Volume degli atti 2010 - Società Italiana di Diagnostica di
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Volume degli atti 2010 - Società Italiana di Diagnostica di
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova 27 - 29 Ottobre 2010 SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Genova Magazzini del Cotone 27 - 29 Ottobre 2010 VOLUME degli ATTI XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Genova Magazzini del Cotone 27 - 29 Ottobre 2010 VOLUME DEGLI ATTI 1 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 2 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.DI.L.V. Gian Luca Autorino, Presidente Maria Caramelli, Vice Presidente Alfredo Caprioli, Segretario Antonio Fasanella, Tesoriere Monica Cagiola, Membro Gabriella Conedera, Membro Sergio Rosati, Membro Alessandra Stancanelli, Membro Santo Caracappa, Past President Guido Leori, Revisore dei conti Mario Luini, Revisore dei conti Stefano Reale, Revisore dei conti COMITATO SCIENTIFICO Enrico Bollo, Torino Tiziana Civera, Torino Alessandro Dondo, Torino Walter Mignone, Imperia Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V. COMITATO ORGANIZZATIVO Fernando Arnolfo, Torino Carlo Ercolini, La Spezia Angelo Ferrari, Genova Bruno Osella, Torino Giuseppe Peirano, Genova SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma Tel. 0521 038007 - Fax 0521 945334 e-mail: [email protected] www.sidilv.org www.mvcongressi.it/SIDILV2010 3 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 4 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Prefazione Il XII° Congresso nazionale, un nuovo, atteso, appuntamento, un’altra opportunità di aggiornamento e confronto fra colleghi che si scambiano idee, realizzano sinergie nel campo della ricerca e affrontano problematiche connesse allo svolgimento dell’attività corrente; quale migliore occasione alla vigilia delle scadenze di presentazione dei differenti “frames” della ricerca nazionale ed europea? Fra gli obiettivi che la SIDiLV si è posta negli ultimi anni vi era anche quello di realizzare una piattaforma di performance per la crescita e l’espressione dei nostri giovani ricercatori. Il numero dei lavori presentati (oltre 180) ed la qualità scientifica ne sono, di certo, una prova concreta. Inoltre, l’aumento dei contributi che vedono la partecipazione di più affiliazioni testimonia la maggiore collaborazione instaurata. Forse, l’approccio integrato fra ricerca in sanità e ambiente, nel nuovo concetto di “One Health”, risulta fondamentale per superare le difficoltà della ricerca di base, fortemente penalizzata anche dalla cronica mancanza di risorse. Da quest’anno abbiamo stabilito il collegamento con la European Association of Veterinary Laboratory Diagnosticians (EAVLD), la nuova società scientifica cui la SIDiLV si è affiliata, assieme alle analoghe associazioni di altri sei Paesi europei. La nascita della società europea costituisce un’altra opportunità per favorire l’aggregazione di gruppi di lavoro e di ricerca più ampi e, pertanto, deve essere favorita la partecipazione agli eventi dalla stessa organizzati. Devo rappresentare con soddisfazione che i ricercatori degli Istituti Zooprofilattici hanno ottenuto riconoscimento e apprezzamento nell’ambito del primo congresso europeo, tenutosi dal 15 al 17 settembre a Lelystad (NL). Come SIDiLV, per stimolare la crescita di livello della produzione scientifica, riteniamo importante continuare a promuovere la presentazione in quella sede dei migliori contributi selezionati in ambito nazionale. A corollario delle letture ad invito che, come di consueto, sono state individuate in considerazione della loro attualità e che precederanno le comunicazioni orali sulle differenti tematiche, quest’anno, a Genova, collauderemo l’inserimento nel programma congressuale di due sessioni parallele di Sanità Animale e Sicurezza degli Alimenti, per dare maggiore spazio alle due specifiche macro aree d’interesse. Cogliamo l’occasione per ringraziare il Comitato scientifico che, ancora una volta, ha svolto un ruolo importante ed impegnativo contribuendo alla valutazione critica dei lavori inviati e selezionando quelli ritenuti più originali e, o, attuali. Come programmato nel corso dell’assemblea di Parma, è stata realizzata la pagina Web della SIDiLV, aggiornata nel corso dell’anno con informazioni relative alle iniziative della Società e contenente collegamenti ad altri siti di specifico interesse. Per dare maggiore diffusione ai contenuti del XII Congresso nazionale, nonché possibilità di accesso a coloro che non abbiano partecipato, sarà pubblicato sul sito anche il volume degli atti 2010. Invitiamo tutti i Soci iscritti al congresso a votare per le elezioni del nuovo Consiglio Direttivo. La SIDiLV, nascendo come espressione prevalente della rete degli Istituti, necessita, per quanto possibile, di membri che rappresentino la distribuzione territoriale e partecipino propositivamente all’organizzazione delle iniziative scientifiche e societarie. Considerata la vitalità dimostrata dalla Società ed il suo costante e progressivo trend di crescita, ci auguriamo vengano valutate le esperienze maturate, mantenendo continuità tra obiettivi dei vecchi e dei nuovi Consigli. Rivolgiamo un apprezzamento a tutti i Direttori Generali degli Istituti Zooprofilattici che, sia consentendo la partecipazione allargata ai numerosi operatori, sia contribuendo di anno in anno alla realizzazione degli eventi congressuali, rendono possibile la crescita della SIDiLV. Quest’anno, in particolare, il nostro ringraziamento è rivolto alla Direzione dell’Istituto di Torino che ci ha permesso di essere presenti in una prestigiosa sede congressuale, nella cornice di una delle più belle città italiane. Infine, nell’auspicare ai convenuti l’augurio di buon lavoro e permanenza, cogliamo l’occasione per ringraziare anche gli sponsor che contribuiscono ogni anno alla migliore riuscita del nostro congresso. Genova 27 ottobre 2010 Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V. 5 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 6 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Il Comitato Organizzatore del XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. è grato ai seguenti Enti ed Aziende per il fattivo contributo alla realizzazione dell’evento: Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta BIO-RAD LABORATORIES BIOTEST ITALIA EUROCLONE FOSS ITALIA IDEXX ID-VET MEDICAL SERVICE 2000 PROMEVET QIAGEN TECAN ITALIA 7 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 8 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDICE LETTURE PLENARIE, COMUNICAZIONI ORALI LE ATTIVITÀ DI BIOMONITORAGGIO: CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE E RILEVANZA PER LA SANITÀ PUBBLICA VETERINARIA. Ru G., Desiato R. 27 MONITORAGGIO DELLA PRESENZA DI PCDD/Fs, DL PCBs, NDL PCBs E METALLI PESANTI NEL PESCE DEI LAGHI DI MANTOVA Menotta S., D’Antonio M., Arvati M., Gallio A., Zaghini L., Puzzi C., Ippoliti A. , Salis E., Nigrelli A., Fedrizzi G. 28 RICERCA DI SAPOVIRUS E NOROVIRUS IN CAMPIONI AMBIENTALI NELLE CITTÀ DI PALERMO E NAPOLI Di Bartolo I., Battistone A., Ponterio E., Fiore L., Ruggeri F.M. 30 L’ESAME ISTOLOGICO PER IL CONTROLLO DELL’USO ILLEGALE DEL 17b ESTRADIOLO NELLA SPECIE OVINA Puleio R., Giambruno P., Giardina G., Tamburello A., Usticano A., Pezzolato M., Bozzetta E., Loria G.R. 32 DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE DEL RUOLO VETTORIALE DI MUSCA DOMESTICA NEL PROCESSO DI DISPERSIONE DI Bacillus anthracis NELL’AMBIENTE Scasciamacchia S., Garofolo G., Raele D.A., Adone R., Fasanella A. 34 TULAREMIA IN LEPRI DI IMPORTAZIONE: NUOVI ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI Fabbi M.,Prati P.,Vicari N. 36 CASI di YERSINIOSI da Yersinia pseudotuberculosis IN ANIMALI SELVATICI E DOMESTICI IN ITALIA CENTRALE Magistrali C.F., Carfora V., Farneti S., Mangili P., Neri C., Dionisi A.M. 38 Q FEVER IN THE NETHERLANDS Roest HJ 40 IMPLICAZIONI ZOONOSICHE CORRELATE ALLA CIRCOLAZIONE DI Coxiella burnetii NEGLI ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE IN ALCUNE AREE DEL NORD ITALIA Prati P., Vicari N., Boldini M., Decastelli L., Magnino S., Faccini S., Andreoli G., Nativi D., Fabbi M. 42 CONFRONTO FRA KIT ELISA PER LA DIAGNOSI DI FEBBRE Q BOVINA Natale A., Bucci G., Capello K., Del Sesto M., Mion M., Nardelli S. 43 CONTEGGIO DI UNITA’ FORMANTI COLONIA DI STAPHILOCOCCUS AUREUS NEL LATTE DI MASSA COME DATO PREDITTIVO DEL LIVELLO D’INFEZIONE INTRAALLEVAMENTO Bertocchi L., Bolzoni G., Zanardi G., Nassuato C., Bonometti G. Benicchio S., Varisco G. 45 RESISTENZA ALLA SCRAPIE CLASSICA IN CAPRE PORTATRICI DELLA MUTAZIONE K222 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA (PRNP) INOCULATE SPERIMENTALMENTE Acutis P.L., D’Angelo A., Peletto S., Colussi S., Zuccon F., Martucci F., Mazza M., Dell’Atti L., Corona C., Iulini B., Porcario C. , Martinelli N., Casalone C. , Maurella C., Lombardi G. 47 ISOLAMENTO DI STAPHYLOCOCCUS PSEUDINTERMEDIUS RESISTENTE IN CAGNE FATTRICI DI ALLEVAMENTO Corrò M., Milani C., Drigo I., Sturaro A., Rota A. 49 9 METICILLINO- XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PRESTAZIONI DEL SISTEMA AUTOMATICO VERSATREK NELLA RICERCA DI MYCOBATTERI IN CAMPIONI DI ORGANI ANIMALI IN RAPPORTO AL METODO CONVENZIONALE Manunta D., Ziccheddu M., Patta C., Lollai S. 51 LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI: VARIABILITA’ ANTIGENICA E BIOLOGICA E POTENZIALITA’ PROFILATTICHE Rosati S. 53 PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS IN NATURALLY INFECTED MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 1 Autorino G.L., Caprioli A., Rosone F., Mastromattei A., Lai O., Grifoni G., Saralli G., Alfieri L., Ciccia F. Giordani F., Scicluna M.T. 54 PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS IN NATURALLY INFECTED MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 2 Autorino G.L., Rosone F., Caprioli A., Canelli. E., Mastromattei A., Scicluna M.T. 56 EPIDEMIA DI CIMURRO NEGLI ANIMALI SELVATICI DEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO. Catella A., Martella V., Bianchi A., Bertoletti I., Lavazza A., Zanoni M.G., Alborali L., Cordioli P., Buonavoglia C. 59 SIEROCONVERSIONE MAGGIORE gB+/gE- IN UN ALLEVAMENTO UFFICIALMENTE INDENNE DA BHV1 DOPO INTRODUZIONE DI SOGGETTI VACCINATI CON MARKER ATTENUATO Pitti M., Masoero L., Grego E., Geninatti G., Macario Ban M., Rosati S. 61 UTILIZZO DELLA DGGE (DENATURING GRADIENT GEL ELECTROPHORESIS) PER IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE DI MICOPLASMI IN CAMPO AVICOLO Battanolli G., Brustolin M., Bilato D., Gobbo F., Qualtieri K., McAuliffe L., Catania S. 63 COMPARAZIONE DELLE PERFORMANCE DIAGNOSTICHE DI TRE SAGGI DI AMPLIFICAZIONE GENOMICA PER IL RILEVAMENTO DEL VIRUS DELLA MALATTIA VESCICOLARE SUINA Benedetti D., Pezzoni G., Grazioli S., Barbieri I., Brocchi E. 65 VALUTAZIONE DEGLI ANTIGENI RICOMBINANTI ORF2 E ORF3 IN UN TEST ELISA PER LA RICERCA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN SUINI Stercoli L., Pezzoni G., Brocchi E. 67 GARANZIE SANITARIE DEI MOLLUSCHI TRASFORMATI CON TECNOLOGIE INNOVATIVE Arcangeli G., Terregino C., De Benedictis P., Rosteghin M., Zecchin B., Manfrin A., Rossetti E., Rovere P., Brutti A. 70 RICERCA DI E. COLI, SALMONELLA spp., VIRUS DELL’EPATITE A e NOROVIRUS NEI MOLLUSCHI BIVALVI: DAI PRELIMINARI Salzano C., Saggiomo F.,Toscano V.,Grimaldi P.,Guarino A.,Fusco G. 72 PREVALENZA DI VIBRIO SPP ISOLATI DA PRODOTTI ITTICI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS Costa A., Alio V., Canonico C. ,Potenziani S., Russo Alesi E.M., Di Noto A.M. 74 LA SHELF-LIFE DI VONGOLE VERACI (RUDITAPES PHILIPPINARUM) ALLEVATE E DEPURATE, DA DESTINARE AL CONSUMO UMANO Favretti M., Pezzuto A., Furlan F., Zentilin A., Arcangeli G., Cereser A. 76 10 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SVILUPPO DI UN METODO MOLECOLARE A SINGOLO TARGET PER L’IDENTIFICAZIONE DI ESCHERICHIA COLI O157 PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA IN MATRICI ALIMENTARI E ANIMALI Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S. 79 EPISODI DI COLORAZIONI ANOMALE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI Oliverio E., De Nadai V., Finazzi G., Ruggiero V., Daminelli P. 81 INDAGINE SULLA PRESENZA DI ANISAKIS SPP IN ALICI E SARDE FRESCHE E PREPARATE Costa A., Sciortino S., Martorana C., Palumbo P. 83 RIEMERGENZA DELLA RABBIA SILVESTRE NEL NORD-EST DELL’ITALIA: SITUAZIONE EPIDEMIOLOGICA E STRATEGIE DI INTERVENTO Mutinelli F. 85 CARATTERIZZAZIONE DI CEPPI DI EQUINE HERPESVIRUS TIPO 1 CIRCOLANTI ITALIA FRA IL 1990 ED IL 2010 Canelli E., Manna G., Catella A., Lelli D., Fontana R., Cardeti G., Autorino L., Cordioli P. 87 FOCOLAIO DI FORMA NERVOSA DA EQUINE HERPESVIRUS TIPO 1 Canelli E., Catella A., Mazzolari L., Schiaffino F., Begni E., Gelmetti D., Salogni C., Moreno A., Lelli D., Sozzi E., Cordioli P. 89 CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI (CSM) ANIMALI: ISOLAMENTO, CARATTERIZZAZIONE E CONTROLLI DI QUALITÀ Di Marco P., Ferrari M., Sesso L., Purpari G., Russotto L., Cannella V., Dara S., Di Bella S. Guercio A. 91 STUDIO CLINICO RETROSPETTIVO PER LA VERIFICA DELL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO DELLE TENDINOPATIE DEL CAVALLO MEDIANTE IMPIANTO DI CELLULE STAMINALI OMOLOGHE DERIVATE DAL GRASSO Sala M., Canonici F., Barbaro K., Bonini P., Caminiti A., Spalluci V., Aquilini E., Amaddeo D., Autorino G.L., 94 VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ASSOCIATO A MALATTIA RESPIRATORIA Decaro N., Mari V., Lucente M.S., Colaianni M.L., Cirone F. , Losurdo M., Cordioli P., Buonavoglia C. 96 SVILUPPO DI UNA ONE-STEP MULTIPLEX REAL TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE E LA DIFFERENZIAZIONE DEI PESTIVIRUS DEI RUMINANTI Rossi E., Giammarioli M., Torresi C., Pellegrini C., De Mia G.M. 98 IDENTIFICAZIONE DI UNA NUOVA VARIANTE MORFO-GENETICA DI SARCOCYSTIS HOMINIS Peletto S., Acutis P.L., Sacchi L., Genchi M., Clementi E., Guidetti C., Felisari L., Mo P., Modesto P., Zuccon F., Campanella C., Domenis L. 100 INFEZIONI DA MICOBATTERI: SITUAZIONI EPIDEMIOLOGICHE EMERGENTI E AGGIORNAMENTO SU METODI DIAGNOSTICI E DI TYPING Dondo A. 102 UTILIZZO DI UN TEST ELISA MULTI-ANTIGENE PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DI TUBERCOLOSI BOVINA (TB) Casto B., Pacciarini M., Donati C., Nassuato. C, Zoppi S., Moresco A., Dondo A., Rossi F., Bergagna S., Boniotti M.B. 104 11 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE DELL’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DEL g-INTERFERON TEST PER LA TUBERCOLOSI BOVINA IN ASSENZA DI GOLD STANDARD Vitale N., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Bergagna S., Ippolito C., Petruccelli G., Goria M., Garrone A., Ferraro G., Chiavacci L. 106 SUB-TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP PARATUBERCULOSIS MEDIANTE HIGH-RESOLUTION MELTING DNA ANALYSIS E SONDE NON MARCATE Ricchi M., Barbieri G., Belletti GL, Pongolini S., Carra E., Garbarino CA, Cammi G., Arrigoni N. 108 RUOLO DEL SUINO NERO DEI NEBRODI NELL’EPIDEMIOLOGIA DELLA TUBERCOLOSI BOVINA IN SICILIA Mazzone P., Corneli S., Cagiola M., Biagetti M., Ciullo M., Sebastiani C., Boniotti M.B., Pacciarini M.L., Di Marco V., Russo M., Aronica V., Fiasconaro M., Marianelli C., Pesciaroli M., Pasquali P. 110 IDENTIFICAZIONE DI UN MODELLO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO SEMI-QUANTITATIVO PER CLASSIFICARE LE AZIENDE CHE PRODUCONO LATTE CRUDO E DEFINIRE STRATEGIE DI CONTROLLO Cibin V., Barrucci F., Ricci A., Ferronato A., Pozza G., Ferrè N., Capello K., Dalla Pozza M.C., Ramon E., Longo A., Mioni R., Conedera G., Pittui S., Marangon S. 113 DESCRIZIONE DI DUE EPISODI DI INTOSSICAZIONE DA CLOSTRIDIUM BOTULINUM IN ALIMENTI VEGETALI DI PRODUZIONE INDUSTRIALE De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Losio M.N., Bertasi B., Fenicia L., Anniballi F., Daminelli P., Boni P. 115 PSEUDOMONAS spp IN FIORDILATTE AL DETTAGLIO Bilei S., Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., De Angelis V., Di Domenico I., Palmieri P., Zottola T. 117 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ISOLATI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS DA PRODOTTI LATTIERO-CASEARI: OTTIMIZZAZIONE DI UN PROTOCOLLO PFGE Nogarol C., Bianchi D.M.,Vencia W., Losio M.N., Zuccon F., Decastelli L. 119 POSTERS MANGANESE NEI MANGIMI: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO A MICROONDE IN FAAS Abete M.C., Pellegrino M., Tarasco R., Gavinelli S., Palmegiano P, Leogrande M., Fioravanti F., Fasano F., Squadrone S. 124 SIEROPREVALENZA DI BRUCELLA SPP IN CINGHIALI CATTURATI DURANTE L’ANNATA VENATORIA 2009/10 NEL SUD DELLA SARDEGNA Addis G., Cannata P., Liggia S., Deidda M., Cogoni M., Crobeddu S., Trincas M., Pilo C., Liciardi M., Aloi D., Rolesu S. 126 CONTAMINAZIONE DA PALITOSSINE (PLTXS) IN POPOLAZIONI NATURALI DI MITILI DELLA RIVIERA DEL CONERO DURANTE L’ESTATE 2009 Bacchiocchi S., Graziosi T., Mengarelli C., De Grandis G., Moroni M., Principi F., Rocchegiani E., Orletti R. 128 CAMPYLOBACTER TERMOFILI IN ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: 2 ANNI DI MONITORAGGIO IN REGIONE PIEMONTE (2008 - 2009) Barbaro A., Vitale N., Bianchi D.M., Decastelli L., Chiavacci L. 130 12 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DIAGNOSI PRE-CLINICA DI PESTE AMERICANA MEDIANTE L’ESAME DEI DETRITI INVERNALI Bassi S., Carpana E., Carra E. , Pongolini S. 132 RICERCA DELLE SPORE DI Paenibacillus larvae NEL MIELE: VALUTAZIONE DEI RISULTATI OTTENUTI CON DIVERSI PROTOCOLLI DI LAVORO Bassi S., Carra E., Carpana E., Rugna G., Pongolini S. 135 ETEROGENEITÀ GENETICA DEGLI SMALL RUMINANT LENTIVIRUSES IN ITALIA Bazzucchi M., Puggioni G., Brajon G., Casciari C., Dei Giudici S., Taccori S., Giammarioli M., Feliziani F. 137 PANCITOPENIA NEONATALE DEL BOVINO (BLEEDING CALF SINDROME) E DIARREA VIRALE BOVINA IN FORMA TROMBOCITOPENICA IN VITELLI DI RAZZA PIEMONTESE Bergagna S., Varello K., Grattarola C., Rossi F., Saragaglia C., Bozzetta E., Dondo A., Zoppi S. 139 VALUTAZIONE COMPARATIVA DI REAL-TIME PCR E PCR END-POINT PER LA RICERCA DI VTEC (VEROTOXIN ESCHERICHIA COLI) IN MATRICI ALIMENTARI Berta V., Bertasi B., Botrugno R., Ferrari M., Coffinardi F., Daminelli P., Losio M.N. 141 CONTAMINAZIONE DA DIOSSINE NEL LATTE CRUDO: MODELLO DI STUDIO BASATO SULL’UTILIZZO DEL SISTEMA DI SCREENING DR-CALUX Bertasi B., E. Moro, Gasparini M., Ferretti E., Maccabiani G., Nolli V., Fusini F., Boni P. 143 NUMERAZIONE DI CAMPYLOBACTER SU CARCASSE DI BROILER CON METODO UNI EN ISO 10272-2:2006 A CONFRONTO CON METODO SIMPLATE® (BIOCONTROL SYSTEMS) Bilei S, Bogdanova T., Flores Rodas E.M., Greco S., De Santis P., Cesarano D., Di Domenico I., Mussino M. 145 INDAGINE MICROBIOLOGICA SU CAMPIONI DI MOZZARELLA IN OCCASIONE DELL’ALLERTA “MOZZARELLA BLU” Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., Tolli R., Bilei S. 148 STUDIO DEI DATI DI MORTALITÀ DEI PICCOLI RUMINANTI PER VERIFICARE L’EFFICACIA DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA DELLE TSE OVICAPRINE IN ITALIA Bona M. C., Bertolini S., Ru G. 150 PROPOSTA DI UN METODO DI CAMPIONAMENTO STANDARDIZZATO PER LA VALUTAZIONE DELLA CONTAMINAZIONE FUNGINA DELL’ARIA IN ALLEVAMENTI DI CONIGLI Bonci M., Mazzolini E., Bano L., Drigo I., Agnoletti F. 152 SVILUPPO DI UN PROTOCOLLO PER LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ DELL’AMBIENTE NELL’ALLEVAMENTO INTENSIVO DEL CONIGLIO: FASI PRELIMINARI Bonci M., da Borso F. , Mezzadri M., Teri F., Bano L., Drigo I., Mazzolini E., Agnoletti F. 154 ANALISI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN PECORE INFETTATE PER VIA INTRAMAMMARIA CON STREPTOCOCCUS UBERIS Bonelli P., Marogna G., Re R., Pilo GA., Pais L., Fresi S., Schianchi G., Nicolussi P. 156 INTERSCAMBIO DATI TRA PIATTAFORME INFORMATICHE PER LA GESTIONE DEI CAMPIONI NELL’AMBITO DEL PIANO NAZIONALE BSE E SCRAPIE Bortolotti L., Breda T., Lanari M., Favero L., Benvegnù F., Bozza M.A., Granato A., Zampieri A., Mutinelli F. 158 SALMONELLA SPP. IN FAUNA SELVATICA E ANTIBIOTICO-RESISTENZA Botti V,, Navillod F.V., Spedicato R., Pepe E., Domenis L., Orusa R., Guidetti C. 160 13 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SVILUPPO DI UN METODO IN LC-MS/MS PER LA DETERMINAZIONE DELLA MELAMINA NEL MUSCOLO Brizio P., Marchis D., Prearo M., Squadrone S., Ciccotelli V., Leporati M., Capra P., Elia A.C., Abete M. C. 162 CARATTERIZZAZIONE IMMUNOISTOCHIMICA DI CELLULE STAMINALI IN TUMORI MAMMARI FELINI Campanella C., Barbieri F., Cimadomo V., Tiso M., Panno R., Vito G., Ratto A., Florio T., Ferrari A. 164 IL LABORATORIO NAZIONALE DI RIFERIMENTO PER Escherichia coli DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Graziani C., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S. 166 ISOLAMENTO E TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI Mycobacterium bovis DA BOVINI SICILIANI NEL TRIENNIO 2007-2009 Caracappa S., Piraino C., Vicari D., Boniotti M. B., Galuppo L., Pacciarini M. 168 INDAGINE SULLA PREVALENZA DI SALMONELLA NEGLI ALLEVAMENTI DI SUINI DA RIPRODUZIONE DELLA PROVINCIA DI CUNEO Careddu M.E., Olivetto L., Ribero A., Fontanarosa S. , Bianchi C., Decastelli L., Rubinetti F., Vitale N. 170 INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PRESENZA DI LISTERIA MONOCYTOGENES IN IMPIANTI DI MACELLAZIONE. Carfora V., Farneti S., Renzi F., Bazzucchi V., Scorpioni V., Pezzotti G., Scuota S. 172 STUDIO BIOMOLECOLARE SULLA PRESENZA DI HELICOBACTER SPP. IN CAMPIONI GASTRICI, DI FECI E SALIVA PRELEVATI DA SUINI AFFETTI DA ULCERA GASTRICA Casagrande Proietti P, Bietta A, Brachelente C, Lepri E, Franciosini MP. 174 ANALISI DELL’ATTIVITA’ PROTEASOMALE COME MARKER PER LO STUDIO DELLE NEOPLASIE Cerruti F., Martano M., Morello E., Buracco P., Massa M., Rambozzi L., Cascio P. 176 APPLICAZIONE DI RT-PCR E TEM PER LA DIAGNOSI DELLE VIROSI DELLE API Cersini A., Cardeti G., Marchesi U., Lorenzetti R., Ciabatti I.M., Antognetti V., Cittadini M., Del Bove M., Zini M., Formato G., Amaddeo D. 178 ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP. DA VOLPI (VULPES VULPES) E TASSI (MELES MELES) IN REGIONE LOMBARDIA (NORTH ITALY) Chiari M., Zanoni M., D’Incau M., Salogni C., Giovannini S., Alborali L., Lavazza A. 180 TRICHINELLA BRITOVI IN UNA VOLPE (VULPES VULPES) IN PROVINCIA DI BRESCIA (ITALY) Chiari M., Zanoni M., Salogni C., Giovannini S., Alborali L., Lavazza A. 182 DEFINIZIONE DELLA BIODIVERSITA’ MICROBICA NEI “CIAUSCOLI” DELLA REGIONE MARCHE Ciarrocchi F., Nardi S., Lanciotti M., Palombo B., Striano G., Venditti G., Blasi G. 183 DETERMINAZIONE MEDIANTE GC-MS E LC-MS/MS DI PESTICIDI IN MATERIALE AUTOPTICO E IN REPERTI PRELEVATI NEI CASI DI PRESUNTA INTOSSICAZIONE ACUTA DI ANIMALI Ciccotelli V., Brizio P., Leporati M., Capra P., Abete M. C. 185 PRELIMINARY EVALUATION OF BIOCHEMICAL AND HAEMATOLOGICAL INDICES IN THE CIRNECO DELL’ETNA CANINE BREED Cicero A., Vazzana I., Agnello S., Randazzo V., Vicari D., Galuppo L., Percipalle M. 187 14 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA ZOPFII IN LATTE MASTITICO IN PROVINCIA DI UDINE Cocchi M., Di Giusto T., De Stefano P., Deotto S., Di Sopra G., Clapiz L., Genero N., Bregoli M., Cammi G. 189 PRESENZA DEI GENI ICAA E ICAD E FORMAZIONE DEL BIOFILM IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS DI ORIGINE ANIMALE Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Di Sopra G., Bacchin C., Clapiz L., Genero N., Passera A., Bregoli M., Drigo I. 191 SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI E PRESENZA DELLA METICILLINO RESISTENZA IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA MASTITE BOVINA Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Bacchin C., Clapiz L., Di Sopra G., Genero N., Bregoli M., Drigo I. 193 STUDIO SULLA VARIABILITÀ DEL GENE CAPRINO CCR5 E RUOLO SVOLTO NELLA MODULAZIONE DELLA RESISTENZA ALLE LENTIVIROSI (CAEV) Colussi S., Maniaci M.G., Bertolotti L., Profiti M., Bertuzzi S., Giovannini T., Modesto P., Quasso A., Sacchi P., Peletto S., Rosati S., Acutis P.L. 195 RIBOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS ISOLATI DA MOZZARELLA Consoli M., Losio M.N., Bertasi B., Panteghini C., Ferrari M., Mioni R., Decastelli L., Varisco G. 197 CARATTERISTICHE GENOTIPICHE DIFFERENTI IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE BOVINO PROVENIENTE DA DIVERSI ALLEVAMENTI NEL CENTRO ITALIA Coppola G., Casagrande Proietti P., Bietta A., Passamonti F., Marenzoni M.L, Coletti M. 199 ALLEVAMENTI SUINICOLI DELLA PROVINCIA DI CUNEO: INDAGINI DIAGNOSTICHE IN ANIMALI CON SINTOMATOLOGIA NERVOSA Corbellini D., Careddu M.E., Pautasso A., Sona B., Corona C., Varello K., Pintore M.D., Trisorio S., Acutis P.L., Casalone C., Caramelli M., Iulini B. 201 NOSEMIASI DELLE API MELLIFERE IN TOSCANA E LAZIO: IMPORTANZA DELLA CONSERVAZIONE DEI CAMPIONI AI FINI DI UNA CORRETTA DIAGNOSI Corrias F., Tellini I., Ragona G., Lombardo A., Dal Prà A., Taccori F., Formato G., Brajon G. 203 MONITORAGGIO DELLA FAUNA SELVATICA NELLA PROVINCIA DI GENOVA Cosma V., Scaffardi E., Migone L., Ferretti I., Aristarchi C., Tiso M., Schiavetti I. 205 RICERCA DI VTEC (E. COLI 0157 ED E. COLI O26) NELLA FILIERA LATTIERO CASEARIA PUGLIESE: DATI PRELIMINARI Crisetti E.,Cataleta A., Azzarito L., Chiocco D., La Salandra G. 206 VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULARE DI TOPI VACCINATI CON BRUCELLA MELITENSIS REV1 Curina G., Paternesi B., Montagnoli C., Severi G., D’Avino N., Tentellini M., Nardini R. Forletta R., Cagiola M. 208 ANTIBIOTICO RESISTENZA DI SPECIE BATTERICHE ISOLATE DA LATTE MASTITICO IN SICILIA NELL’ANNO 2009 Currò V., Sutera A., Marineo S., Lipari L., Pisano P., Calato R., Altomare A., Martorana C., Vicari D. 211 DIAGNOSI DI ECHINOCOCCOSI CISTICA NEGLI OVINI MEDIANTE IMMUNOBLOTTING Dalmasso S., Rambozzi L., Molinar Min A.R., Martinez-Carrasco Pleite C., Rossi L. 213 15 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CHLAMYDIACEAE MEDIANTE TECNICHE BIOMOLECOLARI IN ALLEVAMENTI SUINI DA RIPRODUZIONE DEL VENETO de Mateo Aznar M., Belfanti I., Capello K., Natale A., Ceglie L. 215 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF-LIFE DI INSALATA DI MARE De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Daminelli P., Boni P. 217 INDAGINE SIEROEPIDEMIOLOGICA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNE PATOLOGIE VIRALI NEI CINGHIALI IN SARDEGNA Dei Giudici S., Demartis L., Chironi P., Sulas A., Ladu A., Sanna M.L., Rolesu S., Patta C., Oggiano A. 219 PROVE DI LISOGENIA CON VIRUS BATTERIOFAGI VETTORI DEL GENE STX2 IN CEPPI ENTEROPATOGENI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA ALIMENTI Delle Donne G., Mancusi R., Trevisani M. 221 INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE DELLE PIROPLASMOSI EQUINE IN LIGURIA Dellepiane M., Arossa C. 223 PRESENZA DI CRYPTOCOCCUS SPP. NEI PICCIONI (COLUMBA LIVIA) DELLA CITTA’ DI SAVONA Dellepiane M., Arossa C., Lovesio M. 225 VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DEL METODO DI IMMUNOFLUORESCENZA INDIRETTA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI ANTI-RICKETTSIA CONORII NEI LABORATORI DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DEL PIEMONTE, LIGURIA E VALLE D’AOSTA Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Mandola M.L. 227 LA COLIBACILLOSI NEGLI ALLEVAMENTI CUNICOLI INTENSIVI DEL CENTRO ITALIA: STUDIO SUL RILIEVO DI CEPPI ENTEROPATOGENI E PRESENZA DI EVENTUALI FATTORI DI RISCHIO Dettori A., Maresca C., Mangili P., Scoccia E., Sebastiani C., Magistrali C. 229 APPROCCIO DIAGNOSTICO AD UNA NEOPLASIA DIAFRAMMATICA DI CINGHIALE (Sus scrofa) Domenis L., Pepe E., Cimadomo V., Ratto A. 231 DISTRIBUZIONE DI SARCOCYSTIS SPP. NEGLI ORGANI BERSAGLIO (CUORE, ESOFAGO E DIAFRAMMA) DI BOVINO Domenis L., Guidetti C., Peletto S., Sacchi L., Genchi M., Clementi E., Felisari L., Felisari C.,Mo P., Modesto P., Zuccon F.,Campanella C.,Acutis P.L. 233 TESTS ELISA DISPONIBILI PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DELLA LEUCOSI BOVINA ENZOOTICA: VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCES E DELLA USERFRIENDLINESS Feliziani F., Bani A., Cavaliere N., Gamberale F., Gennero M.S., Marchi S., Natale A., Pezzoni G., Ruiu A., Vesco G., Vitelli F. 235 EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI SALMONELLA ENTERICA SIEROTIPO DERBY ISOLATA NELLA REGIONE MARCHE DA FONTI UMANE, ALIMENTARI ED AMBIENTALI. Fisichella S., Staffolani M., Medici L., Dionisi A.M., Luzzi I. 237 FOCOLAI DI MALATTIE DELLE API DIAGNOSTICATI NELLE REGIONI LAZIO E TOSCANA DAL 2004 AL PRIMO SEMESTRE 2010 Formato G., Cardeti G., Corrias F., Terracciano G., Ermenegildi A., Milito M., Cersini A., Antognetti V., Lavazza A., Piazza A., Zottola T., Brocherel G., Ragona G., Stefanelli S., Amaddeo D., Brajon G., Forletta R., Scholl F. 239 16 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CONFRONTO TRA LE PERFORMANCE DI TRE METODICHE ANALITICHE IN CLINICA VETERINARIA Fusari A., Quintavalla F., Ubaldi A. 241 ESECUZIONE DEL PROFILO MINERALE IN BOVINE DA LATTE CON UNA NUOVA METODICA DRY CHEMISTRY Fusari A., Quintavalla F., Ubaldi A. 243 L’AUTOMAZIONE DELLA PROVA DI SIERO AGGLUTINAZIONE RAPIDA (SAR-AG:RB) NELLA DIAGNOSI DI BRUCELLOSI NEI PIANI DI RISANAMENTO IN REGIONE CAMPANIA Fusco G., Tamburro A., Sarnelli P., Napoletano M., Ferraro A., Guarino A. 245 SVILUPPO DI METODICHE BIOMOLECOLARI PER LA RICERCA DI PARASSITI IN MATRICI VEGETALI Fusini F., Maccabiani G., Bonometti E., Bertasi B., Losio M.N., Boni P. 247 VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ PROBIOTICA DEL FORMAGGIO SILTER DOP Galuppini E., Peroni S., Giuradei F., D’Amico S., Panteghini C., Finazzi G., Losio M.N. 249 RESIDUI DI NITROFURANI NEGLI ALIMENTI: CONFRONTO TRA DUE TECNICHE DI IONIZZAZIONE NELL’ANALISI LC-MS/MS E MONITORAGGIO NEL CONTROLLO UFFICIALE Giorgi A., Gennuso E., Marini F., Necci F., Barchi D., Spinaci L., Giannetti L. 251 ANALISI MICROBIOLOGICHE SU PRODOTTI ITTICI DISTRIBUITI DA MINIMARKET “ETNICI” Giorgi I., Serracca L., Pavoletti E., Terarolli A., Corsi M., Arsieni P., Saragaglia C., Ercolini C., Prearo M. 253 PRESENZA DI METALLI PESANTI IN PRODOTTI ITTICI DISTRIBUITI DA MINIMARKET “ETNICI” Giorgi I., Prearo M., Tarasco R., Palmegiano P., Pellegrino M., Gavinelli S., Pavoletti E., Fioravanti F., Abete M.C. 255 UTILIZZO DELL’ ESAME BATTERIOLOGICO QUALI-QUANTITATIVO QUALE APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO DELLE INFEZIONI URINARIE DELLA SCROFA Grattarola C., Bergagna S., Zoppi S., Dondo A., Pinto L., Bossotto T., Mei D., Tursi M., Bellino C., Cagnasso A. 257 PERFORMANCE DEL TEST ELISA PER ANTICORPI ANTI-MVS VALUTATE ATTRAVERSO RING TEST Grazioli S., Nassuato C., Brocchi E. 259 CONTROLLO CON METODO DI SCREENING ELISA COMPETITIVO DEL TENORE DI MICOTOSSINE IN ALIMENTI PER USO ZOOTECNICO NELLA REGIONE SICILIA Grippi F., Macaluso A., Olibrio F., Giangrosso I.E., Miceli A., Ruggeri F., Giangrosso G., Cicero A., Ferrantelli V. 261 IDENTIFICAZIONE DI LIEVITI RESPONSABILI DI ALTERAZIONI ROSA/ROSSO IN FORMAGGI FRESCHI Gualdi V., Benedetti V., Vezzoli F., Fiorentini L., Foni E., Rubini S., Luini M. 263 5 ANNI DI CONTROLLI ANTIDOPING SU EQUIDI NELLE MANIFESTAZIONI STORICHE Guaraldo P., Rosso A., Mogliotti P., Brusa F. 265 LA VALIDAZIONE SECONDARIA IN MICROBIOLOGIA DEGLI ALIMENTI Guzzo S., Palleschi G., Sibilia L., Bugattella S., Spallucci V. 266 17 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ANALISI MULTIRESIDUALE DI RODENTICIDI ANTICOAGULANTI NELLE ESCHE E NEL FEGATO MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA E RIVELAZIONE FLUORIMETRICA Iammarino M., Haouet N., Lo Magro S., Nardiello D., Muscarella M. 268 RILIEVI CLINICI ANATOMOPATOLOGICI E DIAGNOSTICI IN CORSO DI INFEZIONE SPERIMENTALE CON LO STIPITE DI PESTE SUINA AFRICANA KENYA/05 Iscaro C., Severi G., Marini C., Giammarioli M., De Mia G.M. 270 INCIDENZA DELL’AVVELENAMENTO DA METHOMYL NEI GATTI IN SICILIA NEL TRIENNIO 2007-2009 Macaluso A., Grippi F., Vella A., Ruggeri R.F., Billone E., Cicero A., Giangrosso G., Ferrantelli V. 272 SICUREZZA ALIMENTARE E CONTROLLI SU MATRICI ALIMENTARI: DETERMINAZIONE DI SULFAMIDICI E TRIMETHOPRIM NEL LATTE MEDIANTE UHPLC-MS/MS CON ESI Macaluso A., Fazzino S., Giaccone V., Spagnolo D., La Scala L., Cicero A., Giambona G., Giangrosso