ciascun campione di controllo è stato amplificato 3 volte nella stessa reazione di PCR e visualizzato nella stessa corsa elettroforetica. Di seguito si riportano i risultati per i suini (fig.1), per i bovini (fig.2) e per gli aviari (fig.3). Figura 1 - Risultato della prova di specificità analitica inclusiva suini Figura 2 - Risultato della prova di specificità analitica inclusiva bovini Figura 3 - Risultato della prova di specificità analitica inclusiva aviari XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 5 - Prove di sensibilità effettuate per i micoplasmi MG, MS e BOVIS a diverse diluizioni Concludendo, le prove effettuate dimostrano che tale metodica è sia specifica che sensibile ed è in grado di accorciare i tempi di risposta per la diagnosi di micoplasmosi sia da infezione singola che da confezione. Il presente lavoro è stato sviluppato nell’ambito della Ricerca Corrente IZSVE 15/10 Bibliografia [1] Blodgett R. (2010) FDA’s Bacteriological Analytical Manual, Appendix 2: Most Probable Number from Serial Dilutions (www.fda.gov/FOOD/ScienceResearch/LaboratoryMethods/ BacteriologicalAnalyticalManualBAM/ucm109656.htm) [2] McAuliffe L., Ellis R. J., Lawes J. R., Ayling R. D. and Nicholas R. A. J. (2005). 16S rDNA PCR and denaturing gradient gel electrophoresis; a single generic test for detecting and differentiating Mycoplasma species. Journal of Medical Microbiology, 54, 731-739. [3] OIE (2008). Avian mycoplasmosis (M. gallisepticum, M. synoviae). Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for terrestrial Animals, section 2.3 chapter 2.3.5. Con tali prove è possibile osservare come i diversi campioni di riferimento, caricati in triplicato, mostrano un bandeggio specifico per numero e posizione delle bande per ogni ceppo di Mycoplasma e diverso all’interno di ciascun pannello bovino, o suino o aviare. In fig. 4 si riporta il risultato ottenuto per la prova di specificità analitica esclusiva dove sono stati amplificati ceppi batterici, isolati presso la diagnostica di Padova (SCT7) a partire dal 2008. Come si può osservare, la reazione di amplificazione ha prodotto delle bande anche per campioni di specie batteriche diverse dai Mycoplasma (fig.4, lane 2-5), anche se è evidente che tali bandeggi restano distinguibili dai bandeggi evidenziabili nei campioni di riferimento utilizzati per l’identificazione delle differenti specie di micoplasmi (fig.4, lane 6-15). Inoltre si deve considerare che i terreni di crescita utilizzati sono selettivi per i Mollicutes ed inibenti per altre specie microbiche. Le prove di ripetibilità sono state effettuate sia per brodo colture di M. bovis che per M. gallisepticum a concentrazioni note di UCC/ml, alta (108), media (105) e bassa (103). Le prove in triplicato sono state effettuate da due operatori (A e B) all’interno della stessa corsa e in tre sedute diverse, mostrando sempre i medesimi bandeggi all’interno della stessa corsa elettroforetica e dello stesso ciclo di amplificazione (dati non riportati). Al fine di stabilire la sensibilità del metodo 16S-PCR- DGGE si riporta di seguito il risultato di amplificazione a basse concentrazioni (104, 103, 102, 101) rispettivamente per i principali micoplasmi in campo aviario MG (M. gallisepticum) e MS (M. synoviae), e BOVIS (M.bovis) come riportato in fig. 5. Figura 4 - Risultato della prova di specificità analitica esclusiva 100 101 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SVILUPPO DI UN TEST SIEROLOGICO INDIRETTO SU LATTE DI MASSA PER LA SORVEGLIANZA SANITARIA DI ALLEVAMENTI BOVINI INDENNI DA IBR 1 Bertolotti L., 1Nogarol C., 1Profiti M., 2Ariello D., 3Varetto L., 1Rosati S. 1 Dipartimento di Scienze Veterinarie, Università degli Studi di Torino, Italy 2 ASL TO3, S.C. Sanità Animale, Torino, Italy 3 Agronomo Libero Professionista Keywords: Bulk milk, IBR, recombinant ELISA Abstract Bulk milk represents an excellent matrix for surveillance of farm animal diseases by serological methods, provided that diagnostic test reaches adequate sensitivity due to dilution of immunoglobulin in milk, compared to serum sample. In this study we develop a new recombinant based indirect ELISA for detection of anti gE antibody in serum and milk. In addition, a fast and reliable method for purification/concentration of Immunoglobulin from milk was developed. By combining the two methods, the sensitivity of the assay was ten times higher and able to detect one seropositive milk out of 40 (prevalence 2,5%). This value seems adequate for surveillance of gE negative status of vaccinated herds. Introduzione Il latte di massa rappresenta una matrice biologica pratica ed economica per valutare lo stato sanitario di una popolazione bovina. In allevamenti ufficialmente indenni (non vaccinati) la sorveglianza sanitaria per IBR, basata su latte massale, non presenta sostanziali difficoltà dal punto di vista diagnostico, in quanto i test indiretti per anticorpi totali sono dotati di adeguata sensibilità. Al contrario, maggiori difficoltà si incontrano per la sorveglianza in stalle indenni che utilizzano il vaccino marker. Il test competitivo gE non è consigliabile in quanto la diluizione degli anticorpi nel latte rispetto al siero di sangue abbassa notevolmente la sensibilità diagnostica del metodo. Per tale ragione le stalle vaccinate vengono sottoposte a sorveglianza sanitaria attraverso esami individuali su siero di sangue con evidenti costi maggiori sia in termini di risorse umane che di materiali impiegati. Per ovviare a questo inconveniente, il presente studio descrive lo sviluppo di un test di tipo indiretto basato sulla glicoproteina E di BoHV1, espressa in forma ricombinante. Il metodo proposto può essere impiegato su siero di sangue, latte individuale e latte di massa. Inoltre, al fine di aumentare la sensibilità del metodo è stato sviluppato un protocollo rapido per la concentrazione/purificazione di immunoglobuline G da latte. Materiali e Metodi Il gene codificante per la glicoproteina E di BoHV1, deleto per il peptide leader e per il dominio di transmembrana è stato amplificato e clonato in un vettore di espressione eucariota sotto il controllo del promotore CMV ed in fusione con un segnale di secrezione. Cellule HEK293T sono state trasfettate con preparazioni purificate di plasmide mediante lipidi cationici; il liquido colturale è stato sostituito a 6 ore dalla trasfezione con terreno protein-free. 40 ore post trasfezione il liquido colturale è stato raccolto, centrifugato e conservato a -80°C. Successivamente, sono state sensibilizzate piastre ELISA con il liquido colturale opportunamente diluito (file dispari); come antigene negativo è stato utilizzato il liquido colturale ottenuto da cellule trasfettate con il vettore vuoto (file pari). Il test ELISA indiretto è stato condotto come descritto in precedenza (1) utilizzando diverse diluizioni a seconda della matrice utilizzata (siero di sangue 1:20, latte tal quale e concentrato di IgG da latte 1:2). Infatti, al fine di aumentare la sensibilità del metodo, è stato messo a punto un metodo per la concentrazione e purificazione di IgG da latte. Il protocollo prevede un iniziale trattamento termico a 38°C del latte (10 ml) per favorire la precipitazione delle caseine. Successivamente la soluzione viene centrifugata, ottenendo il siero di latte a cui viene addizionato la matrice di affinità per le IgG. Dopo aver incubato per circa 10 minuti in agitazione si procede con una centrifugazione, ottenendo un pellet contenente la matrice stessa. Il pellet viene risospeso in PBS e lavato due volte su colonna per microcentrifuga. L’eluizione delle IgG si esegue a pH acido in un volume finale di 200µl in presenza di una soluzione neutralizzante con Tris pH 8.5. Nel test ELISA indiretto sono stati testati sia sieri di sangue che latti massali provenienti da allevamenti con lo stesso stato sanitario: infetti, vaccinati marker e negativi. La sensibilità del metodo è stata valutata in due esperimenti indipendenti: nel primo è stato utilizzato un pannello di sieri provenienti da aziende indenni o vaccinate (n=56) e infette (n=27). Il secondo esperimento è stato condotto utilizzando latti di massa e relativi concentrati/purificati provenienti da aziende con il medesimo stato sanitario. Inoltre sono stati miscelati campioni di latte provenienti da soggetti infetti con latte di massa proveniente da allevamenti ufficialmente indenni, per ottenere le seguenti prevalenze teoriche: 20%, 10%, 5%, 3,3%, 2,5%, 2%. Risultati I test eseguiti hanno mostrato valori di sensibilità e specificità rispettivamente pari al 88.9% (CI95% 70.8% - 97.6%) e al 98,2% (CI95% 90,4% - 99,9%). I campioni di latte di massa provenienti da aziende indenni ed ufficialmente indenni sono risultate tutte negative; al contrario, alcune aziende infette sono risultate negative, sia utilizzando il latte che il rispettivo concentrato/purificato. In tali aziende è stato possibile definire una prevalenza di soggetti sieropositivi fra gli animali in lattazione pari al 1,7% e al 2,6%. Va tuttavia rilevato che si tratta di positività da vaccinazioni pregresse condotte con vaccino tradizionale: è dunque possibile affermare che tali valori non rispecchiano una reale prevalenza di infezione. Il test eseguito sui campioni di latte artificialmente contaminato, ha consentito di rilevare una prevalenza del 20%. Testando il corrispondente concentrato di IgG è stata rilevata una prevalenza teorica del 2,5% (figura 1) e del 5% con il test competitivo. Questi risultati sono in accordo con la maggiore sensibilità del concentrato rispetto al corrispondente campione di latte. 102 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Testando 3 diversi campioni di latte, la reattività in ELISA del concentrato è risultata essere 10 volte superiore alla reattività del corrispettivo latte intero, come mostrato in figura 2. Discussione L’antigene utilizzato nel presente test corrisponde alla porzione esterna della glicoproteina E e non contiene l’epitopo utilizzato nel test competitivo. Esso si genera quando la gE si complessa alla glicoproteina I (gI): nonostante la mancanza della glicoproteina gI immunodominante, nella regione gE considerata sono presenti altre porzioni immunoreattive che concorrono a determinare una buona antigenicità della glicoproteina ricombinante. La sensibilità su campioni individuali risulta inferiore al test competitivo e non sono ancora noti i dati sulla precocità del test nel rilevare infezioni recenti. Ciò nonostante la possibilità di utilizzare il siero alla diluizione di 1/20 consente di impiegare la matrice latte ad una diluizione tale da limitare l’effetto di diluizione degli anticorpi in questa matrice. Utilizzando il latte indiluito il test rileva aziende con prevalenza di soggetti sieropositivi del 30%. Il test sul latte di cisterna può quindi essere impiegato per valutare la progressione di un piano di controllo nelle prime fasi. Successivamente alla negatività sul latte, il monitoraggio dell’azienda potrebbe basarsi sull’analisi del concentrato/purificato di IgG estratto dal latte massale aziendale, consentendo un guadagno in termini di reattività in ELISA indiretto di un fattore 10X. Infatti la sensibilità arriva a rilevare 1 soggetto infetto su 40 (prevalenza 2,5%). Attestata la negatività del concentrato/purificato di latte di massa, si potrebbe ricorrere ai test individuali (siero o latte) nelle fasi finali di eradicazione. Infine, il test su concentrato/purificato di IgG da latte può essere utilmente utilizzato in sorveglianza di aziende indenni (vaccinate marker): la sensibilità riscontrata nel presente studio risulta più che adeguata a rilevare una eventuale re-introduzione del virus in azienda. Figura 1. Reattività in ELISA indiretto di campioni di latte massale e corrispondenti concentrati di IgG ottenuti artificialmente miscelando un campione positivo per IBR con volumi crescenti di latte negativo. Figura 2. Rapporto fra la reattività di un campione di latte positivo (427L) con diluizioni scalari del rispettivo concentrato. Bibliografia: 1- Bertolotti L, Rosamilia A, Profiti M, Brocchi E, Masoero L, Franceschi V, Tempesta M, Donofrio G, Rosati S.. 2013. Characterization of caprine herpesvirus 1 (CpHV1) glycoprotein E and glycoprotein I ectodomains expressed in mammalian cells. Vet. Microbiol. 164 (2013) 222-228. 103 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MARINE MAMMAL UNUSUAL MORTALITY EVENTS: DILEMMAS WITH DIAGNOSIS EVENTO DI MORTALITÀ ANOMALA DI CETACEI LUNGO LE COSTE TIRRENICHE Gulland F. Pautasso A.1, Mazzariol S.2, Terracciano G.3, Scholl F. 3, Cardeti G. 3, Fichi G. 3, De Carlo E.4, Di Nocera F. 4, Lucifora G. 4, Caracappa S.5, Guercio A. 5, Puleio R. 5, Pintore A.6, Denurra D. 6, Mignone W. 1, Goria M. 1, Podestà M.7, Pavan G. 8, Di Guardo G. 9, Casalone C. 1, Franco A.3 The Marine Mammal Center, Sausalito, CA 94965, USA Marine mammal unusual mortality events gather considerable public attention, due to the charismatic nature of whales, dolphins and seals. Because many marine mammal species are long-lived, feed at a high trophic level, have fat stores that may accumulate anthropogenic toxins, and are often highly visible, marine mammals can be used to reflect the health of an ecosystem. Thus investigation into the causes of marine mammal mortality events can give useful insight into the state of the marine ecosystem. A recent rise in the reporting of diseases in marine organisms has raised concerns amongst scientists, politicians, managers and the public that ocean health is deteriorating (Gulland and Hall 2007). Marine diseases, particularly those that cause largescale die-offs, can alter mammal population distribution and abundance, may ultimately result in species’ extinction, and can cause major regime changes within marine communities (Harvell et al. 2004, Kim et al. 2005). However, whether the increase in reports represents a real and widespread degeneration in the health of marine mammals is unclear (Lafferty et al. 2004). This lack of certainty is due to a lack of information on the true incidence of marine mammal diseases and their underlying causes, and few long term data sets, largely due to the lack of specific and directed marine mammal health monitoring, as well as lack of data integration across taxa (Kim et al. 2005). The lack of understanding of the true incidence of marine mammal diseases is partially due to the difficulties associated with making a diagnosis as to cause of death of individuals, and the further difficulty of extending a diagnosis made for one animal to a group of animals involved in an unusual mortality event. The difficulties associated with making a diagnosis are associated with a number of factors, starting with the logistic difficulties of dissecting large aquatic animals (stranded whales often occur in remote inaccessible locations), and the lack of tissues fresh enough for diagnostic purposes. Diagnosis is further complicated by the relative lack of species specific diagnostic tools, the complex multi-factorial etiology of many diseases, and our relatively poor understanding of the epidemiology and pathogenesis of many marine mammal diseases. In this talk, I will illustrate these difficulties associated with diagnosing causes of marine mammal unusual mortality events with examples of morbillivirus infection in cetaceans, leptospirosis in sea lions, harmful algal bloom toxicoses, malnutrition and trauma in large whales. In conclusion, to reduce the dilemmas associated in future marine mammal die-offs, we need to develop more diagnostic tools, as well as interdisciplinary collaborations. Gulland, F. M. D. & A. J. Hall (2007). Is marine mammal health deteriorating? EcoHealth, 4:135-150. Harvell, D., R. Aronson, N. Baron et al. 2004 The rising tide of ocean diseases: unsolved problems and research priorities. Frontiers in Ecology and the Environment 2:375–382. Kim, K., et al. 2005. Diseases and the Conservation of Marine Biodiversity. In Marine Conservation Biology: The Science of Maintaining the Sea’s Biodiversity. Eds E. A. Norse & L. B. Crowder, Island Press, Washington. 149-166. Lafferty K.D., Porter J., & S.E. Ford. 2004. Are diseases increasing in the ocean? Annual Review of Ecological Systems. 35:31-54 1 Istituto Zooprofilattico del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta; 2 Università degli Studi di Padova-Dip. Biomedicina Comparata e Alimentazione; 3Istituto Zooprofilattico del Lazio e Toscana; 4Istituto Zooprofilattico del Mezzogiorno; 5Istituto Zooprofilattico della Sicilia; 6Istituto Zooprofilattico della Sardegna; 7Museo di Storia Naturale di Milano; 8Università degli Studi di Pavia; 9 Università degli Studi di Teramo - Facoltà di Medicina Veterinaria Keywords: Unusual mortality event, Dolphin Morbillivirus, Striped dolphins Abstract During the first 3 months of 2013 an Unusual Mortality Event (UME) of cetaceans, mainly striped dolphins (Stenella coeruleoalba), was reported along the Tyrrhenian Sea coasts of Italy. Italian stranding network on Marine Mammals, born from collaboration between Ministry of Health and Ministry of Environment in order to coordinate the issue, managed this event. Post mortem investigations were performed by Istituti Zooprofilattici Sperimentali applying uniform diagnostic protocols and sharing the results of laboratory analysis. They worked on 54% of stranded animals, according to the conservation conditions of carcasses. Data obtained allowed to draw preliminary hypothesis about the possible causes of this mortality outbreak. Dolphin Morbillivirus (DMV) was deemed as the most likely cause of impairment of the immune system and other pathogens like Photobacterium damselae and Herpevirus may have played an essential role in this mortality event. Introduzione Durante i primi 3 mesi del 2013 le coste tirreniche delle Regioni Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna sono state interessate da un numero di spiaggiamenti di cetacei del tutto insoliti rispetto a quelli registrati, nel medesimo tratto di costa, durante gli anni precedenti. Questi episodi vengono definiti come evento di mortalità anomalo (Unusual Mortality Event - UME) (7). Grazie alla Rete Nazionale Spiaggiamenti nata dalla collaborazione tra Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare e Ministero della Salute è stato possibile gestire l’emergenza con coordinazione e sinergismo fra gli Enti preposti, in modo tale da ottenere la completa tracciabilità delle segnalazioni, dei campionamenti, degli esami svolti e dei risultati ottenuti. La proficua cooperazione fra le diverse competenze tecnicoscientifiche ha visto coinvolti: Servizi Veterinari delle ASL, gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS), le ARPA, le Università di Padova, Pavia, Teramo, Siena, Pisa, il Museo di Storia Naturale di Milano, le Capitanerie di Porto e il Corpo Forestale dello Stato. Materiali e Metodi Dal 1 gennaio al 30 marzo 2013, 122 cetacei sono stati rinvenuti spiaggiati lungo le coste di Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Su ciascun animale spiaggiato è stato applicato il protocollo di intervento, di segnalazione e diagnostico definito dalle Linee Guida Nazionali. Nel dettaglio si è provveduto a: Compilare la Scheda della Banca Dati Spiaggiamenti (BDS), istituita presso il Centro Interdisciplinare di Bioacustica e Ricerche Ambientali dell’Università degli Studi di Pavia, al fine di raccogliere in maniera sistematica le informazioni anamnestiche e morfologiche. Eseguire la necroscopia e campionare organi e tessuti, in 104 parte sottoposti a congelamento per l’esecuzione di indagini colturali e biomolecolari e in parte fissati in formalina al 10% per gli esami istologici e immunoistochimici (IHC). Sono stati eseguiti esami microbiologici, virologici e sierologici dei principali patogeni conosciuti nei cetacei, in particolare Morbillivirus (DMV), Herpesvirus, Brucella spp. e Toxoplasma gondii. Inviare alla Banca Tessuti dell’Università di Padova i campioni di sangue, organi e tessuti congelati e in formalina. Compilare la Scheda del Registro Dati Diagnostici (Re.Da.Ce), istituita presso l’IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, al fine di raccogliere i risultati dell’esame necroscopico e delle analisi di laboratorio eseguite sui campioni prelevati. Risultati Le segnalazioni inviate alla BDS hanno riportato 122 cetacei spiaggiati: 96 stenelle striate (Stenella coeruleoalba), 7 tursiopi (Tursiops truncatus), 1 balenottera comune (Balaenoptera physalus), 1 globicefalo (Globicephala melas) e 3 grampi (Grampus griseus). In 14 individui non è stato possibile determinare la specie a causa del pessimo stato di conservazione della carcassa. La distribuzione geografica dell’evento è illustrata nella Mappa n. 1 Mappa n. 1 – Distribuzione geografica degli spiaggiamenti e specie coinvolte (BDS) Da una stima indiretta dell’età delle stenelle spiaggiate realizzata in funzione di considerazioni morfometriche (2) è emerso che la maggior parte degli esemplari erano soggetti giovani. Gli IIZZSS territorialmente competenti sono intervenuti per effettuare le indagini post-mortem su un totale di 66 soggetti (54% degli animali spiaggiati). 105 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 La maggior parte delle carcasse (43 soggetti; 68,2%) erano contraddistinte da un cattivo stato di conservazione variabile da un grado 3 (moderata decomposizione) ad un grado 5 (mummificato e/o fortemente decomposto), come dettagliato in Tabella n. 1 CODICE DI CONSERVAZIONE 1 2 3 4 5 Animale vivo Carcassa fresca Decomposizione moderata Decomposizione avanzata Carcassa mummificata/resti dello scheletro N° animali 4 16 32 8 % 6.35% 25.40% 50.79% 12.70% 3 4.76% Tabella n. 1 – Grado di conservazione di 63 carcasse secondo WHOI-2007-06 (Woods Hole Oceanog. Inst. Tech. Rep.; dato non disponibile per 3 animali). È stato possibile esaminare lo stomaco di 45 animali e valutarne il contenuto. Nella maggior parte dei casi esaminati (31 casi; 69%) le concamerazioni gastriche erano vuote. Negli animali con stomaco pieno, si sono rinvenuti accanto ai reperti alimentari (pesci, cefalopodi) anche corpi estranei (canne di bambù). Si sono reperiti in alcuni casi anche elementi parassitari, in particolare Anisakis spp. e Pholeter gastrophilus. Una forte infestazione parassitaria è stata evidenziata in 35 animali. I più frequenti parassiti riscontrati erano Phyllobotrium spp. (25 casi; 71%); Phoeleter gastrophilus (16 casi; 46%), e Monorygma grimaldi (12 casi; 34%). DMV è stato rilevato tramite RT-PCR nel 41% degli animali testati (rilevato in 22 animali su 53 testati). L’IHC per DMV eseguita su 6 casi risultati positivi in PCR, ha dato esito positivo in un solo soggetto. Altri patogeni sono stati identificati frequentemente e spesso in associazione, in particolare Photobacterium damselae subsp. damselae (isolato da 31 su 50 animali testati; 62%), Herpesvirus (rilevato in 6 su 22 animali testati; 27,7%), e Toxoplasma gondii (identificato in 5 su 55 animali testati; 9,62%). Brucella spp. non è mai stata rilevata. In molti animali spiaggiati sono state osservate istologicamente lesioni aspecifiche di natura infiammatoria cronica, con deplezione follicolare e ialinosi del tessuto linfoide che suggeriscono uno stato di immunosoppressione. Inoltre milza, linfonodi, fegato e rene presentavano frequentemente segni di sepsi acuta, quali essudazione fibrinoide, emorragie ed emolisi. Conclusioni La diagnosi delle cause di un UME è spesso difficoltosa, richiedendo un approccio multidisciplinare e la collaborazione fra enti e figure professionali diverse ma complementari. Per la prima volta in Italia, in un arco di tempo molto ristretto, è stato possibile intervenire in maniera sinergica su numerosi animali spiaggiati, eseguire le indagini diagnostiche post mortem e disporre di dati raccolti uniformemente sull’intero territorio nazionale. Gli animali coinvolti in questo evento di mortalità anomala si trovavano talvolta in un cattivo stato di conservazione, riducendo fortemente le indagini eseguibili e limitando la possibilità di giungere ad una diagnosi certa. Presentavano inoltre un sistema immunitario fortemente compromesso, come suggerito dalle osservazioni istologiche, dall’alta carica parassitaria osservata e dal coinvolgimento di animali prevalentemente giovani. Dai risultati conseguiti è emerso che il 41% dei delfini testati è risultato positivo per DMV, agente immunodeprimente XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA E GENOTIPICA DI ISOLATI DI PHOTOBACTERIUM DAMSELAE SUBSP. DAMSELAE DA STENELLE STRIATE (Stenella coeruleoalba) SPIAGGIATE SULLE COSTE DEL TIRRENO NEL 2013: RISULTATI PRELIMINARI responsabile di gravi epidemie tra i mammiferi marini. Da oltre 20 anni circola nel Mar Mediterraneo, viene considerato endemico con cicliche ricomparse ed è responsabile di elevate mortalità, quando vi è una diminuzione dell’immunità di popolazione, che diventa più suscettibile (5;6). Poiché la maggior parte dei cetacei spiaggiati era giovane, è probabile che l’infezione si sia verificata in quegli individui che non avevano avuto un’esposizione precedente al virus e quindi senza un adeguato livello di immunità. L’esito dell’esame istologico nella maggior parte dei casi, ha evidenziato quadri infiammatori aspecifici. L’IHC per DMV eseguita su 6 casi risultati positivi in PCR ha dato esito positivo solo in un soggetto. Inoltre la presenza di RNA virale in assenza di lesioni significative non consente di affermare con certezza il ruolo del DMV quale causa primaria di morte, tuttavia la sua azione immunodeprimente può avere svolto un ruolo fondamentale nel determinare questa moria anomala e aver predisposto ad infezioni secondarie. Nonostante Photobacterium damselae subsp. damselae non sia stato a tutt’oggi associato univocamente ad UME, l’elevata percentuale di positività, associata al frequente quadro anatomoistopatologico emorragico ed emolitico, suggerisce di approfondirne il possibile ruolo nel presente evento di mortalità attraverso lo studio della presenza di fattori di patogenicità (4) Herpesvirus e Toxoplasma sono stati rilevati frequentemente nei cetacei coinvolti in questo evento, ma si ritiene che non abbiano avuto un ruolo primario come causa di mortalità, come supportato da dati bibliografici (1;3) L’integrazione di questi risultati con quelli riguardanti i fattori meteo marini, gli studi di popolazione, i contaminanti ambientali ed eventuali altre cause di origine antropica permetterà di comprendere più in dettaglio la natura di questo evento. SUMMARY In the first months of 2013 an Unusual Mortality Event (UME) of cetaceans was reported along the Tyrrhenian coasts of Italy, involving mainly striped dolphins. Photobacterium damselae subsp. damselae (PDD) was isolated from tissues of 62% (31/50) dead animals investigated for infectious agents. PDD is an a halophilic bacterium able to cause infections and fatal disease in marine animals and in humans. Recent studies describe that isolates from marine animals and from human cases exhibited a characteristic hemolytic activity. Hemolytic strains produce plasmidic hemolysins called damselysin (Dly) and HlyA, and a chromosome-encoded HlyA. In this study, 72.7% striped dolphins from Lazio and Tuscany in this UME were culture-positive for this pathogen. We found that almost all (24/25) culture-positive animals presented at least one isolate with large or medium hemolysis, and the presence of genes coding for plasmidic/chromosomal hemolysins never reported before in isolates from cetaceans. Bibliografia 1.Bellière EN, Esperón F, Arbelo M, Muñoz MJ, Fernández A, Sánchez-Vizcaíno JM. Presence of herpesvirus in striped dolphins stranded during the cetacean morbillivirus epizootic along the Mediterranean Spanish coast in 2007. Arch Virol. 2010 Aug;155(8):1307-11. doi: 10.1007/s00705-010-0697-x. Epub 2010 May 22. 2.Di Meglio N. Romero Alvarez R. Collet A. Growth comparison in striped dolphins, Stenella coeruleoalba, from the Atlantic and Mediterranean coasts of France. Aquatic Mammals 22(1). 1996. 11-19. 3.Migaki G, Sawa TR, Dubey JP: Fatal disseminated toxoplasmosis in a spinner dolphin (Stenella longirostris). Vet Pathol 27:463– 464, 1990. 4.Rivas AJ, Balado M, Lemos ML, Osorio CR. (2013). Synergistic and Additive Effects of Chromosomal and PlasmidEncoded Hemolysins Contribute to Hemolysis and Virulence in Photobacterium damselae subsp. damselae Infect Immun 2013 Sep; 81(9):3287-99. 5.Rubio-Guerri C, Melero M, Esperón F, Bellière EN, Arbelo M, Crespo JL, Sierra E, García-Párraga D, Sánchez-Vizcaíno JM. Unusual striped dolphin mass mortality episode related to cetacean morbillivirus in the Spanish Mediterranean Sea. BMC Vet Res. 2013 May 23;9(1):106. 6.Van Bressem M, Waerebeek KV, Jepson PD, Raga JA, Duignan PJ, Nielsen O, Di Beneditto AP, Siciliano S, Ramos R, Kant W, Peddemors V, Kinoshita R, Ross PS, LópezFernandez A, Evans K, Crespo E, Barrett T. An insight into the epidemiology of dolphin morbillivirus worldwide. Vet Microbiol. 2001 Aug 20;81(4):287-304. 7.Working group on marine mammal unusual mortality events (2006) Criteria for determining an unusual marine mammal mortality event. www.nmfs.noaa.gov/pr/health/mmume/ criteria.htm. Accessed November 22, 2007 INTRODUZIONE Durante i primi 3 mesi del 2013 le coste tirreniche italiane sono state interessate da un numero di spiaggiamenti di cetacei, in media 10-12 volte più elevato rispetto a quelli registrati durante gli anni precedenti nello stesso arco di tempo. Questi episodi vengono definiti come evento di mortalità anomalo. Gli animali interessati (122 soggetti) appartenevano principalmente (76.6%) alla specie Stenella striata (Stenella coeruleoalba) (Dati della banca nazionale spiaggiamenti, Università di Pavia). Di questi, 66 animali sono stati sottoposti ad indagini post-mortem nei vari Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZZSS) competenti per territorio. Da circa il 60% degli esemplari su cui sono state effettuate indagini batteriologiche, è stato isolato il batterio Photobacterium damselae subsp. damselae (P. damselae), conosciuto in precedenza come Vibrio damsela. Tale agente è un batterio Gram-negativo alofilo di forma bastoncellare, della famiglia Vibrionaceae, considerato patogeno primario in diverse specie di animali acquatici marini (pesci, cetacei, molluschi, crostacei) e nell’uomo, dove è in grado di causare ulcere emorragiche e setticemie (3, 4). Nonostante tale patogeno non sia stato ad oggi associato a focolai epidemici con elevata mortalità in mammiferi marini, alcuni studi hanno riportato la presenza di ceppi che in vitro presentano specifiche caratteristiche di emolisi e che in vivo (topi e pesci) presentano una elevata letalità (3). Geneticamente, tali caratteristiche, sono state associate alla produzione di emolisine ed in particolare ad una tossina citolitica denominata damselysin (Dly) e ad emolisine denominate HlyA, di origine sia plasmidica che cromosomiale (3, 4). Obiettivo di questo lavoro è stato l’identificazione e lo 106 Caprioli A.1, Franco A.1, Alba P.1, Cocumelli C.1, Terracciano G.1, Ianzano A.1, Lorenzetti S.1, Dottarelli S.1, Di Matteo P.1, Donati V.1, Sorbara L.1, Buccella C.1, Onorati R.1, Di Nocera F.2, Fichi G.1, Cerci T. 1, Eleni C.1 , Battisti A.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Via Appia Nuova, 1411, 00178 Roma; 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Sezione di Salerno Key words: Stenella coeruleoalba, Photobacterium damselae subsp. damselae, emolisine studio di fattori di patogenicità di P. damselae isolati da cetacei coinvolti nella recente moria avvenuta in Italia e la caratterizzazione molecolare di alcuni degli isolati ottenuti. MATERIALI E METODI Nel primo trimestre 2013, presso l’IZS del Lazio e della Toscana (IZSLT) sono pervenuti 36 cetacei per indagini post-mortem. In funzione dello stato di conservazione, sono stati considerati idonei ad essere esaminati per agenti batterici patogeni 33 soggetti (32 stenelle ed 1 tursiope); nel dettaglio 7 animali provenivano dalle coste della Toscana e 26 da quelle del Lazio. Di questi sono risultati positivi per P. damselae 24 stenelle striate (72.7%): 3 provenienti dalla Toscana (42.8%) e 21 dal Lazio (80.8%). Dei 24 animali positivi, 2 isolati dalla Toscana non sono risultati idonei per essere inclusi nei successivi studi di caratterizzazione; tre ulteriori isolati provenienti da 3 soggetti spiaggiati sulle coste campane sono stati forniti dall’IZS del Mezzogiorno. Dagli organi dei 25 animali positivi sono stati ottenuti 44 isolati (40 dal Lazio, 1 dalla Toscana e 3 dalla Campania), su cui sono state effettuate indagini fenotipiche. L’identificazione di specie è stata effettuata mediante prove colturali e test biochimici standard. L’attività emolitica è stata valutata su Agar sangue di montone 5% (bioMerieux) sulla base del diametro in mm dell’alone di emolisi eventualmente presente (5); gli isolati emolitici sono stati suddivisi in 3 classi: isolati che presentano small hemolysis (SH, alone di 2-4 mm), medium hemolysis (MH, alone di 4-7 mm) e large hemolysis (LH, alone ≥ 7 mm). Dai 36 isolati che presentavano attività emolitica sono state effettuate indagini molecolari per verificare la presenza di geni codificanti per Dly e HlyA. Il DNA degli isolati è stato estratto utilizzando un Kit commerciale (Invitrogen) seguendo le indicazioni fornite dal produttore. La ricerca del gene dly è stata effettuata mediante PCR (2). La ricerca dei geni hlyA, sia di origine plasmidica (hlyApl) che cromosomiale (hlyAch), è stata effettuata mediante saggi di Polymerase Chain Reaction (PCR) sviluppati presso la Direzione Operativa Diagnostica Generale dell’IZSLT. I primers utilizzati, sono stati disegnati sulla base della sequenza del genoma di P. damselae pubblicata in genbank (ADBS01000000). Gli isolati sono stati inoltre studiati mediante Multi-Locus Sequence Analysis (MLSA), sequenziando i geni, gyrB, ompU e toxR (5) ed utilizzando il software Start2 per l’analisi dei risultati (1). RISULTATI E CONCLUSIONI Dei 25 animali positivi 24 presentavano almeno un isolato con fenotipo LH e/o MH. Dei 44 isolati complessivi, 16 (da 14 animali) presentavano LH, 15 (da 14 animali) MH, 5 (da 4 animali) SH, e 8 (da 7 animali) erano non emolitici; 107 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 da quest’ultimi 7 animali, comunque, sono stati sempre identificati anche isolati LH. In Tabella 1 sono riportati i risultati delle indagini molecolari relative alla ricerca dei geni codificanti per Dly e HlyApl e HlyAch sui 36 isolati che presentavano attività emolitica. Con le metodiche utilizzate, ad oggi non è sempre stato possibile trovare una correlazione univoca tra grado di emolisi e presenza di specifici geni di virulenza già descritti in letteratura, anche se nel nostro studio la presenza di LH si associa in parte al rilevamento del gene plasmidico dly (50% di positività), mentre MH e SH sembrano essere associate principalmente al rilevamento del gene hlyAch (Tabella 2). Tabella 2 – Numero e (%) di positività per dly, hlyAch e hlyApl negli isolati di P. damselae in relazione al grado di emolisi osservata. Tabella 1 – Positività per dly, hlyAch e hlyApl negli isolati di P. damselae (n=36) e grado di emolisi osservata, per matrice e numero progressivo di stenella striata di origine. E’ importante sottolineare che, a nostra conoscenza, la presenza di tali geni di virulenza non era mai stata descritta in isolati provenienti da mammiferi marini. Ed è noto che la presenza di dly e hlyApl (localizzati sul plasmide di virulenza pPHDD1) è causa di elevata letalità in condizioni sperimentali non solo nei pesci, ma anche nei mammiferi (topo) (3). Visto che la maggior parte degli isolamenti è stata effettuata da animali spiaggiati sulle coste laziali, non è stato possibile valutare eventuali differenze geografiche nell’associazione fenotipo/geni rilevati (Tabella 1). Riguardo MLSA, dall’analisi del sequenziamento dei tre geni sopra indicati, si osserva un certo grado di clonalità tra gli isolati studiati, in quanto la maggior parte di essi differisce in un solo locus, indipendentemente dal grado di emolisi osservata, o dal rilevamento dei geni di virulenza oggetto di studio (dati non mostrati). Per confermare il grado di clonalità degli isolati, sarà tuttavia necessario estendere l’analisi ad altri geni housekeeping, da individuare allo scopo. In conclusione, le indagini effettuate dimostrano una elevata positività d’isolamento per P. damselae (72.7%) nelle stenelle striate oggetto di mortalità anomala e sottoposte ad accertamenti per agenti batterici patogeni. Inoltre, le indagini genotipiche fino ad ora condotte, dimostrano che anche P. damselae isolato dai cetacei può presentare/acquisire ulteriori geni di virulenza, come ad esempio dly o hlyApl, ospitati su elementi genetici mobili. A Tal proposito, la presenza del plasmide di virulenza (pPHDD1), è già stata descritta in letteratura in ceppi isolati da altre specie marine (2, 3 4, 5). Nel nostro studio, tuttavia per alcuni isolati i risultati genotipici non spiegano completamente il fenotipo di emolisi osservato (50% degli isolati LH negativi nei saggi di PCR per i geni ricercati). Del resto, anche recenti pubblicazioni sullo specifico argomento riconoscono che, anche isolati mancanti del plasmide di virulenza pPHDD1, possono mostrare comunque elevata patogenicità nei pesci, il che suggerisce la presenza di altri fattori di virulenza tuttora non identificati (6). Ulteriori studi su questi, ed eventualmente su altri fattori di patogenicità in grado di spiegare il fenotipo osservato (i. e. emolisi), potrebbero chiarire questi aspetti. In conclusione, quanto P. damselae possa essere considerato tra le cause o le concause delle morti registrate sulle coste tirreniche all’inizio del 2013 necessita di ulteriori approfondimenti, soprattutto in virtù dei quadri anatomopatologici ed isto-patologici osservati nel corso dell’UME (frequente quadro emorragico ed emolitico), che comunque non sono inequivocabilmente associabili ad una specifica eziologia infettiva. E’ peraltro importante ricordare che altri noti fattori noninfettivi come inquinanti o altri fattori ambientali (es. aumento della temperatura, diminuzione della disponibilità di prede), in grado di perturbare gli equilibri ecologici nel Mediterraneo, N. Prog 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 # 22 23 24 25 Matrice Encefalo Fegato Fegato Milza Encefalo Fegato Fegato Encefalo Milza Encefalo Polmone Encefalo Encefalo Milza Encefalo Milza Linfonodo Encefalo Polmone Encefalo Fegato Encefalo Encefalo Linfonodo Intestino Intestino L. peritoneale L. peritoneale Encefalo Milza Polmone Encefalo Encefalo Fegato Milza Fegato Emolisi* dly MH MH LH MH MH MH LH LH LH LH SH LH SH LH LH LH MH LH SH SH LH MH MH LH LH MH LH MH MH LH MH MH MH SH MH LH Neg Neg Neg Neg Neg Pos Pos Neg Pos Pos Neg Neg Neg Neg Neg Pos Pos Pos Neg Neg Pos Neg Neg Neg Pos Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Pos Pos hyA ch Pos Pos Neg Pos Neg Pos Neg Neg Neg Neg Pos Neg Pos Neg Neg Neg Pos Pos Pos Pos Neg Pos Pos Neg Neg Neg Neg Pos Pos Neg Pos Pos Pos Pos Neg Neg hyA pl Neg Neg Neg Neg Neg Pos Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Pos Pos Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg Neg *LH, alone emolitico grande; MH, alone emolitco medio; SH, alone emolitico piccolo; #Animale spiaggiato sulle coste della Toscana; QAnimale spiaggiato sulle coste della Campania; hlyA Ch gene hlyA cromosomiale; hlyA pl gene hlyA plasmidico Emolisi* LH (n=16) MH (n=15) SH (n=5) Totale (n=36) 108 dly 8 (50%) 3 (20%) 0 (0%) 11(30.5%) hlyA ch 1 (6.2%) 12 (80%) 5 (100%) 18 (50%) hlyA pl 1(6.2%) 2 (13.3%) 0 (0%) 3 (8.3%) costituiscono importanti elementi di rischio per le popolazioni di cetacei, che possono inoltre contribuire a predisporre la diffusione e l’espressione di virulenza di vari agenti infettivi nelle le locali popolazioni di mammiferi marini. BIBLIOGRAFIA 1. Jolley KA, Feil EJ, Chan MS, Maiden MC. (2001) Sequence type analysis and recombinational tests (START). Bioinformatics. 2001 Dec;17(12):1230-1. 2. Osorio CR, Romalde JL, Barja JL, Toranzo AE. (2000) Presence of phospholipase-D (dly) gene coding for damselysin production is not a pre-requisite for pathogenicity in Photobacterium damselae subsp. damselae. Microb Pathog. 2000 Feb;28(2):119-26. 3. Rivas AJ, Balado M, Lemos ML, Osorio CR. (2011). The Photobacterium damselae subsp. damselae hemolysins damselysin and HlyA are encoded within a new virulence plasmid. Infect Immun. 2011 Nov;79(11):4617-27. 109 4. Rivas AJ, Balado M, Lemos ML, Osorio CR. (2013). Synergistic and Additive Effects of Chromosomal and Plasmid-Encoded Hemolysins Contribute to Hemolysis and Virulence in Photobacterium damselae subsp. damselae Infect Immun 2013 Sep;81(9):3287-99. 5. Takahashi H, Miya S, Kimura B, Yamane K, Arakawa Y, Fujii T. (2008). Difference of genotypic and phenotypic characteristics and pathogenicity potential of Photobacterium damselae subsp. damselae between clinical and environmental isolates from Japan. Microb Pathog. 2008 Aug;45(2):150-8. 6. Rivas Amable J., Lemos Manuel L., Osorio Carlos R., 2013. Photobacterium damselae subsp. damselae, a bacterium pathogenic for marine animals and humans. Frontiers in Microbiology, Vol. 400283, DOI=10.3389/fmicb.2013.0028 http://www.frontiersin.org/Aquatic_Microbiology/10.3389/ fmicb.2013.00283/abstract XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE GENETICA DEI CETACEI SPIAGGIATI NELLE COSTE SICILIANE Tabella 2 – Range allelico dei microsatelliti analizzati Size Reale S.1, Vitale F. 1, Cosenza M.1, Currò V.1, Pitti R.1, Lupo T.1, Caracappa S.1 1 Specie Campione (n) D08 D18 Stenella coeruleoalba 16 90-124 69-90 Tursiops truncatus 2 105111 69-90 Balaenoptera physalus 1 81-109 0 0 Delphinus delphis 1 111 97-99 141143 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia-Palermo Keywords: delfini, DNA barcoding, microsatelliti SUMMARY Based on mitochondrial DNA (mtDNA) and microsatellite loci analysis, we reported species identification and genetic diversity regarding carcasses of cetacean stranded on the Sicilian coast in the last year. The aim of this work was to evaluated the dolphin species involved in stranding as well as to assess three polymorphic loci and their diversity among the species investigated. In conclusion molecular markers, such as mtDNA, represents a valid support to test genetic identification when the carcasses do not allow to recognize the species. Moreover microsatellite loci analysis represent a valid tool for managing genetic diversity in a lot of species, including cetacean. INTRODUZIONE I delfini sono dei mammiferi distribuiti in tutto il mondo, differenti in forma e dimensioni e in grado di vivere tanto in acque tropicali quanto temperate. Inoltre, a causa della loro posizione al vertice nella catena trofica, sono degli ottimi indicatori di benessere delle acque in cui questi cetacei vivono. Tra questi, Stenella è una delle specie con maggiore distribuzione cosmopolita oltre che essere quella più rappresentativa. In questo lavoro abbiamo identificato mediante tecnica del DNA barcoding 20 specie di delfini spiaggiatisi lungo le coste siciliane a partire da gennaio 2013. Ad oggi, le cause non sono ancora chiare, né il perché colpisca solo i delfini tra i cetacei presenti. Presumibilmente, a fronte anche delle numerose carcasse parassitate ritrovate, una infezione di massa, verosimilmente da morbillivirus potrebbe spiegarne l’elevata mortalità. Scopo di questo lavoro è stato dunque quello di identificare le carcasse di delfini che risultavano non classificabili a causa dell’avanzato stato di decomposizione e valutare se lo spiaggiamento presentasse o meno una speciespecificità. Inoltre, un pannello di 3 loci microsatelliti dinucleotidici è stato utilizzato in una multiplex-PCR al fine di valutare la diversità genetica di tali regioni nelle specie identificate e, ove possibile, determinare un possibile legame di parentela diretta. MATERIALI E METODI I campioni di muscolo sono stati prelevati da 20 cetacei spiaggiati in diverse regioni della costa siciliana, specialmente in quella orientale. Il DNA genomico è stato estratto utilizzando uno specifico kit commerciale (PureLinK-Invitrogen) seguendo le istruzioni della casa produttrice. La regione considerata ai fini della caratterizzazione è una porzione del gene mitocondriale della citocromo b. I prodotti di sequenza, ottenuti mediante l’utilizzo di una specifica coppia di primers (Janczewski DN et al. 1995) (1), sono stati iniettati in un analizzatore genetico ABI PRISM 3130 (Applied BioSystems) dopo una precedente fase di purificazione. Le sequenze sono dunque state dapprima editate e poi allineate contro un database di riferimento (GenBank) il quale ci fornisce come risultato una percentuale d’identità tra la sequenza ottenuta e le sequenze di riferimento più simili presenti nel database stesso. Nel contempo, un pannello di 3 loci microsatelliti dinucleotidici è stato utilizzato in una multiplex-PCR per analizzare altrettante regioni polimorfiche ed esaminare la diversità genetica all’interno delle specie identificate. Per quanto riguarda il pannello allelico studiato, questo è stato amplificato utilizzando una miscela di coppie di primers specifici per i loci considerati: D8, D18, D28 (Shinoara M et al. 1997) (2). Ciascuno oligomero è marcato con un particolare fluorocromo in modo che frammenti di peso molecolare simili siano distinguibili tra loro. L’amplificazione dei 3 loci microsatelliti è stata condotta allestendo una mix allin-one delle tre coppie di primers, permettendo cosi di ottenere in un’unica reazione di amplificazione l’informazione relativa ai tre loci per un dato campione. I prodotti dell’amplificazione sono stati quindi iniettati in un analizzatore genetico ABI PRISM 310 (Applied BioSystems), utilizzando TAMRA500 come standard di pesi molecolari. Gli elettroferogrammi relativi ai frammenti ottenuti sono stati processati mediante il software GeneMapper v4.0 e i dati genetici sono stati ottenuti grazie al software GenAlEx v6.5 (Peakall R. and Smouse P. 2006) RISULTATI E CONCLUSIONI I risultati relativi all’identificazione di specie hanno mostrato come le carcasse appartenessero prevalentemente alla specie Stenella coeruleoalba (n=16) seguita dalla specie Tursiops truncatus (n=2). Le rimanenti carcasse sono state identificate come Balaenoptera physalus (n=1) e Delphinus delphis (n=1). L’elevato tasso di stenelle caratterizzate può quindi fare pensare ad una suscettibilità di specie, anche se l’abbondanza relativa di tali mammiferi nei nostri mari può giustificare l’alto tasso di ritrovamento tra le carcasse spiaggiate. L’analisi dei microsatelliti ha mostrato come i loci in esame possono essere utili per la valutazione della diversità genetica nei delfini (tabella 1). Una buona percentuale infatti di alleli comuni è stata ritrovata tra le differenti specie a tutti e 3 i loci considerati, espressione di un alto grado di conservazione. Nonostante ciò, incorriamo però in una sottostima del livello di polimorfismo di ciascun locus relativo alla presenza di specie con un solo individuo e a causa di possibili fenomeni di alleli nulli o dropout che possono verificarsi nelle fasi di amplificazione. Dall’altro lato, una sovrastima del numero di alleli, particolarmente in S. coeruleoalba potrebbe anche essere possibile a causa di fenomeni di errori dovuti alle stutter bands. L’analisi degli assetti microsatellitari ha inoltre definito una relazione di parentela diretta tra i diversi soggetti della specie Stenella (tabella 4). Appare comunque chiaro che, dato l’esiguo numero di loci considerati, le relazioni parentali riscontrate necessitano di ulteriori approfondimenti in termini di estensione del numero di loci da valuatare. Tabella 3 – Informazioni genetiche su S. coeruleoalba Locus Campione (n) D08 D18 D28 Locus Na Ho He D8 12 1 0,864 D18 11 0,813 0,861 D28 11 0,846 0,861 Media 11,33 0,886 0,862 Stenella coeruleoalba 16 12 11 11 Tursiops truncatus 2 3 4 3 Balaenoptera physalus 1 2 na na La tabella 3 mostra il livello di variabilità genetica per Stenella coeruleoalba ai loci microsatelliti considerati. Na, numero di alleli; Ho, eterozigosità osservata; He, eterozigosità attesa. Delphinus delphis 1 1 2 2 Tabella 4 – Pattern allelico per S. coeruleoalba (n=16) 4,5 5,66 5,33 Media La tabella 1 riporta il numero di alleli osservati e la media allelica relativa a ciascun locus (na= non amplificabile). Unica eccezione per Balaenoptera physalus che non mostra amplificazione ai loci D18 e D28 e un discostamento dai size allelici al locus D8 caratterizzanti le altre specie (tabella 2). Per quanto concerne Stenella coeruleoalba il numero totale di alleli ai loci analizzati è di 34, con una eterozigosità media osservata Ho maggiore di quella attesa (He), rispettivamente 0,886 contro 0,862 (tabella 3). Tutti i loci sono quindi risultati informativi, in cui il ridotto numero di alleli ritrovato in alcune specie è giustificato dal limitato numero di campioni disponibili. Una discreta variabilità intra e interspecie è stata anche osservata. 110 126153 126143 La tabella 2 mostra i range allelici osservati (bp) ai loci microsatelliti considerati, suddivisi per ciascuna specie. Tabella 1 – Numero di alleli osservati per locus Specie D28 ID D8 D18 D28 9 90 104 72 86 141 149 11 8 90 114 114 124 72 87 86 89 141 131 141 143 14 114 118 85 87 143 147 I risultati di comparazione allelica cross-specie, mostrano dunque come il set di 3 loci microsatelliti utilizzato amplifica con successo tali regioni polimorfiche in specie relate, ad eccezione di Balaenoptera physalus la quale mostra una non amplificazione ai loci D18 e D28, probabilmente per variazione di tipo nucleotidica che ne blocca l’amplificazione. Questo risultato, in apparente contrasto con alcuni autori, non sorprende, considerato il diverso sottordine di appartenenza di tali cetacei (Mysticeti) se confrontato con le altre specie in esame (Odontoceti). A tal proposito ulteriori approfondimenti saranno necessari per chiarire meglio tale differenza, precisamente analisi di sequenza in corrispondenza di quelle regioni fiancheggianti i locus microsatelliti. Sembra dunque chiaro come il livello di polimorfismo riscontrato e la possibilità di amplificazione allelica anche tra generi di cetacei differenti, rende questi marcatori estremamente interessanti per ulteriori studi. Concludendo, l’utilizzo di marcatori molecolari, quali microsatelliti, congiuntamente alle analisi di sequenza di regioni mitocondriali ad alto grado di conservazione, forniscono un valido supporto sia dal punto di vista popolazionistico in termini di diversità genetica e filogenesi, ma soprattutto un valido sostegno nella caratterizzazione di specie, qualora particolari condizioni ne rendano impossibile il riconoscimento. Particolarmente, la regione del citocromo b mitocondriale, nonostante sia costituita da tratti di sequenze altamente conservate per struttura e dimensioni, mostra una notevole variabilità che la rende una regione altamente polimorfica e dotata dunque di un elevato potere discriminativo. BIBLIOGRAFIA 1. Janczewski D.N., Modi W.S., Stephens J.C. and O’Brien S.J. (1995). Molecular evolution of mitochondrial 12S RNA and cytochrome b sequences in the pantherine lineage of Felidae. Molecular Biology and Evolution 12(4):690-707 2. Shinoara M., Domingo-Roura X. and Takenaka O. (1997). Microsatellites in the bottlenose dolphin Tursiops truncatus. Molecular Ecology 6:695-696 3. Notarbartolo Di Sciara G. and Demma M. (1994). Tessuti dei mammiferi marini del Mediterraneo. Guida dei mammiferi marini del Mediterraneo 4. Notarbartolo Di Sciara G., Agardy T., Hyrenbach D., Scovazzi T. and Van klaveren P. (2008). The pelagos sanctuary for Mediterranean marine mammals. Acquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystem 18:367-391 La Tabella 4 mostra i profili allelici (bp) e le parentele riscontrate nei 16 campioni di S. coeruleoalba. In grassetto sono mostrati gli alleli in comune. 111 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 POSTERS 112 113 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SENSIBILITA’ AD ANTIMICOTICI IN LIEVITI ISOLATI DA SPECIE ANIMALI UMBRE: DATI PRELIMINARI 1 Agnetti F., 1Crotti S., 1Maresca C., 1Scoccia E., 1Tentellini M., 2Circolo A., 1Marini C., 2Pitzurra L. 1 IZS Umbria e Marche, Perugia; 2Istituto di Microbiologia, Fac. di Medicina e Chirurgia, Perugia Key words: lieviti, antimicotici, sensibilità ABSTRACT A preliminary investigation on the sensitivity to antifungal drugs of yeast isolated from animals in Umbria was carried out. Fortytwo (42) strains isolated from various animal species, death for different causes, were identified through API ID32C system (Biomerieux®) and tested for a panel of antimycotics, using YO10 plates (Sensititre®). The results obtained were also statistically elaborated. Resistances have occurred, mainly for echinocandins and azoles, in the genus Cryptococcus, Rhodotorula, Trichosporon and Saccharomyces. Two C. krusei and one R. minuta were resistant to all antifungal drugs tested. Some yeast, especially belonging to the genus Candida, showed dose-dependent sensitivity to itraconazole and fluconazole. Further investigations are required in order to make a phylogenetic comparison between these strains and those eventually isolated from human clinical cases, and to extend the study to dermatophytes, often responsible for variable responses to antifungal treatments. INTRODUZIONE In campo veterinario, cosi come in campo medico, la scarsa risposta ad una terapia antifungina può essere dovuta a diversi fattori, quali stato immunitario dell’ospite, sito e gravità dell’infezione, presenza di corpi estranei (es. cateteri), età, stato nutrizionale e scarsa compliance del paziente; altri fattori possono essere inerenti al farmaco stesso, come l’attività fungistatica o fungicida nel sito d’infezione, la dose e la durata del trattamento, il tipo di molecola e l’interazione con altri farmaci (1). La resistenza ad un antimicotico è quindi la capacità del micete di persistere nell’organismo e causare infezione nonostante la somministrazione di concentrazioni tollerabili del composto stesso (1). Il fenomeno della resistenza agli antifungini sembra essere strettamente legato all’impiego estensivo di tali sostanze nel trattamento delle infezioni micotiche, nonché, per alcune categorie di molecole (azoli), al loro smisurato impiego in agricoltura (2). In particolare, in medicina umana ma anche in ambito veterinario, il micete più spesso associato a fenomeni di resistenza agli antimicotici risulta essere il genere Candida (3). Accanto ad esso, però, anche altri lieviti, isolati da campioni clinici sia di origine animale che umana, mostrano comportamenti di resistenza, tra cui i generi Cryptococcus, Malassezia e Rhodotorula (4, 5). Diversamente da quanto avviene per i batteri con gli antibiotici, nei lieviti la resistenza agli antifungini non emerge rapidamente e non si diffonde con facilità, a causa della natura eucariotica delle cellule, del tempo di replicazione più lungo e della mancanza di meccanismi genetici per lo scambio delle resistenze. Nei lieviti sono pertanto individuabili due forme di resistenza: una innata, presente anche prima della somministrazione di terapie antifungine (es. Candida krusei vs fluconazolo), ed una secondaria o acquisita, che insorge durante o in seguito ad un trattamento antimicotico (es. ceppi di Candida albicans vs composti azolici) (6). In tale contesto, stante anche la scarsità di dati in merito alla 114 tematica, gli Autori hanno voluto valutare, in termini preliminari, la sensibilità ai comuni antimicotici in uso, in lieviti isolati in Umbria a partire da campioni di origine animale. MATERIALI E METODI Quarantadue (42) ceppi di lieviti sono stati isolati ed identificati da più specie animali (volatili quali piccione e psittacidi, tartaruga, scoiattolo, cane, cavallo e bovino), pervenute in sala necroscopie per diverse eziologie morbose. Nello specifico, i miceti presi in considerazione sono stati: n.3 Candida (C.) albicans, n.8 C. famata, n.1 C. incospicua, n.4 C. krusei, n.3 C. sake, n.2 C. silvicola, n.1 C. dubliniensis, n.3 C. lusitaniae, n.1 C. rugosa, n.2 C. zeylanoides, n.3 Cryptococcus (C.) albidus, n.1 C. laurentii, n.2 Rhodotorula (R.) glutinis, n.1 R. minuta, n.3 R. mucilaginosa, n.1 Saccharomyces (S.) cerevisiae, n.1 Trichosporon (T.) inkim, n.2 Zygosaccharomyces spp. Per l’isolamento dei suddetti lieviti, i campioni sono stati seminati su Sabouraud Dextrose Agar (SDA) ed incubati a 37°C per 48-72 ore. Per ottenere gli stipiti in purezza sono state effettuate subcolture su SDA, dalle quali si è poi proceduto all’identificazione fungina attraverso gallerie API ID32C (Biomerieux®). Per l’allestimento degli antimicogrammi sono state utilizzate piastre YO10 (Sensititre®), contenenti il seguente pannello di antimicotici: echinocandine (anidulafungina, micafungina, caspofungina), 5-fluorocitosina, azoli (posaconazolo, voriconazolo, itraconazolo, fluconazolo) ed amfotericina B. Le piastre sono state incubate a temperatura ambiente per 24-48 ore. La sensibilità ai suddetti antimicotici è stata elaborata attraverso un’analisi descrittiva, considerando il comportamento di ciascuna specie fungina, nonché del genere, nei confronti delle singole molecole e delle classi di antifungini. RISULTATI La sensibilità alle varie molecole è risultata variabile da specie a specie. In linea generale, tutti i ceppi testati hanno mostrato sensibilità per amfotericina B, mentre le resistenze maggiori si sono avute in: - genere Cryptococcus: per azoli, echinocandine e 5-fluorocitosina; - genere Rhodotorula: per azoli ed echinocandine; - genere Trichosporon per echinocandine e 5-fluorocitosina; - genere Saccharomyces: per azoli. In particolare, solo 3 lieviti sono risultati resistenti a tutti gli antimicotici presi in considerazione, e precisamente 2 ceppi di C. krusei ed uno di R. minuta. Inoltre, 2 C. krusei, una C. incospicua ed un C. laurentii hanno dato esito intermedio nei confronti di 5-fluorocitosina. Infine, alcuni lieviti hanno mostrato sensibilità dose dipendente, e precisamente: - 6 C. famata, 2 C. krusei, 1 C. sake, 1 C. silvicola, 1 T. inkim ed 1 Zygosaccharomyces spp. nei confronti di itraconazolo; - 1 C. famata, 1 C. incospicua, 1 C. sake, 1 C. silvicola ed 1 Zygosaccharomyces spp. nei confronti di fluconazolo. 