G., Ferrantelli V. 274 MONITORAGGIO ATTIVO PER FEBBRE Q IN OVI-CAPRINI TRANSUMANTI Mandola ML., Bardelli M., Rizzo F., Potenza MP., Viganò R., Besozzi M., Luzzago C. 276 RUOLO DEL GENE SPRN (SHADOW OF THE PRION PROTEIN) NELLA SUSCETTIBILITA’/ RESISTENZA ALLA BSE BOVINA Maniaci M.G, Colussi S., Leone P., Riina M.V., Stewart P., Goldmann W., Acutis P.L., Peletto S. 278 GLI ANTIBIOTICI NEI SOTTOPRODOTTI DELL’INDUSTRIA DELL’ETANOLO E DELLA BORLANDA UTILIZZATI NEI MANGIMI: MONITORAGGIO PRESSO L’ASL CN 1 Marchis D., Amato G., Brizio G., Millone A., Abete M.C. 280 CONTAMINANTI AMBIENTALI IN PESCI DI ACQUA DOLCE: INDAGINE AMBIENTALE NEL LAGO DI CORBARA 2007-2008 Maresca C., Agnetti F., Alunni S., Bibi R., Latini M., Scoccia E., Pecorelli I. 282 ANALISI DELLA RELAZIONE TRA PRODUZIONE DI LATTE E RILIEVO DI MASTITI CAUSATE DALL’INFEZIONE DI ALCUNE SPECIE DI STAFILOCOCCHI COAGULASI NEGATIVI IN OVINI SARDI Marogna G., Pilo C., Barbato A., Fiori A., Schianchi G. 283 INFEZIONE MAMMARIA SPERIMENTALE CON STREPTOCOCCUS UBERIS IN PECORE DI RAZZA SARDA:QUADRI CLINICI E CONSEGUENZE NELLA PRODUZIONE DI LATTE Marogna G., Pilo C., Fiori A., Schianchi G. 285 PIODERMITE MAMMARIA E MASTITE GANGRENOSA DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS IN UN GREGGE DI RAZZA SARDA: CORRELAZIONI E PROPAGAZIONE DI INFEZIONE CLONALE Marogna G., Piras M.G., Deidda S., Tola S., Schianchi G. 287 PREVALENZA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN CINGHIALI Martinelli N., Luppi A., Chiari M., Fontana R., Lombardi G. 289 VALUTAZIONE DELL’ANDAMENTO DEI VALORI EMATICI DI TESTOSTERONE NEL SUINO DURANTE IL TRATTAMENTO CON IMPROVAC® Martinelli N., Archetti I., Fois G., Scivoli R., Lombardi G. 291 LA PRESENZA DI LISINA AL CODONE 222 DELLA PROTEINA PRIONICA (PrP) CAPRINA INTERFERISCE CON IL LEGAME DELL’ANTICORPO MONOCLONALE F99/97.6.1 Mazza M., Guglielmetti C., Colussi S., Martucci F., Peletto S., Lo Faro M., Pagano M., Ingravalle F., Acutis P. L. 293 18 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 TECNICHE PER LA RIMOZIONE DEL MATERIALE SPECIFICO A RISCHIO: RIDUZIONE DEL RISCHIO BSE PER L’UOMO Meloni D., Pitardi D., Maurella C., Ingravalle F., Di Vietro D., Nocilla L., Maldera O., Piscopo A., Pavoletti E., Negro M., Caramelli M., Bozzetta E. 296 TEST RAPIDI POST MORTEM PER LA SORVEGLIANZA ATTIVA DELLE TSE NELLE CAPRE: PRESTAZIONI A CONFRONTO Meloni D., Manzardo E., Loprevite D., Cavarretta M. C., Peletto S., Agrimi U., Colussi S., Acutis P.L., Ingravalle F., Bozzetta E. 298 TRACCIABILITÀ GENETICA DI QUATTRO RAZZE OVINE PIEMONTESI TRAMITE UN PANNELLO DI 14 MICROSATELLITI Modesto P., Fontanella E., Peletto S., Colussi S., Piatti P., Acutis P. L. 300 VARIABILITA’ GENETICA E GRADO DI INBREEDING IN DUE POPOLAZIONI DI LEPRE EUROPEA (LEPUS EUROPAEUS) PRESENTI IN DUE AREE DI RIPOPOLAMENTO E CATTURA DEL NORD ITALIA. Modesto P., Colussi S., Cava P. L., Vidus Rosin A., Carolfi S., Meriggi A., Peletto S., Acutis P. L. 302 PCR PER PCV2 IN LINFONODI DI CINGHIALI (SUS SCROFA ssp. SCROFA) FISSATI IN FORMALINA ED INCLUSI IN PARAFFINA (FFPE): VALUTAZIONE COMPARATIVA CON I RISULTATI IMMUNOISTOCHIMICI Morandi F., Panarese S., Verin R., Poli A., Ostanello F., Sarli G. 305 UN ATLANTE SULLA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI CULICIDI IN ITALIA COME STRUMENTO PER LA SORVEGLIANZA DELLE ARBOVIROSI Mughini Gras L., Busani L., Boccolini D., Severini F., Bongiorno G., Khoury C., Bianchi R., Romi R., Capelli G., Rezza G. 308 CASO DI SIEROPOSITIVITÀ DA BTV 8 IN UN LAMA ALLEVATO IN VALLE D’AOSTA Navillod F.V., D’Ottavio M., Domenis L., Botti V., Robetto S.,Mancini M.,Mignone W.,Bertolla A.,Ragionieri M.,Savini G.,Orusa R.,Guidetti C. 310 REAL TIME PCR PER LA RICERCA DI SALMONELLA SPP. IN CEPPI OTTENUTI DA FAUNA SELVATICA Navillod F.V., Botti V., Spedicato R., Pepe E., Domenis L.,Orusa R., Guidetti C. 312 SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI CONFERMA PER DIECI SULFAMIDICI IN LATTE MEDIANTE HPLC – DAD Olivo F., Dosio D., Franzoni M., Quattrocchio A., Gili M. 314 VANTAGGIO DEL RIVELATORE A TRIPLO QUADRUPOLO NELLA RICERCA DI METABOLITI DEI NITROFURANI IN MUSCOLO E UOVA MEDIANTE LC-MS/MS Olivo F., Gili M., Franzoni M., Quattrocchio A., Abete M.C. 316 VARIABILITÀ DEL GENE M IN STIPITI DI CORONAVIRUS DEL CANE CIRCOLANTI IN PUGLIA E BASILICATA Padalino I., Catanzariti R., Garramone L., Palazzo L., Cavaliere N., Parisi A., Decaro N. 318 CEPPI DI BRUCELLA CIRCOLANTI IN PROVINCIA DI POTENZA Palazzo L., Quaranta V. 320 GENOTIPIZZAZIONE DI LISTERIA MONOCYTOGENES DI ISOLAMENTO UMANO, ALIMENTARE ED AMBIENTALE MEDIANTE MULTI-LOCUS SEQUENCE TYPING Parisi A, Miccolupo A., Latorre L., Mammina C., Cogoni M. P., Bilei S., Santagada G. 322 VALUTAZIONE CITOFLUORIMETRICA DELL’ESPRESSIONE DEL MARCATORE CD90 DURANTE COLTURA ESTENSIVA DI CELLULE MESENCHIMALI STROMALI MULTIPOTENTI DA TESSUTO ADIPOSO DI CAVALLO Pascucci L., Ceccarelli P., Mercati F., Curina G., Dall’Aglio C., Paternesi B., Severi G., Marini C. 324 19 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DETERMINAZIONE DI PESTICIDI ORGANOCLORURATI IN PESCI SILURO (Silurus glanis) PROVENIENTI DAL FIUME PO Pavino D., Ottonello G., Tarchino F., Ferrari A. 326 IDENTIFICAZIONE E ANALISI FILOGENETICA DI UN PESTIVIRUS ATIPICO, IZSPLV_To Peletto S., Zuccon F., Pitti M., Gobbi E., De Marco L., Caramelli M., Masoero L., Acutis P. L. 327 PROVE DI REPLICAZIONE E TRASMISSIONE VIRALE RIFERITE AL CIRCOVIRUS SUINO TIPO 2 (PCV2) IN COLTURE CELLULARI DI ORIGINE MURINA Petrini S., Paniccià M., Fortunati M., Villa R., Gavaudan S., Silenzi V., Barchiesi F., Mancini P., Ferrari M. 329 APPLICAZIONE DI UN METODO IN MULTIPLEX REAL-TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE MOLECOLARE DI E. COLI O157: RISULTATI PRELIMINARI Petruzzelli A., Amagliani G., Foglini M., Bartolini C., Omiccioli E., Agnetti F., Sola D., Brandi G., Tonucci F. 331 EVOLUZIONE DEL CONTROLLO ANALITICO DEGLI OGM:MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI METODI IN FAST PCR REAL-TIME Pierboni E., Zampa S., Madeo L., Rondini C. 333 STUDIO DELLA MULTIRESISTENZA IN SALMONELLA ENTERICA ISOLATA DA MATRICI ALIMENTARI Proroga Y.T.R, Carullo M.R., Bove D., Guarino A., Capuano F. 335 DESCRIZIONE DI UN CASO DI SCHWANNOMA MALIGNO IN UN BOVINO Puleio R., Monteverde V., Ratto A., Tamburello A., Loria G.R., Costa G., Sammarco A., Musicò M. 337 BLUETONGUE SIEROTIPO 8 NEI CERVI DEL PARCO REGIONALE DELLA MANDRIA (PIEMONTE) Radaelli M.C., Vitale N., Chiavacci L., Masoero L., Goria M., Ariello D., Pignata L, Savini G. 339 DIAGNOSI MOLECOLARE DI CHLAMYDOPHILA SPP, CARATTERIZZAZIONE DI SPECIE PER PCR REAL TIME E SEQUENZIAMENTO IN CAMPIONI ANIMALI Reale S., Vitale F., Villari S.,Gargano V.,Vesco G. 340 SVILUPPO DI UNA BANCA DI STIPITI MICROBICI DI ORIGINE ANIMALE Rebechesu L., Fidalis M., Patta C., Pittau G., Manai R., Lollai S. 342 PARAMETRI IMMUNOLOGICI IN CAPRE SPERIMENTALMENTE INFETTATE CON LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI, GENOTIPO E, STIPITE ROCCAVERANO Reina R., Juganaru M.M., Profiti M., Cascio P., Cerruti F., Bertolotti L., De Meneghi D., Rosati S. 344 APPLICAZIONE DI UN METODO BIOMOLECOLARE PER LA RICERCA RAPIDA DI YERSINIA ENTEROCOLITICA PATOGENA IN CARCASSE DI SUINI REGOLARMENTE MACELLATI Renzi F., Farneti S., Carfora V., Zicavo A., Bonanno S., Loschi A.R., Scuota S. 346 PRESENZA DI METALLI PESANTI IN SPIGOLE (Dicentrarchus labrax) D’ALLEVAMENTO Righetti M., Prearo M., Squadrone S., Tarasco R., Giorgi I., Leogrande M., Gavinelli S., Arsieni P., Abete M.C. 348 SVILUPPO DI UN METODO ANALITICO BASATO SULL’ANALISI DEL DNA PER IL CONTROLLO DEL COMMERCIO ILLEGALE DI PELLICCE DI CANE E GATTO Riina M.V., Maniaci M.G., Trisorio S., Colussi S., Modesto P., Giovannini T., Zuccon F., Peletto S., Acutis P.L. 350 20 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PRIMA SEGNALAZIONE IN PIEMONTE (ITALIA) DI INFEZIONE DA AVIAN POXVIRUS IN CORNACCHIA GRIGIA (CORVUS CORONE CORNIX) Robetto S., Domenis L., Marucci F., Rizzo F., Botticella G., Mandola M.L., Orusa R. 352 STUDIO RETROSPETTIVO SU CASI DI SINDROME EMORRAGICA NEL VITELLO RIFERIBILI A “BOVINE NEONATAL PANCYTOPENIA” Rosignoli C., Gelmetti D., Gibelli L., Lavazza A., Canelli E., Faccini S., Archetti I., Salogni C., Zanoni M.G., Boldini M., Vezzoli F., Arrigoni N., Fontana M.C., Merenda M., Nigrelli A. 354 INFEZIONE DA MYCOPLASMA HYOPNEUMONIAE: VALUTAZIONE DI UN METODO IN REAL TIME PCR A PARTIRE DA CAMPIONI CLINICI Rossi F., Goria M., Vitale N., Varello K., Angelillo M., Soncin A., Bozzetta E., Chiavacci L., Dondo A., Nappi R. 356 ANALISI GENOMICA E PROTEOMICA SU CEPPI DI S. AUREUS ISOLATI DA MASTITI BOVINE Rossini S., Cremonesi P., Benedetti V., Capra E., Castiglioni B., Pisoni G., Graber H., Luini M. 358 DATI PRELIMINARI SUL COMPORTAMENTO DI Bacillus cereus IN PRODOTTI DI GASTRONOMIA Ruggiero V., Oliverio E., De Nadai V., Finazzi G., Daminelli P., Boni P. 360 ASPETTI DI SICUREZZA ALIMENTARE RELATIVI ALLA CUCINA ETNICA:LA RISTORAZIONE CINESE E “IL SUSHI” Saccares S., Morena V., Condoleo R., Saccares Se., Marozzi S. 362 PROTEINE DI FASE ACUTA COME POSSIBILI MARKER DI STRESS CORRELATI ALL’ESERCIZIO NEL CAVALLO ATLETA Salamano G., Tarantola M., Badino P., Mellia E., Valle E., Bergero D., Fraccaro E., Gennero M.S., Doglione L., Odore R. 364 PREVALENZA DI CAMPIONI SIEROPOSITIVI PER LEISHMANIOSI CANINA LAZIO (2005-2008), Scarpulla M., Macrì G., Salvato L., Spallucci V., Aquilini E., Rombolà P. 366 NEL PROTOTHECA SPP: INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE NELLA SICILIA OCCIDENTALE E RELAZIONE FRA CELLULE SOMATICHE ED ISOLAMENTI IN CAMPIONI DI LATTE BOVINO Scatassa M.L., Miraglia V., Giosuè C., Briganò S., Randazzo V.,Carrozzo A., Ducato B., Fiorenza G.,Mancuso I.,Caracappa S. 368 CONTAMINAZIONE DI POMODORI SECCHI DA VIRUS ENTERICI Serracca L., Rossini I., Battistini R., Goria M., Sant S., De Montis G., Ercolini C. 370 ISOLAMENTO E CARATTERIZZAZIONE DI VIBRIO PATOGENI IN MUGILIDI SELVATICI, Serracca L., Prearo M., Ottaviani D., Battistini R., Rossini I., Imberciadori M., Giorgi I., Ercolini C. 372 UTILIZZO DI UNA METODICA ELISA, CON ANTICORPI MONOCLONALI, NELLA DIAGNOSI SIEROLOGICA DELLA PESTE SUINA AFRICANA Severi G., Pellegrini C., Iscaro C., Cesarini F., Marini C. 374 VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI UN SISTEMA DI DECONTAMINAZIONE AMBIENTALE CON PEROSSIDO DI IDROGENO STABILIZZATO: RISULTATI PRELIMINARI Severi G., Longo M., Ortenzi R., Canonico G., Casciari C., De Mia G.M., Cenci T. 376 21 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DIAGNOSI BIOMOLECOLARE DI PRRS E CARATTERIZZAZIONE DEL VIRUS: APPLICAZIONI PRATICHE Soncin A.R., Goria M., Monnier M., Rossi F., Barbieri I., Petruccelli G., Di Gregorio V., Perruchon M., Zoppi S., Dondo A. 378 IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE BIOMOLECOLARE DI NEMATODI ANISAKIDI IN SPECIE ITTICHE MARINE pescate nel NORD SARDEGNA Tedde T., Piras M.C., Pinna C., Virgilio S., Terrosu G., Garippa G., Merella P. 380 INDAGINI ANATOMO-ISTOPATOLOGICHE, MICROBIOLOGICHE, PARASSITOLOGICHE E SIERO-EPIDEMIOLOGICHE IN CETACEI SPIAGGIATI IN LIGURIA (2007-2010) Tittarelli C., Casalone C., Pautasso A., Iulini B., Bozzetta E., Varello K., Pezzolato M., Grattarola C.,Garibaldi F., Di Francesco C.E., Di Guardo G., Gustinelli A., Fioravanti M.L., Mignone W. 382 PRESENZA DI RETROVIRUS ENDOGENI (ERV) IN ALCUNE TIPOLOGIE DI LATTE BOVINO DESTINATO AL CONSUMO UMANO Torresi C., Bazzucchi M., Casciari C., Rossi E., Feliziani F. 384 SOPRAVVIVENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS IN FORMAGGI INOCULATI CON CEPPI DI LACTOCOCCUS LACTIS PRODUTTORI DI BATTERIOCINE: CASEIFICAZIONI SPERIMENTALI Traversa A., Bianchi DM., Dal Bello B., Cocolin L., Zeppa G., Decastelli L. 386 STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINORESISTENTE (MRSA) IN LATTE BOVINO DI MASSA Traversa A., Doglione L., Gennero M.S., Gramaglia M., Della Mutta M., Cavallerio P., Parlato C., Fossati L., Serra R., Decastelli L. 388 DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI LESIONI GRANULOMATOSE IN UNA POPOLAZIONE DI CEFALI (MUGIL CEPHALUS E LIZA AURATA) NEL MAR LIGURE Varello K., Prearo M., Giorgi I., Serracca L., Audino V., Pezzolato M., Bozzetta E. 390 SCHEMA DI ACCREDITAMENTO FLESSIBILE APPLICATO ALLE ANALISI BIOMOLECOLARI: ESPERIENZA DEL LABORATORIO OGM Verginelli D., Quarchioni C., Bonini P., Fusco C., Peddis S., Misto M., Marchesi U., Gatto F., Paternò A., Ciabatti I., Amaddeo D. 392 BOVINE CLOSTRIDIOSIS: HYPERACUTE CLINICAL SYNDROME IN A SEMI-FREE ROAMING SICILIAN HERD Vicari D., Piraino C., Currò V., Martorana C., Palumbo P., D’Anna M., Chetta M.,Sparacino L., Caracappa S. 395 VALUTAZIONE DEI 5 ANNI DI ATTIVITA’ DEL PIANO DI CONTROLLO IBR IN VALLE D’AOSTA Vitale N., Massa M., Orusa R., Guidetti C., Russo A., Mancano A., Frosini F., Chiavacci L. 397 INTRODUZIONE ALLA SICUREZZA Vitelli B.R., Severini S. 399 IL DNA COMET ASSAY NELLO SCREENING DI ALIMENTI IRRADIATI:DEFINIZIONE DEI PARAMETRI UTILIZZABILI PER LA VALIDAZIONE DEL METODO Zampa S., Haouet M.N., Curcio L., Pierboni E., Rondini C. 400 ANTIBIOTICO-RESISTENZA DI PATOGENI MASTITICI: STUDIO DELLE M.I.C.E DELLA CORRELAZIONE TRA IL FENOTIPO RILEVATO ED IL PATTERN GENICO Ziccheddu M. ,Manunta D. ,D’Ascenzo, V.,Patta C., Lollai S. 402 ANALISI MVLST DI ISOLATI DI LISTERIA MONOCYTOGENES PROVENIENTI DA ALIMENTI A BASE DI CARNE Zuccon F.,Suman E.,Modesto P.,Riina V.,Peletto S.,Decastelli L.,Fornasiero M.,Acutis P.L. 404 INDICE DEGLI AUTORI 407 22 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 23 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 24 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Letture plenarie, comunicazioni orali 25 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 26 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 LE ATTIVITÀ DI BIOMONITORAGGIO: CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE E RILEVANZA PER LA SANITÀ PUBBLICA VETERINARIA. Ru G., Desiato R. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte Liguria e Valle d’Aosta Keywords: Biomonitoraggio, epidemiologia ambientale, sanità pubblica A seguito del loro rilascio nell’ambiente i contaminanti possono entrare nella catena alimentare attraverso piante e animali ed essere trasferiti all’uomo con l’alimento. Uno degli strumenti a disposizione per la valutazione dell’esposizione è il biomonitoraggio, ovvero la misura sistematica e standardizzata delle sostanze chimiche o dei loro metaboliti nei fluidi corporei delle persone potenzialmente esposte (1). Tale misurazione della dose interna può essere di difficile attuazione e implicare problematiche etiche complesse. Misurazioni analoghe possono essere rivolte alle popolazioni animali. In realtà nella pratica quotidiana le analisi (previste nell’ambito delle attività di controllo ufficiale derivanti dalla normativa comunitaria o nazionale) sono eseguite prevalentemente sulle matrici destinate ad essere consumate come alimenti: l’obiettivo principale consiste nella verifica del rispetto dei limiti di legge esistenti. Tali controlli, se opportunamente progettati e indirizzati, potrebbero servire a caratterizzare, seppur indirettamente, i rischi e a verificare l’efficacia delle misure messe in atto. A questo scopo le competenze epidemiologiche e biostatistiche possono essere utilizzate per impostare le attività di sorveglianza epidemiologica e per interpretare correttamente i dati raccolti. Nella relazione si intende descrivere un’esperienza concreta condotta in Piemonte (Bassa Val di Susa in provincia di Torino) a seguito di alcuni episodi di contaminazione ambientale da microinquinanti (diossine e policlorobifenili diossino-simili). Nel caso dei microinquinanti, l’esposizione del bestiame avviene per via alimentare e può derivare da sorgenti puntiformi di inquinamento che coinvolgono i terreni circostanti e quindi i foraggi da essi ottenuti (2). Il bersaglio appropriato dei controlli è dato dagli animali che consumeranno tali foraggi e che a loro volta serviranno alla produzione di alimenti potenzialmente pericolosi per l’uomo. I risultati analitici accumulati lungo alcune campagne successive di controllo (tra il 2004 e il 2009) e relativi ad alimenti di origine animale (latte e carne) sono serviti a integrare informazioni di tipo ambientale e quelle sullo stato di salute della popolazione residente. Ai classici metodi dell’epidemiologia descrittiva sono state associate tecniche più raffinate con l’obiettivo di descrivere natura ed estensione dell’episodio di contaminazione: i dati analitici dei contaminanti riscontrati sono stati utilizzati per la caratterizzazione dei profili biochimici mentre l’integrazione delle basi dati catastali e agrozootecniche e le tecniche di analisi spaziale sono servite a simulare la distribuzione della contaminazione sul territorio. Il risultato più rilevante ottenuto per l’area di studio avvalora l’ipotesi di un’unica sorgente comune e puntiforme di inquinamento e di livelli di contaminazione di diossine e policlorobifenili diossino-simili che tendono a ridursi con la distanza. Una volta definite le caratteristiche del fenomeno, la disponibilità dei dati relativi alle località di produzione del foraggio ci sono servite per identificare le aziende zootecniche sulle quali indirizzare in base al rischio l’ulteriore attività di controllo. L’applicabilità della nostra esperienza in Val di Susa ad altri contesti territoriali deve comunque essere valutata caso per caso: le vie di esposizione ai contaminanti possono essere diverse da quella alimentare, l’approvvigionamento degli alimenti zootecnici non sempre si basa sulla produzione diretta e l’autoconsumo ma prevede scambi commerciali più o meno complicati, l’accesso alle banche dati, quando disponibili, spesso si scontra con rigidità burocratiche non semplici da superare. Ciononostante l’approccio proposto e più in generale la riflessione teorica in tema di sistemi di sentinelle animali e di epidemiologia ambientale veterinaria ci sembrano particolarmente promettenti sia per la valutazione del rischio sia per gli interventi di prevenzione. SUMMARY As a tool of exposure assessment, biomonitoring may be used to describe risks and verify the effectiveness of control measures. Its application to animal population and animal products may help handling complex situations of environmental pollution. A case study of dioxins and dioxin-like compounds contamination in a small Piedmont area is used to show the potential for the application of local databases linking animal production with polluted soils and pastures. Pros and cons of animal sentinels analysis supports the value of environmental epidemiology in veterinary medicine. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Budnik LT, Baur X. (2009) The assessment of environmental and occupational exposure to hazardous substances by biomonitoring. Dtsch Arztebl Int. 106(6):91-7 2. Committee on the Implications of Dioxin in the Food Supply. (2003) Dioxins and Dioxin-like Compounds in the Food Supply: Strategies to Decrease Exposure. The National Academies Press. 27 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 MONITORAGGIO DELLA PRESENZA DI PCDD/Fs, DL PCBs, NDL PCBs E METALLI PESANTI NEL PESCE DEI LAGHI DI MANTOVA. Menotta S.1,D’Antonio M 1, Arvati M.3, Gallio A.3,Zaghini L.4, Puzzi C.5, Ippoliti A. 5, Salis E. 1,Nigrelli A 2, Fedrizzi G. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Chimico degli alimenti – Bologna, Bologna 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna - Sezione di Mantova, Mantova 3 Dipartimento Prevenzione Medica - ASL della Provincia di Mantova, Mantova 4 Dipartimento di Prevenzione Veterinaria - ASL della Provincia di Mantova, Mantova 5 Studio GRAIA – Gestione e Ricerca Ambientale Ittica Acque – Varano Borghi, Varese. Keywords: Dioxins, Polychlorinated Biphenyls, Freshwater fish. SUMMARY During 2009 was carried out a monitoring plan about levels of contaminations in fishes caught on two lakes of Mantova Region (Lago Superiore and Lago Inferiore/Vallazza). 81 samples of fish were analyzed for Dioxins (PCDD), Furans (PCDF), Polychlorinated biphenyls (DL PCBs and NDL PCBs) and heavy metals. Levels of PCDD/Fs, sum of PCDD/Fs + DL PCBs and heavy metals was under the EU limits (Reg. (CE) n. 1881/2006) in all samples, but in four samples levels of DL PCBs were up to the limit imposed by Rec. 2006/88/CE. Silurus glanis and Abramis brama were species most contaminated. Le determinazioni analitiche sono state effettuate sul muscolo privo di pelle come previsto dal Regolamento 1883/2006. Predatori/Ittiofagi Aspio (Aspius aspius) Luccio (Esox lucius) Lucioperca (Sander lucioperca) Persico reale (Perca fluviatilis) Persico trota (Micropterus salmoides) INTRODUZIONE Le Diossine (PCDD), i Furani (PCDF) i Policlorobifenili Diossina Like (DL PCB) ed i Policlorobifenili Non Diossina Like (NDL PCB) sono contaminanti ambientali ubiquitari. A causa della loro persistenza nell’ambiente sono soggetti a fenomeni di bioaccumulo e biomagnificazione lungo la catena trofica. L’esposizione umana a questi contaminanti è possibile attraverso varie vie, ma la via di esposizione principale è la via alimentare. Il consumo da parte dell’uomo di pesci e di prodotti della pesca provenienti da aree contaminate può sicuramente rappresentare un grosso fattore di rischio (4). Scopo del lavoro è stato quello di monitorare i livelli di contaminazione dei pesci pescati nei Laghi di Mantova per la tutela della sicurezza alimentare del consumatore di prodotti della pesca provenienti dal Lago Superiore e dal Lago Inferiore al limite con la Vallazza. N° 6 2 10 4 8 Onnivori/Erbivori Abramide (Abramis brama) Blicca (Blicca bjoerkna) Carassio (Carassius carassius) Carpa (Cyprinus carpio) Gardon (Rutilus rutilus) N° 5 4 9 11 9 Siluro (Silurus glanis) 11 Persico sole (Lepomis gibbosus) 2 TOTALE 41 TOTALE 40 Tabella 1: specie ittiche catturate. La preparazione del campione è stata effettuata secondo le metodiche previste dal Regolamento 1883/2006: “il tessuto muscolare deve essere prelevato avendo cura di eliminare la pelle; occorre inoltre raschiare accuratamente e completamente tutti i resti di muscolo e grasso attaccati alla parte interna della pelle e aggiungerli al campione da analizzare”. Dopo omogeneizzazione, il campione è stato sottoposto a liofilizzazione mediante Freeze Dryer Delta 2-24 LSC (Christ, Germany). Prima dell’estrazione, ai campioni sono stati aggiunti gli standard interni di estrazione costituiti da 15 PCDD/ Fs 2,3,7,8-sostituiti marcati con il 13C12 (Cambridge Isotope Laboratories USA) e 12 DL PCBs marcati con 13C12 (Cambridge IsotopeLaboratories USA). La frazione lipidica è stata estratta mediante l’estrattore ASE (Accelerated Solvent Extraction). Il solvente di estrazione era il toluene e la frazione lipidica è stata estratta mediante due cicli di estrazione a 135°C. Il volume dell’estratto è stato poi ridotto mediante Rotavapor. La frazione lipidica è stata soggetta in seguito a purificazione acida mediante colonne antropogeniche costituite da una colonna in vetro per separazione cromatografica (300 mmx25 mm) impaccate dalla base verso l’alto con uno strato di sodio solfato anidro, gel di silica, polvere Extrelut bagnato con acido solforico, gel di silica e sodio solfato anidro. Le colonne sono state eluite con n-esano. L’eluato è stato poi concentrato in corrente d’azoto e sottoposto a purificazione automatica mediante Power-Prep system (FMS USA) su colonna multistrato (allumina, silica e carbone). I composti target vengono adsorbiti dalla colonna di allumina ed in seguito eluiti da questa e fissati nella colonna di carbone mediante una soluzione di n-esano: diclorometano (1:1). La colonna di carbone è stata in seguito retro lavata con toluene per eluire PCDD/Fs e DL-PCBs che sono stati successivamente raccolti in due diversi tubi da evaporazione. Gli eluati sono stati poi portati e secco in MATERIALI E METODI Il prelievo dei campioni dai Laghi è stato effettuato nel mese di ottobre 2009 mediante l’uso di reti e di elettropesca da imbarcazione. Queste due tipologie di pesca hanno permesso la cattura di pesci di taglia, specie ed età differenti, in modo tale che il campione fosse rappresentativo dell’ittiofauna presente nei Laghi. Sugli esemplari campionati sono stati eseguiti il riconoscimento di specie, la misurazione della lunghezza totale e la misurazione del peso. In seguito, mediantela stima della velocità di crescita lineare delle specie catturate è stata stimata la classe d’età di appartenenza dei soggetti pescati. Inoltre le specie pescate sono state suddivise in categorie in base alle abitudini alimentari (erbivori, onnivori, predatori, bentofagi o fitofagi). In totale sono stati prelevati 81 campioni di pesci appartenenti a diverse specie ittiche (Vedi Tabella 1). I campioni sono stati sottoposti ad analisi per la determinazione di PCDD/Fs, DL PCBs e NDL PCBs e di metalli pesanti. Le analisi di PCDD/Fs, DL PCBs e NDL PCBs, in conformità al Regolamento 1883/2006 che stabilisce i metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei livelli di PCDD/Fs e DL PCBs in alcuni prodotti alimentari, sono state effettuate mediante HRGC/ HRMS con il metodo EPA 1613 Rev. B October 1994 per la determinazione di 17 congeneri di 2,3,7,8-sostituiti di PCDD/Fs (1) e con il metodo EPA 1668 B November 2008 per la determinazione di 12 congeneri di DL PCBs e di 6 congeneri di NDL-PCBs (PCBs indicatori: PCB 28, 52, 101, 153, 138, 180) (2). 28 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 corrente d’azoto. Le frazioni contenenti PCDD/Fs e PCBs (DL e NDL) sono state poi riprese mediante l’uso di una soluzione contenente specifici standard di iniezione. La determinazione di PCDD/Fs e PCBs è stata eseguita mediante gascromatografia ad alta risoluzione (HRGC Hewlett Packard 6890 Plus - Agilent Technologies USA) accoppiata a spettrometria di massa ad alta risoluzione (Micromass Autospec Ultima Waters USA) mediante tracing M+, (M+2)+. PCDD/Fs e DL-PCBs sono stati analizzati utilizzando una colonna DB5MS (J&W Agilent Technologies, USA), 60m×0.25mm. Il gas di trasporto era l’Elio. Lo spettrometro di massa operava sopra 10000 di risoluzione e l’acquisizione dei dati è stata ottenuta mediante selected ion monitoring (SIM). L’analisi dei metalli pesanti (Piombo, Cadmio, Cromo e Mercurio) prevede una fase di mineralizzazione per via umida mediante acido nitrico concentrato 70% mediante sistema a bagnomaria a secco. I campioni mineralizzati sono stati opportunamente diluiti ed analizzati mediante spettroscopia di assorbimento atomico (AAS). RISULTATI Tutti i campioni analizzati sono risultati inferiori ai livelli massimi di PCDD/Fs e somma di PCDD/Fs + DL PCBs imposti dal Regolamento (CE) n.1881/2006 per “Muscolo di pesce e prodotti della pesca, nonché loro derivati, ad eccezione dell’anguilla” (4,0 pg WHO TEQ/gr di peso fresco per i PCDD/Fs, e 8,0 pg WHO TEQ/gr di peso fresco la somma di PCDD/Fs + DL PCBs). Le concentrazioni maggiori sono state riscontrate in due esemplari di siluro di grosse dimensioni pescati uno nel Lago Superiore ed uno nel Lago Inferiore/Vallazza (rispettivamente 7,98 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco per somma di PCDD/Fs + DL PCBs e 7,58 pg WHO TEQ/gr di peso fresco per somma di PCDD/Fs + DL PCBs). La concentrazione media per la somma di PCDD/Fs + DL PCBs era di 1,45 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco (range 0,54-7,98 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco). Per quanto riguarda i PCDD/Fs la concentrazione media era di 0,17 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco (range 0,05-1,24 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco). In tutti i casi i valori sono risultati inferiori sia ai limiti massimi previsti dal Regolamento (CE) n. 1881/2006 che ai livelli di azione previsti dalla Raccomandazione 2006/88/CE. Per i DL PCBs, invece, la concentrazione media era di 1,28 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco (range 0,49 – 6,97 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco). In quattro casi (un Siluro del Lago Superiore, un Siluro, un Abramide ed una Carpa del Lago Inferiore/Vallazza) le concentrazioni riscontrate risultavano superiori ai livelli di attenzione imposti dalla Raccomandazione 2006/88/CE per i DL PCBs (3,0 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco). Le concentrazioni di NDL PCBs (sei congeneri) presentavano una media di 21,9 ng/gr di peso fresco (range <786,9 ng/gr. di peso fresco). La concentrazione maggiore è stata registrata in una carpa pescata nel Lago Superiore. Per quanto riguarda invece i metalli pesanti, tutti i campioni sono risultati inferiori ai limiti imposti dal Regolamento (CE) n° 1881/2006 come modificato dal Regolamento (CE) n. 629/2008. Il Piombo è risultato inferiore al limite di quantificazione previsto dal metodo analitico (LOQ=0,010 mg/Kg) in tutti i casi tranne che in un Gardon pescato nel Lago Superiore (0,48 mg/Kg); il Cadmio invece è risultato inferiore al limite di quantificazione previsto dal metodo di analisi (LOQ= 0,005 mg/Kg) in tutti i campioni analizzati. Il livello medio di Cromo era di 0,07 mg/Kg (range <LOQ- 0.32 mg/Kg); il valore più elevato è stato riscontrato in un Siluro pescato nel Lago Superiore. Il livello medio di Mercurio era di 0,08 mg/Kg (range <LOQ-0,4 mg/Kg); il valore più elevato è stato riscontrato in un persico trota pescato nel Lago Inferiore/Vallazza. DISCUSSIONE I risultati di questo monitoraggio indicano come tutti i campioni analizzati presentino valori di microcontaminanti ambientali (PCDD/Fs, DL PCBs, NDL PCBs e metalli pesanti) inferiori ai limiti previsti dalla Normativa vigente (Regolamento (CE) n. 1881/2206 e successive modifiche). Dal monitoraggio emerge come il Siluro e l’Abramide siano le specie maggiormente contaminate. Per quanto riguarda il Siluro, il livello medio di contaminazione da PCDD/Fs era pari a 0,25 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,05-1,24 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco); il livello medio di DL PCBs era 1,72 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,49-6,73 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco) ed il livello medio per la somma di PCDD/Fs + DL PCBs era 1,98 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,54-7,98 pg WHO-TEQ/ gr di peso fresco). Nel caso del siluro sono stati riscontrati i valori più alti per DL PCBs e per somma PCDD/Fs + DL PCBs rispetto a tutti i campioni analizzati. Questi risultati sembrano correlabili sia alle abitudini alimentari di questa specie ittica che all’habitat. Infatti la dieta del siluro è molto varia, comprende sia elementi vegetali, sia animali e detrito organico. Nell’alimentazione dei giovani prevalgono gli invertebrati alghe e macrofite acquatiche. Gli adulti invece si nutrono di pesci di ogni genere e dimensione, anfibi, uccelli acquatici, mammiferi roditori, crostacei decapodi, anellidi e larve d’insetti. Inoltre questa specie predilige la zona del fondo dei laghi e dei fiumi, dove durante il giorno rimane nascosto nel fango. Per quanto riguarda invece l’Abramide, il livello medio di contaminazione da PCDD/Fs era pari a 0,25 pg WHO-TEQ/ gr di peso fresco (range 0,05-0,56 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco); il livello medio di DL PCBs era 2,1 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,58-4,53 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco) ed il livello medio per la somma di PCDD/Fs + DL PCBs era 2,36 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,67-3,13 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco). Anche in questo caso i valori riscontrati appaiono correlabili all’alimentazione e all’habitat di questa specie. Infatti l’Abramide si ciba principalmente di larve di insetti (soprattutto chironomidi), anellidi, crostacei e piccoli molluschi e anch’esso predilige le zone di fondo di laghi e fiumi. Numerosi studi indicano come i pesci onnivori o predatori ed i pesci che si alimentano sui fondali siano esposti ad un maggior rischio di accumulo per i microinquinanti ambientali (3). Per quanto riguarda invece le aree di pesca, non sembrano esserci differenze significative tra i due Laghi (Lago Superiore e Lago Inferiore/Vallazza), nonostante il Lago Inferiore sia interessato dal Polo Chimico. CONCLUSIONI Il monitoraggio ha evidenziato come, nonostante tutti i campioni analizzati non presentino valori superiori ai limiti previsti dalla normativa vigente, in 4 casi è stato evidenziato il superamento dei livelli di attenzione previsti dalla Raccomandazione 2006/88/CE e quindi una presenza di PCBs non riconducibile ai normali livelli basali di contaminazione. Alla luce di questo si ritiene cautelativo mantenere l’attuale divieto di consumo del pesce pescati nei Laghi di Mantova. Si ritiene inoltre auspicabile ripetere l’indagine con cadenza triennale valutando anche la stagionalità. Infatti numerosi studi indicano come la percentuale corporea di grassi vari nel pesce durante il periodo riproduttivo e peri-riproduttivo, influenzando quindi l’accumulo di contaminanti liposolubili come i PCBs: sarebbe quindi interessante valutare anche l’aspetto della stagionalità. BIBLIOGRAFIA 1)EPA 1613 US Environmental Protection Agency Office of Water Engineering and Analysis Division “Tetra-through OctaChlorinated Dioxins and Furans by Isotope Diluition HRGC/ HRMS”: Method 1613 Rev B October 1994 2) EPA 1668“Chlorinated biphenyl congeners in water, soil, sediment biosolids and tissue by HRGC/HRMS” Method 1668 Rev B November 2008 US Environmental Protection Agency Office of Water Engineering and Analysis Division 3) Roeder R.A., Garber M.J., Schelling G.T. (1998): “ Assessment of dioxins in foods from animal origins”. Journal of Animal Science 76 (2006) 142-151. 4) US Environmental Protection Agency: “Great Lake Monitoring: contaminants in top predator fish”. www.epa.gov 29 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RICERCA DI SAPOVIRUS E NOROVIRUS IN CAMPIONI AMBIENTALI NELLE CITTÀ DI PALERMO E NAPOLI Di Bartolo I. 1, Battistone A.2, Ponterio E. 1, Fiore L. 2, Ruggeri F.M.1 1 Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma. 2 Centro Nazionale per la Ricerca e il Controllo dei Prodotti Immunobiologici, Istituto Superiore di Sanità, Roma SaV). Le infezioni causate dai NoV sono spesso associate a focolai epidemici che coinvolgono un ampio numero di persone. Dall’analisi filogenetica delle sequenze della ORF2, i NoV vengono suddivisi in 5 genogruppi (GG): i virus appartenenti al GGI, GGII e GIV (quest’ultimo poco frequente) sono stati individuati nell’uomo, il GGIII è stato riscontrato solo nei bovini e il GV nel topo (1). Per i SaV la classificazione è altrettanto complessa, includendo 5 genogruppi, di cui GI, II, IV e V infettano l’uomo e il GIII il suino (2). Non sono stati ancora sviluppati sistemi di coltura in vitro per questi virus, ad eccezione di un ceppo suino di Sapovirus (PEC-Cowden). Conseguentemente, la diagnosi di infezione virale si basa sull’identificazione dell’RNA virale mediante metodi di biologia molecolare. Durante il 2009, 61 campioni di liquami raccolti prima dell’ingresso ai depuratori nelle città di Napoli e Palermo nell’ambito della sorveglianza ambientale dei Poliovirus e altri Enterovirus, sono stati analizzati anche per la ricerca di SaV e NoV. SUMMARY In the last years, an increasing role of RNA viruses as cause of gastroenteritis has been established, mainly due to novel molecular detection approaches that counteract the lack of cell culture systems for in vitro replication of some of these viruses. In particular, Norovirus (NoV) and Sapovirus (SaV) are now universally considered as emerging enteric pathogens involved in a majority of acute gastroenteritis (AGE) cases worldwide. These Caliviruses cause sporadic AGE in adults (NoV) and children (NoV and SaV), and large international outbreaks (mostly caused by NoV). NoV and SaV are ubiquitous, highly contagious, highly persistent in the environment, and resistant to decontamination treatments. Food- and water-borne transmission plays an important role in viral spreading, in addition to shedding with stools by individuals with acute or chronic infections and by apparently healthy subjects. In Italy, a clear picture of the prevalence of these viruses is missing. In this work, we investigated the occurrence and seasonal frequency of Norovirus and Sapovirus in sewage samples from wastewater treatment plants (61 samples) of Naples and Palermo, collected from January to November 2009. Detection of NoVs and SaVs was carried out by molecular methods harmonized at European level (FBVE). The reverse-transcription PCR results were further confirmed by sequencing, and comparative phylogenetic analysis was also performed. RNA of human Norovirus was identified in 37/61 samples analyzed. In addition, 39 out of 61 samples were also analyzed for Sapovirus. Twelve samples resulted positive for both viruses and 3 positive only for SaV. Sequence analysis confirmed detection of Norovirus belonging to genogroups I, II and IV, some of which are not usually detected among clinical strains. All Sapovirus strains detected in this study belonged to GI.2, which is the strain most commonly detected in Europe, and is also associated with occurrence of outbreaks. To date, no previous data were available on Sapovirus in Italy. Frequent detection of viral RNA, whether infectious or not, in the exit effluent of sewage treatment plants indicates wide dispersion of enteric viruses in the environment. Consequently, viral contamination resulting from the use of these treated waters is a risk that needs to be considered. MATERIALI E METODI Il piano di campionamento di liquami presso i depuratori di Napoli e Palermo, basato sulle linee guida dell’OMS, prevede il prelievo di 4 campioni mensili prima dell’ingresso nell’impianto. I campioni di liquami raccolti (50 ml) sono stati concentrati mediante ultracentrifugazione (100X) e l’RNA totale è stato estratto utilizzando il kit RNeasy Mini Kit (Qiagen) e analizzato mediante trascrizione inversa e PCR (RT-PCR) utilizzando il SuperScript® One-Step RT-PCR System with Platinum® Taq DNA (Invitrogen). L’RT-PCR è stata condotta utilizzando primer degenerati che appaiano nel gene codificante per la proteina del capside virale. In particolare per Sapovirus la coppia di primer SV5317-SV5749 che amplifica un frammento di 500bp (3). Per Norovirus sono state utilizzate due coppie di primer G1SKF/G1SKR e G2SKF/G2SKR (4), che amplificano un frammento di 310bp della regione capsidica di ceppi appartenenti al GI e al GII, rispettivamente. Per valutare la presenza di eventuali inibitori di PCR negli RNA estratti, tutti i campioni negativi sono stati analizzati in un secondo test previa contaminazione con un RNA positivo di controllo. Quando la quantità di DNA ottenuta era sufficiente, gli amplificati ottenuti sono stati sequenziati utilizzando ABI PRISM BigDye Terminator kit version 2.0 (Applied Biosystems); le sequenze sono state analizzate con il software DNASIS Max 2.0 (Hitachi) e il dendogramma è stato costruito con il software Bionumerics software packages (v 6.6, Applied Maths, Kortrijk, Belgium) con il metodo UPGMA. INTRODUZIONE I Norovirus (NoV) e i Sapovirus (SaV) sono virus enterici appartenenti alla famiglia dei Caliciviridae, virus privi di envelope con genoma a RNA a polarità positiva (7.2-7.7 kb) composto da due o tre open reading frame (ORF). La ORF1 codifica per le proteine non strutturali; la VP1 (codificata dalla ORF2 nei NoV e dalla ORF1 nei SaV) è la proteina strutturale principale, che sotto forma di 90 dimeri costituisce il capside virale, e la ORF3 produce una proteina a cui non è stata ancora attribuita una chiara funzione. Nell’uomo, i NoV e i SaV causano sintomatologia gastroenterica (GE) nell’adulto (NoV) e nei bambini al di sotto dei 5 anni (NoV e RISULTATI Tra gennaio e novembre del 2009, sono stati prelevati 61 campioni di liquami, provenienti dai depuratori di Napoli 30 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 e Palermo. I campioni sono stati prelevati prima di essere trattati nei depuratori. Dall’analisi dei campioni condotta mediante RT-PCR, 37 campioni sono risultati positivi per la presenza di RNA virale di Norovirus (30.6%), sia appartenente al genogruppo GI (17 campioni) che al GII (34 campioni), evidenziando la co-circolazione di più genogruppi. L’analisi della distribuzione annuale di NoV GI e GII ha mostrato una presenza piuttosto costante del virus, con un incremento di prevalenza legato ad una maggiore presenza di ceppi appartenenti al gruppo GII nei primi mesi dell’anno (fig. 1). I campioni positivi sono stati sottoposti ad analisi di sequenza, che ha rilevato la presenza di: 5 genotipi GII specificamente GII.406b (n°3 campioni), GII.Karachi (n°2), GII.6 (n°1), GII.7 (n°1) e GII.1W (n°1); un unico genotipo GI, GI.4 (n°9); 5 ceppi GIV.1 (fig. 2). Figura 2. Dendogramma dei ceppi di Sapovirus sequenziati in questo studio (indicati da *). DISCUSSIONE In questo lavoro campioni di liquami raccolti prima della depurazione, durante il 2009, sono stati analizzati per la ricerca di Norovirus e Sapovirus. I risultati hanno evidenziato l’ampia circolazione di questi virus e la loro elevata variabilità genetica. Molti ceppi di NoV identificati sono stati associati anche all’insorgenza di epidemie di GE sempre su territorio italiano. Fanno eccezione i ceppi GIV.1 che, sebbene identificati in diversi campioni, non sono mai stati accertati in pazienti e sono in genere poco frequenti nell’uomo. Questa diversa distribuzione ambiente-uomo può far pensare che alcuni ceppi, per quanto poco infettivi, abbiano una più elevata resistenza nell’ambiente, nel quale vengono facilmente rilevati. Va considerato che, in aggiunta a virus associati a GE, nei liquami si riversano anche virus rilasciati da soggetti asintomatici. In questo lavoro vengono identificati per la prima volta ceppi di Sapovirus umani, ad oggi mai descritti in bambini affetti da GE in Italia. L’unico ceppo identificato, di genotipo GI.2, è stato recentemente associato all’insorgenza di epidemie di GE in adulti in diversi paesi Europei. Questo suggerisce che il SaV GI.2 possa rappresentare un ceppo emergente dotato di maggiore virulenza. Figura 1 Distribuzione mensile di Norovirus nei liquami, durante l’anno 2009 (sinistra,) e dei genogruppi GI e GII. REFERENZE 1. Patel MM, Hall AJ, Vinjé J, Parashar UD. (2009). Noroviruses: a comprehensive review. J Clin Virol. 2009 Jan;44(1):1-8. 2. Hansman, G.S., H. Saito, C. Shibata, S. Ishizuka, M. Oseto, T. Oka, and N. Takeda. (2007). Outbreak of gastroenteritis due to sapovirus. J. Clin. Microbio. 45:13471349. Figura 2. Dendogramma dei ceppi di Norovirus sequenziati in questo studio (indicati da ♦) e dei ceppi umani presenti in GenBank (Numero di Accesso). Trentanove campioni di liquami sono stati analizzati mediante RT-PCR per la ricerca di Sapovirus, e 15 sono risultati positivi per la presenza di genoma virale (15/39, 38.5%). La distribuzione annuale ha evidenziato che i ceppi circolano in maniera omogenea durante tutto l’anno, con una lieve flessione nei mesi di ottobre e novembre 2009. Per 10 campioni è stato possibile effettuare la sequenza nucleotidica, che è stata confrontata con altri ceppi disponibili nella banca dati NCBI. I risultati hanno confermato la presenza del solo genotipo di Sapovirus umano GI.2. Tutti i ceppi identificati presentavano un’omologia di sequenza del 99-100% (fig. 3). 3. Hansman GS, Katayama K, Maneekarn N, Peerakome S, Khamrin P, Tonusin S, Okitsu S,Nishio O, Takeda N, Ushijima H. (2004). Genetic diversity of norovirus and sapovirus in hospitalized infants with sporadic cases of acute gastroenteritis in Chiang Mai, Thailand. J Clin Microbiol. 42(3):1305-7. 4. Kojima S, Kageyama T, Fukushi S, Hoshino FB, ShinoharaM, Uchida K, Natori K, Takeda N, KatayamaK. (2002). Genogroup-specific PCR primers for detection of Norwalk-like viruses. J Virol Methods, 100:107–114. 31 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 L’ESAME ISTOLOGICO PER IL CONTROLLO DELL’USO ILLEGALE DEL 17β ESTRADIOLO NELLA SPECIE OVINA. Puleio R.¹, Giambruno P.², Giardina G.², Tamburello A.¹, Usticano A.¹, Pezzolato M.³, Bozzetta E.³, Loria G.R.¹ 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, ² AUSL 6 Palermo-Dipartimento di prevenzione Veterinaria, ³ Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta Key words: 17β estradiol, immunohistochemistry, sheep SUMMARY Aim of the study was to establish a new integrated diagnostic approach in order to develop screening tools against illegal hormonal treatments in small ruminants livestock production. We carried out an histological study, reliable in terms of accuracy and efficacy, in order to set up a screening test to detect oestrogen related lesions. In our study we characterized the histological modification induced in target organs by 17β estradiol in 4 months aged lambs and compared them with that described in cattle. degli animali impiegati per fini sperimentali o altri scopi scientifici, recepita in Italia nel D.Lgs n° 116 del 27 gennaio 1992. 54 agnelli sono stati allevati insieme per 60 giorni, sino all’età di 110 giorni, quindi sono stati divisi in due gruppi omogenei per sesso (maschi), peso vivo e accrescimento medio giornaliero relativamente all’ultimo mese. Ciascun gruppo, costituito da 27 animali, è stato stabulato in un box munito di mangiatoie, rastrelliere per il fieno ed abbeveratoio. E’ stato adottato il fotoperiodo naturale. Dopo 60 giorni di stabulazione, gli agnelli del gruppo sperimentale (T), sono stati trattati con 17β estradiolovalerato per via intramuscolare, somministrando, con cadenza settimanale, n. 4 dosi di 0,5 ml di soluzione oleosa di Estradiol depot® in ragione di 5mg/settimana; agli agnelli del gruppo controllo(C) è stata inoculata una soluzione placebo. A fine prova, gli agnelli sono stati pesati, tenuti a digiuno e trasportati al macello, dove sono stati prelevati gli organi bersaglio: porzione disseminata della prostata e ghiandole bulbo-uretrali. Tutti gli organi sono stati fissati in formalina tamponata al 10%. Dopo processazione (passaggi in serie crescenti e decrescenti di alcool), veniva effettuata l’inclusione in paraffina, taglio e colorazione in Ematossilina-Eosina. Immunoistochimica(IHC). L’Immunoistochimica ha previsto l’allestimento di vetrini polilisinati, sottoposti a reidratazione, attraverso passaggi in scala alcolica decrescente, blocco delle perossidasi endogene, eseguita ricoprendo le sezioni con una soluzione di perossido d’idrogeno al 3% in metanolo, smascheramento antigenico effettuato con forno a microonde (due cicli a 750W per 5 minuti), in tampone citrato pH 6. Gli anticorpi (AB) primari utilizzati, sono stati: citocheratina 5/6 (Dako®, clone D5/16 B4, monoclonale di topo, cod. M7237), recettore del progesterone (PR) (Sigma®, monoclonale di topo, cod. P 3367). La diluizione utilizzata è stata di 1:100 per la citocheratina 5 e di 1:250 per PR. L’AB primario è stato incubato a temperatura di 4°C per l’intera notte. Come controllo negativo è stato utilizzata una sezione in cui l’uso dell’AB primario veniva sostituito con PBS. Le prove immunoistochimiche sono state eseguite mediante il metodo avidina-biotina-perossidasi (LSAB Dako®), utilizzando come cromogeno la DAB (diaminobenzidina tetraidrocloruro) (De Maria 2009, Groot 2007). INTRODUZIONE L’attuale quadro normativo comunitario e nazionale vieta l’utilizzo di sostanze anabolizzanti nel settore zootecnico (D.lgs 336/99 recepimento direttiva 96/22/CE del 26 aprile 1996) demandando ai Servizi di Sanità Pubblica Veterinaria il controllo ufficiale sulla presenza di residui indesiderati negli animali allevati e nelle loro produzioni. In particolare, relativamente al 17β estradiolo, la Direttiva 2008/97 CE ribadisce il divieto totale dell’utilizzo della molecola negli animali in produzione. Il controllo ufficiale per l’individuazione dei residui di sostanze utilizzate a scopo anabolizzante si basa su indagini chimiche quali - quantitative. Tale approccio non risulta però in grado di individuare sostanze a rapida metabolizzazione o sostanze utilizzate a bassa concentrazione, rendendo poco efficace il sistema attuale dei controlli di laboratorio. Si rende quindi necessario lo sviluppo di nuove metodiche atte ad individuare gli effetti di tali molecole. In quest’ambito, si pone il metodo istologico in grado di rilevare le alterazioni tissutali indotte dalle molecole a livello degli organi target. (ghiandole sessuali accessorie, timo). Dal 2008 l’esame istopatologico è stato inserito nel PNR nazionale, al fine di individuare gli stabilimenti bovini sospetti per trattamenti illeciti e indirizzare in quest’ambito il controllo ufficiale. Nessun controllo è, invece, previsto dal PNR per quanto riguarda gli ovini destinati al consumo, anche se in Italia la richiesta supera l’offerta interna e si assiste all’importazione di agnelli ed agnelloni da paesi terzi, soprattutto dell’Est Europa (Romania, Ungheria, Slovenia), che vengono importati vivi per subire un processo di finissaggio prima della macellazione. A salvaguardia del consumatore, sarebbe opportuno controllare queste carni, per escludere la presenza di residui di sostanze nocive; ma ad oggi mancano i dati di riferimento necessari per dare validità ad un test di screening basato sul metodo istologico, in analogia con quanto si effettua per i bovini. Il presente lavoro, riporta i risultati ottenuti tramite uno studio “in vivo”, utile ad individuare e caratterizzare le modificazioni istologiche indotte in organi bersaglio (prostata, ghiandole bulbo-uretrali) dopo trattamento con estrogeni nella specie ovina. Lo studio fornirà gli standard di controllo per futuri piani di sorveglianza da applicare in questa specie. RISULTATI e DISCUSSIONE Negli animali di controllo, trattati con il placebo, non si sono osservate modificazioni istologiche della prostata (Tab. 1), anche se in alcuni casi si evidenziava una modica iperplasia dell’uretra (fig. 2). A carico delle ghiandole bulbo-uretrali non si sono osservati evidenti scostamenti dalla normale organizzazione istologica. Nel caso dei soggetti trattati con 17β estradiolo, si evidenziava una evidente metaplasia squamosa dell’uretra, con aumento marcato del numero degli strati dell’epitelio di rivestimento(fig.1). La prostata mostrava anch’essa segni di metaplasia sia a carico dei dotti che della porzione ghiandolare, associata a fenomeni di ipersecrezione che culminavano con la formazione di dilatazioni cistiche(fig.7). Le ghiandole bulbo-uretrali mostravano segni evidenti di ipersecrezione, con numerose dilatazioni cistiche e metaplasia squamosa soprattutto a carico dei dotti (fig. 5-6). MATERIALI E METODI La sperimentazione è stata condotta presso un’azienda nel Comune di Giardinello (PA). Gli animali sono stati impiegati in accordo con la Direttiva 86/609/CEE riguardante la protezione 32 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tab. 1 specificità rispetto ad un altro anticorpo denominato RCK 103 (che identifica le citocheratine 5/14), precedentemente utilizzato a questo scopo. Questi risultati preliminari, indicano che il trattamento con estrogeni induce lesioni patognomoniche e permanenti, anche nella razza ovina. Pertanto, il metodo istologico, già adottato nel PNR per la specie bovina, può essere proposto quale strumento di sorveglianza nella specie ovina, previa valutazione in termini di accuratezza, al fine di certificare l’assenza di trattamenti illegali con estrogeni, in un tipo di allevamento che ancora oggi può essere considerato, per vocazione storicamente pastorale, tradizionalmente “biologico”. L’immunoistochimica per citocheratine 5/6 (specifico per identificare gli strati basali degli epiteli) ha messo in risalto che la metaplasia degli epiteli dell’uretra e dei dotti, sia della prostata che delle ghiandole bulbo-uretrali, negli animali trattati, è dovuta alla proliferazione delle cellule basali. Nei controlli, la positività per citocheratine 5-6 era localizzata soltanto allo strato basale dell’epitelio di rivestimento (fig.3-4-8). L’IHC per il recettore del progesterone dimostra una iperespressione rispetto ai controlli, sia a carico del citoplasma che del nucleo, delle cellule epiteliali dell’uretra e della prostata. Fig. 5 Ghiandola bulbo-uretrale Fig. 6 Ghiandola bulbo-uretrale (T) E-E 10x (T) E-E 5x Fig.7 Prostata (T) E-E 2.5x Fig. 1 Uretra trattati E-E 5x Fig. 2 Uretra controlli E-E 5x Fig. 8 IHC Cito 5-6 Prostata (T) E-E 20x RINGRAZIAMENTI Ricerca effettuata con contributo della Ricerca finalizzata Ministeriale (RF-IZP-2006-364645) Fig.3 IHC Cito 5-6 trattati E-E 10x BIBLIOGRAFIA 1)Biolatti B., Cabassi E., Rosmini R., Groot M.J., Castagnaro M. et al. - Lo screening istologico nella prevenzione dell’uso di anabolizzanti nel bovino. Large Animal Review (2003); 2: 9-15. 2)De Maria R, Divari S, Goria M, Bollo E, Cannizzo FT, Olivero M, Barbarino G, Biolatti B. 17beta-oestradiolinduced gene expression in cattle prostate: biomarkers to detect illegal use of growth promoters. 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In particolare nelle ghiandole bulbo-uretrali, l’aspetto mucinoso della ghiandola viene modificato dalla presenza di un maggior numero di dotti, che si evidenziano ancor di più per l’ispessimento della parete duttale e per la metaplasia cui vanno incontro. L’IHC per ricerca di citocheratine 5-6 ha evidenziato la proliferazione delle cellule basali sia nell’uretra che nei dotti della prostata e delle ghiandole bulbo-uretrali. Di recente alcuni autori (Groot 2007) hanno evidenziato come la citocheratina 5/6 abbia una maggior 33 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE DEL RUOLO VETTORIALE DI Musca domestica NEL PROCESSO DI DISPERSIONE DI Bacillus anthracis NELL’AMBIENTE Scasciamacchia S.(1), Garofolo G.(1), Raele D.A. (1) , Adone R.(2), Fasanella A. (1) (1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata, S.C. Biotecnologie e Vaccini - Via Manfredonia, 20 – 71100 Foggia; (2) Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare – Roma Key words: Bacillus anthracis, Musca domestica, insetto-vettore Introduzione Il carbonchio ematico o antrace è una malattia infettiva diffusa in tutto il mondo, conosciuta fin dall’antichità e ancora oggi presente, con carattere di sporadicità, in vaste aree del nostro pianeta. L’agente eziologico, il Bacillus anthracis, è un batterio Gram positivo, capsulato, aerobio-micoraerofilo, immobile e sporigeno. Il ciclo riproduttivo di B. anthracis e lo sviluppo di nuove forme vegetative è strettamente ospite-dipendente, mentre la sopravvivenza ambientale è garantita dalla forma di resistenza del microrganismo, la spora (1). In Italia la malattia è presente in forma endemica, generalmente di origine tellurica, colpisce prevalentemente gli animali erbivori al pascolo, che si infettano ingerendo foraggio contaminato da spore (4). La scelta di monitorare il ruolo di Musca domestica nel processo di dispersione ambientale di B. anthracis è scaturita dall’ analisi epidemiologica retrospettiva e dalle osservazioni empiriche rilevate durante l’epidemia di carbonchio ematico del 2004 nel Parco Naturale del Pollino, in Basilicata (1,2). In tale episodio, furono coinvolti un elevato numero animali sia domestici che selvatici, in un’area geografica circoscritta, e fu coinvolto un elevato numero di animali (2). L’inusuale evoluzione del focolaio in forma epidemica, ha indotto a considerare fra i fattori di rischio, il ruolo cruciale espletato dagli insetti necrofagi ed ematofagi (2). Le carcasse infette furono rinvenute diversi giorni dopo la morte; ciò significa che per un imprecisato periodo di tempo, la popolazione di mosche ebbe la possibilità di permanere a contatto con la fonte d’infezione. L’obiettivo del presente lavoro è quello di valutare il ruolo di M. domestica quale potenziale vettore meccanico dell’antrace e verificare la possibile correlazione fra la densità di popolazione di mosche e l’andamento epidemiologico di un focolaio di antrace. rappresentata da un medium liquido composto da 8 ml di sangue di coniglio defibrinato contente circa 8×108 spore di B. anthracis A0843. Analisi microbiologiche sugli spots di mosca Ad intervalli di 2 ore si è proceduto al trasferimento degli insetti in una nuova piastra di Petri. Tutti gli spot eliminati sono stati raccolti con 10 ml di soluzione fisiologica sterile, sono state allestite diluizioni seriali in base 10 e seminate su terreno semiselettivo agar TSMP (Triomethoprim, Sulfamethoxazole, Polymixine), con 5% di globuli rossi di montone. Dopo 48 ore d’incubazione in aerobiosi a 37°C, sono state identificate morfologicamente le colonie di B. anthracis, e per la conferma eziologica è stato realizzato il saggio di PCR(4). Saggio di immunofluorescenza per la ricerca delle forme vegetative di Bacillus anthracis Al fine di verificare l’ipotesi che B. anthracis possa replicare nel contenuto intestinale di ditteri che si siano alimentati su una fonte infetta, 20 esemplari di M. domestica sono stati infettati con sangue di coniglio defibrinato, contaminato da una sospensione di spore antrace (1.2 ×106/ml) per due ore. Il sangue preriscaldato a 56°C per 30 minuti è stato sostituito ogni 30 minuti per evitare la germinazione delle spore. Al termine dell’esperimento le mosche sono state sacrificate ed il contenuto intestinale è stato rimosso asetticamente e sottoposto al saggio di immunofluorescenza diretta con anticorpo monoclonale F26G3 (diretto contro la capsula del B. anthracis), che ne rileva pertanto esclusivamente le forme vegetative (7). Replicazione delle spore di antrace nel contenuto enterico di mosche alimentate su differenti substrata Quattro gruppi di 30 mosche ciascuno, sono stati alimentati per sei ore su differenti substrati: sangue defibrinato di coniglio (gruppo A), soluzione glucosata al 10% (gruppo B), latte (gruppo C), mangime (gruppo D). Al termine dell’alimentazione tutti i ditteri di ciascun gruppo, sono stati sacrificati e i contenuti enterici sono stati prelevati asetticamente, disciolti in soluzione fisiologica, filtrati e seminati, come medium colturale, con 50 spore. Ad intervalli di 2 ore, 100 µl di ciascun medium è stato seminato su terreno TSMP agar ed la crescita di B.anthracis è stata monitorata per 12 ore. Analisi Statistiche I dati ottenuti sono stati elaborati mediante il test Kruskal-Wallis, con cut off pari a 0.05. Materiali e Metodi Allevamento delle mosche L’allevamento di insetti di specie M. domestica è stato allestito in una gabbia, in condizioni monitorate di temperatura (25ºC) e umidità relativa (65%) con fotoperiodo costante ed alimentazione ad libitum. Infezione alimentare delle mosche su carcassa di coniglio infetta da antrace Una gabbia con circa 3000 individui adulti di terza generazione è stata trasferita in un laboratorio BL3. Le mosche sono state mantenute a digiuno per 12h prima dell’infezione. Un coniglio White New Zealand, specific pathogen free, è stato infettato per via sottocutanea con ceppo virulento di B. anthracis A0843 (Cluster A1.a, genotipo 3)(3). Il soggetto è deceduto nell’arco di 72 ore e la carcassa, dopo l’asportazione del pacchetto intestinale e del fegato, è stata lasciata a temperatura ambiente per 36 ore, e poi introdotta nella gabbia per l’infezione alimentare delle mosche. Infine ad intervalli di due ore, si è proceduto alla cattura di 4 gruppi di insetti di circa 200 individui ciascuno, chiamati A, B, C e D: gruppo A dopo 2 ore, gruppo B, C e D rispettivamente dopo 4, 6 e 8 ore. I gruppi sono stati trasferiti in piastre di Petri. Infezione alimentare delle mosche su sangue contaminato da antrace In questo esperimento la fonte di infezione alimentare era Risultati Ricerca di B.anthracis negli spots di mosche infette La dinamica di eliminazione di B. anthracis da parte di M. domestica in tutti i gruppi esaminati e nei due esperimenti condotti con differenti fonti di infezione, evidenzia un andamento simile senza differenze statisticamente significative (Figura 1). È possibile rilevare la presenza di cellule di antrace negli spots, a partire da 2 h dopo il contatto con la fonte d’infezione. La maggiore eliminazione avviene fra le 8 e le 12 h, con un picco massimo alla 10a ora (in cui in media vengono eliminate 35.000 spore/ mosca). Successivamente, si assiste ad un graduale decremento numerico di spore negli spots (termine dell’eliminazione a 24h). In media una singola mosca può eliminare 74.000-133.000 spore, nell’arco delle 24 ore successive al pasto infetto. 34 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 contribuiscono ad aumentarne la potenzialità vettoriale. I risultati di questo studio dimostrano che la quantità di spore eliminata dalle mosche non è influenzata dal tempo di permanenza con la fonte di infezione. Risulta invece cruciale nelle epidemie di antrace, il tempo di esposizione, ovvero il periodo in cui la carcassa permane nell’ambiente e la popolazione di insetti è esposta alla contaminazione. Inoltre il test di immunofluorescenza diretta ha dimostrato che le spore di antrace, all’interno del tratto digerente di M. domestica possono germinare e replicare. Infine i risultati del presente studio suggeriscono che il sangue presente nell’alimento delle mosche, rende il contenuto enterico dei ditteri un pabulum ottimale per la crescita di B.anthracis. Questo lavoro dimostra che gli insetti, ed in particolare M. domestica sono in grado di disperdere il B. anthracis nell’ambiente. Sebbene il ruolo epidemiologico degli insetti nell’epidemia del 2004 in Basilicata risulti ancora incerto, i dati ottenuti suggeriscono che nei focolai di carbonchio ematico è necessario mettere in atto misure di lotta agli insetti vettori. Il controllo delle mosche deve essere considerato una parte integrante nei programmi di contenimento delle epidemie di antrace, in concomitanza alla tempestiva rimozione delle carcasse degli animali infetti. Figura 1: numero di UFC/ml di B.anthracis negli spots di mosca Presenza delle forme vegetative di B.anthracis nel contenuto enterico di mosca Al test di immunofluorescenza diretta, in 7 campioni su 20 è stata evidenziata la presenza di forme vegetative. Replicazione delle spore di antrace nell’intestino di mosca Il contenuto enterico di mosche alimentatesi su sangue defibrinato influenza positivamente la replicazione delle spore di antrace, se paragonato agli altri substrati alimentari (Figura 2). I batteri sono stati rilevati dopo 8 h di incubazione, e si registra un picco di crescita esponenziale tra la 10° e 12° ora (1.2-1.8 × 105 UFC/ml). Al contrario il contenuto enterico di mosche alimentatesi sugli altri substrati, presenta un grado di replicazione batterica decisamente più limitato. Bibliografia 1. Dragon DC, Rennie RP (1995) The ecology of anthrax spores: tough but not invincible. Can Vet J 36: 295–301. 2. Fasanella A, Garofolo G, Galante D, Quaranta V, Palazzo L, et al. 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Krishna Rao NS, Mohiyudeen S (1958) Tabanus flies as transmitters of anthrax: a field experience. Indian Vet J 35: 348–353. 