115 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 La Tabella 1 riepiloga le sensibilità/resistenze nei confronti dei vari antimicotici testati, indipendentemente dalle specie fungine considerate nello studio. - Tabella 1: Distribuzione sensibilità per antibiotico Antimicotici Resistente Sensibile Intermedio Sensibile dose dipendente N. % N. % N. % N. % Anidulafungina 16 38% 26 62% - - - - Micafungina 16 38% 26 62% - - - - Caspofungina 15 36% 27 64% - - - - 5-Fluorocitosina 9 21% 29 69% 4 10% - - Posaconazolo 15 36% 27 64% - - - - Voriconazolo 14 33% 28 67% - - - - Itraconazolo 16 38% 14 33% - - 12 29% Fluconazolo 20 48% 17 40% - - 5 12% AmfotericinaB 6 14% 36 86% - - - - - - DISCUSSIONE Negli ultimi anni, l’aumentata attenzione alla problematica micosi, sia in ambito umano che veterinario, ha portato ad una più fruibile divulgazione di informazioni inerenti al comportamento dei miceti, il loro ruolo patogeno e/o zoonosico e la loro capacità di risposta ai trattamenti farmacologici. Tuttavia, nell’ottica di un approccio sempre più congiunto tra medico e veterinario, che ha condotto ad un notevole miglioramento nella definizione delle strategie terapeutiche da adottare nella pratica, ancora oggi, le infezioni fungine risultano spesso difficili da diagnosticare e, soprattutto, da gestire, specie in relazione alla possibilità che i ceppi responsabili siano resistenti ai comuni farmaci antimicotici (7, 8). Le informazioni in letteratura veterinaria relative alla sensibilità agli antifungini sono poche. I dati ottenuti nella presente indagine preliminare sembrano allinearsi con quanto riscontrato in medicina umana. Per quanto riguarda infatti i generi Cryptococcus e Rhodotorula, è descritta la resistenza di C. neoformans a fluconazolo ed echinocandine in pazienti HIV positivi, e quella di R. glutinis a fluconazolo e 5-fluorocitosina, mentre non sono documentati casi di resistenza ad amfotericina B per entrambe le specie di lieviti (4, 9). Allo stesso modo, il comportamento del genere Trichosporon nei confronti di echinocandine e 5-fluorocitosina si allinea con quanto riscontrato in medicina umana, laddove è descritta la resistenza di T. asahii alle stesse molecole (10). Ugualmente paragonabili sono le resistenze di Saccharomyces spp. e Zygosaccharomyces spp. nei confronti degli azoli (nello specifico fluconazolo) (11). In campo umano, per quanto concerne il genere Candida, la risposta agli antimicotici in pazienti immunocompromessi vede scarsa sensibilità di C. lusitaniae per amfotericina B, di C. krusei e C. glabrata per fluconazolo e di C. albicans per fluconazolo, con cross-resistenza per amfotericina B (7, 12). Anche nel presente studio, le specie di Candida isolate hanno mostrato un certo grado di variabilità nei confronti delle molecole antifungine, passando dalla resistenza a tutti gli antifungini testati da parte di due C. krusei, alla risposta intermedia di due C. krusei ed una C. incospicua a 5-fluorocitosina, alla sensibilità dose dipendente di sei C. famata, due C. krusei, una C. sake, una C. silvicola ad itraconazolo ed, infine, alla sensibilità dose dipendente di una C. famata, una C. incospicua, una C. sake ed una C. silvicola a fluconazolo. Ulteriori indagini si rendono necessarie a completamento di questo studio preliminare, al fine di: - comparare dal punto di vista filogenetico i ceppi considerati in tale sede con quelli isolati da matrici umane, provenienti dallo stesso territorio e mostranti comportamento analogo nei confronti delle medesime molecole antifungine; esaminare ulteriori ceppi di origine animale, provenienti anche da specie non considerate in questo studio (con particolare riguardo alle specie esotiche o ai cosiddetti “non conventional pets”, ormai sempre più diffusi nelle nostre case); studiare i fattori determinanti il fenomeno della resistenza nei ceppi di lieviti di origine animale e compararli con quelli descritti in analoghe specie fungine di derivazione umana; estendere le indagini alle muffe dermatofitiche e non, anch’esse responsabili di quadri localizzati e/o sistemici di micosi e di risposte variabili ai trattamenti antifungini. Bibliografia 1) Loeffler J., Stevens A., 2003. Antifungal drug resistance. Clinical Infectious Diseases, 36(suppl.1), S31-41. 2) http:/WebDev/Azoles_Resistance_Opinion_0206_ FINAL_FINAL.doc 3) Nadas G.C., Fit N., Rapuntean G., Chirila F., Rapuntean S., Blfa P., Bouari C., 2011. The sensibility to antimycotics of some Candida spp. strains isolated from humans and animals. Bulletin UASVM, Veterinary Medicine, 68(1), 268-271. 4) Pulvirenti F., Pasqua P., Falzone E., Maffeo F., Gugliara C., Guarneri L., 2010. Sepsi da Rhodotorula glutinis. Descrizione di un caso clinico. Le Infezioni in Medicina, 2, 124-126. 5) Agnetti F., Sola D., Scoccia E., Moretta I., Maresca C., Moretti A., 2011. Lieviti nella mucosa orofaringea e cloacale di rettili: considerazioni biologico-sanitarie. Summa Animali da Compagnia, 9, 23-29. 6) Mondello F., 2008. Funghi patogeni per l’uomo :generalità e prospettive. Roma, ISS, Rapporti ISTISAN 08/10. 7) Yang Y.L., Li S.Y., Cheng H.H., Lo H.J., 2005. The trend of susceptibilities to amphotericin B and fluconazole of Candida species from 1999 to 2002 in Taiwan. BMC Infectious Diseases, 5:99. 8) Venditti M., 2008. Nuove prospettive terapeutiche per le candidemie nel paziente critico. Volume Atti IX Congr. Naz. FIMUA, Catania 27-29 novembre 2008, S5.R3, 32. 9) Perea S., Patterson T.F., 2002. Antifungal resistance in pathogenic fungi. Clinical Infectious Diseases, 35: 1073-1080. 10) Wolf D.G., Falk R., Hacham M., Theelen B., Boekhout T., Scorzetti G., Shapiro M., Block C., Salkin I.F., Polacheck I., 2001. Multidurg-resistant Trichosporon asahii infection of nongranulocytopenic patients in three intensive care units. Journal of Clinical Microbiology, 39(12): 4420-4425. 11) Kontoyiannis D.P., Rupp S., 2000. Cyclic AMP and fluconazole resistance in Saccharomyces cerevisiae. Antimicrobial Agents and Chemotherapy, 44(6): 17431744. 12) Kelly S.L., Lamb D.C., Kelly D.E., Manning N.J., Loeffler J., Hebart H., Schumacher U., Einsele H., 1997. Resistance to fluconazole and cross-resistance to amphotericin B in Candida albicans from AIDS patients caused by defective sterol Δ5,6–desaturation. FEBS Letters 400: 80-82). 116 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 stafilococchi coagulasi positivi ed enterotossina stafilococcica in formaggi a latte ovino pastorizzato della regione lazio Amiti S., Bossù T., Marozzi S., Di Giamberardino F., Dell’ Aira. E., Colonna S., Migliore G., Tommassetti F., Lanni L. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, D.O. Controllo degli Alimenti, via Appia nuova 1411, 00178 Roma Key Word: Stafilococchi, enterotossina, formaggio a latte ovino Abstract Scopo del presente lavoro è illustrare i risultati degli accertamenti analitici condotti su campioni di formaggio a latte ovino prodotti in un caseificio della Regione Lazio, in cui precedentemente era stato identificato un formaggio positivo per enterotossina stafilococcica. In 3 dei 59 campioni esaminati sono state rilevate eneterotossine stafilococciche (SEs) (5,08%, IC95% ±5,61,) ma non Stafilococchi coagulasi positivi (CPS), mentre 20 campioni sono risultati positivi per CPS ma non per SEs. Tra questi ultimi, 15 hanno mostrato valori che oscillavano da un minimo di 3,6x10 ufc/g ad un massimo di 7x105 ufc/g. Studi ulteriori sui CPS isolati potranno essere d’ausilio per l’identificazione della fonte di contaminazione animale o umana. Introduzione Le eneterotossine stafilococciche (SEs), appartengono ad una famiglia di superantigeni, originariamente identificati in batteri della specie Staphylococcus aureus resistenti al pH acido, all’azione delle proteasi e del calore. Ad oggi, oltre alle 5 enetrotossine classiche, scoperte negli anni ‘60 (SEA - SEE) ed antigenicamente distinte, sono stati descritti 18 nuovi tipi di SEs prodotte anche da specie diverse dallo S. aureus (6,5). Il consumo di alimenti che contengono quantità sufficienti di una o più enterotossina preformata, comporta la rapida insorgenza (2-8 h), di sintomi quali nausea, vomito, crampi addominali e diarrea. La malattia è di solito autolimitante ed in genere si risolve entro 24-48 ore dalla comparsa dei segni clinici (1). Delle oltre 50 specie e sottospecie di batteri appartenenti al genere Staphylococcus, i ceppi produttori di coagulasi (CPS) sono gli unici ad essere stati isolati in episodi di intossicazione alimentare (3). Secondo i dati forniti dall’ EFSA/ECDC nel report sulle tendenze e sulle fonti di zoonosi, agenti zoonotici e focolai infettivi di origine alimentare del 2011 (2), nella UE si sono verificate 345 epidemie alimentari causate da tossine stafilococciche, pari al 6,1% di tutti i focolai tossinfettivi di origine alimentare segnalati nel suddetto periodo di riferimento. L’ 8,1% dei 35 episodi in cui è stato possibile identificare l’alimento veicolo di tossinfezione, è stato correlato epidemiologicamente al consumo di formaggio. Rispetto ai dati forniti nella precedente relazione, l’EFSA ha evidenziato un incremento delle epidemie alimentari da enterotossine stafilococciche pari al 25,9%. Scopo del presente lavoro è illustrare i risultati degli accertamenti analitici condotti su campioni di formaggio a latte ovino prodotti in un caseificio della Regione Lazio, in cui era stato precedentemente identificato un formaggio positivo per enterotossina stafilococcica. L’azienda si configura come un’attività a conduzione famigliare con annesso allevamento e locali mungitura. La raccolta del latte viene effettuata due volte al giorno e, periodicamente secondo quanto previsto dal piano di autocontrollo (una volta ogni due mesi), vengono effettuate analisi microbiologiche sul latte di massa aziendale. Tutti i prodotti caseari sono realizzati con latte pastorizzato e crudo. Materiali e metodi Un numero di 59 campioni costituiti ciascuno da 5 unità campionarie sono stati consegnati direttamente dal produttore al laboratorio; tra questi erano identificabili diverse tipologie di prodotto finito riferibili a: caciotta di pecora (n=56), formaggio alle spezie (n=1) e caciocavallo (n=2). I campioni sono stati prelevati dal produttore, secondo le indicazioni fornite dal laboratorio presso cui sono state effettuate le prove. I formaggi tutti a latte ovino pastorizzato (72°C per 20’’) appartenevano a lotti differenti prodotti dal caseificio nell’arco di 13 mesi lavorativi. I campioni sono stati trasportati presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, sede centrale di Roma, in condizioni di refrigerazione e conservati ad una temperatura di 4°C per un massimo di 24h prima dell’inizio delle prove. Su tutti i campioni sono state effettuate le seguenti analisi: - Stafilococchi coagulasi positivi (u.f.c) norma di riferimento ISO 6888-2:1999 - Ricerca delle Enterotossine stafilococciche (SEASEB-SEC 1,2,3,-SED- SEE) mediante tecnica Elfa (Enzyme Linked Fluorescent Assay) utilizzando il sistema automatizzato VIDAS -AOAC 2007.06 (AOAC Official method 2007.06- VIDAS SET detection of Staphylococcal Enterotoxin selected food) Al fine di verificare una eventuale correlazione tra il grado di stagionatura, la presenza di SEs ed il livello di contaminazione da CPS, in relazione al grado di maturazione, i campioni sono stati suddivisi nei seguenti sottogruppi: - A= da 9 mese a 13 mesi (n=14) - B= da 8 a 5 mesi (N=8) - C= da 4 ad 1 mese (n=29) - D= massimo 1 mese (n=8). Risultati e conclusioni Dei 59 campioni esaminati, n=3 sono risultati positivi per presenza di SEs (5,08%, IC95% ±5,61) e tutti presentavano un livello di contaminazione da CPS <10 ufc/g; di questi 2 erano riconducibili al sottogruppo A (da 9 mese a 13 mesi) ed 1 al sottogruppo C (da 4 ad 1 mese). 20 campioni, dei complessivi 59, sono invece risultati contaminati da CPS (33,90%, IC95% ±12,08) e, tra questi, 15 hanno evidenziato contaminazioni comprese tra un range minimo di 3,6x10 ufc/g e massimo di 7x105 ufc/g (media contaminazioni: 6,2x104, mediana: 5). Dei 15 campioni in cui i CPS sono risultati numerabili nessuno era invece positivo per presenza di SEs. Tutti i formaggi in cui sono stati rilevati CPS appartenevano alla tipologia “caciotta di pecora” ad esclusione di un campione di caciocavallo ed uno di formaggio alle erbe. Per quanto attiene i gruppi di stagionatura, 14 campioni positivi per CPS presentavano una maturazione riferibile al sottogruppo C (48,3% sul totale della categoria) e 6 appartenenti al sottogruppo 117 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 D (75% sul totale della categoria). Il riscontro di SEs e CPS nei formaggi rappresenta un’evenienza frequente; non a caso, il primo episodio di intossicazione stafilococcica segnalato nel 1884 in Michigan (USA), fu provocato dal consumo di formaggio contaminato (4). La presenza di CPS nei formaggi è ascrivibile a contaminazione della materia prima associata all’animale, o contaminazione secondaria di origine umana o ambientale. Per quanto concerne la prima fonte, S. aureus è una delle maggiori cause di mastite nei ruminanti e la sintomatologia ad esso associata può variare da forme subcliniche a forme gangrenose (4). L’analisi del dato sulla positività dei 3 campioni di caciotta ovina per enterotossine, evidenzia la possibilità che l’origine della contaminazione batterica sia da ricercare nel latte utilizzato per la caseificazione. Il processo produttivo aziendale infatti, prevede per questa tipologia di prodotto la pastorizzazione a 72°C per 20’’. Tale trattamento spiegherebbe l’assenza nei campioni dei CPS e la positività alle SEs. Tuttavia, come riferito dall’Azienda, i controlli bimestrali effettuati sul latte di massa non avevano evidenziato, nel periodo di produzione dei lotti esaminati, positività microbiologiche per CNS o CPS. Per quanto attiene invece i 20 campioni su in cui sono stati rilevati CPS, è indubbia una contaminazione successiva al processo di pastorizzazione, che sembrerebbe essere avvenuta nei mesi immediatamente antecedenti al presente studio. S. aureus può essere endemico negli ambienti di lavorazione degli alimenti (7), nei quali i CPS possono sopravvivere a causa di inidonee procedure aziendali per le buone pratiche di lavorazione o non corretta loro applicazione. In questo senso è da sottolineare che il caseificio produce anche prodotti a latte crudo, la cui lavorazione e stagionatura è effettuata nei medesimi locali, così come la di maturazione dei formaggi analizzati nel presente lavoro. Studi ulteriori sui CPS isolati e l’utilizzo di metodiche molecolari quali ad esempio la PFGE e la tipizzazione del gene per la proteina A (spa), come suggerito da alcuni Autori, potrebbero 118 essere d’ausilio nell’identificare la fonte di contaminazione (3) per poi intervenire, successivamente, su eventuali modifiche dei processi o delle procedure in uso. Bibliografia 1) Argudín María Ángeles, Mendoza María Carmen and Rodicio María Rosario, 2010. Food Poisoning and Staphylococcus aureus Enterotoxins. Toxins 2010, 2, 1751-1773; doi:10.3390/toxins2071751 2) EFSA/ECDC,2011. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic agents and Food-borne Outbreaks in 2011 avilable on: http://www.efsa.europa.eu/it/press/news/130409.htm 3) J.A. Hennekinne, M. L. De Buyser & S. Dragacci,2012. Staphylococcus aureus and its food poisoning toxins: characterization and outbreak investigation . FEMS Microbiol Rev 36 (2012) 815–836 4) Caroline Le Maréchal, Julien Jardin, Gwenaël Jan, Sergine Even1, Coralie Pulido, Jean-Michel Guibert, David Hernandez, Patrice François, Jacques Schrenzel4, Dieter Demon, Evelyne Meyer5, Nadia Berkova, Richard Thiéry3, Eric Vautor, Yves Le Loir, 2011. Staphylococcus aureus seroproteomes discriminate ruminant isolates causing mild or severe mastitis. Le Maréchal et al. Veterinary Research 2011, 42:35 5) I. V. Pinchuk , E.J. Beswick and V. E. Reyes, 2010. Staphylococcal Enterotoxins. Toxins 2010, 2, 2177-2197 6) M. Podkowik, J.Y. Park, K.S. Seo, J. Bystroń, J. Bania, 2013. Enterotoxigenic potential of coagulase-negative staphylococci. International Journal of Food Microbiology 163 (2013) 34–40 http://www.veterinaryresearch.org/content/42/1/35 7) J. Schelin, N.Wallin-Carlquist, M. Thorup Cohn, R. Lindqvist, G. C. Barker and P.r Radstrom, 2011.The formation of Staphylococcus aureus enterotoxin in food environments and avances in risk assessment. Virulence 2:6, 580-592; November/December 2011. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RESAZURIN MICROTITRE ASSAY PER LO SCREENING RAPIDO DELL’ANTIBIOTICO RESISTENZA NEL MYCOBACTERIUM BOVIS Armas F.1, Boniotti M.B.2, Pacciarini M.L.2, Mazzone P.3, Di Marco V.4, Marianelli C.1 1 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Roma; 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia; 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia; 4 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Barcellona Pozzo di Gotto Key words: tubercolosi bovina, antibiotico resistenza, REMA ABSTRACT In this study 51 Mycobacterium bovis isolates were tested against six standard antibiotics (isoniazid, ethambutol, rifampicin, streptomycin, kanamycin and pyrazinamide) by the gold standard proportion method (PM) on Middlebrook medium and the resazurin microtitre assay (REMA). Two breakpoint drug concentrations defining drug susceptibility and resistance, respectively, were chosen for each drug and tested against all isolates in REMA. Results were compared to PM. Both tests provided susceptibility results to standard firstline drugs but pyrazinamide. Nucleotide sequencing detected pncA codon 57 mutation in all isolates. The embB nucleotide sequence analysis revealed nucleotide polymorphisms. We do not found any association between embB mutations and ethambutol resistance. Our results confirm REMA as a rapid and inexpensive method for testing the mycobacterial drug susceptibility against the key anti-tuberculosis drugs. INTRODUZIONE Il Mycobacterium bovis è il principale agente eziologico della tubercolosi bovina (bTB), una delle più importanti e riemergenti malattie infettive in Europa che colpisce principalmente i bovini ma può riguardare anche altri animali domestici (ovini, caprini e suini), alcune specie di animali selvatici (cinghiale, furetto, tasso) e l’uomo. Nei paesi industrializzati, l’implementazione di programmi di controllo negli allevamenti ha ridotto con successo la prevalenza della bTB negli animali, rendendo le infezioni umane da M. bovis eventi occasionali. Al contrario, nei paesi in via di sviluppo, l’assenza di adeguati controlli negli allevamenti, unitamente ad aspetti socio-culturali, rendono la popolazione ad altissimo rischio di infezione (4). In Italia, l’implementazione dei programmi per l’eradicazione della tubercolosi dal territorio ha portato alla graduale riduzione della prevalenza della bTB nel settore zootecnico nella maggior parte delle regioni. La tubercolosi umana da M. bovis è clinicamente e patologicamente indistinguibile da quella causata dal M. tuberculosis. Il trattamento prevede una combinazioni di più farmaci antitubercolari. Il M. bovis è sensibile a tutti gli antibiotici antitubercolari di prima linea ad eccezione della pyrazinamide verso la quale mostra una naturale resistenza. In ogni caso, il trattamento della tubercolosi da M. bovis con la terapia standard prevista per il M. tubercolosis, risulta generalmente efficace. Sebbene l’incidenza della tubercolosi da M. bovis nell’uomo sia bassa, le epidemie causate da ceppi di M. bovis resistenti ad uno (DR, drug-reistance) o più antibiotici (MDR, multi-drug reistance), hanno avuto un impatto drammatico. Negli ultimi anni sono stati documentati casi di M. bovis resistenti ad uno o più antibiotici soprattutto in pazienti ospedalizzati ed in quelli immunodepressi. Per il controllo della tubercolosi, è pertanto necessario interrompere la trasmissione di ceppi multiresistenti attraverso una diagnosi precoce ed un trattamento efficace. Il test di suscettibilità agli antibiotici non viene condotto di routine sui ceppi di M. bovis di origine animale ed i dati in letteratura sono scarsi. Sechi e colleghi (2001) riportanto l’isolamento dal bovino di ceppi di M. bovis resistenti alla rifampicina e alla isoniazide. La maggior parte delle mutazioni descritte riguardano invece il M. tuberculosis. In questo studio, ceppi di M. bovis isolati in Sicilia da allevamenti di bovino, ovino e suino nero, sono stati sottoposti al monitoraggio dell’antibiotico resistenza mediante il metodo delle proporzioni su terreno agarizzato Middlebrook 7H11 ed il metodo colorimetrico resazurin microtitre assay (REMA) in micropiastra, leggermente modificato, al fine di monitorare la circolazione dei ceppi resistenti in un territorio ad elevata prevalenza di bTB, costituito dal parco dei Nebrodi e dalle aree limitrofe. MATERIALI E METODI Campionamento: Tra il 2007 e il 2010 sono stati isolati 51 ceppi di M. bovis da animali affetti da tubercolosi bovina: suino nero dei Nebrodi (n°=32), bovino (n°=18) e pecora (n°=1). Lo studio ha coinvolto 21 diversi allevamenti situati nel Parco dei Nebrodi e nelle zone limitrofe. Fig: 1: Area a Nord-Est delle Sicilia in cui sono stati isolati i ceppi di M.bovis oggetto dello studio. Test di sensibilità agli antibiotici: Tutti gli isolati sono stati testati per la ricerca della resistenza agli antibiotici pirazinamide (PZA), isoniazide (INH), rifampicina (RIF), etambutolo (EMB), streptomicina (STR) e kanamicina (KAN). Sono stati utilizzati: 1) il metodo standard delle proporzioni in terreno Middlebrook 7H11 seguendo le linee guida del National 119 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Committee for Clinical Laboratory Standards (NCCLS); 2) il saggio REMA leggermente modificato. Il ceppo M. bovis ATCC 19210 è stato utilizzato come controllo in entrambi i test microbiologici. Il saggio colorimetrico REMA a 6 antibiotici è stato allestito in micropiastre a 96 pozzetti, utilizzando il terreno di coltura Middlebrook 7H9 addizionato con casitone allo 0,1% (M7H9-S) e seguendo la procedura descritta da Palomino e colleghi (5). Ciascun antibiotico è stato testato a due concentrazioni definite valore di sensibilità (S) e valore di resistenza (R). Tali concentrazioni sono state scelte sulla base dei risultati presenti in letteratura (1-6). Gli inoculi delle colture di ciascun isolato sono stati preparati in M7H9-S aggiustando la torbidità delle colture ad 1 di McFarland e diluendole poi nel rapporto 1:20 (4). Le piastre allestite per il saggio standard delle proporzioni e le micropiastre allestite per il saggio REMA, sono state incubate in camere umide ( 37°C, 5% di CO2). I risultati sono stati letti dopo 20 giorni (per il saggio delle proporzioni) e dopo 8 giorni (per il saggio REMA) di incubazione. Per il saggio delle proporzioni la sensibilità all’antibiotico è stata attribuita contando il numero di colonie presenti sul terreno col farmaco che deve risultare inferiore all’1% del numero di colonie sul terreno di controllo. Per il saggio REMA, sono stati aggiunti 30 μl di una soluzione di resazurina allo 0,01% a ciascun pozzetto e le piastre nuovamente incubate sono state lette dopo l’incubazione overnight. La crescita del micobatterio era messa in evidenza dal colore che la soluzione di resazurina assumeva: colore blu (stato ossidato) in assenza di crescita batterica e colore rosa (stato ridotto) in presenza di crescita. Fig: 2: Rappresentazione schematica dell’allestimento di una piastra a 96 pozzetti. Caratterizzazione della resistenza: I ceppi di micobatterio che apparivano resistenti (viraggio al rosa) per la PYR e quelli dubbi (viraggio al viola) per l’EMB al test REMA sono stati prima sottoposti ad estrazione del DNA e poi all’amplificazione, rispettivamente, dei geni pncA e embB. Il DNA è stato estratto dalle colture utilizzando il kit commerciale Wizard SV Genomic DNA Purification System (Promega). I prodotti di amplificazione, dopo purificazione, sono stati sottoposti al servizio di sequenziamento nucleotidico presso la Genechron Srl (ENEA, Casaccia). Gli elettroferogrammi delle sequenze nucleotidiche sono stati analizzati tramite il software ABI Prism SeqScape Software version 2.0 (AppliedBiosystems). Le sequenze consensus generate sono state poi confrontate con la sequenza del ceppo sensibile M. bovis ATCC 19210 per la ricerca delle mutazioni. RISULTATI I 51 isolati sono risultati sensibili agli antibiotici testati ad eccezione della PZA con entrambi i saggi. L’analisi nucleotidica del gene pncA ha rivelato la presenza della tipica mutazione che caratterizza la resistenza a tale farmaco (His 57 Asp, CAC/GAC). Il saggio REMA ha evidenziato in 8/51 isolati una colorazione dubbia (viola) al test REMA per l’EMB. Questi 8 ceppi sono stati sottoposti all’estrazione del DNA, all’amplificazione mediante PCR del gene embB e successivamente al sequenziamento nucleotidico. L’analisi delle sequenze ha mostrato la presenza delle seguenti mutazioni: Thr 610 Lys in 5 isolati, Gln 998 Arg in 1 isolato e la sola mutazione silente al codone 220 (CTG/ CTA) in 2 isolati. Al fine di comprendere il significato di queste mutazioni, anche gli altri isolati (quelli cioè che risultavano all’EMB chiaramente sensibili al saggio REMA) sono stati sottoposti al sequenziamento del gene embB. Tutti i 51 isolati presentavano la mutazione silente al codone 220 (CTG/CTA); di questi, 28 ceppi mostravano anche la mutazione missenso al codone 610 (Thr 610 Lys, ACG/AAG), 2 ceppi la mutazione missenso al codone 998 (Gln 998 Arg, CAG/CGG), e 1 ceppo presentava la mutazione al codone 1012 (Phe 1012 Ser, TTC/ TCC). Le mutazioni missenso Thr 610 Lys, Gln 998 Arg e Phe 1012 Ser, non risultano descritte in letteratura. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 assay for testing suscettibilità to first-line anti-tuberculosis drugs. The International Journal of Tuberculosis and Lung Disease, 9: 901-906 4. Montoro E., Lemus D., Echemendia M., Martin A., Portaels F., Palomino J. C. 2005. Comparative evaluation of the nitrate reduction assay, the MTT test, and the resazuin microtitre assay for drug susceptibility testing of clinical isolates of Mycobacterium tuberculosis. Journal of Antimicrobial Chemotherapy, 55: 500-505. 5. Palomino J. C., Martin A., Camacho M., Guerra H., CONCLUSIONI Tutti gli isolati di M. bovis sono risultati sensibili agli antibiotici INH, RIF, EMB, STR e KAN e, come atteso, sono risultati essere invece resistenti alla PZA. E’ stata trovata in tutti, la mutazione His57Asp nel gene pncA. L’analisi del gene embB ha evidenziato un elevato polimorfismo del gene non associato però ad alcuna resistenza fenotipica. In conclusione, lo studio ha confermato il saggio colorimetrico REMA come una valida alternativa al saggio standard delle proporzioni, la cui rapidità (risultati dopo soli 8 giorni di incubazione), consente un più rapido monitoraggio della resistenza sul territorio. Anche se nel nostro studio non sono stati isolati ceppi antibiotico-resistenti, rimane sempre alta l’attenzione per questo fenomeno. Risulta pertanto importante monitorare sempre la sensibilità agli antibiotici di prima linea anche fra i ceppi di origine animale al fine di conoscere l’ampiezza del fenomeno, di implementare la terapia più appropriata ed efficace nell’uomo e di interrompere così la trasmissione di ceppi multi-resistenti nella popolazione. BIBLIOGRAFIA Affolabi D., Sanoussi N., Odoun M., Martin A., 1. Koukpemedij L., Palomino J. C., Kestens L., Anagonu S., Portaels F. 2008. Rapid detection of multidrug-resistant Mycobacterium tuberculosis in Cotonou (Benin) using two low cost colorimetric methods: Resazurin and nitrate reductase assays. Journal of Medical Microbiology, 57:n1024-1027 2. Jadaun G. P. S., Agarwal C., Sharma H., Ahmed Z., Upadhyay P., Faujdar J., Gupta A. K. Das R., Gupta P., Chauhan D. S., Sharma V. D., Datoh V. M. 2007. Determination of ethambutol MICs for Mycobacterium tuberculosis and Mycobacterium avium isolates by resazurin microtitre assay. Journal of Antimicrobial Chemotherapy 60: 152-155. 3. Martin A., Morcillo N., Lemus D., Montoro E., da Silla Telles M. A., Simboli N., Pontino M., Porras T., Leon C., Velasco M., Chacon L., Barrera L., Ritacco V., Portaels F., Palomino J. C. 2005. Multicenter study of MTT and resazurin 120 121 Swings J., Portaels F. 2002. Resazurin microtiter assay plate: simple and inexpensive method for detection of drug resistance in Mycobacterium tuberculosis. Antimicrobial Agents and Chemotherapy 46: 2720-2722. 6. Zanetti Campanerut P. A., Dias Ghiraldi L., Espinoza Spositto F. L., Nakamura Sato D., Fujimura Leite C. Q., Hiroyki Hirata M., Crespo Hirata R. D., Fressatti Cardoso R. 201. Rapid detection of resistance to pyrazinamide in mycobacterium tuberculosis using the resazurin microtitre assay. Journal Antimicrobial Chemotherapy, 66: 1044-1046. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 COMPORTAMENTO DI L. MONOCYTOGENES E S. AUREUS IN UN FORMAGGIO PORZIONATO E CONFEZIONATO SOTTOVUOTO Astegiano S., Bellio A., Traversa A., Adriano D., Bianchi D.M., Gallina S., Gramaglia M., Zuccon F., Corvonato M., Mantoan P., Radium P., Vitale N., Decastelli L. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Keywords: Vacuum packaging, storage temperature, pathogens SUMMARY In this work, the behaviour of L.monocytogenes and S.aureus raw milk cheese is presented. Artificially contaminated cheese was portioned, vacuum packed and stored at +4°C and +10°C. Slices were analysed before vacuum packaging, and regularly during storage (28 days at +4 °C and 56 days at +10 °C). At the end of ripening period cheese contained 4.5 ± 0.9 Log CFU/g of L.monocytogenes. Concentration did not change significantly in slices at +4°C, while decreased at +10°C (3.6 ± 1.5 Log CFU/g). S.aureus count in cheese before vacuum was 3.6 ± 0.8 Log CFU/g, then gently decreased in slices stored at +4°C (2.7 ± 1.3 Log CFU/g), while a reduction of about 1.9 Log CFU/g was observed at +10°C. Lactic acid bacteria concentration was about 8.0 Log CFU/g. No remarkable variations were observed in pH and Aw values. In conclusion, L.monocytogenes and S.aureus may survive in slices cheese under vacuum at +4°C and +10°C. INTRODUZIONE Listeria monocytogenes è un microrganismo patogeno agente di malattia trasmessa da alimenti (MTA); può essere causa di gravi manifestazioni in particolare nelle donne in gravidanza, nei neonati, negli anziani e negli individui immunocompromessi (2). Secondo i dati riportati dall’EFSA nell’ultimo report (1), in Europa nel 2011 il numero dei casi di listeriosi nell’uomo è diminuito, attestandosi a 1476 casi umani confermati, con una diminuzione del 7.8% rispetto al 2010. In generale si può affermare che il batterio è isolato più frequentemente nei prodotti lattiero-caseari, nei prodotti della pesca, nei prodotti carnei e negli alimenti pronti al consumo (ready-to-eat (RTE)); in particolare, i formaggi molli e semi molli sono stati implicati in focolai di listeriosi (4). Staphylococcus aureus è uno dei più importanti patogeni implicati nelle intossicazioni alimentari. L’intossicazione è dovuta all’ingestione delle tossine (3). Secondo i dati dell’EFSA, nel 2011 sono stati riportati 345 outbreak causati da tossina stafilococcica, il 6.1% di tutti i focolai dell’UE, e vi è stato un incremento del 25.9% rispetto ai dati del 2010. Le fonti di contaminazione per i prodotti lattierocaseari possono essere rappresentate da latte contaminato o da un’inadeguata applicazione delle buone pratiche di lavorazione da parte degli operatori. La presenza di Listeria è dovuta a contaminazioni del latte crudo o a successive cross-contaminazioni che possono avvenire durante la produzione del formaggio (6). Indipendentemente dall’origine delle contaminazioni, è di fondamentale importanza seguire l’evoluzione del patogeno durante la vita commerciale del prodotto (4). La vendita di formaggio a fette sottovuoto è diffusa in quanto in grado di preservare le caratteristiche organolettiche ed allungare la vita commerciale del prodotto. In questo lavoro è stato valutato il comportamento di L.monocytogenes e S.aureus durante la shelf life di un formaggio a base di latte crudo, porzionato e conservato sottovuoto ad una temperatura corretta (+4 °C) e ad una di moderato abuso termico (+10 °C). Si è simulata una contaminazione in fase di caseificazione, inoculando i patogeni nel latte in caldaia prima della lavorazione. MATERIALI E METODI Per l’inoculo di L.monocytogenes sono stati utilizzati due ceppi di campo, isolati da un formaggio Toma e da un altro formaggio a latte crudo entrambi stagionati 60 giorni. Ogni ceppo è stato rivitalizzato su Agar Listeria Ottaviani Agosti (ALOA), incubato a 37 °C per 24 ore (h). L’inoculo è stato ottenuto stemperando le colonie in suspension medium, valutando mediante densitometro la concentrazione batterica, per ottenere 103-104 cellule/mL nel latte crudo. Per S.aureus sono stati inoculati un ceppo 33862 ATCC® e uno isolato da un formaggio a latte crudo stagionato 60 giorni. Ogni ceppo è stato fatto crescere su Columbia Agar a 37 °C per 24 h e le colonie sono state risospese in 10 mL di suspension medium e coltivate in 90 mL di Brain Heart Infusion (BHI) a 37 °C per 18 h e successivamente utilizzate per inoculare il latte crudo ottenendo una concentrazione di 105-106 cellule/mL. Ogni patogeno è stato utilizzato per contaminare tre lotti costituiti da una forma ognuno. Il formaggio è stato prodotto utilizzando 90 litri di latte crudo per lotto. Il latte è giunto al caseificio sperimentale dell’Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta alla temperatura di 35 °C ed è stato messo in caldaia. Il latte all’arrivo è stato analizzato per verificare la presenza di patogeni autoctoni oggetto dello studio. Il latte è stato contaminato con il patogeno e successivamente sono stati aggiunti degli starter commerciali contenenti: Streptococcus thermophilus, Lactococcus lactis e Lactobacillus delbrueckii. Il latte è stato omogenato, riscaldato fino a 37 °C ed è stato aggiunto il caglio in polvere. Dopo la rottura della cagliata in pezzi da 0.5 cm di diametro, questa è stata riscaldata in un ora fino a raggiungere i 48 °C. In seguito è stata trasferita in una forma da 50 cm di diametro e 7 cm di altezza e posta sotto una pressa per 8 h. La forma è stata immersa in salamoia al 22% per 12 h e trasferita in una cella di stagionatura a +10 °C con Umidità Relativa 90% per 80 giorni. Dopo la stagionatura, il formaggio è stato porzionato in fette da 250 g, confezionate sottovuoto e stoccate a diverse temperature: 4 fette a +4 °C per 28 giorni (esperimento 1) e 8 fette a +10 °C per 56 giorni (esperimento 2). Sono stati eseguiti dei campioni al momento del confezionamento e a 7, 14, 21, 28 giorni (+4 °C) e 7, 14, 21, 28, 35, 42, 49 e 56 giorni (+10 °C). Ogni campione è stato analizzato per i parametri riportati in tabella 1. 122 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1 – Parametri microbiologici e chimico-fisici Parametro Metodica Lattobacilli termofili Man Rogosa Sharpe Agar (MRS) a 45 °C per 72 h Lattococchi mesofili M17 a 30 °C per 24 h Lattococchi termofili M17 a 45 °C per 48 h Enterococchi Kanamycin Aesculin Agar (KEA) a 45 °C per 48 h L.monocytogenes ALOA a 37 °C per 48 h Stafilococchi coagulasi positivi Baird Parker Agar RPF a 37 °C per 48 h pH metodo potenziometrico (MFHPB-03:Feb. 2003) Aw metodo capacitivo (ISO 21807:2004) Grafico 1 – Andamento L.monocytogenes Le analisi per il conteggio di L.monocytogenes e S.aureus sono state condotte in triplicato per ogni campione. Per la descrizione dei risultati, sono stati utilizzati la media e la deviazione standard. RISULTATI E CONCLUSIONI L.monocytogenes All’arrivo presso il caseificio sperimentale, il latte crudo è sempre risultato negativo per L.monocytogenes. Le forme contaminate con L.monocytogenes, al termine della stagionatura (pH 5.4 ± 0.2; Aw 0.92 ± 0.01) contenevano una concentrazione di 4.5 ± 0.9 Log UFC/g del patogeno. Le cariche dei batteri lattici erano superiori a 8 Log UFC/g in tutti i lotti, mentre quelle degli enterococchi più basse (6.1 ± 0.6 Log UFC/g). Durante la conservazione, L.monocytogenes è rimasta stabile nelle fette a +4 °C per 28 giorni (4.3 ± 1.0 Log UFC/g), mentre in quelle a +10 °C è diminuita lentamente durante i primi 28 giorni (4.1 ± 1.3 Log UFC/g), rapidamente nella quinta settimana (3.6 ± 1.4 Log UFC/g), rimanendo poi costante fino alla fine dell’esperimento (3.6 ± 1.5 Log UFC/g). La componente lattica si manteneva su cariche elevate (7-8 log UFC/g) in tutti i campioni analizzati. Il pH è rimasto pressoché costante sia a +4 °C (5.4 ± 0.2) che a +10 °C (5.2 ± 0.1), come anche l’Aw (0.92 ± 0.01). S.aureus Il latte crudo utilizzato per le lavorazioni, prima dell’inoculo sperimentale, presentava un numero di stafilococchi coagulasi positivi pari a 1.5 ± 0.7 Log UFC/ml. Al momento della porzionatura, la concentrazione di S.aureus era pari a 3.6 ± 0.8 Log UFC/g. Gli altri parametri microbiologici, pH e Aw sono sovrapponibili a quanto osservato nei lotti contaminati per L.monocytogenes al termine della stagionatura. La concentrazione di S.aureus nelle fette ha subìto una riduzione di circa 1 Log UFC/g dopo 28 giorni a +4 °C, mentre a +10 °C di circa 1.5 Log UFC/g nelle prime 4 settimane ed un ulteriore diminuzione, di circa 0.4 Log UFC/g, negli ultimi 28 giorni. La concentrazione dei batteri lattici è rimasta elevata (oltre 8.0 Log UFC/g) durante lo stoccaggio in tutti i lotti ad entrambe le temperature; gli enterococchi sono rimasti stabili fino al termine del periodo di conservazione. Non si è osservata nessuna variazione di pH e Aw nelle fette mantenute ad entrambe le temperature. Grafico 2 – Andamento S.aureus In questo studio si è valutato il comportamento dei due patogeni (L.monocytogenes e S.aureus) durante la shelf life di un formaggio a fette, confezionato sottovuoto e conservato a due diverse temperature (+4 °C e +10 °C), simulando una contaminazione in fase di caseificazione. Il tipo di conservazione sottovuoto determina una riduzione del numero di L. monocytogenes più evidente a temperatura maggiore (+10 °C) rispetto a quella inferiore (+4 °C). Questa differenza è stata già osservata anche da altri autori su prodotti lattiero-caseari diversi (3, 8). Anche S.aureus ha subìto una diminuzione maggiore nelle fette conservate a +10 °C rispetto a quelle mantenuta a +4 °C. Probabilmente il metabolismo di questi due patogeni aumenta con l’aumentare della temperatura, provocando una veloce inattivazione causata da autolisi. Inoltre la costante presenza di alte cariche di batteri lattici potrebbe garantire una competizione microbica in grado di inibire i patogeni (7). Inoltre Listeria monocytogenes ha subito una minor riduzione rispetto a S.aureus probabilmente dovuta alla sua notevole capacità di adattamento e resistenza nei confronti dell’ambiente. In etichetta viene indicata dal produttore la temperatura a cui deve essere conservato l’alimento. Questo spesso viene disatteso sia in fase di vendita che a livello domestico. I risultati di questo studio permettono di evidenziare come questo formaggio, se conservato sottovuoto, sia in grado di non favorire lo sviluppo di L.monocytogenes e di S.aureus, sia se mantenuto alla corretta temperatura di refrigerazione che in situazioni di moderato abuso termico. 123 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. Anonymous. 2013. Scientific report of EFSA and ECDC: The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2011. EFSA Journal; 11:3129. 2. Kagkli DM, Iliopoulos V, Stergiou V, Lazaridou A, Nychas GJ. 2009. Differential Listeria monocytogenes strain survival and growth in Katiki, a traditional Greek soft cheese, at different storage temperatures. Appl Environ Microbiol; 75:3621-6. 3. Le Loir Y, Baron F, Gautier M. 2003. Staphylococcus aureus and food poisoning. Genet Mol Res; 2:63-76. 4. Rosshaug PS, Detmer A, Ingmer H, Larsen MH. 2012. Modeling the growth of Listeria monocytogenes in soft blue- white cheese. Appl Environ Microbiol; 78:8508-14. 5.Ryser ET and Marth EH. 1987. Behavior of Listeria monocytogenes during the manufacture and ripening of Cheddar cheese. J. Food Prot; 50:7-13. 6. Samelis J, Giannou E, Lianou A. 2009. Assuring growth inhibition of listerial contamination during processing and storage of traditional Greek Graviera cheese: compliance with the new European Union regulatory criteria for Listeria monocytogenes. J Food Prot; 72:2264-71. 7. Shrestha S, Grieder JA, McMahon DJ, and Nummer BA. 2011. Survival of Listeria monocytogenes introduced as a postaging contaminant during storage of low-salt Cheddar cheese at 4, 10 and 21°C. J Dairy Sci; 9:4329-35. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 STUDIO PRELIMINARE SULLA PREVALENZA DI TOXOPLASMA GONDII IN SUINI MACELLATI IN PIEMONTE Barbero R.1, Dezzutto D.1, Vitale N.1, Ferroglio E.2, Gennero M. S.1, Bergagna S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta -Torino 2 Dipartimento di Scienze Veterinarie - Università degli Studi di Torino Key words: Toxoplasma gondii, zoonosis, Piedmont Region ABSTRACT Toxoplasmosis is a common disease of warm-blooded animals including man that can be transmitted by meat containing tissue cysts. Recent findings lead to the conclusion that human toxoplasmosis has health sequelae also in the general public, in addition to congenital infections or immunosuppressive conditions. A risk based approach is therefore necessary to reduce the possibility of Toxoplasma gondii cysts in food. Due to the difficulty of revealing the infection in meats at slaughterhouse level, a reduction of the infection in the preharvest phase can be recommended. In the present study, a preliminary investigation on the seroprevalence in pigs slaughtered in Piedmont is reported. 870 serum samples were tested from pigs slaughtered in two abattoirs and among these 84 samples were positive to serological tests to Toxoplasma detection. The obtained results are very interesting since few data are available on the real prevalence of the infection in Italian pig herds. INTRODUZIONE Toxoplasma gondii è un parassita endocellulare responsabile di una zoonosi a diffusione mondiale, in grado di infettare le specie animali a sangue caldo. T. gondii è inoltre tra i più importanti agenti protozoari responsabili di zoonosi trasmissibili attraverso gli alimenti di origine animale. La toxoplasmosi umana è infatti ritenuta la zoonosi parassitaria più diffusa al mondo (6) e terza causa di morte tra le malattie alimentari negli Stati Uniti. Nonostante sia da tempo considerata esclusivamente un’infezione opportunistica in soggetti immunocompromessi o congenita, recenti studi hanno dimostrato il ruolo di T. gondii come responsabile di differenti stati morbosi anche in soggetti senza condizioni di immunosoppressione (12). Questo aspetto rende importante considerare tutte le strategie che possono essere messe in campo, oltre alla comunicazione del rischio, per tutelare la salute del consumatore intervenendo a livello della filiera alimentare. Dal momento che la carne suina è considerata tra le principali fonti di infezione umana (5) ed in considerazione di quanto stabilito nel Regolamento 2004/852/ CE (4) circa i compiti dell’operatore del settore alimentare, un ruolo fondamentale nella lotta a tale zoonosi dovrà sicuramente essere svolto a livello di produzione primaria, in particolare nell’allevamento suino (7). A tutt’oggi i dati sulla prevalenza di T. gondii, non solo negli animali ma anche nell’uomo, sono considerati inconsistenti (6), nonostante l’obbligo previsto dalla Direttiva 2003/99/CE per tutti gli Stati Membri di registrare informazioni sugli agenti zoonosici (1). Anche i dati bibliografici relativi alla sieroprevalenza negli allevamenti suini in Italia sono scarsi o datati (9, 15). Lo scopo del presente lavoro quindi, è quello di fornire dati preliminari sulla sieroprevalenza di T. gondii in suini allevati e macellati in Piemonte. MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto nel periodo compreso tra il 1 marzo 124 ed il 30 novembre 2012 (8 mesi completi) considerando due differenti strutture in cui vengono regolarmente macellati suini provenienti da allevamenti locali, presenti sul territorio piemontese. Non avendo informazioni aggiornate sulla sieroprevalenza per T. gondii in Piemonte, la scelta delle dimensioni del campione da testare è stata definita utilizzando la formula proposta da Thrusfield (13) e considerando i seguenti parametri: -popolazione composta da circa 1600 capi; precisione pari a 6,5%; livello di confidenza del 95%; prevalenza attesa pari al 10%; prevalenza in un allevamento infetto del 18%; accuratezza del test diagnostico; Se 99% Sp 99%. Nel macello A, in cui vengono macellate soprattutto scrofe di età di circa 36 mesi provenienti da piccoli allevamenti, è stato effettuato un campionamento di 22 partite di animali, con un numero di capi per ogni partita pari a 10. Nel macello B, in cui vengono macellati soprattutto suini di età di circa 12 mesi provenienti da allevamenti industriali, sono state campionate 33 partite di animali, con un numero di capi per ogni partita pari a 20. Attualmente, sono stati prelevati 870 campioni di sangue che risultano essere il 55% della popolazione totale richiesta per il completamento dello studio. Tutti i sieri raccolti sono stati testati mediante un saggio immunoenzimatico indiretto multispecie utilizzando il kit commerciale “Toxoplasmosis Indirect” (ID.VET Innovative Diagnostics), che utilizza come antigene la proteina P30 di T.gondii, seguendo le indicazioni fornite dal produttore. Sono considerati positivi i sieri con valore S/P ≥ 50%, negativi quelli con valore S/P ≤ 40%, dubbi in caso di 40% < S/P < 50%. RISULTATI E CONCLUSIONI I risultati preliminari ottenuti a seguito delle analisi effettuate su 870 campioni di suini macellati in Piemonte, hanno permesso di stimare una prevalenza del 9%, poco al di sotto di quella attesa. La prevalenza è decisamente inferiore rispetto a quanto evidenziato negli anni passati (10) in diversi altri Paesi ma ancora non del tutto in linea con la tendenza attuale riscontrata in Nord Europa. Nei Paesi nordici del nostro continente infatti, a fronte di una elevata sieroprevalenza riscontrata in passato, i dati più recenti dimostrano un calo sensibile delle positività sierologiche verso T. gondii, concomitante al miglioramento delle condizioni strutturali e manageriali dell’allevamento suino. Paesi con elevato numero di allevamenti suini come Olanda e Germania hanno ridotto negli ultimi anni la prevalenza a valori prossimi a zero (10). Bassi valori sono stati evidenziati anche in Austria ed in Canada (10, 3). In altre nazioni europee la sieroprevalenza è decisamente più elevata rispetto a quanto da noi riscontrato (Polonia – 34%, Serbia - 28,9%) (11, 8). 125 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Negli Stati Uniti sono state evidenziate sieroprevalenze molto variabili, da 1 a 69%, con alcuni allevamenti esenti da Toxoplasma (14). Per una stima reale della prevalenza va comunque specificato che nel presente lavoro la maggior parte degli animali soggetti provenivano da allevamenti industriali (partite prelevate nel macello B), che generalmente hanno un numero di positività diversa rispetto ad allevamenti di altro tipo (2). Dal momento che i fattori di rischio implicati nella diffusione del parassita nell’allevamento suino sono da tempo oggetto di studio (14), il dato da noi riscontrato indica che non sono stati fatti efficaci progressi nella gestione di tali fattori. La presenza di Toxoplasma gondii nella produzione primaria sembra ricevere poca considerazione, come conferma la scarsità di dati soprattutto per quelle regioni italiane con alta densità produttiva. Per il momento le uniche strategie volte a ridurre il rischio di toxoplasmosi umana sono quindi quelle relative alla comunicazione del rischio ad alcune categorie specifiche come donne in gravidanza e immunocompromessi. Inoltre, recenti tecniche di isolamento ed identificazione del protozoo hanno permesso una più attenta valutazione della capacità del parassita di sopravvivere ai diversi ostacoli tecnologici. Da ciò è emersa la possibilità che anche i prodotti a base di carne di suino stagionati possano contenere cisti di Toxoplasma vive e vitali (16). Inoltre, sulla base dell’analisi del rischio è comunque necessario ricordare sia che T. gondii può essere presente nelle carni suine, sia che alcune preparazioni di carne possono, specialmente in alcune regioni come ad esempio il Piemonte, essere consumate crude o poco cotte. I progressi fatti in alcuni Paesi dimostra come l’intervento in allevamento possa ridurre la presenza del protozoo, con risvolti positivi su tutta la filiera produttiva. Il controllo dell’applicazione di corrette prassi volte a migliorare il livello igienico nella produzione primaria potrà riconoscere nel mattatoio uno dei punti di monitoraggio principali per T. gondii in quanto, a questo livello, risulta agevole effettuare il prelievo di campioni ematici su un numero elevato di soggetti provenienti da differenti allevamenti. BIBLIOGRAFIAì 1)Baldelli B. (1974). Recenti osservazioni e ricerche sulla Toxoplasmosi animale. Giornale di Malattie Infettive e Parassitarie, 7(26), 849-856. 2)Ballarini, G., Martelli, P. (2000). The false myth of toxoplasmosis in salami. Acta Biomedica Ateneo Parmense, 71 Suppl 1:529-535. 3) Bartoszeze, M., Krupa, K., Roszkovski, J. (1991). ELISA for assessing Toxoplasma gondii antigens in pigs. Journal Veterinary Medicine B, 38, 263-264. 4) Cook, A.J.C., Gilbert, R.E., Buffolano, W., Zufferey, J., Petersen, E., Jenum, P.A., Foulon, W., Semprini, A.E., Dunn, D.T. (2000). Sources of toxoplasma infection in pregnant woman: European multicentre case-control study. British Medical Journal, 321,142-147. 5) Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003, sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/CEE del Consiglio. Gazzetta ufficiale L 325 del 12 dicembre 2003. 6) European Food Safety Authority (2007). Surveillance and monitoring of Toxoplasma in humans, food and animals. Scientific Opinion of the Panel on Biological Hazards (Question No EFSA-Q-2007-038). The EFSA Journal, 583, 1-64. 7) Gable, H.R. (1997). Parasite associated with pork and pork products. Scientific and Technical reviews of the Office International des Epizoozies, 16 (2), 496-506. 8) Gamble, H.R., Brady, R.C., Dubey, J.P. (1999). Prevalence of Toxoplasma gondii in domestic pigs in the New England States. Veterinary Parasitology, 82, 129-136. 9) Genchi, G., Polidori, G.A., Zaghini, L. Lanfranchi, P. (1991). Aspetti epidemiologici della toxoplasmosi nell’ allevamento intensivo del suino. Archivio Veterinario Italiano, 42:105-111. 10) Kijlstra, A., Eissen, O.A., Cornelissen, J., Munniksma, K., Eijck, I., Kortbeek, T. (2004). Toxoplasma gondii infection in animal-friendly pig production system. Investigative Ophtalmology and Visual Science, 9 (45), 3165-3169. 11) Klun, I., Djurkovic-Djackovic, O., Katic-Radivoyevic, S.,Nikolic, S. (2006). Cross-sectional survey on Toxoplasma gondii infection in cattle, sheep and pigs in Serbia:Seroprevalence and risk factors. Veterinary Parasitology, 136, 121-131. 12) Mac Allister, M.M. (2005). A decade of discoveries in veterinary protozoology changes our concept of “subclinical” toxoplasmosis. Veterinary Parasitology, 132, 241-247. 13) Thrusfield M:Veterinary epidemiology. Blackwell Science Ltd., London, UK, 2005. 14) Venturini, M.C., Bacigalupe, D., Venturini, L., Rambeaud,M., basso, W., Unzaga, J.M., Perfumo, C.J. (2004). Seroprevalence of Toxoplasma gondii in sows from slaughterhouses and in pigs from an indoor and outdoor farm in Argentina. Veterinary Parasitology, 124, 161-165. 15) Vesco G., Villari S. (2006). Sieroprevalenza di Toxoplasma gondii in suini macellati in Sicilia. Atti LX S.I.S.Vet., 111-112 16) Warnekulasuriya, M.R., Johnson, J.D., Holliman, R.E. (1998). Detection of Toxoplasma gondii in cured meats. International Journal of Food Microbiology. 45, 211-215. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ICAA, MECA E LEUCOCIDINA PANTON-VALENTINE (PVL) IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E DA PRODOTTI LATTIERO CASEARI IN PUGLIA Basanisi M.G., Pedale R., Nobili G., Cafiero M.A., Chiocco D., La Salandra G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Via Manfredonia, 20 – 71121 Foggia Key words: icaA, mecA, PVL ABSTRACT The aim of this work was to characterize 244 strains of Staphylococcus aureus isolated from milk and dairy products collected in Apulia (Italy) during 2010-2012, in order to detect the enterotoxin(s) genes, biofilm responsible gene (icaA), PantonValentine Leukocidin encoding gene (lukF-PV and lukS-PV), mecA, Staphylococcal cassette chromosome mec (SCCmec) by PCR and antibiotic susceptibilities using Kirby-Bauer method. The presence of S. aureus strains in food represents a potential risk for consumers. High occurrence of icaA was found and the resulting biofilm formation increases antibiotic resistance. The finding of PVL genes in methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA) strains isolated from food of animal origin highlights the pathogenicity of S. aureus and focuses attention on the need to improve hygiene practices in industrial production to ensure the microbiological safety of products and limit the spread of S. aureus and other pathogens through food. INTRODUZIONE Staphylococcus aureus rappresenta attualmente una importante causa di intossicazione alimentare, l’uomo ed il comparto animale costituiscono la principale fonte di contaminazione degli alimenti (5). La patogenicità di S. aureus è correlata alla capacità di produrre tossine. Tra di esse si annoverano le enterotossine stafilococciche, di natura proteica, stabili al calore e resistenti alle proteasi come tripsina e pepsina. Le più comuni e ricercate in questo lavoro sono SEA, SEB, SEC, SED, SEE, SEG, SEI, SEH, SEJ, SEM, SEN, SEO (8, 9). E’ noto che la patogenicità di S. aureus è correlata anche ad altri fattori, ad esempio la formazione del biofilm e la presenza di geni codificanti la leucocidina PantonValentine (PVL), una tossina che causa la lisi dei leucociti. Il biofilm batterico è una popolazione di cellule multistratificate racchiuse in matrici polisaccaridiche che crescono su superfici inerti o viventi e rappresenta un rilevante problema, perché il batterio protetto dalla sua stessa matrice risulta resistente agli usuali trattamenti antibiotici (3). La formazione del biofilm viene regolata a livello genetico dall’intracellular adhesion (ica) locus, che controlla la sintesi di una adesina, PIA (polysaccharide intracellular adhesion), molecola di natura polisaccaridica che permette l’adesione intercellulare. L’ica locus è costituito dai geni icaADBC e codifica proteine medianti la sintesi di PIA nei ceppi di S. aureus. In particolare il gene icaA codifica per l’enzima N-acetilglucosaminiltrasferasi, implicato nel processo di formazione del biofilm (1). PVL è un fattore di virulenza appartenente alla famiglia di “synergohymenotropic toxins”. Queste tossine formano dei pori nelle membrane delle cellule del sistema immunitario, tramite l’azione sinergica di due proteine secretorie (LukS-PV e LukFPV) (2). MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra ottobre 2010 e ottobre 2012 sono stati isolati 244 ceppi di S. aureus da 700 campioni, di cui 350 126 di latte e 350 di formaggi (freschi, semistagionati e stagionati), provenienti da diverse aziende presenti in Puglia e sottoposte a controllo da parte delle ASL. L’isolamento dei ceppi dalle matrici alimentari è stato eseguito secondo la norma EN ISO 6888 1-2 1999 con l’utilizzo del terreno Baird Parker RPF Agar (Biolife). I ceppi di S. aureus sono stati identificati con l’utilizzo del terreno CHROMagar™ (CHROMagar Microbiology, Parigi, Francia). Il DNA dei singoli isolati è stato poi estratto con DNeasy Blood & Tissue Kit, Qiagen. I ceppi di S. aureus isolati sono stati caratterizzati fenotipicamente per valutarne il pattern di antimicrobicoresistenza (ATB) e genotipicamente mediante polymerase chain reaction (PCR). Il pattern di ATB è stato valutato mediante il metodo della diffusione in agar (Kirby-Bauer) secondo le Linee Guida del National Committee for Clinical Laboratory Standards (7). Gli isolati sono stati testati con multiplex PCR (M-PCR) per ricercare i geni specifici per le enterotossine stafilococciche quali sea, seb, sec, seh, sej, sed, see, seg, sei, sem, sen e seo e per la subunità ribosomiale 16S, secondo i protocolli modificati di diversi autori (5, 8, 9, 12). Agli isolati sono stati applicati metodi biomolecolari per la ricerca dei geni lukF-PV e lukS-PV codificanti la leucocidina Panton-Valentine (PVL), seguendo il metodo di Hesje et al. (2011) (4). La ricerca del gene icaA (intercellular adhesion), responsabile della produzione di biofilm, è stata condotta secondo il protocollo Zmantar et al. (2008) (14); mentre per il gene mecA è stato applicato il metodo di Murakami et al. (1991) (10). La caratterizzazione della cassetta genica SCCmec (Staphylococcal cassette chromosome mec) è stata condotta come descritto da Kondo et al. (2007) (6). RISULTATI E CONCLUSIONI Dei 244 ceppi di S. aureus isolati da matrici lattiero-casearie, 95 (38,9%) sono risultati enterotossigeni e 149 (61,1%) non enterotossigeni. L’antimicrobico-resistenza ha fornito i seguenti risultati: dei 95 ceppi enterotossigeni, 48 (50,5%) sono sensibili a tutti gli antibiotici testati, e 47 (49,5%) hanno mostrato resistenza a diversi antibiotici. Dei 47 ceppi di S. aureus resistenti agli antibiotici, 11 (23,4%) ceppi sono risultati resistenti ad un solo antibiotico, 22 (46,8%) a due antibiotici, 14 (29,8%) a tre o più antibiotici (multidrug resistant) (MDR). Gli antibiotici maggiormente interessati nel fenomeno della resistenza sono penicillina/ampicillina, streptomicina, seguiti da tetraciclina, kanamicina, eritromicina, teicoplanina, bacitracina, cefalotina, gentamicina, novobiocina e enrofloxacina. Nessun ceppo presenta resistenza al trimetroprim-sulfametoxazolo, vancomicina e oxacillina. Tra i 149 ceppi non enterotossigeni, 65 (43,6%) sono sensibili a tutti gli antibiotici testati e 84 (56,4%) hanno mostrato resistenza a diversi antibiotici. Degli 84 ceppi di S. aureus resistenti agli antibiotici, 15 (17,8%) ceppi sono risultati resistenti ad un solo antibiotico, 14 (16,7%) a due antibiotici, 55 (65,5%) a tre o 127 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 più antibiotici (MDR). Gli antibiotici maggiormente interessati nel fenomeno della resistenza sono penicillina/ampicillina, kanamicina, gentamicina, streptomicina, oxacillina, bacitracina, enrofloxacina, novobiocina, seguiti da tetraciclina, eritromicina, teicoplanina e cefalotina. Nessun ceppo presenta resistenza al trimetroprim-sulfametoxazolo e vancomicina. 21 (14,1%) ceppi di S. aureus non enterotossigeni sono risultati resistenti all’oxacillina, antibiotico β lattamico simile alla meticillina ma più stabile alla conservazione e alla refrigerazione e più efficace nella determinazione dell’eteroresistenza. Gli stessi ceppi, inoltre, hanno mostrato resistenza agli altri β-lattamici testati (ampicillina e penicillina G). Tra i ceppi methicillin-resistant Staphylococcus aureus (MRSA), 11 (52,4%) sono resistenti anche alla tetraciclina, 11 (52,4%) alla kanamicina, 10 (47,6%) alla streptomicina, 9 (42,8%) alla gentamicina, 3 (14,3%) alla cefalotina, 3 (14,3%) all’enrofloxacina, 3 (14,3%) alla bacitracina. Nessun ceppo MRSA risulta essere resistente alla vancomicina, teicoplanina e trimetroprim-sulfametoxazolo. La ricerca dei geni (sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei, sej, sem, sen, seo) codificanti le enterotossine stafilococciche (SEs) ha prodotto come risultato una prevalenza del gene sec (14,7%), seguito dal gene sea (9,5%) e seh (5,3%). I restanti geni hanno una prevalenza del 21,7%, in singolo o in associazione. La presenza del gene icaA, responsabile della formazione del biofilm, è stato rilevato nel 75,8% (72/95) dei ceppi enterotossigeni, nel 80,5% (120/149) dei ceppi non enterotossigeni e nel 52,4% (11/21) dei ceppi MRSA isolati. I geni lukF-PV e lukS-PV codificanti la leucocidina Panton Valentine (PVL), sono presenti solo nei ceppi MRSA con una prevalenza del 47,6%, (10/21) mentre risultano negativi in tutti gli altri isolati sensibili alla meticillina. Due ceppi MRSA possiedono contemporaneamente i geni icaA e lukF-PV e lukS-PV (Figura 1). Figura 1- Distribuzione dei geni icaA e lukS-PV e lukF-PV nei ceppi MRSA I 21 ceppi di S.aureus isolati, fenotipicamente resistenti alla meticillina, risultano positivi per il gene mecA e possiedono un elemento SCCmec type V (100%). Le prove di antimicrobico resistenza (ATB) hanno messo in evidenza una spiccata multiresistenza (resistenza ad almeno tre antibiotici) in tutti i ceppi testati, infatti il 52,7% dei ceppi isolati risulta MDR. La diffusione di ceppi di S. aureus multiresistenti, ed in particolare dei cloni resistenti alla meticillina, desta una particolare attenzione in quanto l’antibiotico in questione è ampiamente usato nelle infezioni stafilococciche. I cloni MRSA sono presenti soprattutto in ambiente ospedaliero (HA-MRSA) ma la loro diffusione in ambiente comunitario è in continua crescita (CA-MRSA) (11). I dati relativi alla presenza di geni codificanti le enterotossine stafilococciche (SEs) evidenziano la prevalenza del 14,7% del gene sec codificante la tossina C, riconosciuta in letteratura come importante causa di intossicazione nel consumo di prodotti lattiero caseari (13). L’elevata prevalenza del gene icaA nei ceppi di S. aureus enterotossigeni (75,8%) e nei ceppi non enterotossigeni (80,5%) si manifesta nella capacità di produrre biofilm che permette la sopravvivenza del batterio in ambiente ostile rendendolo particolarmente patogeno. I geni lukF-PV e lukS-PV sono associati solo ai cloni methicillinresistant S. aureus (MRSA) (25,6%) e la capacità di questi ceppi di sintetizzare fattori di virulenza come la PVL e di formare biofilm, fa presupporre l’esistenza di una correlazione zoonotica tra i diversi isolati di S. aureus da differenti serbatoi (uomo, alimenti e ambiente), poiché queste caratteristiche sono associate soprattutto ai CA-MRSA e HA-MRSA rispettivamente (2). Dai risultati ottenuti, si evince l’elevata virulenza di questi ceppi MRSA determinata dalla presenza dei geni mecA, icaA e dei geni lukS-PV e lukF-PV. Si possono quindi ipotizzare le severe ripercussioni in comunità in seguito alla loro diffusione sulla salute dell’uomo e sull’economia delle aziende alimentari. In conclusione, è importante sottolineare la necessità di sviluppare un sistema di sorveglianza e monitoraggio uomo-alimenti al fine di valutare l’andamento della diffusione ed evoluzione di ceppi virulenti applicando misure severe atte al controllo e alla prevenzione soprattutto in produzione primaria, per minimizzare il rischio da MRSA e garantire sicurezza al consumatore. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 7.Linee guida del National Committee on Clinical Laboratory Standards (NCCLS). 2006. CLSI Document M31-A2. Wayne, Pennsylvania 8.Løvseth A, Loncarevich S, Berdal KG. 2004. Modified multiplex PCR method for detection of pyrogenic exotoxin genes in staphylococcal isolates. Journal of Clinical Microbiology, 42, 3869-3872 9.Monday SR, Bohach GA. 1999. Use of multiplex PCR to detect classical and newly described pyrogenic toxin genes in staphylococcal isolates. Journal of Clinical Microbiology, 37, 3411-3414. 10. Murakami K, Minamide W, Wada K, Nakamura E, Teraoka H, Watanabe S. 1991. Identification of methicillin-resistant strains of staphylococci by polymerase chain reaction. Journal of Clinical Microbiology, 29(10):2240-4 11. Pantosti A, Venditti M. 2009. What is MRSA? European Respiratory Journal, 34(5):1190-6 12. Rosec JP, Gigaud O. 2002. Staphylococcal enterotoxin genes of classical and new types detected by PCR in France. International Journal of Food Microbiolology, 77 (1-2): 61-70 13. Tamarapu S, McKillip JL, Drake M. 2001. Development of a multiplex polymerase chain reaction assay for detection and differentiation of Staphylococcus aureus in dairy products. Journal of Food Protection, 64(5):664-8 14. Zmantar T, Chaieb K, Makni H, Miladi H, Abdallah FB, Mahdouani K, Bakhrouf A. 2008. Detection by PCR of adhesins genes and slime production in clinical Staphylococcus aureus. Journal of Basic Microbiology, 48(4):308-14 Lavoro svolto con i fondi RC del Ministero della Salute IZSPB 07/09 RC BIBLIOGRAFIA 1.Arciola CR, Campoccia D, Montanaro L. 2002. Detection of biofilm-forming strains of Staphylococcus epidermidis and S. aureus. Expert Review of Molecular Diagnostics, 2(5):478-84 2.Boyle-Vavra S and Daum RS. 2007. Community-acquired methicillin-resistant Staphylococcus aureus: the role of Panton-valentine leukocidin. Laboratory Investigation, 87(1):3-9 3.Gad GFM, El-Feky MA, El-Rehewy MS, Hassan MA, Abolella H, El-Baky RM. 2009. Detection of icaA, icaD genes and biofilm production by Staphylococcus aureus and Staphylococcus epidermidis isolated from urinary tract catheterized patients. The Journal of Infection in Developing Countries, 3(5):342-51 4.Hesje CK, Sanfilippo CM, Haas W, Morris TW. 2011. Molecular epidemiology of methicillin-resistant and methicillin-susceptible Staphylococcus aureus isolated from the eye. Current Eye Research, 36(2):94-102 5.Jarraud S, Mougel C, Thioulouse J, Lina G, Meugnier H, Forey F, Nesme X, Etienne J, Vandenesch F. 2002. Relationships between Staphylococcus aureus genetic background, virulence factors, agr groups (alleles), and human disease. Infection and Immunity, 70 (2): 631-641 6.Kondo Y, Ito T, Ma XX, Watanabe S, Kreiswirth BN, Etienne J, Hiramatsu K. 2007. Combination of multiplex PCRs for staphylococcal cassette chromosome mec type assignment: rapid identification system for mec, ccr, and major differences in junkyard regions. Antimicrobial Agents and Chemotherapy, 51(1):264-74 128 129 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA DI DIFFERENTI GENOTIPI DI Paenibacillus larvae Bassi S. e Pizzuto A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Sezione di Modena Key words: American foulbrood, Paenibacillus larvae, Genotypes ERIC I and ERIC II SUMMARY Recently it has been demonstrated the existence of different Paenibacillus larvae (P. larvae) genotypes. The genotypic characterization of P. larvae based on rep-PCR performed with Enterobacterial Repetitive Intergenic Consensus (ERIC) primers allows to identify four different genotypes designated ERIC I-IV. These genotypes have different phenotypic features and virulence. The most significant differences concern the colony morphology, cell morphology and biochemical profile. For this reason the knowledge of the phenotypic heterogeneity of P. larvae genotypes is very important for a correct laboratory bacteriological diagnosis. Here we show the results of the phenotypic characterization of P. larvae strains, genotype ERIC I and genotype ERIC II, isolated in our Institute in the years 2010 - 2012. INTRODUZIONE Paenibacillus larvae (P.larvae), batterio sporigeno Gram +, è l’agente causale della Peste Americana (P.A.) delle api (3). Gli studi di caratterizzazione genetica con applicazione di differenti tecniche biomolecolari hanno messo in evidenza la presenza di diversi genotipi di P. larvae (3, 4, 5, 7). La PCR con impiego di Enterobacterial Repetitive Intergenic Consensus (ERIC) primers permette di identificare quattro differenti “patterns” genetici denominati ERIC I - II - III - IV (3). Questi 4 genotipi presentano caratteristiche fenotipiche differenti, le differenze più significative riguardano la morfologia delle colonie (3, 6), la morfologia delle forme vegetative e delle spore (3, 8) ed il profilo biochimico (3, 6). In Germania (3), Svezia (3), Finlandia (7), Austria (5), Italia (1) e Romania (9) è stata dimostrata la presenza dei genotipi ERIC I ed ERIC II mentre non esistono informazioni sui genotipi che circolano negli altri Paesi europei. I genotipi ERIC III ed ERIC IV non sembrano essere mai stati isolati in anni recenti in Europa. Scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare e descrivere le caratteristiche fenotipiche (morfologiche e biochimiche) dei due genotipi presenti nel nostro Paese. MATERIALI E METODI Sono stati esaminati complessivamente 52 ceppi di P.larvae di cui 31 del genotipo ERIC I e 21 del genotipo ERIC II isolati nel nostro Laboratorio negli anni 2010-2012 da larve morte per P.A., da detriti invernali o da miele. I ceppi sono stati identificati sulla base delle caratteristiche colturali, morfologiche, biochimiche e biomolecolari (2) e genotipizzati in rep-PCR con impiego di ERIC primers (1, 3). Esami morfologici. Esame morfologico delle colonie. Sono state esaminate colonie di primo isolamento di 3 – 5 giorni cresciute in Agar Sangue o in MYPGP (Mueller-Hinton broth, yeast extract, potassium phosphate, glucose, pyruvate) agar e colonie sviluppate in subcolture su MYPGP agar o TSYEA (Tryptic Soy Yeast Extract Agar). Esame morfologico delle forme vegetative. E’ stato eseguito su colture di 48 – 72 ore mediante osservazione al microscopio ottico dopo colorazione di Gram e al microscopio elettronico a scansione (SEM) impiegando uno strumento FEI Quanta 200 in modalità ESEM (Environmental Scanning Electron Microscopy). Esami biochimici Per lo studio del profilo biochimico è stato impiegato il sistema API® 50 CH (bioMérieux) seguendo le indicazioni fornite dal produttore. Abbiamo esaminato colture di 24 ore. Per la semina delle gallerie è stata utilizzata una sospensione batterica in API® 50 CHB medium con densità pari al tubo 2 della scala Mc Farland. Le letture sono state eseguite dopo 24 e 48 ore di incubazione a 37° in atmosfera arricchita con il 10% di CO2. RISULTATI Esame morfologico delle colonie Le colonie di P. larvae presentano due distinti morfotipi. Le colonie dei ceppi del genotipo ERIC I sono di dimensioni molto variabili anche sulla stessa piastra di isolamento, hanno colore biancogrigiastro con superficie piatta, granulosa, asciutta o leggermente lucente e margine irregolare (Figure 1 - 4 A - 4 B). A volte appaiono diafane e quasi trasparenti. Le colonie del genotipo ERIC II hanno maggiore spessore, superficie liscia più o meno convessa e a volte leggermente ombelicata, margine regolare e netto, non sono mai trasparenti. Presentano solitamente una pigmentazione arancione di intensità variabile che può avere diversa localizzazione. In alcuni casi la pigmentazione è più intensa nella zona circolare esterna della colonia (pigmentazione “anulare”), in altri casi invece è presente solo in uno o più settori della colonia dove assume l’aspetto di un cuneo arancione (pigmentazione “settoriale”) (Figure 2 - 4 C - 4 D - 4 E). Non di rado le colonie di questo genotipo, pur avendo la morfologia descritta, presentano su MYPGP agar, anche in primo isolamento, un colore bianco-cera (Figure 3 – 4 F). Una caratteristica del genotipo ERIC II è che spesso nelle subcolture la pigmentazione iniziale si modifica e le colonie pigmentate o le colonie bianche possono dare luogo a colonie di aspetto diverso riferibile a una delle altre possibili varianti. (Figura 5). Esame morfologico delle forme vegetative L’esame in microscopia ottica dopo colorazione di Gram mette in evidenza alcune differenze morfologiche tra i corpi batterici dei due genotipi (Figura 6). Nel genotipo ERIC I questi sono in genere più allungati e hanno una maggior tendenza a disporsi in lunghe catene rispetto al genotipo ERIC II. Sono inoltre più sottili e la larghezza è, mediamente, inferiore di 0,2 – 0,3 micron come si evidenzia, in particolare, nelle immagini in SEM (Figure 6A – 7A ). Nel genotipo ERIC II, soprattutto in alcuni ceppi, sono presenti numerosi batteri incurvati con forma a «C» piuttosto caratteristica (Figura 6 B). Esami biochimici Il kit API® 50 CH (bioMérieux) è stato utilizzato non a scopo di identificazione ma per studiare i profili di fermentazione dei ceppi in esame. Questo kit permette di caratterizzare la capacità metabolica dei microrganismi nei confronti di 49 carboidrati. Escludendo le prove che davano risultati variabili o davano gli stessi risultati nei due genotipi si osserva che soltanto le fermentazioni del fruttosio e del mannitolo mostrano di possedere una significativa capacità discriminante tra ERIC I e ERIC II. La fermentazione del fruttosio sembra essere strettamente genotipospecifica, in accordo con quanto riportato da Neuendorf S. et al. (6) è stata sempre positiva per i ceppi del genotipo ERIC II e negativa 130 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Rauch S., S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification of Paenibacillus larvae subsp. pulvifaciens and Paenibacillus larvae subsp. larvae as Paenibacillus larvae without subspecies classification. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56, 501- 511. 4) Genersch E., Otten C. (2003). The use of repetitive element PCR fingerprinting (rep-PCR) for genetic subtyping of German field Isolates of Paenibacillus larvae subsp. larvae. Apidologie 34, 195– 206. I. Derakhshifar J. Jacobs T. Oberlerchner H. Loncaric 2) 5) Dobbelaere W, I., de Graaf DC, Peeters JE, FJ (2001). Development a fast and reliable diagnostic Ko¨glberger A., ofMoosbeckhofer R. (2009). Genetic method for American foulbrood disease (Paenibacillus diversity among isolates of Paenibacillus larvae from larvae subsp. larvae) using a 16S rRNA gene based Austria. J. 32, Invertebr. PCR. Apidologie 363–370 Pathol. 100, 44– 46. 3) 6) Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A., Neuendorf S., Hedtke K., Tangen G., Genersch E. (2004). Rauch S., S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification of different larvae subsp. pulvifaciens andgenotypes of of Biochemical Paenibacilluscharacterization as Paenibacillus Paenibacillus larvae larvae subsp. subsp. larvae larvae, Paenibacillus a honey bee bacteria larvae without subspecies classification. Int. J. Syst. pathogen. Microbiology 150, 2381–2390. Evol. Microbiol. 56, 501- 511. 4) 7) Genersch E., Otten J., C. Kalliainen (2003). The use repetitive S. (2009). Pentikäinen E., ofPelkonen element PCR epidemiology fingerprinting (rep-PCR) for genetic Molecular of Paenibacillus larvae infection subtyping of German field Isolates of Paenibacillus larvae in Finland. Apidologie 40,206. 73–81. subsp. larvae. Apidologie 34, 195– 5) 8) Loncaric I., I. L, Derakhshifar J. Funfhaus T. Oberlerchner H. Poppinga Janesch B, A, Sekot G, GarciaKo¨glberger A., Moosbeckhofer R. (2009). Genetic diversity Gonzalez E,Paenibacillus et al. (2012). Identification Functional among isolates of larvae from Austria. and J. Invertebr. Pathol.of100, Analysis the44–S46. Layer Protein SplA of Paenibacillus 6) Neuendorf S., Hedtke K., Tangen G., Genersch E. (2004). larvae, the Causative Agent of American Foulbrood of Biochemical characterization of different genotypes of Honey Bees. Paenibacillus larvae PLoS subsp. Pathog larvae, a 8(5): honey e1002716.doi:10.1371/ bee bacteria pathogen. Microbiology 150, 2381–2390. journal.ppat.1002716. 7) Pentikäinen J., Kalliainen E., Pelkonen S. (2009). 9)Molecular Rusenova N., Parvanov P, Stanilova S. (2013). Molecular epidemiology of Paenibacillus larvae infection in Finland. Apidologie 40, 73–81. typing of Paenibacillus larvae strains isolated from 8) Poppinga L, Janesch B, Funfhaus A, Sekot G, GarciaBulgarian apiaries on Repetitive element Polymerase Gonzalez E, et al. (2012). Identification and Functional Chain (Rep-PCR). Microbiol. 66, 573-577. Analysis of Reaction the S Layer Protein SplACurr of Paenibacillus per quelli dell’altro genotipo. Nel genotipo ERIC II la fermentazione del mannitolo è risultata positiva in 19 ceppi (90,48%) e negativa in 2 (9,52%). I ceppi ERIC I sono sempre risultati negativi. CONCLUSIONI Esiste una stretta correlazione tra la morfologia delle colonie e i risultati della tipizzazione genetica con ERIC primers. Le colonie di P.larvae di aspetto classico appartengono sempre al genotipo ERIC I, quelle pigmentate e/o atipiche al genotipo ERIC II. Si osserva anche la presenza di due distinti “patterns” metabolici. per i ceppi del genotipo ERIC II e negativa per quelli dell’altroLa fermentazione del fruttosio è positiva solo genotipo ERIC genotipo. Nel genotipo ERIC II per la ilfermentazione delII, mannitolo viene è risultata positiva in 19 ceppidal (90,48%) e negativa anche il mannitolo utilizzato soltanto genotipo ERIC II in 2 (9,52%). I ceppi I sono sempre negativi. ma alcuni ceppi (9,52%) non ERIC presentano questarisultati capacità. Le differenze nella morfologia cellulare sono dovute alla presenza CONCLUSIONI di una proteina superficie (denominata espressa solo da Esiste di una stretta correlazione tra laSplA) morfologia delle colonie e i risultati tipizzazione con ERIC primers. Le P.larvae ERIC II (8). della Questa proteinagenetica di superficie (SplA), assente di P.larvae di aspetto classico appartengono sempre in ERIC I, colonie è considerata un fattore di virulenza e determina, oltre al genotipo ERIC I, quelle pigmentate e/o atipiche al genotipo alle differenze l’esistenza un diverso ERICmorfologiche, II. Si osserva anche la dipresenza di meccanismo due distinti patogenetico (8). metabolici. La fermentazione del fruttosio è positiva “patterns” solo per corrisponderebbero il genotipo ERIC II, anche il mannitolo utilizzato Ai due genotipi quindi oltre viene a due diversi genotipo ERIC II ma alcuni ceppi (9,52%) non morfotipi esoltanto biotipi dal anche due diversi patotipi. presentano questa capacità. Le differenze nella morfologia cellulare sono dovute alla BIBLIOGRAFIA presenza di una proteina di superficie (denominata SplA) espressa solo da P.larvae ERIC E., II (8). Questa G., proteina di 1) Bassi S., Salogni C., Carpana Paganelli Gelmini superficie (SplA), assente in ERIC I, è considerata un fattore L., Carra E. (2012). “Prevalence of Paenibacillus larvae di virulenza e determina, oltre alle differenze morfologiche, genotype I andmeccanismo ERIC II inpatogenetico two italian(8).regions”. l’esistenza ERIC di un diverso Ai due genotipi of corrisponderebbero quindi oltre a due diversiof Proceedings the 5° European Conference morfotipi e (EURBEE). biotipi anche Halle due diversi patotipi. Apidology an der Saale (Germany) 3-7 September 2012, 218. BIBLIOGRAFIA 2) Dobbelaere W, de Graaf DC, Peeters JE, Jacobs FJ 1) Bassi S., Salogni C.,ofCarpana Paganelli G., diagnostic Gelmini L., (2001). Development a fast E., and reliable Carra E. (2012). “Prevalence of Paenibacillus larvae method for American foulbrood disease (Paenibacillus genotype ERIC I and ERIC II in two italian regions”. Proceedings of the 5° European Conference of Apidology larvae subsp. larvae) using a 16S rRNA gene based (EURBEE). Halle an der Saale (Germany) 3-7 September PCR. Apidologie 32, 363–370 2012, 218. 3) Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A., Figura 1- Colonie gen. ERIC I Figura 2 - Colonie pigmentate gen. ERIC II larvae, the Causative Agent of Honey Bees. PLoS American Foulbrood of Pathog 8(5): Si ringraziano per la collaborazione nella documentazione e1002716.doi:10.1371/journal.ppat.1002716. 9) Rusenova Parvanov P, Stanilova (2013). Molecular fotografica il Dr.N.,Luca Gelmini e il Dr.S.Gianluca Rugna dell’IZSLER typing of Paenibacillus larvae strains isolated from - e il Dr. Massimo Tonelli del C.I.G.S. (Centro Interdipartimentale Bulgarian apiaries on Repetitive element Polymerase GrandiChain Strumenti UniversitàCurr di Modena e Reggio Reaction- (Rep-PCR). Microbiol. 66, 573-577. Emilia). Figura 3 - Colonie non pigmentate gen. ERIC II Figura 4 - Colonie gen. ERIC I (A-B) e gen. ERIC II (C-D-E-F) A B C D E F Figura 5 – Colonia non pigmentata gen. ERIC II dopo trapianto in MYPGP Figura 6 - Colorazione Gram – Forme vegetative gen. ERIC I (A) e gen. ERIC II (B) D A C B E Figura 7 – Forme vegetative gen. ERIC I (A) e gen. ERIC II (B) (SEM 10.000 x) A A B B B Si ringraziano per la collaborazione nella documentazione fotografica il Dr. Luca Gelmini e il Dr. Gianluca Rugna dell’IZSLER e il Dr. Massimo Tonelli del C.I.G.S. (Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti - Università di Modena e Reggio Emilia). 131 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Isolamento di P.larvae in api importate dall’Argentina: confronto della sensibilità’ agli antibiotici dei ceppi isolati con quella di ceppi italiani Bassi S.1, Milito M.2, Giacomelli A. 2, Carra E. 1, Cordaro G. 2, Cersini A. 2, Formato G. 2, Pizzuto A. 1, Amoruso R. 2, Franco A. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Sezione di Modena 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana Key words: Paenibacillus larvae, oxytetracycline, import queen bees SUMMARY In several countries oxytetracycline is authorized for the American foulbrood (AFB) control, but this practice results in an increasing of the probability to generate Paenibacillus larvae (P. larvae) strains resistant to this antibiotic. International trade in live bees and bee products represents the best way for these resistant bacteria to spread all over the world. In Italy importation of honey bee queens from Argentina is considerably increased and in Argentina the presence of oxytetracycline-resistant strains of P. larvae has been largely demonstrated. This work aims to compare the antibiotic sensitivity of P. larvae strains isolated from worker bees imported from Argentina respect to other P. larvae strains obtained from AFB outbreaks from North and Central Italy. INTRODUZIONE L’importazione di api vive da Paesi terzi nell’EU è disciplinata dal Regolamento (UE) N. 206/2010. I controlli ufficiali previsti all’atto dell’importazione sono finalizzati soprattutto alla profilassi dell’ aethiniosi e della tropilaelapsosi, patologie esotiche a rischio di introduzione nel territorio comunitario. Il principale tramite per l’introduzione nell’EU di queste patologie, è il commercio di api regine dai Paesi terzi. Questo commercio è oggi molto sviluppato e riguarda in particolare l’importazione di api regine dall’Argentina. Negli ultimi 7 anni sono state importate in Italia da tale Nazione circa 9.000 api regine. Gli accertamenti necessari per individuare l’eventuale presenza di Aethina tumida (comprese le sue uova e le sue larve) e dell’acaro Tropilaelaps spp. sono eseguiti dai Laboratori degli IIZZSS individuati dal MINSAN e vengono fatti all’arrivo delle api sul territorio nazionale analizzando sia il materiale vivo (api regine e api accompagnatrici) che il resto del materiale di accompagnamento (imballaggi, gabbiette, substrati impiegati per la nutrizione e l’abbeverata delle api). Al termine dei controlli le api accompagnatrici vengono sacrificate e distrutte insieme a tutto il materiale di accompagnamento, mentre le api regine vengono trasferite in nuove gabbiette con accompagnatrici italiane. In Argentina è autorizzato l’impiego dell’ossitetraciclina per il trattamento delle forme pestose delle api ed a seguito dell’impiego diffuso e prolungato di tale antibiotico è segnalata da tempo la presenza di ceppi di P.larvae resistenti a questo antibiotico (1, 2). E’ noto anche che le api adulte possono veicolare spore di P. larvae (5) e rappresentano buoni indicatori della presenza di questo patogeno in un alveare o in un apiario (6). Attraverso l’importazione di api vive esiste dunque il rischio di introdurre ceppi di P.larvae resistenti alle tetracicline, che a tutt’oggi non sono stati mai segnalati in Italia. Scopo del nostro lavoro è stato quello di sottoporre le api accompagnatrici importate dall’Argentina ad un esame batteriologico per la ricerca di P.larvae e confrontare la sensibilità agli antibiotici di questi ceppi con quella di altri ceppi italiani isolati da focolai di peste americana (P.A.) diagnosticati in Italia. MATERIALI E METODI Sono state esaminate 6 partite di api importate dall’Argentina comprendenti complessivamente 4.299 api regine introdotte in Italia attraverso l’aeroporto di Fiumicino negli anni 2012 e 2013. Le api provenivano da due aziende argentine ubicate in Buenos Aires (2012) e San Rafael (2012 e 2013). Dopo i controlli finalizzati alla ricerca dei suddetti parassiti esotici le api accompagnatrici, prima di essere distrutte, sono state sottoposte alla ricerca di P.larvae. Tutte le api sono state controllate esaminando pool costituiti da 100 soggetti per un totale di 109 pool con la tecnica descritta da Lindström e Fries (6) senza eseguire la centrifugazione dell’omogenato. Ventotto isolati di P. larvae così ottenuti sono stati sottoposti al saggio per la resistenza agli antibiotici. A tali prove sono stati sottoposti anche 59 ceppi provenienti da altrettanti focolai di P.A. diagnosticati in Regioni del centronord Italia, tra il 1994 ed il 2012. La distribuzione geografica dei ceppi nazionali esaminati era piuttosto ampia e interessava complessivamente 22 Province di 8 diverse Regioni. Tutti gli isolati sono stati identificati su base morfologica e biochimica (prova della catalasi) e confermati in PCR (3). I ceppi sono stati poi genotipizzati mediante rep-PCR con impiego di Enterobacterial Repetitive Intergenic Consensus (ERIC) primers (4). Tutti gli isolati sono stati sottoposti a saggio della sensibilità agli antibiotici secondo la tecnica di diffusione in agar con le modalità decritte nel documento M31-A3 del Clinical and Laboratory Standards Institute (CLSI), nei confronti delle molecole tetraciclina e sulfissoxazolo. I risultati ottenuti sono stati interpretati secondo le tabelle CLSI. Per tetraciclina gli isolati che hanno mostrato un profilo di resistenza o un alone di inibizione inferiore a 20 mm sono stati sottoposti a saggio in PCR per la ricerca del gene tetL (7). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 dell’IZSLER e dell’IZSLT e isolati nell’arco di quasi un ventennio, si sono riconfermati alle prove di identificazione come P.larvae. Sulla base dei risultati ottenuti dalla genotipizzazione con ERIC primers, 49 di questi ceppi appartenevano al genotipo ERIC I e 10 (tutti provenienti dal nord Italia) al genotipo ERIC II. Tutti i ceppi sono stati testati per la resistenza agli antibiotici (28 + 59). Solo un ceppo di P.larvae genotipo ERIC II isolato in Emilia Romagna nel 2012 da un focolaio di malattia ha mostrato resistenza nei confronti di tetraciclina. Tale ceppo è stato sottoposto a saggio in PCR con esito positivo per il gene tetL. Per quanto riguarda il sulfixossazolo soltanto un isolato proveniente dalla provincia di Latina ha mostrato un fenotipo di resistenza. Bisogna considerare che le api importate provenivano soltanto da due aziende il che rende meno rappresentativi i dati sulla presenza di ceppi di P.larvae resistenti alla tetraciclina nel materiale vivo di importazione. Tuttavia i risultati esposti mostrano, al di là del fatto che le importazioni di api comportano comunque un rischio di introduzione di particolari patogeni, che, a differenza di quanto si supponeva, anche in Italia circolano ceppi di P.larvae resistenti alla tetraciclina. La percentuale di resistenza alla tetraciclina e al sulfixossazolo in isolati di P.larvae del nostro Paese sembra essere piuttosto bassa. Se da un lato si tratta di un dato non particolarmente preoccupante dall’altro sta ad indicare che nonostante il divieto di impiego di antibiotici nella UE per il trattamento della Peste Americana queste molecole vengono ancora usate per combattere la malattia. Questo uso, oltre al rischio della presenza di residui di antibiotici nel miele, porta nel tempo allo sviluppo di ceppi resistenti. I risultati ottenuti inducono a monitorare con maggior frequenza e ad approfondire ulteriormente le indagini nei confronti della resistenza agli antibiotici negli agenti batterici patogeni delle api al fine di conoscere meglio la situazione reale e come linea da perseguire per una corretta interpretazione dei principi di precauzione per la tutela del patrimonio apistico nazionale e comunitario. BIBLIOGRAFIA 1.Alippi A.M. (1996). Characterization of isolates of Paenibacillus larvae with biochemical type and oxytetracycline resistance. Rev Argent Microbiol. 28,197-203. 2.Alippi, A. M. (2000) Is Terramycin R losing its effectiveness against AFB? The Argentinian experience. Bee Biz. 11, 2729. 3.Dobbelaere W, de Graaf DC, Peeters JE, Jacobs FJ (2001). Development of a fast and reliable diagnostic method for American foulbrood disease (Paenibacillus larvae subsp. larvae) using a 16S rRNA gene based PCR. Apidologie 32, 363–370. 4.Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A., Rauch S., S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification of Paenibacillus larvae subsp. pulvifaciens and Paenibacillus larvae subsp. larvae as Paenibacillus larvae without subspecies classification. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56, 501- 511. 5.Hornitzky M.A.Z.e Karlovskis S. (1989). A culture technique for the detection of Bacillus larvae in honeybees. J. Apic. Res. 28, 118-120. 6.Lindström A., Fries I. ( 2005). Sampling of adult bees for detection of American foulbrood (Paenibacillus larvae subsp larvae) in honey bee (Apis mellifera) colonies. J. Apic. Res. 44, 82–86 7.Murray KD., Aronstein KA (2006). Oxytetracycline-resistance in the honey bee pathogen Paenibacillus larvae is encoded on novel plasmid pMA67. J. Apic. Res 45, 207-214. RISULTATI E DISCUSSIONE Sono risultati positivi per P.larvae 47 pool di api argentine importate su 109 esaminati. La valutazione della carica di spore presenti nelle api accompagnatrici non era tra gli obiettivi di questa indagine, tuttavia si rileva che nei pool positivi i valori numerici delle spore sono sempre stati molto bassi. Da 28 pool positivi sono stati selezionati altrettanti ceppi da sottoporre successivamente alle prove di sensibilità agli antibiotici. I 59 ceppi di origine nazionale, provenienti dalle ceppoteche 132 133 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VI.E.W. 2.0: EVOLUZIONE DEL SISTEMA DI VISUALIZZAZIONE DEGLI ESITI ON-LINE DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J., Faccenda L., Mingolla A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, Perugia Key words: SIGLA, VIEW 2.0, Web Application ABSTRACT The new version of SIGLA 4.0 required the update of the application Vi.E.W.. Vi.E.W., in use at the Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche since 2006, is used to communicate, by web, the examinations results for external users. The application takes into account the new innovations introduced by SIGLA 4.0, among which the most important is the digital management of analytic report (RdP). The result of this management is a PDF file with double digital signature. This novelty has lead to the realization of Vi.E.W. 2.0, which enables the users to download the required data. In order to meet the requirements, the type of download can be massive or timely. Vi.E.W. 2.0 includes new functions for the information flow and this allow the Institute to attract users and establish loyal relationships with them. INTRODUZIONE Dal giugno 2013 presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche è stato attivato SIGLA 4.0, una nuova versione del sistema informativo sanitario già in uso dal 1996. La più importante innovazione tecnologica, introdotta dal nuovo sistema, è quella legata alla gestione digitale dei Rapporti di Prova, prodotti in formato PDF, sui quali si appone la doppia firma digitale dei responsabili di Accettazione e Laboratorio. I Rapporti così costituiti sono sistematicamente (salvo i casi in cui sia necessaria la gestione differenziata puntuale) trasmessi, all’utenza, attraverso la Posta Elettronica Certificata. In ottemperanza alla normativa di riferimento, i Rapporti, sono trasmessi agli indirizzi PEC delle varie organizzazioni riportati nell’Indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA) che, tipicamente, coincidono con gli indirizzi dei protocolli centralizzati dai quali sono poi smistati agli operatori sanitari competenti. Attorno al nucleo applicativo, rappresentato da Sigla 4.0, sono stati sviluppati o re ingegnerizzati moduli applicativi in grado integrare funzionalità complementari, di migliorare l’integrazione con altri sistemi e di incrementare il livello di interazione dell’Istituto con il mondo esterno. In riferimento a quest’ultimo obbiettivo, e all’impegno di rendere disponibili il maggior numero di servizi attraverso l’uso di Internet, è stato creato, proseguendo un’esperienza favorevole già iniziata nel 2006, un modulo specifico in grado comunicare gli esiti delle prove analitiche attraverso Internet. Questo modulo, denominato Vi.E.W. 2.0, si pone come obbiettivo centrale quello di comunicare, nella maniera più efficiente ed efficace, quindi con la massima tempestività, i risultati analitici delle prove effettuate presso l’Istituto alla sua utenza istituzionale ed in convenzione. Il sistema, migliorando il livello di flessibilità della precedente versione, permette di gestire i privilegi di accesso al dato in maniera ancora più efficace e verticale permettendo la creazione di profili di visibilità estremamente articolati. Obbiettivi correlati allo sviluppo di Vi.E.W. 2.0 sono quelli che prevedono la pubblicazione di informazioni utili nella gestione dei rapporti in convenzione e che riportano il riepilogo delle prestazioni effettuate in base agli accordi stipulati. In generale si tratta obbiettivi in grado di snellire il rapporto con l’utenza esterna a tutto vantaggio dei relativi processi di gestione interna. MATERIALI E METODI Dal punto di vista architetturale la logica alla base della realizzazione di Vi.E.W. 2.0 è quella del tradizionale modello a tre livelli, nel quale si utilizzano, quando opportuno, risorse disponibili nel mondo dell’open source. In particolare la struttura utilizzata è la seguente: Database Layer basato su database Oracle Database - Server Standard Edition (2). - Business Layer basato su tecnologia Apache HTTP Server. - Layout Layer, realizzato tramite pagine web realizzate in tecnologia open source HTML/PHP (1). Per la comunicazione dello strato PHP con quello Oracle Database Server è stata utilizzata la tecnologia OCI - Oracle Call Interface. Per l’implementazione si è fatto riferimento a modelli di virtualizzazione in grado di garantire maggiore efficienza generale e flessibilità nella gestione dei guasti. Dal punto di vista dello sviluppo applicativo il lavoro è stato strutturato nei seguenti steps principali. 1 – Progettazione e realizzazione del nuovo database di VIEW 2.0 Il sistema si basa, come nella precedente esperienza, sull’utilizzo di un database alimentato, in modalità asincrona, da quello, distinto e di natura transazionale, di SIGLA 4.0. Il processo di alimentazione allinea i due database attraverso processi schedulati che operano ogni 15-20 minuti. La progettazione del database di Vi.E.W. 2.0, insegue l’obbiettivo di un efficace e funzionale presentazione del dato, attraverso una razionale configurazione dell’informazione, in grado di favorire il più rapido accesso alle informazioni. La progettazione ha consentito, studiando le varie tipologie di utilizzatori che nel corso degli anni si sono definite, di creare una struttura dati che permettesse di profilare al meglio l’accesso, garantendo differenti tipologia di visibilità del dato da parte dell’utente. 2 - Analisi delle possibili innovazioni funzionali A fronte delle modalità di visualizzazione dei risultati analitici, già presenti sul precedente sistema, è stata introdotta una nuova funzionalità di download, del Rapporto di Prova (RdP) ufficiale, sotto forma di file PDF firmato. Questa possibilità permette, ai vari responsabili delle strutture istituzionali, di disporre del dato ufficiale, in anticipo rispetto ai tempi necessari allo smistamento da parte delle loro organizzazioni. Più in generale permette, in qualunque momento, di accedere al Rapporto di Prova ufficiale. Per incrementare il livello di trasparenza dell’azione, nei confronti gli utenti in convenzione, si è ritenuto utile introdurre una funzionalità che permetta, a questa tipologia di 134 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 utenti, di monitorare l’andamento delle attività svolte ed i relativi costi. Questo allo scopo di favorire la razionale gestione dei piani di attività da parte degli utenti paganti. Si è ritenuto utile introdurre inoltre sistemi di comunicazione, diretti all’utenza convenzionata, che consentissero di veicolare, in maniera puntuale, informazioni circa lo stato di validità del proprio accordo e l’assolvimento degli obblighi di pagamento. Questo allo scopo di supportare l’Istituto nella gestione degli aspetti amministrativi relativi all’utenza esterna. 3 - Razionalizzazione dei processi di gestione La necessità di tenere alto il livello di tempestività nella pubblicazione dell’informazione, ha richiesto la creazione di due processi asincroni di trasposizione del dato da SIGLA 4.0 a Vi.E.W. 2.0. Il primo permette di anticipare il risultato analitico al momento della creazione di un Rapporto di Prova, il secondo di rendere disponibili i documenti in formato PDF nel momento in cui viene apposta la doppia firma digitale. 4 - Realizzazione dell’interfaccia applicativa La radicale variazione del contesto, rispetto alla precedente versione, ha richiesto la totale riscrittura della componente di presentazione dei dati, attraverso la quale si sono introdotte le nuove funzionalità (Fig.1). 5 – Test funzionali ed ulteriori implementazioni La fase di test dell’applicazione, avente come riferimento un target ristretto e rappresentativo dell’utenza esterna, ha evidenziato l’opportunità di introdurre ulteriori funzionalità di supporto, sia per gli utenti in convenzione che per quelli istituzionali. Tra queste, significativa è la funzione che permette il download massivo di Rapporti di Prova, di fondamentale importanza per tutti gli utenti che conferiscono, con particolare frequenza, campioni all’l’Istituto. In questo caso, alla possibilità di scaricare singoli Rapporti di Prova, è stata affiancata la possibilità di poter scaricare file compressi che contengono insiemi di Rapporti di un gruppo di richieste. Questa introduzione, di particolare interesse, risulta spendibile nel processo di rinnovo e di stipula di nuove convenzioni con gli utenti. un ulteriore, ed efficace, veicolo informativo nel processo di comunicazione dell’Istituto con la sua utenza. L’accesso flessibile al dato da parte dell’utente. Una rilevazione ha permesso di verificare che, statisticamente, il 40% dei circa 2.400 accessi mensili sono effettuati, sia per gli utenti istituzionali che per quelli privati, nel fine settimana o fuori dalle ore d’apertura dell’Istituto. In generale il nuovo sistema, rispetto a quello da cui discende, estendendo il perimetro dei servizi offerti, permette di rafforzare l’immagine dell’Istituto all’esterno. Questo risultato contribuisce favorevolmente al processo di attrazione dell’utenza privata in grado di collaborare, con l’Istituto, nell’ambito delle attività in convenzione. In questo senso Vi.E.W. 2.0 assume un ruolo centrale nel processo di stipula, e di rinnovo, degli accordi di convenzione. BIBLIOGRAFIA MacIntyre P., Danchilla B., Gogala M., 2012, PHP 1. per professionisti Fernandez I., 2009, Beginning Oracle Database 2. 11g Administration - From Novice to Professional Fig.1: Maschera di dettaglio di Vi.E.W.2.0 RISULTATI E CONCLUSIONI Dopo una breve fase di test, Vi.E.W. 2.0 è entrato in produzione il 17 giugno di quest’anno. Tra i principali risultati, riscontrati in questo breve periodo di attività, si riportano di seguito quelli ritenuti di maggiore interesse. L’introduzione della funzionalità di download dei Rapporti di Prova ha mostrato di incrementare l’efficacia del servizio offerto all’utenza esterna che, oltre all’anticipazione del risultato, come già avveniva con il precedente sistema, può scaricare il documento avente valore legale. La possibilità di poter rendere maggiormente personalizzabile il profilo di un utente, ha permesso di affrontare casi particolari come quelli che prevedono l’accesso, da parte di utenze istituzionali, all’esito di prove su sottoinsiemi di campionamenti effettuati dalle utenze private. La possibilità di consentire l’accesso al risultato, della singola richiesta, da parte di utenti privati non convenzionati che hanno effettuato il pagamento anticipato della loro prestazione. Questi utenti possono effettuare l’accesso attraverso un account temporaneo ricevuto al momento dell’accettazione dei campioni. Questa opzione richiede una variazione organizzativa prima di essere posta in produzione. La possibilità di veicolare informazioni di vario tipo ai suoi utilizzatori, ad es. scadenza delle convenzioni, sospensione o riattivazione dell’esecuzione di una prova, introduzione di nuove prove, variazione del listino, ecc. Questo rappresenta 135 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DESK: REINGEGNERIZZAZIONE DEI SISTEMI DI SUPPORTO E DI CONTROLLO NELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELL’UMBRIA E DELLE MARCHE Berretta C., Tonazzini S., Olivieri E., Taylor J., Faccenda L., Mingolla A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche, Perugia Key words: SIGLA, DESK, Process Control ABSTRACT Desk born at the IZS Umbria e Marche in order to facilitate and monitor the critical processes related to the conduct of laboratory tests and to support those activities focused on ensuring the standards codified in the Charter of Services. With the introduction of SIGLA 4, Desk replaces a series of processes which used to communicate by e-mail and were previously used to monitor events in the activities of the laboratory. The object is the lifetime of the sample, from reception to reporting. The receivers of the information are: managers and technicians Laboratory and Acceptance, the operators of Quality Assurance and the level directional. The information available for the users are the real-time picture of the situation of SIGLA 4. Desk can be used by any institute using SIGLA 4, and gives its results in Excel and graphic format. It was born as an expression of self-development of IZSUM additional functions to SIGLA 4 which are of particular interest and usefulness. INTRODUZIONE La qualità dei servizi offerti da un Ente Pubblico si misura in relazione alla capacità che lo stesso ha di mantenere, nel tempo, il ‘patto’ con gli utenti. Per fare questo l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ha fissato come obiettivo quello di rispettare gli standard codificati nella Carta dei Servizi. Per favorire il raggiungimento di questo obbiettivo, dal 2003, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ha attivato una serie di sistemi di controllo dei processi correlati alle attività analitiche dei vari laboratori. I processi, soprattutto nelle varie fasi critiche, sono stati sottoposti a controllo puntuale, da sistemi in grado di segnalare, attraverso messaggi di posta elettronica, le varie anomalie permettendo di intraprendere le necessarie azioni per tenere alto il livello di efficienza ed efficacia delle prestazioni erogate. L’entrata in produzione di una nuova versione del sistema informativo sanitario Sigla 4.0, ha richiesto l’aggiornamento delle componenti che costituivano questo modulo di controllo, complementare al sistema cui è connesso. Considerando l’esperienza maturata, valutando i punti di forza e quelli critici, è stato progettato un nuovo sistema, denominato Desk. Il software ha l’obiettivo di incrementare il supporto all’utenza interna, operante a vario titolo nel ciclo di vita del campione, dall’accettazione alla refertazione. I destinatari delle informazioni del nuovo sistema sono: responsabili e tecnici di Laboratorio ed Accettazione, operatori dell’Area di Assicurazione della Qualità ed il livello Direzionale. La caratteristica sostanziale del nuovo software è quella di consentire l’accesso alle informazioni, assemblando dati in tempo reale e garantendo un’immagine del dato critico al momento in cui si richiede l’informazione. Rappresenta una console proattiva che permette di valutare in tempo reale le criticità nelle attività di propria competenza. MATERIALI E METODI Dal punto di vista architetturale la logica alla base della realizzazione di Desk, è quella del tradizionale modello a tre livelli, nel quale sono state utilizzate, quando opportuno, risorse disponibili nel mondo dell’open source. In particolare la struttura utilizzata è la seguente: - Database Layer rappresentato dal database di Sigla 4.0 basato su Oracle Database Server Standard Edition (2). - Business Layer basato su tecnologia Apache HTTP Server. - Layout Layer, realizzato tramite pagine web sviluppate con tecnologia open source HTML/PHP (1). Per la comunicazione dello strato PHP con quello Oracle Database Server, si è utilizzata la tecnologia OCI - Oracle Call Interface. L’ambiente di sviluppo PHP è stato integrato con alcune librerie utili alla presentazione dei risultati in formato grafico e in formato esportabile Excel. Per l’implementazione si è fatto riferimento a modelli di virtualizzazione in grado di garantire maggiore efficienza generale e flessibilità nella gestione dei guasti. Dal punto di vista dello sviluppo applicativo il lavoro è stato strutturato nei seguenti steps principali. 1 - Analisi degli strumenti già utilizzati e dei risultati ottenuti La prima attività ha riguardato la ricognizione e l’analisi dei flussi dati prodotti dai sistemi precedentemente in uso, individuando una rappresentazione significativa delle informazioni di interesse. Prima dell’avvio di Desk il controllo e il supporto alle attività avvenivano mediante procedure schedulate che inviavano automaticamente dati agli utenti interessati. L’aspetto critico di questa logica risiedeva nel fatto che gli utenti non potevano né disporre di dati aggiornati in tempo reale, né esattamente quando ne avevano necessità. 2- Analisi delle esigenze Come integrazione, ed a completamento dell’analisi effettuata al punto precedente, si è attivata la fase di verifica interna in cui sono stati intervistati tutti i soggetti possessori di conoscenza. Sono stati coinvolti responsabili operanti negli ambiti di Accettazione, Laboratorio ed Assicurazione di Qualità. In questa fase si è fatto particolare riferimento ai soggetti che si erano mostrati maggiormente critici nell’uso degli strumenti precedentemente utilizzati. 3 - Progettazione degli oggetti del database Il database di riferimento è lo stesso Oracle Database Server di Sigla 4.0 in cui è stato creato uno specifico schema contenente gli oggetti utili a supportare le necessità di informazioni dell’applicazione Desk. Un aspetto critico nello sviluppo è stato quello di consentire, in tutti i casi, la disponibilità di un dato significativo in tempo reale. A questo scopo sono state create le strutture dati più adatte a soddisfare le specifiche esigenze testando, in alcuni casi, le performance che varie soluzioni tecniche di Oracle Server potevano garantire. 4- Sviluppo dell’applicativo L’applicazione è stata realizzata utilizzando prevalentemente 136 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 le tecnologie del mondo dell’open - source. Questa scelta, è stata effettuata al fine di garantire un risparmio sui costi di licenza che, spesso, rappresentano una delle voci principali del costo totale di un’applicazione. Questa soluzione garantisce l’accesso a tecnologie che prevedono lo scambio continuo di informazioni e feedback nella comunità degli sviluppatori. Queste interazioni sono in grado di supportare la crescita e la formazione generale riducendo la necessità di interventi formativi specifici. Inoltre la scelta dell’ambiente open - source è stata effettuata per capitalizzare il continuo miglioramento e la continua correzione degli errori degli strumenti utilizzati. RISULTATI E CONCLUSIONI Desk analizza e sintetizza, in formato rappresentativo, i dati riguardanti il processo analitico che regola il ciclo di vita del campione, dall’accettazione alla refertazione delle prove. L’autenticazione all’applicazione avviene, per semplicità di utilizzo, attraverso le stesse credenziali per l’accesso a Sigla 4.0. Il sistema permette una profilazione utente in grado di consentire l’accesso sia sulla base del ruolo ricoperto nell’Organizzazione, che dall’unità operativa di riferimento. Si riportano di seguito le funzioni di Desk in relazione alla tipologia di unità operativa di appartenenza. Accettazione Campioni accettati e non presi in carico Campioni accettati e non conclusi Rapporti generati e non emessi Dati riepilogativi Sezione Territoriale Avanzamento Richiesta Elenco stato richieste Utenti convenzionati Avanzamento esami esterni all’Istituto Elenco esami Istituto Esportazione Rapporti di Prova su VIEW 2.0 Laboratorio e Area Tematica Richieste da chiudere (Fig.1) Esami da chiudere Tempi Triage Trend Triage Riepilogo esami svolti Dettaglio esami svolti Trend esami svolti Elenco esami Istituto Qualità e Controllo di Processo Campioni accettati e non presi in carico Campioni accettati e non conclusi Rapporti di prova accreditati Esami da chiudere Tempi Triage Trend Triage Elenco esami Istituto Direzione Trend esami per struttura Trend singolo esame Dati riepilogativi Sezione Utenti convenzionati Tempi Triage Trend Triage Elenco esami Istituto Amministrazione Redazione Gestione Utenti Desk Gestione Profili Gestione Utenti VIEW 2.0 Tutti i dati visualizzati dall’applicazione sono esportabili in formato Excel. In alcuni casi, per facilitare l’interpretazione da parte dell’utente, i dati sono presentati anche in formato grafico. L’applicazione Desk rappresenta, dal punto di vista pratico, uno strumento proattivo utile ad individuare le criticità nella gestione del processo analitico. I suoi punti di forza sono i seguenti: L’applicazione, di tipo web, è collocabile nella Intranet di ogni Istituto che utilizza Sigla 4.0 senza particolari necessità di adattamento o configurazione client. Le informazioni, prelevate direttamente dal database di Sigla 4.0, sono l’immagine, in tempo reale, della situazione analitica. Permette vari filtri ed opzioni di ricerca, per favorire l’interpretazione e l’uso dei risultati da parte dell’utente. Permette di produrre reportistica in formato Excel ed in formato grafico. E’ uno strumento, creato sulla base delle esigenze riscontrate nell’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, che integra le funzionalità presenti in Sigla 4.0 costituendo un ambito di sviluppo autonomo e dinamico. BIBLIOGRAFIA 1. MacIntyre P., Danchilla B., Gogala M., 2012, PHP per professionisti 2. Fernandez I., 2009, Beginning Oracle Database 11g Administration - From Novice to Professional Fig. 1: Funzione Richieste da chiudere 137 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 STUDIO DELL’INTERAZIONE TRA NANOPARTICELLE METALLICHE E CEPPI DI SALMONELLA ENTERICA ATTRAVERSO LA MICROSCOPIA ELETTRONICA A TRASMISSIONE 1 Berton V., 1Montesi F., 2Losasso C., 2Belluco S., 2Cibin V., 1Terregino C., 2Ricci A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie 1 SCS6 Virologia Speciale e Sperimentazione, 2 SCS1 Analisi del Rischio e Sorveglianza in Sanità Pubblica, Legnaro (PD) Key words: Transmission Electron Microscopy, Silver Nanoparticles, Salmonella SUMMARY In the last few decades silver nanoparticles (AgNPs) have been increasingly employed due to their antimicrobial activity. The objective of the present investigation was to evaluate morphological characteristics of AgNPs assemblies with two Salmonella strains (Enteritidis and Senftenberg), which display different sensitivity to silver, with S. Senftenberg exhibiting a resistant phenotype. The modification of AgNPs state of aggregation is a great concern for studies dealing with nanotechnology. In this context the use of Trasmission Electron Microscopy (TEM) could represent a valid tool. Visualization of morphological interaction between AgNPs and Salmonella strains showed an immediate bond between AgNPs and bacterial cells. This interaction resulted to be time limited in the case of S. Senftenberg. Results showed that the antimicrobial effect did not rely on the cellular intake of AgNPs. This suggests the presence of an inhibitory mechanism based on AgNPs adhesion to the bacterial wall. INTRODUZIONE Le proprietà antimicrobiche di alcuni ioni metallici, in particolare dell’Argento, sono estensivamente documentate dalla letteratura scientifica. Il meccanismo che sottende alla tossicità da essi esercitata è stato dimostrato essere aspecifico e basato prevalentemente sulla perossidazione lipidica delle membrane cellulari con conseguente danno ossidativo (1). Il limite di utilizzo degli agenti antimicrobici a base di Ag, quale per esempio il nitrato di argento, deriva dalla facilità di inattivazione in soluzione degli ioni Ag derivati, per complessazione e successiva precipitazione. L’Ag zerovalente è ritenuto essere una valida alternativa ai composti ionici contenenti Ag solo se impiegato sottoforma nanoparticellare (AgNPs). Questo è dovuto al fatto che le NPs, a causa dell’elevato rapporto superficie-volume, sono molto reattive e dotate di elevata attività biologica e potere catalitico, se confrontate con particelle della stessa specie chimica aventi dimensioni maggiori (1). Molti studi dimostrano che il comportamento delle nanoparticelle può essere influenzato da numerosi fattori che agiscono modificando lo stato di aggregazione delle nanoparticelle e la loro interazione con la materia organica presente nell’ambiente. Questo può condizionare fortemente la riproducibilità dei risultati degli studi sperimentali e rende necessaria la valutazione del loro stato fisico lungo l’intero processo sperimentale (2). La microscopia elettronica a trasmissione (TEM) è una delle metodiche d’elezione in fase di caratterizzazione delle nanoparticelle e può essere un valido strumento per predirne il comportamento. Inoltre, essa consente di valutare la dinamica dell’interazione tra nanoparticelle e microrganismi e di studiare i possibili meccanismi d’azione che conferiscono loro potere battericida (3). Questo studio si propone di testare l’efficacia della microscopia elettronica a trasmissione nella valutazione della dinamica di interazione tra nanoparticelle di argento e due diversi ceppi di Salmonella enterica, S. Enteritidis e S. Senftenberg, che presentano una diversa sensibilità all’attività antibatterica delle AgNPs. In particolare il ceppo di S. Senftenberg utilizzato è stato scelto per la sua elevata resistenza all’argento, dimostrata sia attraverso test fenotipici sia attraverso screening genotipico per la presenza di determinanti di resistenza all’argento. Al contrario il ceppo di S. Enteritidis ha dimostrato elevata sensibilità alle AgNPs nei test di inibizione e risulta privo di geni che conferiscono la resistenza verso questo metallo. MATERIALI E METODI Le AgNPs (NM300K) sono state acquistate presso la LGC Standards (US). Come controllo è stato utilizzato il Nitrato di Argento (AgNO3) (Sigma-Aldrich US). La forma e le dimensioni delle AgNPs sono state analizzate al TEM (Philips 208S) depositando 50µl di campione per 10 minuti su una griglia di 200 mesh formvar carbon film. La medesima preparazione è stata utilizzata per studiare a 4 e 24 ore il comportamento delle nanoparticelle a diverse concentrazioni (50, 100, 200 mg/L) in terreno di coltura Mueller Hinton Broth (MHB). I ceppi di Salmonella Enteritidis e Senftenberg sono stati selezionati dalla collezione del laboratorio di referenza OIE per la Salmonellosi. Le colture microbiche sono state mantenute in Agar Tryptone (TA), trasferite in 15ml di MHB e incubate a 37°C per 16 ore, dopo la conferma sierotipica. In seguito le colture di Salmonella, coltivate in MHB fino a raggiungere l’OD600 = 0,3, sono state incubate in agitazione ad una temperatura di 37°C in presenza di AgNPs (50 mg/L). Al TEM è stata studiata la cinetica di interazione tra i sierotipi di Salmonella e le nanoparticelle a 5, 10, 15, 30 minuti, 1, 2, e 4 ore. I campioni sono stati mantenuti a 37°C posti orizzontalmente in una piattaforma oscillante a 225 rpm. Negli intervalli di tempo indicati 50µl di coltura microbica sono stati prelevati e depositati su una griglia di 200 mesh formvar carbon film. Dopo 10 minuti il campione è stato colorato con sodiofosfotungstato pH 6,8 e osservato. Successivamente, per monitorare l’eventuale ingresso delle nanoparticelle all’interno dell’ambiente cellulare, è stata esaminata la cinetica dell’interazione nel tempo (a 2, 4, 6 e 24 ore). In questo caso negli intervalli di tempo indicati, 300 µl di coltura batterica sono stati prelevati e centrifugati a 4000 rpm per 5 minuti in Eppendorf MiniSpin, e risospesi in 300µl di acqua mili-Q (Millipore Corp.). Questa procedura è stata ripetuta per due volte. La preparazione dei campioni per l’osservazione è avvenuta come precedentemente descritto. 