9. Turel MJ, Knudson GB (1987) Mechanical transmission of Bacillus anthracis by stable flies (Stomoxys calcitrans) and mosquitoes (Aedes aegypti and Aedes taeniorhynchus). Infect Immun 55: 1859–61. SUMMARY In this study, specimens of Musca domestica were infected by feeding on anthrax-infected rabbit carcass or anthrax contaminated blood, and the presence of anthrax spores in their spots was microbiologically monitored. It was also evaluated if the anthrax spores were able to germinate and replicate in the gut content of insects. The results confirmed the role of insects in spreading anthrax infection, that cannot be neglected, given the huge size of fly populations often associated with anthrax epidemics. Fly control should be considered as part of anthrax control programs. Figura 2: numero di UFC/ml di B.anthracis coltivato in 4 differenti media Discussione Durante un focolaio epidemico di antrace molti fattori sono implicati nella propagazione dell’infezione. La principale fonte di immissione delle spore di antrace nell’ambiente è rappresentata dalle carcasse degli animali infetti, mentre della dispersione sono responsabili vettori inanimati (come l’acqua di dilavamento pluviale) ed animati (carnivori saprofagi, animali selvatici, uccelli, insetti) (6). Infatti i processi putrefattivi nella carcassa neutralizzano le forme vegetative di B. anthracis in 48-72h, pertanto carnivori saprofagi e predatori (sia mammiferi che uccelli), smembrando le carcasse infette, contribuiscono al processo di sporulazione e alla contaminazione ambientale (1). Il ruolo epidemiologico degli insetti nel processo di dispersione delle spore di antrace nell’ambiente, durante le epidemie di carbonchio ematico, è stato dimostrato in numerosi studi scientifici (8,9). Molte specie di ditteri sono stati valutati come potenziali agenti di trasmissione meccanica della patologia. In particolare M. domestica, per le sue caratteristiche biologiche ed abitudini alimentari, è in grado di trasmettere microrganismi patogeni quali colera, shigellosi e salmonellosi e risulta il candidato vettore ideale nella trasmissione di antrace (5). Le strutture anatomiche dell’esoscheletro, rendono particolarmente facile ed efficiente il trasporto di spore e microorganismi e, una digestione caratterizzata da frequenti rigurgiti nonché la deposizione di feci sui siti di alimentazione, Finanziamento: Fondi ricerca corrente 2008 Collaborazione tecnica: Angela Aceti, Massimiliano Francia, Nicola Nigro 35 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 TULAREMIA IN LEPRI DI IMPORTAZIONE: NUOVI ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI Fabbi M., Prati P., Vicari N. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardie dell’ Emilia Romagna, Sezione Diagnostica di Pavia, Centro di Referenza Nazionale per la Tularemia Parole chiave: Tularemia, lepre, zoonosi interessi economici che sottostanno al suo allevamento ed alla importazione. Summary Tularemia is a zoonosis caused by Francisella tularensis. It mainly occurs naturally in lagomorphs and rodents. In the autoctonous hares the disease is characterized by fever, depression, septicaemia and quickly death. On post-mortem examination spleen is usually enlarged and multiple greyshwhite foci of necrosis on liver, kidney, spleen and lung are present. On the contrary, in tularemic hares imported from Est-Europe chronic lesions like abscesses in kidney and in the lung we have observed. Titer in agglutination test of these animals ranged from 1:80 to 1:640. Normativa Secondo il Decreto MinSan 7/12/2000 e succ. mod. le lepri importate devono essere sottoposte alla visita clinica veterinaria a destino: le carcasse delle lepri rinvenute morte o gli animali con sintomi sospetti di Tularemia o EBHS vengono inoltrati agli IIZZSS di competenza. In caso di positività microbiologica per Tularemia tutta la partita viene distrutta e le 5 partite provenienti dallo stesso Paese successive alla positività vengono testate sierologicamente e sottoposte ad accertamenti microbiologici di conferma. Introduzione La Tularemia è una zoonosi insidiosa, talora non a tutti nota; è stata descritta per la prima volta nel 1911 da McCoy, nella contea di Tulare (California) nel corso di una epidemia similpestosa nello scoiattolo californiano (Citellus beecheyi). La prima segnalazione in Italia della malattia risale al 1964 a Pavia ad opera di Rinaldi e coll. (5) che la segnalarono in una lepre trovata morta nell’Oltrepò pavese. L’agente responsabile, Francisella tularensis, è un piccolo coccobacillo gram negativo, intracellulare facoltativo, immobile, non sporigeno, provvisto di capsula e classificabile tra i cosiddetti microrganismi ”fastidious”. E’ tra i più piccoli batteri conosciuti (0,2 x 0,2 - 0,7 µm) e probabilmente tra i più altamente infettanti sia per gli animali che per l’uomo. In natura è piuttosto resistente e persiste per diverse settimane nel fango, acqua e carcasse animali in decomposizione. Del microrganismo sono noti diversi biotipi ma quelli di maggior interesse sono due: F. tularensis subsp. tularensis (tipo A), altamente virulento e presente in Nord America e F. tularensis subsp. holarctica o palaearctica (tipo B), raramente fatale per l’uomo, altamente virulento per roditori e lagomorfi e presente in Usa, Asia ed Europa, Italia compresa (2). Materiali e metodi Tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 nell’ambito delle importazioni di lepri vive da ripopolamento alcune partite di animali sono state oggetto di accertamenti diagnostici per Tularemia sia come controllo ufficiale sierologico o batteriologico sia come controllo diagnostico in autocontrollo a carico dell’importatore. Sono state testate due partite di lepri provenienti dalla Romania, una dalla Slovacchia e una dall’Ungheria. Nella prima partita Romena e da quella Ungherese sono stati analizzati due soggetti trovati morti sull’automezzo di trasporto. Nel secondo conferimento dalla Romania, essendo successivo ad una partita positiva è stato eseguito prima lo screening sierologico seguito l’indagine microbiologica e biomolecolare; Nella partita Slovacca l’esame sierologico richiesto dall’importatore in autocontrollo ha preceduto ulteriori approfondimenti per Tularemia dai positivi. Risultati All’esame autoptico, tutti i soggetti, sia quelli morti naturalmente che quelli soppressi a seguito di positività sierologica non hanno evidenziato le lesioni tipiche della malattia in forma acuta setticemica, ma lesioni a carattere cronico con ascessi cutanei, polmonari, epatici e renali e in un caso pielonefrite. La splenomegalia e la cachessia erano sempre presenti Dallo esame sierologico effettuato sulle 169 lepri appartenenti alla seconda importazione dalla Romania si è riscontrato l’ 11.83% di positività mentre sulla partita slovacca il 3.12% L’esame microbiologico e le prove di PCR eseguite dagli organi con lesioni hanno confermato la presenza di Francisella tularensis subsp. holarctica (tipo B). Epidemiologia La Tularemia è presente nell’emisfero Nord del mondo. La si ritrova in Nord-America, Asia ed Europa (soprattutto centro orientale ma è presente anche in Francia, Spagna e Scandinavia). In Italia è presente in forma sporadica o enzootica limitata nel tempo e nello spazio (EmiliaRomagna, Lombardia, Toscana, Liguria, Umbria). Tre importanti epidemie nell’uomo si sono succedute a partire dagli anni ottanta: due in Toscana e una in Liguria con circa 600 casi complessivi di malattia generati dalla ingestione di acqua contaminata(1, 3, 4). La malattia nel mondo animale non è sempre facilmente rilevabile manifestandosi quasi esclusivamente in roditori e lagomorfi nell’ambiente selvatico. Negli animali l’infezione è nota in almeno 145 specie di vertebrati e 111 di invertebrati ma in natura, la tularemia è tipicamente una malattia di roditori e lagomorfi nei quali si manifesta con quadri di setticemia letale a rapido decorso. La lepre, oltre ad essere tra le specie più sensibili all’infezione, è anche quella che, in caso di mortalità, viene più frequentemente conferita ai laboratori diagnostici per gli Conclusioni e discussione La libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità Europea, la grande diffusione della Tularemia nell’ambiente selvatico dei Paesi dell’Est Europa, la progressiva resistenza acquisita dei lagomorfi e l’adattamento del batterio all’ospite, pongono oggi il grosso problema dell’individuazione dei soggetti cronicamente infetti. Alla luce dell’evoluzione clinica della malattia nell’Est Europa, i controlli che vengono eseguiti potrebbero non essere più sufficienti ad individuare le lepri 36 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 infette e eliminatrici di Francisella tularensis nell’ambiente. In base a queste osservazioni la normativa attuale non pare in grado di garantire completamente l’importazione di lepri indenni da Tularemia. Bibliografia 1. Fabbi M., D. Messeri, N. Vicari, L.Marino Merlo, M. TaliniG. Perelli W.Wanderlingh. An outbreak of tularaemia in Tuscany, central Italy, linked to a natural spring water. 6th Iinternational Conference on Tularemia 2009. Tularemia network september 13 - 16, 2009 Berlin, Germany. 37 2. Foley JE, Nieto NC. 2010. Microbiol.;140(3-4):332-8. Review Tularemia.Vet 3. Greco D. et al. 1987. A waterborne tularemia outbreak. Eur. J. Epidemiol. 3: 35-38 4. Mignani E. et al. 1988. Italian epidemic of waterborne tularaemia. Lancet 2 (8625): 1423 5. Rinaldi A. et al. 1964. Descrizione di un focolaio di tularemia in Italia (nota preliminare). Sel. Vet. 5: 353. XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CASI di YERSINIOSI da Yersinia pseudotuberculosis IN ANIMALI SELVATICI E DOMESTICI IN ITALIA CENTRALE Magistrali C.F., Carfora V., Farneti S., Mangili, P., Neri, C., Dionisi A.M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia Istituto, Superiore di Sanità, Roma Key words: Y. pseudotuberculosis, animal, yersiniosis Introduzione Yersinia pseudotuberculosis è principalmente un patogeno per gli animali, ma è riconosciuto anche come raro agente di yersiniosi nell’uomo, dove causa infezioni sporadiche che si manifestano con dolori addominali, febbre e diarrea. Infatti, in base ad un recente report dell’EFSA, nel 2008 si sono registrati 1,8/100.000 casi di yersiniosi nell’uomo, dei quali l’1,8% attribuibili a Y. pseudotuberculosis (4). Quasi tutte le specie animali domestiche e selvatiche sono recettive all’infezione fungendo da reservoir, ed in molte di esse Y. pseudotuberculosis può causare malattia. Le caratteristiche epidemiologiche di questa infezione sono tuttavia ancora in larga parte sconosciute. Scopo di questo lavoro è stato caratterizzare da un punto di vista molecolare i ceppi di Y. pseudotuberculosis isolati da diverse specie animali affette da yersiniosi verificatesi in Italia centrale nel corso degli ultimi 3 anni, per evidenziare eventuali correlazioni genetiche tra stipiti provenienti da specie e contesti territoriali differenti. La caratterizzazione biochimica degli isolati è avvenuta mediante sistema Api (Biomerieux), tramite gallerie RAPID ID32 E e APIRAPID 20E. Tutti gli isolati sono stati processati con una multiplex PCR per l’ identificazione di specie e per evidenziare l’eventuale presenza del fattore di patogenicità inv. La prima finalità si realizza attraverso l’uso di primers specifici per una regione del gene ompF, codificante per una proteina transmembrana chiamata “porina”; al fine di valutare l’eventuale patogenicità dei ceppi isolati si ricerca una sequenza specifica del gene a localizzazione cromosomica inv, che codifica per una proteina di 92 kDa denominata “invasina”. Tale metodica è stata eseguita utilizzando i primers riportati in bibliografia (1;2), secondo il protocollo descritto in tabella 2. Tab. 2- Miscela di reazione e condizioni di amplificazione Mix di reazione (50 µl) Amplificazione Buffer 1x 1 ciclo 1,5 mM MgCl2 95°C x 5’ 200 µM dNTPs F227Mod 0,2 µM 95°C x 30” YPS2R 0,2 µM 30 cicli 55°C x 1’ INV F 0,2 µM 65°Cx 30” INV R 0,2 µM 1 ciclo Taq 1U 68°C x 15’ DNA 2 µl (20-100 ng) Materiali e metodi Diciassette isolati di Y. pseudotuberculosis sono stati impiegati nel corso di questo lavoro. Gli isolati, relativi al triennio 2007-2010, e provenienti dal centro Italia (Umbria, Marche e Lazio) appartenevano a casi di pseudotubercolosi nella lepre, da casi di yersiniosi nel gatto, nel canarino, nella minilepre (Sylvilagus floridanus), da casi di aborto nella specie ovina, e infine da feci di cinghiali nell’ambito di un piano di monitoraggio regionale (Tab.1). Per quanto ci è stato possibile osservare, le lesioni erano diffuse sul parenchima epatico, splenico, polmonare, renale e sull’appendice ciecale nei leporidi (lepre e minilepre), mentre risultavano confinate esclusivamente a livello epatico nel gatto e sul piccolo intestino nel canarino. Medesime lesioni macroscopiche sono state riscontrate sui polmoni di due feti ovini abortiti. Nei cinghiali non è stato possibile apprezzare lesioni antomo-patologiche, nonostante il germe sia stato isolato dalle feci. Gli amplificati sono stati analizzati su gel di agarosio al 2%, contenente bromuro di etidio alla concentrazione finale di 0,5 µg/ ml in TBE 1.0X (Biorad) e visualizzati con sotto luce UV. PFGE: i batteri cresciuti in TSA sono stati risospesi in TE portati ad una D.O. di 1,6 (λ 600 nm) quindi sono stati aggiunti 2,5 mg/ ml.di lisozima (20.000U/mg, USB Corporation) i blocchetti sono stati preparati miscelando la sospensione batterica con un ugual volume di una soluzione contenente agarosio SeaKem Gold 1,2% (Lonza), SDS 1% (Applichem), 0,2 mg/ml di proteinasi K (Invitrogen). ed incubati a 54°C per un’ora nel buffer di lisi (50mM Tris-HCl pH 8.0, 50mM EDTA pH 8.0, 1% Sarkosyl) contenente 0,1 mg/ml di proteinasi,K, lavati 2 volte con acqua MilliQ e 2 volte con TE per 10 minuti. Un terzo di ciascun blocchetto è stato digerito con 10U di NotI (Biolabs) a 37°C o.n.; l’elettroforesi è stata eseguita utilizzando un sistema CHEF-DRIII (BIO-RAD Hercules,CA) alle seguenti condizioni: 6V/cm, angolo di 120°, switch time di 8-23 secondi a 14°C per 20 ore Come riferimento per l’analisi dei profili di restrizione è stato utilizzato un marker con frammenti nel range 50-1000Kb ProMega Lambda (Promega). Il gel è stato colorato con bromuro di etidio e fotografato sotto luce UV. La cluster analysis è stata eseguita con il software BioNumerics (v. 4.61, Applied Math, Sint-Martens-Latem, Belgio). I valori di similarità sono stati calcolati con il coefficiente di Dice mentre l’algoritmo UPMGA (unweighted pair group method with arithmetic means), con 1.00% di tolleranza e 1.00% di ottimizzazione, è stato impiegato per ottenere il dendrogramma. I profili di DNA che differivano per una o più bande sono stati considerati profili distinti, tuttavia ceppi con un coefficiente di similarità >90% sono stati considerati strettamente correlati dal punto di vista genetico. Tabella 1: anno di isolamento, specie e i provenienza degli isolati ID R2533 R2532 R1852 R1621 R2163 R1926 A2536 R1598 R1599 R2550 R2534 R2590 R2070 R1848 R2535 61934/B 51163 Anno 2009 2009 2007 2007 2008 2007 2009 2007 2007 2009 2009 2010 2008 2007 2009 2009 2009 Specie ovino ovino minilepre lepre lepre lepre lepre lepre lepre canarino lepre lepre lepre gatto lepre cinghiale cinghiale Provenienza Latina Latina Perugia Perugia Bastia Umbra Bevagna Perugia Castiglione del lago Todi Ancona Todi Todi Todi Perugia Todi Perugia Orvieto 38 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Risultati L’analisi in PCR ha confermato l’appartenenza alla specie Y.pseudotuberculosis e la presenza del fattore inv. Questa proteina di membrana, presente solo negli stipiti patogeni di Y. pseudotuberculosis, si lega alle β1 integrine, espresse sulla superficie delle cellule M che rivestono le placche del Peyer . Il legame tra la proteina ed il recettore cellulare promuove l’ingresso e la colonizzazione del germe il quale, per via linfo -ematogena, può raggiungere i vari distretti dell’organismo. L’analisi mediante PFGE ha evidenziato la presenza di due coppie di stipiti con percentuali di omologia ≥95%: di questi, due erano stati isolati nell’ambito di uno stesso focolaio di pseudotubercolosi nella lepre (R2534 e R2535), mentre i ceppi R1599 e R2532 erano stati isolati in specie (lepre e ovino) e contesti territoriali diversi (Umbria e Lazio). Analizzando invece gli isolati con percentuali di omologia superiori al 85%, è possibile descrivere un gruppo formato da tre isolati da lepri nella zona tuderte e un isolato da minilepre di Montepetriolo (R2534, R2535, R2070 e R1852); un gruppo formato da due isolati da tonsille di cinghiale (58163 e 61394/B), e infine, un terzo raggruppamento con stipiti isolati da aborto ovino, da canarino e da lepre (R1599, 2532, 2550), provenienti rispettivamente da Umbria, Lazio e Marche. nell’ambiente selvatico appare di particolare interesse in una situazione epidemiologica caratterizzata da aumentati contatti tra popolazioni selvatiche e domestiche, grazie sia all’aumento della fauna selvatica, sia all’aumentata diffusione di allevamenti outdoor. Per quanto riguarda Y. pseudotuberculosis, inoltre, questa esigenza è rafforzata dalle potenzialità zoonotiche di questo batterio. Abstract Seventeen isolates of Y. pseudotuberculosis, from cases of yersiniosis in wild and domestic animals and from faeces of asymptomatic wild boars, were used in this study. The cases occurred in a three year time (2007-2010), in hare, sheep, eastern cottontail, canary, cat in Central Italy (Umbria, Marche and Lazio regions). PFGE was carried out on the isolates, confirmed as inv - positive by PCR, and a dendrogram was constructed. Isolates with high genetic similarity were shown in cases occurred in different areas, species and years. Riferimenti Bibilografici 1) Isberg R.R., Voorhis D.L., Falkow S. 1987. Identification of invasion: a protein that allows enteric bacteria to penetrate cultured mammalian cells. Cell. 50, 769-778 Discussione Il lavoro descrive casi di yersiniosi da Y.pseudotuberculosis nel corso dell’ultimo triennio: nonostante questa patologia sia considerata un evento poco frequente, è stato possibile osservare casi anche in specie in cui è scarsamente segnalata, come il gatto, la pecora e il canarino. Inoltre, nel corso di questa indagine alcuni isolati provenienti da specie e da contesti territoriali diversi hanno mostrato elevate percentuali di omologia. Questo riscontro trova ragione nelle caratteristiche epidemiologiche di Y. pseudotuberculosis. Infatti, alcune delle specie animali da cui sono stati effettuati gli isolamenti oggetto del presente lavoro sono caratterizzate da notevole mobilità sul territorio. Inoltre, le popolazioni di animali selvatiche sono considerate un importante reservoir di questo batterio: ad esempio, i suini allevati outdoor mostrano percentuali d’infezione superiori a quelli allevati intensivamente (5). In effetti, molti dei casi descritti si riferivano ad animali allevati all’aperto, quali lepre od ovino, o ad animali selvatici, quali cinghiali o minilepre. Anche il caso di yersiniosi nel gatto si è verificato in una colonia ubicata in un contesto extra-urbano. Questo può giustificare la presenza di stipiti con elevate percentuali di omologia in specie differenti.Il monitoraggio e lo studio dei patogeni con reservoir 2) Stenkova A.M., Isaeva M. P. and Rasskavoz V. A. (2008). Development of a multiplex PCR procedure for detection of Yersinia genus with identification of pathogenic species (Y. pestis, Y. pseudotuberculosis, and Y. enterocolitica). Molecular Genetics, Microbiology and Virology, 23, 119-125. 3) Thoerner P., Bin Kingombe C.I., Bögli- Stuber K., BissigChoisat B.,Wassenaar T.M., Frey J., Jemmi T. 2003. PCR detection of virulence genes in Yersinia enterocolitica and Yersinia pseudotuberculosis and investigation of virulence gene distribution. Applied and Environmental Microbiology 69, 1810-1816 4) The Community Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and food-borne outbreaks in the European Union in 2008, The EFSA Journal (2010), 149 5) Laukannen R., Ortiz-Martinez P., Siekkinen K.M., Ranta J., Korkeala H. 2008 Transinission of Yersinia eneterocolitica in the pig production chian from farm to the slaughterhouse. Applied and Environmental Microbiology 74, 2484-2486. 39 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Q FEVER IN THE NETHERLANDS HJ Roest, DVM Project leader ‘Q fever in goats’ Central Veterinary Institute of Wageningen UR Lelystad, The Netherlands [email protected] INTRODUCTION Q fever is a zoonosis caused by Coxiella burnetii. This is a Gram negative intracellular bacterium which is prevalent throughout the world, with the exception of New Zealand. Domestic animals are considered to be the main reservoir for Q fever in humans, although many other animal species can be infected with C. burnetii. Transmission from the animal source to humans is mainly accomplished through inhalation of contaminated aerosols. The main symptom of Q fever in goats and sheep is abortion. The main symptoms in cattle are reduced fertility and metritis, but abortion can also occur. Other animal species show no symptoms when infected. In humans, infection with C. burnetii remains asymptomatic in up to 60% of infected persons. After infection acute Q fever causes flulike symptoms with fever, atypical pneumonia or hepatitis. In approximately 1 to 5% of the Q fever cases infection may progress into a chronic infection, often leading to endocarditis. Due to its zoonotic nature and low infectious dose, C. burnetii is a Bio Safety Level 3 organism and should be handled under appropriate laboratory conditions (2000/54/EU). RESPONSE TO THE Q FEVER OUTBREAK IN THE NETHERLANDS The first response to the continued Q fever outbreak was mandatory notification of abortion rates over 5% in dairy goat and dairy sheep farms. This passive surveillance showed the hot spots of massive excretion of C. burnetii. In 2008, seven dairy goat farms and one dairy sheep farm were notified, and in 2009 six dairy goat farms. Additional measures were executed, such as how to handle manure, visitor bans, vermin control and the active removal of placentas from the stables, to prevent the transmission of C. burnetii from the animal source to humans. To prevent shedding of C. burnetii in dairy goats and dairy sheep, a voluntary vaccination program was started in a specified area in 2008. The vaccine of choice was the commercially available phase I vaccine. Because this vaccine was not registered in the Netherlands, the Dutch Ministry of Agriculture granted exemption. In 2009, the vaccination area was extended and the vaccination was made mandatory, but due to a lack of vaccine not all dairy goats and dairy sheep could be vaccinated in time, before breeding. In 2009, an active surveillance system was introduced via bulk tank milk testing to find all possible risk farms for human Q fever. As a result, the number of positive farms increased to about 90. In 2009, the total number of human cases rose to 2355 and the government wanted to take all possible measures to stop the increase of human cases in 2010, resulting in the culling of all pregnant goats and sheep on Q fever-positive farms and a breeding ban for non-pregnant goats. HISTORY OF Q FEVER IN THE NETHERLANDS The first three cases of human Q fever in the Netherlands were reported in 1956, although it is not clear if these cases were indigenous. Q fever became notifiable in 1975 and in the succeeding years it became clear that Q fever was present in the Netherlands mainly as an occupational disease. Between 1975 and 2006 on average 16 human cases were reported each year. Studies in domestic animals in the eighties showed Q fever was also present in cattle, sheep and goats, as well as in dogs and cats. CURRENT Q FEVER SITUATION IN THE NETHERLANDS To date, 357 human Q fever cases were registered in 2010 and no peak could be observed like in the previous years. This is a significant decrease compared to 2009. Ninetythree dairy goat and dairy sheep farms are positive in the bulk tank milk sample. ONSET OF THE OUTBREAK OF Q FEVER IN THE NETHERLANDS Abortions due to Q fever were reported in dairy goats for the first time in 2005. In this year, two abortion storms were reported. In 2006, six abortion storms in dairy goat herds and one in a dairy sheep herd were reported. All the dairy goat herds with abortions were located in the southern part of the Netherlands. In 2007, another seven dairy goat herds suffered abortions due to Q fever. In this year, the first human outbreak of Q fever in the Netherlands was reported, too, with in total 168 human cases. This outbreak was situated in the area with abortion storms due to Q fever in dairy goat herds. The abortion problems in dairy goats were considered to be the cause of the human Q fever due to the geographical overlap of cases, succession in time of the Q fever symptoms and the lack of other epidemiological sources. The 2007 outbreak of human Q fever was at that time considered to be a single event, like outbreaks in other countries, but in 2008 the outbreak continued with in total 1000 human cases. The start of the increase of human cases in 2008 triggered measures to prevent shedding of C. burnetii in dairy goats and dairy sheep and to prevent transmission to humans. WHAT COULD BE THE CAUSE OF THE DUTCH Q FEVER OUTBREAK? Dairy goats and dairy sheep are considered to be the source of the human outbreak on the basis of epidemiological investigations. This is confirmed by a small study on the genotypes of C. burnetii present in dairy goats and humans. Transmission from dairy goats and dairy sheep to humans could have been facilitated by the warm weather in the springs of 2007, 2008 and 2009. In addition, no other sources could be identified to date. But why did C. burnetii cause abortion storms in the dairy goat population? Till 2005, Q fever in dairy goats was not diagnosed nor were abortion storms seen. So what happened? One of the explanations is the strong increase of the dairy goat population. After the introduction of the milk quotation system for dairy cattle, the dairy goat industry in the Netherlands expanded. After the outbreaks of Classical Swine Fever in 1997 and Foot and Mouth Disease in 2001, the dairy goat population has doubled in the past ten years from nearly 100.000 in 2000 to over 230.000 in 2009. Most of these goats 40 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 were held in the southern part of the Netherlands and in this population C. burnetii could be spread. Another additional explanation could be the emergence of a more virulent strain of C. burnetii that could easily spread in the dairy goat population, but also infect humans. Research on the virulence of the strain is ongoing. Hopefully, future research will give the answer to why the Dutch Q fever outbreak started. 4. 5. SOME RESULTS OF ONGOING RESEARCH A lot of research has been initiated in the human field, the veterinary field and in collaboration. For example Q fever strains were isolated for the first time in the Netherlands. Till 2009 there were no culture facilities nor experience available. In collaboration with the Bundeswehr Institute for Microbiology, a culture method of C. burnetii was implemented at the Central Veterinary Institute of Wageningen UR. Culture is performed in a BSL 3 facility on Buffalo Green Monkey cells. Isolation from placenta material is relatively easy to perform. Strains are now used for goat experiments on the pathogenesis of C. burnetii in goats and sequence and resistance studies are planned. Epidemiological investigations showed that living within two kilometres from a goat farm was associated with a higher risk of Q fever compared to living more than five kilometres from a farm. Genotyping of C. burnetii in clinical samples from goats revealed that one genotype is predominantly present in all dairy goats farms in the south of the country. The C. burnetii with this genotype is expected to be transmitted to humans, but no robust data from humans are available yet. 6. 7. 8. 9. CONCLUSION Q fever problems surprised the Netherlands despite its presence in the years before. A close collaboration between the human field and the veterinary field on the level of researchers as well as on the level of policy makers was needed to battle the disease. To date, it is not clear why Q fever became a problem and hopefully, future research will give that answer. 1. 2. 3. 10. 11. REFERENCES Angelakis E, Raoult D. Q Fever. Vet Microbiol. 2010 Jan 27;140(3-4):297-309. Arricau-Bouvery N, Rodolakis A. Is Q fever an emerging or re-emerging zoonosis? Vet Res. 2005 MayJun;36(3):327-49. Arricau-Bouvery N, Souriau A, Bodier C, Dufour P, 41 Rousset E, Rodolakis A. Effect of vaccination with phase I and phase II Coxiella burnetii vaccines in pregnant goats. Vaccine. 2005 Aug 15;23(35):4392-402. Karagiannis I, Schimmer B, Van Lier A, Timen A, Schneeberger P, Van Rotterdam B, et al. Investigation of a Q fever outbreak in a rural area of The Netherlands. Epidemiol Infect. 2009 Sep;137(9):1283-94. Klaassen CH, Nabuurs-Franssen MH, Tilburg JJ, Hamans MA, Horrevorts AM. Multigenotype Q fever outbreak, the Netherlands. Emerging infectious diseases. 2009 Apr;15(4):613-4. Raoult D, Marrie TJ, Mege JL. Natural history and pathophysiology of Q fever. Lancet Infect Dis. 2005 Apr;5(4):219-26. Roest HIJ, Tilburg JJHC, Van der Hoek W, Vellema P, Van Zijderveld FG, Klaassen CH, et al. The Q fever epidemic in the Netherlands: history, onset, response and reflection. Epidemiology and Infection. 2010; Accepted. Roest HIJ, Ruuls RC, Buijs R, Spierenburg M, Vellema P, Dercksen D, et al. Geografical distribution of MLVA types of Coxiella burnetii isolates from goats in the Netherlands. Medical Corps International Forum. [abstract]. 2009;4(supplement to MCIF 4/2009):13. Schimmer B, Ter Schegget R, Wegdam M, Zuchner L, de Bruin A, Schneeberger PM, et al. The use of a geographic information system to identify a dairy goat farm as the most likely source of an urban Q-fever outbreak. BMC infectious diseases. 2010;10:69. Sidi-Boumedine, K1., Rousset, E1., Henning, K2., Ziller, M2., Niemczuck, K3., Roest, H. I. J4. and Thiéry R. Scientific report. Development of harmonised schemes for the monitoring and reporting of Q fever in animals in the European Union. 2010. http://www.efsa.europa.eu/ en/scdocs/doc/48e.pdf Simon More, Jan Arend Stegeman, Joerg Hartung, Annie Rodolakis, Hendrik-Jan Roest, Piet Vellema Richard Thiery, Heinrich Neubauer, Wim van der Hoek, Howard Needham, Katharina Staerk, Bart Goossens, Jane Richardson, Ana Afonso,Milen Georgiev. Scientific opinion on Q fever, EFSA panel on Animal Health and Welfare, European Food Safety Authority (EFSA) http:// www.efsa.europa.eu/en/scdocs/doc/1595.pdf XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 IMPLICAZIONI ZOONOSICHE CORRELATE ALLA CIRCOLAZIONE DI Coxiella burnetii NEGLI ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE IN ALCUNE AREE DEL NORD ITALIA Prati P, Vicari N1, Boldini M1, Decastelli3L, Magnino S1, Faccini S1, Andreoli G1, Nativi D2. Fabbi M.1 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento di Patologia Animale. Igiene e Sanità pubblica,Università di Milano 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Parole chiave: Coxiella burnetii, bovino da latte, zoonosi Summary Q fever, a zoonosis caused by Coxiella burnetii, is endemic throughout the world and its primary reservoir are cattle, sheep, goats and ticks. Infection is usually subclinical in these animals even if the bacteria is excreted mainly by milk, fetuses and placenta of infected animals, feces and urine. Humans are infected mainly by inhalation of contaminated aerosols or by ingestion of milk or fresh dairy products. The resuts of an investigation in reproductive disorder and the prevalence of Coxxiella burnetii in row milk are reported. Risultati Coxiella burnetii è stata dimostrata nel 5% dei casi in fenomeni di aborto ed infertilità nel bovino, nel 9,5% negli ovicaprini. L’11% dei campioni legati a forme respiratorie atipiche del bovino è risultato positivodato da valutare con cautela in quanto il numero dei campioni non appare sufficientemente significativo trattandosi di una casistica limitata a 35 campioni. Per quanto attiene ai risultati sul latte questi mostrano valori di prevalenza di Coxiella burnetii intorno al 40% a seconda delle province considerate (1,6). Lo stesso dato emerge dalla regione Piemonte per il latte crudo campionato in fase di distribuzione (4). Introduzione Coxiella burnetii è l’agente eziologico della Febbre Q, una zoonosi batterica descritta per la prima volta come causa di infezione nel personale dei macelli in Australia negli anni ’30 (5) e in seguito riconosciuta in molti Paesi, tra cui l’Italia, dove le prime segnalazioni risalgono al 1944-45 (2). La Febbre Q è salita prepotentemente alla ribalta internazionale a seguito della recentissima epidemia occorsa in Olanda tra il 2007 e il 2009, anni in cui si sono registrati migliaia di casi di malattia nell’uomo e parallelamente una grande diffusione dell’infezione tra diversi allevamenti caprini di quel Paese. Anche in Italia sono stati segnalati, anche abbastanza recentemente, alcuni casi di malattia nell’uomo sia a carattere epidemico che sporadico verificatisi in seguito a contatto sia diretto sia indiretto con ruminanti infetti (pecore e bovini) o loro prodotti (7,10). Diversi Autori hanno dimostrato nel nostro Paese la presenza e l’importanza dell’infezione in diverse specie di ruminanti (3,8). Di rilievo altresì l’associazione di questa infezione anche all’aborto nel bufalo in Campania (9). E’ noto che gli animali infetti possono eliminare C. burnetii nell’ambiente tramite diversi escreti quali feci, urine, secreto vaginale, liquido amniotico e secreti quali latte e colostro e recentemente è stata riportata anche l’escrezione di Coxiella burnetii in corso di mastite bovina in forma subclinica. Anche se la via alimentare attraverso il latte e i suoi derivati è ritenuta di scarso rilievo epidemiologico, alcuni dati di prevalenza sulla presenza di Coxiella burnetii nel latte crudo pone interrogativi di sanità pubblica alla luce anche del diffondersi sia del consumo diretto di latte crudo non trattato termicamente sia della produzione di formaggi pure con latte crudo non pasteurizzato. Conclusioni e Discussione Alla luce di questi risultati, oltre al ruolo patogeno noto per gli ovi–caprini, rimane da indagare meglio il ruolo patogeno del batterio nei bovini ed in particolare nei riguardi dell’uomo; a fronte infatti di una prevalenza così elevata nei nostri allevamenti non sembra corrispondere una altrettanta patogenicità nell’uomo o per lo meno con sintomatologia clinica rilevabile. Anche se sono segnalati casi di Febbre Q nell’uomo collegati alla frequentazione e al contatto con allevamenti bovini, e noi stessi abbiamo potuto seguirne alcuni, ulteriori studi sulla possibile differente virulenza tra ceppi di Coxiella burnetii provenienti da diverse specie di ruminanti, così come ipotizzato per la recente epidemia in Olanda, potrebbero fornire ulteriori chiarimenti in merito. Bibliografia 1. Bertasi, et.al. (2008). Presenza di coxiella burnetii e mycobacterium paratuberculosis nel latte crudo: monitoraggio mediante tecniche di biologia molecolare. Atti X Congresso Nazionale S.I.D.I.L.V. Alghero, p.103-104 2. Caporale G., Mirri A., Rosati T. (1953) La Febbre “Q” quale zoonosi. Atti Soc Ital Sci Vet, 7: 13-96. 