138 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI E CONCLUSIONI L’osservazione al TEM delle AgNPs ha evidenziato la presenza di elementi di forma sferoidale con dimensioni comprese tra 15 e 20 nm, in accordo con quanto riportato nella scheda tecnica del prodotto. Le AgNPs osservate si presentano sia in forma aggregata che libera, con prevalenza di quest’ultima (Figura 1). L’osservazione dopo 4 ore d’incubazione delle AgNPs risospese nel terreno di coltura batterico MHB, a concentrazioni di 50 e 100 mg/L, ha mostrato la conservazione della dispersione dimensionale iniziale. La medesima osservazione non è stata confermata dopo 24 ore d’incubazione a causa dell’aumento della formazione di aggregati di nanoparticelle. Aumentando la concentrazione delle AgNPs a 200 mg/L gli aggregati sono stati osservati già dopo 4 ore d’ incubazione (Figura 2). Figura 1: Stato di dispersione delle AgNPs (71 kx). Figura 2: Stato di aggregazione delle AgNPs 200 mg/L dopo 4 ore d’incubazione (71 kx). Dall’analisi della cinetica di interazione tra i due ceppi di Salmonella e le AgNPs emerge che, in entrambi i sierotipi, il legame avviene nei primi 5 minuti, come illustrato in figura 3a e 3b, dove si evidenzia la presenza di AgNPs adese alla parete batterica. Questo risultato potrebbe spiegare la rapida inibizione (nei primi 30 minuti di incubazione) della crescita batterica riscontrata nei saggi di attività antimicrobica precedentemente effettuati (dati non pubblicati). parete cellulare del sierotipo Enteritidis rispetto al sierotipo Senftenberg. Questo diverso grado di interazione potrebbe spiegare la diversa sensibilità dei due ceppi di Salmonella nei confronti delle AgNPs già evidenziata dai saggi fenotipici di resistenza. Inoltre, il legame tra le nanoparticelle e la parete batterica risulta essere estremamente stabile dal momento che continua ad essere osservabile durante l’intera cinetica dell’esperimento. L’interazione tra nanoparticelle e parete batterica continua ad essere evidente anche dopo ripetuti cicli di centrifugazione e risospensione, effettuati al fine di eliminare le nanoparticelle non legate o legate debolmente ai microrganismi, confermandone l’elevata stabilità. Questo effetto è costante nel tempo ed è visibile fino a 24 ore nel caso di S. Enteritidis (Fig. 5a), mentre si esaurisce nelle prime 6 ore di incubazione nel caso di S. Senftenberg. In quest’ultimo caso, dopo 6 ore, è possibile osservare la presenza di cellule batteriche non legate a nanoparticelle e in fase di duplicazione (Fig. 5b). Quest’ultimo risultato è coerente con i dati ottenuti dai saggi di tossicità in vitro, che dimostrano la presenza di un meccanismo specifico di resistenza nel sierotipo Senftenberg, che è caratterizzato da una maggior capacità di moltiplicazione cellulare in presenza di argento. Dall’analisi delle figure 5a e 5b, inoltre, non si evidenzia la presenza di particelle elettrondense all’interno delle cellule batteriche. Figura 4: Interazione tra AgNPs e sierotipo Enteritidis (11 kx) (a) e sierotipo Senftenberg (8.9 kx)(b). a b Figura 5: Interazione tra AgNPs e S. Enteritidis dopo 24 ore di incubazione (7.1 kx) (a) e Crescita batterica di S. Senftenberg dopo 24 ore di incubazione (4.4 kx) (b). Figura 3: Interazione tra AgNPs e S. Enteritidis (11 kx)(a) e S. Senftenberg dopo 5 minuti (8.9 kx) (b). a a b Dall’osservazione delle immagini riportate in figura 4a e 4b si riscontra che le AgNPs aderiscono in misura maggiore alla b Dai risultati ottenuti si può concludere che le AgNPs interagiscono in modo rapido e stabile con entrambi i ceppi di Salmonella considerati. Questa iinterazione è maggiormente evidente e duratura nel caso di S. Enteritidis, che risulta essere maggiormente sensibile all’azione antimicrobica esercitata dalle AgNPs. L’assenza di nanoparticelle all’interno delle cellule batteriche suggerisce un meccanismo inibitorio basato sull’adesione delle stesse alla parete batterica con un danno ossidativo probabilmente mediato dalla liberazione di ioni argento in 139 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 prossimità delle strutture cellulari. La minore interazione tra AgNPs e S. Senftenberg potrebbe spiegare il fenotipo resistente agli ioni metallici precedentemente riscontrato. Questo studio conferma l’utilità della Microscopia Elettronica a Trasmissione nell’analisi della cinetica delle interazioni tra microrganismi e nanoparticelle. Ulteriori studi sono necessari per verificare la presenza di un eventuale danno ultrastrutturale alla parete batterica causato dall’interzione con le AgNPs. Bibliografia 1) Rai M., Yadav A., Gade A. (2009), Silver nanoparticles as a new generation of antimicrobials, Biotechnol. Adv., 27: 76-83 2) Sanberg M., Orndorff P., Monteiro-Riviere N. (2011), Antibacterial efficacy of silver nanoparticles of different sizes surface, conditions and synthesis methods, Nanotoxicology,, 5: 244-253. 3) Sawosz E., Chwalibog A., Mitura K., Mitura S., Szeliga J., Niemiec T., Rupiewicz M., Grodzik M., Sokolowska A. (2011), Visualization of morphological interaction of diamond and silver nanoparticles with Salmonella Enteritidis and Listeria Monocytogenes, J. Nanosci. Nanotechnol., 11: 1-7. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CONTENUTO DELLE VARIE FRAZIONI PROTEICHE NEL SIERO DI PECORE DI DIFFERENTI ETA’ Bonelli P., Serra S., Re R., Pilo G.A., Pais L., Fresi S., Nicolussi P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi” Key words: elettroforesi, intervalli di riferimento, pecora. Abstract Serum protein electrophoresis is a common proven technique in veterinary laboratory medicine. Changes in concentrations of albumin and α, ß and γ globulins can provide useful diagnostic and prognostic information. The purpose of this study was to compare serum protein concentrations of sheep of different ages and to establish reference intervals for ovine species. Serum protein electrophoresis was performed, using an automated agarose gel electrophoresis system, on blood samples collected from lambs (n=20), 1-years old (n=20) and 3-years old (n=70) ewes. Mann-Whitney test showed agerelated differences especially evident in lambs compared to adult animals. Reference intervals were calculated, excluding data referred to lambs, for total protein (6.5-8.8 g/dL), albumin (42.5-57.1 g/dL), α1 globulins (3.2-5.5%), α2 globulins (7.5-14%), ß globulins (4-9.1%) and γ globulins (19.3-37.2%). Establishment of dedicated reference values for lambs is suggested. Introduzione L’elettroforesi delle proteine sieriche è un test di laboratorio consolidato che permette di separare le proteine del siero in base alla loro dimensione e carica elettrica quando sottoposte all’azione di un campo elettrico. La carica netta definisce le caratteristiche della migrazione elettroforetica di ciascuna specie proteica ad un determinato valore di pH. L’elettroforesi effettuata su gel di agarosio a pH alcalino permette di separare le proteine del siero in 5 bande principali: l’albumina e quattro globuline denominate α1, α2, β e γ. L’albumina è un’importante proteina di trasporto che costituisce il 35-50% delle proteine sieriche totali negli animali (1) ed ha un ruolo fondamentale nella regolazione della pressione oncotica. Le α globuline includono alcune proteine della fase acuta (ceruloplasmina, aptoglobina, α-2 macroglobulina); le β globuline comprendono proteine della fase acuta, la transferrina, alcune lipoproteine nonchè proteine del complemento; mentre le γ globuline sono costituite essenzialmente da IgA, IgM, IgE, e IgG, anche se alcune immunoglobuline possono migrare nella frazione β. Il contenuto delle varie frazioni proteiche può modificarsi in base a vari fattori quali l’età, lo stato fisiologico, nutrizionale e sanitario. Le variazioni qualitative e quantitative forniscono informazioni che costituiscono un utile supporto nella diagnosi di laboratorio di molte patologie. Il presente lavoro si poneva l’obiettivo di comparare le concentrazioni delle frazioni proteiche del siero ovino in animali di differente età. Inoltre si sono voluti definire gli intervalli di riferimento della specie ovina indispensabili per una valutazione clinica dell’esame di laboratorio. Materiali e metodi Animali La prova è stata condotta su un gregge di ovini di razza sarda di differenti età le cui ottimali condizioni sanitarie 140 erano stato confermate attraverso visite cliniche ed esami di laboratorio (esami biochimici, emocromo). E’ stato quindi selezionato un gruppo sperimentale costituito da agnelli di circa 3 mesi (n=20), pecore primipare di circa 1 anno (n=20), pecore pluripare adulte di circa 3 anni di età (n=100). Campionamento ed esami di laboratorio I campioni di sangue sono stati raccolti in provette senza anticoagulante e il siero separato tramite centrifugazione a 1600g per 7 minuti a 16°C. La concentrazione delle proteine sieriche è stata determinata mediante un adattamento del metodo del biureto (2) utilizzando un analizzatore automatico (Dimension RxL, Siemens). La separazione elettroforetica delle proteine sieriche è stata effettuata su gel di agarosio mediante l’impiego di un sistema automatico (G26, Interlab) secondo le procedure descritte dal produttore. In seguito alla lettura densitometrica, il software gestionale dello strumento (Elfolab, Interlab) permetteva l’identifcazione delle diverse frazioni proteiche, la loro verifica da parte dell’operatore e la costruzione del grafico delle concentrazioni relative (Fig.1). Le elaborazioni statistiche sono state effettuate con il software Minitab (Minitab inc.). I dati delle concentrazioni delle frazioni proteiche sono stati esaminati con il test di Anderson-Darling per la valutazione della normalità della distribuzione dei dati. Eventuali differenze significative riscontrabili tra i dati relativi alle diverse età degli ovini esaminati sono state evidenziate tramite il test non parametrico di Mann-Whitney. Gli intervalli di riferimento sono stati calcolati secondo le raccomandazione dell’International Federation of Clinical Chemistry (IFCC) (3). Risultati e conclusioni In tabella 1 sono riportati i contenuti delle proteine sieriche delle pecore di differenti età. I risultati mostrano come esistano differenze significative nei gruppi esaminati ed in particolar modo negli agnelli rispetto alle pecore primipare e pluripare. I valori degli agnelli sono stati, di conseguenza, esclusi per la costruzione degli intervalli di riferimento. I dati relativi alle concentrazioni delle proteine totali e delle varie frazioni proteiche seguono una distribuzione non normale, come risulta dal test di Anderson-Darling. Per tale motivo la costruzione degli intervalli di riferimento della specie ovina , eseguita su 120 animali adulti (età compresa tra 1 e 3 anni), è stata effettuata tramite il calcolo del 2,75° e 97,5° percentile (Tabella 2). La disponibilità di intervalli di riferimento speciespecifici rappresenta un presupposto indispensabile per l’interpretazione del dato di laboratorio, garantendo l’attribuzione di un preciso significato clinico ai valori osservati. A tal fine si rende necessario l’approntamento di intervalli di riferimento validi esclusivamente per gli agnelli. 141 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fiura.1. Grafico esemplificativo di un esame elettroforetico delle proteine sieriche ovine INDAGINI SULLA PRESENZA DI Escherichia coli VEROCITOTOSSICI (VTEC) IN ALLEVAMENTI DI BOVINI DA LATTE DEL LODIGIANO Borella L.1, Bianchini V.1, Lentini L.1, Sabatucci G.2, Bertasi B.2, Finazzi G.3, Luini M.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Lodi Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardiacoli e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologie Acidi Nucleici Applicate agli INDAGINI SULLA PRESENZA DIdella Escherichia VEROCITOTOSSICI (VTEC) IN ALLEVAMENTI DI BOVINI Alimenti, Brescia DA LATTE DEL LODIGIANO 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Microbiologia, Brescia 1 2 1 1 1 2 2 3 Borella L. , Bianchini V. , Lentini L. , Sabatucci G. , Bertasi B. , Finazzi G. , Luini M. Key words: VTEC, calves, dairy herds 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Lodi Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologie Acidi Nucleici Applicate agli Alimenti, Brescia azienda, suddivisi in duedi campionamenti). 63 campioni sono SUMMARY 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Microbiologia, Brescia 2 Tabella 1. Concentrazioni delle proteine totali e delle varie frazioni proteiche in pecore di differenti età. A lettere diverse corrispondono differenze significative (P≤0.05) 3 Mesi Albumina (%) α1-globuline (%) α2-globuline (%) β-globuline (%) γ-globuline (%) Proteine totali g/dL 8-12 Mesi 63,49±4,21 4,24±0,59a 36 Mesi 50,16±4,26b 50,87±4,56 3,83±0,31b a b 13,675±1,79a 4,69±1,16a 13,89±2,86a 6,44±0,31a 4,24±0,71a 10,95±1,22b 11,21±1,99b 5,075±0,87a 5,724±1,67b 29,27±4,2b 28,75±5,75b 7,62±0,58c 8,11±0,49b Tabella 2. Intervalli di riferimento delle varie frazioni di proteine sieriche di pecore adulte Percentili Frazioni proteiche 2,5 50 97,5 Albumina (%) 42,47 51,2 57,13 α1-globuline (%) 3,19 4 5,5 α2-globuline (%) 7,5 11,55 13,92 β-globuline (%) 4 5,5 9,08 γ-globuline (%) 19,28 27,8 37,22 Proteine totali (g/dl) 6,49 7,8 8,81 Bibliografia 1. Kaneko JJ. 1997. Serum proteins and the dysproteinemias. In: Kaneko JJ, editor. Clinical biochemistry of domestic animals. San Diego (CA): Academic Press. p 117-138 2. Henry RJ. In: Clinical chemistry, Principles and Technics. Harper and Row, New York, NY 1974, pp 407-421. 3. Solberg HE. The IFCC recommendation on Estimation of reference intervals. The RefVal program. Clincal chemistry and laboratory medicine. 2004; 42:710-714. 142 stati raccolti nella stagione invernale (febbraio-marzo) e 53 in Cattle are the main reservoir of human pathogenic VTEC. We words:VTEC VTEC, calves, dairy herds(giugno-agosto). quella estiva considered 7 dairy farms and we detected andKey isolated from calves in 6 herds, observing an increased rate of fecal - 85 campioni di animali di 4 categorie d’età (15 manzette di 1-7 64 feci10dimanze animalididi8-14 diversa età20derivanti da15-24 altre indagini e SUMMARY mesi, manze di mesi e 40 carriage in warmer months (11% in winter, 36% in summer). In - mesi, dall’attività diagnostica della sezione IZSLER di Lodi. Cattle are the main reservoir of human pathogenic VTEC. We vacche in lattazione) provenienti da un’azienda positiva per a positive herd we also demonstrated a higher prevalence for considered 7 dairy farms and we detected and isolated VTEC VTEC.batteriologici - I campioni di feci sono stati seminati younger (0- to 24-mo old) than for older cattle (70-90 vs 20%). Our Esami su MacConkey agar e contemporaneamente arricchiti in from calves in 6 herds, observing an increased rate of fecal results confirm that shedding of VTEC depends on the season - 64 feci di animali di diversa età derivanti da altre indagini e Acqua Peptonata Tamponata (APT) in rapporto 1:10. Le carriage in warmer months (11% in winter, 36% in summer). dall’attività diagnostica della sezione IZSLER di Lodi. and is likely to be influenced by the age. Moreover, we evaluated piastre ed i brodi sono stati incubati overnight a 37 °C. In a positive herd we also demonstrated a higher prevalence Esami batteriologici I campioni di estratto feci sonodastati seminati su the ability to detect and isolate VTEC through the enrichment Esami molecolari - Il- DNA for younger (0- to 24-mo old) than for older cattle (70-90 vs 1 ml di brodo è stato e con contemporaneamente arricchiti Acqua method proposed by EFSA andshedding with a technique on on the MacConkey 20%). Our results confirm that of VTEC based depends APT e da 4 agar colonie morfologia tipica isolate perinsemina Peptonata Tamponata (APT) in rapporto 1:10.eae, Le vtx1 piastre ed i directseason plating of feces. The first allows to detect the and is likely to method be influenced by thea higher age. diretta su MacConkey. La presenza dei geni e vtx2 (5) brodi sono stati incubati overnight a 37 °C. number of positives, but the subsequent isolation depends on Moreover, we evaluated the ability to detect and isolate VTEC è stata evidenziata tramite multiplex PCR . I geni associati ai - Il DNA è stato da 1 mltramite di brodo APT the availability of immunoseparation assays.by The directand plating through the enrichment method proposed EFSA withis Esami cinque molecolari principali sierogruppi sonoestratto stati indagati Real(4) da 4PCR colonie less sensitive, isolate more strains. ainstead technique based onbut theallows directtoplating of feces. TheThis firstis e Time . con morfologia tipica isolate per semina diretta MacConkey. La presenza dei geni vtx1 vtx2 è stata method allows a higher of positives, but theto su important sincetoit detect will allow furthernumber characterizations relevant Immunoseparazione magnetica - Ineae, caso di epositività per subsequent isolation depends on theinfections. availability of uno dei cinque perassociati l’isolamento dei evidenziata tramiteprincipali multiplexsierogruppi, PCR(5). I geni the comparison with strains causing human ai cinque immunoseparation assays. The direct plating is instead less ceppi il brodo APT èsono statostati sottoposto ad immunoseparazione principali sierogruppi indagati tramite Real-Time PCR(4). (4) sensitive, but allows to isolate more strains. This is important magnetica (IMS) specifica . La presenza geni eae, e INTRODUZIONE Immunoseparazione magnetica - In caso dei di positività pervtx uno since it will allow characterizations relevant to sono the del cinque gene associato al sierogruppo è stata poidei confermata su Gli Escherichia colifurther produttori di verocitotossine (VTEC) dei principali sierogruppi, per l’isolamento ceppi il brodo comparison strains causing human infections. 50 colonie tramite caratterizzatiwith dalla capacità di produrre tossine codificate dai APT è statoisolate sottoposto ad IMS. immunoseparazione magnetica (IMS) Definizioni In questo sono campioni (4) geni vtx1 e vtx2. La maggior parte dei VTEC patogeni per specifica . La presenza deireport geni eae, vtx econsiderati del gene associato al INTRODUZIONE positivi per VTEC quelli per i quali è stato evidenziato in PCR l’uomo possiede anche il gene eae, codificante per un fattore di sierogruppo è stata poi confermata su 50 colonie isolate tramite Gli Escherichia coli produttori di verocitotossine (VTEC) sono un segnale positivo sul brodo APT per i geni vtx1 e/o vtx2 in adesione chiamato intimina(1). Le infezioni umane sono causate IMS. caratterizzati dalla capacità di produrre tossine codificate dai associazione al gene eae, indipendentemente dal principalmente da ceppi con sierogruppo O157, seguito dai Definizioni - In questo report sono considerati campioni positivi geni vtx1 e vtx2. La maggior parte dei VTEC patogeni per corrispondente risultato della semina diretta e dall’isolamento (2) per perinvece, i quali èdefiniti stato evidenziato PCR sierogruppi O26, anche O111, ilO103 O145 . Nel 2011 Germania l’uomo possiede geneeeae, codificante perinun fattore del VTEC ceppo.quelli Sono, ceppi VTECin gli E. un colisegnale isolati (1) sulpura brodo APT per vtx1fattori e/o vtx2 in associazione al si è verificatachiamato un’epidemia da VTEC caratterizzati dalla positivo di adesione intimina in coltura positivi per ii geni suddetti di patogenicità. . LeO104, infezioni umane sono gene eae, indipendentemente dal corrispondente risultato della mancanza del gene eae(3).da ceppi con sierogruppo O157, causate principalmente (2) semina diretta dall’isolamento del ceppo. Sono, invece, definiti Iseguito bovini dai rappresentano la principale riserva di VTEC patogeni RISULTATI E eCONCLUSIONI sierogruppi O26, O111, O103 e O145 . Nel 2011 VTEC gli E. coli suddetti perGermania l’uomo, in particolare di ceppi O157. Essida eliminano modo ceppi Indagini relative alleisolati feci in dicoltura vitellopura - Inpositivi 6 delleper 7 iaziende in si è verificata un’epidemia VTEC inO104, (3) di patogenicità. asintomatico ed intermittente e laeae presenza di ceppi O157 fattori considerate sono stati riscontrati VTEC fra i vitelli campionati, caratterizzati dalla mancanzaVTEC del gene . Inelle bovini rappresentano la principale riserva di VTEC patogenie con un deciso aumento di positività ed isolamenti in estate loro feci sembra essere influenzata dall’età dell’animale (Fig. 1). per in(1)particolare di ceppi O157. Essi eliminano in RISULTATI E CONCLUSIONI dallal’uomo, stagione . modo asintomatico intermittente VTEC e la presenza di Indagini relative alle feci di vitello - In 6 delle 7 aziende La specifica tecnica ed EFSA per la ricerca di VTEC negli animali Figura 1. Feci vitello positive perfraVTEC nella stagione ceppi O157 nelle loro feci sembra essere influenzata dall’età sonodi stati riscontrati VTEC i vitelli campionati, con raccomanda l’esecuzione di un arricchimento in brodo del considerate (1) invernale ed estiva.diI positività numeri sopra le colonne indicano dell’animale e dallada stagione . ad evidenziare la presenza dei un deciso aumento ed isolamenti in estate (Fig.i ceppi 1). campione, seguito PCR volte VTEC isolati. La per la positivi, ricerca dei di geni VTEC negli genispecifica eae, vtx1tecnica e vtx2 e,EFSA sui campioni associati animali raccomanda l’esecuzione di un arricchimento in brodo ai cinque principali sierogruppi patogeni per l’uomo, ed infine del campione, seguito da PCR volte ad evidenziare la l’isolamento dei ceppi(4). presenza dei geni eae, vtx1 e vtx2 e, sui campioni positivi, dei Gli obiettivi del nostro lavoro sono stati valutare: i) la presenza geni associati ai cinque principali sierogruppi patogeni per di VTEC nelle feci di vitelli nella stagione invernale ed estiva; (4) l’uomo, ed infine l’isolamento dei ceppi . ii) la presenza di VTEC in animali di diverse in un’azienda Gli obiettivi del nostro lavoro sono stati età valutare: i) la positiva; iii) capacità rilevamento di campioni e di presenza di la VTEC nelledifeci di vitelli nella stagionepositivi invernale isolamento VTECdidella specifica tecnica EFSA(4) età e di in un ed estiva; ii)dilaceppi presenza VTEC in animali di diverse metodo basato sull’analisi diretta delle feci. un’azienda positiva; iii) la capacità di rilevamento di campioni positivi e di isolamento di ceppi VTEC della specifica tecnica (4) MATERIALI E METODI EFSA e di un metodo basato sull’analisi diretta delle feci. Campionamento - Sono stati analizzati 265 campioni di feci di MATERIALI E di METODI Figura 1. Feci di vitello positive per VTEC nella stagione bovini da latte aziende del lodigiano così suddivisi: Complessivamente è stata riscontrata una prevalenza di estiva. sopra le nella colonne indicano i ceppi - 116 feci di vitelli di età compresa tra 1 e 30 giorni prelevate invernale campioni ed positivi perI numeri VTEC dell’11% stagione invernale Campionamento - Sono stati analizzati 265(12-20 campioni di feci isolati. in 7 aziende selezionate in modo casuale animali per VTEC e del 36% in quella estiva. In inverno sono stati isolati 4 ceppi di bovini da latte di aziende del lodigiano così suddivisi: VTEC eae-vtx1 non appartenenti ad alcuno dei cinque - 116 feci di vitelli di età compresa tra 1 e 30 giorni prelevate 143principali sierogruppi. In estate, invece, sono stati isolati 16 in 7 aziende selezionate in modo casuale (12-20 animali ceppi VTEC, di cui 15 eae-vtx1 e uno eae-vtx2. Tra questi i per azienda, suddivisi in due campionamenti). 63 campioni sierogruppi O111 e O26 sono stati riscontrati rispettivamente sono stati raccolti nella stagione invernale (febbraio-marzo) 5 e 4 volte, mentre il sierogruppo O157 una sola volta. e 53 in quella estiva (giugno-agosto). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Complessivamente è stata riscontrata una prevalenza di campioni positivi per VTEC dell’11% nella stagione invernale e del 36% in quella estiva. In inverno sono stati isolati 4 ceppi VTEC eae-vtx1 non appartenenti ad alcuno dei cinque principali sierogruppi. In estate, invece, sono stati isolati 16 ceppi VTEC, di cui 15 eae-vtx1 e uno eae-vtx2. Tra questi i sierogruppi O111 e O26 sono stati riscontrati rispettivamente 5 e 4 volte, mentre il sierogruppo O157 una sola volta. Risulta complesso confrontare i dati di prevalenza da noi determinati con altri studi a causa delle differenti modalità di selezione degli animali: nella maggior parte delle indagini sono in questa categoria le gli prevalenze riportate 1.3 e classificati come vitelli animali fino a 6 mesivariano di età etra in questa (6) 68% . Altra complicazione è legata al fatto che molti studi sui (6) categoria le prevalenze riportate variano tra 1.3 e 68% . Altra VTEC nel bovino sono focalizzati sul sierogruppo O157 a complicazione è legata al fatto che molti studi sui VTEC nel causa della sua importanza nella patologia umana. bovino sono focalizzati sul sierogruppo O157 a causa della sua La differenza stagionale da noi osservata è già stata descritta importanza nella patologia per i VTEC O157 in diversi umana. lavori, mentre non sono disponibili La differenza dase noiloosservata è già stata descritta sufficienti dati stagionale per stabilire stesso fenomeno si verifichi (1, 6) mentre non sono disponibili per i VTEC diversi lavori, anche per iO157 VTECin non-O157 . Tuttavia, i nostri risultati sufficienti dati per stabilire se lo stesso fenomenoche si verifichi sembrano confermarlo. È interessante sottolineare anche (1, 6) perdii infezioni VTEC non-O157 .daTuttavia, i nostri ilanche numero umane, sia VTEC O157 cherisultati non(2) sembrano confermarlo. interessante sottolineare che anche il O157, aumenta nei mesiÈestivi . numero di infezioni umane, sia da VTEC O157 che non-O157, Indagini in mesi un’azienda aumenta nei estivi(2). positiva per VTEC - Poiché l’eliminazione di VTEC sembra essere legata all’età del (1, 6) bovino , nella stagionepositiva estiva èperstato condotto un Indagini in un’azienda VTEC - Poiché approfondimento nell’azienda G, caratterizzata alto(1, l’eliminazione di VTEC sembra essere legata all’etàdal delpiù bovino numero vitelli positivi le stagioni, indagando la 6) , nella di stagione estiva inè entrambe stato condotto un approfondimento presenza di VTEC in animali di diversa età. In tutte quattro nell’azienda G, caratterizzata dal più alto numeroe di vitelli le fasce d’età campionate è stata determinata una positività positivi in entrambe le stagioni, indagando la presenza di per VTEC, sebbene con prevalenze variabili. Nelle vacche in VTEC in animali di diversa età. In tutte e quattro le fasce d’età lattazione la percentuale di animali positivi è risultata circa campionate è stata determinata una positività per VTEC, quattro volte inferiore rispetto alle altre categorie d’età (20 vs sebbene econ variabili. Nelle vacche in (Fig. lattazione 70-90%) nonprevalenze è stato possibile isolare alcun ceppo 2). la percentuale di animali positivi è risultata circa quattro volte inferiore2.rispetto alle altre (20 vs 70-90%) e non Figura Percentuali di categorie positività d’età ed isolamento di ceppi è statonelle possibile alcun ceppo (Fig. VTEC fasceisolare d’età considerate. Sono2). stati inclusi i vitelli campionati nell’azienda G in estate nello studio precedente. Questa in positività linea con ed altriisolamento studi, nei di quali si Figura osservazione 2. Percentualiè di ceppi riporta che lafasce prevalenza di VTEC, sia O157 che non, i negli VTEC nelle d’età considerate. Sono stati inclusi vitelli animali finonell’azienda ai 24 mesi superiore rispetto a quella campionati G in è estate nello studio precedente. (1, 6) riscontrata nelle vacche . L’associazione tra positività ed nei età quali dell’animale Questa osservazione è in lineaper conVTEC altri studi, si riporta potrebbe essere correlata alla diversa alimentazione, fattori che la prevalenza di VTEC, sia O157 che non, neglia animali di stress cui sono sottoposti gli animali o alriscontrata management fino ai 24amesi è superiore rispetto a quella nelle aziendale. Infatti, nell’azienda sotto studio i bovini dei diversi vacche(1, 6). gruppi d’età sono mantenuti separati e questo potrebbe L’associazione tra positività per VTEC ed età dell’animale spiegare il ritrovamento degli stessi sierogruppi all’interno di potrebbe essere correlata alla diversa alimentazione, a fattori ciascuna categoria considerata. Tra i vitelli è risultato di stress a cuiil sono sottoposti gli (6/10), animali così o al come management predominante sierogruppo O26 tra le aziendale. Infatti, nell’azienda sotto studio i bovini diversi manzette di 1-7 mesi (8/15). Le manze di 8-14 mesidei e quelle gruppi d’età sono mantenuti separati e questo potrebbe spiegare il ritrovamento degli stessi sierogruppi all’interno di ciascuna categoria considerata. Tra i vitelli è risultato predominante il sierogruppo O26 (6/10), così come tra le manzette di 1-7 mesi (8/15). Le manze di 8-14 mesi e quelle di 15-24, allevate in due box separati all’interno dello stesso capannone, erano positive soprattutto per O145 (3/10 e 8/20, rispettivamente). Nessuna delle vacche analizzate è risultata positiva per i cinque principali sierogruppi. Gli 11 casi in cui è stata riscontrata positività solo per vtx non sono stati inclusi tra i risultati presentati, in quanto Confronto tra metodiche Per rilevare la presenza di VTEC (4) l’interpretazione dei dati si è-basata sulla metodica EFSA , che nelle feci bovine, in una prima fase la PCR per i geni eae e considera positivi i campioni caratterizzati dalla contemporanea vtx è stata eseguita sia su 4 colonie isolate per semina diretta presenza di eae e vtx. Tuttavia, il focolaio tedesco del 2011(3) che sul brodo APT. 119 campioni sono stati analizzati con ha evidenziato la necessità di riconsiderare la definizione del questo approccio. Alla positività per eae e vtx delle colonie rischio associato alla presenza di VTEC, in quanto anche corrispondeva sempre un analogo riscontro sull’APT, maceppi non privi del geneL’analisi eae potrebbero essere l’uomo. di viceversa. dell’APT ha, patogeni infatti, per permesso XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. Caprioli A., Morabito S., Brugère H., Oswald E., 2005. Enterohaemorragic Escherichia coli: emerging issues on virulence and modes of transmission. Vet Res. 36, 289-311. 2. EFSA, 2013. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2011. EFSA J. 11(4):3129. 3. Bielaszewska M., Mellmann A., Zhang W., Köck R., Fruth A., Bauwens A., Peters G., Karch H., 2011. Characterisation of the Escherichia coli strain associated with an outbreak of haemolytic uraemic syndrome in Germany, 2011: a microbiological study. Lancet Infect Dis 11, 671-676. 4. EFSA, 2009. Technical specifications for the monitoring and reporting of VTEC on animals and food (VTEC surveys on animals and food) on request of EFSA. EFSA J. 7,1366. 5. Franck S., Bosworth B., Moon H., 1998. Multiplex PCR for Enterotoxigenic, Attaching and Effacing, and Shiga Toxin-producing Escherichia coli Strains from calves. J Clin Microbiol. 36, 1795-1796. 6. Hussein H., Sakuma T., 2005. Prevalence of shiga toxin-producing Escherichia coli in dairy cattle and their products. J Dairy Sci. 88, 450-465. evidenziare 16 campioni positivi per VTEC in più. Per i Confronto tra metodiche rilevare la presenza di VTEC successivi 146 campioni la- Per PCR sull’APT è stata utilizzata nelle bovine, di in screening una prima efase la PCR isolate per i geni e vtx comefeci metodica le colonie pereae semina èdiretta stata sono eseguita su 4 colonie isolatesui percampioni semina diretta statesia indagate solamente positivi.che In sul brodo APT. 119 campioni sonopositiva stati analizzati questo presenza di almeno una colonia per eae con e vtx, si è proceduto Alla conpositività l’isolamento del eceppo e lacolonie determinazione del approccio. per eae vtx delle corrispondeva sierogruppo. In riscontro caso contrario, la non determinazione del sempre un analogo sull’APT, ma viceversa. L’analisi sierogruppo è avvenuta sul DNA estratto dal e il positivi ceppo dell’APT ha, infatti, permesso di evidenziare 16brodo campioni è stato IMS specifica per i cinque per VTECisolato in più.tramite Per i successivi 146 campioni la PCRprincipali sull’APT In 16 casimetodica è stato eseguito un tentativo di ricerca èsierogruppi. stata utilizzata come di screening e le colonie isolate dei geni eae e vtx su 15 colonie ottenute dalla semina per semina diretta sono state indagate solamente sui campioni dell’APT su terreno MacConkey, con un solo esito positivo. positivi. In presenza di almeno una colonia positiva per eae e vtx, La PCR eseguita sul brodo APT sembra permettere di si è proceduto con l’isolamento del ceppo e la determinazione del rilevare un maggior numero di positivi, probabilmente grazie sierogruppo. In caso contrario, la determinazione del sierogruppo all’arricchimento dei campioni con una bassa carica ècontaminante. avvenuta sul DNA estratto brodo e il ceppo è stato Tuttavia, addalun segnale positivo in isolato PCR tramite IMS specifica per i cinque sierogruppi. In 16 casi potrebbe non corrispondere un principali ceppo VTEC vitale, per cui si èdovrebbe stato eseguito un tentativo di ricerca dei geni eae e vtx su 15 procedere con l’isolamento dall’APT, possibile solo colonie dalla semina dell’APT su terreno IMacConkey, per gli ottenute E. coli dei quali è noto il sierogruppo. tentativi di con un solo esito positivo. isolamento di ceppi VTEC dall’APT tramite IMS e successive La eseguitahanno sul avuto brodo successo APT sembra di PCRPCR di conferma solo inpermettere 7 casi su 33. rilevare un del maggior di positivi, per probabilmente L’isolamento ceppo numero è anche necessario confermare che i geni vtx e gli altri fattori di virulenza associati grazie all’arricchimento dei campioni con(eae, una geni bassa carica ai cinque principali sierogruppi) siano nellainstessa cellula contaminante. Tuttavia, ad un segnale positivo PCR potrebbe batterica ed escludere la presenza particelle fagiche libere, non corrispondere un ceppo VTEC di vitale, per cui si dovrebbe in quanto icon genil’isolamento vtx sono trasmessi da fagi. Ilsolo monitoraggio procedere dall’APT, possibile per gli E. delladeipresenza dei il soli geni vtxI tentativi e/o eaedi èisolamento comunque coli quali è noto sierogruppo. di importante per la facilità con cui E. coli acquisisce elementi ceppi VTEC dall’APT tramite IMS e successive PCR di conferma genici, che potrebbe portare all’insorgenza di nuovi ceppi hanno avuto successo solo in 7 casi su 33. L’isolamento del patogeni, come avvenuto per VTEC O104 associato ceppo è anche necessario per confermare che i geni vtx e gli (3) all’epidemia del 2011 in Germania . altri fattori di virulenza (eae, geni associati ai cinque principali Sebbene l’analisi di colonie isolate dalla semina diretta sierogruppi) siano nella stessa cellula batterica ed escludere la permetta di evidenziare un minor numero di campioni positivi, presenza particelle fagicheindipendente libere, in quanto vtx sono essendo diuna metodica dal i geni sierogruppo, trasmessi Il monitoraggio dellameno presenza dei soli geni consente da di fagi. isolare anche ceppi frequentemente vtx e/o eae è la facilità cui E. coli associati a comunque malattia importante nell’uomo,per ma che conpotrebbero acquisisce elementi che potrebbe portare all’insorgenza di ugualmente esseregenici, patogeni. nuovi ceppi patogeni, come VTEC O104 di associato Indipendentemente dalla avvenuto modalità,perl’isolamento ceppi (3) all’epidemia 2011 in Germania VTEC restadelun passaggio fondamentale per successive . caratterizzazioni e tipizzazioni necessarie per ildiretta confronto con Sebbene l’analisi di colonie isolate dalla semina permetta i ceppi di origine di evidenziare unumana. minor numero di campioni positivi, essendo una metodica indipendente dal sierogruppo, consente di BIBLIOGRAFIA isolare anche ceppi meno frequentemente associati a malattia 1. Caprioli A., Morabito S., Brugère H., Oswald E., 2005. nell’uomo, ma che potrebbero ugualmente essere patogeni. Enterohaemorragic Escherichia coli: emerging issues on Indipendentemente dalla modalità, l’isolamento di ceppi virulence and modes of transmission. Vet Res. 36, 289-311. VTEC un European passaggio fondamentale per onsuccessive 2. EFSA,resta 2013. The Union Summary Report Trends and Sources of eZoonoses, Zoonotic Agents Food-borne caratterizzazioni tipizzazioni necessarie perand il confronto con i Outbreaks in 2011. EFSA J. 11(4):3129. ceppi di origine umana. 3. Bielaszewska M., Mellmann A., Zhang W., Köck R., Fruth A., di 15-24, allevate in due box separati all’interno dello stesso Bauwens A., Peters G., Karch H., 2011. Characterisation of the capannone, erano positive soprattutto per O145 (3/10 e 8/20, Escherichia coli strain associated with an outbreak of rispettivamente). Nessuna delle vacche analizzate è risultata 144 haemolytic uraemic syndrome in Germany, 2011: a microbiological study. Lancet Infect Dis 11, 671-676. positiva per i cinque principali sierogruppi. 4. EFSA, 2009. Technical specifications for the monitoring and Gli 11 casi in cui è stata riscontrata positività solo per vtx non reporting of VTEC on animals and food (VTEC surveys on sono stati inclusi tra i risultati presentati, in quanto 145 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 IMPATTO DELLE VERNICI ANTI-FOULING SULL’AMBIENTE ACQUATICO: LIVELLI DI RAME, ZINCO E STAGNO NEL LAGO D’ORTA E NEL LAGO MAGGIORE prelevati nel lago Maggiore, mentre nella Tabella 3 quelli campionati nel lago D’Orta. Brizio P., Benedetto A., Scanzio T., Arsieni P., Abete M.C., Prearo M. Tabella 2 – Risultati di Cu, Zn e Sn sui campioni del lago Maggiore Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Sito campionamento Rame (Cu) Sesto Calende (VA) 2,53 Arona (NO) - porticciolo 0,81 Arona (NO) – porto turistico 0,54 Arona (NO) – lungolago 0,84 Arona (NO) – cantiere navale 0,80 Lesa (NO) 0,70 Stresa (VB) 0,82 Key words: anti-fouling, metalli, lago RISULTATI Nella tabella 2 vengono indicati i risultati relativi alla determinazione di stagno, rame e zinco sui campioni d’acqua 146 CONCLUSIONI L’impossibilità di quantificare la concentrazione di stagno nelle acque dei due laghi sembra confermare l’efficacia dei provvedimenti attuati nell’ambito della tutela ambientale, nei confronti di questo contaminante ampiamente utilizzato per quasi mezzo secolo. I livelli di rame e zinco sono risultati nettamente inferiori rispetto ai livelli massimi ammessi per garantire i criteri di qualità delle acque, a conferma di quanto già sostenuto dall’ACP (Advisory Comitee on Pesticides) (1) inglese che aveva indicato come non preoccupante il contributo delle vernici anti-fouling al rilascio di rame nell’ambiente. Nonostante i campioni siano stati prelevati in siti diversi lungo le sponde dei due laghi, non è stato possibile stabilire un andamento crescente o decrescente di concentrazione in funzione della latitudine. Tale correlazione risulta infatti probabilmente compromessa dalla presenza di siti industriali dislocati in maniera puntuale lungo le coste. Il lago D’Orta risulta però avere elevate quantità di rame e zinco, se confrontate con quelle rinvenute nel lago Maggiore, probabilmente ancora imputabili agli incresciosi episodi di inquinamento avvenuti negli anni ‘30 e ‘60 e dovuti alle acque di scarico di industrie tessili ed elettrogalvaniche. BIBLIOGRAFIA 1. Advisory Comitee on Pesticides Health and Safety Executive – Pesticides Registration Section, London. A Review of The Use of Copper Compounds in Anti-fouling Products (1997) 2. Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152; Norme in materia Media Mediana Max Min 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 ambientale; 3. Decreto Presidente Repubblica del 10 settembre 1982, n. 904; attuazione della direttiva (CEE) n. 76/769 relativa alla immissione sul mercato ed all’uso di talune sostanze e preparati pericolosi; 'O rta 4. Direttiva del Consiglio del 27 luglio 1976 concernente il -L .D Zn Zn – L. M ag g io re 'O rta MATERIALI E METODI I campioni d’acqua sono stati prelevati in 3 siti per il lago D’Orta ed in 8 siti per il lago Maggiore. Il campionamento è stato effettuato immergendo degli appositi contenitori in materiale plastico circa 20 cm al di sotto della superficie dell’acqua, in ciascun sito di interesse. Le bottiglie sono state poi refrigerate e così conservate fino al momento dell’analisi. Dal momento che si è utilizzato il plasma ad accoppiamento induttivo interfacciato ad uno spettrometro di massa a singolo quadrupolo (ICP-MS) per la determinazione degli analiti, si è resa necessaria una leggera acidificazione dei campioni prima dell’analisi strumentale; nella pratica è stato aggiunto un opportuno quantitativo di acido nitrico concentrato per analisi in tracce, a dare una percentuale finale pari al 14%v/v. La quantificazione è avvenuta mediante confronto con una retta costruita in un intervallo di concentrazione idoneo, ossia compreso tra gli 0.4 ed i 100 ppb. I valori ottenuti dalla lettura strumentale sono stati corretti per il fattore di diluizione applicato. Il limite di quantificazione (LOQ) del metodo è 0.5 ppb per tutti i metalli oggetto dello studio. Figura 1 – confronto tra valori di media, mediana, massimo e minimo per i due metalli quantificabili nei due laghi L. D Nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero della Salute, sì è voluto verificare l’impatto delle vernici di vecchia e nuova generazione monitorando i livelli di stagno, rame e zinco in campioni di acqua prelevati in diversi siti lungo la costa piemontese del lago Maggiore e nel lago D’Orta. – 300 u 40 Nella Figura 1 è invece riportato il confronto tra i valori di media, mediana, massimo e minimo per i due metalli quantificabili nei due laghi C 3000 500 io re 1000 50 ag g Zinco (ppb) L. M Acque sotterranee Acque superficiali destinate alla potabilizzazione Acque idonee alla vita dei pesci Rame (ppb) – criteri di qualità dell’acqua previsti dal D.Lgs. ppb Rame (Cu) Zinco (Zn) Stagno (Sn) Orta San Giulio (NO) 1,80 8,68 <0,05 Omegna (VB) – porto 3 9,97 <0,05 Omegna (VB) – centro 2,11 7,42 <0,05 Sito campionamento ppb Tabella 1 – 06/152 Stagno (Sn) <0,05 <0,05 <0,05 <0,05 <0,05 <0,05 <0,05 Tabella 3 – Risultati di Cu, Zn e Sn sui campioni del lago d’Orta u INTRODUZIONE Le incrostazioni biologiche (vegetali o animali), dette fouling, sono dovute alla colonizzazione di superfici sommerse da parte di organismi residenti nell’ambiente acquatico, alla ricerca di substrati idonei al completamento del loro ciclo vitale. Questo fenomeno provoca eventi corrosivi e di danneggiamento degli scafi delle imbarcazioni, con conseguente aumento della resistenza frizionale durante la navigazione, del peso delle imbarcazioni e diminuzione della velocità. Al fine di impedire lo svilupparsi del fouling le superfici sensibili vengono ricoperte da vernici antivegetative contenenti biocidi che nel tempo vengono rilasciati in maniera controllata; una delle principali caratteristiche di questi rivestimenti deve essere l’azione ad ampio spettro, che ne comporta però la pericolosità per l’intero sistema acquatico, in quanto non indirizzato esclusivamente alla specie target. La quasi totalità delle vernici anti-fouling contiene metalli; negli anni ‘50 furono scoperte le proprietà biocide dei composti organostannici, in particolare dei composti tributilici (TBT) e trifenilici (TFT), i quali cominciarono ad essere utilizzati come fungicidi, molluschicidi, nematocidi, rodenticidi, conservanti del legno ed additivi proprio nelle vernici anti-fouling. Tuttavia alcune decine di anni dopo emersero gli effetti collaterali connessi al rilascio di queste sostanze nell’ambiente acquatico; nella fattispecie vennero classificati come interferenti endocrini ed il loro utilizzo venne bandito a livello europeo attraverso la Direttiva n. 76/769 (4), recepita in Italia attraverso il D.P.R. n. 82/904 (3). Lo stagno nelle vernici anti-fouling è stato così sostituito da altri metalli, in particolar modo da rame e zinco, miscelati a biocidi di origine organica. Il rame esplica infatti la sua attività antivegetativa nei confronti della maggior parte degli organismi acquatici, anche se alcune specie di alghe mostrano una marcata resistenza a questo oligoelemento. Pur essendo considerato un metallo essenziale, esso può comunque risultare tossico ad alte concentrazioni, anche per le specie acquatiche non target. Lo zinco è spesso utilizzato sottoforma di piritione come antimicotico; quest’ultimo nell’ambiente acquatico viene adsorbito al sedimento dando complessi molto poco solubili che a lungo termine possono portare a danni ambientali. Criteri di qualità proposti da vari enti internazionali forniscono per la protezione della vita acquatica valori compresi tra 2 e 15 ppb per il rame e tra 30 e 110 ppb per lo zinco solubili, mentre per le acque ad uso potabile concentrazioni di 1000 ppb per il rame e ben più alte, fino a 3000 ppb, per lo zinco. In particolare, il D.Lgs. 06/152 (2), in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, prevede criteri di qualità diversificati in funzione degli usi (Tabella 1). C SUMMARY Antifouling paints are used to protect hulls of the boats from undesirable accumulation of micro-organisms, plants and other aquatic species. These paints could represent a risk for the environment because of their constituents, tin in the past and copper and zinc nowadays. In this work we try to assess their impact on Lake Maggiore and Lake D’Orta, evaluating tin, copper and zinc levels in water sampled in different specific sites. Tin was under the limit of quantification (LOQ) in all water samples; copper and zinc concentrations never exceed maximum levels suggested to guarantee good water quality. Metals levels were higher in lake D’Orta water samples, probably due to environmental poisoning events happened in the past years. ppb Zinco (Zn) 1,74 1,09 0,76 2,67 4,01 1,22 1,86 In generale, le concentrazioni maggiori di contaminanti sono state rilevate nell’acqua prelevata dal lago D’Orta, dove il quantitativo di rame risulta raddoppiato rispetto a quello presente nel lago Maggiore, mentre quello di zinco addirittura quadruplicato. Come si può evincere dalle tabelle riportate, lo stagno risulta inferiore al limite di quantificazione in tutti i siti campionati. Le concentrazione minori di rame e zinco si rilevano nell’acqua prelevata dal lago Maggiore al porticciolo turistico di Arona (NO) mentre quelle maggiori in quella prelevata presso il porto d’Omegna sul lago D’Orta. Ad eccezione di un singolo caso, il sito a Seste Calende (VA), la concentrazione di Rame risulta generalmente minore di quella di Zinco. Sul Lago Maggiore, la concentrazione più alta di rame è stata rilevata nell’acqua campionata presso il sito di Seste Calende (VA), mentre quella di zinco presso il cantiere navale di Arona (NO). Per quanto concerne il lago D’Orta, nel porto di Omegna (VB) sono state riscontrate le concentrazioni più alte di entrambi i metalli ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (76/769/CEE); 5. Mazziotti I., Massanisso P., Cremisini, C., Chiavarini S., Fantini M., Morabito R.; 2005; Nuovi biocidi per le vernici antivegetative; Energia, Ambiente e Innovazione, Vol. 5, pagg. 34-53. RINGRAZIAMENTI Ricerca finanziata dal Ministero della Salute; Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti. 147 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 148 Figura 1 – confronto tra valori di media, mediana, massimo e minimo per cadmio e piombo. 0,35 0,30 0,25 0,20 0,15 0,10 0,05 0,00 MEDIA MEDIANA Max Min 2 Pb MEDIA MEDIANA Max Min 60,00 40,00 4. Salazar M.J., Rodriguez J.H., Nieto G.L., Pignata M.L., Fantini M., Morabito R.; 2012; Effects of heavy metal concentrations (Cd, Zn and Pb) in agricultural soils near different emission sources on quality, accumulation and food safety in soybean [Glycine max (L.) Merrill], Journal of hazardous Materials, Vol. 233-234, pagg. 244-253. 2 om C – Zn C – Zn un e 1 un e 2 om un e 1 – u C – u C C om C om om un e 2 un e 1 0,00 C BIBLIOGRAFIA 1. Pandelova M., Lopez W.L., Michalke B., Schramm K; 2012; Ca, Cd, Cu, Fe, Hg, Mn, Ni, Pb, Se, and Zn contents in baby foods from the EU market: Comparison of assessed infant intakes with the present safety limits for minerals and trace elements, Journal of Food Composition and Analysis, Vol. 27, pagg. 120-127; RINGRAZIAMENTI Ricerca finanziata dal Ministero della Salute; Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti. 20,00 un e CONCLUSIONI I livelli di concentrazione raggiunti nei campioni analizzati confermano la teoria in base alla quale la soia può essere utilizzata come indicatore di inquinamento ambientale. La normativa vigente non prevede tenori massimi per nichel rame e zinco nelle leguminose, ad eccezione di cadmio e piombo. Le concentrazioni inferiori ai limiti trovate per questi due contaminanti sembrano indicare un livello di contaminazione ambientale ad essi dovuto contenuto, probabilmente risultato dei provvedimenti attuati in campo di tutela ambientale. I valori maggiori di piombo rilevati nel comune 1 sono presumibilmente da attribuirsi alla posizione del comune, situato lungo un importante asse stradale e nelle vicinanze di un grosso stabilimento automobilistico. Inoltre, i livelli elevati di nichel, rame e zinco sarebbero da imputarsi a diversi fattori, tra i quali la natura del terreno, principalmente argilloso, e la presenza di diverse realtà industriali, prevalentemente di natura tessile e meccanica. 3. Regolamento (UE) 420/2011 della Commissione che modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari; – Co m un e Pb Cd – – Co m un e 1 2 Co m un e 1 Co m un e – 80,00 e dal Reg. 629/2008 (2) per il cadmio (0,020 mg/kg in ambo i casi) in media non sono stati superati, ad eccezione di un unico sito nel comune 1. Le concentrazioni medie di nichel, rame e zinco sono minori nel comune 1 rispetto a quelle riscontrate nel comune 2, dato in antitesi rispetto a quanto emerso per i metalli tossici. 2. Regolamento (CE) 629/2008 della Commissione che modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari; Figura 2 – confronto tra valori di media, mediana, massimo e minimo per nichel, rame e zinco i– L’analisi strumentale è stata condotta grazie all’utilizzo del plasma ad accoppiamento induttivo interfacciato ad uno spettrometro di massa a singolo quadrupolo (ICP-MS), il quale permette di effettuare determinazioni multi-elementari. La quantificazione è avvenuta mediante confronto con una retta costruita in un intervallo di concentrazione idoneo, ossia compreso tra gli 0.4 ed i 100 ppb. I valori ottenuti dalla lettura strumentale sono stati corretti per l’eventuale fattore di diluizione applicato. Nelle Figure 1 e 2 sono invece riportati i confronti tra i valori di media, mediana, massimo e minimo dei metalli tra i due siti. N Tabella 1: condizioni strumentali mineralizzazione Stadio Durata (min) Potenza (W) Temperatura (°C) 1 8 800 130 2 2 800 130 3 8 1000 200 4 5 1000 200 Sito campionamento Comune 1 Comune 2 Cadmio (Cd) 0,099 0,088 Piombo (Pb) 0,114 0,045 Nichel (Ni) 11,804 19,179 Rame (Cu) 13,430 13,831 Zinco (Zn) 54,816 73,686 mg/Kg om MATERIALI E METODI I campioni di soia sono stati prelevati nel corso del 2012 e del 2013, in collaborazione con l’ASL di Biella, in due comuni della provincia biellese. I campioni, preventivamente macinati, sono stati pesati (circa 0.65 g) per mezzo di una bilancia analitica ed inseriti all’interno di vessel di tetrafluoroetilene. Sono stati quindi addizionati in ciascun contenitore 1.5 mL di acqua ossigenata al 30%, 0.05 ml di acido fluoridrico al 50% e 7 ml di acido nitrico al 70%. E’ stato necessario umidificare la matrice con acqua ultrapura prima di proseguire con l’aggiunta delle sostante precedentemente menzionate, al fine di facilitare la dissoluzione dei metalli. I vessels sono stati inseriti all’interno del forno a microonde ETHOS 1 (Milestone S.r.l.) e sottoposti a mineralizzazione secondo il programma riportato in Tabella 1. Al termine della mineralizzazione, i campioni, una volta raggiunta la temperatura ambiente, sono stati portati al peso finale di circa 50 g con acqua ultrapura, in provette di polipropilene. Tabella 2 – Risultati di Cd, Pb, Ni, Cu e Zn C INTRODUZIONE Le attività urbane ed industriali (industrie metallurgiche, impianti chimici, inceneritori di rifiuti) e le pratiche agricole (utilizzo di fertilizzanti fosforati, pesticidi e fanghi di depurazione) sono le principali sorgenti antropogeniche di metalli nel terreno agricolo. Il rischio potenziale di accumulo di queste sostanze in alimenti coltivati su siti contaminati sta attirando sempre più l’attenzione del mondo scientifico e dell’opinione pubblica. D’altronde il consumo di cibo è stato identificato come la principale fonte di esposizione ai metalli per l’uomo. Inoltre, studi sulla trasferibilità di questi elementi dal suolo alla coltivazione hanno dimostrato che i semi di soia possono accumulare più metalli rispetto ad altre colture. Pianta ecologica per eccellenza, la soia (Glycine max) migliora il suolo, protegge la superficie freatica e forma sostanze nutritive in meno di 100 giorni. La soia è inoltre un legume largamente impiegato nell’alimentazione dell’uomo e degli animali da allevamento e per tali ragione la più coltivata tra le leguminose. Tuttavia essa conterrebbe delle tossine i cui pericoli per l’essere umano restano discussi ed è considerata tra gli allergeni alimentari elencati dalla Direttiva 2003/8913. La risposta allergica suscitata da questo legume è dovuta a specifiche proteine ma anche all’elevato contenuto di metalli ad azione allergizzante quali il nichel, ad esempio. Negli ultimi anni l’utilizzo di questo legume è andando crescendo, non solo per le sue elevate qualità nutritive, ma anche come fonte sostitutiva di proteine per quella porzione di popolazione che per necessità o scelta non ne assume in quantità sufficiente dal alimenti di origine animale. La soia ed i suoi derivati sono alla base della nutrizione di vegetariani, vegani ed intolleranti al lattosio. A tal proposito tra i neonati una percentuale compresa tra il 2 ed 3% è affetta da allergia al latte bovino, con conseguente necessità di supplire tale alimento predominante nella dieta infantile con un sostituto avente un apporto nutrizionale comparabile, come il latte di soia, al quale risultano allergico solo lo 0,4% dei bambini. Per questa categoria il rischio connesso all’introduzione di metalli attraverso la dieta è nettamente maggiore rispetto a quello per gli adulti, in quanto assumono un quantitativo di cibo maggiore rispetto al peso corporeo. Studi effettuati su alimenti per l’infanzia di varia natura hanno dimostrato che quelli a base di soia hanno livelli di elementi essenziali non maggiori di quelli a base di latte o alla formulazioni ipoallargeniche. Nel Luglio 2005, l’agenzia francese di sicurezza sanitaria degli alimenti (AFSSA) ha pubblicato un avviso sull’uso di preparazioni a base di soia prima dei tre anni. In altri paesi, non esiste una prevenzione del genere, non avendo la ricerca fornito sufficienti elementi a favore di questa affermazione. Data quindi la facilità di accumulo di sostanze inorganiche nella soia ed il rischio conseguente per un consumatore, all’interno di un progetto di ricerca corrente finanziato dal Ministero della Salute, si è deciso di appurare il livello di alcuni elementi tossici (cadmio e piombo), allergizzanti (nichel) ed essenziali (rame e zinco) in alcuni campioni di soia prelevati in due comuni siti in una zona circoscritta del Piemonte ad alto impatto industriale. i– SUMMARY Food consumption has been identified as the major source of metal exposure in humans. Moreover, studies on heavy metals transfer from soil into crops have shown that soybean may accumulate more inorganic elements then other crops. Some consumers categories may be exposed more than others to this contaminants through soybean, because of their diet: vegetarians, vegans and adult and children allergic to cow’s milk. In this work we try to evaluate cadmium, lead, nickel, copper and zinc levels in soybeans, sampled in potentially contaminated areas. Cadmium and lead concentrations never exceed maximum levels establish in European regulations. Nickel, copper and zinc reach high concentration, probably due to the ability of soybean to store metals in its seeds. This data seams to uphold the possibility to use this legume as indicator of environmental pollution. ppb Key words: soia, contaminazione, metalli Cd Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino; 1 Azienda Sanitaria Locale di Biella, Via Marconi, 23 – 13900 Biella RISULTATI Nella tabella 2 vengono indicati le medie dei risultati relativi alla determinazione di cadmio, piombo, nichel, rame e zinco sui campioni di soia prelevati nei due comuni di interesse. Per poter effettuare l’elaborazione dei dati, i valori inferiori al LOQ sono stati considerati pari alla metà dello stesso. ppb Brizio P., Abete M.C., Pellegrino M., Ferrero M., Curcio A.1, Squadrone S. Il limite di quantificazione (LOQ) del metodo è 0.020 ppb per tutti i metalli oggetto dello studio. N LA SOIA: UN INDICATORE AMBIENTALE DI CONTAMINAZIONE DA METALLI XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Come si può evincere dalle tabelle riportate, i metalli tossici sono, fortunatamente, in concentrazione nettamente inferiore rispetto agli altri. I tenori massimi ammessi, espressi come mg/ kg di peso fresco, normati dal Reg. 420/2011 (3) per il piombo 149 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 KIT ELISA PRONTO-USO PER DIAGNOSI E SIEROTIPIZZAZIONE DI VIRUS AFTOSI Brocchi E., Dho G., Grazioli S., 1Ferris N. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia 1 The Pirbright Institute, Pirbright, Surrey, UK Key words: Afta, Anticorpi Monoclonali, Kit ELISA, Summary Foot-and-mouth disease (FMD) is a highly contagious disease of livestock that causes dramatic economic consequences; a rapid diagnosis is an important component of the disease control measures. The antigen detection ELISA is an effective tool for the rapid confirmation of FMD in vesicular epithelium samples. Simplified ELISA kits were designed using monoclonal antibodies (MAbs) serotype-specific (those with the widest intra-typic reactivity), coated onto ELISA plates as catching antibodies, and conjugated cross-reactive MAbs as tracers. One kit was designed for detection and serotyping of O, A, Asia1 and C-types FMD viruses, while another one was tailored for African countries including diagnosis of serotypes O, A, SAT1 and SAT2. The test is fast and simple: microplates are supplied pre-coated and the operator handles just one or two detector conjugates. The diagnostic performances of the new kits were similar or better than those of the complex polyclonal double-sandwich ELISA. Risultati e Discussione Selezione degli anticorpi monoclonali. In prove preliminari è stata analizzata la reattività di vasti pannelli di MAb prodotti verso i diversi sierotipi aftosi (144 MAb tipo A, 86 tipo O, 24 tipo Asia 1, 50 tipo C, 29 SAT 1, 50 SAT 2) con una collezione di ceppi virali rappresentativi della diversità antigenica e molecolare, geografica e temporale all’interno di ciascun sieroptipo. Sono stati selezionati come MAb di cattura sierotipo-specifici quelli dotati della più estesa reattività intra-tipo. La specificità è stata verificata analizzando i MAb scelti contro i virus eterologhi per escludere la possibilità di cross-reazioni tra i diversi sierotipi. La tabella 1 mostra i MAb selezionati per il kit ELISA grazie alla loro reattività con un maggior numero di ceppi esaminati: un unico MAb per i tipi O, Asia1 e C, due MAb in tandem per il sierotipo A (i ceppi virali non riconosciuti dai due MAb sono diversi), due MAb per ciascun sierotipo SAT1 e SAT2 (in pool calibrati). Solo una minoranza di ceppi, in genere storici o appartenenti al tipo SAT1, non sono rilevati dai MAb scelti. Introduzione L’afta è tuttora la malattia più temuta in ambito veterinario per l’elevata contagiosità e le ingenti perdite economiche. Il virus dell’afta appartiene al genere Aphthovirus, famiglia Picornaviridae; esistono in natura sette sierotipi antigenicamente e geneticamente distinguibili: A, O, C, Asia1, SAT1, SAT2, SAT3, con molteplici varianti all’interno di ciascun tipo. Una diagnosi rapida e accurata è essenziale per l’implementazione delle misure di controllo e il metodo ELISA per la rilevazione dell’antigene rappresenta, ad oggi, un mezzo efficace di diagnosi dei casi clinici. Obiettivo del presente lavoro è stato lo sviluppo di kit ELISA pronto-uso, stabili, semplici e di facile utilizzo, per la rilevazione e sierotipizzazione dei virus aftosi. Tali kit, basati su una batteria selezionata di anticorpi monoclonali specifici (MAb), sono i primi e unici prototipi applicati all’afta. Figura e Tabella 1: Immagine del kit ELISA e reattività intratipo dei MAb selezionati per la fase di cattura dei virus Materiale e metodi Kit ELISA. ll principio del test è un’ELISA sandwich realizzata utilizzando MAb tipo-specifici adsorbiti alle piastre con la funzione di cattura del virus omologo presente nei campioni in esame e un secondo MAb coniugato con perossidasi, crossreattivo, per la rilevazione del complesso antigene-anticorpo formatosi. Il test è rapido (circa 2,5 ore) e di facile utilizzo: il kit è predisposto con piastre pre-adsorbite con la batteria di MAb selezionati e con i controlli positivi e negativi già incorporati per ogni sierotipo; il processo di stabilizzazione applicato garantisce una shelf life di almeno due anni a 5°C (fig. 1). L’operatore deve gestire un solo, o al massimo due, anticorpi monoclonali coniugati con la perossidasi. MAb. I MAb sono derivati dalla collezione prodotta in-house. Virus e campioni di campo. Una ampia collezione di virus e di omogenati di epitelio vescicolare, positivi per ciascun sierotipo, è stata utilizzata per la validazione. Layout del kit. Sono stati sviluppati due kit diagnostici, uno per l’identificazione di pool di virus aftosi presenti in Medio Oriente, Asia ed Europa orientale (tipi O, A ed Asia1, C) ed un secondo per l’identificazione dei sierotipi più diffusi in Africa (sierotipi O, A, SAT1 e SAT2). I rispettivi layout con esempi di risultati ed interpretazione sono illustrati in fig. 2 Nel primo kit la reazione è completata con un unico MAb pan-afta coniugato (1F10), mentre nel secondo kit è aggiunto un coniugato rilevatore, costituito da un pool di tre MAb, per il riconoscimento dei sierotipi SAT1 e SAT2. Entrambi i kit comprendono anche un test pan-afta supplementare, che utilizza il MAb 1F10 sia come cattura che come coniugato, per rilevare nuove varianti virali che potrebbero sfuggire al legame con i MAb tipo-specifici: il test pan-afta riconosce tutti i ceppi di tipo O, A, C, Asia1 e alcuni ceppi dei tipi SAT. Valutazione delle performance diagnostiche. Il kit per i paesi Euroasiatici è stato estensivamente validato con la collaborazione del FMD World Reference Laboratory (The Pirbright Institute, XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 UK). In particolare, le performance diagnostiche del kit sono state paragonate a quelle del test ELISA classico, basato sull’impiego di sieri immuni policlonali, nell’analisi di una collezione di campioni patologici sospetti (epitelio vescicolare) originati da 298 casi di afta nel mondo, occorsi in un arco temporale di oltre 50 anni; i campioni, confermati positivi ai test di isolamento virale e/o PCR eseguiti al momento del ricevimento, erano derivati da differenti aree geografiche e specie animali, e rappresentavano diversi genotipi/topotipi e diversità antigenica. La tabella 2 mostra i risultati comparativi: nella valutazione complessiva dei 298 campioni, ognuno positivo per uno dei quattro sierotipi O, A, C e Asia1, la percentuale di campioni rilevati dal kit ELISA di nuova generazione era superiore, risultando del 75% per il test di sierotipizzazione e del 76% per il test pan-afta rispetto al 72% dell’ELISA policlonale di riferimento. In particolare, il kit basato sui MAb offre una migliore copertura antigenica per i ceppi appartenenti al sierotipo A caratterizzato da elevata variabilità. Va ricordato che la sensibilità dei test ELISA non può raggiungere quella dei test di amplificazione, quali isolamento e PCR. Le performance di specificità (analitica e diagnostica) del kit sono state valutate attraverso l’analisi delle cross-reazioni dei campioni nei test eterologhi. Al contrario dell’ELISA policlonale, soggetta a cross-reazioni, tutti i campioni sono risultati negativi ai test eterologhi, ad eccezione di alcuni positivi per ceppi virali di tipo O che hanno presentato una cross-reazione di varia entità con uno dei due MAb utilizzati per il sierotipo A (4D12). Tuttavia, la cross-reazione con il secondo MAb tipo A specifico (5F6) non si è mai verificata, permettendo una corretta interpretazione del sierotipo. La specificità è stata ulteriormente valutata testando 24 omogenati di epitelio, ognuno positivo per sierotipi aftosi SAT1 o SAT2 o SAT3 o per virus della malattia vescicolare suina, nonché oltre 40 campioni negativi, tutti con esito negativo. 74/105 campioni sono stati tipizzati (8 tipo SAT1, 37 tipo SAT2, 9 tipo A,19 tipo O, 1 misto SAT1 e SAT2) e 2 sono risultati non tipizzabili. Tabella 2: Sensibilità diagnostica del kit ELISA per identificazione dei sierotipi aftosi euroasiatici in campioni clinici. Conclusioni I kit ELISA per la diagnosi e sierotipizzazione dei virus aftosi in campioni clinici, sviluppati nel presente lavoro, rappresentano test di nuova generazione e sono i primi ed unici prototipi prodotti. I kit offrono adeguate performance diagnostiche, con sensibilità simile o migliore rispetto alla più complessa ELISA di riferimento basata su sieri immuni policlonali. La tipo-specificità è risultata significativamente migliorata e la diversità antigenica dei virus aftosi è adeguatamente coperta, grazie all’ampia reattività intra-tipo dei MAb prescelti; sarà comunque importante continuare a monitorare l’affinità dei MAb selezionati nei confronti di nuovi virus emergenti. Un ulteriore miglioramento può essere perseguito per completare la gamma di rilevazione dei virus SAT1; inoltre, il formato messo a punto per i paesi africani richiede l’uso di due differenti coniugati: sono in corso studi per semplificare ulteriormente il kit, fornendo un anticorpo rivelatore unico, ottenuto con appropriate miscele del MAb pan-afta e di un MAb pan-SAT recentemente prodotto. L’utilizzo del kit in paesi endemici ha consentito l’identificazione in campioni sospetti di tutti i sierotipi contemplati (ad eccezione del tipo C ritenuto eradicato), creando per la prima volta nuova e reale capacità diagnostica. Grazie alla sua estrema semplicità, robustezza e stabilità, il kit pronto-uso è idoneo per laboratori scarsamente equipaggiati, ma può anche rappresentare un componente strategico per la costituzione di banche di diagnostici per emergenze in paesi indenni. Kit ELISA Kit ELISA ELISA (MAb tipo-specifici) (MAb pan-afta) policlonale 150 Sierotipo N. POS Sens. POS 136 O 103 A 30 Asia 29 C TOTALE 298 116 67 22 19 224 85% 65% 76% 66% 75% 118 67 21 20 226 Sens. POS Sens. 87% 65% 72% 69% 76% 129 41 26 20 216 95% 40% 90% 69% 72% Il kit per la sierotipizzazione dei virus SAT1 e SAT2 è stato valutato inizialmente con ceppi di collezione disponibili in laboratorio, evidenziando la capacità di identificare tutti i virus SAT2 (n. 26) e l’84% (21/25) dei SAT1 esaminati; l’incursione epidemica SAT2 verificatasi nel Nord Africa nel 2012 ha reso urgente la distribuzione del kit prototipo in Africa anche prima del completamento della validazione. Utilizzo dei kit in campo. Nell’ambito di programmi di cooperazione supportati da EuFMD e FAO i kit sono stati distribuiti in 25 paesi endemici in Africa, in 9 del Medio Oriente, in 10 localizzati in Asia centrale e Regioni Caucasiche, nelle due versioni adeguate alla rispettiva situazione epidemiologica; da alcuni paesi è stato ricevuto un riscontro iniziale. Il kit per virus euroasiatici ha rilevato e tipizzato virus aftosi in 88/158 campioni di epitelio vescicolare (32 tipo O, 22 tipo Asia1, 34 tipo A), in altri 7 positivi al test pan-afta non è stato identificato il sierotipo, mentre 63 sono risultati negativi. Il kit inviato in Africa ha conseguito i seguenti risultati: 29/105 omogenati epiteliali hanno dato esito negativo, Figura 1. Layout delle due versioni del kit ELISA per diagnosi e sierotipizzazione di virus aftosi. Ringraziamenti. Il lavoro è stato supportato da finanziamenti nazionali ed Europei (Ministero della Salute PRC 016/2009 e Progetto europeo FMD-Disconvac). Si ringrazia lo staff tecnico del laboratorio per la collaborazione. 151 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RILEVAZIONE DI GENI CODIFICANTI LE TOSSINE DIARROICHE ED EMETICA IN CEPPI DI Bacillus cereus ISOLATI DA ALIMENTI Buscemi M.D.1a, Frasnelli M. 1b, Cammi G. 1c, Bardasi L. 1d, Bertasi B. 1e, Dalzini E. 1e, Andreoli G.1a, Bragoni R. 1a, Fabbi M.1a, Vicari N. 1a 1a 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “Bruno Ubertini” Sezione Diagnostica di Pavia; 1bSezione Diagnostica di Lugo (RA); 1cSezione Diagnostica di Piacenza; 1dSezione Diagnostica di Bologna; 1e Sede Brescia XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 1: Grafico A: dati grezzi di fluorescenza in funzione della temperatura (curve di melting); Grafico B: derivata negativa delle curve di fluorescenza. I picchi relativi ai tre geni amplificati sono univocamente identificati. In verde gene nheA (Tm= 75,60), in blu gene ces (Tm= 79,20), in rosso gene hblD (Tm= 86,10). Grafico A Grafico B Key words: Bacillus cereus, tossine, alimenti SUMMARY Bacillus cereus is the causative agent of two distinct food poisoning syndromes: the diarrhoeal and emetic illnesses. This microorganism produces an emetic toxin (cereulide) associated to the emetic form and at least three enterotoxins that have been associated with the diarrhoeal form of disease. In order to meet the growing demand for fast and reliable detection of potentially toxinogenic Bacillus cereus, we applied two different real-time PCR assay based respectively on hydrolysis probe (Taqman) and on SYBR Green with subsequent melting curve analysis. This last protocol allows to detect genes of toxins responsible for diarrhea (nheA, hblD and cytK1) and emesis (ces). A panel of 83 Bacillus cereus strains isolated between 2011 and 2013 was analyzed. We evaluated also the incidence of these genes on the isolates during 2013. We can assert that the real-time PCR protocols considered is a reliable method for identification of B. cereus with enteropathogenic potential. INTRODUZIONE Bacillus cereus è un microrganismo sporigeno, ubiquitario di origine tellurica che occasionalmente può contaminare gli alimenti e in taluni casi dar luogo a tossinfezioni. L’elevata resistenza delle sue spore ne permette la sopravvivenza ai processi di essiccazione e cottura. Le tossine prodotte da B. cereus possono provocare due differenti quadri clinici: la sindrome emetica e quella diarroica. La sindrome emetica si manifesta con nausea ed emesi in un periodo che va da 1 a 6 ore dopo il pasto contaminato. In genere si risolve in 24 ore. La sindrome diarroica si manifesta con dolori addominali e diarrea in un periodo che va dalle 8 alle 16 ore dopo l’ingestione; i sintomi persistono per 12-24 ore (1, 2). Le tossine implicate nella sindrome diarroica sono tre: l’emolisina BL (hbl), l’enterotossina non emolitica (nhe) e la citotossina K (cytK). Queste, essendo termolabili sono distrutte dalla cottura dell’alimento. La sindrome emetica è causata dalla tossina emetica o cereulide (ces) che non è inattivata dalla cottura dell’alimento (2, 3). Sia per quanto riguarda la sindrome emetica sia per quella diarroica, le categorie di alimenti coinvolti nelle tossinfezioni da B. cereus sono spesso prodotti cotti (prodotti di gastronomia, stufati, purè, etc.); tuttavia, in alcuni casi gli alimenti causa dell’infezione, sono altri (insalate di germogli, succo d’arancia, salse a base di maionese) (4). L’intossicazione emetica è stata spesso legata a piatti contenenti riso o pasta. La dose infettante di B. cereus è di 105-108 u.f.c./g di cellule o spore, anche se bassi dosaggi, come 103 u.f.c./g di B. cereus tossigeno sono stati sufficienti a causare l’infezione. Allo stato attuale in commercio sono presenti tre kit immunologici per la rilevazione delle tossine diarroiche termolabili direttamente da alimento ma non ve ne sono disponibili per la tossina emetica. Per la rilevazione di quest’ultima si può ricorrere alla coltura cellulare, metodo indaginoso che richiede tempi molto lunghi oppure a metodi molecolari, utili per l’identificazione di ceppi potenzialmente produttori di tossine. Il presente lavoro è stato rivolto alla ricerca di protocolli realtime PCR per la rilevazione dei geni codificanti sia la tossina emetica sia quelle diarroiche al fine di individuare i ceppi potenzialmente tossigeni. L’obiettivo del lavoro deriva dalla necessità di avere a disposizione un sistema diagnostico veloce poco costoso e di facile applicazione per rispondere alle richieste di ditte alimentari, laboratori analisi pubblici e privati e soprattutto da applicarsi in caso di focolai di tossinfezione. MATERIALI E METODI Sono stati analizzati 83 ceppi di Bacillus cereus isolati da alimenti negli anni 2011, 2012 e 2013 presso alcuni laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (Sezione di Pavia, Sezione di Piacenza, Sede di Brescia, Sezione di Bologna e Sezione di Ravenna). Le matrici dalle quali sono stati isolati i ceppi appartenevano a diverse tipologie di alimenti (latticini, vegetali, alimenti pronti ecc.), pervenuti all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna a seguito di richieste di analisi da privati o da enti pubblici. I ceppi sono stati analizzati mediante PCR real time usando due diverse chimiche. La chimica basata sulla sonda ad idrolisi Taqman è stata utilizzata solo per la ricerca del gene ces (5), mentre è stata utilizzata la chimica SYBER Green associata all’analisi delle curve di melting (6) per la ricerca dei geni che codificano sia la tossina emetica sia le tossine diarroiche. Sono state valutate per ambedue le PCR real time la specificità analitica analizzando 30 ceppi batterici appartenenti a 23 diverse specie batteriche e la sensibilità. Inoltre, solo per gli isolati del 2013 è stata valutata l’incidenza dei geni codificanti le tossine. RISULTATI E CONCLUSIONI I due protocolli PCR real time scelti per la ricerca dei geni codificanti le tossine di Bacillus cereus hanno dimostrato un’elevata sensibilità e specificità analitica. Degli 83 ceppi analizzati solo 4 (5%) erano portatori del gene ces, tutti isolati da alimenti pronti, due dei quali hanno dato origine a focolai epidemici. La positività è stata confermata da entrambe le PCR real-time dimostrando la concordanza dei dati tra i due metodi. Per quanto riguarda i geni codificanti le tossine diarroiche, 69 ceppi (83 %) sono risultati positivi al gene hblD e 78 (94%) sono risultati positivi al gene nheA. Nessun ceppo presentava il gene cytK. L’analisi delle curve di melting (Figura 1) degli 83 ceppi ha consentito di valutare l’intervallo della temperatura di melting (Tm) per ciascun gene amplificato (Tabella 1). 152 Tabella 1: valori dell’intervallo della Tm, media e DS per ciascun gene analizzato. Valore Valore Geni Media DS Minimo Massimo ces 78,60 79,20 78,98 0,29 hblD 84,30 86,10 85,58 0,55 nheA 74,40 75,60 74,96 0,39 Per valutare l’incidenza dei geni tossigeni sono stati considerati i 34 di ceppi di B. cereus testati per l’anno 2013, questo perché campionati in modo casuale mentre gli isolati degli anni 2011 e 2012 sono stati scelti tra i positivi al test di agglutinazione. L’incidenza è risultata essere dell’ 85,29% per il gene nheA e il 79,41% per il gene hblD (Figura 2). Questi risultati sono perfettamente coerenti con precedenti studi (7, 8). La percentuale del gene ces (5,88%) è concorde con l’incidenza di questa tossina in Europa, che in genere è intorno al 5%, come riscontrato in studi precedenti basati su un campionamento casuale (9, 10). BIBLIOGRAFIA 1) Beattie S.H. and Williams A.G. (2000). Detection of toxins. In Encyclopedia of Food Microbiol. (vol 1). Edited by Robinson R.K., Batt C.A. and Patel P.D. Academic Press, San Diego, USA. pp: 141-149. 2) Granum P.E., (2007). Bacillus cereus. Food Microbiol Food Microbiology: Fundamentals and Frontiers (Doyle MP & Beuchat LR, eds), pp. 445–455. ASM Press, Washington, DC. 3) Jay J.M., Loessner M.J., Golden D.A., (2005). Bacillus cereus gastroenteritis. Modern Food Microbiol., 7th edition, Springer Science+Business media, Inc., New York, USA pp: 583-590. 4) EFSA (2005): Opinion of the Scientific Panel on Biological Hazards on Bacillus cereus and other Bacillus spp. in foodstuffs. The EFSA Journal 175:1-48. 5) Fricker M., Messelhäuβer, Busch U., Scherer S., EhlingSchulz M., (2007). Diagnostic real-time PCR assay for the detection of emetic Bacillus cereus strains in foods and recent food-borne outbreaks. Appl. Environ. Microbiol. 73: 1892-1898. 6) Wehrle E., Moravek M., Dietrich R., Burk C., Didier A., Martlbauer E., (2009). Comparison of multiplex PCR, enzyme immunoassay and cell culture methods for the detection of enterotoxinogenic Bacillus cereus. J. Microbiol. Methods 78:265–270. 7) Moravek M., Dietrich R., Bürk C., Broussolle V., Guinebretiere M.H., Granum P.E., et al., (2006). Determination of the toxic potential of Bacillus cereus isolates by quantitative enterotoxin analyses. FEMS Microbiol. Lett. 257:293-8. 8) Ngamwongsatit P., Buasri W., Pianariyanon P., Pulsrikarn C., Ohba M., Assavanig A., et al., (2008). Broad distribution of enterotoxin genes (hblCDA, nheABC, cytK, and entFM) among Bacillus thuringiensis and Bacillus cereus as shown by novel primers. Int. J. Food Microbiol. 121:352-6. 9) Altayar M., Sutherland A.D., (2006). Bacillus cereus is common in the environment but emetic toxin producing isolates are rare. J. Appl. Microbiol. 100:7-14. 10)Kreuzberger C., Moravek M., Dietrich R., Scheurer R., Märtlbauer E., (2008). Characterisation of the toxicity of Bacillus cereus isolates from food supply facilities of the German Federal Armed Forces. Arch Lebensmittelhyg 59:92-8. Figura 2: Incidenza dei geni di Bacillus cereus negli isolati del 2013. I protocolli utilizzati in questo lavoro hanno il vantaggio di poter essere applicati dalla maggior parte dei laboratori e di dare rapide risposte analitiche. Si ritiene utile proseguire lo studio qui iniziato valutando anche la specificità e la sensibilità diagnostica, in modo da applicare queste tecniche non solo su ceppi isolati, ma anche su brodocolture. Inoltre, potrebbe essere utile effettuare uno studio basato sull’analisi del rischio per quanto riguarda la presenza di Bacillus cereus tossigeni negli alimenti. Infatti, la conoscenza delle tossine diarroiche più diffuse, e di quelle più pericolose per il consumatore permetterebbe di monitorare alcuni alimenti con maggior frequenza e di indirizzare le analisi in maniera razionale. 153 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 per l’intera rete dei lettori partecipanti (5)Ove possibile, cioè dove fossero presenti più lettori nello stesso laboratorio (5 laboratori), è stato valutato l’accordo intra-laboratorio, calcolando il k-combined. RIPRODUCIBILITA’ DEL METODO ISTOLOGICO PER LA VALUTAZIONE E CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI DEGLI ANIMALI DOMESTICI: COLORAZIONE CON EMATOSSILINA EOSINA Campanella C.1, Crescio M.I.2, Baioni E.2, Vito G.1, Dellepiane M.3, Ratto A.1, Ferrari A.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, National Reference Center of Veterinary and Comparative Oncology (CEROVEC), Piazza Borgo Pila, 16129 Genova, Italy 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valled’Aosta, Biostatistics Epidemiology and Risk Analysis (BEAR), via Bologna 148, 10154 Torino, Italy 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Sez. Savona 1 Key words: riproducibilità, istologia, kappa SUMMARY A Ring Test among veterinary public laboratories (IIZZSS) network was performed to assess the precision of tumor histopathology in pets. Four sets of 36 H&E stained slides were sent to participants (17 histologists of 11 labs). Results were expressed as Benign (B), Malignant (M) or Non-neoplastic (N); participants were invited to express also diagnosis according to WHO. Cohen’s k, k-overall, k-combined were obtained both for results indicated as B/M/N and after recoding results in Epithelial/Lympho-hematopoietic/ Mesenchymal/Mixed/Non-neoplastic/Nervous tissue. Results showed strong agreement among readers showing Cohen’s k values judged in literature “very good” and “excellent”, with lower 95% confidence interval bounds judged “substantial” and “good”. Agreement was even stronger when intra-laboratory comparison was carried out. INTRODUZIONE La verifica dell’uniformità della diagnosi tra i laboratori afferenti alla rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) è uno dei compiti del Centro di Referenza Nazionale per l’Oncologia Veterinaria e Comparata (CEROVEC). In particolare in ambito istologico è importante il confronto tra i singoli lettori afferenti ai diversi laboratori operanti sul territorio nazionale. Scopo di questo lavoro è valutare la riproducibilità dell’interpretazione di quadri microscopici riferibili a patologie neoplastiche benigne e maligne negli animali domestici. MATERIALI E METODI Per l’allestimento del Ring Test (RT) sono stati selezionati, , 36 casi (26 di specie canina, 9 felina ed un criceto) provenienti dall’attività istopatologica su tumori di routine all’interno dell’IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta. Successivamente, presso i laboratori del CEROVEC, da personale che non ha preso parte allo studio, sono stati preparati 4 set di vetrini colorati in Ematossilina Eosina, tra loro uguali, contenenti ciascuno 36 campioni, contrassegnati da un numero progressivo da 1 a 36 e presentanti sezioni seriali della stessa porzione di tessuto. Per garantire l’indipendenza dei risultati delle analisi tra i diversi laboratori partecipanti, i campioni sono stati predisposti secondo 4 diversi ordinamenti casuali, detti sequenze; a ciascun laboratorio è stato assegnato in modo casuale un set di campioni, ordinato secondo una di queste 4 sequenze. In ciascun set erano presenti 13 tumori istologicamente benigni, 17 tumori istologicamente maligni e 6 lesioni non neoplastiche. Poiché il metodo di lettura è qualitativo e si basa sul riconoscimento di lesioni spontanee di sospetta natura neoplastica ottenute per via chirurgica o autoptica, a ciascun partecipante è stato chiesto, dopo aver letto i vetrini in modo indipendente, di esprimere il proprio giudizio diagnostico nei seguenti termini: TUMORE BENIGNO: B = proliferazione neoplastica istologicamente benigna TUMORE MALIGNO: M = proliferazione neoplastica istologicamente maligna NEGATIVO PER TUMORE: N = tessuti nella norma o affetti da altre patologie specifiche o aspecifiche E’ invece stata lasciata come facoltativa la possibilità di esprimere la diagnosi istologica secondo WHO (2) ed il corrispondente codice ICD-O. Per uniformare le modalità di risposta e minimizzare la possibilità di errore nell’inserimento dei risultati, essi sono stati inviati per via informatica su un modulo in formato Excel (.xls), con campi precompilati a scelta singola. Per l’analisi statistica della riproducibilità (o concordanza) è stato utilizzato il kappa (k) di Cohen(1, 5, 7), indice che consente di isolare la reale concordanza tra lettori eliminando la componente imputabile esclusivamente al caso. Il kappa valuta esclusivamente la concordanza esistente tra i risultati ottenuti all’interno di un gruppo di lettori, indipendentemente dalla correttezza diagnostica di tali risultati e può variare tra -1 (concordanza inferiore persino a quella che si avrebbe per effetto del solo caso) e +1 (accordo totale). Per l’interpretazione dei valori assunti dal k di Cohen si è fatto riferimento a quanto riportato in Tabella 1(8). Valori di k < 0.00 0.01 – 0.20 0.21 – 0.40 0.41 – 0.60 0.61 – 0.80 0.81 – 1.00 Landis(6) Poor Altman(1) Poor Fleiss(5) Poor Byrt(3) No agreement Slight Fair Moderate Substantial Almost perfect Poor Fair Moderate Good Very good Poor Poor Fair to good Fair to good Excellent ( ≥0.75) Poor Slight Fair Good Very good (Excellent ≥ 0.92) RISULTATI E CONCLUSIONI A seguito dell’invio del protocollo di studio e di un invito ufficiale alla partecipazione, hanno aderito al RT 17 lettori facenti parte di 11 diverse strutture:10 IIZZSS ed una Università (Pisa). Benché facoltativa, 16 partecipanti su 17 hanno inserito la classificazione WHO ed il relativo codice ICD-O. I k-overall inter-lettore per i risultati espressi come B/M/N sono riportati in Figura 1, il k rispetto al GM solo per 2 lettori su 17 hanno valori del limite inferiore dell’IC 95% inferiori a 0.6, mentre per gli altri, sono pienamente soddisfacenti. Infine il k-combined inter-lettore è risultato pari a 0.82 (IC95% 0.79 -0.84).Il k-combined intra-laboratorio è risultato pari a 1.00 (IC95% 0.76 – 1.00) per 4 laboratori su 5, mentre per 1 è risultato pari a 0.81 (IC95% 0.67 – 0.95). Figura 1: k-overall per risultati espressi come B/M/N I k-overall inter-lettore per i risultati riclassificati in Epiteliale/ Linfoematopoietico/ Mesenchimale/ Misto/ Non tumorale/ Tessuto nervoso sono riportati in Figura 2. Il k rispetto al GM è pienamete soddisfacente per tutti i lettori, tranne uno, il cui limite inferiore dell’IC 95% è inferiore a 0.6. Infine, il k-combined interlettore è risultato pari a 0.85 (IC 95% 0.83 - 0.87). Il k-combined intra-laboratorio è risultato pari a 1.00 ( IC95% 0.76 – 1.00) per 3 laboratori su 5, mentre gli altri 2 laboratori hanno ottenuto un k-combined pari a 0.95 (IC 95%0.75 – 1.00) e 0.91 (IC 95%0.72 – 1.00). I risultati, in termini di B/M/N, dello studio si possono ritenere soddisfacenti: infatti il k-combined è a livelli considerati in letteratura da Very good a Excellent, con limiti inferiori dell’intervallo di confidenza a livelli considerati da Substantial a Good. Si può pertanto affermare che il livello di diagnosi istologica, in termini di benignità, malignità o assenza di lesioni tumorali, è uniforme nella rete diagnostica degli II.ZZ.SS. I livelli di concordanza sono ancora più elevati se si valuta il k intra-laboratorio, come comprensibile per lettori abituati a svolgere il proprio lavoro insieme. Soltanto un laboratorio ha un k-combined leggermente inferiore; si può ipotizzare che tale differenza sia dovuta al fatto che in effetti i lettori ad esso afferenti operano in 3 sedi diverse. Anche per quanto riguarda le diagnosi, dopo riclassificazione in Epiteliale / Linfoematopoietico / Mesenchimale / Misto / Non tumorale / Tessuto nervoso si può osservare una buona riproducibilità all’interno della rete diagnostica. BIBLIOGRAFIA (1) D.G. Altman. In Practical Statistics for Medical Research. Chapman & Hall/CRC, London - (UK), 2nd edition, 1991. (2) Anonymous. In International histological classification of tumors of domestic animals. Armed Forces Institute of Pathology, 1974. (3) T. Byrt. How good is that agreement? Epidemiology, 7:561, 1996. (4) B. Efron and R. Tibshirani. Bootstrap measures for standard error, confidence intervals, and other measures of statistical accuracy. Statistical Science, 1:54–77, 1986. (5) J.L. Fleiss, B. Levin, and M.C. Paik. In Statistical Methods for Rates and Proportions. John Wiley & Sons, New York USA), 3rd edition, 2003. (6) J.R. Landis and G.G. Koch. The measurement of observer agreement for categorical data. Biometrics, 33:159–174, Mar 1977. (7) M.M. Shoukri. In Measures of interobserver agreement. Chapman & Hall/CRC, London - (UK), 2004. (8) M. Szklo and F.J. Nieto. Quality assurance and control. In Epidemiology: beyond the basics, chapter 8, pages 297–350. Jones and Bartlett Publishers, Sudbury (Massachusetts - USA), 2nd edition, 2006. Figura 2: k-overall per risultati espressi come riclassificati in Tabella 1: Interpretazione del k di Cohen La numerosità campionaria è stata scelta in modo da garantire che in presenza di una discordanza il limite inferiore dell’intervallo di confidenza non scendesse al di sotto di 0.6. Sia per gli esiti espressi come B/N/M, sia per gli esiti riclassificati in Epiteliale/ Linfoematopoietico/ Mesenchimale/ Misto/ Non tumorale/ Tessuto nervoso a partire dai codici ICD-O. Per ciascun lettore è stato quindi calcolato (valutazione inter-lettore): il k tutti contro tutti ed i relativi intervalli di confidenza al 95% (IC 95%), cioè il k per ciascuna coppia di lettori; il k-overall (+ IC 95%), il kappa (+IC95%) rispetto al giudizio di maggioranza (GM), cioè l’esito relativo al singolo campione riportato dalla maggioranza dei partecipanti. E’ stato poi stimato il kappa-combined (+IC95%), complessivo, 154 Epiteliale/ Linfoematopoietico/ Mesenchimale/ Misto/ Non tumorale/ Tessuto nervoso 155 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 INTERFERENZA DELLE MODALITA’ DI CONSERVAZIONE DEL LATTE SULLE PERFORMANCES DEI TEST DIAGNOSTICI PER BRUCELLOSI E LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA Canale G., Barbero R., Bergagna S., Contrucci M., Dezzutto D., Gennero M.S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta -Torino Key words: milk, ELISA, Piedmont Region ABSTRACT Accuracy of milk analysis is very important to most dairy farmers, to dairy industry and health consumer. Many factors contribute to variation of the parameters analysed; one of the these factors is the method used to preserve the sample prior to milk analysis in testing laboratories. In order to evaluate the bacteriological condition of milk, preservation, duration and temperature of milk sample storage has to be generally harmonized. However, due to special needs, the milk samples are preserved by different methods. In particular, the samples can be fresh, frozen or with the sodium azide addition.The aim of this work was to test the performance of ELISA test (Bovine Brucellosis and Leucosis) in fresh, frozen and with sodium azide milk sample. About 500 samples, divided in 3 groups, were tested and each group of samples was stored in a different ways. The results of the study showed that the different storage conditions have no effect on the diagnostic performance of the used tests. INTRODUZIONE La Brucellosi bovina è una malattia infettiva ad eziologia batterica, sostenuta solitamente da Brucella abortus; il bovino tuttavia si può infettare anche con Brucella melitensis e Brucella suis. La Brucellosi bovina è inoltre una zoonosi in quanto l’uomo può contrarre la malattia attraverso il contatto con materiale biologico o animali infetti, per via aerogena (per categorie professionali a rischio) oppure attraverso l’ingestione di prodotti di origine animale contaminati. In Italia e in Europa, a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, questa malattia è stata oggetto di piani di controllo ed eradicazione. Attualmente, su tutto il territorio nazionale è in vigore un piano di eradicazione obbligatorio (D.M. 651/1994 e successive modifiche), basato essenzialmente sul controllo sierologico periodico della popolazione bovina. Diversamente dalla Brucellosi, la Leucosi Bovina Enzootica è una malattia virale, sostenuta da un Retrovirus che, in condizioni naturali, colpisce esclusivamente i bovini. Il virus determina una risposta anticorpale che non blocca la sua replicazione nell’ospite, dando luogo ad un’infezione cronica caratterizzata dallo sviluppo di forme tumorali (linfosarcomi). Le manifestazioni cliniche insorgono dopo un lungo periodo di incubazione e la letalità degli animali in allevamento non è molto elevata (25%). E’ oggetto di un piano nazionale di eradicazione dal 1996 (D.L. n. 358 del 2 maggio 1996) basato su controlli sierologici periodici nelle aziende bovine da riproduzione ed eliminazione dei capi positivi e ispezione ufficiale post-mortem di tutti i capi macellati. Questa infezione è stata eradicata in tutta l’Europa occidentale con le eccezioni di Malta e Italia. Presso la S.C. Sierologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Torino vengono routinariamente effettuate le analisi previste dal Piano Nazionale di Eradicazione e Sorveglianza. A livello scientifico, l’affidabilità del latte di massa quale strumento di controllo nei confronti delle malattie infettive è ampiamente documentata. A livello pratico, tale strumento risulta particolarmente idoneo quando le malattie infettive oggetto di risanamento sono state già eradicate e quindi le aziende sottoposte a controllo sono negative. A livello economico, è evidente il risparmio che il servizio sanitario consegue nell’abbandonare il campionamento individuale. Nell’ambito del monitoraggio, attualmente il laboratorio effettua circa 2000 saggi immunoenzimatici l’anno esclusivamente su campioni di latte per la diagnosi di Brucellosi e Leucosi. Come per tutti i laboratori dislocati sul nostro territorio, a così vasto impiego zootecnico, uno dei problemi riscontrati con maggiore frequenza riguarda le modalità di conservazione del campione prima del suo arrivo in laboratorio. Le cause di tali inconveniente sono da ricercarsi innanzitutto sulla dislocazioni degli allevamenti rispetto all’ubicazione del laboratorio. La temperatura, in particolar modo, può influire negativamente sulla conservazione del campione. Per tali motivi, i campioni che vengono consegnati in laboratorio spesso mancano di uniformità per quanto concerne la modalità di conservazione. Obiettivo di questo studio è quello di valutare l’interferenza di alcune modalità di conservazione sulle performances diagnostiche dei saggi ELISA utilizzati per la diagnosi di Brucellosi e Leucosi nel latte bovino. MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto in cieco su campioni di latte provenienti da diversi allevamenti nell’ambito dei Piani nazionali di Eradicazione e Sorveglianza della Brucellosi e Leucosi Bovina Enzootica. Sono stati utilizzati i campioni pervenuti presso il laboratorio in un periodo di 6 mesi nel 2006. I campioni testati sia per la BRC (409) che LBE (90 campioni) sono stati suddivisi in 3 aliquote al fine di ottenere 3 gruppi omogenei così suddivisi: gruppo A: campioni con sodio azide (5 mg/50ml) gruppo B: campioni freschi gruppo C: campioni congelati Tale suddivisione è stata fatta sia per i campioni testati per BRC sia per LBE. Sono stati utilizzati kit del commercio validati dall’AFSSA (Agence Francaise de Sicurite Sanitaire des Aliments) autorizzati alla commercializzazione in Italia dai CDR Nazionali. Il test per Brucella può essere eseguito sia su latte di singolo capo che su latte di massa. Il Limite Inferiore di Rilevabilità (LIR) è £ IsaBS 1/40000 (International standard anti Brucella abortus Serum), cioè il test è in grado di dare risposta positiva per un campione contenente 0.025 UI anticorpi brucellari. Il kit è in accordo con i requisiti richiesti dalla direttiva 64/498/ CEE e successive modifiche e con il Manual of standards for diagnostics test and vaccines, OIE. Le piastre di polistirene sono fornite adsorbite con antigene LPS (lipopolisaccaride di membrana) di Brucella abortus. Il coniugato consiste in antisiero anti IgG bovine coniugato con perossidasi. Il substrato enzimatico cromogeno (TMB) sviluppa un colore blu in presenza di perossidasi. Con l’aggiunta della soluzione acida bloccante il colore vira al giallo e rimane stabile 156 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 per la lettura spettrofotometrica a 450 nm. Il test per Leucosi si basa sull’uso del lisato ultrapurificato del virus e può essere utilizzato per dimostrare la presenza di tutti i tipi di anticorpi contro il virus (proteine dell’envelope, proteine del capside..). il limite di positività è stabilito utilizzando un controllo positivo fornito nel kit permette di rilevare European Standard (E5/250) diluito 1/100 in latte bovino ottenuto da stalle infette. Le piastre di polistirene sono fornite adsorbite con l’antigene virale (BLV). Il coniugato consiste in antisiero anti IgG bovine coniugato con perossidasi. Il substrato enzimatico cromogeno (TMB) sviluppa un colore blu in presenza di perossidasi. Con l’aggiunta della soluzione acida bloccante il colore vira al giallo e rimane stabile per la lettura spettrofotometrica a 450 nm. L’intensità del colore è in funzione del grado di anticorpi presenti nel campione testato. RISULTATI E CONCLUSIONI Per quanto concerne le analisi effettuate su campioni di latte bovino per la ricerca di BRC (409 campioni) non è stata riscontrata nessuna differenza significativa tra i risultati ottenuti nei 3 gruppi valutati. La negatività dei campioni è stata infatti confermata in ogni campione anche se conservato con modalità differenti. Lo stesso risultato è stato ottenuto anche per quanto concerne le analisi effettuate per la ricerca di LBE (80 campioni). Lo studio condotto presso il nostro laboratorio ci ha permesso quindi di evidenziare il fatto che le diverse modalità di conservazione dei campioni di latte non interferiscono sulle performances dei kit diagnostici utilizzati. Le analisi eseguite su campione di latte fresco infatti prevedono la consegna dello stesso entro 18 ore dal prelievo nonché il fatto che il laboratorio le esegua il giorno stesso dell’arrivo. Come precedentemente già menzionato, le diverse ubicazioni degli allevamenti, anche in Valle d’Aosta o in Liguria non permettono un invio immediato dei campioni di sangue prelevati. Da un punto di vista logistico inoltre diviene pressochè impensabile pretendere che ciò avvenga considerate anche le dimensioni numericamente molto elevate dei campioniamenti previsti dai Piani Nazionali. I medici veterinari che si occupano di prelevare i campioni spesso necessitano di supporto per cercare di armonizzare il più possibile le tecniche di conservazione. Proprio per questo preciso scopo è stato effettuato lo studio comparativo per confrontare i risultati ottenuti analizzando gli stessi campioni conservati con modalità differenti: fresco, congelato e con aggiunta di sodio azide. Sulla base dei risultati ottenuti nel presente studio, possiamo quindi concludere che le differenti modalità di conservazione dei campioni di latte non sono fortunatamente in grado di provocare un’interferenza nei confronti degli esiti delle analisi effettuate con metodo ELISA per BRC e LBE. BIBLIOGRAFIA 1) Elizondo J., Aldunate A., Ezcurra P., Gallego I., Saigos E., Ulayar E., Izco J.M. (2007) Efficiency of the proportion of azidiol on preservation in ewes milk samples for analysis. Food Control 18 (2007) 185–190.1) 2) Friend BA, Shahani KM, Long CA, Vaughn LA. (1983) The effect of processing and storage on key enzymes, B vitamins, and lipids of mature human milk. I. Evaluation of fresh samples and effects of freezing and frozen storage. Pediatr Res. 1983 Jan;17(1):61-4. 3) Sánchez A., Contreras A., Jiménez J., Luengo C., Corrales J.C., Fernández C. (2003) Effect of freezing goat milk samples on recovery of intramammary bacterial pathogens. Veterinary Microbiology, 94, 71–77. 4)Shire J, Gordon JL, Karcher EL. (2013) Short communication: the effect of temperature on performance of milk ketone test strips. J Dairy Sci. 2013 Mar;96(3):1677-80. 157 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. Brigham, R.M. and M.B. Fenton. “Convergence in foraging strategies by two morphologically and phylogenetically distinct nocturnal aerial insectivores”. J. Zool. (UK) 1991; 223:475-489. 2. Clark, D.R., Jr. “Death of bats from DDE, DDT, or dieldrin: diagnosis via residues in carcass fat”. Bull. Environ. Contam. Toxicol. 1981; 26:367-374. 3. Clark, D.R., Jr. “Lead concentrations: Bats vs. terrestrial small mammals collected near a major highway”. Environ. Sci. Technol. 1979 (13); 338-341. 4. Hernández LM, Ibáñez C, Fernández MA, Guillén A, González MJ, Pérez JL. “Organochlorine insecticide and PCB residues in two bat species from four localities in Spain”. Bull Environ Contam. Toxicol. 1993; 50 (6):871-7. 5. Hickey, M. B. C. and M. B. Fenton. “Behavioural and thermoregulatory responses of female hoary bats, Lasiurus cinereus (Chiroptera: Vespertilionidae), to variations in prey availability”. Ecoscience 1996; 3:414422. 6. Kannan K, Yun SH, Rudd RJ, Behr M. “High concentrations of persistent organic pollutants including PCBs, DDT, PBDEs and PFOS in little brown bats with white-nose syndrome in New York, USA”. Chemosphere. 2010;80:613-8. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L’ATTIVITA’ DI PROFICIENCY TEST-PROVIDER DEL LABORATORIO DI RIFERIMENTO NAZIONALE ED EUROPEO PER Escherichia coli DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S., Maugliani A., Galati F. Laboratorio Comunitario e Nazionale di Referenza per Escherichia coli, Istituto Superiore di Sanità, Roma Keywords: Escherichia coli, verocitotossina ABSTRACT The Istituto Superiore di Sanità in Rome is the European and National Reference Laboratory for Escherichia coli, including Verotoxigenic E. coli (VTEC) since 2006. The main task of its mandate is to ensure that the methods for the identification and typing of VTEC strains are harmonized. This is accomplished by developing methods, distributing reference materials, organizing proficiency tests (PT) and hosting scientists for training stages. Here we report on the 6 years experience in PT organization. INTRODUZIONE Il Laboratorio di Riferimento Europeo per l’Escherichia coli (EURL) opera principalmente nel settore degli E. coli produttori di verocitotossina (VTEC), che rappresentano l’unico gruppo di E. coli patogeni per l’uomo con riconosciuta origine zoonotica. In accordo al Regolamento CE 882/2004 le funzioni e i compiti del Laboratorio di Riferimento includono: - collaborazione con organismi internazionali (in particolare, CE, OIE, WHO, EFSA ed ECDC) e la rete dei Laboratori Nazionali di Riferimento (LNR) nell’ambito della salute umana ed animale e della sorveglianza epidemiologica; - sviluppo di metodi per l’identificazione e tipizzazione di VTEC e altri patogruppi di E. coli in cibo, animali e matrici di interesse; - produzione di materiali di riferimento e gestione di una collezione di ceppi di riferimento di particolare interesse; - organizzazione di test comparativi (Proficiency Tests, PT) tra laboratori di riferimento dell’UE e paesi terzi; - collaborazione con i laboratori che si occupano di infezioni da E. coli nei paesi terzi; - supporto tecnico-scientifico alla Commissione Europea. Il laboratorio svolge anche il ruolo di Laboratorio Nazionale di Riferimento e organizza, parallelamente ai circuiti di PT rivolti ai LNR, studi destinati anche ai laboratori italiani coinvolti nel controllo ufficiale degli alimenti, in particolare gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS), finalizzati all’identificazione e alla tipizzazione dei ceppi VTEC e alla loro ricerca negli alimenti e in matrici animali. Al fine di fornire prestazioni e risultati di laboratorio qualificati e riconosciuti in ambito nazionale e internazionale, l’EU-RL VTEC ha definito e applica una politica della qualità conforme alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 nell’ambito dell’attività analitica e alla norma ISO/IEC 17043 in merito all’attività di organizzatore e fornitore di PT. Viene qui descritta l’attività riguardante l’organizzazione di circuiti inter-laboratorio per i LNR e gli IIZZSS maturata nel corso degli ultimi sei anni, con i relativi risultati. TEST COMPARATIVI INTER-LABORATORIO A partire dal 2007 il laboratorio ha organizzato 11 PT, di cui 6 sull’identificazione e tipizzazione di ceppi VTEC e 5 sull’identificazione di VTEC in alimenti e matrici animali. Inoltre ha sviluppato, in collaborazione con il SIDBAE - Settore informatico dell’ISS, un applicativo intranet Citrix Metaframe, per la gestione del database e della piattaforma web, che consente la raccolta dei risultati sottomessi dai laboratori 158 partecipanti direttamente on-line. Nel complesso, è stato registrato un incremento delle adesioni, sia a livello europeo che nazionale, come si evince dalla Fig. 1. Fig. 1: Numero di laboratori partecipanti ai PT Identificazione e tipizzazione di ceppi VTEC L’EU-RL VTEC ha organizzato sei PT sulla tipizzazione dei ceppi batterici, di cui l’ultimo è tutt’ora in corso, con i seguenti obiettivi: - identificare correttamente un ceppo di E. coli come un VTEC tramite rilevamento in PCR dei geni di virulenza; - identificare correttamente i siero-gruppi dei ceppi VTEC maggiormente associati a malattia grave nell’uomo (EFSA ECDC) (1). La figura 2 mostra il numero dei laboratori partecipanti ai PT con le relative prestazioni relativamente all’identificazione dei diversi geni di virulenza nei ceppi isolati. Fig. 2: Identificazione dei geni vtx1, vtx2 ed eae nei ceppi batterici vtx1 vtx2 eae Il grafico riportato nella figura 3 si riferisce invece ai risultati sulla sierotipizzazione dei ceppi. In particolare, è importante notare che tutti i laboratori sono ora in grado di identificare correttamente i ceppi VTEC appartenenti al sierogruppo O157 e, la maggior parte di loro, anche quelli appartenenti agli altri quattro sierogruppi maggiormente coinvolti nelle infezioni 159 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Fig. 4: Identificazione dei geni vtx1, vtx2 ed eae nelle colture di arricchimento di alimenti e matrici animali umane: O26, O103, O111, O145. Nel corso del PT10 è stato fornito anche un ceppo appartenente al sierogruppo O104, implicato nell’epidemia tedesca del 2011. La totalità dei laboratori europei e la maggior parte dei laboratori italiani è stata in grado di identificare tale sierogruppo correttamente. vtx1 vtx2 eae Fig. 3: Sierotipizzazione nei ceppi batterici O157 O26 O103 O111 O145 O91 O113 O121 O146 O104 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 DISCUSSIONE/CONCLUSIONI I VTEC rappresentano una popolazione eterogenea di patogeni a trasmissione prevalentemente alimentare. L’impossibilità di distinguere fenotipicamente i VTEC dai ceppi di E. coli commensali richiede, inoltre, la determinazione della presenza dei geni codificanti i fattori di virulenza. Questi presupposti richiedono lo sviluppo di metodi molecolari complessi e richiedono una rete di laboratori qualificati e formati. EU-RL ed LNR E. coli hanno come obiettivo primario il consolidamento della rete dei laboratori coinvolti nel controllo ufficiale degli alimenti in grado di identificare i ceppi VTEC nei veicoli delle infezioni, armonizzando le prestazioni delle strutture operative anche al fine di migliorare la conoscenza dell’epidemiologia delle infezioni da VTEC per affrontare possibili emergenze. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. EFSA-ECDC. 2010. Trends and sources of zoonoses and zoonotic agents and food-borne outbreaks in the European Union in 2008. EFSA Journal; 8 (1): 1496. 2. ISO/TS 13136:2012. Microbiology of food and animal feed -- Real-time polymerase chain reaction (PCR)based method for the detection of food-borne pathogens -- Horizontal method for the detection of Shiga toxinproducing Escherichia coli (STEC) and the determination of O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups La figura 5 mostra invece il numero dei laboratori partecipanti ai PT con le relative prestazioni relativamente all’identificazione dei geni associati ai sierogruppi in fase di screening PCR in alimenti e matrici animali. Ricerca di VTEC in alimenti e matrici animali Dal 2009, l’EU-RL VTEC ha organizzato cinque PT mirati all’identificazione, l’isolamento e la tipizzazione dei principali sierogruppi di VTEC associati ad infezioni umane gravi, in matrici animali ed alimentari contaminate artificialmente. I test avevano lo scopo di introdurre nella routine dei laboratori una metodica ISO recentemente pubblicata, la ISO/TS 13136 ”Microbiology of food and animal feed -- Realtime polymerase chain reaction (PCR)-based method for the detection of food-borne pathogens -- Horizontal method for the detection of Shiga toxin-producing Escherichia coli (STEC) and the determination of O157, O111, O26, O103 and O145 serogroups” (2), che rappresenta lo standard internazionale per la ricerca dei VTEC negli alimenti. Questo metodo è basato sulla identificazione tramite real time PCR dei geni di virulenza e dei determinanti associati ai cinque sierogruppi VTEC maggiormente coinvolti nelle infezioni più gravi, in colture di arricchimento. Il metodo prevede, inoltre, l’isolamento del ceppo VTEC eventualmente presente che, nel caso dell’identificazione di uno dei 5 sierogruppi oggetto del metodo, può essere facilitato tramite un arricchimento sierogruppo-specifico. Le matrici utilizzate sono state rispettivamente: tamponi superficiali di carcasse bovine (PT3), latte (PT4), spinaci (PT7), acqua (PT8) e semi destinati alla produzione di germogli (PT9). La figura 4 mostra il numero dei laboratori partecipanti ai PT e le prestazioni relativamente all’identificazione in fase di screening PCR dei diversi geni di virulenza negli alimenti e matrici animali. Fig. 5: Determinazione dei geni associati ai sierogruppi mediante Real Time PCR negli alimenti e matrici animali O157 O26 O103 O145 La figura 6 mostra il numero dei laboratori partecipanti ai PT con le relative prestazioni relativamente alla fase di isolamento dagli alimenti e matrici animali. 160 Fig. 6: Isolamento dei ceppi VTEC da alimenti e matrici animali O157 O26 O103 O145 161 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RODITORI SELVATICI CATTURATI NEL TERRITORIO PALERMITANO: POSSIBILI RESERVOIR DI LEISHMANIA? Tabella 1- Titoli anticorpali e località di cattura dei roditori oggetto di studio. Caracappa S.1, Torina A.1, Disclafani R.1, Nucatolo G.1, Piazza M.1, Migliazzo A.1, Galuppo L.1, Nifosì D.2, Castelli G.1, Bruno F.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, via Gino Marinuzzi,3, 90129 Palermo, Italy 2 Assessorato Regionale della Salute Keywords: Rodents, Leishmania, reservoir. SUMMARY The identification of natural hosts of Leishmania is fundamental to better understand the epidemiology of the disease. Due to close proximity between rodents, dogs and humans, the importance of rodents as reservoir hosts for different Leishmania species have already been described worldwide. To identify the role of rodents as reservoir hosts for Leishmania infantum in natural infection, 69 rodents were captured under a trap rodent control program in Palermo, known to be endemic for canine leishmaniasis in Sicily. The molecular approach didn’t show positivity to the parasite, unlike the serological method. The results suggest an antibody reactivity to the parasite Leishmania in wild rodents, not comforted by the presence of the parasite in the matrices, analyzed by molecular approach. These considerations suggest a T helper 1-mediated response of the murine immune system, but further investigations are needed to clarify the role of the rodent reservoir. INTRODUZIONE La leishmaniosi è una zoonosi, in cui i serbatoi sono animali selvatici, commensali o animali domestici. Il cane è il principale serbatoio di leishmaniosi viscerale, anche se anche altri mammiferi selvatici sono stati trovati infetti da L. infantum (WHO, 2010). Nel bacino del Mediterraneo numerosi mammiferi selvatici come il topo algerino (Mus spretus), il tasso (Meles meles), il topo europeo del legno (Apodemus sylvaticus), la mangusta (Herpestes ichneumon) , la martora (Martes martes), la genetta ( Geneta GENETA), la lince iberica (Lynx pardinus), la donnola (Mustela nivalis), il lupo (Canis lupus) , la volpe rossa (vulpes vulpes), il ratto nero (Rattus rattus) e il ratto marrone (Rattus norvegicus) sono risultati essere sensibili All’infezione da Leishmania (1, 2, 3, 4). A tutt’oggi i Roditori rappresentano un continuum tra ambiente domestico e selvatico, andando a costituire il mezzo di trasmissione e la possibilità di mantenimento di importanti zoonosi. Recenti studi, infatti, rilevano l’importanza dei roditori, come i portatori di diverse specie di Leishmania (5). Nell’ambito dell’attività di prevenzione delle zoonosi leishmnianiosi, tale studio, si propone di comprendere l’eventuale ruolo di reservoir dei roditori, in un territorio altamente endemico come Palermo. MATERIALI E METODI Le attività del Centro di Referenza Nazionale per le Leishmaniosi in diversi momenti sono state orientate verso lo studio periodico del ruolo dei muridi quali serbatoio di Leishmania infantum. Per identificare il ruolo dei roditori Mus musculus e Rattus rattus come reservoir di Leishmania infantum, 69 roditori sono stati catturati in differenti zone della città di Palermo, nota per essere una zona endemica per la leishmaniosi canina in Sicilia. 24 Mus musculus e 45 Rattus rattus sono stati raccolti tra il maggio 2012 e agosto 2013 nel quadro di un programma di derattizzazione attraverso trappole applicate nelle diverse zone della città (Figura 1). Figura 1 – immagine di roditori, oggetto di studio. Non è stata ufficialmente richiesta alcuna approvazione etica per la cattura degli animali, poiché questi roditori sono considerati specie infestanti e gli esemplari morti di Mus musculus e Rattus rattus sono stati elaborati con procedura necroscopica standard. I campioni di milza, linfonodo popliteo sono stati sottoposti a screening per la presenza di Leishmania infantum mediante Real Time PCR. Il DNA è stato estratto da campioni di milza e da linfonodi utilizzando il kit “PureLink® Genomic DNA Mini Kit” (Invitrogen™) seguendo le istruzioni del produttore. L’approccio molecolare Real-Time PCR ha permesso la quantificazione della sequenza genica target di Leishmania di 68 bp (DNA del chinetoplasto). Ad ogni analisi molecolare effettuata, è stata inclusa una curva di taratura, ottenuta, amplificando diluizioni scalari in base 10, di una soluzione di DNA estratto da ceppi di L. infantum MON1/IPT1, permettendo così di rilevare la quantità di Leishmanie/mL. Vista la difficoltà di reperire campioni di sangue relativamente alle specie selvatiche, soltanto 22/69 emosieri di roditori sono stati analizzati, tramite Immunofluorescenza indiretta (IFAT), per la diagnosi di L. infantum (7, 8). Il Kit utilizzato è prodotto dal C.Re.Na.L secondo la metodica OIE 2008. Si è proceduto mediante diluizioni seriali del siero da 1:10 a 1:1280. L’anticorpo utilizzato è l’Anti-IgG di specie marcato con FITC (Sigma) alla diluizioneproposta dalla ditta. 162 RISULTATI E CONCLUSIONI A differenza del metodo sierologico, l’approccio molecolare RTPCR, effettuato sulle matrici di elezione, milza e linfonodi poplitei, non ha mostrato positività al parassita. L’indagine sierologica effettuata su 22 roditori (20 Rattus rattus e 2 Mus musculus) ha mostrato una reattività anticorpale al protozoo di 14/22 roditori (63%). Nello specifico 4/14 roditori (3 Rattus rattus e 1 Mus musculus) (28,5 %) hanno mostrato un titolo anticorpale di 10. Di questi 14 campioni positivi, 5 Rattus rattus hanno mostrato un titolo anticorpale di 20 (35,7%).Il dato ritenuto significativo, mostrato in tabella 2, rileva come 5/14 roditori (4 Rattus rattus e 1 Mus musculus) presentano un titolo anticorpale al parassita Leishmania di 40 (10). I risultati di questo lavoro suggeriscono una reattività anticorpale al parassita Leishmania nella specie selvatica in esame, non confortata da una presenza del parassita nelle matrici, analizzate mediante approccio molecolare. Tali considerazioni ipotizzano una risposta T helper 1 mediata del sistema immunitario murino, che porti ad una risoluzione dell’infezione. Non essendo stato possibile, in alcun caso, ottenere una positività all’indagine molecolare, sono necessarie ulteriori indagini al fine di chiarire il ruolo di reservoir dei roditori BIBLIOGRAFIA: (1) Abranches P, Conceicao-silva FM, Ribeiro MMS, Lopes FJ, Gomes LT (1983) Kala-azar in Portugal IV. The wild reservoir: the isolates of a leishmania from a fox. Trans R Soc Trop Med Hyg 77:420–421. (2) Fisa, R., M. Ga ´ llego, S. Castillejo, M. J. Aisa, T. Serra, C. Riera, J. Carrio´, J. Ga ´ llego, and M. Portu´ S. 1999. Epidemiology of canine leishmaniosis in Catalonia (Spain): The example of the Priorat focus. Veterinary Parasitology 83: 87–97. (3) Criado-Fornelio, A., Gutierrez-Garcia, L., RodriguezCaabeiro, F., Reus-Garcia, E., Roldan-Soriano, 163 M.A.,Diaz-Sanchez, M.A., 2000. A parasitological survey of wild red foxes (Vulpes vulpes) from the province of Guadalajara, Spain. Vet. Parasitol. 92, 245–251. Portús et al., 2002. (4) Quinnell, R. J. and Courtenay, O. (2009) ‘Transmission, reservoir hosts and control of zoonotic visceral leishmaniasis’, Parasitology, 136 (14), 1915 - 1934 (0031-1820)Papadogiannakis et al., 2010 (5) Colwell DD, Dantas-Torres F, Otranto D. Vector-borne parasitic zoonoses: Emerging scenarios and new perspectives. Vet Parasitol. 2011;6:14–21. doi: 10.1016/j. vetpar.2011.07.012 (6) Manna L, Reale S, Vitale F, Picillo E, Pavone LM, Gravino AE. Real-time PCR assay in Leishmania-infected dogs treated with meglumine antimoniate and allopurinol. Vet J. 2008;177:279–282. doi: 10.1016/j. tvjl.2007.04.013. (7) Badaro R, Reed S G, Carvalho E M. Immunofluorescent antibody testing of American visceral leishmaniasis: sensitivity and specificity of different morphological forms of two leishmania species. Am J Trop Med Hyg. 1983;32:480–484 (8) Duxbury R E, Sadun E H. Fluorescent antibody test for serodiagnosis of visceral leishmaniasis. Am J Trop Med Hyg. 1964;13:525–529. (9) Di Bella C., Vitale F., Russo G., Greco A., Milazzo C., Aloise G. & M. Cagnin. (2003) “ Are rodens a potential reservoir for Leishmania infantum?” Journal of Mountain Ecology, 7 (Suppl.):125-129. (10) Allahverdiyev AM, Bagirova M, Cakir-Koc R, Elcicek S, Oztel ON, Canim-Ates S, Abamor ES, Yesilkir-Baydar S. Utility of the microculture method in non-invasive samples obtained from an experimental murine model with asymptomatic leishmaniasis. Am J Trop Med Hyg. 2012 Jul;87(1):81-6. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALUTAZIONI SULLA QUALITÀ IGIENICO- SANITARIA DI SESAMO IMPORTATO DA PAESI EXTRACOMUNITARI Cardamone C.1 , D’Oca M.C.2, Oliveri G.1 , Nicastro L.1 , Arculeo P. 1 , Di Noto A.M. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, Palermo 2 Università degli studi di Palermo, Palermo Key words: sesame , irradiated spices , Salmonella SUMMARY Sesame seeds and their products have been associated with a number of Salmonella outbreaks in different countries of world. In Sicily, sesame seeds are commonly added on bread. They are imported from non-European countries. The authors report results of microbiological, biological (DNA Comet Assay) and physical (ESR) examinations carried out on 40 sesame seeds samples in the period January 2011-July 2013. Salmonella (S. stanleyville and S. montevideo) were detected in two sesame samples imported from Nigeria. Overall, 96.9% of sesame contained Enterobacteriaceae counts between 60 and 31.000 cfu/g and were of satisfactory/acceptable quality. DNA Comet assay and ESR analysis did not revealed irradiated sesame samples. INTRODUZIONE Il sesamo (Sesamum índicum) è una pianta erbacea, originaria dell’Asia, coltivata principalmente nelle zone tropicali e subtropicali meno sviluppate dell’Asia, del Mediterraneo e del Sud America; la Cina e l’ India sono i maggiori produttori (3) . I suoi semi sono molto impiegati nelle popolazioni asiatiche e mediorientali per la preparazione di piatti e prodotti tipici quali il “tahini”, “helva”, “bulgogi” e “sannakji” (5,10). In Sicilia il sesamo, chiamato “cimino” , viene utilizzato nella preparazione del pane e dei prodotti da forno (grissini, biscotti) . In genere i semi essiccati sono considerati prodotti sicuri per il loro basso contenuto di umidità , ma nell’ultimo decennio, in letteratura, sono stati descritti diversi episodi di salmonellosi legati al consumo di semi di sesamo e dei suoi prodotti. Nel 2001 in quattro Stati europei (Austria, Germania, Norvegia e Svezia) si sono verificati episodi di tossinfezione alimentare da S. typhimurium legati al consumo di helva; nel 2002 e 2003 tre epidemie da S. montevideo si sono verificate in Australia e Nuova Zelanda in seguito a consumo di tahini importato dall’Egitto e dal Libano (10); nel 2012 negli USA è stata segnalata un epidemia da S. bovismorbificans associata al consumo di tahini (9). In Italia non sono noti episodi di salmonellosi legati al consumo di sesamo , tuttavia nel periodo 2003-2013 il nostro Paese ha effettuato 10 notifiche con respingimento alla frontiera di partite di semi di sesamo contaminate da Salmonella spp. (dati RASFF). A partire dal 2011, in seguito all’emanazione del Decreto del Ministero della Salute del 27 febbraio 2008 (1) che affida agli II.ZZ.SS compiti di controllo ufficiale sugli alimenti di origine vegetale non trasformati, presso l’area di Microbiologia degli Alimenti dell’IZS SI-Palermo sono stati analizzati campioni di semi di sesamo importati da diversi paesi extracomunitari. Scopo del presente lavoro è quello di raccogliere ed illustrare i risultati delle analisi effettuate nei primi 3 anni di attività di controllo ufficiale sui vegetali, al fine di valutare la presenza di microrganismi patogeni in semi di sesamo e l’eventuale trattamento con radiazioni . MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra gennaio 2011 – luglio 2013 sono stati esaminati n. 40 campioni di semi di sesamo di origine extracomunitaria (India, Nigeria, Pakistan ed Egitto) . I campioni sono stati prelevati dagli Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera (USMAF) di Palermo (Porto di Trapani e Porto di Palermo) nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti importati da Paesi Terzi. I campioni sono stati sottoposti alla numerazione di Enterobatteri totali (n. 32) e/o alla ricerca di Salmonella spp. (n. 18) (Tabella 1). La numerazione degli Enterobatteri è stata effettuata secondo il metodo ISO 215282:2004 (Violet Red Bile Glucose Agar incubato a 37°C per 24 h). La ricerca di Salmonella spp. è stata effettuata con metodo di screening AFNOR BIO 12/23-05/07: Buffered Peptone Water incubato per 16-20 h a 37°C e successiva analisi mediante Test VIDAS ). I campioni che risultavano essere positivi al VIDAS test sono stati seminati su Xylose Lysine Deoxycholate agar (XLD) e le colonie sospette sono state identificate mediante Biolog automatic system (Biolog Inc., Hayward, CA). di sesamo da Salmonella spp. sono piuttosto discordanti. Le percentuali di positività riscontrate in questo studio sono più basse rispetto a quanto trovato a Cipro nel periodo 2009-2012 ( 24% ) (2) ma più alte rispetto a quanto riportato da altri autori che indicano percentuali di positività comprese tra il 1.7% e 2,0 % (10). Per quanto riguarda i sierotipi riscontrati , entrambi sono stati coinvolti in episodi di tossinfezione alimentare ed in particolare S. montevideo è stata frequentemente isolata in diversi prodotti ottenuti dal sesamo (8,10). In riferimento al conteggio di Enterobacteriaceae, tutti i campioni esaminati sono risultati conformi ai limiti di riferimento indicati dell’Istituto Superiore di Sanità nella nota 15739-21182/ CNRA/Al. 22 del 10/05/2005 (4). In tutti i campioni, infatti, sono state riscontrate cariche di Enterobatteri inferiori a 50.000 ufc/g ed in particolare il 90.6 % dei campioni presentavano cariche comprese tra 1.6 x 102 e 3.1 x 104 ufc/g, il 6.3 % presentava cariche di 60 e 70 ufc/g e solo un campione presentava una carica inferiore a 10 ufc/g (3,1%). Inoltre i risultati delle analisi biologiche (DNA Comet assay) (Fig. 1, 2) e fisiche (ESR) (Fig. 3, 4) effettuate Fig. 1: Campione di sesamo non irradiato Fig. 2: Esempio di sesamo irradiato Tabella n. 1: Paese di origine, n. campioni ed analisi eseguite India n. Campioni 34 Salmonella spp. 13 Enterobatteri totali 31 Nigeria 4 4 0 Pakistan 1 1 0 Egitto 1 0 1 Totale 40 18 32 Origine Inoltre, in ottemperanza alla Raccomandazione 2004/24/CE (7) che prevede la verifica di irraggiamento per le spezie con cariche di Enterobatteri inferiori a 100 ufc/g, n. 3 campioni, che presentavano queste cariche microbiche, sono stati analizzati per valutare l’eventuale trattamento con radiazioni ionizzanti. Sono stati applicati il metodo biologico DNA Comet Assay (EN 13784) ed il metodo fisico di Spettroscopia di Risonanza Elettronica di Spin (ESR) (EN 1787). Le misure ESR sono state eseguite utilizzando uno spettrometro Bruker e-scan Food Analyzer. RISULTATI Salmonella spp. è stata isolata in due campioni di sesamo ( 11.1% ) e gli stipiti sono stati identificati come S. stanleyville e S. montevideo. I campioni erano stati prelevati da due differenti partite importate dalla Nigeria e destinate ad uno stabilimento di lavorazione e confezionamento dei semi di sesamo. In seguito al riscontro di positività l’USMAF ha proceduto al respingimento alla frontiera di entrambe le partite. I dati riportati in letteratura riguardo la contaminazione dei semi 164 sui campioni con cariche inferiori a 100 ufc/g, non hanno dato evidenza di avvenuto trattamento radiante . Fig. 3 : Spettro ESR di un Fig. 4 : Esempio di campione di sesamo non irradiato sesamo irradiato CONCLUSIONI I risultati ottenuti evidenziano come il sesamo rappresenti un prodotto meritevole di attenzione da parte delle Autorità sanitarie. Diverse sono le segnalazioni a livello internazionale di epidemie di Salmonellosi legate al consumo di semi di sesamo e suoi prodotti derivati . Tuttavia , nel nostro caso, il trattamento termico ( temperature di circa 200°C) a cui il pane ed i prodotti da forno vanno sottoposti prima di essere destinati al consumo, può rassicurare circa la possibilità del verificarsi di episodi tossinfettivi, visto che le Salmonelle non sopravvivono a temperatura superiore a 46°C. Non va però trascurata la possibilità che durante la manipolazione del sesamo e durante la fase di preparazione e produzione dei prodotti, possa verificarsi la contaminazione crociata degli ambienti e degli strumenti di lavoro. Ciò potrebbe comportare un eventuale contaminazione di alimenti ivi presenti e destinati al consumo senza alcun trattamento termico. E’ da sottolineare come l’aumento degli scambi commerciali di prodotti sia di origine vegetale che animale con Paesi Terzi possa contribuire ad aumentare il rischio di introduzione e quindi diffusione di sierotipi di Salmonelle “minori” nel territorio comunitario con conseguenti riflessi sulla salute pubblica. Inoltre si sottolinea l’importanza nell’implementare controlli su questa tipologia di prodotti, per verificare l’eventuale trattamento con radiazioni ionizzanti, al fine di tutelare il consumatore con una corretta informazione. Infatti, la normativa comunitaria prevede che gli alimenti sottoposti ad irraggiamento devono essere correttamente etichettati riportando sulla confezione la dicitura “IRRADIATO”. BIBLIOGRAFIA 1) Decreto 27 febbraio 2008 Attribuzione agli Istituti zooprofilattici sperimentali di compiti di controllo ufficiale in materia di analisi chimiche, microbiologiche e radioattive su alimenti di origine vegetale non trasformati. 2) European Food Safety Authority (2012); Annual report of the Microbiological Risk Assessment Network. Supporting Publications 2012:EN-369 . Available online: www.efsa.europa. eu/publications. 3) Gandhi A.P., Taimini V. (2009) Organoleptic and nutritional assessment of sesame (Sesame indicum, L.) biscuits. As. J. Food Ag-Ind. 2(02): 87-92. 4) Istituto Superiore della Sanità nota 15739-21182/CNRA/Al. 22 del 10/05/2005 Raccomandazione del 19 dicembre 2003 relativa al programma coordinato di controlli ufficiali dei prodotti alimentari per il 2004. 5) Jo C., Kim D.H., Shin M.J., Kang I.J., Byun M.W. (2003) Irradiation effect on bulgogi sauce for making commercial Korean traditional meat product, bulgogi. Radiation Physics and Chemistry 68,5 : 851–856. 6) Ngandjio A., Tchendjou P., Koki Ndombo P., Gonsu Kamga H., Fonkoua M.C. (2012) Emergence of multi-drug resistant Salmonella enterica serotype Stanleyville infections among children in Yaounde, Cameroon. J Trop Pediatr 58 (2): 161-163. 7) Raccomandazione 2004/24/CE: relativa a un programma coordinato di controlli ufficiali dei prodotti alimentari per il 2004. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea L 6/29 del 10.1.2004 8) Rapporto Sistema di Sorveglianza dei focolai epidemici di malattie trasmesse da alimenti della regione Piemonte (2009) Available online: www.regione.piemonte.it/sanita/ 9) Torlak E., Sert D., Serin P. (2013) Fate of Salmonella during sesame seeds roasting and storage of tahini. Int J Food Microbiol. 15;163:214-7. 10) Willis C., Little C.L., Sagoo S., de Pinna E., Threlfall J. (2009) Assessment of the microbiological safety of edible dried seeds from retail premises in the United Kingdom with a focus on Salmonella spp. Food microbiology 26: 847-852. “Ricerca Corrente IZS SI 07/11 Ministero della Salute” 165 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 L’IMPATTO MEDIATICO DELLA PARVOVIROSI DEL CANE: INGIUSTIFICATO ALLARME PER UN CEPPO MUTATO DI CPV-2 A ROMA NEL 2012 Tabella 1 - Indagini svolte in Italia sulla diffusione delle tre varianti di CPV-2 1 Autori Cardeti G., 1Barcaioli R., 1Sittinieri S., 1Dante G., 1Cittadini M., 2Desario C., 2Decaro N., 1Amaddeo D. Istituto Zooprofilattico delle Regioni Lazio e Toscana, Biotecnologie, Roma Dip.to di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, Valenzano (BA) 1 2 Keywords: Canine Parvovirus, Variants, Web ABSTRACT In Autumn 2012, some dramatic information about the circulation of a mutate strain of Canine Parvovirus 2 among the dog population in Rome was edited online in some web sites. CPV-2c strain would have been responsible of severe disease till death. Therefore CPVs from Rome province were herein analyzed to characterize the strains and to provide a real insight into local viral diffusion. Thirtynine CPV positive samples collected from dogs in 2011-2012, were identified by ICT, IEM and PCR. Variant prevalence was analyzed by MGB real time PCR. In Rome and environs, CPV-2b was the most prevalent variant (58.97%), while CPV-2a strain constituted 30.77% of the samples; CPV2c was 2.56%. The associations of all the variants isolated with clinical symptoms indicate that in the area under investigation, dull mentation, haemorrhagic gastroenteritis and hypothermia occurred more frequently in infection with CPV-2b and CPV-2a and not with CPV-2c as incorrectly recently announced in many web sites. Introduzione Il Parvovirus canino 2 è considerato uno dei maggiori agenti patogeni responsabili di gastroenterite acuta nel cane. Isolato nel 1978, il CPV-2 è antigenicamente diverso dal CPV-1 (oggi compreso nel genere Bocavirus), ma soprattutto risulta essere più patogeno per il cane. Qualche anno dopo emerge la nuova variante 2a e nel 1984 negli Stati Uniti viene identificata la variante 2b. Le differenze antigeniche di queste varianti rispetto al ceppo 2 originario, sono dovute a mutazioni puntiformi nel gene codificante la proteina capsidica VP2 con conseguente presenza nel residuo 426 di asparagina nel CPV-2a e aspartato in CPV-2b. Nel 2000 (2), viene infine caratterizzata una terza variante, la 2c, che presenta, sempre nel residuo 426, l’aminoacido glutamato. Da allora numerosi studi ne hanno evidenziato la diffusione in Europa (4; 5), in Sud America (10; 1), in USA (7), in Tunisia (Touhiri et al., 2009 in 1), in Vietnam (9) e in Italia, dove sono state condotte alcune indagini i cui risultati sono elencati in tabella 1. Un rilievo riportato da alcuni ricercatori (6), è quello di aver isolato la variante 2c oltre che nei cuccioli di 4-12 settimane (periodo in cui gli anticorpi materni tendono a scomparire), anche in cani adulti da 2 a 3 anni di età. Questa osservazione ha portato ad ipotizzare che tale variante possa essere più patogena delle altre. Nell’autunno 2012, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (IZSLT) è stato consultato in relazione a notizie allarmistiche apparse su Facebook (https://it-it.facebook. com) ed in vari siti web (Repubblica online - www.repubblica. it, A.N.M.V.I. - www.anmvioggi.it, Ordine dei Medici Veterinari di Roma - www.ordineveterinariroma.it), su di un “virus mutato” di Parvovirus canino, particolarmente aggressivo e responsabile di malattia e morte di molti cani, a Roma e provincia. L’Istituto, al fine di confermare o smentire l’ipotesi della circolazione della variante 2c (“virus mutato”) nella suddetta popolazione canina, ha ripreso i campioni relativi al periodo 2011-2012, conservati congelati, già risultati positivi per Parvovirosi ed ha proceduto alla loro caratterizzazione genetica. Materiali e metodi In totale sono stati esaminati n. 56 campioni di contenuto intestinale di animali morti, pervenuti nel biennio 2011-2012, tutti risultati positivi per Parvovirosi canina. Di questi, 36 provenivano da Roma e provincia e 20 dal resto della regione Lazio. I soggetti avevano presentato sintomi (febbre, vomito, diarrea emorragica, leucopenia) e lesioni anatomo-istopatologiche riferibili a Parvovirosi. L’evidenziazione del virus era stata effettuata mediante: test immuno-cromatografico (AniTM Parvo Stick, AniBiotech OY); immunoelettromicroscopia (8) e PCR end point (5). Per la caratterizzazione dei ceppi, è stata utilizzata la Real Time PCR che usa sonde MGB, in grado di distinguere le tre varianti di CPV-2 (5). Risultati e conclusioni La caratterizzazione dei ceppi risultati positivi per Parvovirosi, è rappresentata nelle tabelle 2 - 3 e 4. Dai risultati ottenuti, si evince che la variante più frequentemente riscontrata è la 2b. Di contro, la variante 2c “incriminata” è stata rilevata a Roma e provincia, soltanto una volta e solo nel 2011. Da nostre precedenti indagini relative al quadriennio 2007-2010, la variante 2a risultava quella maggiormente rilevata e la 2c era presente nel 15,69% dei casi. Questi dati rispecchiano quanto rilevato in altri Paesi del mondo, dove le percentuali di positività delle tre varianti, mostrano valori altalenanti a seconda dell’area di studio e del periodo di prelievo (1). Infine, 5 campioni caratterizzati come variante 2b, erano stati prelevati da soggetti di età compresa da 1 a 3 anni, probabilmente non vaccinati e deceduti per sintomi riferibili a Parvovirosi nel 2012, a Roma e paesi limitrofi. E’ stato osservato che all’interno di queste varianti antigeniche esiste un alto livello di variabilità genetica dovuto all’intrinseco alto tasso di mutazione del genoma del Parvovirus canino (1). Nonostante l’affinamento delle tecniche diagnostiche e gli approfonditi studi patogenetici su tali varianti, non è ancora chiaro quali siano i meccanismi e/o le condizioni per cui una di esse possa essere più patogena delle altre. Si è osservato però, che lo stesso potenziale patogeno (sintomi clinici ed esito infausto della malattia) di CPV-2a, CPV-2b, CPV-2c può aumentare in funzione sia di particolari fattori quali età, presenza di anticorpi materni, tipo di vaccino, eventi stressanti (3), che della risposta individuale al Parvovirus. Alla luce di queste considerazioni, le notizie circolate nel web lo scorso autunno, vanno rilette riconfermando che quanto sopra detto, può far pensare alla presenza di ceppi più o meno virulenti e quindi a ceppi diversi, dando adito ad interpretazioni errate ed affrettate che diventano rapidamente oggetto di discussione in Internet. 166 Martella et al, 2005. J. Vet. Med. B Infect Dis. Vet. Public Health. 52: 312-315 Decaro et al, 2006. J. Virol. Methods. 133: 92-99 Decaro et al., 2007. Em Inf Dis. 13: 1222-1223 Di Francesco et al., 2010. Veterinaria. 24: 23-26 Decaro et al., 2011. Vet. J. 187: 195-199 Periodo Area Tot. camp. Pos. 2a n. Pos/% 2b n. Pos/% 2c Pos/% CPV-2 19972004 Italia 327 227/69,42% 27/8,26% 73/22,32% ND 19952005 Italia 414 268/64,73% 49/11,84% 97/23,43% ND 2006 Italia 107 43/40,19% 3/2,80% 57/53,27% 4/3,74% 20042008 Abruzzo 55 31/6,36% 1/1,82% 23/41,82% ND 20082009 Italia 21 13/61,90% 3/14,30% 5/23,80% ND Tabella 2 - Risultati dell’identificazione dei ceppi di CPV-2 mediante real time PCR con sonde MGB Periodo Totale camp. pos. caratterizzati Area Lazio RM e prov. Lazio RM e prov. 2011 2012 24 18 32 18 2a n. Pos / % 7 / 29,16% 7 / 38,90% 8 / 25% 5 / 27,77 % Tabella 3 - Prevalenza delle varianti di CPV-2 a Roma e provincia, suddiviso nei due anni 50,00% 40,00% 70% 5,55% 27,77% 20,00% 0,00% 2 0 11 8,34% 0% 0% CPV-2b 0% C P V- 2 c 55,55% 62,50% 72,23% 75% C P V- 2 c 50% C P V- 2 b 40% CPV-2c 30% 20% C P V- 2 b 10,00% 5,55% 60% CPV-2a 38,90% 30,00% 2 / 8,34% 1 / 5,55% 0 / 0% 0 / 0% 80% 55,55% 60,00% 15 / 62,5% 10 / 55,55% 24 / 75% 13 / 72,23% 90% 72,23% 70,00% 2c n. Pos / % Tabella 4 - Disposizione delle varianti per area geografica Roma e provincia; Lazio) e per anni 10 0 % 80,00% 2b n. Pos / % 38,90% 10 % 0% C P V- 2 a 2 0 12 Roma 2 0 11 167 C P V- 2 a 2 9 , 16 % 27,77% Laz i o Roma 25% Laz i o 2 0 12 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1.Aldaz J., Garcìa-Dìaz J., Calleros L., Sosa K., Iraola G., Marandino A., Hernàndez M., Panzera Y., Pérez R. (2013). High local genetic diversity of canine parvovirus from Ecuador. Veterinay Microbiology. 166: 214-219. 2.Buonavoglia C., Martella V., Pratelli A., Tempesta M., Cavalli A., Buonavoglia D., Bozzo G., Elia G., Decaro N., Carmichael L. (2001). Evidence for evolution of canine parvovirus type-2 in Italy. J. Gen. Virol. 82: 3021-3025. 3.Decaro N., Buonavoglia C. (2012). Canine parvovirus – A review of epidemiological and diagnodtic aspects, with emphasis on type 2c. Veterinay Microbiology. 155: 1-12. 4.Decaro N., Desario C., Addie D.D., Martella V., Vieira M.J., Elia G., Zicola A., Davis C., Thompson G., Thiry E., Truyen U., Buonavoglia C. (2007). The study molecular epidemiology of canine parvovirus, Europe. Emerg. Infect Dis. 13(8): 12221224. 5.Decaro N., Desario C., Billi M., Mari V., Elia G., Cavalli A., Martella V., Buonavoglia C. (2011). Western European epidemiological survey for parvovirus and coronavirus infections in dogs. The Veterinay Journal. 187: 195-199. 6.Decaro N., Desario C., Elia G., Martella V., Mari V., Lavazza A., Nardi M., Buonavoglia C. (2008). Evidence for immunisation failure in vaccinated adult dogs infected with canine parvovirus type 2c. New Microbiol. 31(1): 125-130. 7.Hong C., Decaro N., Desario C., Tanner P., Pardo M.C., Sanchez S., Buonavoglia C., Saliki J.T. (2007). Occurrence of canine parvovirus type 2c in the United States. J. Vet. Diagn. Invest. 19(5): 535-9. 8.Misciattelli M.E., Guarda F., Valenza F., Belletti G.L., Sali G., Righi F., Peveri F., Biancardi G. (1979). Parvovirus associati a gastroenterite nei cani: identificazione al microscopio elettronico con applicazioni di immunoelettromicroscopia, rilievi istopatologici, ematologici e clinici. Ann. Fac. Med. Vet. Torino. 26: 3-20. 9.Nakamura M., Tohya Y., Miyazawa T., Mochizuki M., Phung H.T., Nguyen N.H., Huynh L.M., Nguyen L.T., Nguyen P.N., Nguyen P.V., Nguyen N.P., Akashi H. (2004). A novel antigenic variant of canine parvovirus from a Vietnamese dog. Arch. Virol. 149(11): 2261-2269. 10. Pérez R., Francia L., Romero V., Maya L., Lopez I., Hernandez M. (2007). First detection of canine parvovirus type 2c in South America. Vet. Microbiol. 124(1-2): 147152. 168 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RICERCA DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE E GENI CODIFICANTI DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE E FORMAGGI DELLA REGIONE LAZIO Carfora V., Marri N., Sagrafoli D., Boselli C., Giacinti G., Patriarca D., Pietrini P., Giangolini G., Amatiste S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana Centro di Referenza Nazionale per la Qualità del Latte e dei Prodotti Derivati degli Ovini e dei Caprini Key words: staphylococcal enterotoxins (SEs), milk, dairy products SUMMARY The aim of this study was to determine the presence of enterotoxigenic S. aureus by Multiplex-PCR (M-PCR) and by reversed passive latex agglutination (RPLA). During 2011, 2012 and part of 2013, 169 isolates of S. aureus isolated from milk and dairy products of different animal species were investigated for the presence of genes encoding for staphylococcal enterotoxins (SEs) by M-PCR. These data were compared with the results obtained by using the kit SET-RPLA for the SEs detection, since the presence of SEs genes not always implies that the toxin is produced. As a whole, 29.5% of the isolates were positive for genes encoding “classical” SEs (sea, seb, sec, sed). Sec was the most frequent gene (46.0%), and it was mainly found in goat isolates. 61.0% of strains positive for sea, seb, sec, sed produced the corresponding SEs. Our findings suggest the opportunity to improve specific monitoring and control programmes at the farm level to reduce subclinical mastitis, a frequent cause of milk contamination by S. aureus. di origine umana sembrano produrre più frequentemente SEA (12). Altri Autori riportano che i ceppi in cui è presente il gene seb sono spesso coinvolti nelle SFPs dell’uomo, quelli in cui è presente sea nelle infezioni del bovino, mentre i ceppi che presentano sec sono frequentemente associati a casi di mastite nella capra e nel bovino (4). L’introduzione di tecniche biomolecolari ha permesso di individuare in modo rapido ed efficace i determinanti genetici coinvolti nella sintesi delle SEs/SEls direttamente nei ceppi isolati, tuttavia tale approccio diagnostico non consente di rilevare l’effettiva produzione delle tossine da parte dei ceppi enterotossigeni. Scopo di tale lavoro è stato quello di eseguire un’analisi conoscitiva sulla presenza di geni codificanti le SEs mediante Multiplex-PCR (M-PCR) in ceppi di S. aureus isolati da latte e prodotti lattiero-caseari provenienti da 20 aziende localizzate nella regione Lazio e di confrontare tali risultati con quelli ottenuti mediante test di agglutinazione passiva inversa al lattice (RPLA), per la valutazione delle tossine effettivamente prodotte. INTRODUZIONE Le enterotossine stafilococciche (SEs) rappresentano attualmente una delle maggiori cause di intossicazione alimentare; il latte e i prodotti lattiero-caseari sono spesso associati alle intossicazioni alimentari da stafilococco (SFPs) (13). I sintomi clinici sono caratterizzati da una rapida insorgenza ed includono nausea e vomito accompagnati o meno da diarrea, solo occasionalmente determinano l’ospedalizzazione del paziente. S. aureus produce un’ampia varietà di tossine, tra cui le SEs, enterotossine con attività emetica già dimostrata (SEASEB-SEC-SED-SEE-SEG-SEH-SEI-SER-SES-SET), le “enterotoxin like proteins” (SEls) il cui effetto emetico non è stato dimostrato nei primati (SElL e SElQ) e infine quelle la cui attività emetica deve essere ancora testata (SElJ, SElK, da SElM a SElP, SElU, SElU2 e SElV). Tutte posseggono attività superantigenica e i rispettivi geni codificanti possono essere localizzati in elementi genetici accessori, che includono profagi, plasmidi, isole genomiche nSa, isole di patogenicità (SaPls) (2,8,13), oppure in prossimità della cassetta cromosomica stafilococcica (SCC) implicata nella meticillino-resistenza (2). Nelle SFPs sono spesso coinvolti ceppi batterici produttori di una o più SEs (da SEA a SEE). Sebbene siano stati documentati alcuni casi di intossicazioni alimentari in cui sembrano essere coinvolte nuove tipologie di SEs (da SEG a SET) e di SEls (da SElJ a SElU2), solo la presenza di SEH sembra effettivamente essere associata allo sviluppo di SFPs (2). E’ inoltre riportato in letteratura che l’identificazione delle SEs potrebbe essere utilizzata per studiare l’origine dei ceppi di S. aureus. E’ stato infatti osservato che ceppi isolati da animali (bovini, ovini e capre) sono in grado di produrre in prevalenza SEC, mentre quelli MATERIALI E METODI Nel corso degli anni 2011, 2012 e parte del 2013 e sono state selezionate 169 colonie di stafilococchi coagulasi positivi (48 di origine bovina, 38 caprina, 76 ovina, 5 asinina e 2 ceppi isolati da formaggio di tipologia mista) provenienti da campioni di latte (crudo e termizzato) e varie tipologie di prodotti lattiero-caseari (formaggi freschi, stagionati e a pasta filata) sottoposti a numerazione degli stafilococchi coagulasi positivi secondo la ISO 6888-2: 1999 e Amd1: 2003 (1). Le suddette colonie ottenute da BP-RPF sono state seminate su terreno Agar sangue defibrinato sterile di montone al 5% e incubate a 37°C in aerobiosi effettuando la lettura delle piastre dopo 24 ore. Successivamente, le colonie sono state sottoposte alle seguenti prove di identificazione per S. aureus: colorazione di Gram, test della catalasi e PCR. Per la PCR, dopo estrazione del DNA batterico mediante bollitura è stata effettuata l’amplificazione di un frammento di 132 bp appartenente al gene FemA utilizzando la seguente coppia di primers: GFEMAR-1 (5’-AAAAAAGCACATAACAAGCG-3’) e GFEMAR-2 (5’GATAAAGAAGAAACCAGCAG-3’). Il gene FemA codifica per una proteina universalmente presente in tutti gli isolati di S. aureus coinvolta nell’attività metabolica della parete cellulare batterica (10). I ceppi batterici identificati come S. aureus sono stati sottoposti a M-PCR per il rilevamento dei geni codificanti SEs/SEls (5,6), secondo il protocollo messo a punto dal Laboratorio Comunitario di Riferimento (EU-RL CPS). Sugli isolati positivi alla presenza dei geni sea, seb, sec e sed è stata determinata l’espressione in vitro delle enterotossine A, B, C, D mediante test RPLA utilizzando il kit SET-RPLA (TD 9000, Oxoid, U.K.). 169 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI E CONCLUSIONI 169 colonie di stafilococchi coagulasi positivi selezionate sono state identificate come S. aureus mediante test fenotipici e PCR. Le stesse colonie sono state sottoposte a M-PCR per la ricerca dei geni SEs. Nella tabella 1 è riportato il numero degli isolati positivi a sea, seb, sec e sed e la relativa produzione e identificazione delle tossine SEs mediante SET-RPLA (SEA-SED): di 41 ceppi in cui è stata rilevata la presenza di sea-seb-sec-sed, 25 si sono confermati produttori di tossine (61.0%). Questo dato conferma come la presenza di ceppi che presentano geni codificanti la tossina, non sempre si affianca alla produzione della tossina stessa. In determinate condizioni (temperatura, pH, aW, concentrazione di cloruro di sodio), le enterotossine stafilococciche possono non essere prodotte o essere presenti in concentrazioni inferiori al limite di rilevazione del SET-RPLA (1 ng/ml) (7). I geni codificanti le SEs inoltre potrebbero subire delle mutazioni a livello delle regioni codificanti o in quelle regolatrici: ad esempio, secondo alcuni Autori, il blocco dell’espressione genica di SED non sembra essere correlata alla stabilità dell’RNA ma si verificherebbe durante la sintesi proteica (9). Tabella 2 – isolati positivi e negativi alla presenza di geni SEs/ SEls (sea-ser) in relazione all’origine dei campioni Tabella 1- Isolati batterici positivi alla presenza di geni codificanti sea-sed mediante M-PCR e relativa produzione della tossina mediante SET-RPLA RPLA / M-PCR N° ISOLATI POSITIVI RPLA / PCR (%) SEA/Sea 2/4 (50.0%) SEB/Seb 2/2 (100%) SEC/Sec 17/26 (65.4%) SED/Sed 4/9 (44.4%) Totale 25/41 (61.0%) Nella tabella 2 sono riportati gli isolati batterici positivi ai geni codificanti SEs/SEls (sea-ser) rilevati tramite M-PCR in relazione all’origine dei campioni. Dall’analisi in PCR si rileva un certo grado di eterogeneità tra i profili dei geni codificanti SEs: è stato infatti possibile raggrupparli in 10 combinazioni geniche. Su 50 isolati positivi (29.5%) ai geni codificanti SEs, sec è stato il gene più frequentemente riscontrato (46.0%). Tale dato conferma quanto riportato in bibliografia sulla maggior diffusione di sec nei ceppi batterici isolati da animali (11,12). Inoltre considerando che sec è stato isolato nel 2.0% dei ceppi bovini, nel 13.1% dei ceppi ovini e nel 34.2% dei ceppi caprini, viene avvalorato quanto riportato riguardo la maggiore diffusione di tale gene negli S. aureus di origine caprina (12). Sea e sed sono stati identificati solo in ceppi isolati da latte crudo bovino: il primo è stato riscontrato nell’ 8.3% degli isolati bovini sempre associato a sed, a sua volta riscontrato nel 18.7% degli isolati bovini. Seb è stato riscontrato solo in 2 ceppi isolati da un formaggio speziato di capra. Sono stati isolati 5 ceppi sec positivi tutti produttori di SEC dal formaggio di tipologia mista, di tali ceppi non è stato possibile stabilire la provenienza (bovina o ovina). XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 M-PCR N° Ceppi bovino ovino caprino asinino misto adj 1 1 0 0 0 0 adr 2 2 0 0 0 0 adrj 1 1 0 0 0 0 bc 2 0 0 2 0 0 c 23 1 9 11 0 2 cgi 1 0 1 0 0 0 dj 5 5 0 0 0 0 g 5 0 0 5 0 0 gi 5 5 0 0 0 0 h 5 0 5 0 0 0 POS 50 15 15 18 0 2 NEG 119 33 61 20 5 0 TOTALE 169 48 76 38 5 2 BIBLIOGRAFIA 1. ISO 6888-2: 1999: Microbiology of food and animal feeling stuff- Horizzontal method for the enumeration of coagulasepositive staphilococci (Staphylococcus aureus and other species)-Part 2: Tecnique using rabbit plasma fibrinogen agar medium. Amd 1:2003: Amendement 1: Inclusion of precision data. 2. Argudìn M.A., Mendoza M.C. and Rodicio M.S., 2010. Food poisoning and Staphylococcus aureus enterotoxins. Toxins. 2. 1751-1773. 3. Bendahou A., Abid M., Bouteldoun N., Catelejine D., Lebbadi M., 2009. Enterotoxigenic coagulase positive Staphylococcus in milk and milk-products , Lben and Jben, in Northern Morocco. Journal of Infect. Developing Countries. 3. 169-176. 4. Chu C., Yu C., Lee Y., and Su Y., 2012. Genetically divergent Staphylococcus aureus and sec-dependent mastitis of dairy goats in Taiwan. BMC Veterinary Research. 8. 39. 5. Detection of genes encoding staphylococcal enterotoxins. Multiplex PCR for sea to see and ser. Method of the EU-RL CPS, Version 1, October 2009. 6. Detection of genes encoding staphylococcal enterotoxins. Multiplex PCR for seg to sej and sep. Method of the EU-RL CPS, Version 1, October 2009. 7. Di Giannatale E., Prencipe V., Tonelli A., Marfoglia C., Migliorati G., 2011. Characterisation of Staphylococcus aureus strains isolated from food for human consumption. Veterinaria Italiana. 47. 165-173 8. Le Loir Y., Baron F. and Gautier M., 2003. Staphylococcus Aureus and Food Poisoning. Genetics and molecular research. 2. 63-76. 9. Lis E., Podkowik M., Schubert J., Bystron J., Stefaniak T., Bania J., 2012. Production of Staphylococcal Enterotoxin R by Staphylococcus aureus strains. Foodborne Pathogens and disease. 9. 762-766. 10.Mehrotra M., Wang G., Johnson W.M., 2000. Multiplex PCR for detection of Genes for Staphylococcus aureus Enterotoxins, Esfoliative Toxins, Toxic Shock Sindrome Toxin 1, and Methicillin resistance. Journal of Clinical Microbiology. 38. 1032-1035. 11.Orden J.A., Goyache J., Hernàndez J., Domènech A., Suàrez G., Gòmez-Lucia E.,1992. Detection of enterotoxins and TSST-1 secreted by Staphylococcus aureus isolated from ruminant mastitis. Comparison of ELISA and immunoblot. Journal of Applied Microbiology. 76. 486-489. 12.Rodrigues da Silva E., Do Carmo L.S., Da Silva N., 2005. Detection of the enterotoxins A, B and C genes in Staphylococcus aureus from goat and bovine mastitis in Brazilian dairy herds. Veterinary Microbiology. 106. 103-107. 13.Viçosa G.N., Le Loir A., Le Loir Y., De Carvalho A.F., Nero L.A., 2013. Egc characterization of enterotoxigenic Staphylococcus aureus isolates obtained from raw milk and cheese. International Journal of Food Microbiology. 165. 27– 230. Tra le nuove tipologie di geni codificanti SEs/SEls quelle maggiormente riscontrate sono risultate seg (7.1%) spesso associata a sei (4.1%), seh (2.9%) e sej (4.1%) sempre associata a sed. I geni see e sep non sono stati riscontrati in nessuno dei 169 isolati. Una elevata prevalenza di ceppi positivi ai geni seg-sej è stata riscontrata anche da altri Autori, ad esempio in uno studio condotto in Francia su 332 S. aureus isolati da varie tipologie di alimenti, è stato perfino riscontrato un maggior numero di ceppi positivi a seg, seh, sei e sej (57.0%) rispetto a quelli positivi ai geni codificanti le enterotossine classiche (8). La maggior parte degli studi condotti sulle enterotossine SEASEE dimostra una buona correlazione tra la presenza di geni codificanti SEs e la produzione delle tossine corrispondenti. Questo aspetto non è stato ancora chiarito per gli altri geni codificanti SEs/SEls come il ruolo che alcuni di questi svolgono nella genesi delle SFPs, per questo ulteriori approfondimenti dovranno essere effettuati per chiarire tale aspetto. I metodi biomolecolari possono costituire un rapido ed efficace metodo di screening per la rilevazione di geni codificanti SEs, anche se sarebbe opportuno affiancarli sempre ad altri metodi per ottenere informazioni sull’espressione di tali geni (2,3,8). Purtroppo per le SEs/SEls recentemente identificate, i metodi attualmente utilizzati per la valutazione delle tossine effettivamente prodotte sono poco disponibili e non standardizzati. La presenza in latte e formaggi di S. aureus produttori di SEs di origine animale, suggerisce di prestare particolare attenzione al management igienico-sanitario degli animali in allevamento, in modo da ridurre le mastiti subcliniche, che spesso costituiscono la causa più frequente di contaminazione del latte (7). 170 Ringraziamenti: si ringrazia per la consulenza tecnica il Laboratorio Nazionale di Riferimento per gli stafilococchi coagulasi positivi compreso S. aureus. 171 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ISOLAMENTO DI PSEUDORABIES VIRUS (PrV) GENOTIPO II IN VOLPE ROSSA ITALIANA (Vulpes vulpes) Caruso C1., Dondo A.1, Cerutti F.1, Masoero L.1, Rosamilia A.2, D’ Errico V.1, Grattarola C.1, Acutis P.L.1, Peletto S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (Sezione di Torino). 2Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia ed Emilia Romagna Key words: Aujeszky, PrV, fox SUMMARY Aujeszky’s disease (AD), caused by Suid herpes virus 1 (SHV1) which is also called Pseudorabies virus (PrV), is an economically important disease in domestic swine, the natural hosts of the virus. A variety of mammals other than suids, with the exception of humans, and notably the carnivores are considered dead-end hosts since infection is normally fatal before virus excretion occurs. This report describes a case of AD occurred in a female of red fox (Vulpes vulpes). The red fox showed atypical behavior with neurological symptoms, facial pruritus and motor incoordination. Virological isolation from brain tissue, direct immunofluorescence test, and nested PCR allowed identification of PrV. Phylogenetical analysis classified PrV as genotype II. Even though the wild boar seems to be the most important “wild reservoir” for PrV, the identified red fox strain clustered in the phylogenetic tree with sequences recovered in swine and in working dogs from farms in Northern Italy, suggesting pigs as possible source of infection. The results underline the importance of biosecurity measures in pig farms and of proper disposal of dead pigs to prevent contact with wild animal. INTRODUZIONE Osservato e descritto per la prima volta nel 1813, il morbo di Aujeszky o Pseudorabbia è una malattia virale causata da Suid herpes virus 1 (SuHV1), denominato anche Pseudorabies virus (PrV) , famiglia Herpesviridae, sottofamiglia Alphaherpesvirinae Gli unici ospiti naturali per il PrV sono i membri della famiglia Suidae, in cui sono rilevabili sia i diversi quadri della malattia (encefalite, polmonite, enterite, turbe della funzione riproduttiva) che infezioni asintomatiche o subcliniche, nonché infezioni latenti con possibilità di riattivazione in presenza di fattori stressogeni o immunodepressivi. Nella specie suina i soggetti di ogni età sono da ritenere recettivi all’infezione; tuttavia la maggiore espressione clinica della pseudorabbia (encefalite ad esito letale) si ha nelle prime settimane di vita e la sua evoluzione è fortemente influenzata dall’immunità passiva colostrale. Oltre al suino ed al cinghiale, altri animali domestici e selvatici (bovino, pecora, cane, gatto capra, ratto, procione, opossum) e diversi animali da pelliccia risultano suscettibili all’infezione (1). Nelle specie diverse dai suidi, l’infezione, oltre ad essere poco o nulla diffusibile, determina la morte dei soggetti colpiti in percentuale quasi pari al 100%, portando a considerare i mammiferi diversi dal maiale e dal cinghiale come “ospiti aberranti” o “a fondo cieco” (2). L’ infezione da virus della malattia di Aujeszky è presente in Italia in popolazioni di cinghiali che condividono il proprio territorio con alcuni predatori come la volpe, il lupo e l’orso bruno marsicano; conseguentemente è possibile che l’infezione possa diffondere nei carnivori selvatici attraverso un ciclo preda-predatore. Nel presente lavoro è riportato un caso di malattia di Aujeszky in una femmina adulta di volpe rossa (Vulpes vulpes) in Regione Sagnassi, comune di Centallo (CN). La volpe manifestava eclatante anomalia comportamentale, riconducibile a sintomatologia nervosa con incoordinazione motoria e aggressività; in particolare, gli addetti del Servizio Veterinario intervenuti riportavano che l’animale si rotolava nella neve, scagliandosi contro le siepi e mordendo rami e arbusti. MATERIALI E METODI Presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Piemonte, Liguria e Valle d’ Aosta - Sede di Torino - è stata effettuata la necroscopia, seguita dagli esami diagnostici mirati all’accertamento della causa di morte. Le indagini sono state implementate con l’isolamento e la ricerca di genoma virale di PrV. - IMMUNOFLUORESCENZA DIRETTA - Per la diagnosi diretta di PrV sono state allestite quattro sezioni di circa 4-6 µm a partire da porzioni di encefalo, successivamente fissate e colorate con anticorpo monoclonale coniugato, specifico anti PrV (EUROCLONE). - ISOLAMENTO VIRALE - I campioni di encefalo sono stati tritati ed estratti in MEM EARLE antibiotato 5x. La sospensione è stata successivamente chiarificata mediante centrifugazione a 3500 rpm per 30 minuti a +4°C ed il surnatante inoculato su monostrati di cellule RK13 (Rabbit kidney) coltivati su piastre 24 pozzetti ed incubati a 37°C in presenza del 5% CO2 . L’identificazione virale è avvenuta mediante allestimento di chamber - slides con infezione a monostrato fissate in etanolo freddo e colorate con anticorpo monoclonale coniugato specifico anti PrV (EUROCLONE). - NESTED PCR PER RICERCA GENOMA PrV - 25 µl di cervello ed omogenato cellulare di RK13 che hanno mostrato ECP alla procedura di isolamento virale, sono stati estratti mediante PureLink Genomic DNA mini Kit (Invitrogen) seguendo le istruzioni della casa produttrice. La presenza del genoma virale di PrV nel campione è stata determinata mediante nested PCR per la ricerca del gene della glicoproteina gB utlizzando sequenze i primers (3) riportate in tabella 1. Tabella 1 – Primers utilizzati per la nested Pcr PRIMERS gB first 05 gB first 03 gB second 05 gB second 03 SEQUENZA 5’-3’ ATGGCCATCTCGCGGTGC ACTCGCGGTCCTCCAGCA ACGGCACGGGCGTGATC GGTTCAGGGTCACCCGC (bp) 334 195 - ANALISI FILOGENETICA - Per l’analisi filogenetica sono state amplificate regioni del gene codificante per la glicoproteina gC (788 bp) e del gene codificante per la glicoproteina gE (493 bp). Gli alberi filogenetici dei due frammenti sono stati costruiti con il programma PhyML v3.1 specificando il modello evolutivo 172 migliore ottenuto dall’analisi mediante programma jModeltest2. Negli alberi sono state inserite sequenze di riferimento disponibili in GenBank. - DIAGNOSI DIFFERENZIALE - Per la diagnosi differenziale sono state escluse le principali cause batteriche mediante esame colturale classico. Al fine di escludere sia la rabbia che il cimurro, malattie responsabili di sintomatologia neurologica nei carnivori, sezioni di encefalo sono state processate e sottoposte a IFD, secondo metodica precedentemente descritta, e colorate con anticorpo monoclonale specifico anti Rhabdovirus (BIO-RAD), and anti Canine Distemper Virus (VMRD Inc.), rispettivamente. RISULTATI E CONCLUSIONI All’esame necroscopico esterno, la volpe non mostrava lesioni evidenti: solo la testa appariva edematosa e con chiari segni di scarificazione dovuto al grattamento continuo da intenso prurito. L’esame anatomopatologico non ha rilevato alterazioni macroscopiche significative riferibili a malattie infettive o infestive a carico dei visceri addominali e toracici. Gli esami di IFD per Rhabdovirus e Canine distemper virus hanno dato entrambi esito negativo. Le sezioni di encefalo hanno mostrato una fluorescenza intracellulare specifica per PrV. Contestualmente, le indagini virologiche effettuate hanno permesso l’isolamento del virus dopo 72 h di incubazione su monostrato cellulare RK13 e la successiva messa in evidenza mediante colorazione con anticorpo monoclonale coniugato. Le indagini biomolecolari hanno confermato la presenza di genoma virale di PrV sia nel campione di encefalo sia nel monostrato cellulare RK13 che presentava ECP alla procedura di isolamento (Figura 1). di cinghiale che condividevano lo stesso territorio della volpe. Tuttavia, l’epidemiologia molecolare e la ricostruzione dell’albero filogenetico non supportano questa ipotesi, in quanto dimostrano che il virus isolato dalla volpe appartiene al genotipo II/cluster B (Figura 2); infatti, secondo quanto riportato in letteratura, PrV genotipo II sembra essere associato esclusivamente a stipiti isolati nel suino domestico e in cani domestici che vivevano presso allevamenti suini. PrV genotipo I sembra invece circolare esclusivamente nel cinghiale e, conseguentemente, in cani da caccia (2). L’analisi filogenetica è stata quindi effettuata su altri due stipiti virali isolati da un cane da caccia e da un cinghiale, provenienti dalla stessa area geografica della volpe, che si sono, in effetti, rivelati appartenere al genotipo I/cluster C. L’albero filogenetico mostra inoltre che sequenze del gene gC, simili al virus isolato nella volpe, sono state identificate in suini domestici e in cani che vivevano in allevamenti suini in Nord Italia da altri autori (5). L’ipotesi più accreditata è quindi che la volpe si sia infettata mediante consumo di carne di suino infetta; ciò pone l’accento sull’importanza delle misure di biosicurezza negli allevamenti suini e del corretto metodo di smaltimento delle carcasse al fine di prevenire il contatto con animali selvatici. Figura 2 – Albero filogenetico basato sul gene gC di PrV. Figura 1 – Nested PCR encefalo / surnatante RK13 Le possibilità che hanno i carnivori selvatici di venire a contatto con il virus sono molteplici, tra cui quella di contagiarsi nutrendosi di scarti di rifiuti organici contaminati dal virus; tuttavia la conformazione territoriale e l’inaccessibilità delle aree deputate allo smaltimento di tali rifiuti rende, nel nostro caso, quest’ ipotesi poco percorribile. Un’altra ipotesi plausibile è che la trasmissione del virus alla volpe possa essere avvenuta mediante consumo di carne di cinghiale contaminata da PrV. Sotto questo aspetto il cinghiale si colloca come importante “wild reservoir” del virus, come confermato anche dal monitoraggio sierologico e da precedenti isolamenti effettuati presso il nostro laboratorio in popolazioni 173 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 BIBLIOGRAFIA 1. Cramer Sarah D., Campbell G., Njaa B.L.,, Morgan S., Smith S., McLin W., Brodersen B., Wise A., Scherba G., Langohr I., Maes R., –Pseudorabies virus in Oklahoma hunting dogs - Journal of Veterinary Diagnostic Investigation 23 (5) 915-923 (2011). 2. Steinrigl A., Fernandez S.Rr., Koloodziejek J., Wodak E., Bago Z., Nowotny N., Schmoll F., KÖfer J Detection and molecular characterization of Suid herpesvirus type 1 in Austrian wild boar and hunting dogs – Veterinary microbiology 157 (2012) 276-284. 3. Yoon H.A., Eo K. S.,Aleyas A.G., Cha S.Y., Lee J. H., Chae J.S., Jang H.K., Cho J. G., Song H.J. – Investigation of Pseudorabies virus latency in nervous Tissues of seropositive Pigs exposed to field strain. J.Vet. Med. Sci. 68(2): 143 – 148, 2006. 4. Fonseca AA Jr, Camargos MF, de Oliveira AM, CiacciZanella JR, Patrício MA, Braga AC, Cunha ES, D’Ambros R, Heinemann MB, Leite RC, dos Reis JK. - Molecular epidemiology of Brazilian pseudorabies viral isolates - Vet Microbiol. 2010 Mar 24;141(3-4):238-45. 10.1016/j.vetmic.2009.09.018. 5. Sozzi E, Moreno A, Lelli D, Cinotti S, Alborali GL, Nigrelli A, Luppi A, Bresaola M, Catella A, Cordioli P. - Genomic Characterization of Pseudorabies Virus Strains Isolated in Italy - Transbound Emerg Dis. 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 EPATITE E (HEV): INDAGINE SIEROLOGICA, VIROLOGICA E FILOGENETICA SULLA POPOLAZIONE DI CINGHIALI PIEMONTESI Caruso C.1, Modesto P.1, Peletto S.1, Bertolini S.1, Soncin A.1, De Marco L.1, Buholzer P.2, Boin C.1, Acutis P.L.1, Masoero L.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino 2 Prionics Ag – Zurich, Switzerland Key words: HEV, wild boar, zoonosis SUMMARY The hepatitis E virus (HEV) is a small, non-enveloped, singlestranded RNA virus classified in the Hepeviridae family as Hepevirus genus. Four major genotypes and only one serotype have been identified. Pigs, wild boars and perhaps others species such as deer and rabbits that harbor HEV strains closely related to human strains must be considered reservoir in industrial countries. To assess the potential risk of zoonotic transmission of HEV from wild boar, we analyzed 594 serum and 320 liver samples from wild boar in order to search for antibody anti - HEV and viral genome respectively. Twenty nine out of 594 serum tested positive to ELISA commercial kit (p= 4,9%), and HEV RNA was detected in 12 out of 320 liver samples (p= 2,8%) using a one step Real Time RTPCR. Phylogenetical analysis classified isolates as genotype 3, subtype 3f and 3e. Improving correct sanitary and food education may help prevent HEV risk of infection in occupationally exposed categories and consumers. INTRODUZIONE L’ Hepatitis E Virus (HEV), agente eziologico dell’epatite E umana, è un piccolo virus (27-34 nm) a RNA monofilamento e simmetria icosaedrica, privo di envelope, classificato nella famiglia Hepeviridae (1). Il genoma del peso di circa 7,2 kb è costituito da una corta regione non tradotta 5’ (UTR) seguita da 3 open reading frames (ORFs, 1, 2, 3) e una seconda regione non tradotta con una sequenza poly A all’estremità 3’ (2). Nel complesso, i ceppi di HEV dei mammiferi appartengono a 4 differenti genotipi: i genotipi 1 e 2 sono limitati all’uomo e sono spesso associati ad infezioni ed epidemie in Asia, Africa e Messico, mentre i genotipi 3 e 4 sono zoonotici, colpendo sia l’uomo che gli animali (suini, cinghiali, cervi). Il genotipo 3 si trova principalmente in Europa, Stati Uniti e Giappone, mentre il genotipo 4 è stato identificato in Asia (Cina, Giappone e India) e in Europa. I quattro genotipi sono stati inoltre subclassificati in 24 sottotipi con differente distribuzione geografica:1a-1e (genotipo 1), 2a-2b (genotipo 2), 3a-3j (genotipo 3), 4a-4g(genotipo 4) (3). Nel suino e nel cinghiale l’infezione decorre in maniera asintomatica, provocando di regola infezioni subcliniche con segni di epatite rilevabili solo a livello istologico. Nel suino domestico, il periodo di incubazione dura in media quattro settimane; gli animali infetti eliminano il virus con le feci a partire dalla seconda settimana post infezione per un periodo che può raggiungere le 7 settimane, sieroconvertendo a circa 2-3 settimane post infezione (4). Conseguentemente, il picco anticorpale si ha tra i 3 e i 5 mesi di età e gli animali restano altamente sieropositivi fino a 6 - 7 mesi di vita, con le IgG che cominciano lentamente a decrescere fino alla negativizzazione dell’animale, con conseguente possibile reinfezione nel corso della sua carriera produttiva. Il consumo di fegato crudo e carne di cinghiale e cervo poco cotta ha portato a casi umani in cui è stato isolato il genotipo 3 (5). In Piemonte la presenza dell’HEV negli allevamenti suinicoli è stata segnalata attraverso un precedente studio condotto su 42 174 allevamenti, di cui 40 risultati sierologicamente positivi; tutti gli stipiti isolati appartenevano al genotipo 3. Per comprendere la possibilità di rischio per l‘ uomo di trasmissione della malattia dagli animali selvatici, è stata condotta un’indagine sierologica e virologica nella popolazione di cinghiali del territorio piemontese. MATERIALI E METODI Per l’indagine sierologica e biomolecolare sono stati testati, rispettivamente, 594 sieri e 320 campioni di fegato di cinghiali provenienti dall’ attività venatoria 2011/2012 e 2012/2013. ANALISI SIEROLOGICA - I campioni di siero sono stati testati in un’unica diluizione 1/100 mediante un kit ELISA commerciale (PrioCHECK HEV Ab Porcine). Il metodo consiste in una tecnica ELISA di tipo indiretta in cui l’ antigene ORF2 e ORF 3 HEV sono adesi alla piastra. Il test ha una sensibilità del 91% ed una specificità del 94% (6). ONE STEP REAL TIME RT-PCR - L’RNA è stato estratto dai tessuti con Trizol seguendo il protocollo della ditta di produzione, e risospeso in 20 ml di acqua RNA/DNA free. La reazione PCR è stata effettuata su un volume di 25 ml. La metodica descritta in bibliografia (7) utilizza primer specifici per la regione dell’ORF3 altamente conservata in tutti i genotipi di HEV. I campioni con ct > 38 sono stati considerati negativi; i campioni con 36 < ct < 38 sono stati considerati dubbi; i campioni con ct < 36 sono stati considerati positivi. I campioni dubbi e positivi sono stati retrotrascritti (Life Technologies) e analizzati con nested PCR per la conferma e la successiva analisi filogenetica. NESTED PCR - La metodica descritta in bibliografia (8) prevede l’utilizzo di due set di primers degenerati per la regione 5’ della ORF2. Il primo step amplifica un frammento di circa 710 bp, mentre nel secondo step il prodotto amplificato è di 348 bp ed è costituito da una regione variabile in grado di fornire un segnale filogenetico paragonabile al full genome. ANALISI FILOGENETICA - Gli ampliconi ottenuti con nested PCR sono stati sottoposti a sequenziamento diretto. A questo scopo i prodotti di PCR sono stati purificati con il kit del commercio EUROGOLD Cycle-Pure Kit e marcati mediante reazione di cycle-sequencing utilizzando il kit Big Dye Terminator Cycle Sequencing V.3.1 (Life Technologies). Gli amplificati marcati sono stati purificati utilizzando il kit AutoSeq G-50 Dye Terminator Removal Kit e sequenziati mediante sequenziatore automatico ABI PRISM 3130 (Life Technologies). Le sequenze ottenute sono state visualizzate ed editate manualmente utilizzando il software Sequencing Analysis ed allineate con BIOEDIT (http://www.mbio. ncsu.edu/bioedit/bioedit.html) selezionando l’algoritmo Clustal W. L’analisi filogenetica è stata eseguita con MEGA 5.0 utilizzando il metodo neighbor joining e selezionando il modello Kimura-2. La robustezza dell’albero generato è stata valutata mediante test di bootstrap con 1000 reiterazioni. Per il calcolo delle percentuali di similarità e divergenza tra gli stipiti identificati è stato utilizzato il software MegAlign del pacchetto Lasergene (DNASTAR Inc.). 175 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 RISULTATI E CONCLUSIONI Ventinove sieri su 594 testati sono risultati positivi con una prevalenza del 4,9% (IC95% = 3.3 – 6.9). La figura 1 rappresenta la distribuzione delle aree territoriali del prelievo e delle positività riscontrate. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ESTRATTI POLISACCARIDICI DA ALGHE DEL MEDITERRANEO: VALUTAZIONI DELL’ATTIVITA’ CITOTOSSICA IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM poco cotta e sui prodotti a base di fegato. In tale contesto epidemiologico, l’educazione sanitaria in categorie professionalmente esposte (veterinari dei centri di raccolta selvaggina e cacciatori) (10) affiancata all’educazione alimentare del consumatore, risultano di fondamentale importanza al fine di prevenire il rischio di trasmissione zoonosica e alimentare. Castelli G.1, Bruno F.1, Migliazzo A.1, Vitale F.1, Piazza M.1, Armeli Minicante S.2, Michelet S. 2, Sfriso A.2, Morabito M.3, Genovese G.3 BIBLIOGRAFIA Fig.1 I risultati delle indagini biomolecolari effettuate hanno rilevato la presenza di genoma virale in 12 campioni su 320 testati (p= 3,8% IC95%, 1.9% - 6.5%). L’analisi filogenetica degli isolati ha messo in evidenza come tutti gli stipiti identificati appartenessero al genotipo 3, nello specifico 7 sequenze sono risultate sottotipo 3f e 5 sottotipo 3e. Martinelli et al (9) hanno riportato dati di sieroprevalenza più alti (10,2%) in popolazioni di cinghiali del Centro Nord Italia e non hanno evidenziato positività alla ricerca di genoma virale. Carpentier (10) in un lavoro del 2012, ha rilevato una percentuale di sieropositività variabile tra il 10,5% in soggetti inferiori all’anno e 15, 7% in soggetti superiori all’anno. La minore prevalenza rilevata nel nostro studio, nonché il rilevamento di HEV in 12 campioni di fegato potrebbe essere giustificata da diversi valori di sensibilità e specificità dei kit ELISA utilizzati nei diversi studi, nonché da differenti protocolli biomolecolari. I ceppi virali identificati appartengono tutti al genotipo 3 nel quale si collocano sia sequenze di origine umana che suina, supportando l’ipotesi di un potenziale rischio zoonotico degli stipiti di HEV circolanti nella popolazione di cinghiali del territorio oggetto di studio. Ulteriori considerazioni potrebbero emergere da questo studio, classificando i sieri e i fegati per classi di età e sesso. I continui dati di sieropositività riportati in bibliografia, seppure con percentuali di prevalenza variabili, dimostrano l’effettiva circolazione del virus in popolazioni di cinghiali in diverse aree territoriali europee. Riguardo la possibilità di trasmissione della 1. R.H. Purcell, S.U. Emerson - Hepatitis E: An emerging awareness of an old disease- Journal of Hepatology 48 494–503 (2003). 2. Tam AW, Smith MM, Guerra ME, Huang CC, Bradley DW, Fry KE, Reyes GR – Hepatitis E vius (HEV): molecular cloning and sequencing of the full – length viral genome – Virology 185 (1): 12 – 31, (1991) 3. Ling Lu, Chunhua Li1, and Curt H. Hagedorn - Phylogenetic analysis of global hepatitis E virus sequences: genetic diversity, subtypes and zoonosis- Rev. Med. Virol.; 16: 5–36, (2006) 4. X. J. Meng, B. Wiseman, F. Elvinger, D. K. Guenette, T. E. Toth, R. E. Engle, S. U. Emerson, and R. H. Purcell - Prevalence of Antibodies to Hepatitis E Virus in Veterinarians Working with Swine and in Normal Blood Donors in the United States and Other Countries - JOURNAL OF CLINICAL MICROBIOLOGY, p. 117–122 - Jan. (2002). 5. Philippe Colson, Patrick Borentain, Benjamin Queyriaux, Mamadou Kaba,, Vale´ rie Moal, Pierre Gallian, Laurent Heyries, Didier Raoult, and Rene´ Gerolami - Pig Liver Sausage as a Source of Hepatitis E Virus Transmission to Humans - The Journal of Infectious Diseases; 202(6):825–834, (2010). 6. Carroline Werres, PhD Thesis LMU Munich: Entwicklung eines ELISA zum Nachweis von Hepatitis E Antikorpen aus Serum und Fleischsaft des Schweins, Munich 2010. 7. N. Jothikumar, T.L. Cromeans, B. H. Robertson, X.J. Meng, V. R. Hill - A broadly reactive one-step real-time RT-PCR assay for rapid and sensitive detection of hepatitis E virus - Journal of Virological Methods 131 65–71 - (2006). 8. F. F. Huang, G. Haqshenas, D. K. Guenette, P. G. Halbur, S. K. Schommer, F. W. Pierson, T. E. Toth, and X. J. Meng - Detection by Reverse Transcription-PCR and Genetic Characterization of Field Isolates of Swine Hepatitis E Virus from Pigs in Different Geographic Regions of the United States – Journal of clinical microbiology p. 1326–1332 Vol. 40, No. 4 (2002). 9. Martinelli N., Pavoni E., Filogari D., Ferrari N., Chiari M., Canelli E., Lombardi G. – Hepatitis E virus in Wild Boar in the Central Northern part of Italy – Transboundary and Emerging Diseases, July 2013. 10. Carpentier A., Chaussade H., Rigaud E., Rodriguez J., Berthault C., Bouè F., Tognon M., Touze A., Bonnet N., Choutet P., Coursaget P. – High epatitis E virus seroprevalence in forestry workers and in wild boars in France. malattia per via alimentare, la positività virologica riscontrata pone l’attenzione sulla carne di cinghiale consumata cruda o 176 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, C.Re.Na.L via GinoMarinuzzi, 3-90129Palermo, Italy Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatiche e Statistiche, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia, Italy 3 Dipartimento di Scienze Biologiche e Ambientali (Botanica), Università di Messina, Salita Sperone 31, 98166 Messina, Italy 1 2 Key words: Sulfated polysaccharides, Leishmania infantum, secondary cell lines SUMMARY Sulfated polysaccharides derivatives from marine macroalgae have been shown to possess a variety of biological activities against fungi, bacteria, viruses and protozoa. The aim of this study is to investigate the in vitro anti-leishmanial activity of polysaccharides from Mediterranean Sea’s different macroalgae. The polysaccharides studied were extracted from the red algae Gracilaria bursa-pastoris, Gracilaria viridis, Agardhiella subulata, Hypnea cornuta from the brown algae Sargassum muticum, Undaria pinnatifida and from the green alga Chaetomorpha linum. Under the same assay conditions, only three of the 7 polysaccharides are active against Leishmania infantum, and the polysaccharide extracted from Undaria pinnatifida is the most potent. According to our results, the sulfated polysaccharides are able to modulate the growth rate and cell survival of L. infantum promastigotes in vitro assays and don’t alter significantly the viability of three secondary cell lines. INTRODUZIONE Negli ultimi decenni le sostanze naturali di origine marina hanno suscitato l’interesse dei ricercatori sullo studio delle proprietà biologiche di tali sostanze, in particolare la ricerca si è rivolta all’identificazione dei “principi attivi” di sostanze ricavate da specie di aree geografiche diverse. Complessivamente, più di 3000 nuove sostanze sono state estratte da diversi organismi marini, dimostrando pertanto il grande potenziale di questo ambiente quale fonte di nuove classi chimiche (1). In particolar modo i polisaccaridi presenti nelle alghe marine hanno evidenziato interessanti proprietà biologiche quali: anticoagulante, antitrombotica, antivirale (2), antiproliferativa, antiadesiva, immunostimolante, antiossidante, antinfiammatoria e antiparassitaria (3, 4). Pol. 003 Pol. 062 Pol. 007 Pol. 039 Pol. 019 Pol. 057 Pol. 028 -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- L929 DH82 MDCK Tabella 1 - Attività citotossica dei polisaccaridi in cellule L929, DH82 e MDCK, tramite saggio MTT.(--) non tossico. Queste proprietà rendono tali composti interessanti per l’applicazione in ambito farmaceutico. Pertanto, lo scopo del presente studio è stato quello di analizzare l’attività citotossica dei polisaccaridi algali, provenienti da diverse macroalghe del Mare Mediterraneo, sia in tre differenti linee cellulari immortalizzate e sia in colture di Leishmania infantum. I polisaccaridi oggetto di studio sono stati estratti dalle alghe rosse Gracilaria bursa-pastoris (Pol. 003), Gracilaria viridis (Pol. 062), Agardhiella subulata (Pol. 007), Hypnea cornuta (Pol. 039), dalle alghe brune Sargassum muticum (pol 019), Undaria pinnatifida (Pol. 057) e dall’alga verde Chaetomorpha linum. (Pol 028). MATERIALI E METODI L’attività citotossica dei 7 polisaccaridi è stata esaminata utilizzando il saggio colorimetrico 3-(4,5-dimethyl2thiazolyl)-2,5-diphenyl-2H-tetrazolium bromide (saggio MTT) in 3 linee cellulari immortalizzate: fibroblasti murini (L929), monociti-macrofagi canini (DH82) e cellule epiteliali di cane (MDCK). Le cellule sono state seminate in piastre da 96 pozzetti ad una densità di 1×105 cellule/pozzetto e incubate a 37 ° C, con il 5% di CO2. Dopo 24 ore i polisaccaridi sono stati aggiunti ad una concentrazione finale di 0,02, 0,04, 0,08 e 0,16 mg/ml, a 37 °C. Dopo 48 ore, l’assorbanza è stata letta a 570 nm, usando un lettore di micropiastre Spectrostar Nano (BMG LabTech). Il ceppo di Leishmania infantum, IPT1 ZMON1, è stato ottenuto dalla collezione dell’Istituto Superiore di Sanità (Roma, Italia). Fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di coltura RPMIPY, sono state inoculate con 4x106/ml promastigoti e trattate con concentrazioni seriali (0,02, 0,04, 0,08 e 0,16 mg/ml) dei 7 polisaccaridi. Dopo 48 ore di incubazione a 24°C, si è proceduto alla valutazione della percentuale di vitalità delle Leishmanie, tramite conteggio in camera di bϋrker, e rispetto alla coltura di controllo rappresentativa del 100% di vitalità. L’effetto apoptotico esercitato dai composti algali sul ceppo di L. infantum MON1/IPT1 è stato stimato morfologicamente tramite colorazione May-Grϋnwald Giemsa. I dati ottenuti, dagli esperimenti ripetuti in triplicato, sono stati confrontati con analisi statistica mediante t-test. I valori considerati statisticamente significativi presentano un p-value inferiore a 0,05. RISULTATI E CONCLUSIONI La tabella 1 mostra i dati attinenti l’azione citotossica dei 7 polisaccaridi in linee cellulari fibroblastiche murine (L929), in linee cellulari macrofagiche canine (DH82) e in cellule epiteliali di cane (MDCK), evidenziando una vitalità cellulare maggiore rispetto al valore cut-off (60%), definendo tali polisaccaridi potenzialmente non tossici. 177 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 1 - Istogramma rappresentante le percentuali di vitalità della Leishmania infantum trattata per 48 ore con i polisaccaridi Pol. 003, Pol. 062, Pol. 007, Pol. 039, Pol. 019, Pol. 057, Pol. 028. I dati sono statisticamente significativi con un p-value< 0,05. EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DEI PARVOVIRUS DEI CARNIVORI IN PUGLIA E BASILICATA Vitalità Leishmania infantum (%) 120 Pol. 003 Pol. 062 Pol. 007 Pol. 039 Pol. 028 Catanzariti R.1, Decaro N.2, Padalino I.1, Parisi A.1, Desario C.2, Narcisi D.2, Palazzo L.1, Nardella La Porta A.1, Cavaliere N.1, Buonavoglia C.2 2 80 1 Istituito Zooprofilattico di Puglia e Basilicata, Foggia Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studidi Bari, Valenzano (BA) Key words: Cane, Gatto, Parvovirus,Caratterizzazione molecolare 60 40 20 20 40 µg/ml In figura 1 sono riportate le percentuali di vitalità della Leishmania infantum trattata per 48 ore con le diverse concentrazioni dei polisaccaridi, mettendo in evidenza una diversa azione citotossica, nei confronti del parassita, tra i polisaccaridi oggetto di studio. Figura 2 - Curva di vitalità di Leishmania infantum, trattata per 48 ore con concentrazioni seriali del polisaccaride Pol. 057. I dati sono statisticamente significativi con p-value<0,001. 100 80 60 40 20 20 40 µg/ml 80 160 In figura 3 si osserva l’effetto citotossico esercitato, dopo 48 ore alla massima concentrazione (0,16 mg/ml) del campione Pol. 057 sul ceppo di L. infantum tramite colorazione May-Grϋnwald Giemsa. La figura 3 A rappresenta la coltura di Leishmania infantum (controllo), senza alcuna somministrazione di polisaccaride ma con analogo volume di diluente dell’estratto polisaccaridico, mentre in figura 3 B è possibile osservare parassiti trattati con 0,16 mg/ml, dove non sono riscontrabili forme inte- 80 160 gre di Leishmania, ma corpi apoptotici, a conferma della potenziale attività anti Leishmania dei polisaccaridi estratti dall’alga Undaria pinnatifida. Gli estratti polisaccaridici Pol. 019 (ricavati dall’alga bruna Sargassum muticum) e Pol. 062 (dall’alga rossa Gracilaria viridis) mostrano una moderata attività anti-Leishmania. Come si evince in figura 2 l’estratto polisaccaridico da Undaria pinnatifida (Pol. 057) presenta una potente azione citotossica nei confronti di colture promastigoti di L. infantum. Dopo 48 di trattamento, la coltura di parassiti, trattata con Pol. 057, mostra una riduzione dose-dipendente del numero di Leishmanie/ml e alla massima concentrazione polisaccaridica saggiata, si osserva una vitalità del protozoo del 2,5 %. Vitalità Leishmanie (%) Pol. 057 100 0 0 Pol. 019 A B Figura 3 A - osservazione microscopica (20X) della coltura controllo di Leishmania infantum. Figura 3 B - osservazione microscopica (20X) di coltura trattata con Pol. 057 per 48 ore. I risultati da noi mostrati, non solo confermano i dati bibliografici sull’attività antiparassitaria degli estratti polisaccaridici da alghe marine, ma nello specifico tale indagine scientifica dimostra come i polisaccaridi ottenuti dall’alga bruna Undaria pinnatifida, macroalga che cresce spontaneamente nel Mare Mediterraneo, abbia una potente attività anti-Leishmania in vitro. Inoltre i dati ottenuti suggeriscono un’azione citotossica del Pol. 057 A B Leishmania-target, poiché in 3 linee cellulari immortalizzate non ha determinato alcuna azione pro-apoptotica. BIBLIOGRAFIA 1. Schweitzer J, Handley FG, Edwards J, et al. Summary of the workshop on drug development, biological diversity, and economic growth. J Natl Cancer Inst. 1991;83:12941298. 2. Ohta, Y.; Lee, J.B.; Hayashi, H.; Hayashi, T. Isolation of galactan from Codium fragile and its antiviral effects. Biol. Pharm. Bull. 2009, 32, 892–898. 3. Bilan, M.I.; Usov, A.I. Structural analysis of fucoidans. Nat. Prod. Commun. 2008, 3, 1639–1648. 4. Jiao, G.; Yu, G.; Zhang, J.; Ewart, H.S. Chemical structures and bioactivities of sulfated polysaccharides from marine algae. Mar. Drugs 2011, 9, 196–22 178 SUMMARY Parvovirus strains from twenty-two intestines of domestic carnivores (dogs, n = 19; cats, n = 3) dead as a consequence of haemorrhagic enteritis and/or severe leukopenia in Puglia and Basilicata regions were submitted to sequence analysis of the VP2 gene. Three and 19 strains were characterised as canine parvovirus (CPV) and feline panleucopenia virus (FPLV), respective, which was in agreement with the related animal species. The canine viruses were types as CPV-2a (n = 9), CPV-2b (n = 2) or CPV-2c (n = 7). Four of the type 2c strains were characterised as atypical CPV-2c on the basis of the substitution A1275G found in the VP2 sequence. One sample was found to contain a mixed population, which was characterised as CPV-2b/atypical CPV-2c co-infection. While previous reports accounted for a rapid spreading of CPV-2c in Europe and a decreasing frequency of detection of type 2a/2b strains, the present study demonstrates a new expansion of CPV-2a. INTRODUZIONE I parvovirus dei carnivori sono virus privi di envelope, a DNA monocatenario, molto resistenti alle condizioni ambientali, che possono causare, specialmente nei cuccioli e nei gattini, grave gastroenterite emorragica, leucopenia, miocardite ed eventualmente ascite, idrotorace e idropericardio con tassi di mortalità elevati. I parvovirus, pur essendo virus a DNA, possiedono una spinta evolutiva elevata, con tassi di sostituzione simili ai virus a RNA, pari a 1.7 x 104 sostituzioni per sito per anno. Questa caratteristica è stata associata ad una elevata variabilità intrinseca legata alla struttura monocatenaria del DNA, come pure ad una pressione di selezione positiva legata all’immunità dell’ospite. Mentre la malattia causata dal virus della panleucopenia felina (FPLV) è nota fin dall’inizio dello scorso secolo, il parvovirus del cane tipo 2 (CPV-2) è stato identificato per la prima volta negli anni 70 nel corso di una grave epidemia di gastroenterite diffusasi su scala mondiale. In base all’ipotesi più accreditata, CPV-2 deriverebbe da FPLV previo adattamento in una specie di carnivoro selvatico non identificata (1). A pochi anni dalla sua prima comparsa, CPV-2 ha dato origine a due varianti antigeniche, CPV-2a e CPV-2b, le quali hanno progressivamente soppiantato il tipo originale, attualmente presente solo in alcune formulazioni vaccinali. Confrontando le sequenze della proteina capsidica VP2, sono state osservate cinque-sei sostituzioni aminoacidiche tra il tipo originale e le varianti antigeniche, le quali sono state associate sia ad un incremento di patogenicità che ad un cambiamento dello spettro d’ospite. Infatti, le varianti CPV-2a e CPV-2b sono maggiormente patogene e, a differenza di CPV-2, sono in grado di infettare e causare malattia anche nel gatto. Le varianti 2a e 2b si differenziano solo a livello del residuo 426 della VP2, dove si evidenzia Asn per CPV-2a e Asp per CPV-2b. Tuttavia, tale unica differenza è stata sufficiente per mettere a punto anticor- pi monoclonali (MoAb) specifici. Nel 2000 è stata identificata una nuova variante, denominata CPV-2c e caratterizzata dalla sostituzione Asp426Glu a livello di residuo 426 della VP2. Tale mutazione, a differenza di molte altre precedentemente descritte, è localizzata in un sito antigenicamente dominante (epitopo A) della proteina VP2, per cui è stato possibile mettere a punto MoAb in grado di differenziare la variante 2c da CPV-2a e CPV-2b (2). Nella presente nota si riportano i risultati della caratterizzazione molecolare di 22 stipiti di parvovirus dei carnivori. MATERIALI E METODI Gli stipiti parvovirus analizzati sono stati identificati in campioni intestinali di cani (n = 19) e gatti (n = 3) deceduti a seguito di gastroenterite emorragica e/o leucopenia grave (Tabella 1). I campioni provenivano da allevamenti, canili e/o colonie feline di Puglia e Basilicata. La ricerca del DNA virale è stata eseguita utilizzando un protocollo di PCR convenzionale messo a punto da Buonavoglia et al. (2). I campioni sono stati omogenizzati (10% peso/volume) in terreno di Dulbecco modificato da Eagle (DMEM) e successivamente chiarificati tramite centrifugazione a 2.500 x g per 10 min. Il DNA virale è stato estratto dai supernatanti degli omogenati fecali attraverso bollitura per 10 min e successivo raffreddamento in ghiaccio. Ciascun estratto di DNA è stato diluito 1:10 in acqua distillata per ridurre gli inibitori della PCR a concentrazioni inefficaci. Gli estratti di DNA dei 22 campioni intestinali contenenti i ceppi parvovirus sono stati sottoposti ad amplificazione in PCR di tre frammenti che coprono l’intera sequenza del gene VP2 (3, 4). Le reazioni di sequenziamento sono state condotte utilizzando la mix BigDye 3.1 Ready (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) secondo le istruzioni della casa produttrice. I prodotti sequenziati sono stati separati mediante Genetic Analyzer 3130 (Applied Biosystems). Le sequenze sono state importate e assemblate con il software Bionumerics 5.0 (Applied Maths, Saint-Martens-Latem, Belgio). Le sequenze assemblate sono state analizzate utilizzando il BioEdit software package e gli strumenti di NCBI (htttp://www.ncbi.nlm.nih.gov) ed EMBL (www.ebi.ac.uk). Le sequenze ottenute sono state confrontate con analoghe sequenze di ceppi di riferimento disponibili in GenBank . RISULTATI I ceppi di parvovirus dei carnivori sono stati caratterizzati come CPV o FPLV in accordo alla specie animale dalla quale era stato effettuato il campionamento (Tabella 1). I tre stipiti FPLV non presentavano particolari mutazioni rispetto ai ceppi di riferimento, confermando la scarsa plasticità antigenica di questo virus. I 19 stipiti CPV hanno mostrato le mutazioni aminoacidiche (aa) tipiche delle varianti rispetto al ceppo CPV-2 originale 179 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 (M87L, I101T, A300G, D305Y, N375D), compresa la mutazione S297A identificata negli isolati recenti. In base al codone presente in posizione 1276-1278, 9 stipiti sono stati caratterizzati come CPV-2a, 2 come CPV-2b e 7 come CPV-2c. Quattro di questi sono risultati CPV-2c atipici, in quanto presentavano la mutazione A1275G, la quale è stata associata al mancato riconoscimento della mutante da parte della sonda specifica per 2c in un test di biologia molecolare messo a punto negli anni precedenti (5). Un ceppo CPV è risultato contenere due distinte popolazioni virali a livello di codone 1276-1278: una prima popolazione conteneva la tripletta GAT, per cui era caratterizzata come CPV-2b, mentre nell’altra popolazione era presente la sequenza GAA, che la identificava come CPV-2c. Inoltre, questa popolazione presentava anche la mutazione A1275G. Si trattava quindi probabilmente di un caso di infezione mista CPV-2b/CPV-2c atipico. CONCLUSIONI In questo studio sono stati analizzati 22 campioni intestinali di cane e gatto di Puglia e Basilicata. I risultati hanno mostrato che CPV-2a rappresenta la variante predominante in queste regioni. Al contrario, CPV-2c è stato individuato con frequenza inferiore rispetto a quanto osservato in precedenza. Altri autori (6) hanno osservato che CPV-2c, diffusosi in Uruguay tra il 2007 ed il 2009, negli ultimi anni è stato completamente sostituito da uno stipite 2a. A differenza del suo antenato, il virus della panleucopenia felina (FPLV), che è sostanzialmente in stasi evolutiva, CPV è in continua evoluzione, probabilmente in conseguenza dell’accumulo di errori della polimerasi durante la replicazione virale. Durante lo shift dal tipo originale 2 alle sue varianti CPV2a/2b, le mutazioni sono state accumulate nei domini della VP2 responsabili del legame con il recettore canino della transferrina (TfR). Al contrario, le differenze genetiche fra CPV-2a, 2b e 2c si limitano ad un singolo residuo e consistono nella mutazione N426D/E, collocata nel più importante sito antigenico, l’epitopo A. Ulteriori mutazioni nel gene VP2 sono state descritte più recentemente (1), in particolare le mutazioni A4104G e A4061G individuate in recenti isolati di CPV-2c. Mentre la prima mutazione non ha inficiato i protocolli molecolari di caratterizzazione delle varianti antigeniche, la seconda, localizzata nel sito di attacco della sonda specifica per CPV-2c, impedisce la corretta ibridazione della sonda e la caratterizzazione dei ceppi mutanti. Un recente studio ha evidenziato che la distribuzione dei virus mutanti A4061G è attualmente limitata alla sola Italia, anche se con una crescente diffusione, considerato che l’8,3% dei campioni risultati positivi per CPV e provenienti da diverse regioni italiane sono risultati mutanti CPV-2c (7). Un particolare interesse suscita l’identificazione in un cane di una possibile infezione mista, causata dalle varianti 2b e 2c atipico. Infezioni sostenute da più varianti sono state identificate a più riprese anche in Italia (8). L’evoluzione genetica ed antigenica delle varianti CPV-2 apre nuovi orizzonti sulla profilassi vaccinale, tenendo presente che sono ancora in uso vaccini allestiti con il virus originale non più circolante, i quali si sono dimostrati non completamente efficaci nel contrastare la diffusione delle varianti antigeniche, in particolare della nuova variante CPV-2c. 2. Buonavoglia C, Martella V, Pratelli A, et al: Evidence for evolution of canine parvovirus type-2 in Italy. J Gen Virol 82: 15551560, 2001. 3. Decaro N, Desario C, Parisi A, et al: Genetic analysis of canine parvovirus type 2c. Virology 385: 5-10, 2009. 4. Decaro N, Desario C, Miccolupo A, et al: Genetic analysis of feline panleukopenia viruses from cats with gastroenteritis. J Gen Virol 89: 2290-2298, 2008. 5. Decaro N, Elia G, Martella V, et al: Characterisation of the canine parvovirus type 2 variants using minor groove binder probe technology. J Virol Methods 133: 92-99, 2006.. 6. Pinto LD, Streck AF, Gonçalves KR, et al: Typing of canine parvovirus strains circulating in Brazil between 2008 and 2010. Virus Res 165: 29-33, 2012. 7. Decaro N, Desario C, Amorisco F, et al: Detection of a canine parvovirus type 2c with a non-coding mutation and its implications for molecular characterisation. Vet J 196: 555-557, 2013. 8. Battilani M, Scagliarini A, Ciulli S, et al: High genetic diversity of the VP2 gene of a canine parvovirus strain detected in a domestic cat. Virology 352: 22-26, 2006. BIBLIOGRAFIA 1. Decaro N, Buonavoglia C: Canine parvovirus-A review of epidemiological and diagnostic aspects, with emphasis on type 2c. Vet Microbiol 155: 1-12, 2012. 180 Tabella 1.Risultati della caratterizzazione molecolare degli stipiti parvovirus di cane e gatto. Campione Specie Stipite parvovirus FG1 - 20973 Cane CPV-2c atipico FG2 - 598 TA Cane CPV-2b/CPV-2c atipico FG3 - 2153 TA Cane CPV-2c atipico FG4 - 2828 Cane CPV-2a FG5 - 545 TA Cane CPV-2a FG6 - 8806 PT Cane CPV-2c atipico FG7 - 428 PZ Cane CPV-2c atipico FG8 - 14933 Cane CPV-2b FG9 - 15329 Cane CPV-2a FG10 - 831/1 BR Cane CPV-2a FG11 - 831/2 BR Cane CPV-2a FG12 - 831/3 BR Cane CPV-2a FG13 - 831/4 BR Cane CPV-2a FG14 - 5580 Cane CPV-2a FG15 - 4469 Cane CPV-2c FG16 - 4505 Cane CPV-2c FG17 - 4651 Cane CPV-2c FG19 - 1956/1 BR Gatto FPLV FG20 - 1956/2 BR Gatto FPLV FG21 - 2587 TA Gatto FPLV FG22 - 15316 Cane CPV-2b FG24 - 1813 TA Cane CPV-2a XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI METALLI PESANTI (PIOMBO, CADMIO E MERCURIO) NEI PRODOTTI ITTICI COMMERCIALIZZATI IN PUGLIA NEL 2012 Chiaravalle A.E.1, Iammarino M.1, Miedico O.1, Pompa C.1, Tarallo M.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, Via Manfredonia, 20 – 71100 Foggia Key words: prodotti ittici, metalli pesanti, monitoraggio SUMMARY A monitoring study on the presence of heavy metals (Pb, Cd and Hg) in fishery products was carried out using an accredited analytical method (UNI EN 15763:2010) by inductively coupled plasma mass spectrometry (ICP/MS). A total of 342 samples of different marine species were analyzed. The results were compared with the law limits according to the EC Reg. 1881/2006. 4 different categories of seafood were recognized. The concentration levels were found in compliance with literature data. The mean contamination levels of lead are lower than legal limits. Particular attention is due to the mercury and cadmium levels in swordfish and squid, respectively. INTRODUZIONE L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata è deputato al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Ogni anno vengono eseguite sulle diverse tipologie di alimenti, prelevati dal Servizio Sanitario Locale, le analisi dei principali contaminanti organici ed inorganici, principalmente responsabili degli effetti nocivi sulla salute umana. Tra i contaminanti inorganici, un posto di rilievo è occupato dai metalli pesanti, quali Piombo (Pb), Cadmio (Cd) e Mercurio (Hg), a causa della loro natura chimica che li rende persistenti nei comparti ambientali, con conseguente tendenza al bioaccumulo negli organismi viventi. Gli organismi marini, da un lato sono le specie viventi maggiormente esposte all’inquinamento antropico, dall’altro sono una delle principali fonti di approvvigionamento della dieta umana. Per tali motivi, gran parte dell’attenzione del mondo scientifico si concentra sul livello di contaminazione dei prodotti ittici. Il presente lavoro, pertanto, mostra i risultati ottenuti nell’ambito di un piano di monitoraggio sulla contaminazione da Piombo, Cadmio e Mercurio in campioni di prodotti ittici commercializzati in Puglia e Basilicata e pervenuti presso codesto Istituto nell’anno 2012. I tenori massimi ammessi sono definiti del Regolamento CE 1881/2006 e s.m.i. [5]. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2012 sono stati prelevati 342 campioni di prodotti ittici di varia tipologia ed origine (italiana ed estera), presso punti vendita e stabilimenti di produzione e trasformazione siti nelle regioni della Puglia e della Basilicata (Italia). Su tali campioni sono state determinate le concentrazioni di tre metalli pesanti Piombo, Cadmio e Mercurio mediante una metodica analitica normata [4] e accreditata presso i laboratori dell’IZS-Puglia e Basilicata. Il metodo prevede l’omogeneizzazione della parte edibile del campione, la mineralizzazione umida (HNO3 e H2O2) con microonde di una parte rappresentativa (circa 1,0g) ed infine la determinazione strumentale mediante Spettrometria di Massa al Plasma Induttivamente Accoppiato (ICP-MS, mod. Elan DRC II, PerkinElmer). Il segnale del Piombo è rivelato come somma degli isotopi Pb-206, Pb-207 e Pb-208, quello del Cadmio dall’isotopo Cd-111 ed infine quello del mercurio dall’isotopo Hg- 202. Tutti gli ioni sono misurati in Standard Mode, con taratura mediante standard acquosi (1000 mg L-1, ICP-International). Per il controllo qualità del dato analitico sono stati utilizzati inoltre diversi Materiali di riferimento Certificati. Ogni campione è stato analizzato in doppio; i limiti di quantificazione (LOQ) del metodo sono pari a: 0,012 mg kg-1 (Pb), 0,0043 mg kg-1 (Cd) e 0,0063 mg kg-1 (Hg). Al fine di agevolare l’elaborazione dei risultati e la loro interpretazione, i campioni sono stati raggruppati in quattro categorie: 1) Molluschi bivalvi (138 campioni), così suddivisi: cozze (Mytilus galloprovincialis, 93 campioni), vongole (Tapes phylippinarum, 23 campioni), ostriche (Ostrea edulis, 6 campioni), murici (Bolinus brandaris, 5 campioni), altri molluschi (modiole, lumache marine ed altri, 11 campioni). 2) Molluschi cefalopodi ed altri echinodermi (68 campioni): calamari (Loligo vulgaris, 26 campioni), ricci di mare (Paracentrotus lividus, 11 campioni), totani (Todarodes sagittatus, 10 campioni), seppie (Sepia officinalis, 8 campioni), polpi (Octopus vulgaris, 7 campioni), altri echinodermi (6 campioni). 3) Pesce azzurro (59 campioni): tonni (Thunnus thynnus, 29 campioni), sgombri (Scomber scombrus, 21 campioni), altri (alici, verdesche, salmoni, ecc. 9 campioni). 4) Altri teleostei (77 campioni): pescespada (Xiphias gladius, 25 campioni), orate (Sparus aurata, 13 campioni), spigole (Dicentrarchus labrax, 11 campioni), merluzzi (Gadus morhua, 9 campioni), altri (razze, pangasi, vopilli, cefali, scorfani, ecc. 19 campioni). RISULTATI E CONCLUSIONI Nella tabella 1 sono riassunti tutti i risultati ottenuti, suddivisi per contaminante e tipologia di matrice. Per le 4 categorie esaminate, la contaminazione da piombo risulta generalmente bassa e nettamente inferiore ai limiti massimi stabiliti nel Regolamento CE N. 1881/2006, ovvero 1,5 - 1,0 e 0,3 mg kg1 , rispettivamente per molluschi bivalvi, molluschi cefalopodi e muscolo di pesce in genere. La categoria molluschi bivalvi mostra livelli di Pb più elevati (media di 0,274 mg kg-1) seguita dai molluschi cefalopodi (0,124 mg kg-1); il pesce azzurro e gli altri teleostei, invece, hanno fatto registrare tenori più bassi e confrontabili (rispettivamente 0,024 e 0,048 mg kg-1). Per il pesce azzurro una buona percentuale dei campioni (11.4%) è risultata al di sotto del Limite di Quantificazione. Al contrario, la tipologia di prodotti ittici che risulta più contaminata da piombo è quella dei molluschi bivalvi, caratterizzata dalla contaminazione media più elevata. In particolare, nel periodo temporale oggetto d’esame è stato notato un apprezzabile aumento del valore medio (0,274 mg kg-1) se paragonato con i valori riscontrati in precedenti monitoraggi effettuati presso codesto laboratorio [2]. Le “non conformità” per il Pb, ovvero campioni con livelli di contaminazione superiori ai limiti massimi consentiti, sono solo due: si tratta di due campioni di modiole (Modiolus barbatus) di provenienza greca, con tenore di Pb pari a 2,20 e 2,52 mg kg-1. 181 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 SVILUPPO DI UN TEST DIAGNOSTICO IN REAL TIME PCR PER LA DIAGNOSI DI MICOPLASMI AVIARI PATOGENI Tabella 1 – Livelli di Pb, Cd e Hg nelle 4 categorie di prodotti ittici (valori espressi in mg kg-1) PIOMBO N° non conformità Media Range 0.019 2.52 2 1,0 0,173 0.124 0.013 – 0.191 0 1,0 0.024 0.014 – 0.191 0 0,050 0.048 0.014 – 0.269 Categoria Limite di Legge Media Range Molluschi Bivalvi 138 1.5 0.274 Molluscghi Cefalopodi 68 1.0 Pesce Azzurro 59 0.3 Altri Teleostei 77 0.3 CADMIO Limite di Legge N° Camp. analizz. 0 0,10 N° non conformità Media Range N° non conformità 0,015 – 1,23 2 0,50 0,018 0,006 – 0,020 0 0,364 0,004 – 8,47 4 0,50 0,012 0,006 – 0,122 0 0,023 0,004 – 0,142 0 0,50 0,344 0,015 – 3,77 4 0 0,50 (1,0) 0,557 0,006 – 8,61 10 0,009 Per quanto riguarda la contaminazione da cadmio, i livelli medi di ciascuna categoria sono sensibilmente diversi tra loro. In particolare, i valori riscontrati nel pesce azzurro e negli altri teleostei sono risultati molto bassi (rispettivamente 0,023 e 0,009 mg kg-1) e inferiori ai limiti massimi stabiliti (ovvero 0,3 mg kg-1 per il pesce spada, 0,1 mg kg-1 per diverse specie di pesce azzurro, come tonno, sardine, acciughe, ecc. e 0,050 mg kg-1 per gli altri pesci). Livelli di contaminazione maggiori sono stati riscontrati per i molluschi bivalvi (valore medio 0,173 mg kg1 ) e, soprattutto, per i molluschi cefalopodi (0,364 mg kg-1), in accordo con quanto riportato da Bustamante et al [1]. In base ai tenori massimi stabiliti dal Reg. CE 1881/2006, 6 campioni sono risultati “non conformi” per cadmio: si tratta degli stessi due campioni di modiole (Modiolus barbatus), di provenienza greca, risultati “non conformi” anche per piombo (concentrazioni di cadmio pari a 1,23 e 1,02 mg kg-1), di tre campioni di totani (Todarodes sagittatus), di provenienza argentina, con livelli di contaminazione pari a 8,47, 1,69 e 2,70 mg kg-1 ed infine di un campione di calamari, di provenienza nazionale, con livello di contaminazione pari a 1,07 mg kg-1. La percentuale globale di non conformità per Cadmio è pari a 1,8%, mentre sale al 6% se si considera soltanto la categoria dei molluschi cefalopodi, noti organismi accumulatori di cadmio. I livelli di contaminazione da mercurio registrati in questo studio sono risultati confrontabili con quelli disponibili in letteratura [3]. Tale contaminazione è risultata minima nei molluschi, con livelli medi pari a 0,018 mg kg-1 per i bivalvi e 0,012 mg kg-1 per i cefalopodi. I molluschi, come noto, accumulano quantità trascurabili di mercurio; infatti, 50 campioni su 206, cioè circa 1/4, ha fatto registrare un contenuto di Hg inferiore al LOQ del metodo (0,0063 mg kg-1). Le contaminazioni da mercurio più elevate sono state registrate, come prevedibile, sui teleostei. I livelli di contaminazione medi risultano piuttosto elevati (0,344 mg kg-1 per il pesce azzurro e 0,557 mg kg-1 per gli altri teleostei). In particolare, la percentuale di campioni risultati “non conformi”, ovvero caratterizzati da livelli di contaminazione superiori ai limiti massimi consentiti, è la più elevata registrata in questa indagine. Tale percentuale è pari al 4,1% se si considerano tutti i campioni analizzati e raggiunge il 10,3% se si considerano solo i teleostei. 4 campioni di pesce azzurro sono risultati “non conformi”, in particolare: 2 campioni di verdesca (Prionace glauca) (1,11 mg kg-1 e 3,77 mg kg-1) e 2 campioni di tonno (Thunnus thynnus) (1,24 mg kg-1 e 2,54 mg kg-1) tutti di provenienza italiana. 10 campioni appartenenti alle altre tipologie di teleostei sono risultati inoltre “non conformi”; ovvero: 1 campione di smeriglio (Lamna nasus) di provenienza spagnola (8,61 mg kg-1) e 9 campioni di pesce spada (Xiphias gladius), di cui 3 di provenienza spagnola (2,30 mg kg-1, 2,83 mg kg-1, 3,02 mg kg-1), 2 provenienti dall’Oceano Pacifico (1,07 mg kg-1, 1,06 mg kg-1) 1 proveniente dall’Oceano MERCURIO Limite di Legge 0,004 – 0,118 Indiano (1,49 mg kg-1), 1 proveniente dall’Oceano Atlantico (1,42 mg kg-1), 1 di provenienza vietnamita (1,06 mg kg-1) ed infine, 1 di provenienza francese (1,33 mg kg-1). È importante sottolineare che 9 campioni di pescespada su 25 analizzati sono risultati “non conformi” (ovvero il 36% dei campioni) e che la concentrazione media (0,88 mg kg-1) è risultata di poco inferiore al limite di legge (1,0 mg kg-1). Tale dato mostra senza dubbio una situazione allarmante, che dovrebbe indurre ad una certa cautela nel consumo di pesce spada, soprattutto per categorie di persone maggiormente esposte o “sensibili” (donne in gravidanza, bambini nei primi anni di età). In figura 1 sono schematizzati i livelli di medi di contaminazione da Pb, Cd, e Hg ottenuti per ogni tipologia di prodotto ittico considerata, da cui si evince chiaramente quale contaminante prevale per ciascuna tipologia. Figura 1 - Contaminazioni medie (mg/kg) delle 4 categorie di prodotti ittici BIBLIOGRAFIA 1. Bustamante P, Bocher P, Chèrel Y, Miramand P, Caurant F, 2003. Distribution of trace elements in the tissues of benthic and pelagic fish from the Kerguelen Islands. Sci. Total Environ., 313:25-39. 2. Chiaravalle A.E., O. Miedico, C. Pompa, M. Tarallo, 2013. Assessment of Heavy Metals in Bivalves Molluscs of Apulian Region: a 3-years control activity of a EU Laboratory. E3S Web of Conference, 1. 3. McMurtrie S, 2012. Heavy Metals in fish and shellfish. EOS Ecology Report N. 08002-ENV01-03. 4. Norma UNI EN 15763:2010. Determinazione di Arsenico, Cadmio, Mercurio e Piombo nei prodotti alimentari per mezzo di spettrometria di massa al plasma induttivamente accoppiato (ICP-MS). 5. European Commission, 2006. Regolamento (CE) n. 1881/2006 della Commissione del 19 Dicembre 2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. 182 Ciprì V.1, Puleio R. 1, Macaluso G. 1, Messina F. 1, Sallemi S. 1, Tumino G. 1, Antoci F. 1, Messina A. 2, Tamburello A. 1, Loria G. R. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, 2 Veterinario Libero Professionista Key words: Real time PCR, Mycoplasma gallisepticum, Mycoplasma synoviae SUMMARY Diagnosis of mycoplasma infection is normally based on culture and serological tests, which are often time-consuming and laborious. This study describes the development of a diagnostic test based on duplex Real time Taqman PCR with mycoplasma-specific primers to detect Mycoplasma gallisepticum and Mycoplasma synoviae from clinical samples. The selected genomic targets were species specific regions of Mycoplasma synoviae (16S-23S intergenic spacer region) and highly conserved foci of mgc2 gene of Mycoplasma gallisepticum. The protocol can be performed directly from clinical samples in less than 24-48 h representing a significant improvement on current laboratory methods available for the diagnosis of avian mycoplasma infections. INTRODUZIONE I micoplasmi sono microrganismi unicellulari, privi di parete cellulare, parassiti-obbligati di animali e uomo; tale caratteristica strutturale conferisce loro resistenza ai comuni chemioterapici che agiscono sulla parete cellulare. Dalle specie aviarie sono state ad oggi isolate oltre 25 specie di micoplasmi; quelli che rivestono un particolare interesse per l’industria avicola, per il grave impatto economico, sono rappresentate da Mycoplasma gallisepticum (MG) e Mycoplasma synoviae (MS). Il Mycoplasma gallisepticum è stato isolato da diverse specie aviarie nelle quali generalmente causa sintomi di tipo respiratorio con interessamento delle prime vie respiratorie e dei sacchi aerei. La patologia provoca gravi aerosacculiti con dispnea, tosse, rantoli e mancato sviluppo corporeo nei broilers. Nelle galline ovaiole determina un marcato calo della produzione di uova. Il controllo di tale patogeno nelle aziende intensive si basa oggi su rigorose misure di biosicurezza (mantenimento di gruppi di riproduttori “mycoplasma free”) e sulla vaccinazione. Mycoplasma synoviae è di sovente coinvolto in forme respiratorie e articolari che interessano in maggior misura i broilers. La trasmissione orizzontale avviene sia per inalazione di aerosols contenenti il virus, sia per via verticale. Il contenimento dell’infezione si basa come per MG sulla produzione e mantenimento di gruppi MS free. particolare, sono stati utilizzati due tipi di terreni : brodo e agar mycoplasma derivante dalla formula di Hayflick modificata (Oxoid ®) ed un altro specifico per la crescita dei micoplasmi aviari (Avian micoplasma, prodotto dalla Mycoplasma Experience ®). Una volta inoculati i brodi sono stati incubati, in camera termostatata, a 37°C per 24h in presenza di CO2 al 10%(6,8). Dopo 24 ore di incubazione i brodi venivano processati per le prove di Real Time PCR con chimica fluorescente Taqman utilizzando due sonde con marcatura differente (MG in FAM e MS in HEX), eseguite mediante apparecchio Real Time: CFX96™, Biorad. Il DNA è stato estratto da 200 ml da entrambi i brodi selettivi, utilizzando il kit Pure Link Genomic DNA mini kit (INVITROGEN™): Alla fine della fase di estrazione il DNA è stato eluito in 100 ml di acqua DNAsi free. Quindi si è proceduto alla fase di amplificazione, della sequenza del gene target. Inizialmente è stata effettuata la ricerca di Mycoplasma spp. con PCR Real Time in Syber green(7). A seguire i campioni risultati positivi sono stati analizzati per la ricerca di MG ed MS; nella prova venivano inclusi un controllo positivo di DNA di Mycoplasma gallisepticum e sinoviae , ed un controllo negativo in assenza di DNA (NTC); inoltre per verificare la specificità della coppia di primers è stato incluso un campione di DNA di Mycoplasma bovis. I controlli positivi sono ceppi di riferimento, ”National Collection of Type Cultures” (NCTC) Public Health England Culture Collection Protocollo PCR real time La procedura di amplificazione ha previsto l’impiego dei seguenti reagenti: mastermix (Sso Fast™ probe Supermix Biorad) ,acqua nuclease free fino a raggiungere il volume finale di reazione( 20 ml). I primers e la sonda utilizzati sono stati tratti dal lavoro di Raviv et al. (9). Tab.1 Primers e sonda per MG MATERIALI E METODI I campionamenti sono stati eseguiti nel corso del progetto di ricerca corrente, finanziata dal Ministero della Salute IZS SI RC 01/11, dal titolo: “Sorveglianza e controllo delle micoplasmosi aviarie in allevamenti di polli da carne(broilers) e galline ovaiole nel territorio siciliano”. Sono stati raccolti ed analizzati 238 campioni biologici sia organi (trachea e polmone) che tamponi (tracheali e dell’ovidutto). I campioni pervenuti, sono stati seminati in brodo e terreno agar selettivo per il genere Mycoplasma; in 183 Primer MG forward 51-TTGGGTTTAGGGATTGGGATT-31 Primer MG reverse 51CCAAGGGATTCAACCATCTT31 Probe MG marcata 51FAMTGATGATCCAAGAACGTGAAGAAGAACACC BHQ1-31 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tab.2 Primers e sonda per MS Primer MS forward 51-CCTCCTTTCTTACGGAGTACA-31 Primer MS reverse 51-CTAAATACAATAGCCCAAGGCAA-31 -esame della real time Pcr duplex 1 ora e 20 minuti -esame di una real time PCR 2 ore e 10 minuti -PCR classica 6-8 ore -esame colturale una settimana ed oltre. Da ciò si può desumere che la real time PCR, oltre ad essere un modello innovativo, è una metodica molto flessibile e rapida. Obiettivo futuro sarà quello di estendere il protocollo ad altri micoplasmi aviari per meglio valutare il rischio infettivo nella filiera industriale avicola nella regione Sicilia Probe MS 51HEXATTCTAAAAGCGGTTGTGTATCGCT marcata BHQ1-31 Le concentrazioni finali ottenute nella mix di reazione sono: Supermix 1X, 0.5mM di ciascun primer ed 0.2 μM di ciascuna sonda. Sono state utilizzate delle piastre per lettura ottica a 96 pozzetti ( Hard-Shell®PCR plates 96, Biorad) e in ciascun pozzetto sono stati inseriti 1.5 μl di DNA estratto e 18.5 μl di mix. Ciascuna prova è stata condotta in duplicato. Il protocollo termico applicato è stato il seguente: denaturazione iniziale a 95°C per 10 minuti, seguiti da 45 cicli a 95°C per 10 secondi, 30 secondi di annealing a 60°C ed una estensione di 72°C per 1 secondo. RISULTATI E CONCLUSIONI N° 24 campioni risultati positivi in sybr green per la ricerca di Mycoplasma spp, sono stati successivamente analizzati con Real Time PCR con sonda taqman confermando le positività ottenute e identificando la specie di patogeno in causa ( MG - MS). Le curve di amplificazione sono risultate di forma sigmoidale, caratteristica che evidenzia una efficiente amplificazione in entrambi i segnali di fluorescenza ( FAM ed HEX). Il controllo negativo o i campioni aspecifici (M.bovis) hanno mostrato l’assenza di amplificazione assicurando un’accurata specificità del metodo. Un problema riscontrato durante l’esame colturale è stata la contaminazione batterica riscontrata nei brodi, che facilmente degrada e inibisce lo sviluppo delle colonie di micoplasma, ciò nonostante la PCR ha permesso di ottenere delle positività. I risultati ottenuti hanno permesso di evidenziare che i broilers mantengono il loro stato di “mycoplasma free” almeno sino ai 50 giorni di vita, età a cui raggiungono il peso ottimale di macellazione. Le galline ovaiole invece, avendo una carriera produttiva maggiore (anche fino a 18 mesi), vanno incontro più facilmente a infezioni da micoplasmi e talvolta anche miste(MG e MS) Dalle analisi effettuate, sono stati confermati 11 casi di positività per MG e 13 casi di positività per MS, in 4 casi si è osservata una infezione mista (MG e MS). Il protocollo sviluppato permette di analizzare il campione per entrambe le specie di mycoplasma in un’unica PCR (duplex PCR) permettendo l’ottimizzazione dei tempi di risposta diagnostici . Altri vantaggi di questa metodica sono il minor costo, la facilità d’ uso e l’elevata sensibilità e specificità. Inoltre si può sottolineare la minore attesa nei tempi di risposta in quanto: Studio finanziato dal Ministero della Salute (IZS SI RC 01 /11, dal titolo: “Sorveglianza e controllo delle micoplasmosi aviarie in allevamenti di polli da carne e galline ovaiole nel territorio siciliano”). BIBLIOGRAFIA 1)Cai HY, Bell-Rogers P, Parker L, Ferencz A, Pozder P. 2008 “Development and field validation of a Mycoplasma iowae realtime polymerase chain reaction assay”. Vet Diagn Invest.20 : 230-235,. 2)Ghorashi SA, Noormohammadi AH, Markham PF, 2010. “Differentiation of Mycoplasma gallisepticum strains using PCR and high-resolution melting curve analysis”. Microbiology 156: 1019-1029. 3)Hess M, Neubauer C, Hackl R. , 2007. “Interlaboratory comparison of ability to detect nucleic acid of Mycoplasma gallisepticum and Mycoplasma synoviae by polymerase chain reaction”. Avian Pathology 36(2) :127-133, April 2007. 4)Jeffery N, Gasser RB, Steer PA, Noormohammadi H 2007 “Classification of Mycoplasma synoviae strains using singlestrand conformation polymorphism and high-resolution melting-curve analysis of the vlhA gene single-copy region”. Microbiology 153 : 2679-2687, Hagen N, Lueschow D, Hafez 5)Lierz M, HM. 2008 “Use of polymerase chain reactions to detect Mycoplasma gallisepticum, Mycoplasma imitans, Mycoplasma Mycoplasma iowae, meleagridis and Mycoplasma synoviae in birds of prey”. Avian Pathology 37 : 471-476, October 2008. 6)O.I.E. 2012 “Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals”, Chapter 10.5 Avian Mycoplasmosi. 7)Puleio R., Macaluso G. ,Ciprì V., Prudente C., Tamburello A., Loria G. R. 2012 “Sviluppo di una metodica Sybr-Green real time PCR per l’identificazione di Mycoplasma Agalactiae”. XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. : 456-457 8)R. A. J. Nicholas, R. D. Ayling, G. R. Loria “Ovine mycoplasmal infectious”. Small Ruminant Research 76: 92-98 “The development of 9)Raviv Z, Kleven SH .2009 diagnostic real-time TaqMan PCRs for the four pathogenic avian mycoplasmas”. Avian Disease 53:103-107, 2009. 10)Sprygin AV, Andreychuk DB, Kolotilov AN, Volkov MS, Runina IA, Mudrak NS, Borisov AV, Irza VN, Drygin VV, Perevozchikova NA, 2010.“Development of a duplex real-time TaqMan PCR assay with an internal control for the detection of Mycoplasma gallisepticum and Mycoplasma synoviae in clinical samples from commercial and backyard poultry. Avian Pathology 39 : 99-109. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALIDAZIONE DEL METODO SURETECT REAL-TIME PCR DI THERMO SCIENTIFIC PER LA DETERMINAZIONE DI SALMONELLA IN CAMPIONI ALIMENTARI E AMBIENTALI Cloke J.1, Zodo T.F. 2, Clark D.3, Radcliff R.3, Leon-Velarde C.4, Larson N.4, Dave K.4 Thermo Fisher Scientific, Basingstoke, Hampshire, RG24 8PW, UK; 2Oxoid - Thermo Fisher Scientific, Rodano, Strada Rivoltana, 20090, Italy; 3Marshfield Food Safety, 1000 North Oak Avenue, Marshfield, Wisconsin, 54449, USA; and 4Agriculture and Food Laboratory, University of Guelph, Guelph, Ontario, N1H 8J7, Canada 1 Key words: Validation ; Real-Time PCR ; Detection Abstract Introduction: The purpose was to validate the Thermo Scientific™ SureTect™ Salmonella spp. Assay according to AOAC Research Institute PTMs validation criteria. This SureTect™ Assay is a Real-Time PCR test used for detection of Salmonella in food, animal feeds and environmental samples. Materials and Methods: The SureTect method was compared to the reference method detailed in ISO 6579:2002. Results: No statistically significant difference, by probability of detection analysis, was seen for any of the samples evaluated between the ISO reference method or the SureTect Salmonella assay. Conclusions: The SureTect Salmonella spp. assay reliably detected the presence of Salmonella in a wide variety of matrices and was shown to be an accurate and user-friendly method. Introduzione Il Saggio Thermo Scientific SureTect Salmonella spp. (PT0100A) è un nuovo test Real-Time PCR per la determinazione di Salmonella in campioni alimentari, ambientali e mangimi per animali; combina reagenti di lisi pre-aliquotati e reagenti disidratati in pastiglie per la PCR per semplificare e migliorare la manualità dell’analisi e un software dedicato per far correre i test, interpretare e mostrare in contemporanea i risultati PCR . Questo studio è stato condotto su una ampia gamma di matrici alimentari, usando il programma1 AOAC RI Performance Tested MethodsSM per validare il saggio SureTect Salmonella spp. confrontandolo con il metodo di riferimento indicato nella ISO 6579:20022 . Figura 1. Thermo Scientific SureTect System. Metodi Preparazione del Campione Campioni di massa di alimenti sono stati controllati per contaminazione naturale con Salmonella prima di dividerli in tre campioni : non contaminati (controllo), a bassa contaminazione (0.2-2 UFC/25g ) e ad alta contaminazione (2-5 184 UFC/25g) . Una volta inquinati, tutti i campioni sono stati lasciati a stabilizzarsi come da istruzioni AOAC. Campioni di superfici in acciaio sono stati contaminati artificialmente con una sospensione di Salmonella. Dove i campioni non erano in doppio come nel caso delle analisi di superfici e manzo macinato con il protocollo di arricchimento di 8 ore, sono stati preparati ulteriori campioni. Metodo d’Analisi SureTect 25g di campione e spugne (per il controllo delle superfici) sono stati aggiunti a 225ml di Buffer Peptone Water (BPW) (ISO) a temperatura ambiente , con un’unica eccezione per il protocollo breve di 8 ore per la carne bovina macinata, dove è stato usato BPW (ISO) preriscaldato. I campioni di carne bovina analizzati con il protocollo breve (8 ore) sono stati incubati a 41,5°C per 8 ore, il latte in polvere disidratato, campioni di superfici, carne bovina cruda e uova liquide sono state incubate a 37°C per 18 ore mentre scampi cotti, wurstel, lattuga e pollo crudo per 20 ore a 37°C. Dopo l’arricchimento, 10µl di ogni campione sono stati aggiunti ai Tubi di Lisi SureTect pre- riempiti (prepararti con l’aggiunta di Proteinasi K) e lisati in accordo al protocollo SureTect (37°C per 10 min. e 95°C per 5 min.) Una volta lisati, 20µl del lisato sono stati aggiunti alle provette per PCR SureTect , che contengono tutti i reagenti per PCR liofilizzati (Figura 2) prima di farli correre con lo strumento PikoReal™ Real-Time PCR Thermo Scientific™ (Figura 1) . I risultati dell’analisi sono stati interpretati automaticamente dal Software SureTect , come “positivi” o “negativi”. Tutti i risultati SureTect sono stati confermati colturalmente utilizzando il metodo di conferma SureTect che prevede di piastrare direttamente su Oxoid™ Brilliance™ Salmonella Agar e controllare le colonie porpora presunte positive con Oxoid™ Salmonella Latex Kit (DR1108A). In aggiunta, le conferme sono state fatte seguendo il protocollo di riferimento. Metodo di Riferimento ISO Il metodo di riferimento descritto nella ISO 6579:2002 è stato eseguito utilizzando Brilliance Salmonella Agar come secondo terreno (in piastra ). Le conferme sono state fatte con i kit Remel™ microID™ o bioMérieux API™ 20E, Triple Sugar Iron (TSI) e antisieri poly-O e poly-H . Inclusività 117 isolati di Salmonella (coprono la maggior parte dei sierogruppi O- e sottospecie) sono stati fatti crescere in BPW (ISO) e analizzati ad un livello di circa 104 UFC/ml con il protocollo d’analisi SureTect in accordo ai criteri AOAC-RI PTM . Esclusività 36 isolati sono stati fatti crescere in TSB per 18-24 ore e analizzati ad un livello approssimativo di 108 UFC/ml utilizzando il protocollo d’analisi SureTect in accordo ai criteri AOAC-RI PTM. 185 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 5. Risultati dello Sviluppo del Metodo con ISO e SureTect Salmonella spp. Figura 2. Flusso Saggio SureTect . XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 STUDIO DELL’ESPRESSIONE DEL BIOFILM, DELLA CELLULOSA E DELLE FIMBRIE CURLI IN CEPPI DI SALMONELLA SPP ISOLATI DA CINGHIALE Cocchi M., Deotto S., Ustulin M., Di Giusto T., Di Sopra G., Conedera G., Vio D. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Key words: slime production, surface structures, Salmonella ABSTRACT In this study we examined the extent of biofilm formation and the expression of the cellulose and the curli fimbriae in thirty-one Salmonella strains isolated from an episode of salmonellosis in wild boars. The characterization was performed on indicator agars, as previously described. Co-expression of cellulose and curli fimbriae was assessed at 28°C and 37°C. At 28°C no tested strains expressed biofilm, and 30 out of 31did not express curli or cellulose, either. At 37°C all the strains were non forming biofilm strains, but they did express curli and cellulose. A plethora of bacterial structures can influence its expression and some surface structures like capsules can hide biofilm. We therefore have to perform other tests in order to verify if these structures can interfere with the expression of the biofilm in these strains. To the author’s knowledge this is the first description about biofilm formation of Salmonella strains isolated from wild boars. Risultati Inclusività ed esclusività Tutti i 117 isolati di Salmonella sono stati rilevati come positivi dal software SureTect. Nessuno dei 36 isolati è stato determinato dal Software SureTect (figura 3). Figura 3. Inclusività Saggio Salmonella SureTect * Risultati Presunti (Presun) e Confermati (Con) Analisi Alimenti Dall’analisi della probabilità di determinazione (POD), non è stata trovata alcuna differenza statisticamente significativa tra il metodo di riferimento ISO e il saggio SureTect Salmonella spp. per le dieci matrici alimentari e superfici ambientali valutate in questo studio PTM , sia durante lo sviluppo del metodo sia durante lo Studio indipendente di laboratorio (Figura 4 e 5). Figura 4. Risultati dello Studio indipendente di Laboratorio con ISO e SureTect Salmonella spp. Conclusioni Il Saggio SureTect Salmonella spp. si è dimostrato un metodo accurato e semplice, grazie all’uso di reagenti di lisi predosati , reagenti PCR in pastiglie e interpretazione automatica dei risultati. Risultati ottenuti da un’ampia gamma di alimenti comprese matrici di difficile gestione hanno dimostrato che il saggio è in grado di determinare in modo affidabile la presenza di Salmonella. Referenze 1) AOAC International, Method Committee Guidelines for Validation of Microbiological Methods for Food and Environmental Surfaces 2012. 2) ISO, Microbiology of Food and Animal Feeding stuffsHorizontal Method for the Detection of Salmonella spp. ISO 6579:2002. * Risultati Presunti (Presun) e Confermati (Con) 186 Introduzione Al genere Salmonella appartengono due specie (enterica e bongori), suddivisibili dal punto di vista antigenico in più di 2400 sierotipi. Epidemiologicamente si distinguono in salmonelle adattate e non adattate all’ospite. Fra le salmonelle ospite-adattate, Salmonella (S.) choleraesuis causa nel suino forme setticemiche caratterizzate da bassa morbilità ed elevata letalità. Fra le salmonelle non ospite-adattate, S. typhimurium è responsabile di gastroenterite nell’uomo ed è caratterizzata da un ampio spettro di ospiti. L’infezione causata da S. choleraesuis, specie specifica del suino, ha un’elevata prevalenza nei Paesi asiatici e nel Nord America, mentre sono rare le segnalazioni in Europa (3). S. typhimurium, invece, costituisce in Europa un importante agente di tossinfezione alimentare ed è inoltre frequentemente isolata dal suino (7). La capacità di questo microrganismo di colonizzare il tratto gastrointestinale di diversi ospiti e di resistere nell’ambiente sono importanti fattori di virulenza, legati anche alla sua capacità di formare il biofilm, che è definito come “una comunità strutturata di cellule batteriche racchiuse in una matrice polimerica autoproducentesi ed aderente ad una superficie inerte o meno”. La sua formazione comporta sia una maggiore capacità del microrganismo di aderire e colonizzare i tessuti dell’ospite sia di eludere le difese immunitarie, a cui si correlano meccanismi di cronicizzazione dell’infezione e di aumentata resistenza agli antimicrobici e ai disinfettanti (2). Alla formazione del biofilm concorrono diverse strutture, quali la cellulosa, le fimbrie curli e la capsula polisaccaridica (6). L’espressione del biofilm e dei suoi costituenti è regolata da diversi geni, organizzati in operoni, ed è influenzata da diversi fattori. Fenotipicamente, lo studio dell’espressione del biofilm e delle sue strutture costitutive può essere approntato tramite l’uso di appositi terreni indicatori che permettono di distinguere, in base alla morfologia e al colore delle colonie, fra ceppi capaci di formare il biofilm e di esprimere cellulosa e fimbrie curli e ceppi non in grado di esprimere una o entrambe le strutture; in questo modo, si ottengono dei morfotipi che definiscono fenotipicamente il comportamento del ceppo batterico in esame. Ad esempio, i ceppi definiti RDAR (red, dry and rough), indicano la co-espressione delle fimbrie curli e della cellulosa, mentre il morfotipo SAW, (smooth and white) indica ceppi che non esprimono né la cellulosa né le fimbrie. Recentemente, in ceppi di S. typhimurium è stato descritto un nuovo morfotipo, SBAM, (smooth brown and mucoid) (6). Scopo del presente lavoro è stato indagare circa la presenza del biofilm in ceppi di Salmonella spp isolati da cinghiale, valutando inoltre l’espressione della cellulosa e delle fimbrie curli. Materiali e metodi Ceppi batterici. 31 ceppi di Salmonella spp, precedentemente identificati come S. choleraesuis (N=30) e S. typhimurium (N=1), isolati in corso di salmonellosi in cinghiali della provincia di Pordenone, sono stati sottoposti alle seguenti indagini. Formazione del biofilm. Questa ricerca è stata eseguita secondo quanto riportato da Freeman et al (4). Le colonie sono state inoculate su Congo Red Agar (CRA) e le piastre incubate per 48 ore a 37±1°C e 28±1°C, in condizioni di aerobiosi e successivamente poste per ulteriori 24-48 ore a temperatura ambiente. La valutazione delle colonie si è basata su un’evidenza colorimetrica: le colonie producenti il biofilm apparivano nere/nero-grigie/grigie su fondo rosso, mentre le colonie non producenti il biofilm apparivano rosa/rosso su fondo scuro. (Fig.1). Studio dell’espressione delle fimbrie curli e della cellulosa. L’abilità di espressione delle fimbrie curli e della cellulosa è stata valutata inoculando ogni ceppo sul terreno Luria-Bertani (LB) (senza NaCl) addizionato di Congo Red (0.004%) e Coomassie Brilliant Blue G (0.002%). Le piastre sono state incubate a 28±1°C e a 37±1°C per 48-96 ore, in atmosfera aerobia. La presenza di colonie rosa o rosse era indicativa di una reazione positiva. (Fig. 2). La produzione di cellulosa, invece, è stata determinata utilizzando piastre di LBagar contenenti 0.02% di Calcofluor. In seguito ad incubazione overnight a 28±1°C e a 37±1°C, le piastre sono state controllate tramite luce UV con lunghezza d’onda di 360 nm. La presenza di colonie fluorescenti era indicativa di una reazione positiva. (Fig. 2 e 3) (5). Figura 1 Formazione del biofilm Figura 2 Espressione delle fimbrie curli Figura 3 Espressione della cellulosa. Risultati e conclusioni Formazione del biofilm. Tutti I ceppi testati sono negativi alla ricerca del biofilm, ad entrambe le temperature testate. Studio dell’espressione delle fimbrie curli e della cellulosa. Tutti i ceppi di S. choleraesuis sono risultati negativi alla ricerca delle fimbrie curli e della cellulosa a 28°C, mentre erano positivi alla 187 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 temperatura di 37°C. Il ceppo di S. typhimurium ha presentato sia a 28°C che a 37°C l’espressione di entrambe le strutture di superficie. In questo studio 31 ceppi di Salmonella spp, isolati in corso di epidemia di salmonellosi nel cinghiale, sono stati sottoposti alla ricerca del biofilm e di alcune delle strutture che concorrono alla sua formazione, come le fimbrie curli e la cellulosa. La ricerca è stata condotta utilizzando test fenotipici, basati sull’utilizzo di terreni indicatori. Per quanto riguarda l’espressione del biofilm, i ceppi sottoposti ad indagine sono risultati negativi ad entrambe le temperature utilizzate e hanno, inoltre, presentato morfotipi differenti. In letteratura, sono descritti diversi morfotipi (SAW, RDAR e BDAR) nei ceppi di Salmonella isolati in corso d’infezioni cliniche e da campioni ambientali; in particolare, diversi autori hanno descritto come nella maggior parte dei ceppi patogeni delle serovars di S. typhimurium e S. enteritidis (isolati dall’uomo e dagli animali) sia presente il morfotipo RDAR, corrispondente alla co-espressione di cellulosa e delle fimbrie curli (7). Recentemente, inoltre, in ceppi di S. typhimurium è stato descritto il morfotipo SBAM (smooth, brown and mucoid), capace di formare il biofilm, pur non esprimendo cellulosa e fimbrie tipo curli; in questi morfotipi la capacità di aderire alla superficie è legata unicamente ad una iperproduzione di polisaccaridi capsulari (6). La formazione del biofilm è un meccanismo complesso, utilizzato da diverse specie batteriche (Enterobacteriaceae, S. aureus, Pseudomonas aeruginosa) per sopravvivere in un ambiente ostile, come ad esempio in presenza di un pH basso o in carenza di ossigeno (9). La regolazione genica della formazione del biofilm in S. typhimurium è stata ampiamente studiata e diversi sono i geni identificati: fra di essi, il gene csgD stimola indirettamente la formazione del biofilm attraverso la sintesi delle fimbrie curli, mentre il gene adr è cruciale per la biosintesi della cellulosa (10). La formazione del biofilm, come descritto da diversi autori, è influenzata da molteplici strutture di superficie: Schembri et al. (8) hanno sottolineato ad esempio come la capsula possa celare l’espressione del biofilm nei test in vitro. La mancata espressione del biofilm nei ceppi testati, pertanto, potrebbe essere spiegata o da un’assente trascrizione genica o dall’intervento nella sua formazione di altre strutture non sottoposte ad indagine nel presente studio. Come descritto in ceppi di S. typhimurium, infatti, i LPS di membrana possono intervenire nella formazione del biofilm, in ceppi cellulosa- e fimbrie curli negativi. Per quanto riguarda le fimbrie curli e la cellulosa, solo il ceppo di S. typhimurium ha espresso entrambe le strutture a 28°C. Tutti i ceppi, invece, hanno mostrato co-espressione a 37°C. La co-espressione di queste strutture di superficie alle diverse temperature è tipica ad esempio dei ceppi di Escherichia coli commensali isolati dalle feci nell’uomo, mentre i ceppi uropatogeni le producono solo a temperatura pari a 28°C (1). Nel caso, invece, dei ceppi di S typhimurium, dati di letteratura mostrano bassi livelli di espressione di entrambe le strutture XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 a temperatura ambiente, negli isolati umani. Le differenze di espressione riscontrate alle temperature utilizzate possono essere spiegate (per i ceppi di S. choleraesuis) o da una mancata espressione genica o perché in vitro solo una sub-popolazione potrebbe esprimere il biofilm e i suoi componenti (5). Inoltre, diversi studi condotti, hanno evidenziato che l’espressione di dette strutture risulta correlata e regolata da diverse condizioni ambientali (10), fra le quali la temperatura. I risultati ottenuti mostrano la presenza di strutture implicate nella formazione del biofilm in ceppi isolati dal cinghiale, ma la complessità delle strutture e i fattori che ne influenzano la sua formazione comportano la necessità di approfondire l’espressione del biofilm in questi patogeni. Ulteriori test saranno, pertanto, necessari (p.e. formazione della capsula, applicazione di metodi biomolecolari per lo studio dei geni presenti) per verificare se vi sono elementi che possano interferire con l’espressione di tali strutture. Bibliografia 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) Bokranz, W., Wang X., Tschape H., and Romling U. 2005. Expression of cellulose and curli fimbrie by Escherichia coli isolated from the gastrointestinal tract. Journal of Medical Microbiology. 