3. Capuano et. al., (2004). Coxiella burnetii:quale realtà? Parassitologia, 46:131-134. 4. Decastelli L. (2010). IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta. Comunicazione Personale. Dati non pubblicati 5. Derrick E.H. (1937) “Q” fever, new fever entity: clinical features, diagnosis and laboratory investigation. Med J Aust, 2: 281–299 6. Magnino S, Vicari N., Boldini M, Rosignoli C, A. Nigrelli, G. Andreoli, M. Pajoro, M. Fabbi. (2009) “Rilevamento di Coxiella burnetii nel latte di massa di alcune aziende bovine lombarde” Large Animal Review 2009; 15: 3 -6. 7. Manfedi Selvaggi, et.al.. Investigation of a Q fever outbreak in Northern Italy. Eur.J.Epidemiol. (1996). 12: 403-408 8. Masala G., et. al., (2004). Occurrence, distribution, and role in abortion of Coxiella burnetii in sheep and goats in Sardinia, Italy Vet. Microbiol. 99: 301-305 9. Perugini, et.al. , (2009).Detection of Coxiella burnetii in buffaloes aborted fetuses by IS111 DNA amplification: a preliminary report. Research in Veterinary Science 87 (2009) 189–191. 10. Starnini, et.al.. (2005). An outbreak of Q fever in a prison in Italy. Epidemiol. Infect. 113. 377-380 Materiali e metodi Negli ultimi anni presso alcuni laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna è stata intensificata la sorveglianza verso l’infezione da Coxiella burnetii nei ruminanti ed in particolare nel bovino anche per la maggior vocazione territoriale all’allevamento di questa specie rispetto ad altre aree del centro-sud Italia nelle quali è maggiormente diffuso l’allevamento ovi-caprino. In particolare è stata condotta una indagine sul latte di massa con tecnica PCR per valutare la diffusione di Coxiella burnetii negli allevamenti di alcune province della Lombardia (Pavia, Cremona, Mantova, Lodi) Inoltre l’esame diretto ed indiretto verso Coxiella burnetii è stato inserito di routine nelle indagini legate a problemi riproduttivi dei ruminanti (bovini,ovini e caprini) quali aborto ed infertilità.Una anologa indagine è stata condotta condotta in Piemonte sul latte crudo alla distribuzione e campionato presso i distributori automatici a disposizione dei cittadini (4). 42 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CONFRONTO FRA KIT ELISA PER LA DIAGNOSI DI FEBBRE Q BOVINA Natale A.1, Bucci G.1, Capello K.2, Del Sesto M.1, Mion M.1, Nardelli S.1 1 Struttura complessa 5 Sanità e Benessere Animale, Laboratorio di Diagnostica Virologica e sierologica, 2 Staff Direzione Sanitaria; Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) Key words: Febbre Q, ELISA, bovino SUMMARY In order to verify the performances of three ELISA kits for Q fever serological diagnosis, 210 bovine sera with known value were tested. Furthermore, 258 samples coming from an epidemic outbreak were analysed in order to check the concordance in field conditions among the three ELISA kits and between each ELISA kit and the complement fixation test. Performances of ELISA kits were summarised in terms of Sensitivity, Specificity and ROC analysis. All kits show good performances, even if in field conditions a cut-off revision may be needed for the kit 1. fase I e II, proveniente da ceppo Nine Mile; la prova prevede l’esito dubbio. - ID-VET (kit 2) basato su antigene adsorbito in fase I e II, isolato da placenta di bovino. La prova prevede l’esito dubbio e la suddivisione dei positivi in due classi (positivo/ infezione acuta). - LSI (kit 3) basato su antigene adsorbito in fase I e II, isolato da ovino. Il kit prevede la classificazione dei positivi in 4 classi (da + a ++++) e non prevede l’esito dubbio. I kit ELISA, tutti di tipo indiretto, sono stati utilizzati secondo le soglie e le istruzioni previste dai produttori. I campioni dubbi, quando previsti dal kit, sono stati considerati insieme ai positivi. Fissazione del complemento (FDC) E’ stata utilizzata la tecnica manuale prevista dal Manuale OIE (2) basata su un antigene commerciale (Siemens Healthcare Diagnostics), composto da una miscela dei ceppi Nine Mile ed Henzerling in fase II. Il valore di cut-off è stato fissato al titolo di 1:10. Analisi statistica Le performance dei test ELISA sono state valutate in termini di Se, Sp, e di area sottesa alla curva ROC (AUC). L’analisi ROC (Receiver-Operating Characteristic) è stata inoltre utilizzata per valutare il cut-off migliore dei test ELISA e le variazioni di Se e Sp in funzione del cut-off. La concordanza tra i kit presi a coppie e tra ogni kit e la FDC (quest’ultima comparazione è stata fatta solo per i sieri di campo) è stata quantificata attraverso il kappa di Cohen. L’analisi delle discordanze fra i kit nell’attribuzione dell’esito è stata fatta tramite il test di McNemar. Il test Q di Cochran è stato utilizzato per la valutazione simultanea dei tre kit. La significatività statistica è stata valutata considerando come soglia un p-value pari a 0.05. INTRODUZIONE I test sierologici ELISA rappresentano un utile strumento di supporto alla diagnosi di Febbre Q, ed il loro utilizzo è stato di recente raccomandato anche a livello internazionale (1), in particolare per quanto riguarda i kit con antigeni isolati da ruminanti. Pur non essendo definita come Gold standard, la Fissazione del Complemento (FDC) è citata dal Manuale OIE (2), è considerata storicamente il test di referenza (3) e da alcuni paesi viene considerata il test sierologico ufficiale per il controllo dei tori riproduttori (es. Argentina, Nuova Zelanda); tuttavia i tempi e le difficoltà di esecuzione la rendono uno strumento poco adatto a screening di massa. Storicamente la tecnica di FDC è considerata una prova ad alta specificità (Se) ma bassa sensibilità (Sp) (2, 4, 5, 6, 7). Di recente è stata criticata per avere Se e Sp molto variabili, in particolare nella specie caprina (8, 9). Il presente lavoro ha lo scopo di valutare, per la specie bovina, le prestazioni di 3 kit commerciali ELISA. Sono stati utilizzati 210 sieri bovini in precedenza classificati come positivi e negativi, e 258 sieri provenienti da un focolaio di malattia. RISULTATI La valutazione delle performance dei 3 kit su campioni noti è espressa nella tab 1: MATERIALI E METODI Selezione dei campioni Tutti i sieri sono stati stoccati a -20°C fino al momento dell’utilizzo. - Selezione dei sieri ad esito noto: Al fine di poter validare i kit ELISA, sono stati collezionati 210 sieri, classificati come positivi (n=61, 29%) e negativi (n=149) secondo i criteri di seguito riportati. Positivo: siero proveniente da bovina con sierologia positiva in FDC e che inoltre soddisfa una delle seguenti condizioni: diagnosi di aborto da febbre Q su feto o placenta mediante Real time PCR (rtPCR) (n=1); positività su campione di latte individuale in rtPCR (n=5); positività su campione di latte di massa in rtPCR (n=12); almeno due positività in FDC nel gruppo (n=43). Negativo: siero di bovina proveniente da un gruppo di animali risultato completamente negativo alla FDC e con latte di massa negativo in rtPCR. - Selezione sieri di campo: Al fine di verificare le prestazioni dei kit in una situazione di campo, sono stati stoccati 258 campioni di siero provenienti da un focolaio di malattia, precedentemente analizzati con FDC, e sono stati confrontati i risultati dei 3 kit ELISA. Alla FDC erano state registrate 19 positività a titoli variabili da 1:10 a 1:640. Tra i positivi, 16 campioni avevano titoli inferiori a 1:80. Kit ELISA: Sono stati testati i seguenti kit ELISA commerciali: - IDEXX Chekit Q Fever (kit 1) basato su antigene adsorbito in Tab. 1 – performance dei 3 kit ELISA testati su campioni ad esito noto (cut-off indicati dal fornitore) L’applicazione del test di McNemar e del test di Cochran non ha evidenziato alcuna differenza significativa fra i kit; gli stessi risultati sono confermati anche da soddisfacenti livelli di concordanza, riportati in tab. 2. Tab. 2 – concordanza tra kit ELISA, a coppie, su campioni ad esito noto (cut-off indicati dal fornitore) 43 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Per quanto riguarda l’analisi delle curve ROC, per il kit 1 il cut-off di 0,34 (valore attualmente collocato nella fascia dei dubbi) invece dell’attuale valore 0,3 permetterebbe di discriminare perfettamente le popolazioni di positivi/negativi; per il kit 2 il cut-off di 0,27 (attualmente 0,4) permetterebbe di classificare correttamente il 99% dei campioni; per il kit 3 il cut-off ideale corrisponde a quello assegnato dal produttore, cioè 0,4, permettendo di classificare correttamente il 99% dei campioni. Ne caso di campioni di campo provenienti da un focolaio di malattia, è stata valutata la concordanza tra kit ELISA presi a coppie ed inoltre si è valutato anche il confronto con la FDC (Tab. 3),. si rivelano molto inferiori. Tutti i campioni positivi in FDC sono confermati dai tre kit ELISA, indicando una buona specificità della FDC anche a titoli bassi. La nota carenza di sensibilità della prova (2), tuttavia, non permette di utilizzarla come test discriminatorio in caso di negatività. Analizzando nel dettaglio i casi discordanti tra i vari kit ELISA, si evidenzia che buona parte di essi sono da attribuirsi al solo kit 1 con valori S/P ≤ 0,51, cioè di poco al di sopra della soglia del dubbio. Eliminando dall’analisi i casi con valori di S/P del kit 1 compresi fra 0,30 e 0,51, tutti i valori di concordanza (k) aumentano in modo sensibile. Questi risultati per la specie bovina sono in disaccordo con quanto rilevato da altri autori in studi sui piccoli ruminanti (1), dove si segnala un deficit di sensibilità del kit 1 a causa dell’antigene utilizzato, derivato dal ceppo Nine Mile, anziché da ceppi isolati da ruminante. Il kit 1 risulta anzi il più sensibile, probabilmente a scapito della specificità. Quest’ultima supposizione sembra confermata dal considerevole numero di campioni discordanti per il kit 1, con valori di S/P vicini alla classificazione di dubbio, rispetto agli altri due kit, così come osservato anche per due dei campioni discordanti tra quelli ad esito noto. A seguito dei risultati ottenuti e al fine di verificare più precisamente le prestazioni dei kit in condizioni di campo e soprattutto in assenza di Gold Standard, lo studio verrà ulteriormente approfondito anche avvalendosi dell’approccio bayesiano come metodologia di analisi. Inoltre verrà posta particolare attenzione al kit 1 in modo tale individuare i cut-off ottimali di utilizzo nella routine diagnostica. Tab. 3 – concordanza tra prove, prese a coppie, su campioni prelevati in un focolaio di malattia Rispetto ai dati precedentemente elaborati su campioni ad esito noto, aumentano le discordanze fra i kit. Pur potendo osservare valori di kappa ancora buoni, il test di McNemar rileva differenze significative in tutti i confronti. Complessivamente i 3 test non risultano sovrapponibili (test di Cochran per confronti multipli p < 0,0001). Tutti i campioni positivi alla FDC sono stati confermati dai 3 kit ELISA, ma a causa della scarsa sensibilità della FDC i valori di kappa risultano scarsi. Analizzando nel dettaglio i casi discordanti fra i 3 kit ELISA (21/258), si evidenzia che buona parte di essi (11/21) sono da attribuirsi al solo kit 1 con valori di S/P entro 0,51, cioè di poco al di sopra della soglia del dubbio. Eliminando i campioni classificati come dubbi dal kit 1, la concordanza tra kit 1 e 3 passa da 0,74 a 0,83. Eliminando dall’analisi i casi con valori di S/P del kit 1 compresi fra 0,30 e 0,51, le concordanze aumentano ulteriormente: kit 1 vs 3: 0,91; kit 1 vs 2: 0,94; kit 2 vs 3: 0,86. BIBLIOGRAFIA 1 Sidi-Boumedine K., Rousset E., Henning K., Ziller M., Niemczuck K., Roest HIJ, Thiéry R. (2010) Development of harmonised schemes for the monitoring and reporting of Q fever in animals in the European Union. Question No EFSA-Q-2009-00511. Accpted for publication on 5 May 2010. 2 Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals Sixth Edition (2008) Chapter 2.1.12. Disponibile online http:// www.oie.int/eng/normes/mmanual/2008/pdf/2.01.12_QFEVER.pdf 3 EFSA Panel on Animal Health and Welfare (2010) Scientific Opinion on Q Fever. EFSA Journal; 8(5):1595. Disponibile online: www.efsa.europa.eu 4 Thiele, comunicazione personale 5 Slabá K, Skultéty L, Toman R. (2005) Efficiency of various serological techniques for diagnosing Coxiella burnetii infection. Acta Virol.; 49(2):123-7. 6 Field PR, Santiago A, Chan SW, Patel DB, Dickeson D, Mitchell JL, Devine PL, Murphy AM (2002) Evaluation of a novel commercial enzyme-linked immunosorbent assay detecting Coxiella burnetii-specific immunoglobulin G for Q fever prevaccination screening and diagnosis. J Clin Microbiol.; 40(9):3526-9. 7 Field PR, Mitchell JL, Santiago A, Dickeson DJ, Chan SW, Ho DW, Murphy AM, Cuzzubbo AJ, Devine PL. (2000) Comparison of a commercial enzyme-linked immunosorbent assay with immunofluorescence and complement fixation tests for detection of Coxiella burnetii (Q fever) immunoglobulin M. J Clin Microbiol.; 38(4):1645-7. 8 Rousset E., Durand B., Berri M., Dufour P., Prigent M., Russo P., Delcroix T., Touratier A., Rodolakis A., Aubert M. (2007) Comparative diagnostic potential of three serological tests for abortive Q fever in goat herds. Veterinary Microbiology, 124:286297. 9 Rousset E., Berri M., Durand B., Dufour P., Prigent M., Delcroix T., Touratier A., Rodolakis A. (2009) Coxiella burnetii shedding routes and antibody response after outbreaks of Q feverinduced abortion in dairy goat herds. Applied and Environmental Microbiology, 75:428-433. DISCUSSIONE I risultati della prova di validazione basata su campioni ad esito noto ha dato ottimi risultati per tutti e tre i kit, non ha rilevato tra loro differenze statisticamente significative e concorda (o differisce in modo lieve) con i cut-off fissati dalle ditte produttrici. L’analisi della concordanza tra i kit presi a coppie è ottima in tutti i casi. Valutando i singoli campioni discordi, il kit 1 risulta il più sensibile ma con un lieve deficit di specificità (un falso reattivo, classificato come dubbio con S/P=0,32); l’analisi della curva ROC corregge, alzandola, la soglia di reattività del kit (S/P=0,34), arrivando alla perfetta discriminazione tra positivi e negativi. Al cut-off indicato dal fornitore, il kit 2 perde quattro positivi, di cui uno concordemente al kit 3. Anche dopo correzione della soglia tramite analisi ROC, il kit 2 permangono due false negatività. Il kit 3 classifica erroneamente un solo campione (falso negativo), pre-classificato come positivo in quanto risultato positivo alla FDC con titolo 1:20 e compreso in un gruppo di animali con numerose positività in FDC a vario titolo. Tale campione è stato classificato erroneamente sia dal kit 3 che dal kit 2, ed è risultato dubbio (S/ P=0,34) per il kit 1. Il basso valore S/P del kit 1 e la totale assenza di reattività dei kit 2 e 3 fa supporre che si possa trattare di un campione in fase di sieroconversione, rilevabile solo con la FDC a causa di differenze strutturali tra i test. Nella seconda parte dello studio, in cui sono stati analizzati campioni di un focolaio di malattia per una verifica in condizioni di campo, le concordanze tra kit ELISA, pur restando accettabili, 44 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CONTEGGIO DI UNITA’ FORMANTI COLONIA DI STAPHILOCOCCUS AUREUS NEL LATTE DI MASSA COME DATO PREDITTIVO DEL LIVELLO D’INFEZIONE INTRA-ALLEVAMENTO Bertocchi L. 1, Bolzoni G. 1, Zanardi G. 1, Nassuato C. 1, Bonometti G.2, Benicchio S. 3, Varisco G.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Produzione Primaria, Brescia 2 Centro Miglioramento Qualità Latte e Carni Bovine – Brescia 3 Veterinario Libero Professionista Key words: latte di massa, Staphilococcus aureus, modello predittivo sono entrati in mungitura, l’utilizzo della medesima macchina mungitrice amplifica la diffusione dell’infezione. L’obiettivo del lavoro è stato quello di verificare un sistema di monitoraggio di S. aureus sul latte di massa, semplice ed economico, in un campione di allevamenti di bovine da latte in provincia di Brescia, che fosse in grado di identificare tempestivamente l’infezione e stimare la sua prevalenza intra-allevamento. In particolare, lo studio epidemiologico è stato condotto per valutare la capacità predittiva del conteggio di colonie di S. aureus su terreno selettivo a partire da campioni di latte di massa, al fine di classificare gli allevamenti infetti secondo differenti intervalli di prevalenza intra-allevamento.Questo approccio diagnostico è in grado di discriminare in maniera sufficientemente affidabile e rapida le aziende problema e di quantificarne la prevalenza ai fini della realizzazione di un piano di controllo ad hoc. E’ altresì importante come strumento di monitoraggio continuo per addivenire ad una diagnosi precoce dell’infezione in allevamenti indenni. Il latte di massa rappresenta una matrice poco costosa e facilmente fruibile dal laboratorio (almeno due prelievi al mese per il pagamento del latte secondo qualità), sulla quale si è deciso di modellare la sperimentazione per offrire un servizio sanitario e zootecnico agli allevatori e per impostare programmi di intervento in azienda e per il miglioramento quali- quantitativo delle produzioni. SUMMARY Aim of this work is to review the predictive model developed in 2005 regarding bulk milk tank (BMT) analysis as a tool for epidemiological surveillance system on herd’s Staphylococcus aureus infection level. The comparison between BMT analysis results and single cow milk (SCM) analysis results was investigated to verify the relationship between BMT S. aureus UFC value and dairy herds infection rate. Statistical analysis shows that within herds the prevalence is 1.98 greater (exp 0.68) every one UFC log unit (p<0.001). Results obtained confirm the significative statistical relationship between UFC, in log, and cows’ infection rate; BMT analysis is a valid tool to evaluate dairy herds infection prevalence. INTRODUZIONE La mastite da Staphilococcus aureus è oggi la principale infezione della ghiandola mammaria. Infatti, essa riduce sensibilmente la produzione di latte e causa un aumento del conteggio delle cellule somatiche, con possibili ricadute sulla salute pubblica dovute alla presenza di ceppi produttori di enterotossine. Nella letteratura scientifica sono pubblicati diversi report che evidenziano una prevalenza d’infezione dal 15 al 40 % tra gli allevamenti e dal 10 al 70% intra-allevamento. Oltre alla intrinseca elevata contagiosità della malattia, un ulteriore fattore che ne favorisce la rapida diffusione è il suo carattere sub-clinico. Per questa ragione, il controllo della diffusione richiede il rispetto di rigorosi parametri igienicosanitari e il costante monitoraggio batteriologico del latte. La rilevazione dell’infezione nelle bovine è effettuata tramite il campionamento sterile dei quartieri mammari mastitici. Questo approccio presenta 2 criticità: la scelta delle bovine da campionare e le metodiche di campionamento. Infatti, il decorso sub-clinico rende difficile l’individuazione corretta dei capi infetti con S. aureus ed è possibile che la presenza contestuale di batteri ambientali ne possa occultare la crescita in piastra, fino ad arrivare ad una falsa negatività nel 2030% dei casi. E’ consigliabile, perciò, monitorare l’eventuale presenza di infezione stafilococcica eseguendo prelievi sterili, mirati su bovine senza patologia clinica rilevabile e con conteggi in cellule somatiche di poco superiori ai limiti di legge tra 300 e 400.000 cellule per ml, rispettivamente previsti per la produzione di latte crudo destinato alla produzione di latte fresco pastorizzato di alta qualità e per le altre trasformazioni. In questi casi, è necessario tenere presente che il campione può risultare falsamente negativo e non utile per una diagnosi precoce (2, 3). D’altronde, considerata l’ubiquità di S. aureus e i fattori predisponenti la sua diffusione in fase di mungitura, non è affatto trascurabile il rischio di introdurre l’infezione in un allevamento indenne. Le cause più frequenti sono l’acquisto di soggetti infetti e il momento del parto di primipare o pluripare infettatesi come manze o in asciutta. Una volta che uno o più soggetti infetti MATERIALI E METODI Nel 2005 è stato effettuato uno studio preliminare per realizzare un modello predittivo basato sull’analisi statistica del conteggio delle UFC di S. aureus isolato con l’esame batteriologico su 31 campioni di latte di massa aziendale correlato con i risultati ottenuti in circa 4.000 campioni di latte di singola bovina (3). L’obiettivo era di verificare la capacità del modello di prevedere in modo affidabile il livello di prevalenza intra-allevamento dell’infezione, utilizzando la matrice latte di massa, idonea per il monitoraggio su larga scala dei piani di controllo/eradicazione. Tuttavia, lo studio preliminare presentava dei limiti relativi alla numerosità dei campioni e alla procedura di prelievo, cronologicamente sfasata tra latte di massa e latte di singole bovine dello stesso allevamento. A questo riguardo, nel corso del 2009 e del primo semestre 2010 si è incrementata la numerosità dei campioni di latte di massa e di singola bovina prelevati contestualmente in aziende della provincia di Brescia. Nel 2009 sono state reclutate 99 aziende di bovine da latte, controllate anche più di una volta, per un totale di 120 prelievi. Considerata la sfasatura temporale tra più prelievi eseguiti nella stessa azienda, il numero totale di prelievi è stato considerato come fosse rappresentativo di differenti aziende e quindi indipendente ai fini dell’analisi statistica. La validazione è stata eseguita nel primo semestre 2010 utilizzando i dati derivanti dal prelievo contestuale di campioni di latte di massa e di singola bovina di altri 53 allevamenti da latte. In totale, tra 2009 e 2010 sono state effettuate 3.462 esami batteriologici per la ricerca di S. aureus e 1.177 determinazioni 45 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 per il conteggio delle cellule somatiche. L’analisi batteriologica è stata eseguita utilizzando terreni di coltura selettivo/differenziali specifici per S. aureus, seminando 0,1 ml di latte su terreno Baird Parker, addizionato di supplemento (50 ml/L) così composto: 47 ml di emulsione sterile al 50% di tuorlo d’uovo e soluzione fisiologica e 3 ml di soluzione acquosa al 3,5% (p/v) di tellurito di potassio, sterile per filtrazione con supplemento liofilizzato di plasma di coniglio e fibrinogeno bovino (RPF). Le colonie non chiaramente identificabili come S. aureus in piastra sono state sottoposte a verifica della reazione positiva alla prova della coagulasi in provetta. Per il conteggio delle cellule somatiche dei campioni è stato utilizzato il metodo indiretto a citometria di flusso mediante apparecchiatura automatica Fossomatic 5000. Ai dati è stato adattato un modello di regressione logistica con variabile dipendente il numero di capi infetti sul totale di soggetti in lattazione e variabili indipendenti le UFC di S. aureus e il conteggio delle cellule somatiche. Le covariate sono state sottoposte a trasformazione logaritmica. Ai fini della validazione esterna del modello si è proceduto a: 1- confrontare i valori stimati con il modello selezionato con i valori di infezione osservati nel set di validazione di dati raccolti nel 2010. Grazie all’esperienza pluritrentennale del Centro Miglioramento Qualità Latte (CMQL) nell’assistenza alle aziende nella lotta contro le mastiti, è stato possibile individuare tre classi di infezione intra-allevamento, 0-9.99%, 10-25%, oltre 25%, utili alla programmazione e gestione degli interventi in azienda entro le quali verificare la capacità predittiva del modello; 2- confrontare i coefficienti stimati con il modello selezionato con i coefficienti stimati tramite un nuovo modello adattato al solo set di validazione (53 aziende). Figura 1. Distribuzione dei valori stimati dal modello e dei valori osservati nel set di validazione Pur rilevando una bontà di adattamento ai dati migliorabile, da valutarsi alla luce dell’acquisizione di nuove informazioni, considerata la semplicità di applicazione e la flessibilità del modello oltre alla economicità e facilità di acquisizione della matrice, si ritiene che il modello selezionato abbia mostrato delle performance che lo rendono utile a livello operativo come sistema di screening su latte di massa per la valutazione del grado d’infezione da S. aureus. La sua applicazione presenterebbe i seguenti vantaggi: RISULTATI E DISCUSSIONE Con la regressione logistica abbiamo evidenziato che le UFC predicono con significatività statistica il livello di infezione aziendale (LR test p<0.01). Il modello ha permesso di calcolare il log odds per allevamento infetto: -4.674 + 0.68 * ln (UFC). Per ottenere il valore di prevalenza è stata utilizzata la seguente formula: Prevalenza = Odds/(1+Odds). Ad esempio, in caso di 20 UFC, il valore stimato di prevalenza, calcolato come exp (-4.674 + 0.68 * 3)/1+( exp (-4.674 + 0.68 * 3), è pari a 0.1435 (14.3%). La prevalenza intra-allevamento è risultata 1.98 più grande (CI 95%:1.90 -2.06) per incremento unitario di UFC espresse in unità logaritmiche. Aggiungendo la variabile cellule somatiche al modello, sebbene si apporti un miglioramento della bontà di adattamento, non si ottengono miglioramenti ai fini della discriminazione degli allevamenti rispetto ai range di infezione individuati. La validazione esterna del modello ha evidenziato una capacità predittiva della prevalenza intra-aziendale accettabile, con una classificazione globale corretta nel range di infezione in circa l’81% dei casi (43/53). La percentuale di errore entro ciascuna classe è risultata la seguente: % Errore 1classe (0 -9,99) = 21,7% % Errore 2classe(10,0 – 25,0) = 20,0% % Errore 3classe(>25)= 15,0% Come si può notare il modello presenta minor precisione nelle prime due classi di infezione (figura 1). I coefficienti stimati attraverso un modello adattato al set di validazione sono risultati pari a: -4.42 (intercetta) e 0.64 a fronte di -4.67(intercetta) e 0.68. Dal confronto si ha conferma della discreta capacità predittiva del modello selezionato. ÷ offrire all’utenza (allevatori, caseifici, etc.) un nuovo servizio diagnostico; ÷ svolgere indagini conoscitive estese con acquisizione di dati a livello di allevamento da latte riguardo alla situazione sanitaria nei confronti dell’infezione da S. aureus e in tempi relativamente rapidi; ÷ programmare gli interventi prioritari a livello territoriale e di allevamento all’interno di un piano di contenimento e/o eradicazione dell’infezione; ÷ monitorare l’andamento dei piani di controllo o di mantenimento dell’eradicazione; ÷ studiare il comportamento predittivo del nuovo modello relativamente ad altri patogeni mammari. BIBLIOGRAFIA 1) Varisco G., Bertocchi L. An intramammary Staphylococcus aureus infection control program in dairy herds of the province of Brescia Congreso Mundial de Buiatria, 28 Jornadas Uruguayas de Buiatria, Punta del Este, Uruguay, 4-8 Diciembre 2000 Proceedings XXI World Buiatrics Congress - p 140 2) Bertocchi L., Varisco G., Bolzoni G., Bravo R., Bonometti G. An intramammary Staphylococcus aureus infection control program in dairy herds of the province of Brescia Mastitis in dairy production: current knowledge and future solutions: proceedings of the 4th IDF International Mastitis Confernece, Maastricht, The Nedtherlands, June 2005/edited M Hogeveen – Wageningen: Wageningen Academic Publishers, 2005 – p 952-953 3) Varisco G, Bertocchi L., Contessi N., Tranquillo M., Bolzoni G. Bulk milk tank Staphilococcus aureus UCF count as predictive datum for bovine herd’s infection level. XXV Jubilee World Buiatrics Congress: July 6-11, 2008, Budapest (Hungary) Hung. Vet. J. – Vol. 130 Suppl 2 (2008) – p 62 46 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RESISTENZA ALLA SCRAPIE CLASSICA IN CAPRE PORTATRICI DELLA MUTAZIONE K222 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA (PRNP) INOCULATE SPERIMENTALMENTE Acutis P.L..1, D’Angelo A. 2, Peletto S. 1, Colussi S.1, Zuccon F. 1, Martucci F. 1, Mazza M. 1, Dell’Atti L. 1,Corona C. 1, Iulini B. 1 , Porcario C. 1, Martinelli N. 3, Casalone C. 1, Maurella C. 1, Lombardi G. 3 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino 2 Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco, Torino 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia Keywords: scrapie, capra, resistenza genetica SUMMARY Aim of this work was to investigate the genetic resistance in K222 goats after experimental transmission of classical scrapie. Five goats carrying the genotype Q/Q at codon 222 and five 222Q/K goats were intra-cerebrally inoculated with classical scrapie. All the 222Q/Q goats died of scrapie, while four out of the five 222Q/K goats are still alive. Statistical analysis showed that 222Q/K goats present a probability of surviving significantly higher than 222Q/Q animals. The results confirm that the K222 mutation gives protection against classical scrapie in goats. organi e tessuti: sistema nervoso centrale (SNC) e periferico, sistema linforeticolare (SLR), milza, apparato gastro-enterico, apparato respiratorio, muscoli, apparato urinario, mammella, cuore. La diagnosi di scrapie è stata effettuata mediante esame istologico, immunoistochimico e Western blot. Con il Western blot è stato inoltre effettuato un confronto tra l’inoculo di partenza e la PrPsc degli animali deceduti, in termini di caratteristiche biochimiche e distribuzione nell’encefalo. La differenza del tempo di sopravvivenza tra i due gruppi è stata confrontata con le stime di sopravvivenza di Kaplan-Meier. INTRODUZIONE La possibilità di controllare la scrapie nei caprini attraverso piani di selezione e abbattimenti selettivi su base genetica, come ormai consolidato nel caso degli ovini, è fortemente auspicabile, soprattutto nei Paesi del bacino mediterraneo, caratterizzati da consistenti popolazioni caprine. Diversi studi condotti in Europa hanno suggerito che alcuni polimorfismi