54. 1171-1182. Costerton, J.W., Lewandowski, Z., Caldwell, D.E., Korber, D.R.,Lappin-Scott, H.M., 1995. Microbial biofilms. Annual Review Microbiol. 49. 711-745. Fedorka-Cray PJ, Gray JT, Wray C “Salmonella infections in pigs”. In: Wray C, Wray A (eds) Salmonella in domestic animals. CAB International, Wallingford, pp 1191–1207, 2000 Freeman, D.J., Falkiner, F.R., Keane, C.T., 1989. New method for detecting slime production by coagulase negative staphylococci. J. Clin. Pathol. 42. 872-874. Hancock, V., Ferrieres L., Klemm, P., 2007. Biofilm formation by asimptomatic and virulent urinary tract infectious Escherichia coli strains. FEMS Microbiol. Lett. 267:30-37. Malcova, M., Hradecka, H., Karpisckova, R., Rychlik, I., 2008. Biofilm formation in field strains of Salmonella enterica serovar typhimurium: identification of a new colony morphology type and the role of SGI1 in biofilm formation. Vet. Microbiol. 129:360-366. O’Leary D., Mc Cabe E. M., McCusker M.P., Martins M., Fanning S., Duffy G. 2013. Microbiological study of biofilm formation in isolates of Salmonella enterica typhimurium DT104 and DT104b cultured from the modern prok chain. International Journal of food Microbiology. 161. 36-43. Schembri, M.A., Dalsgaard, D., Klemm, P., 2004. Capsule shields the function of short bacterial adhesions. J. Bacteriol. 186:12491257 Van Paris A., Boyen F., Volf J., Verbrugghe E., Leyman B., Rychlik I., Haesebrouck F., Pasmans F. 2010. Salmonella typhimurium resides largely as an extracellular pathogen in porcine tonsils, independently of biofilm-associated genes csgA, csgD and adrA. Veterinary Microbiology. 144. 93-99. Zogaj X., Bokranz W., Nimtz M., and Romling U. 2003. Production of cellulose and curli fimbrie by members of the family Enterobacteriaceae isolated from the human gastrointestinal tract. Infection and immunity. July . 4151-4158. Tabella 1. Risultati 28°C S. choleraesuis S. typhimurium 37°C Biofilm Fimbrie Curli Cellulosa Biofilm Fimbrie Curli Cellulosa 0/30 0/1 0/30 1/1 0/30 1/1 0/30 0/1 30/30 1/1 30/30 1/1 0/31 1/31 1/31 0/31 31/31 31/31 188 UTILIZZO DEL SISTEMA INFORMATIVO APPA-RE ALL’INTERNO DEI LABORATORI DELL’IZS&AM “G.CAPORALE” Colangeli P., Ricci L., Cioci D. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale”, Teramo, Italia Keywords: Laboratori, dematerializzazione, rilevazioni, pianificazione. RIASSUNTO: Il programma APPA-RE nasce dall’esigenza di automatizzare l’attività legata alla manutenzione/taratura delle apparecchiatura di misura e prova (AMP) dei laboratori dell’IZS&AM, rendendola più veloce e sicura egarantendo il recupero e l’analisi dei dati. Il software è stato concepito nell’ambito del progetto di “dematerializzazione” al quale l’IZS&AM aderisce da anni con l’obiettivo di eliminare il cartaceo all’interno della struttura in favore di supporti magnetici sui quali dovrà essere registrata e conservata tutta l’attività svolta. Il software è stato realizzato internamente dopo un’attenta ricerca di mercato nel tentativo di trovare un applicativo rispondente alle nostre esigenze ma senza alcun esito positivo. La prima versione è stata rilasciata nel 2010 e successivamente raffinata in risposta alle richieste del personale utilizzatore ai fini di una maggiore efficienza e risolutezza. INTRODUZIONE L’attività dei laboratori diagnostici in Istituto, è ormai quasi completamente informatizzata tramite l’utilizzo di diversi specifici applicativi; APPA-RE è uno di questi e si occupa della registrazione dell’attività legata all’uso delle apparecchiature di misura e prova (AMP). Il software consente di registrare manutenzioni, tarature, usi, rilevazioni di temperatura, fuori uso e di pianificare annualmente l’attività delle AMP. Le AMP sono registrate nell› Inventario Centralizzato gestito dal Sistema Informativo dell’Amministrazione; APPA-RE legge da tale inventario solo le apparecchiature di proprio interesse (misura e prova) identificate da un apposito “flag”; il software non può in alcun modo modificare i dati di inventario ma può solo leggerli e utilizzarli. E’ cura del responsabile di reparto verificare che tutte le AMP presenti all’interno del reparto risultino correttamente inventariate e quindi accessibili tramite APPA-RE e nominare un responsabile ed un sostituto di ogni strumento. La figura del responsabile di apparecchio è essenziale perché è l’unico a poter accederealle modifiche anagrafiche, alla gestione del fuori uso e alla pianificazione dello strumento. I dati anagrafici registrati in inventario definiscono le caratteristiche generali dello strumento, la sua collocazione all’interno della struttura (reparto di appartenenza, stanza e posizionamento), il nome, la data di acquisto e l’eventuale alienazione. Tali dati non sono però sufficienti a definirne le proprietà “operative” cioè che ne caratterizzano la modalità d’uso. Ecco quindi che per ogni strumento bisogna indicare una serie di dati aggiuntivi. Queste caratteristiche verranno registrate dal responsabile dello strumento e salvate sul programma APPA-RE a integrazione delle proprietà anagrafiche di inventario. CRONOLOGIA DELLE ATTIVITA’ IN APPA-RE Interazione con sistemi paralleli Un aspetto importante è l’interazione con altri sistemi interni da cui il programma attinge informazioni essenziali per il corretto funzionamento, in particolare: • l’Inventario (da cui APPA-RE recupera i dati degli strumenti di misura e prova) • il Silab (Sistema Informativo dei Laboratori) da cui il sistema attinge le relazioni operatore/reparto e i ruoli di responsabile di reparto. Competenze Le competenze degli operatori sui vari strumenti dipendono da criteri concordati con la Qualità in conformità alle Procedure Operative Standard (SOP) interne. In particolare: • il responsabile di reparto nomina il responsabile di strumento (ed il suo sostituto) e, se lo strumento è complesso, nomina anche gli operatori abilitati all’uso. • il responsabile di strumento ed il sostituto possono modificare i dati di dettaglio dello strumento, programmare la pianificazione annuale di tarature e manutenzioni, dichiarare eventuali fuori uso dello strumento, nominare gli operatori abilitati all’uso (se lo strumento è semplice). • Gli operatori del reparto sono “implicitamente” abilitati all’uso degli strumenti semplici, mentre i complessi richiedono sempre una esplicita abilitazione registrata sull’applicativo. Individuazione delle AMP all’interno di ciascun reparto: interazione col DB dell’Inventario La fase preliminare all’utilizzo del sistema informativo APPARE è quella di individuare le apparecchiature di “misura e prova” all’interno di ciascun reparto, leggendole dal programma di Inventario. Ogni bene nel momento della consegna viene identificato con un codice univoco e registrato in inventario con l’opportuna tipologia di bene; nello specifico, la tipologia da APPA-RE è « Misura e Prova» (MP). Questo legame ha obbligato ad una revisione e correzione di quanto presente in inventario. In assenza di un inventario costantemente gestito ed aggiornato, è possibile utilizzare una tabella locale con le informazioni richieste il cui aggiornamento sarà a carico di APPA-RE. Degli appositi “remind” giornalieri allertano gli operatori della pianificazione prevista per il giorno successivo. 189 Definizione delle informazioni di dettaglio Le informazioni provenienti dall’inventario sono visibili su APPA-RE ma non modificabili. Vanno integrate con dettagli ulteriori tra cui: • la scheda di manutenzione e d’uso • la tipologia di strumento (da cui dipenderà il set di informazioni richieste in fase di registrazione delle manutenzioni/tarature/temperature) XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 • • • • • se si tratta di strumento semplice/complesso se è richiesta la registrazione di manutenzioni e/o tarature (e che tipo di tarature, cioè di reparto e/o della Qualità) la matricola del termometro eventualmente associato (qualora lo strumento richieda una registrazione di temperatura) se lo strumento funziona o meno a temperatura costane (ed eventualmente quale) delta di errore associati al termometro utilizzato. L’elenco delle apparecchiature di ciascun reparto, corredato da tutte le informazioni richieste ai fini della Qualità, può essere visualizzato e scaricato su file excel. Il file riporta la dotazione di apparecchiature del reparto alla data corrente e le altre informazioni richieste in conformità al punto 5.5 della ISO 17025. Pianificazione delle attività di manutenzione/taratura La compilazione del planner, ad opera del responsabile dello strumento o del suo sostituto, avviene attraverso un’apposita griglia su cui vengono riportati mesi e giorni e su cui l’operatore può indicare i giorni in cui si prevede di eseguire la manutenzione/taratura. Il planner evidenzia anche eventuali pianificazioni non eseguite o esecuzioni non pianificate. Date pregresse non sono modificabili. Anche la pianificazione delle tarature ad opera del Reparto Assicurazione Qualità (AQ) è registrata. Registrazione delle Rilevazioni Giornalmente, gli operatori abilitati, sono tenuti a registrare su APPA-RE le manutenzioni e tarature effettuate (anche quelle non pianificabili legate ad attività correttive e straordinarie) e le rilevazioni di temperatura. Attività su Termometri La pianificazione delle tarature sui termometri e la successiva registrazione dell’avvenuta taratura compete al reparto Qualità. Ogni taratura AQ di un termometro dovrà essere corredata dal certificato riportante parametri di taratura (temperature e delta) da allegare tramite applicativo; i certificati vengono salvati su DB e sono consultabili in qualsiasi momento dagli operatori abilitati. Sistema di Allerte Ogni notte un batch invia un email ai responsabili di strumento e/o agli operatori abilitati all’uso per notificare le tarature/manutenzioni da eseguire il giorno successivo. Utilizzo dei Data Logger APPA-RE si integra con il sistema dei Data Logger (sonde applicate ai frigo/congelatori) in grado di rilevarne la temperatura in modo pressoché “continuo”. Tali temperature vengono scaricate in tempo reale su un db proprio, da cui APPA-RE, ogni notte, recupera un set significativo di valori che salva e collega all’apparecchiatura in modo da avere una visione completa direttamente sull’applicativo APPA-RE. CONCLUSIONI L’applicativo APPA-RE è in uso dal 2010 e se ne registra un utilizzo in progressivo aumento. Accredia, durante le ultime visite annuali ha avuto modo di verificare che i dati e l’operatività del programma sono compatibili con quanto richiesto ai fini della Qualità. Possibili sviluppi sono rappresentati dall’inserimento di una sezione di Reportistica (parzialmente già presente grazie alla possibilità di scaricare in excel tutti i risultati delle interrogazioni da form) e dall’estensione dell’uso dei Data Logger dai restanti reparti delle sezioni periferiche. 190 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 ASSOCIAZIONE TRA IL POLIMORFISMO 140T DEL GENE MHC DI CLASSE IIb E LA RESISTENZA ALLA LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA ASSOCIATION BETWEEN POLYMORPHISM 140T OF MHC CLASS IIb AND RESISTANCE TO LACTOCOCCOSIS IN RAINBOW TROUT Colussi S., Prearo M., Maniaci M. G., Scanzio T., Peletto S., Bertuzzi S., Favaro L., Modesto P., Ru G., Desiato R., Acutis P. L. Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148, Torino Key words: Lactococcosis, genetic resistance, rainbow trout ABSTRACT Genes within the major histocompatibility complex (MHC) are important for both innate and adaptative immunity in mammals; however, less is known regarding their contribution in teleost fish. We examined the involvement of MHCIIB gene in resistance to Lactococcus garvieae, the causative agent of lactococcosis, after rainbow trout exposure to naturally contaminated water. The polymorphism 140t and the haplotype 25, including the same polymorphism, were found strongly associated with resistance to lactococcosis. This mutation and those present in haplotype 25 all code for phenylalanine, characterized by an aromatic side chain common in polyproline-binding sites and reported in staphylococci and streptococci surface proteins. This could explain the affinity between MHC class IIb mutated chain and L. garvieae. A study is ongoing to confirm the role of this mutation so to use it in the future for molecular marker-assisted selective breeding in rainbow trout. Introduzione La lattococcosi della trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è una streptococcosi di acqua calda, sostenuta da Lactococcus garvieae: essa determina l’insorgenza di una patologia a carattere iperacuto-acuto di notevole impatto economico per la troticoltura. Al momento le strategie di controllo disponibili si basano sull’utilizzo di vaccini stabulogeni e sul trattamento terapeutico. In entrambi i casi vi sono grossi limiti dovuti alla ridotta efficacia dei vaccini nelle forme giovanili il cui sistema immunitario non è ancora adeguatamente competente alla risposta e ad una funzionalità del vaccino ridotta nel tempo, non sufficiente a coprire l’intera durata della vita commerciale dei pesci. Il trattamento terapeutico, basato sull’utilizzo di eritromicina dispersa in acqua, determina d’altro canto una rilevante immissione di antibiotici nell’ambiente incrementando così l’insorgenza di ceppi antibiotico resistenti e determinando gravi problemi di management in allevamento e forti ripercussioni sulla salute animale e pubblica; L. garvieae è infatti caratterizzato da uno spettro d’ospite ampio che coinvolge anche bovini, suini, cani e gatti e soprattutto l’uomo in cui, in soggetti a rischio, può provocare miocarditi letali. Da qui l’esigenza di sviluppare forme alternative di controllo della malattia, partendo da studi basati su diverse specie ittiche che hanno messo in luce il coinvolgimento dei polimorfismi del gene MHC di classe IIB, codificante per la catena beta delle molecole di classe II del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC), nella resistenza a patologie batteriche e virali (1, 2). Nella trota è stata descritta la sequenza genica dei geni MHC, ma ad oggi non è stata riportata alcuna indagine relativa al possibile coinvolgimento di questo gene nella modulazione della resistenza alla lattococcosi. Il presente lavoro descrive in particolar modo l’associazione tra il polimorfismo 140t e l’aplotipo 25 e la resistenza genetica alla lattococcosi in una popolazione di trota iridea naturalmente esposta ad acque contaminate da L. garvieae. Materiali e Metodi 400 esemplari di trota iridea sono stati esposti nel mese di luglio ad acque naturalmente contaminate da L. garviae. La temperatura dell’acqua ha oscillato tra i 19 e i 21°C, range ideale per lo sviluppo del batterio. Casi sono stati considerati i soggetti deceduti nel corso del periodo di esposizione naturale (luglio-ottobre), presentanti sintomatologia specifica, risultati positivi ad esame colturale per L. garvieae mediante prelievo dal rene (primo isolamento e isolamento su terreno selettivo e a seguito di caratterizzazione fenotipica e bio-molecolare del ceppo isolato. Controlli sono stati invece considerati i soggetti sopravvissuti all’infezione. Per l’analisi genetica, da ciascun soggetto è stata prelevata la pinna adiposa sottoposta a congelamento –20°C: il DNA è stato estratto mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen). Mediante la PCR, utilizzando i primer B1RA e B1FA descritti da Miller (3), è stato amplificato un frammento dell’esone 2 di 257 paia di basi, codificante per il dominio b-1 della proteina (dal residuo aminoacidico 33 al 112). La reazione PCR è stata condotta su un volume pari a 25 μl utilizzando Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen) a cui sono stati aggiunti 300 nM di ciascun primer descritto e circa 50 ng di DNA. È stato utilizzato il seguente profilo termico: 50°C per 2’ e 95°C per 2’ seguiti da 35 cicli 94°C per 30”, 55°C per 1’, 72°C per 1’ ed estensione finale a 72°C di 7’. Si è successivamente proceduto al sequenziamento mediante l’utilizzo degli stessi primer di PCR e la chimica BigDye 1.1 (Applied Biosystems) utilizzando il sequenziatore 3130 (Applied Biosystems). L’allineamento delle sequenze è stato effettuato con il Software SeqMan (Lasergene). Per ciascun polimorfismo è stato calcolato l’equilibrio di Hardy-Weinberg; la definizione degli aplotipi è stata effettuata con il software PHASE v.2.1 (4). Il test del chi-quadro di Pearson, è stato applicato sia ai singoli polimorfismi (alleli e genotipi), sia considerando gli aplotipi. Le associazioni risultate significative (p < 0.05) sono state ulteriormente indagate mediante analisi univariata basata sulla funzione di sopravvivenza di Kaplan–Meier e sul log-rank test per la significatività statistica. I polimorfismi risultati ancora significativi all’analisi univariata sono stati inseriti nel modello di regressione lineare di Cox. L›analisi di sopravvivenza è stata condotta mediante l›uso del software Stata 10. La realizzazione di un modello per omologia della catena beta della molecola MHC di classe II della trota iridea è stata ottenuta attraverso il software SWISS-MODEL, utilizzando la struttura cristallina della catena beta umana (PDB id: 3lqz, B chain) come stampo. É stata poi effettuata una comparazione tra l’idrofobicità della proteina wild-type e della proteina mutata (aplotipo 25) utilizzando ProtScale (ExPASy Bioinformatics Resource Portal). Sucessivamente sono state analizzate le differenze alla struttura tridimensionale della proteina utilizzando il software DeepViewSwiss-Pdb Viewer (ExPASy Bioinformatics Resource Portal). 191 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Risultati e Conclusioni L’analisi della sequenza dell’esone 2 ha confermato l’estrema variabilità di questa regione in cui, infatti, sono stati riscontrati 37 siti polimorfi sui 257 analizzati. Il calcolo del chi quadro ha però mostrato come soltanto tre dei polimorfismi, rispettanti l’assunto di Hardy-Weinberg, siano risultati associati alla lattococcosi: 140 c>t (47 S>F) e 253 a>t (85 I>F) a resistenza e 305 a>c (102 D>A) a suscettibilità. Per lo SNP 253 la significatività viene però persa considerando i genotipi. I risultati del test chi-quadro sono stati confermati dall›analisi statistica dei dati di sopravvivenza. In particolare, per quanto riguarda il polimorfismo 140t, gli animali mutati presentavano un rischio inferiore rispetto agli individui wild-type (HR 0.24, 95% CI 0.110.54). Tale associazione si è mantenuta statisticamente significativa anche dopo aggiustamento per sesso e dopo valutazione dell›interazione tra sesso e genotipo. I soggetti mutati portatori della mutazione 305c hanno invece presentato un rischio di morte di 2.16 superiore rispetto agli individui wild-type. Inoltre, i due polimorfismi sono stati inseriti in un modello multivariato insieme alla variabile sesso: anche in questo caso i genotipi mutati hanno mantenuto la loro significatività statistica (HR 0.30, 95% CI 0.13-0.68 e HR 1.87, 95% CI 1.216-2.86 rispettivamente). Dei 37 aplotipi generati soltanto l’aplotipo 25, costituito da tre siti di mutazione 140t (47F), 143t (48F) e 145t (49F) (figura 1) è risultato significativamente associato alla resistenza alla malattia; in tal caso la significatività si mantiene anche effettuando l’analisi per genotipo(p = 0.00). A livello proteico ciò causa la comparsa di un sito di poli-fenilalanina caratterizzato dalla presenza di questo amino acido ai residui 47, 48 e 49, a cui si aggiunge un quarto residuo di fenilalanina in posizione 50 codificato dalla sequenza wild-type. Dal confronto fra i due profili di idrofobicità della catena beta, tra la struttura wild-type e quella mutata derivante dall’aplotipo 25, emerge un innalzamento dei picchi associati all’idrofobicità di ciascun residuo, in corrispondenza degli amino acidi mutati (Figura 2a e 2c). Inoltre, la rappresentazione grafica tridimensionale delle due proteine mette in evidenza un aumento dell’a-polarità nella forma mutata (Figura 2b e 2d). Ciò può comportare l’insorgenza di modifiche strutturali nella catena beta mutata poiché questi residui per le loro caratteristiche chimiche tendono ad essere presenti nelle parti della proteina meno esposte all’ambiente acquoso. Una caratteristica estremamente interessante della fenilalanina è quella di legare siti di poli-prolina; infatti diverse proteine di superficie isolate in stafilococchi e streptococchi patogeni presentano una struttura caratterizzata da siti ricchi di prolina. In particolare gli streptococchi di gruppo B a cui appartiene Streptococcus agalactiae, espongono sulla loro superficie una proteina, denominata b, con struttura caratteristica dei peptidi legati dalle molecole di classe II del sistema maggiore di istocompatibilità (5). S. agalactiae, L. garvieae, Streptococcus parauberis e Streptococcus inieae appartengono tutti alla famiglia delle Streptococcaceae e sono agenti associati all’insorgenza di patologie d’acqua calda nei pesci: ciò ci consente pertanto di ipotizzare che proteine con struttura analoga possano essere presenti anche sulla superficie di L. garvieae. L’associazione con la mutazione 140t riscontrata sia come mutazione a singolo nucleotide sia come aplotipo induce a pensare che questa posizione da sola sia sufficiente a conferire resistenza alla lattococcosi, ma non consente di escludere che tale ruolo sia rafforzato dalle altre mutazioni coinvolte nell’aplotipo. Ulteriori studi di approfondimento sono al momento in corso per verificare se questa mutazione possa rappresentare, in futuro, un marcatore d’elezione da applicare nella selezione genetica in troticoltura. Bibliografia 1. Langefors A., Lohm J., Grahn M., Andersen O. And Von Schantz T., 2001. Association between major histocompatibility complex class IIB alleles and resistance to Aeromonas salmonicida in Atlantic salmon. Proc R Soc Lond B, 268, 479-485. 2. Palti Y., Nichols K.N., Waller K.I., Parsons J.E., Thorgaard G.H. 2001 Association between DNA polymorphisms tightly linked to MHC class II genes and IHN virus resistance in backcrosses of rainbow and cutthroat trout. Aquaculture 194, 283-289. 3. Miller K.M., Withler R.E., and Beacham T.D., 1997. Molecular evolution at MHC genes in two populations of Chinook salmon Oncorhynchus tshawytscha. Molecular Ecology, 6: 937-954. 4. Stephens M, Smith N, and Donnelly P, 2001. A new statistical method for haplotype reconstruction from population data. American Journal of Human Genetics, 68: 978-989. 5. Areschoug T., Linse S., Stålhammar-Carlemalm M., Heden L-O, Linahal G. 2002. A proline-rich region with a highly periodic sequence in Streptococcal b protein adopts the polyproline II structure and is exposed on the bacterial surface. Journal of Bacteriology 184, 6376. DOI:10.1128/JB.184.22.6376-6393.2002. Questa ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute (IZSPLV 06/09 RC) Figura 1: sequenza aminoacidica derivante dall’aplotipo 25 Figura 2: profili idrofobici e struttura 3D della proteina wild-type e mutata raffrontata alla sequenza riportata da Glamann (1995) 192 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 MONITORAGGIO DEL VIRUS DELL’EPATITE A NEI PRODOTTI VEGETALI Consoli M.1, Galuppini E.1, Ferrari M.1, Malanga M.1, Meletti F.1, Pavoni E.1, Petteni A.1, Losio M.N.1, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Centro di Referenza Nazionale per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare 1 Key words: HAV, vegetali, nested-PCR SUMMARY Hepatitis A virus (HAV) is an RNA virus that cause enteric disease. It can provoke nausea, fever, headache and liver infection. It is possible to contract HAV by different foods, like mussels, vegetables, red fruits and water. From September 2009 to August 2013 it was conducted a monitoring work to research HAV in vegetables and to evaluate the risk associated to the consumption of this food category. At the laboratory of IZSLER of Brescia it was analyzed 1.484 samples using the molecular method of heminested-PCR and 24 of these were positive to HAV. Especially, plant broadleaf and red fruits were more involved. It will be interesting to understand the future trend of food contamination and to do more studies about the cause of the persistence of the virus in the different matrices. INTRODUZIONE Il virus dell’epatite A (HAV) è un agente patogeno a trasmissione alimentare estremamente diffuso e di facile propagazione. Questo appartiene alla famiglia delle Picornaviridae ed è provvisto di un capside icosaedrico di 27 nm di diametro. E’ dotato di un genoma di 7.5 kb ad RNA a polarità positiva; all’estremità 5’ è legata la proteina VPg, mentre in 3’ è poliadenilato (Figura 1). Una sola Open-reading-Frame (ORF) codifica per le proteine virali: la regione P1 codifica per le proteine strutturali VP1, VP2 e VP3, mentre le regioni P2 e P3 codificano per le proteine non strutturali associate alla replicazione. Figura 1: diagramma schematico del genoma di HAV Il virus HAV è trasmesso tramite il circuito oro-fecale in condizioni di scarsa igiene o insufficiente sanitizzazione dell’acqua e degli alimenti. Una volta ingerito, penetra attraverso l’epitelio orofaringeo o intestinale nella circolazione sanguigna, per poi raggiungere il fegato ed attaccare gli epatociti, all’interno dei quali si replica. Viene così rilasciato per esocitosi nella bile e eliminato con le feci. Il virus ha un tempo di incubazione di 2-7 settimane e i sintomi si hanno dopo circa 15 giorni dall’infezione. I soggetti accusano ittero, febbre, anoressia, nausea, vomito, mal di testa e affaticamento; nei soggetti immunocompromessi e più a rischio possono verificarsi delle infezioni acute con epatiti anche fulminanti. A livello epidemiologico, negli ultimi anni si è registrato un incremento dei casi d’infezione da HAV, ma i dati a disposizione non possono fornire un quadro attendibile poiché le infezioni sono sottostimate, dato che possono verificarsi casi asintomatici o non correttamente riconosciuti. Inoltre, nel primo semestre del 2013 si è assistito in Italia ad un incremento del 70% rispetto agli anni precedenti delle infezioni, soprattutto nei mesi di aprile-maggio nelle regioni del Nord ed in Puglia, tale da far concludere che vi fosse in atto un’epidemia da epatite A (1; 2). Il virus HAV è in grado di contaminare gli alimenti, dove resta in fase di quiescenza fino all’arrivo nell’ospite, per poi replicare. Gli alimenti maggiormente coinvolti nella trasmissione di HAV all’uomo sono i molluschi eduli lamellibranchi (cozze, vongole, ostriche), i vegetali (insalata, pomodori, frutti di bosco), così come ha un ruolo centrale l’acqua utilizzata per le coltivazioni o per le lavorazioni successive dei prodotti. Data l’importanza da un punto di vista sanitario di questo virus, sono stati effettuate delle indagini per valutare la presenza di HAV nelle diverse matrici alimentari, che potrebbero subire contaminazioni sia nelle fasi di produzione, di conservazione, sia di consumo. Scopo del seguente lavoro è stato quello di eseguire un’indagine di monitoraggio della presenza di HAV nei vegetali nel periodo 2009-2013, al fine di valutare il rischio associato al consumo. MATERIALI E METODI Nel periodo Gennaio 2010 - Agosto 2013, presso il laboratorio di Tecnologia degli Acidi Nucleici Applicata agli Alimenti dell’IZSLER di Brescia sono stati analizzati 1.484 campioni di vegetali. Tra i campioni presi in considerazione per l’anno 2013 sono stati considerati anche i vegetali analizzati nell’ambito del piano di emergenza per l’epidemia di epatite A. E’ stato possibile suddividere i campioni in 4 categorie: 654 campioni di vegetali a foglia larga (insalata, rucola, scarola, lattuga), 107 campioni di verdure (pomodori, cipolle, carote), 588 campioni di frutti rossi (lamponi, mirtilli, ribes, fragole, more) e 135 campioni di altri vegetali (insalata mix, macedonia, kiwi, ananas, albicocche, funghi). Tutti i campioni presi in esame sono stati analizzati secondo un metodo accreditato presso L’IZSLER. I campioni presi in esame da giugno 2013 sono stati analizzati secondo un nuovo metodo accreditato in conformità alla ISO ISO_TS 152162 VirusFood (3). Di ciascun campione sono stati pesati 25g, che sono trattati con tampone TGBE e pectinase per staccare dalla loro superficie l’eventuale virus presente. In seguito, dopo aver portato il valore del pH a 9.5, una centrifugazione e una incubazione a 4°C per 60 minuti, il campione è stato sottoposto ad ulteriore centrifugazione e il pellet è stato risospeso in PBS e cloroformio/butanolo, in modo da ottenere un eluato. Da questo è stata effettuata l’estrazione dell’acido nucleico, svolta con il kit QIAamp Ultrasense Virus Kit (Qiagen). Una volta ottenuto l’RNA, è stata fatta una reazione di retro trascrizione, con l’uso di esameri random e l’enzima MuLV trascrittasi inversa, e il cDNA ottenuto è stato sottoposto ad una reazione di nested-PCR, facendo ricorso a tre diversi primer (AV 1 e AV2 per la reazione di prima PCR, AV2 e AV3 per la reazione di nested-PCR) che amplificano la regione conservata del genoma virale che codifica per il capside, in modo da operare con sensibilità e specificità (Tabella 1). 193 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Tabella 1: sequenza dei primer della reazione di nested-PCR AV1 5’-GGAAATGTCTCAGGTACTTTCTTTG-3’ AV2 5’-GTTTTGCTCCTCTTTATCATGCTATG-3’ AV3 5’- TCCTCAATTGTTGTGATAGC-3’ L’amplificato è stato poi sottoposto ad elettroforesi su gel d’agarosio al 2.5% a voltaggio costante (5V/cm) per circa 30 minuti ed effettuata una fotografia tramite trans illuminatore per verificare la presenza della banda. RISULTATI E CONCLUSIONI Il campionamento effettuato da Gennaio 2010 ad Agosto 2013 in campioni di vegetali per la ricerca di HAV ha permesso di registrare la positività in PCR al virus di 35 campioni su 1.484 (2,35%); di questi, 12 sono stati riscontrati nei primi sei mesi del 2013. Valutando le diverse categorie d’indagine, è possibile osservare che i campioni risultati positivi sono stati 26 vegetali a foglia larga, 5 verdure, 3 frutti rossi e 1 di altri vegetali (Figura 2). Questi dati, pur non essendo sufficienti per poter trarre delle conclusioni, permettono di evidenziare come le categorie più coinvolte siano i vegetali a foglia larga e i frutti di bosco. Ciò è in linea con quanto descritto in letteratura (4;5) e si potrebbe quindi avvalorare l’ipotesi secondo cui tali prodotti siano più soggetti alla contaminazione da parte del virus HAV. Campioni positivi per HAV 5 3 1 Vegetali foglia larga Verdure Frutti rossi Altri vegetali 26 Figura 2: grafico dei campioni positivi per HAV suddivisi per matrice Potrebbe essere importante sottolineare come i prodotti di IV gamma rientrino nella categoria maggiormente implicata, rappresentando un rischio per il consumatore che ha la tendenza a consumare questi prodotti senza alcun lavaggio o trattamento disinfettante. Allo stesso modo, i frutti di bosco sono spesso consumati senza cottura, rappresentando un veicolo di trasmissione diretta all’uomo. Inoltre, potrebbe essere interessante sottolineare come i campioni risultati positivi fossero congelati prima del consumo, indicando le capacità del virus di resistere alle basse temperature e mantenersi sulla superficie dell’alimento per molto tempo. Altro dato da valutare è l’andamento annuale, molto differente: se nel periodo dal Gennaio 2010 al Dicembre 2012 il numero di campioni positivi è di 23 (5 nel 2010, 11 nel 2011 e 7 nel 2012), nei primi sei mesi del 2013 c’è stato un netto incremento con 12 campioni risultati positivi, con un picco nel periodo di aprile-maggio. A tale incremento è corrisposto un aumento dei casi clinici di epatite A, soprattutto nel nord Italia, ad indicare non solo la presenza del virus negli alimenti, ma anche la sua capacità infettante. Si è così verificata una situazione di allerta, che ha coinvolto il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e l’IZSLER, che ad oggi stanno ancora lavorando in modo coordinato per affrontare l’epidemia. In futuro potrebbe essere interessate valutare, con ulteriori studi, i motivi per i quali determinate matrici alimentari siano maggiormente esposte rispetto ad altre alla contaminazione con il virus. Altro elemento è quello di individuare le criticità nei processi produttivi, in modo che le aziende produttrici possano evitare le contaminazioni e gestirle al meglio. Infine, si rende necessaria una maggiore attenzione al problema delle contaminazioni virali degli alimenti, e in particolare del virus dell’HAV, data l’assenza di una normativa specifica e l’importanza che negli ultimi anni tale problematica ha assunto per garantire la sicurezza ai consumatori. BIBLIOGRAFIA 1) Sentinel Surveillance System for Acute Viral Hepatitis (SEIEVA), 2013. 2) Epidemia di Epatite A: situazione epidemiologica in Italia, aggiornamento al 29 luglio 2013. Attività del Gruppo di lavoro ISS in sinergia con le Regioni e con la Task Force del Ministero della Salute e IZSLER (Centro Nazionale di referenza per i Rischi Emergenti in Sicurezza Alimentare). 3) ISO-TS 15216/2. Microbiology of food and animal feed – Horizontal method for determination of hepatitis A virus and norovirus in food using real time PCR. Part 2: method for qualitative detection. 4) The evaluation of the microbial safety of fresh ready-toeat vegetables produced by different technologies in Italy. De Giusti M, Aurigemma C, Marinelli L, Tufi D, De Medici D, Di Pasquale S, De Vito C, Boccia A. Depart. Of Experimental Medicine, Sapienza University of Rome, Rome, Italy. 5) Survival of hepatitis A virus in spinach during low temperature storage. Shieh YC, Stewart DS, Laird DT.U.S. Food and Drug Administration, National Center for Food Safety and Technology, Summit-Argo, Illinois 60501, USA. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 VALUTAZIONE MICROBIOLOGICA SU PRODOTTI TIPICI DELLA PASTICCERIA SICILIANA Corpina G.G., Ventura V.P., Cadili V., Puglisi M.L., Pillera A., Bonaventura T., Spartà D., Marino A.M.F. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Dipartimento Sanità Territoriale Interprovinciale Catania - Ragusa, Catania Keywords: Esame microbiologico, Cannoli, Cassate. ABSTRACT The authors report on the results of a microbiological study (TMC, L. monocytigenes, Salmonella spp., Brucella spp., Enumeration of S. aureus - E. coli - Yeasts and Moulds, B. cereus) conducted on certain types of famous products of Sicilian pastries: cannoli, cassata and ice cream, taken at the most famous bakeries in the city of Catania and its hinterland. Were applied laboratory methods ISO accredited, out of a total of 50 samples, in order to obtain the isolation of potential pathogens and to evaluate enumerations of the most important indicators of microorganisms hygiene of the production process. The results obtained, even in the face of microbial loads quantifiable, related to the handling of the products themselves, showed the total absence of pathogenic microrganisms to consumers, allowing it to associate with the famous and well-known traditional goodness of the products concerned, even their health for consumers. INTRODUZIONE Gli autori riportano i dati parziali relativi ad una ricerca corrente dal titolo “STUDIO SULLA PRESENZA DI CONTAMINANTI MICROBIOLOGICI IN PRODOTTI ARTIGIANALI TIPICI DELLA PASTICCERIA SICILIANA, FAMOSI NEL MONDO: CANNOLI, CASSATE, GELATI”, attualmente ancora in corso, concernente le indagini microbiologiche eseguite su prodotti tipici della pasticceria siciliana, in modo da associare alle caratteristiche di gusto e di soddisfazione per il consumatore già famose, un supporto anche dal punto di vista della sicurezza alimentare per il consumatore finale. La ricerca ha interessato alcuni tra i prodotti tipici legati alla pasticceria siciliana, in particolare sono stati scelti: la cassata, dolce tipico con una base di pan di spagna ricoperto da una farcitura di ricotta, più o meno raffinata e lavorata, ed una copertura di glassa; i cannoli alla ricotta e alla crema che si compongono di una cialda di pasta fritta ed un ripieno a base di ricotta raffinata e zuccherata o di crema; ed infine i gelati ai vari gusti a base di panna e latte. Lo studio ha previsto sia la ricerca di tipo qualitativo, per organismi potenzialmente patogeni, che la ricerca (sia l’elaborazione) di tipo quantitativo per le popolazioni batteriche eventualmente presenti, che ci permettono dì avere una stima sui livelli igienici applicati durante i processi di produzione e conservazione dei prodotti esaminati. MATERIALI E METODI I campioni sono stati acquistati presso 15 rinomate pasticcerie di Catania ed hinterland catanese e ne sono stati esaminati un totale di 50 seguentemente rappresentati: 15 cassate, 15 cannoli alla ricotta, 5 cannoli alla crema e 15 gelati di gusti vari. In particolare, le analisi condotte sono state indirizzate verso le seguenti valutazioni analitiche (1-4): - Carica microbica totale a 30°C (Norma ISO 4833:2003); - Isolamento Salmonella spp. (Norma EN UNI ISO 6579:2008); - Ricerca di Listeria monocytogenes (Norma EN UNI ISO 11290-1:1997 e amendment 1:2004 ); 194 - Numerazione di Bacillus cereus a 30°C (Norma ISO 7932:2004.); - Numerazione di Stafilococchi coagulasi positivi (Norma ISO 6888-2:1999); - Numerazione di E.coli (Norma UNI ISO 16649-2:2010); - Numerazione di lieviti e muffe – parte 1 Conteggio delle colonie in prodotti con aw > 0,95 (Norma ISO 215271:2008); - Isolamento di Brucella spp. (Metodo Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for terrestrial Animals OIE ed. 2008 “Brucellosis”, Chapter 2.4.3, B. 1b). Fig. 1 - Cassata siciliana Fig. 2 - Cannolo alla ricotta RISULTATI E CONCUSIONI In definitiva dai dati raccolti risulta che sul totale dei campioni esaminati la ricerca di microrganismi patogeni, cioè di Salmonella spp., Listeria spp. e di Brucella spp. ha dato esito negativo, così come l’enumerazione di stafilococchi coagulasi positivi ha dato valori <1x 101 ufc/g. Come mostrato in tab.1 la carica microbica totale nei campioni di cassata ha dato valori quantificabili, con limiti variabili tra un minimo di 5,7x105 ufc/g e un massimo di 3,3x107 ufc/g. L’enumerazione di E. coli ha evidenziato, solo in tre campioni valori rilevabili compresi tra 1,4x102 ufc/g e 7,5x103 ufc/g. L’enumerazione di B. cereus ha evidenziato nella maggior parte dei casi valori inferiori a 1x101 ufc/g, in un unico campione il valore di carica è di 2,1 x 104. Infine l’enumerazione di lieviti e muffe ha dato valori rilevabili in soli quattro campioni compresi tra un minimo di 1,2x103 ufc/g e un massimo di 7,5x105 ufc/g. Come mostrato in tab.2 la carica microbica totale nei campioni 195 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 di cannoli ha dato valori quantificabili, con limiti variabili tra un minimo di 1,2 x104 ufc/g e un massimo di 1,1x107 ufc/g. L’enumerazione di E. coli ha evidenziato, solo in tre campioni valori rilevabili compresi tra 1,4x102 ufc/g e 2x103 ufc/g. L’enumerazione di B. cereus ha evidenziato nella maggior parte dei casi valori inferiori a 1x101 ufc/g, in soli quattro campioni il valore di carica è compreso tra un minimo di 1x103 ufc/g e un massimo di 3,3x104 ufc/g. Infine l’enumerazione di lieviti e muffe ha dato valori rilevabili in otto campioni compresi tra un minimo di 1,5x103 ufc/g e un massimo di 6,6x105 ufc/g. Come mostrato in tab.3 la carica microbica totale nei campioni di gelato ha dato valori quantificabili, con limiti variabili tra un minimo di 5,3 x102 ufc/g e un massimo di 5,8x107 ufc/g. L’enumerazione di E. coli ha evidenziato, solo in tutti i campioni valori rilevabili inferiori a 1x101 ufc/g. L’enumerazione di B. cereus ha evidenziato nella maggior parte dei casi valori inferiori a 1x101 ufc/g, in soli due campioni il valore di carica è rispettivamente di 1x104 ufc/g e di 1,9x103 ufc/g. Infine l’enumerazione di lieviti e muffe ha dato valori rilevabili in sei campioni compresi tra un minimo di 9,1x102 ufc/g e un massimo di 5,5x104 ufc/g. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 GENETIC REASONS OF MEDITERRANEAN BUFFALOES INFERTILITY Tab. 2 – Esiti laboratorio da n. 20 campioni di cannoli Fig. 3 Gelato artigianale Salmonella spp./ Listera m.. / Brucella spp. CMT assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente 7,5 x 105 <1 x 101 4,2 x 104 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 2,7 x 106 <1 x 101 1,2 x 104 <1 x 101 <1 x 101 1,6 x 106 <1 x 101 <1 x 101 1,1 x 107 <1 x 101 8,4 x 105 5,3 x 105 <1 x 101 <1 x 101 E.coli Staf. C.P. 2,0 x 103 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 1,4 x 102 <1 x 101 <1 x 101 5,2 x 102 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 B. cereus <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 2,1 x 104 <1 x 101 <1 x 101 1,0 x 103 <1 x 101 3,3 x 103 3,3 x 104 <1 x 101 <1 x 101 Lieviti e muffe 1,5x 103 <1 x 101 5,2 x 103 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 2,0 x 105 <1 x 101 3,3 x 104 <1 x 101 <1 x 101 6,6 x 105 <1 x 101 <1 x 101 5,4x 103 <1 x 101 9,5x 103 3,1 x 103 <1 x 101 <1 x 101 In conclusione, sia pure con dati parziali, riferiti al numero limitato di campioni finora esaminati, si può affermare che il consumo dei prodotti artigianali della pasticceria siciliana non costituisce fonte di particolare esposizione al pericolo per i consumatori. E’ opportuno in taluni casi, migliorare ulteriormente l’igiene della produzione, al fine di potere sempre abbinare alla bontà e tipicità della tradizione pasticcera, il valore aggiunto della garanzia di salubrità per i consumatori. Tab. 3 – Esiti laboratorio da n.15 campioni di gelati Salmonella spp./ Listera m.. / Brucella spp. Per quanto riguarda l’ E.coli i valori quantificabili si ritrovano soprattutto in prodotti quali cassata e cannoli, mentre nei gelati i valori sono inferiori <1x 101 ufc/g. Infine per il B. cereus e per i lieviti e muffe la distribuzione dei campioni con cariche quantificabili è omogenea per le diverse classi di prodotti. assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente assente Tab. 1 – Esiti laboratorio da n. 15 campioni di cassata siciliana Salmonella spp./ Listera m.. / Brucella spp. CMT E.coli Staf. C.P. B. cereus Lieviti e muffe assente 5,7 x 105 <1 x 10 1 <1 x 101 <1 x 101 1,2 x 103 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 10 <1 x 10 <1 x 10 <1 x 10 <1 x 10 assente 2,4 x 107 1,4 x 102 <1 x 101 <1 x 101 7,5 x 105 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 10 <1 x 10 <1 x 10 1 <1 x 10 <1 x 101 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente 3,3 x 10 7,5 x 10 <1 x 10 2,1 x 10 4 2,5 x 103 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 assente 7,7 x 10 5,2 x 10 <1 x 10 <1 x 10 2,4 x 105 1 1 7 5 1 1 3 2 1 1 1 1 1 1 1 CMT E.coli Staf. C.P. B. cereus Lieviti e muffe 5,8 x 107 4,9 x 106 3,3 x 104 2,2 x 103 1,7 x 107 1,4 x 104 3,2 x 103 4,3 x 107 4,1 x 107 5,3 x 102 5 x 104 9 x 104 8,2 x 104 3 x 104 1,8 x 103 <1 x 10 1 <1 x 10 1 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 1,9 x 103 1,0 x 104 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 1,9 x 103 1,6 x 103 1,0 x 103 <1 x 101 5,5 x 104 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 9,1 x 102 <1 x 101 <1 x 101 <1 x 101 1,7 x 104 <1 x 101 <1 x 101 BIBLIOGRAFIA 1) Del Nobile M.A., Muratore G., Conte A., Incoronato A.L., Panza O. (2009) An integrated approach to extend the shelf life of a composite pastry product (cannoli) J Food Prot. Dec; 72(12): 2553-60 2) Wijnands L.M., Dufrenne J.B., Rombouts F.M. in’t Veld PH, van Leusden F.M.(2006) Prevalence of potentially pathogenic Bacillus cereus in food commodities in thje Neterlands J Food Prot. Nov; 69(11): 2587-94 3) Kotzekidou (2011) Microbiological examination of ready-toeat foods and ready- to- bake frozen pastries from University canteens Food Microbiology 34 (2013) 337-343 4) Nagat El-Sharef, Khalifa Sifaw Ghenghesh et al. (2006) Bacteriological quality of ice cream in Tripoli-Libya Food Control 17 (2006) 637-641 196 Corrado F.*, De Roma A.*, Cutarelli A.*, Mandato D.*, Cecere B.*, Coletta A.**, Cerino P.***, Guarino A.*, Galiero G.* *Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ** Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina *** Veterinario libero professionista Keywords: CYP21, polymorphism, water buffalo ABSTRACT CYP21 gene encodes the steroid 21-hydroxylase (P450c21), the key enzyme in corticosteroids metabolism. This enzyme is connected with microsomal P450 cytochrome, fundamental in estrogen biosynthesis. Estrogens are imperative for reproductive development, fertility, bone growth and sexual behavior. The analysis of the polymorphism of this gene is therefore very important to understand the low level of ovaric estrogens, a common cause of the infertility in buffaloes. This work concerns the study of the CYP21 gene through the Single Strand Conformational Polymorphism (SSCP) in Mediterranean water buffaloes of different fertility performance, in order to identify CYP21 allelic variants which could be connected with the buffaloes infertility. INTRODUZIONE L’infertilità dell’allevamento bufalino risulta essere un problema in progressivo aumento (1). Le cause sono molteplici e talvolta sono da ricollegare all’elevato grado di consanguineità presente nella specie bufalina allevata in Campania. Infatti il rischio di diffusione di malattie infettive ha costretto molti allevatori a limitare l’introduzione di tori provenienti da altre aziende. Ciò ha indirettamente causato un ridotto rimescolamento genetico causa di infertilità. Il presente lavoro si inserisce in tale ambito con lo scopo di individuare e limitare i fattori genetici di infertilità della bufala mediterranea. Studi precedenti hanno, infatti, evidenziato una correlazione tra le mutazioni che si riscontrano nei geni del citocromo P450 microsomiale e il basso livello di estrogeno ovarico in Bubalus bubalis di razza murrah (2). Alla famiglia dei geni del citocromo P450 specifici per i mammiferi appartengono i geni CYP19 e CYP21. Il gene CYP21 codifica lo steoide 21-idrossilasi (P450c21), un enzima necessario nel metabolismo di corticosteroidi e connesso al citocromo P450 microsomiale, enzima chiave nella biosintesi degli estrogeni (3). Questi ultimi sono indispensabili per lo sviluppo riproduttivo, la fertilità, la crescita delle ossa e il comportamento sessuale. Obiettivo del presente lavoro è quello di identificare significativi polimorfismi della sequenza di un frammento (351 bp) del gene CYP21 di bufale di razza mediterranea italiana di diverse età e con differenti livelli di fertilità. In questo modo sarà possibile effettuare un’ indagine preliminare sulla correlazione genetica tra le mutazioni osservate e l’infertilità della bufala mediterranea. MATERIALI E METODI Campionamento Le analisi sono state condotte su 22 campioni di sangue di bufala, alcuni selezionati dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno nell’ambito di progetti di ricerca dell’ente (es. Progetto Genoma Bufala) e altri sono stati forniti dall’ANASB (Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina). PCR di amplificazione Il DNA è stato estratto utilizzando il QIAamp DNA Mini kit (Qiagen). La PCR è stata preparata utilizzando 5 µL di DNA genomico e i seguenti primers: Primer forward: CCCACCGAGTCCTGCCAC Primer reverse: GAGGGGGCAGTTGAAGGAC La mix di reazione (50µL) include: 25µL di Master Mix 2x (Applera), 1µL di ogni primer (10µM), 18µL di acqua DNAse/ RNAse free e 50 ng del DNA estratto. Il profilo termico di reazione è costituito da una prima fase di denaturazione di 15 min a 95°C, 35 cicli di 30 sec a 94°C, 30 sec a 60°C, e 30 sec a 72°C, e una fase di elongazione finale di 10 min a 72°C. I prodotti di PCR, dopo essere sono stati visualizzati mediante l’uso di un sistema di elettroforesi capillare (QIAxcel Advanced System), sono stati sottoposti a sequenziamento. PCR di sequenziamento e analisi BLAST I prodotti della PCR di amplificazione sono stati purificati mediante Qiaquick PCR purification Kit (Qiagen) e successivamente sottoposti a PCR di sequenziamento bidirezionale utilizzando il kit di sequenziamento ABI PRISM Big Dye3.1 Terminator Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems) secondo le istruzioni contenute nel kit. Le sequenze sono state poi purificate mediante DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) ed infine sottoposte ad elettroforesi capillare con lo strumento ABI Prism 3130 e 3500 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Gli Elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (Applied Biosystem). Le sequenze ottenute sono state elaborate attraverso BLAST (http://blast.ncbi.nlm. nih.org) che esegue il confronto con la sequenza di riferimento depositata (GeneBank accession number M11267). RISULTATI E CONCLUSIONI In fase preliminare, il criterio di selezione dei campioni ha riguardato la loro distinzione nelle tre seguenti categorie al fine di discriminarli per grado di fertilità: C1: bufale che hanno partorito C2: bufale in lattazione C3: bufale sessualmente mature Per effettuare la ricerca di eventuali mutazioni ed identificarne la natura, le 22 sequenze del gene target sono state sottoposte ad analisi comparativa mediante allineamento al fine di identificare le corrispondenze residuo per residuo. Dall’analisi dei dati preliminari è stato possibile riscontrare un elevato grado di similarità fra le tre categorie di campioni analizzati: le sequenze risultano infatti omologhe. 197 XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 Figura 1 nel gene CYP19, anch’esso appartenente alla famiglia dei geni del citocromo P450 microsomiale e pertanto fondamentale per la fisiologia della riproduzione. Unica eccezione è rappresentata dalla sequenza ottenuta per un campione appartenente alla categoria delle bufale sessualmente mature (C3). In questo caso si è individuata una singola mutazione, nella posizione evidenziata in figura 1, di una Citosina in luogo di una Timina. Lo studio della storia clinica dei campioni in esame, con particolare attenzione al campione che ha mostrato la mutazione, permetterà di sviluppare le correlazioni genetiche oggetto di questo lavoro. Sviluppi futuri riguarderanno, inoltre, lo studio del polimorfismo BIBLIOGRAFIA 1) Ali A, Abdel-Razek AKh, Derar R, Abdel-Rheem HA, Shehata SH Forms of reproductive disorders in cattle and buffaloes in Middle Egypt., Reprod Domest Anim. 2009 Aug;44(4):580-6; , Singh BR, Gulati BR, Virmani N, Chauhan M. Indian J Microbiol. 2011 Jun;51(2):212-6. 2) O. Suneel Kumar, Deepti Sharma, Dheer Singh *, M.K. Sharma, 2009, CYP19 (cytochrome P450 aromatase) gene polymorphism in murrah buffalo heifers of different fertility performance, Research in Veterinary Science 86, 427–437. 3) da Silva, A. M.; de Freitas, M. A. R.; Rios, A. F. L.; Renzi, A.; Lobo, R. B.; Galerani, M. A. V.; Vila, R. A.; Ramos, E. S, 2011, Identification of a DNA methylation point in the promoter region of the bovine CYP21 gene, Genetics and Molecular Research; v. 10, n. 3, p. 1409-1415.; Magdalena JĘDRZEJCZAK, Wilhelm GRZESIAK, Iwona SZATKOWSKA, Andrzej DYBUS, Magdalena MUSZYŃSKA, Daniel ZABORSKI, 2011, Association between polymorphism of CYP19, CYP21, and ER1 genes and milk production traits in Black-and-White cattle, Turk. J. Vet. Anim. Sci., 35 (1), 41-49. XV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Monreale (PA), 23-25 Ottobre 2013 CARATTERIZZAZIONE DI UN CEPPO DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINO-RESISTENTE (MRSA) E CATALASI NEGATIVO ISOLATO DA UN CANE Corrente M.1, Ventrella G.1, Parisi A.2, Desario C.1, Narcisi D.1, Buonavoglia D.1 1 Dipartimento di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Bari, Valenzano (BA) 2 Istituto Zooprofilattico della Puglia e Basilicata, sezione di Putignano (BA) Key words: Cane, Staphylococcus aureus, catalasi SUMMARY A catalase-negative MRSA strain and a methicillin resistant S. pseudintermedius strain (MRSP) were isolated from a dog affected by a severe form of pododermatitis. The catalase negative isolate was typed as a SCCmec I, PVL negative, ST5 t002 strain. A deletion at position 487 of the kat gene altered the functionality of the catalase enzyme. This is the first report of a catalase-negative MRSA in animals. As catalase test is a rapid assay routinely employed for the identification of staphylococci in clinical microbiology laboratories, the presence of MRSA with this uncommon phenotype may be underestimated. Moreover, catalase-negative staphylococci should be investigated more in-depth in order to assess their virulence. INTRODUZIONE Staphylococcus aureus è un microrganismo patogeno sia per gli animali che per l’uomo. Le infezioni da S. aureus hanno assunto grande rilevanza per la sanità pubblica in seguito alla comparsa di ceppi antibiotico-resistenti, in particolare S. aureus meticillino-resistente (MRSA) (3). MRSA è considerato un patogeno primario nell’uomo, ed è stato segnalato anche negli animali, sia da compagnia che da reddito. In particolare, i ceppi MRSA isolati da cani e gatti, sono risultati spesso assimilabili a cloni umani, circolanti in ambito ospedaliero, suggerendo l’ipotesi che sia avvenuta una trasmissione dall’uomo agli animali (10). L’enzima catalasi è caratteristico di tutti gli stafilococchi, ad eccezione di S. aureus subsp. anaerobius e S. saccharolyticus, che sono catalasi negativi e anaerobi (15). Tale enzima è considerato cruciale per la virulenza, dato che permette agli stafilococchi di resistere ai radicali liberi dell’ ossigeno prodotti dai macrofagi (7). Tuttavia, sin dal 1955, sono stati identificati ceppi di S. aureus catalasi negativi isolati da campioni clinici nell’uomo (18). Più di recente, sono stati segnalati, sempre nell’uomo, stipiti MRSA privi dell’ attività della catalasi (2, 5). Nel complesso, tali segnalazioni sono frammentarie, e non sempre sono documentate da caratterizzazione molecolare dei ceppi. Nell’ambito del piano di monitoraggio relativo agli stafilococchi coagulasi positivi, isolati da animali d’allevamento e da compagnia, condotto presso il laboratorio di batteriologia del Dipartimento di Medicina veterinaria dell’ Università di Bari, è stato riscontrato un ceppo MRSA catalasi negativo in un cane con una grave forma di pododermatite, in associazione ad un ceppo di S. pseudintermedius meticillino-resistente (MRSP). MATERIALI E METODI Un cane meticcio, adulto, proveniente da un canile, è stato visitato da un veterinario libero professionista, che aveva riscontrato una grave forma di pododermatite. L’animale era stato precedentemente trattato con cefalessina per 3 settimane ed enrofloxacin per 7 giorni, senza remissione delle lesioni. I campioni prelevati da tre siti distinti di lesione sono stati seminati su Columbia blood agar, Mac Conkey, e Mannitol salt 198 agar, (MSA) (Liofilchem, Teramo) Dopo incubazione per 48 ore a 37 °C, sono stati evidenziati cocchi Gram positivi in purezza su agar sangue e MSA; su quest’ultimo, sono stati distinti, in base al comportamento biochimico, due ceppi, uno mannitolopositivo (164/13a) e uno mannitolo-negativo (164/13b). Gli isolati sono stati sottoposti al test della catalasi (3% H2O2) e identificati mediante PCR con primers specie- specifici per S. aureus e S. pseudintermedius (16). Entrambi i ceppi sono risultati oxacillina-resistenti, mediante il test di diffusione in agar, eseguito secondo le linee-guida del Clinical Laboratory Standards Institute (1). Tale pattern fenotipico è stato confermato mediante PCR per il gene mecA; entrambi i ceppi sono risultati meticillinoresistenti (12). Inoltre sono stati saggiati per la sensibilità ai seguenti antibiotici non beta-lattamici: ciprofloxacin, clindamicina, cloramfenicolo, cotrimossazolo, doxiciclina, eritromicina, enrofloxacin, gentamicina, norfloxacin, rifampicina, kanamicina, tobramicina (1). Il ceppo 164/13a è stato ulteriormente caratterizzato mediante spa-typing (17), multilocus sequence typing (MLST) (4) e multiplex PCR per la Staphylococcal Chromosome cassette (SCCmec) (13) . Inoltre è stata valutata la presenza dei geni codificanti per la tossina Panton Valentin leukocidin (PVL) mediante PCR (9). La sequenza del gene katA è stata amplificata, seguendo il protocollo di To et al (18 ) ed è stata analizzata e confrontata con il gene katA di un ceppo di riferimento, catalasi positivo (S. aureus ATCC 12600, AJ000472). RISULTATI Lo stipite mannitolo-positivo (164/13a), identificato come S. aureus, è risultato negativo al test della catalasi. Il ceppo mannitolo-negativo (164/13b), catalasi positivo è stato identificato invece come S. pseudintermedius. Il ceppo 164/13a è risultato resistente alla clindamicina e eritromicina, mentre il ceppo 164/13b ha mostrato resistenza a tutte le molecole testate, tranne il cloramfenicolo, la gentamicina e la rifampicina. Il ceppo 164/13a è risultato appartenere, mediante MLST, al gruppo ST5, e spa-type t002. Inoltre, è stato caratterizzato come SCCmec tipo I e PVL negativo. Mediante l’analisi di sequenza del gene katA, il ceppo 164/13a ha mostrato il 99,6 % di identità nt con il ceppo di riferimento ATCC 12600. E’ stata evidenziata una delezione puntiforme in posizione 487 che ha alterato l’integrità strutturale e funzionale dell’enzima. CONCLUSIONI L’enzima catalasi di S. aureus è composto da 4 subunità codificate dal gene katA, (1518 nt) e che codifica per una proteina di 505 aa. Nei ceppi di S. aureus catalasi negativi sino ad oggi segnalati, la mancata attività dell’enzima è stata collegata a mutazioni puntiformi e/o delezioni in grado di alterare l’integrità e la funzionalità del gene katA (18). Nel ceppo 164/13a il fenotipo catalasi negativo è stato correlato ad una delezione in grado di causare un frame- 199
Documenti analoghi
Volume degli atti 2010 - Società Italiana di Diagnostica di
CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.DI.L.V.
Gian Luca Autorino, Presidente
Maria Caramelli, Vice Presidente
Alfredo Caprioli, Segretario
Antonio Fasanella, Tesoriere
Monica Cagiola, Membro
Gabriella Conedera, ...