del gene PRNP possono modulare la suscettibilità alla scrapie classica e atipica nella capra. In particolare, in Italia e Francia, studi casocontrollo hanno mostrato un ruolo protettivo dato dalla mutazione presentante lisina al codone 222 (K222) (1,2,3). Il limite di queste indagini è legato al numero esiguo di animali studiati e al fatto che i limiti dei mezzi diagnostici impediscono di valutare se la resistenza genetica consista in un allungamento del periodo di incubazione oppure in una resistenza alla manifestazione clinica della malattia oppure ancora ad una vera resistenza all’infezione. Questo aspetto è meglio valutabile con studi di trasmissione sperimentale, che sono complementari agli studi di campo e forniscono dati indispensabili per prendere decisioni su eventuali nuove strategie di controllo su base genetica. Scopo del presente lavoro è stato quindi valutare la resistenza alla scrapie classica di capre portatrici della mutazione K222, in seguito ad infezione intracerebrale. Obiettivi secondari sono stati la valutazione della manifestazione clinica della malattia nei caprini e la distribuzione della proteina prionica patologica (PrPsc) nei diversi organi e tessuti. RISULTATI Al momento della stesura della presente comunicazione, tutti gli animali con genotipo 222Q/Q sono deceduti per scrapie, con un tempo medio di sopravvivenza di 18.6 mesi (±1.4) mentre quattro delle cinque capre 222Q/K sono ancora vive e senza segni clinici manifesti (periodo di sopravvivenza: 46.7 mesi). Un animale 222Q/K è deceduto dopo 24 mesi dall’inoculo ma è risultato negativo per scrapie all’esame del sistema nervoso centrale e di tutti gli organi e tessuti periferici. L’analisi statistica ha mostrato che gli animali 222Q/K presentano una probabilità di sopravvivenza significativamente più alta degli animali wild type (p<0.001). Le visite cliniche neurologiche hanno evidenziato atassia, tremori, ampliamento della base d’appoggio, prurito e lesioni cutanee, perdita di pelo su collo e dorso. In due animali si sono rilevati sintomi neurologici monolaterali: testa ruotata, strabismo ventro-laterale monolaterale, atassia vestibolare e maneggio (circling). I risultati delle analisi diagnostiche sui diversi organi e tessuti campionati sono riportati nella tabella 1. Tabella 1. Organi e tessuti delle cinque capre wild type decedute per scrapie in cui è stata rilevata la presenza di PrPsc. In parentesi sono riportati il numero di animali sul totale in cui è stata riscontrata positività. MATERIALI E METODI Cinque capre di genotipo Q/Q al codone 222 (wild type) e cinque capre con genotipo 222Q/K sono state inoculate intracerebralmente a cinque mesi di età. L’inoculo è stato preparato mediante omogeneizzazione in soluzione fisiologica sterile di tessuto cerebrale (10% w/v) proveniente da un caprino naturalmente affetto da scrapie classica, di genotipo wild type. Una soluzione antibiotata costituita da penicillina e streptomicina è stata aggiunta all’inoculo e ne è stata testata la sterilità prima dell’utilizzo. Tutti gli animali sono stati stabulati in uno stabulario di classe III e sono stati osservati quotidianamente per la rilevazione della comparsa di segni clinici. Mensilmente è stato condotto un esame clinico neurologico con registrazione della eventuale sintomatologia. Sugli animali deceduti è stato effettuato un esame autoptico e il prelievo di campioni di diversi 47 SNC (5/5) Mucosa rettale (3/5) Sistema olfattorio (3/5) Diaframma (2/5) Tonsilla (5/5) Placche del Peyer (5/5) Lingua (2/5) Cuore (2/5) SLR (5/5) Esofago (2/5) Milza (5/5) Reticolo (3/5) 3^ palpebra (2/5) Omaso (3/5) Muscolo bicipite brachiale (2/5) Ghiandole salivari (1/5) Intestino (4/5) Muscolo tricipite femorale (3/5) Massetere (2/5) Muscoli intercostali (2/5) Nervo ottico (4/5) Rene (1/5) XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 La PrPsc riscontrata negli animali positivi presentava le stesse caratteristiche immunobiochimiche (peso molecolare, glicotipo) dell’inoculo di partenza e simile distribuzione nell’encefalo, con maggiore presenza di PrPsc nel tronco encefalico, nel cervelletto e nei nuclei della base, come illustrato nel grafico 1. In generale la quantità di PrPsc presente negli animali inoculati è risultata superiore a quella presente nell’encefalo della capra con scrapie naturale da cui è stato ricavato l’inoculo. RINGRAZIAMENTI La ricerca è stata svolta grazie ai finanziamenti del Ministero della Salute nell’ambito della Ricerca Corrente 2005: progetto codice IZSPLV 14/05, dal titolo: “Scrapie nella capra: studio della suscettibilità genetica tramite infezione sperimentale e valutazione dei test diagnostici rapidi”. BIBLIOGRAFIA 1. Acutis P. L., Bossers A., Priem J., Riina M. V., Peletto S., Mazza M., Casalone C., Forloni G., Ru G., Caramelli M. (2006) Identification of prion protein gene polymorphisms in goats from Italian scrapie outbreaks. Journal of General Virology, 87: 1029-1033. 2. Vaccari G., Di Bari M.A., Morelli L., Nonno R., Chiappini B., Antonucci G., Marcon S., Esposito E., Fazzi P., Palazzini N., Troiano P., Petrella A., Di Guardo G., Agrimi U. (2006) Identification of an allelic variant of the goat PrP gene associated with resistance to scrapie. Journal of General Virology, 87: 1395-1402. 3. Barillet F., Mariat D., Amigues Y., Faugeras R., Caillat H., MoazamiGourdazi K., Rupp R., Babilliot J.M., Lacroux C., Lugan S., Schelcher F., Chartie C., Corbière F., Andreoletti O., Perrin-Chauvineau C. (2009) Identification of seven haplotypes of the caprine PrP gene at codons 127, 142, 154, 211, 222 and 240 in French Alpine and Saanen breeds and their association with classical scrapie. Journal of General Virology 90: 769-776. 4. Pattison J.H., Millson G.C. (1962) Distribution of the scrapie agent in the tissues of experimentally inoculated goats. Journal of Comparative Pathology 72:233-244 5. Vascellari M, Nonno R, Mutinelli F, Bigolaro M, Di Bari MA, Melchiotti E, Marcon S, D’Agostino C, Vaccari G, Conte M, De Grossi L, Rosone F, Giordani F, Agrimi U. (2007) PrPSc in salivary glands of scrapie-affected sheep. Journal of Virology 81:4872-6. 6. Sharpe A., McElroy M., Bassett H., Sweeney T. (2006) Clinical and pathological features of experimental scrapie in Irish Blackface Mountain sheep Research in Veterinary Science , Volume 80: 71 – 78. 7. Corona C., Porcario C., Martucci F., Iulini B., Manea B., Gallo M., Palmitessa C., Maurella C., Mazza M., Pezzolato M., Acutis P., Casalone C. (2009) Olfactory system involvement in natural scrapie disease. Journal of Virology 83: 3657-3667. 8. Andréoletti O., Simon S., Lacroux C., Morel N., Tabouret G., Chabert A., Lugan S., Corbière F., Ferré P., Foucras G., Laude H., Eychenne F., Grassi J., Schelcher F. (2004) PrPSc accumulation in myocytes from sheep incubating natural scrapie. Nature Medicine 10: 591 – 593.ù 9. Ligios C., Cancedda G.M., Margalith I., Santucciu C., Madau L., Maestrale C., Basagni M., Saba M., Heikenwalder M. (2007) Intraepithelial and interstitial deposition of pathological prion protein in kidneys of scrapie-affected sheep. PLoS One 12: e859. Grafico 1. Distribuzione della PrPsc in diverse aree encefaliche degli animali infettati sperimentalmente e della capra da cui è stato ricavato l’inoculo. In ordinata i valori di densità ottica relativi, ricavati dal confronto con un campione di tronco encefalico di ovino positivo, utilizzato come riferimento e non riportato sul grafico. DISCUSSIONE I risultati ottenuti confermano il ruolo protettivo esercitato dalla mutazione K222 nei confronti della scrapie classica caprina. Sarà necessario attendere la fine dello studio, quando tutti gli animali saranno stati sottoposti a diagnosi post-mortem, per chiarire se questa mutazione conferisca vera resistenza all’infezione oppure uno stato di portatore sano. A tal fine si prevede inoltre di procedere all’inoculo di tessuti delle capre Q/K, se negative, in animali da laboratorio, per escludere la presenza di infettività. Lo studio ha permesso di raccogliere dati interessanti sulla clinica e sulla distribuzione della PrPsc nell’organismo. Degno di attenzione è il riscontro di lateralizzazione di alcuni segni clinici, in quanto trattasi di un pattern che spesso viene preso in considerazione per orientare il sospetto diagnostico su patologie neurologiche diverse dalla scrapie. Altrettanto interessante è il riscontro dell’ampia diffusione della PrPsc negli organi e tessuti, comprendente distretti extraneurali finora mai riscontrati positivi nelle capre, oppure segnalati in casi singoli, ma evidenziati negli ovini (ghiandole salivari, prestomaci, muscoli, volute etmoidali, rene) (4,5,6,7,8,9). La non costante positività della 3^ palpebra e della mucosa rettale presenta implicazioni nell’ottica dell’utilizzo di questi distretti per la diagnosi in vita tramite biopsia. La sovrapponibilità dei profili di distribuzione della PrPsc nell’encefalo dei diversi animali e nella capra utilizzata per ottenere l’inoculo è indicativa di un neurotropismo proprio del ceppo di prione, indipendente dalla via di penetrazione nell’organismo. In conclusione, lo studio rafforza ulteriormente l’ipotesi che la mutazione K222 conferisca resistenza alla scrapie classica nella capra e che possa costituire quindi il target di un piano di selezione genetica da utilizzare per il controllo della scrapie caprina. 48 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ISOLAMENTO DI STAPHYLOCOCCUS PSEUDINTERMEDIUS METICILLINO-RESISTENTE IN CAGNE FATTRICI DI ALLEVAMENTO Corrò M.1 *, Milani C.2, Drigo I.3, Sturaro A.1, Rota A.3 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Diagnostica Clinica Legnaro (PD). Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Legnaro (PD). 3 Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Patologia Animale, Grugliasco (TO). Key words: Staphylococcus pseudintermedius, meticillino-resistenza, cane ABSTRACT Methicillin-resistant coagulase-positive Staphylococci represent an emerging problem in human and veterinary medicine because of both patient factors and public health issues. Many scientific works warn about the risk that excessive and uncontrolled use of antimicrobials in livestock leads to the selection of resistant bacteria strains. In this work we 1) investigated the occurrence of methicillin-resistance and multidrug resistance in Staphylococcus pseudintermedius strains isolated from breeding dogs and 2) compared the frequency of isolation among kennels differing in the use of antimicrobials. Our data confirm the negative effect of antimicrobials overuse. MATERIALI E METODI. Sono stati presi in considerazione 13 allevamenti di cani di razze diverse del nord Italia. Sulla base dei dati anamnestici raccolti, riguardanti l’uso di antibiotici nel peripartum, gli allevamenti sono stati raggruppati in tre categorie: 1) uso sporadico di beta-lattamici: 5 allevamenti; 2) utilizzo di routine di beta-lattamici nel peripartum: 5 allevamenti; 3) elevato e non controllato uso di diversi principi attivi (betalattamici; cefalosporine di II e III generazione; macrolidi) in varie fasi del ciclo riproduttivo: 3 allevamenti. I campioni prelevati dalle femmine gravide comprendevano: tamponi vaginali e/o secreto mammario, entrambi prelevati 7-10 giorni prima del parto; latte prelevato circa una settimana dopo il parto. In totale sono state esaminate 85 cagne, con un decorso gravidico nella norma e in assenza di sintomatologia clinica a carico dell’apparato genitale e tegumentario. I campioni sono stati sottoposti ad esame batteriologico per evidenziare la flora microbica presente nel tratto vaginale e nel latte con particolare attenzione all’evidenziazione di stafilococchi coagulasi positivi. I ceppi di stafilococco coagulasi positivi sono stati identificati mediante prove biochimiche e biomolecolari (test della coagulasi; identificazione fenotipica mediante API Staph 32ID Biomerieux, PCR per l’identificazione di specie mediante biologia molecolare (1)) e saggiati per valutare le caratteristiche di antibiotico-resistenza (test della diffusione in agar con il metodo Kirby-Bauer secondo le linee guida del CLSI (3); prova di crescita su terreno selettivo (ORSAB, Oxoid, Basingstoke, United Kingdom); ricerca del gene mecA mediante PCR (8). Per l’antibiogramma è stato utilizzato un pannello di 16 principi attivi impiegati nella pratica diagnostica di routine (tabella 1), che ha permesso di effettuare un primo screening relativo al comportamento nei confronti dell’oxacillina (OX 1 µg/ml), usato come marker per la valutazione della meticillino-resistenza e di evidenziare la contemporanea presenza di resistenza nei confronti di altre classi di antibiotici. INTRODUZIONE. L’isolamento di stafilococchi coagulasi positivi è frequente negli animali e nell’uomo: per lo più si tratta di microrganismi che colonizzano cute e mucose dell’ospite, ma talvolta possono essere responsabili di infezioni acute e croniche e di forme setticemiche. Tra le specie più importanti vi sono Staphylococcus aureus, isolato prevalentemente da uomo, coniglio, bovino, suino e Staphylococcus pseudintermedius, isolato frequentemente da cane e gatto, sia da soggetti sani, sia da animali con infezioni cutanee (otiti, piodermiti) o da infezioni post-operatorie (4, 9, 10). Questi microrganismi hanno assunto negli ultimi anni un’importanza crescente per la comparsa di ceppi resistenti agli antibiotici, in particolare alla meticillina, con serie conseguenze per la salute umana e animale. Nell’uomo le prime segnalazioni di ceppi di Staphylococcus aures meticillino-resistenti risalgono agli anni ’60, in casi di forme setticemiche, insensibili a trattamenti farmacologici, in pazienti ospedalizzati (4). Più di recente, ceppi con caratteristiche analoghe sono stati evidenziati in individui mai ospedalizzati e negli animali domestici (2, 4). La presenza di stafilococchi meticillino-resistenti è stata riportata nel cavallo e nel suino, in quest’ultimo caso con isolamento degli stessi ceppi anche dalle vie aeree superiori degli addetti all’allevamento (2). Rare sono invece le segnalazioni in ruminanti, conigli ed avicoli, tuttavia una recente indagine condotta su campioni di latte bovino dai colleghi dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ha messo in evidenza percentuali particolarmente elevate di ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti nei campioni analizzati (13%) (2). La meticillino-resistenza è codificata a livello genetico dal gene mecA situato in un cromosoma mobile denominato ‘Staphylococcal cassette chromosome mec’ (SCCmec). Questo cromosoma, oltre a contenere il gene mecA, può presentare altre sequenze geniche che si esprimono con resistenze nei confronti di altri principi attivi (4, 9). Per tale motivo i ceppi meticillino-resistenti sono spesso caratterizzati anche da multi-resistenza (3, 9). La nostra indagine si è proposta di mettere in evidenza la presenza di stafilococchi coagulasi positivi meticillino-resistenti in una popolazione di cani sani allevati a scopo riproduttivo, valutando eventuali relazioni tra la loro presenza e il livello di impiego degli antibiotici nei diversi allevamenti. RISULTATI. In totale sono stati isolati 87 ceppi di stafilococco coagulasi positivi da 60 fattrici: 34 dalla vagina, 11 dal secreto mammario, 42 dal latte postpartum. Tutti sono stati identificati come Staphylococcus pseudintermedius. Gli isolati hanno evidenziato un’elevata percentuale di resistenza a penicillina (93.1%), ampicillina (90.8%), spiramicina (89.6%) e in misura minore a tetracicline (48.3%) e streptomicina (41.4%). Otto ceppi isolati dal latte sono risultati resistenti all’oxacillina (9%), di quest’ultimi, sette sono risultati positivi per la presenza del gene mecA, con una percentuale di ceppi meticillino-resistenti mecA positivi tra gli stafilococchi isolati dell’8%. I ceppi meticillino-resistenti sono stati isolati tutti da due allevamenti facenti parte del raggruppamento 3, quello caratterizzato da un uso elevato e non controllato di antibiotici in diverse fasi dell’allevamento delle fattrici. Circa il 40% dei ceppi di Staphylococcus pseudintermedus isolati, compresi i ceppi meticillino-resistenti, sono inoltre risultati multi-resistenti (fig.1). 49 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Figura 1. Percentuali di resistenza a penicillina, ampicillina, spiramicina, tetraciclina, streptomicina, oxacillina tra i ceppi di Staphylococcus pseudointermedius isolati. DISCUSSIONE. I dati ottenuti da questa indagine confermano quanto riportato in letteratura e cioè che un uso eccessivo o senza controllo di antibiotici negli allevamenti animali, possa determinare nel tempo la selezione di ceppi batterici multi-resistenti e meticillino-resistenti (9). Non è ancora completamente chiarito, se questi ceppi possano trasmettersi all’uomo provocando direttamente patologie. Infatti, se in alcune situazioni è stato dimostrato che gli animali hanno rappresentato una fonte di contagio per l’uomo in caso di infezioni da Staphylococcus aureus (4), rare ed occasionali sono le infezioni umane dovute a Staphylococcus pseudintermedius trasmesso dagli animali da compagnia (5, 6, 7). Il rischio per la salute umana sembrerebbe legato soprattutto, con l’eccezione probabilmente di Staphylococcus aureus, alla possibilità che la resistenza alla meticillina possa essere trasferita da una specie batterica all’altra, attraverso meccanismi già noti tra i batteri: coniugazione, trasduzione, trasformazione (4). Pertanto l’allarme per l’isolamento di ceppi di Staphylococccus pseudintermedius meticillino-resistenti dagli animali domestici non è dovuto principalmente a una maggiore patogenicità o a un loro ruolo come agenti di zoonosi, bensì alla possibilità che questi ceppi costituiscano una fonte di resistenza agli antibiotici trasmissibile ad altre specie batteriche, tra cui anche specie patogene per l’uomo, un’evenienza favorita, nel caso particolare, dallo stretto contatto che si realizza tra uomo e animale da compagnia. BIBLIOGRAFIA 1) Bannoehr J, Franco A, Iurescia M, Battisti A, Fitzgerald JR. Molecular diagnostic identification of Staphylococcus pseudintermedius. 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Methicillin-resistant Staphylococcus pseudintermedius in a veterinari teaching hospital. J. Of Clinical Microbiology; 45, 4 1118-1125. Tabella 1. Profili di resistenza dei ceppi di Staphylococcus pseudintermedius meticillino-resistenti isolati dalle fattrici Ceppo 1 2 3 4 5 6 7 8 allevamento (gruppo) A (3) A (3) A (3) A (3) B (3) B (3) B (3) B (3) Penicillina R R R R R R R R Ampicillina R R R R R R R R Amoxicillinaacido clavulanico R R R R R R R R Oxacillina R R R R R R R R Cefalexina R I R S R R R R Cefuroxime R R R S R R R R Spiramicina R R R R R R R R Rifampicina S S S S S S S S Tilmicosina R R R R R R R R Tilosina R R R R R R R R Tetraciclina R R S I R R R R Streptomicina R R R R R R R R Gentamicina R I R I R I R R Enrofloxacina R R R R R R R R Trimethoprimsulfamethoxazolo Tiamulina R R R R R R R R S S S S S S S S Gene MecA + + + + + - + + R: resistente; S: sensibile; I:intermedio 50 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PRESTAZIONI DEL SISTEMA AUTOMATICO VERSATREK NELLA RICERCA DI MYCOBATTERI IN CAMPIONI DI ORGANI ANIMALI IN RAPPORTO AL METODO CONVENZIONALE Manunta D., Ziccheddu M., Patta C., Lollai S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi” Key words: automazione, Mycobatteri, confronto metodi ABSTRACT Our objective was to compare the performance of the automated VersaTREK system and the conventional culture method for the detection of Mycobacteria in animal samples. Clinical specimens were processed using standard procedures and then inoculated onto VersaTREK vials and Stonebrink slants. Twenty-two mycobacterial isolates were recovered from 72 samples. Ten isolates not detected by conventional method were revealed by the VersaTREK System. Mean time of detection resulted 16 d for VersaTREK (range = 8-46 d) and 39 d (range = 22-65 d) for traditional method. The VersaTREK system improved detection rate and reduced the detection time of Mycobacteria. inoculati nei terreni Stonebrink TB Medium+PACT (polimixina B, anfotericina, carbenicillina e trimethoprim) (BD-BBL, USA) e Lowenstein-Jensen (BioMerieux, F) ed incubati a 37 °C fino a 12 settimane. I campioni risultati positivi sono stati confermati per la presenza di batteri acido-alcol-resistenti con esame microscopico e gli isolati identificati tramite PCR (1, 4, 6, 7), nel caso del VersaTREK direttamente dalla brodocoltura. L’estrazione del DNA è stata eseguita con il kit DNeasy Tissue kit (QIAGEN). Il confronto tra il metodo tradizionale ed il VersaTREK è stato fatto valutando la Positive Deviaton (PD; numero dei risultati positivi rispetto al metodo scelto come confronto), la Negative Deviation (ND; numero dei risultati negativi rispetto al metodo di confronto), la Relative Accuracy (RA; grado di corrispondenza tra i risultati dei 2 metodi sugli stessi campioni), la Relative Sensitivity (RSe; abilità del metodo testato di evidenziare l’analita quando questo è trovato dal metodo di confronto) e la Relative Specificity (RSp; abilità del metodo testato di non trovare l’analita quando questo non è trovato dal metodo di confronto) (5). Per stabilire la significatività delle diverse prestazioni dei metodi, l’analisi delle discordanze è stata fatta con il test di McNemar (9). Il trial comprende alcuni campioni dallo stesso capo. INTRODUZIONE La microbiologia è tra le scienze di laboratorio quella che si è meno avvantaggiata dell’automazione (3). Tuttavia tentativi coronati da successo sono entrati nella diagnostica microbiologica umana già da oltre 30 anni, riguardando, tra gli altri aspetti, la standardizzazione e dispensazione dell’inoculo microbico per l’identificazione e l’antibiogramma (es. Sistema Phoenix e Sceptor, BD, USA), l’automazione dell’urinocoltura (es. sistema MS2 Abbott, USA), l’identificazione batterica (sistema Vitek, bioMerieux, F) e la rilevazione sensibile e rapida dello sviluppo microbico (sistemi Bactec, BD, USA; BacT/ALERT, bioMerieux, F). Quest’ultima tecnica è risultata particolarmente adatta per la rilevazione di batteri a lenta crescita eventualmente presenti in campioni clinici, quali i Mycobatteri, riducendo notevolmente i tempi di risposta (2). Il sistema VersaTREK (Trek Diagnostics, USA), è un sistema automatizzato di recente introduzione (inizio 2005) impiegato per la rilevazione rapida dello sviluppo microbico, ed in grado di evidenziare la crescita dei microrganismi dalle variazioni di pressione dovute al consumo/produzione di gas da parte del metabolismo batterico all’interno del flacone della brodocoltura. Il presente lavoro riporta i risultati al momento ottenuti nel confronto tra il VersaTREK 240 Model ed il metodo colturale convenzionale per la ricerca di Mycobatteri in campioni di organi animali. Nonostante l’introduzione dell’automazione della ricerca dei Mycobatteri sia già stata segnalata in ambito veterinario (8), sono ancora scarse, in quest’ambito, le informazioni sulle prestazioni del sistema VersaTREK. RISULTATI E DISCUSSIONE Sono risultati positivi 22 campioni (2 Mycobacterium avium complex, 6 Mycobacterium spp., 8 Mycobacterium bovis e 6 Mycobacterium caprae), tutti rilevati dal sistema automatico. Il VersaTREK ha identificato come positivi 10 campioni in più rispetto al metodo colturale tradizionale (6 Mycobacterium spp. e 4 Mycobacterium caprae). Il sistema convenzionale ha quindi mostrato, nel confronto una ND pari a 10. Le RA, RSe, RSp del metodo tradizionale rispetto alle migliori prestazioni del VersaTREK sono state rispettivamente 0,86 (IC=0,78÷0,94; P=95%), 0,55 (IC=0,33÷0,76; P=95%) e 1,0. Il tempo medio di rilevazione è stato di 16 gg (range = 8-46 gg) per il VersaTREK e di 39 gg per il metodo convenzionale (range = 22-65). Fig. 1 – Confronto tra il recupero di Mycobatteri con sistema VersaTREK e metodo convenzionale MATERIALI E METODI Settantadue campioni di organi bovini (70 linfonodi e 2 campioni di polmone) sono stati omogenati in soluzione fisiologica tramite Stomacher (Seward, UK). Gli omogenati, decontaminati con NaOH al 4%, sono stati inoculati in flaconi VersaTREK Myco, contenenti brodo Middlebrook 7H9 addizionato con Myco GS supplement (acido oleico, albumina bovina, destrosio, catalasi, cloruro di sodio) e Myco AS Supplement (polimixina B, azlocillina, fosfomicina, acido nalidixico, amfotericina B) (Trek Diagnostics, USA). Le colture sono state incubate nello strumento, in grado effettuare un monitoraggio delle pressioni dei flaconi ogni 24 minuti, e segnalare con allarme visivo ed acustico i flaconi positivi. Per la coltura convenzionale, 0.2-0.3 ml di omogenato sono stati 51 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Il limite inferiore del range (8 e 22 gg per il metodo VersaTREK e convenzionale rispettivamente) corrisponde al tempo di rilevazione di un Mycobacterium avium complex; il limite superiore (46 gg per il VersaTREK) ad un Mycobacterium caprae, non rilevato col metodo convenzionale (Fig. 1). Il confronto delle prestazioni tramite il test di McNemar (d2 corr. Edwards=8,1) ha mostrato una differenza molto significativa tra i due metodi (alfa<0,01). Nonostante il numero di risultati sia ancora insufficiente per conclusioni sicure, lo strumento VersaTREK ha indicato, anche nel campo oggetto dello studio, le possibilità di miglioramento offerte alla diagnostica microbiologica dall’approccio strumentale e automatizzato, sia nella maggiore capacità di rilevazione sia nella riduzione dei tempi di risposta rispetto al metodo convenzionale. in Microbiology. 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Rapid Methods and Automation 52 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI: VARIABILITA’ ANTIGENICA E BIOLOGICA E POTENZIALITA’ PROFILATTICHE Sergio Rosati Università degli Studi di Torino La diagnostica sierologica basata su un singolo stipite virale risulta adeguata solo per ceppi di campo omologhi al genotipo dell’ antigene diagnostico. Di importanza non secondaria vi è la trasmissione interspecifica. Sempre più frequentemente vengono infatti identificati ceppi MVV-like nelle capre (es.: Svizzera) e ceppi CAEVlike nelle pecore (es.: Francia, Italia, Spagna). Sia la variabilità antigenica che la trasmissione interspecifica dei lentivirus dei piccoli ruminanti devono essere tenute in considerazione per affrontare in modo razionale i futuri piani di eradicazione. Diverse strategie vaccinali sono state intraprese in prove sperimentali con risultati altalenanti, spesso contraddittori e senza che fosse mai dimostrata refrattarietà alla superinfezione con stipiti virulenti. Attualmente i lentivirus dei piccoli ruminanti sono classificati in 5 genotipi. Il genotipo A comprendente gli stipiti Maedi Visna ed il genotipo B comprendente gli stipiti CAEV. Entrambi questi genotipi sono diffusi su scala mondiale e le loro infezioni associate a quadri clinici ben definiti. In Italia è stato recentemente identificato l’ ultimo genotipo in ordine cronologico: il genotipo E, comprendente stipiti caratterizzati da delezioni nel genoma che riducono notevolmente la attività patogena. Dal punto di vista antigenico, le infezioni da lentivirus possono essere classificate in almeno 3 varianti sierologiche ( sierotipi A, B ed E) sulla base della reattività verso l’ epitopo immunodominante dell’antigene capsidico e del dominio di transmembrana. 53 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS IN NATURALLY INFECTED MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 1 Autorino G.L. ,Caprioli A., Rosone F., Mastromattei A., Lai O., Grifoni G., Saralli G., Alfieri L., Ciccia F. Giordani F., Scicluna M.T. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Centro di referenza nazionale per le malattie degli equini, Via Appia Nuova 1411, Roma. Key Words: Equine infectious anaemia, mules, pharmacological reactivation SUMMARY Equine Infectious Anaemia (EIA) is a viral vector borne disease of equids, including mules. In Italy, a high seroprelavence of this infection was observed in the mule population. In view of this situation and because of the scare information in literature relative to the infection in these animals, a study was conducted to evaluate the clinical, haematological and serological response of immune suppressed EIA infection in eleven naturally infected mules. The pharmacological immune suppression resulted in fever and/ or thrombocytopenia of eight mules. Of these, four mules also registered an increase of the serological response to the EIA virus. No direct correlation was observed between the clinical and haematological response and the serological reactivity. This study is the first report of the pharmacological reactivation of the EIA infection carried out to investigate the epidemiological role of these animals in the persistence and spread of EIA. the same conditions for the whole experiment. Procedures of animal handling and experimentation were performed under veterinary supervision, according to the present European Regulations on Animal Experimentation. Prior to the pharmacological reactivation of the EIA infection, the mules were treated for infections which could have interfered with the outcome of the EIA reactivation. The animals were vaccinated against EHV 1 and 4, treated for piroplasmosis and dewormed for intestinal parasites. The animals were also reconfirmed as seropositive for the EIA virus (EIAV) before the start of the experiment in at least the following serological methods in C - Elisa and immunoblot (IB) described further on. Procedures for immune suppression were based on protocols described by Craigo J.K. et al., (2). Briefly, dexamethasone was administered intramuscularly for 8 days at a dose of 0.11mg/kg body weight/day for all except for 2 mules for which administration was extended to day 12. The mules were monitored daily for adverse reactions to treatment. Skin tests for delayed-type hypersensitivity (DTH) reactions were performed during the pre-immune suppression and post immune suppression (P.IS.) periods and consisted in shaving and cleaning small areas on the neck and inoculating at different sites on the necks both 50μg of phytohemagglutinin (PHA) in 1ml of saline and 1ml of saline alone. The net increase in skin thickness was determined from measurements made with constant tension callipers 24 hours post-injection of antigen. DTH ratios were calculated as the ratio of antigen (PHA) reaction to control (saline) reaction. The clinical signs for which the animals were controlled during the whole observation period, starting from 7 days prior to the 1st day of cortisone treatment (day 0) to 28 days later, were those described by Leroux C. J. et. al. (2004) as those typically occurring during an EIA infection in horses: rise in body temperature, thromocytopenia. Other clinical signs for which the mules were monitored were alteration of their general condition, oedema, anaemia and congestion of the ocular and buccal mucosa, petechiae and jaundice. To avoid bias of registration of clinical signs by having the same operator for the P.IS. period. Rectal temperatures were constantly measured at the same hour of the day and for these animals, a rectal above 39°C was considered as fever. Biological samples for haematological and serological analyses, represented by blood, with and without anticoagulant, were collected daily for the whole experimental observation period. Blood samples, collected throughout the whole experimental period, from the jugular vein in tubes with and without K3-EDTA, were refrigerated at 4°C and immediately sent to the laboratory. An automated counter Cell-Dyn 3700 (ABBOTT) was used to determine the platelet (PLT) counts. Baseline value for PLT was fixed at 100 x 103/µl. Serum was obtained from blood samples after centrifugation for 10 minutes at 179 g, the supernatant was then collected and stored at –20°C. The serological methods used in the study were the following: INTRODUCTION EIA is a viral vector borne disease of equids even if epidemics have been traced to the multiple use of hypodermic needles and to the injection of substances contaminated with blood. In Italy, since 2007 an extraordinary surveillance programme for the control of EIA was implemented due to a series of important outbreaks which had occurred over a short period in the spring of 2006. The programme imposes the serological control of all horses, donkeys and mules apart those reared for human consumption. During each of the three annual campaigns till now held, a marked higher seroprevalence was observed in mules, even if the numeric consistency of this population was conspicuously inferior when compared to that of the donkey and horse population. The numerous cases of EIA registered in these animals have until now never been reported in surveillance programmes held even in other countries. In view of this and also due to the limited literature available regarding EIA in mules, epidemiological, etiological and clinical studies of the infection in these animals have been undertaken to better understand their role in the persistence and spread of this infection. In particular, this study reports the clinical, haematological and serological evolution of EIA in naturally infected mules following pharmacological reactivation. MATERIALS AND METHODS Experimental Animals: 11 EIA seropositive mules were recruited for the study coming from the provinces of Rieti, Rome, Frosinone, Latina and Aquila. Although the animals apparently came from independent outbreaks, the geographic localisation of these animals was in a relatively restricted area, represented by the dorsal area of the pre-Apennines of Central Italy. The mules were identified with consecutive numbers from 1 to 11. The age of the animals ranged widely, with mules 2 and 11, between the age of 1 and 2 years, mules 1, 5, 6, 7, 9 and 10 between the age of 8 and 13 years, mule 8, of the age of 17 years and the mules 4 and 3, 22 and 30 years respectively. All the animals were housed together and kept and feed under 54 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 an in-house C-Elisa, the Agar Gel Immunodiffusion Test (Agid) and the Immunoblotting (IB). The reason for employing these tests was that they are the serological methods contemplated in the EIA surveillance programme and therefore used to evaluate possible difference in reactivity for each method through the course of the trial. The methods are briefly described as following. The in-house C-Elisa used was developed in collaboration with the Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lombardia ed Emilia Romagna. The method consists in sensitising Nunc Maxisorp ® plates overnight at 4° C, using as catcher an anti-p26 monoclonal antibody (Mab) diluted in phosphate buffer solution. In time for the end of the sensitisation, the serum samples are prepared by diluting them from 1/3 to 1/192 on inert microplates in PBS pH 7,2 –7,4, containing yeast extract (0.05%) and mouse serum (1%) together with the following internal controls: an antigen control, a positive and negative control and a blank reaction control. The recombinant p26 antigen is added to the samples and controls, all of which are examined in double replicates, so that the final dilutions obtained are the double those mentioned earlier (from 1/6 to 1/384). At the end of a 75’ incubation at 37°C, the samples and controls are transferred onto the previously washed sensitised plate. On terminating the distribution of the samples, the horseradish conjugated tracer Mab is added, so as to then proceed with another incubation under the same conditions as before. The reaction is developed by the addition of OPD substrate and stopped after 10’, using 1M sulphuric acid. The samples reactivity is read at 492 nm using a spectrophotometer. The results are interpreted using the following algorithm: Percentage Inhibition (PI) = 100 - (OD mean of sample/OD mean of negative control X 100). The end–point titre of a serum was the reciprocal of the dilution which was still below 50% inhibition. The Agid was carried out using the method described by the Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2010 as well as that described by Coggins (5). The antigen used for both methods is the recombinant p26, produced by our Institute (1). After 24 – 48 hours the plates are examined for the precipitation line between the sample the antigen well, typical of a positive serological reaction in Agid. The IB was conducted as described by Issel C. J. et. al., (4), diluting 1/50 the negative and positive controls and the samples, or 1/80 if the reactivity of the serum was still too strong. The reagents, as well as the internal controls, were supplied by the same authors. The samples were examined for their reactivity for the capsid protein p26 and for the transmembrane (gp45) and the surface (gp 90) glycoproteins. For all the serological methods, the samples of each mule were examined all together on the same day, as also on the same plate for the C- Elisa and on the same membrane for the IB to avoid possible variability arising from examining the samples at different times. An EHV 1 and 4 duplex Real Time PCR as decribed by Damiani A. et. al., (4) was carried out on the nasal swabs collected during the P.IS. period to verify the reactivation of these possible latent Herpesvirus infections. Remaining results and discussion are presented in Part- 2. Acknowledgments This study was conducted within the National Research Project IZSLT 07/08 RC with the financial support of the Italian Ministry of Health We would like to thank Dr. Charles Issel and Dr. Frank Cook, from Gluck Equine Research Institute - Kentucky, USA, for their precious adivice in the set-up of the experiment. We would like to thank Dr. R. Cavallina and Dr. R. Condoleo for their precious collaboration. We would like to thank the following technical staff for their precious assistance: A. Altigeri, D. Caciolo, F. Della Verità, A. Denisi, E. Letizia, G. Manna, F. Piovesan, S. Polenta, S. Sabatini, M Simula, M.Zini. BIBLIOGRAPHY 1) Amaddeo D. et. al., 1998. 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The DTH assays indicated as also observed by other authors (2) .an effective suppression of host immunity by day 8 for all mules except for mule 1 and 11 which was reached by day 12 of the drug treatment. 55 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS IN NATURALLY INFECTED MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 2 Autorino G.L. , Rosone F., Caprioli A., Canelli. E., Mastromettei A., Scicluna M.T. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Centro di referenza nazionale per le malattie degli equini, Via Appia Nuova 1411, Roma. Key Words: Equine infectious anaemia, mules, pharmacological reactivation Part 1 of this study reports the introduction, materials and methods and the first part of the results Results Platelet count (Figure 2): thrombocytopenia was not observed for mules 6, 7 and 8. For mules 1 to 5 and 9 to 11, thrombocytopenia occurred between day 8 and 28 P.IS.. The duration of thrombocytopenia was variable, lasting for one day in mules 2, 9 and 11, two days for mule 10, three days for mule 3 and 4, five days for mule 5 and seven days for mule 1. Values inferior to the baseline were generally very low even when short-lived. Highest temperature of 41°C was observed in mules 1, 10 and 11, while the duration of the fever varied, just one day for mule 2, three days for mules 1 to 4 and 11, four days for mule 10 and five days for mule 5. Hyperthermia was discontinuous The other clinical signs for which the mules were monitored, apart from fever and thrombocytopenia, were present only in a mild to an unapparent and were observed in all mules. These were concomitant to fever and thrombocytopenia or following these two events. Serological results are presented are relative to the samples at weekly intervals from day -7 to 28 P.IS. C-Elisa (Figure 4): all animals, except for mule 6, reacted in the Elisa using p26 as antigen. Mules with generally low titres were 3, 5 and 7 , while mule 11 was positive only on day 28 P. IS.. The remaining mules (1, 2, 4, 8, 9 and 10) had medium to high titres. Rise in titres were registered on day 14 for mule 7 and on day 21 for mules 3, 8, 9 and 10, with a sharp increase for the last two mules, as for also mules 5 and 11 but on day 28, especially for the latter, which from negative become positive. Decrease for mule 4 was observed on day 14 P.IS.. Although when recruited mule 6 had also been positive in the C-Elisa, the animal remained constantly negative for this method throughout the whole observation period. Temperature (Figure 3): increase in rectal temperature > 39°C was registered for mules 1 to 5 and 10, between day 9 and 17 P.IS, while for mule 11, between 21 and 24 days P.IS.. for mules 3, 4 and 11. Agid (Figure 5): reactivity for the two methods was nearly equivalent for all mules at all time intervals. In particular, when reactivity was weak, positivity was more evident in OIE, on the contrary when reactivity was strong positivity was more evident in Coggins (data not shown). Temperature remained below 39°C for mules 6, 7, 8 and 9. 56 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 For ease of interpretation of the readings in Agid, the reactivity was transformed in scoring as follows: 0 – absence of the precipitation line, 1 - precipitation line bends in well, 2 - precipitation line touching sample well, 3 - precipitation line close to sample well 4 - precipitation line equidistant between sample and antigen wells 5 precipitation line touching antigen well. Mules 3 and 6 were totally negative during all the P. IS. period, while mules 7, 9 and 10 showed an increase in reactivity on day 21 while mule 5 and 11, registered an increase on day 28, as observed in Elisa, especially for the latter mule, which from negative become positive. IB (Figure 6): the reactivity of the mules to p 26 and gp 45 and 90 is described in Figure 6. mules registered an increase in reactivity in all the three methods employed. Although the three methods had as common denominator the p26, the increase for this protein was mostly registered in Elisa and Agid, than in IB, which is reported as more sensitive than the other two (lssel, C.J. et. al., 1988). This could be due to the fact that not all animals are capable during the reactivation of the infection of immediately producing antibodies against linear epitopes of the protein, which in the IB is presented in its denatured state. Other point is that the method which is least sensible for the detection of the serological reactivity to EIAV is the Agid followed by the C-Elisa as can be seen in Figure 4, 5, and 6. as also observed by other authors, lssel, C.J. et. al., (4), Leroux C. et. al., (6) and Scicluna et.al. (7) This result of relevant importance in the appropriate use of the three methods in a surveillance and control programme. In fact in the choice of a screening test to be employed in a control programme, among other characteristics to be considered sensibility is fundamental for the success of the control programme. This places the choice of the C-Elisa in advantage of the Agid as a screening test in monitoring the EIA infection. In comparing the clinical response to the results of the serological reactivity of the eight animals which had registered fever and/or thrombocytopenia, only four of the animals registered an increase of the serological reactivity. These results do not reveal any evident correlation between the two responses. In fact, in literature, in similar experiments conducted in EIV infected horses for the study of the humoral response following immune suppresion, an increase in the production of gp 90 was observed but using other serological methods as the virus-neutralization described by Howe H. et. al., (8). Therefore, in our study other serological methods are being undertaken to investigate deeper the humoral response obtained in these mules during the P.IS. Virological investigations will also be carried out on biological samples collected during the P.IS. to study among other points the viral load which occurred during the P.IS. period as well as the characteristics of the viral strain of each animal in view of the fact that they came form different outbreaks even if correlated geographically. Other factors which will also be considered in the analyses of this study is the breeds from the mules descended. This study has been conducted to information on the potential epidemiological role of these animals in the diffusion of the virus both during the chronic/inapparent and the acute/ viremic phases of the EIA infection. The study characteristics of the viral strain of each animal in consideration of the different serological and clinical pattern observed for each mule and also in view of the fact that they came form different outbreaks, even if correlated geographically, might better explain some aspects till now unclear. This study is the first report of the pharmacological reactivation of the EIA infection in naturally infected mules which apparently induces a mild to unapparent clinical form characterised by fever, thrombocytopenaia and an increase in serological reactivity only for some of the experimental animals. An effective increase in the reactivity of the mules in IB was noted for p26 for mule 10 and 11 on day 21 and 28 respectively, for gp 45 for mule 8 and 9 on day 14 and 21 respectively and for gp 90 for mule for 7 and 11 on day 21 and 28 respectively. The only positivity detected in the duplex EHV 1 and 4 Real Time PCR was for the nasal swab of mule 6 on day 14. For this mule neither fever nor thrombocytopenia was observed Furthermore no increase in reactivity was registered in IB, the only method for which the animal was positive. Discussion The pharmacological immune suppression of the naturally EIAV naturally infected mules was effectively efficient as verified by the response to the DHT following the administration of PHA with the PHA/SS ratio resulting below one for all mules by the end of the drug administration. Following, immune suppression seven of the experimental animals presented both fever and thrombocytopenia in, while thrombocytopenia for one mule. As can be observed in figure 2 and 3, fever and thrombocytopenia were concomitant for most mules presenting these alterations. Other clinical signs for which the mules were monitored were practically mild to unapparent. Following the end of the pharmacological immune suppression an increase in serological reactivity for EIAV occurred in only six of the experimental animals. While for two mules the increase in the serological response was observed at least in one of the serological methods, four 57 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Bibliography 1) Amaddeo D. et. al., 1998. Final Report of Current Research Programme - “Development of Elisa Methods for the Serological Diagnosis of Equine Infectious Anemia, using Recombinant Antigens and Monoclonal Antibodies” . 2) Craigo et. al., 2007. 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Equine infectious anemia: should the agar immunodiffusion test still be used for screening and as unique confirmatory test? X Congresso Nazionale S:I.Di.L.V. – Alghero pag.78. 8) Howe H. et. al., 2005 Specificity of serum neutralizing antibodies induced by transient immune suppression of inapparent carrier ponies infected with a neutralizationresistant equine infectious anemia virus envelope strain. J. Gen. Virol. 86, 139–149 5) 58 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 EPIDEMIA DI CIMURRO NEGLI ANIMALI SELVATICI DEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO. Catella A1., Martella V2, Bianchi A.1, Bertoletti I.1, Lavazza A.1, Zanoni M.G.1 , Alborali L.1, Cordioli P.1, Buonavoglia C.2 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia, Italy; Università degli Studi di Bari – Facoltà di Medicina Veterinaria – Dipartimento di malattie Infettive, Bari, Italy; Key words: Canine distemper disease, vulpes vulpes, Stelvio Nazional Park bilaterale con panoftalmite e scolo oculo-nasale muco purulento. Tutti i soggetti, di età giovane, mostravano, inoltre, uno scadente stato di nutrizione, alterazione della muta e lesioni da rogna. L’ esame necroscopico eseguito presso la sezione di Sondrio dell’IZSLER ha evidenziato una congestione degli organi e polmonite dei lobi basali con focolai necrotici diffusi. All’inizio del 2010, sempre nella stessa zona, una chiara sintomatologia nervosa è stata riscontrata nei tassi (Meles meles) e nella faina (Marte foina) e nei mesi successivi, sono stati catturati altri 16 esemplari di volpe rossa, le quali mostravano segni clinici del tutto simile a quelli descritti nel precedente anno. Tutti i soggetti sono stati conferiti alla sezione di Sondrio, mentre un solo esemplare di volpe rossa è stato catturato nella Provincia di Brescia, dimostrando una diffusione dell’infezione in una zona più a sud est del primo focolaio. I campioni biologici, in totale 33 di cui 29 volpi, 3 tassi e una faina, risultati negativi al test per la rabbia eseguito presso il Centro della Rabbia dell’IZSLER sono stati inviati al reparto di Virologia Specializzata per la ricerca diretta dell’agente eziologico mediante isolamento e microscopia elettronica. Inoltre una aliquota del pool di visceri e di urine è stata inviata alla Sezione di Malattie Infettive della Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari per le prove biomolecolari. SUMMARY Canine distemper virus( CDV) is an RNA virus belonging to genus Morbillivirus in the Paramyxoviridae family.CDV has a broad host range and evidence for the infection has been obtained in several mammalian species. In August 2009 there was an outbreak of distemper in red foxes and in badgers in the Stelvio Nazional Park. Strains of distemper analyzed by RT-PCR genotyping of the H gene were characterized as European genotype. INTRODUZIONE Canine distemper virus è un agente virale altamente patogeno che causa una malattia sistemica e spesso letale nei cani e in numerose altre specie di mammiferi appartenenti alle famiglie Canidae, Mustelidae, Procionidae, Viverridae, Ursidae e Maphitidae. In considerazione dell’ ampio spettro d’ospite del CDV, la circolazione del virus non dipende solo dall’entità della popolazione canina, ma anche dal numero totale delle specie suscettibili all’infezione in una determinata zona. Il virus, a singolo filamento di RNA non segmentato a polarità negativa, appartiene al genere Morbillivirus, famiglia Paramyxoviridae. L’RNA codifica per la proteina M dell’envelope, per due glicoproteine, l’emoagglutinina H e la proteina di fusione F, per due proteine non strutturali (la fosfoproteina P e la polimerasi L) e, infine, per la proteina N del nucleocapside. Quest’ultimo ha simmetria elicoidale, ed incapsula il genoma stesso (1) In base all’analisi della sequenza dell’emoagglutinina (proteina H) di CDV sono distinti dei pattern di evoluzione di tipo geografico, non specie-specifici (2). Tale peculiarità deriva dalla capacità del virus di circolare liberamente tra diverse specie animali e dal suo ampio spettro d’ospite. La presenza del virus in specie domestiche come il cane può rappresentare una minaccia per alcune specie protette o a rischio di infezione. Nell’agosto 2009 è stato descritto un focolaio epidemico di cimurro nelle volpi rosse (Vulpes vulpes) nel Parco nazionale dello Stelvio, un’area boschiva protetta di 1333 km2 che si estende a cavallo tra due regioni (la Lombardia e Il Trentino Alto Adige). Il Parco, a sua volta, fa parte di una più vasta zona protetta (circa 2500 km2) nel cuore delle Alpi, essendo circondato da altri parchi italiani (il Parco dell’Adamello, che si trova al centro della catena alpina, nelle Alpi Retiche; il Parco trentino dell’Adamello – Brenta nelle Dolomiti). Questo lavoro descrive il focolaio epidemico di CDV nelle volpi e nei tassi, cercando di comprendere la dinamica di diffusione del virus tra gli animali selvatici e le potenziali intersezioni tra ciclo urbano e ciclo silvestre che ne potrebbero derivare. Isolamento virale Sono stati preparati omogenati di tessuto ( visceri e cervello) al 10% (w/v) in terreno DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium) contenente antibiotici. La sospensione è stata chiarificata mediante centrifugazione a 4000 rpm per 15 min a +4°C ed inoculata su cellule MDCK (Madin Darby canine kidney) e su cellule VERO SLAM, una linea di cellule VERO che esprime in modo stabile il recettore SLAM (Signalling Lymphocyte Activation Molecule) del cane (3). La replicazione del virus è stata seguita mediante osservazione del monostrato per valutare la comparsa di effetto citopatico (ECP). Immunoelettromicroscopia (IEM) Una aliquota dell’omogenato di ciascun campione è stato messo a contatto per 1 h in termostato a 37°C in agitazione, con una pari quantità di una diluizione ottimale predefinita di un siero iperimmune per CDV prodotto in cani, gentilmente fornito dalla prof. Cardeti dell’IZSLT. Identificazione virale Per l’estrazione del RNA è stato utilizzato il kit RNeasy (Qiagen, Gmbh, Germania) seguendo le indicazioni dell’azienda produttrice. Per l’amplificazione del gene N (281 bp) mediante RT-PCR è stata usato il kit GeneAmp RNA PCR (Applied Biosystem, Applera, Italia)(4) La retrotrascrizione e l’amplificazione PCR del gene H sono state ottenute seguendo protocolli descritti in letteratura(5). I primer interni RH-3 ed RH-4 sono stati utilizzati per amplificare in nested PCR l’intero gene H (6). Per il sequenziamento, i prodotti PCR RH3-RH4 sono stati MATERIALI E METODI Campioni di campo Nell’ agosto del 2009 e nei mesi successivi sono state catturate 12 esemplari di volpi rosse in Valtellina, sul versante lombardo del Parco, in prossimità di centri abitati. Alcuni animali presentavano alterazioni comportamentali con chiari sintomi neurologici, salivazione profusa, atassia, prostrazione. Altri, invece, mostravano sintomi più blandi, quale congiuntivite 59 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DISCUSSIONE A partire dal 2006, è stato osservato una diffusione del virus sia nelle volpi rosse che nei tassi su diversi versanti dell’arco alpino, con molti casi di infezioni descritti in Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia, confermati mediante analisi di laboratorio (8). L’infezione sembra essersi propagata in direzione nord-sud ed est-ovest, arrivando ad interessare il Parco Nazionale dello Stelvio nella seconda metà del 2009. Una vasta epidemia di cimurro, inoltre, è stata descritta nelle volpi del sud della Baviera nel 2008 (9), suggerendo così una diffusione del virus attraverso l’intero arco delle Alpi. Il virus responsabile delle epidemie di cimurro nelle volpi è stato caratterizzato come ceppo Europeo, ed è analogo ai virus identificati nelle volpi in Bavaria e virus identificati in cani in Ungheria (10). Il coinvolgimento nell’infezione di più specie della stessa area avvalora l’ipotesi di una diffusione epizootica multi-ospite. In tale situazione le volpi rosse sembrano giocare un ruolo predominante nella amplificazione e diffusione del virus grazie al loro comportamento sociale durante la riproduzione e alla migrazione in vaste zone di territorio nella fase giovanile. Diverse segnalazioni di infezione da CDV sono state riportate anche in cani presenti nelle aree infette all’interno e ai bordi del Parco, tra cui un cane da caccia che aveva svolto attività nel Parco, probabilmente come risultato di una esposizione occasionale al virus che circola nei selvatici, in virtù della forte pressione dell’infezione nei territori del parco. purificati in Ultrafree-DA Columns (Amicon, Millipore). Il DNA è stato quindi usato come templato per il sequenziamento diretto, usando i primer conservati RH3 e RH4 e dei primer specifici disegnati secondo una strategia per sovrapposizione. Le sequenze sono state assemblate usando il software Bioedit 2.1(7) e comparate con sequenze analoghe nei database usando i programmi BLAST (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/ BLAST) e FASTA (http://www.ebi.ac.uk/fasta33). Per l’analisi filogenetica, le sequenze nucleotidiche sono state allineate con sequenze note del gene H usando il software Mega 3.029. Il morbillivirus della foca, PDV-1, è stato usato come outgroup. La filogenesi è stata elaborata usando il modello di correzione della distanza di Kimura ed il metodo neighbor-joining. RISULTATI Isolamento virale Dieci campioni hanno dato un effetto citopatico riferibile ad infezione da CDV (arrotondamento delle cellule e formazione di sincizi) a 48 h post-infezione già al primo passaggio su VERO SLAM. Nessuno effetto citopatico è stato riscontrato su MDCK. L’antigene di CDV è stato identificato mediante IFA nel citoplasma delle cellule infette, utilizzando Mabs ATCC HB216™. Immunoelettromicroscopia (IEM) La IEM ha identificato particelle virali riferibili a paramyxovirus con il siero iperimmune anti-cimurro nella mucosa gastrica e vescicale in sei dei campioni analizzati e nel polmone di altri quattro campioni. Inoltre sono state evidenziate catene nucleocapsidiche negli stessi organi. Gli altri campioni sono risultati negativi. BIBLIOGRAFIA 1. van Regenmortel HVM, Fauquet CM, Bishop DHL, et al, editors. Virus taxonomy. Seventh report of the International Committee on Taxonomy of Viruses. New York: Academic Press; 2000. p. 556–7. 2. Martella V, Elia G, Buonavoglia C. Canine Distemper virus. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2008 Jul; 38 (4) : 787-97, VII-VIII. 3. Seki F, Ono N, Yamaguchi R, et al. Efficient isolation of wild strains of canine distemper virus in Vero cells expressing canine SLAM (CD150) and their adaptability to marmoset B95a cells. J Virol 2003;77:9943–50. 4. Frisk AL, Konig M, Moritz A, et al. 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Carlo V.Citterio,Mariapia Cova,Karin Trevisiol, Marco Bregoli,Gabriella Conedera,Krizia Cecchettin,Monica Lorenzetto and Claudio Pasolli ,2008. 8 th CONFERENCE of the EWDA-European WildLife Disease Association 9. Karin Sekulin , Angela Hafner-Marx , Jolanta Kolodziejek , Dirk Janik , Peter Schmidt ,Norbert Nowotny , 2010 Emergence of canine distemper in Bavarian wildlife associated with a specific amino acid exchange in the haemagglutinin protein Vet.journal 10. Demeter, Z., Lakatos, B., Palade, E.A., Kozma, T., Forgách, P., Rusvai, M., 2007. Geneticdiversity of Hungarian canine distemper virus strains. Veterinary Microbiology122, 258–269. Diagnosi mediante identificazione virale Tutti i campioni pervenuti nel 2009 sono risultati positivi in RTPCR. Ventuno dei soggetti del 2010 hanno dato esito positivo in RT-PCR. L’analisi genetica di tutto il gene H (Genbank accession HM120874) di tre dei ceppi isolati ha dimostrato che il ceppo CDV delle volpi è altamente correlato geneticamente (identità > 99.7% nt e 100% aa) a ceppi di cimurro identificati nelle volpi della Bavaria del sud nel 2008 e al ceppo canino identificato in Ungheria nel 2005/2006. L’albero filogenetico illustra le correlazioni tra i vari ceppi CDV sulla base dell’allineamento nucleotidico del gene H. Per mezzo della rt-PCR genotipizzativa del gene dell’H, tutti i ceppi Cdv analizzati sono stati caratterizzati come genotipo Europeo. 60 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SIEROCONVERSIONE MAGGIORE gB+/gE- IN UN ALLEVAMENTO UFFICIALMENTE INDENNE DA BHV1 DOPO INTRODUZIONE DI SOGGETTI VACCINATI CON MARKER ATTENUATO Pitti M. 1, Masoero L. 1, Grego E. 2, Geninatti G. 3, Macario Ban M. 3, Rosati S. 2 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle D’Aosta, Torino Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco, Torino; 3 Libero professionista, Torino Parole chiave: Bovine herpevirus 1, vaccino marker, riattivazione Abstract We describe a major seroconversion in a BHV1 free bovine herd following the introduction of 12 animals which were previously vaccinated with attenuated marker vaccine. Although after dexametazone treatment of two cattle we were not able to identify the source of infection by virological and serological point of view, the most probable source of the seroconversion remains the reactivation of latent vaccine strain from one of the vaccinated animal and its rapid spread into negative population through nasal route. This note highlight the risk of persistence of gE negative strains in cattle population in course of eradication program. macellazione di urgenza e sui gangli del nervo trigemino (dx e sx), prelevati in sede di macellazione è stato eseguito un test di amplificazione genica utilizzando primers universali per gli alphaherpesvirinae dei ruminanti disegnati sulla seguenza del gene codificante la glicoproteina B. Esami sierologici: I campioni di siero di entrambi gli animali sottoposti a trattamento con desametazone sono stati esaminati in SN con virus BHV1 e CaHV1 ed ELISA gB. In aggiunta anche i sieri delle e capre sono state sottoposte ai medesimi esami sierologici. Risultati Nel periodo successivo all’inizio del trattamento con corticosteroidi, nessuno dei tamponi nasali ha dato esito positivo agli esami virologici e di amplificazione genica. Uno dei sue soggetti ha presentato un lieve incremento del tasso anticorpale, senza tuttavia soddisfare i criteri per considerare una sieroconversione positiva ( fig. 1 e 2). Introduzione In Piemonte è in corso un piano di controllo ed eradicazione su base volontaria per l’ infezione da BHV1. La situazione sanitaria degli alevamenti piemontesi è a macchia di leopardo, con allevamenti ufficialmente indenni (senza uso di vaccini marker) che risultano negativi alla sieroneutralizzazione (SN), ELISA gB (gB) ed ELISA gE (gE); allevamenti indenni ( in cui si utilizzano vaccini marker attenuati od inattivati) che risultano SN e gB positivi e gE negativi ed infine allevamenti infetti (da virus wild type o vaccinazioni pregresse non marker) che risultano positivi e tutti i test sierologici. Il rischio quindi di sieroconversioni maggiori negli allevamenti ufficialmente indenni è legato principalmente alla elevata presenza di allevamenti infetti nel territorio piemontese. Più limitata risulta invece la percezione del rischio che i vaccini marker attenuati possano circolare nella popolazione negativa. Nella presente nota riferiamo di un allevamento di frisone (N=140) ufficialmente indenne da IBR da diversi anni (ultimo controllo: 12/2008). Nel periodo compreso tra il 2/2009 ed il 5/2009, sono stati introdotti in azienda 12 capi provenienti da un allevamento in cui si praticava routinariamente la vaccinazione con marker attenuato (animali vaccinati fra il 10/2008 ed il 4/2009). Ad un successivo controllo sierologico (12/2009), l’88% dei capi autoctoni è risultato positivo alla SN ed ELISA gB e negativo all’ELISA gE, mimando il quadro sierologico tipico della vaccinazione DIVA. In azienda non veniva riferito di nessun trattamento immunizzante e di nessuna altra introduzione, salvo 3 capre presenti in azienda ma separate dal capannone dei bovini. Nel tentativo di confermare l’origine vaccinale della sieroconversione sono stati effettuati gli esami di laboratorio di seguito riportati. Fig 1.: Titolo SN dei due soggetti trattati con corticosteroidi dal tempo 0 al tempo T23 dopo trattamento Materiali e metodi Riattivazione dell’infezione latente. Due soggetti autoctoni gB+ e gE- sono stati sottoposti a trattamento con desametazone (0,1mg/Kg p.v.) per 9 giorni consecutivi. Prelievi di sangue sono stati effettuati nei giorni 0, 1, 7, 9, 12, 16 e 23 post trattamento (p.t.), mentre tamponi nasali sono stati eseguiti nei giorni 0, 2, 4, 6, 8, 12 e 16 p.t. Esami virologici e PCR: I tamponi nasali sono stati sottoposti in parte ad esame virologico utilizzando i substrati cellulari AUBEK ed MDBK ed in parte a test di PCR per l’ amplificazione di un frammento del gene codificante la glicoproteina C e di un frammento del gene Timidino Chinasi (TK). Nel periodo di osservazione, due bovini autoctoni sono stati sottoposti a Fig 2.: Percentuale di inibizione (ELISA gB) nei due soggetti trattati con corticosteroidi dal tempo 0 al tempo T23 dopo trattamento 61 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Le tre capre co-abitanti nella azienda sono risultate negative a tutti i testi sierologici. Anche la reazione di PCR eseguita sui gangli del trigemino nei soggetti macellati ha dato esito negativo. I titoli SN nei confronti di CaHV1 nei soggetti trattati con corticosteroidi sono risultati sempre inferiori a quelli ottenuti con BHV1 (dati non mostrati). gE-, la via di contagio più probabile sia stata quella nasale. E’ noto infatti che l’ inoculazione del vaccino marker vivo per via endonasale produce un eccessivo shedding virale, sufficiente per il contagio di un elevato numero di soggetti negativi. Concludendo, pur in assenza di una prova certa, l’ ipotesi più probabile della sieroconversione gB+/gE- rimane quella di una riattivazione di un ceppo vaccinale marker in un soggetto di recente introduzione e la rapida diffusione nella popolazione negativa per via respiratoria. Tale evento, del tutto asintomatico, tende comunque a compromettere lo stato di allevamento ufficialmente indenne, ritardando il conseguimento della completa eradicazione. Ulteriori indagini saranno effettuate in futuro nel tentativo di meglio comprendere ciò che si è verificato in questa azienda, anche allo scopo di quantificare in modo appropriato il rischio di circolazione di ceppi marker nella popolazione bovina. Discussione E’ noto che fra gli alphaherpesvirinae dei ruminanti esistono cross-reattività che possono simulare un quadro sierologico tipico della vaccinazione DIVA. Infatti la glicoproteina B è maggiormente conservata rispetto alla glicoproteina E. Quindi soggetti che si infettano con virus correlati (es. herpesvirus caprino) possono risultare positivi sia alla SN, eseguita con BHV1, sia all’ELISA gB. La presenza di capre nell’allevamento bovino in cui si è registrata la sieroconversione ci ha indotto a considerare questa ipotesi. Tuttavia considerando che tutte le capre sono risultate negative a tutti i test e nei bovini sottoposti a trattamento con corticosteroidi i titoli SN verso CaHV1 sono sempre risultati inferiori ai titoli ottenuti con ceppo BHV1, la probabilità che si sia verificata una infezione da CaHV1 appare poco probabile. La seconda ipotesi che abbiamo considerato è una riattivazione dell’infezione latente da parte di uno o più soggetti vaccinati ed una rapida diffusione del ceppo vaccinale nei soggetti negativi presenti in azienda. La prima condizione è stata difficilmente riprodotta in condizioni sperimentali e noi stessi non siamo stati in grado di ottenere l’eventuale riattivazione del virus gE negativo in due soggetti sottoposti a trattamento con corticosteroidi, nè di evidenziare movimento anticorpale, indice indiretto di stimolazione antigenica. I due soggetti, sottoposti a macellazione di urgenza non hanno evidenziato presenza del genoma virale nel ganglio del trigemino. E’ pur vero che esistono altri siti di latenza ma abbiamo ritenuto che a fronte di una cosi elevata prevalenza di soggetti gB+ e Bibliografia 1) THIRYJ., KEUSER V., MUYLKENS B., MEURENS F., GOGEV S., VANDERPLASSCHEN A., THIRY E. 2006. Ruminant alphaherpesviruses related to bovine herpesvirus 1. Vet Res, 37, 169-190. 2) MARS M.H., M. H. MARS, F. A. M. RIJSEWIJK, M. A. MARISVELDHUIS, J. J. HAGE, J. T. VAN OIRSCHOT. 2000, Presence of bovine herpesvirus 1gB-seropositive but gE-seronegative Dutch cattle with no apparent virus exposure. Vet Rec 147, 328-331 3) Lyaku J.R.S., Vilcek S., Nettleton P.F., Marsden H.S. 1996. The distinction of serologically related ruminant alphaherpesviruses by the polymerase chain reaction (PCR) and restriction endonuclease analysis. Vet. Microbiol. 48, 135-142. 4) M.H. Mars, M.C.M. de Jong, J.T. van Oirschot. 2000. A gEnegative BHV1 vaccine virus strain cannot perpetuate in cattle populations. Vaccine 18, 2120-2124. 62 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 UTILIZZO DELLA DGGE (DENATURING GRADIENT GEL ELECTROPHORESIS) PER IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE DI MICOPLASMI IN CAMPO AVICOLO 1 Battanolli G., 1Brustolin M., 1Bilato D., 1Gobbo F., 1Qualtieri K., 2McAuliffe L.,1Catania S., 1 Istituto Zooprofilattico delle Venezie, Laboratorio Diagnostica Clinica, Legnaro, Padova 2 Veterinary Laboratory Agency, Weybridge, UK Key words: DGGE, Identificazione di specie, Mycoplasma Summary In this short paper we show the application of a DGGE method to detect and identify mycoplasma species in samples taken from birds in the field. The method correctly identified a range of avian reference strains, before being applied in the field where it showed good diagnostic specificity for mycoplasmas in different clinical samples. The combination of microbiological and DGGE methods permits the rapid identification of a wide range of mycoplasma strains including those in mixed culture as well as enabling the detection of potentially new avian mycoplasma species. denaturazione correlate alla sequenza dei nucleotidi. L’utilizzo di primer specifici per la regione semiconservata del gene del 16S rDNA, il cui prodotto di amplificazione è differente a seconda della specie di micoplasma coinvolta, permettono l’utilizzo di tale tecnica per l’identificazione di specie, che viene raggiunta mediante comparazione del pattern ottenuto con quello di ceppi di controllo analizzati nella medesima corsa. Tale metodica è già stata applicata per identificare diverse specie di micoplasmi (3). Tali Autori riportano risultati molto incoraggianti ottenuti con i ceppi di referenza testati. Sulla base di tali considerazioni ci siamo proposti di applicare tale metodica durante il processo diagnostico delle micoplasmosi nel settore aviare. Introduzione I micoplasmi sono microrganismi unicellulari privi di parete cellulare e vengono considerati a causa delle loro esigenze metaboliche tra i microrganismi di difficile coltivazione. Alcune specie possono essere considerate quali saprofiti mentre altre presentano spiccate caratteristiche di patogenicità, infatti i micoplasmi possono provocare patologie sia su specie vegetali che animali, uomo compreso. In ambito aviare sono oltre venti le specie di micoplasma ad oggi conosciute, anche se tra queste rivestono un ruolo particolarmente importante solamente il Mycoplasma gallisepticum (MG), il Mycoplasma synoviae (MS), il Mycoplasma iowae ed il Mycoplasma meleagridis. Il loro ruolo nel settore zootecnico industriale è ampiamente dimostrato con perdite economiche piuttosto importanti. L’avvento delle metodiche biomolecolari ha permesso un netto miglioramento dell’attività diagnostica nei confronti di tali patogeni, anche se rispetto alle tecniche convenzionali, quali l’isolamento colturale, presenta alcuni svantaggi tra cui la non disponibilità del ceppo con conseguente impossibilità di approfondimento diagnostico e l’impossibilità nella diagnosi di coinfezioni con altre specie di micoplasmi aviari presenti nel campione. Le metodiche biomolecolari quali la PCR sono infatti solitamente specifiche e mirate su una particolare specie patogena, e pertanto è importante indirizzare la ricerca in base al sospetto diagnostico. Anche se l’isolamento colturale può by-passare tale problema, in quanto i terreni colturali potenzialmente possono supportare la crescita di tutte le specie di micoplasmi di origine aviaria, tale tecnica presenta diversi svantaggi tra cui i tempi di risposta che possono raggiungere le 4 settimane secondo il manuale OIE (1) ed inoltre la necessità di identificare le colonie coltivate con metodiche quali l’immunofluorescenza e l’inibizione della crescita su piastra poiché i micoplasmi, a differenza dei batteri, non permettono l’identificazione biochimica. Sulla base di tali considerazioni ci siamo proposti di applicare una metodica di tipo biomolecolare DGGE (Denaturing Gradient Gel Electrophoresis) al fine di identificare le specie di micoplasmi isolate da campioni clinici. La DGGE è una tecnica ampiamente utilizzata nello screening di prodotti di amplificazione con il fine di evidenziare in linea teorica anche singole mutazioni puntiformi (2). Tale tecnica si basa sulla capacità denaturante di diversi fattori (alta temperatura, urea, formamide) nei confronti della sequenza amplificata; questa tenderà a migrare nel gel in maniera differente a causa della formazione di bolle di Materiali e metodi Differenti specie di micoplasmi di origine aviaria e di provenienza certificata sono stati coltivati e processati secondo il protocollo di seguito descritto al fine di costituire un panel comparativo per l’identificazione delle specie di micoplasmi isolate dai campioni di campo. Oltre mille campioni di campo provenienti da allevamenti sospetti appartenenti a specie avicole differenti quali pollo, tacchino, fagiano, starna, colombo ed altre specie minori sono stati prelevati mediante tampone. Il prelievo veniva effettuato o a livello della fessura palatina o direttamente in trachea. Tale tampone è stato rapidamente stemperato in provette contenenti circa 3 mL di terreno Frey modificato o Experience avian medium. Tali media inoculati venivano successivamente filtrati (0.45µm) ed incubati a 37°C al 5% CO2, e quindi osservati giornalmente per la valutazione di eventuali acidificazioni o intorbidimenti. Al termine dei 7 giorni di incubazione, o prima nel caso in cui vi fosse acidificazione o intorbidimento, il brodo colturale veniva sottoposto ad estrazione con Kit commerciale (GenElute Bacterial genomic DNA Kit, Sigma-Aldrich), Contemporaneamente il brodo veniva inoculato in un identico medium agarizzato, al fine di valutare la presenza di colonie ed ottenere l’isolamento del ceppo. Per l’amplificazione è stato utilizzato un reverse primer specifico per l’ordine Mollicutes R543 (5’- ACCTATGTATTACCGCG ) e come forward una modifica del primer universale batterico GC-341(5’-CGCCC GCCGCGCGCGGCGGGCGGGGCGGGGGCACGGGGGG CCTACGGGAGGCAGCAG ). Tre microlitri di templato sono stati aggiunti a 47 µL di una mix contenente 1X reaction buffer, 1.5 mM MgCl2, 0.4 mM dNTPs 2.5 U Thermo Start-Taq DNA polimerasi (ThermoScientific). Il profilo termico utilizzato è quello descritto da McAuliffe et al.(3). Il prodotto di amplificazione veniva visualizzato mediante DGGE con gradiente di urea dal 30% al 60%. I ceppi isolati ed identificati mediante DGGE venivano confermati attraverso PCR specifiche (MG ed MS) od in alternativa mediante immunofluorescenza (IF) per le altre specie di micoplasmi. Infine ceppi ATCC o NCTC di Mycoplasma gallisepticum e Mycoplasma synoviae sono stati coltivati nei medium sopraccitati e quindi titolati secondo il metodo delle UCC (Unit 63 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Sicuramente l’abbinamento tra metodica microbiologica e metodica biomolecolare, permette di ottenere numerosi vantaggi tra cui possiamo ricordare: mantenimento in laboratorio del ceppo vitale per ulteriori approfondimenti diagnostici quali la MIC (Minimum Inhibitory Concentration), diagnosi di differenti specie di micoplasmi con un’unica metodica, possibilità di diagnosi delle infezioni miste, tempi di risposta ridotti (circa 8-10 giorni) rispetto ai metodi classici (4 settimane) ed infine la possibilità, grazie all’utilizzo di primer di genere, di sospettare la presenza di specie di micoplasmi ad oggi non ancora dimostrate. Naturalmente rimane da ricordare che tale metodica, a differenza delle metodiche biomolecolare classiche, come tutte le metodiche microbiologiche, dimostrerà solamente microrganismi vitali. Changing Colour); tali brodi sono stati analizzati in doppio, mediante DGGE e PCR classica, utilizzando gli stessi primer per testare il limite di sensibilità della prova. Risultati L’allestimento di un panel comparativo costituito da differenti specie di micoplasmi aviari conosciuti ha rappresentato la prima parte del lavoro (Fig.1). Questo ci ha permesso inoltre di confermare i dati riguardanti l’identificazione di specie mediante DGGE dei micoplasmi aviari. I campioni di campo analizzati hanno permesso di isolare ed identificare, mediante comparazione con i ceppi di riferimento, la quasi totalità dei campioni esaminati evidenziando una netta prevalenza del Mycoplasma gallisepticum e Mycoplasma synoviae nel settore avicolo industriale. Per quanto riguarda i campioni provenienti da allevamenti avicoli rurali, così come da allevamenti avicoli di specie differente, abbiamo isolato ed identificato ulteriori specie quali per esempio il Mycoplasma iners e il Mycoplasma columborale. Da evidenziare inoltre che tale metodica ha permesso anche l’identificazione di infezioni miste (Fig. 2). I ceppi isolati ed identificati mediante DGGE sono stati inoltre confermati mediante metodiche differenti quali PCR specifiche per MG e MS o identificazione mediante immunofluorescenza o sequenziamento per le altre specie. Solamente un ceppo da noi isolato non è stato identificato con metodica DGGE, poiché il pattern di migrazione del prodotto di amplificazione non era comparabile con nessuno dei controlli inseriti nel pannello da noi posseduto. Tale ceppo di micoplasma è stato isolato da campioni provenienti da starna, su tale ceppo è stata condotta una PCR di genere che ha confermato l’appartenenza al genere Mycoplasma ed in seguito mediante sequenziamento non si è ottenuta una identificazione di specie risolutiva. Infine la prova di sensibilità effettuata mediante l’utilizzo di brodi di Mycoplasma gallisepticum e Mycoplasma synoviae a titolazione conosciuta ci ha permesso di dimostrare una sensibilità della DGGE di 105 UCC/mL, mentre per la PCR classica è risultata di 10 UCC/mL. Bibliografia 1)Manual OIE Terrestrial, 2008, chapter 2.3.5:482-96 2)Leslie A. Knapp, 2009, Single Nucleotide Polymorphism, Screening with Denaturing Gradient Gel Electrophoresis, Methods Mol Biol; 578: 137-51 3)McAuliffe et al; Aug 2005; 16S rDNA PCR and denaturing gradient gel electrophoresis a single generic test for detecting and differentiating Mycoplasma species; J Med Microbiol, 54(Pt 8):731-9 Fig.1 Corsa DGGE di alcuni ceppi ATCC relativi alle specie aviarie utilizzati come controlli Fig.2 M. gallisepticum, M. synoviae, M. iners (lane 1, 2, 3);campione di campo dopo colturale con presenza di un pattern non sovrapponibile ai controlli (lane 4), campione di campo dopo colturale con presenza di coinfezione di M. gallisepticum e M.iners (lane 5) Discussione Dai risultati da noi ottenuti possiamo affermare che la metodica DGGE può essere utilizzata quale metodo di identificazione di specie per il genere Mycoplasma in campioni di campo provenienti da allevamenti avicoli. Tale metodica permette inoltre, anche con estrema facilità l’identificazione di infezioni miste che potrebbero rimanere occulte in quanto i test biomolecolari attualmente a nostra disposizione sono mirati solamente per alcune specie patogene. Tale dato aggiuntivo potrebbe permettere un potenziale approfondimento nello studio dello sviluppo e patogenesi di alcuni episodi particolarmente gravi di micoplasmosi aviare. La concordanza tra identificazione mediante DGGE ed altre metodiche consigliate dal manuale OIE (1) quali la PCR specifica per MG ed MS e l’immunofluorescenza su colonia ha manifestato una alta specificità della prova. Di contro c’è da evidenziare che la sensibilità della amplificazione utilizzata in questa metodica risulta essere piuttosto bassa (105 UCC\mL) ma che tale titolo è raggiungibile tramite lo step colturale in funzione della vitalità del ceppo e della sua concentrazione iniziale nel tampone. La bassa sensibilità è sicuramente da attribuire alla necessità di addizionare ad uno dei primer alcune basi aggiuntive (“clamp”), infatti i dati di sensibilità della prova con gli stessi primer non modificati hanno dato esiti nettamente migliori. 64 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 COMPARAZIONE DELLE PERFORMANCE DIAGNOSTICHE DI TRE SAGGI DI AMPLIFICAZIONE GENOMICA PER IL RILEVAMENTO DEL VIRUS DELLA MALATTIA VESCICOLARE SUINA Benedetti D., Pezzoni G., Grazioli S., Barbieri I., Brocchi E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia Key words: MVS, test molecolari, validazione SUMMARY Swine Vesicular Disease (SVD) is controlled in Italy by a surveillance and eradication program. Virological surveillance in faecal samples is based on molecular tests. In the present study diagnostic performances of a classic one-step RT-PCR, routinely applied in the national plan, were compared with those of Realtime RT-PCR and of a simple and rapid RT-LAMP using a wide panel of positive field and experimental samples. The assays showed a significant difference in capability to detect isolates of the two SVDV sub-lineages currently circulating, with LAMP and Real-Time PCR unable to amplify genomes of the Portuguese sublineage. The one-step RT-PCR remains the best test, while RealTime PCR may achieve the same diagnostic performance only if each sample is run in duplicate with two primers/probe sets. mediante elettroforesi in gel di agarosio. One step Real-time RT-PCR (Real-time PCR). I campioni sono stati esaminati con due diverse coppie di primers/sonda (2B-IR e 3-IR), descritte in letteratura (4), ciascuno specifico per zone diverse della regione non tradotta presente in 5’ (5’UTR) del genoma di MVS. La reazione è stata eseguita utilizzando il kit SuperScrpit III Platimun® One-step Quantitative RT-PCR System (Invitrogen), con chimica di tipo Taqman (FAM-TAMRA). Le analisi in PCR Real-time sono state condotte con lo strumento Step One Plus PCR system (Applied Biosystems) e le curve di amplificazione sono state elaborate con l’apposito software (Step One Software v 2.0 Applied Biosystems), normalizzando con ROX. One step RT Loop-mediated isothermal amplification (LAMP). La LAMP è un’amplificazione di tipo isotermico, esecutivamente molto semplice e veloce, in quanto la retro-trascrizione (nel caso di virus a RNA) e l’amplificazione genica avvengono in 1 ora a 60°C; per queste caratteristiche la LAMP è utilizzabile in laboratori poco attrezzati o addirittura sul campo. Inoltre questa metodica è caratterizzata da un’elevata specificità conferita dall’utilizzo di 4-6 primers. Il protocollo per MVS, recentemente descritto (1), utilizza sei diversi primers, disegnati per riconoscere otto regioni sulla sequenza target rappresentata da un frammento di 163 paia di basi del gene 3D. I prodotti amplificati sono stati visualizzati mediante elettroforesi in gel di agarosio, dove si evidenziano con un pattern di bande multiple (Fig.1); la specificità può essere confermata tramite digestione con un appropriato enzima di restrizione. Molto semplicemente, la visualizzazione dell’amplificato può anche essere ottenuta aggiungendo al termine della rezione Syber-green, che sviluppa una fluorescenza visibile nei campioni positivi. Sequenziamento. L’RNA estratto da feci risultate positive è stato successivamente amplificato con primers aventi come regione target una porzione di 487 paia di basi del gene che codifica per la 3D; il prodotto di amplificazione è stato purificato e sottoposto a reazione di sequenziamento utilizzando il Bid Dye terminator Kit (Applied Biosystems); le sequenze ottenute dallo strumento Genetic Analyzer 3130 (Applied Biosystems) sono state analizzate mediante software Lasergene, DNAstar. L’albero filogenetico era ottenuto mediante metodo Neighbor-Joining a seguito di allineamento multiplo di sequenze (ClustalW) usando il programma MEGA4 (2). INTRODUZIONE La Malattia Vescicolare del Suino (MVS), soggetta a denuncia obbligatoria, è regolarmente diagnosticata solo in Italia, dove è in vigore un Piano di sorveglianza ed eradicazione. Poiché nei focolai individuati nell’ambito dei controlli previsti dal Piano il decorso della malattia è divenuto quasi esclusivamente subclinico e la maggiore sorgente di infezione è rappresentata da feci infette, le indagini virologiche in campioni fecali associate alla sierosorveglianza sono strategiche per monitorare la circolazione del virus e per l’eradicazione della malattia. Il Centro Nazionale di Referenza per le Malattie Vescicolari (CERVES) dispone di un’ampia collezione di ceppi di virus MVS e di campioni fecali positivi; in questo studio le performance diagnostiche della onestep RT-PCR classica, sviluppata dal CERVES e applicata come test di screening nel Piano di sorveglianza, sono state confrontate con quelle della Real-time RT-PCR (4) e di una semplice e veloce RT-LAMP (1), descritte in letteratura ma non sufficientemente validate in campo, per accertarne eventuali vantaggi in termini di sensibilità e velocità. MATERIALI E METODI Virus utilizzati. Isolati italiani di virus MVS; ceppi di referenza rappresentativi di 7 sierotipi di teschovirus e di 3 enterovirus suini. Campioni. Feci prelevate sequenzialmente da 4 scrofe di razza Landrace sperimentalmente infettate con un ceppo di MVS isolato durante l’ondata epidemica del 2006 in Lombardia, appartenente al sotto-gruppo filogenetico Italiano; 73 campioni di feci di campo negativi; 73 campioni di feci positivi per MVS, originati da 73 diversi focolai individuati in Italia nel periodo 1997-2010. Estrazione dell’RNA. E’ stato seguito il protocollo sviluppato dal CERVES e raccomandato nel Manuale OIE (3): il virus presente nel campione è catturato dall’Anticorpo Monoclonale 5B7 adsorbito su piastre ELISA (3 pozzetti, 200µL di campione/pozzetto); dopo incubazione per 1 ora a 37°C, l’RNA è estratto mediante l’aggiunta di isotiocianato di guanidina, precipitato e risospeso in 20µL di acqua DEPC. Lo stesso RNA è stato utilizzato in tutte le metodiche valutate. One step RT-PCR (PCR classica). E’ la tecnica diagnostica validata ed utilizzata in routine presso il CERVES. Retrotrascrizione e PCR sono eseguite nello stesso tubo usando il kit One-step RT-PCR (Qiagen). Il prodotto di amplificazione ottenuto con i primers raccomandati nel Manuale OIE (3) è un frammento di 156 paia di basi del gene 3D, visualizzato RISULTATI Specificità. La specificità analitica, valutata in parallelo con tutti i saggi in esame su teschovirus ed enterovirus suini, è risultata del 100% così come la specificità diagnostica rilevata dall’analisi di 73 campioni di feci di campo negativi. Sensibilità. La sensibilità analitica è stata valutata analizzando diluizioni seriali di due isolati italiani (R1394/2002 e R1516/2006) cresciuti in coltura cellulare a titolo noto; le diluizioni sono state eseguite in sospensioni di feci negative per mimare le condizioni di applicazione diagnostica (effetto matrice). L’RNA estratto da ciascuna diluizione è stato analizzato in parallelo con le metodiche in esame. I test hanno mostrato una differenza nella diluizione limite rilevabile di 1-2 log10. In particolare le PCR classica e Real-time sono risultate più sensibili e con un limite di rilevamento nel range 1-10 TCID50, rispetto al test LAMP il cui limite si è classificato nel range 10-100 TCID50 (Fig.1, Tab1). La sensibilità diagnostica è 65 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 stata valutata su 73 campioni fecali positivi originati da altrettanti focolai diagnosticati in Italia nell’arco degli ultimi 14 anni. L’analisi filogenetica basata sulla sequenza della 3D dei 73 ceppi di virus MVS ha evidenziato la presenza contemporanea in Italia di due sotto-gruppi virali: uno comprendente virus tipicamente evoluti in Italia dal 1992 (lineaggio italiano) e l’altro comprendente virus identificati per la prima volta in Portogallo nel 2003 e dal 2004 anche in Italia (lineaggio portoghese). In tabella 2 sono riportati i risultati comparativi dei vari metodi, con il dettaglio della concordanza/discordanza tra test. La PCR classica ha dimostrato la migliore performance rilevando tutti i 73 (100%) campioni, mentre la LAMP non ha amplificato sei ceppi del lineaggio italiano e nessuno dei 26 appartenenti al lineaggio portoghese. Questi potevano essere individuati solo quando la carica virale era molto elevata, ad esempio dopo replicazione in coltura cellulare. Mediante Real-time PCR, dei 47 campioni fecali contenenti virus MVS del lineaggio italiano, 39 (82%) erano amplificati con il set primers/sonda 2B-IR, mentre salivano a 45 (95%) quelli positivi con il set primers/sonda 3-IR. Tutti i 47 campioni erano tuttavia identificati come positivi associando i risultati di entrambe le prove. I campioni di campo del lineaggio portoghese erano tutti amplificati con il set primers/probe 2B-IR, mentre sono risultati tutti negativi con l’altro. L’amplificazione non è stata osservata neppure a partire da virus replicato in colture cellulari. La sensibilità diagnostica è stata ulteriormente valutata su campioni di feci di quattro scrofe prelevati periodicamente fino a 49 giorni post-infezione (gpi) sperimentale. Da 3 a 21 gpi i test hanno presentato la massima concordanza: tutti i campioni hanno fornito esito positivo con ogni metodica; nelle fasi più avanzate dell’infezione le PCR classica e Real-time hanno presentato performance simili e una sensibilità superiore alla LAMP, confermando le precedenti osservazioni. Nella Real-time PCR inoltre si è confermata la migliore sensibilità del set 3-IR rispetto a 2B-IR. 2. Kumar S. et al., 2008, MEGA: A biologist-centric software for evolutionary analysis of DNA and protein sequences, Brief. in Bioinformatics 9 p.299-306. 3. OIE Manual of Diagnostic Test and Vaccines for Terrestrial Animals, 2008, Chapter 2.8.9: Swine Vesicular Disease, p.1139-1145. 4. Reid S.M., et al., 2004, Evaluation of Real-time transcription polymerase chain reaction assays for the detection of swine vesicular disease virus, J. Virol. Methods, 116 p. 169-176. Tabella1 Sensibilità analitica dei test PCR classica, LAMP e Real- time PCR Limite di rilevamento (log 10 TCID50) PCR classica LAMP 1-10 10-100 Real-time PCR 2B-IR 3-IR 1-10 1 Figura 1. Prodotti di amplificazione ottenuti con PCR classica e LAMP da diluizioni di virus MVS preparate in una sospensione di feci negative PCR CLASSICA LAMP DISCUSSIONE E CONCLUSIONI I risultati dello studio di sensibilità analitica e delle prove su campioni sperimentali hanno concordemente dimostrato che le PCR classica e Real-time hanno nel complesso sensibilità analitica simile e superiore di circa 1 Log a quella del test LAMP. Tuttavia i risultati sui campioni diagnostici hanno evidenziato una significativa differenza dei vari test nella capacità di rilevare ceppi di virus MVS dei due lineaggi genomici (italiano e portoghese) attualmente presenti. Infatti, LAMP e Real-time PCR eseguita con il primers/probe set 3-IR non sono in grado di amplificare genomi del lineaggio portoghese, pertanto nonostante i rispettivi potenziali vantaggi, entrambi i test non hanno i requisiti sufficienti per essere utilizzati come test diagnostici. Inoltre, sia il test LAMP che entrambe le combinazioni di primers/probe nella Realtime PCR non hanno identificano alcuni campioni positivi per il lineaggio italiano. Oltre che ad una minore sensibilità analitica limitatamente alla LAMP, queste gravi assenze di reattività sono probabilmente imputabili a mismatching nella regione target delle rispettive sonde. Studi di sequenza mirata sono in corso per accertare le mutazioni e rispettive posizioni più critiche per l’esito delle reazioni. In conclusione la PCR classica validata ed utilizzata presso il CERVES si conferma il test migliore, mentre la Real-time PCR potrebbe raggiungere le stesse performance diagnostiche solamente se ogni campione è analizzato in doppio con due set di primers/sonda. Tabella 2. Numero e percentuale di campioni fecali di campo, rappresentativi dei due sotto-gruppi virali circolanti, identificati con i diversi metodi di amplificazione genomica lineaggio genom. N. 47 Italiano Portog. 32 7 2 5 1 26 PCR classica 47 100% + + + + + 26 100% LAMP Real-time PCR 2B-IR 3-IR both 41 87% + + + 0 0% 39 82% + + + 26 100% 47 100% + + + + + 26 100% 45 95% + + + + 0 0% Tabella 3. Performance diagnostica dei tre metodi in esame su campioni di feci da 4 scrofe infettate sperimentalmente Giorni p.i. 0 3-21 28 35 42 49 BIBLIOGRAFIA 1. Blömstrom A. L., et al., 2008, A one-step reverse transcriptase loop-mediated isothermal amplification assay for simple and rapid detection of swine vesicular disease virus, J. Virol. Methods 116 p.169-176. N° di campioni (= N. suini) positivi su 4 Real-time PCR LAMP 2B-IR 3-IR 0 0 0 0 4 4 4 4 4 3 4 4 4 0 2 4 1 0 1 1 1 0 1 1 PCR classica RINGRAZIAMENTI Dott. M. Bugnetti, Sig.ra D. Tironi. Lavoro finanziato dal Ministero della Salute, PRC 2006/001, PRC 2008/002. 66 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE DEGLI ANTIGENI RICOMBINANTI ORF2 E ORF3 IN UN TEST ELISA PER LA RICERCA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN SUINI Stercoli L., Pezzoni G., Brocchi E. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia Key words: HEV, Reagenti biotecnologici, ELISA suini Summary Hepatitis E virus (HEV) is the aetiological agent of enterically transmitted non-HAV and non-HBV hepatitis. Swine HEV isolates show close genetic relatedness to the human genotype 3 and may have a role as zoonotic agents. In this study the ORF2 and ORF3 capsid proteins were expressed in both E.coli and Baculovirus systems and specific monoclonal antibodies (MAbs) were produced for the development of ELISA assays for antibody detection in swine sera. The ORF2 protein was shown to be highly immunogenic, in contrast to ORF3, and the ELISA based on Baculovirus-expressed antigen, captured by a MAb, showed the best performances, detecting an overall seroprevalence of 50%. generare “virus like particles” nel sistema baculovirus (3) è stata clonata nel vettore pFASTBac1 (Invitrogen) per essere prodotta con il sistema d’espressione SF9/Baculovirus. La sequenza codificante la proteina ORF3 è stata clonata solo nel vettore pQE30. Per ogni clonaggio sono stati sequenziati e selezionati alcuni dei cloni ottenuti. Antigeni ricombinanti. Le proteine ORF2 e ORF3 ottenute mediante l’espressione in E.Coli sono state purificate per mezzo di una coda di Istidine all’N-terminale utilizzando la resina Ni-NTA (Qiagen), mentre la proteina ORF2 tronca (112-608 aa) ottenuta mediante il protocollo Bac to Bac System (Invitrogen) è stata raccolta nel sovranatante delle cellule Sf9 (Spodoptera frugiperda 9) infettate con il baculovrus ricombinante specifico. Anticorpi monoclonali (AcM). Gli splenociti di due topi Balb/C immunizzati, attraverso 2 o 3 inoculazioni sequenziali rispettivamente, con la proteina purificata ORF2 espressa in E.Coli sono stati sottoposti a processo di fusione con cellule di mieloma NS0 secondo un protocollo standardizzato nel laboratorio. Lo screening del sovranatante degli ibridomi ottenuti, effettuato attraverso ELISA indiretta verso l’antigene omologo, ha portato alla selezione di 45 AcM. Per una preliminare caratterizzazione, è stata valutata la reattività degli AcM anche verso la proteina ORF2 tronca (112-608 aa) espressa da baculovirus, mediante un test di immunofluorescenza su cellule Sf9 infettate, e la reattività nei confronti di antigeni peptidici in una ELISA commerciale. Al momento, solo una parte degli AcM sono stati esaminati in Western blotting. Saggi competitivi tra i sovranatanti di coltura degli ibridomi e i sieri suini sono stati inoltre approntati per valutare la capacità dei sieri suini positivi HEV di inibire il legame di ogni AcM all’antigene omologo ORF2. ELISA indiretta. Per la sierologia nei suini è stato disegnato un test ELISA per ciascuno dei tre antigeni ricombinanti prodotti. Entrambe le proteine ORF2 (E.Coli e Baculovirus) sono state catturate e purificate su fase solida mediante uno specifico AcM (4E12) adsorbito, mentre l’antigene purificato ORF3 espresso in E.Coli è stato fissato direttamente su piastra. I sieri sono stati esaminati alla diluizione 1:100 e la presenza di specifici anticorpi legati all’antigene è stata evidenziata con un AcM anti-IgG suine prodotto in laboratorio e coniugato alla perossidasi. I risultati ottenuti sono stati normalizzati calcolando la percentuale di positività (%P) di ogni siero rispetto alla reattività di un siero di controllo positivo, esaminato in ogni piastra; solo per il test ELISAORF3 i risultati non normalizzati sono espressi in Densità Ottica. ELISA commerciale. Il kit commerciale HEV Ab ELISA (Dia. Pro Diagnostic Bioprobe) per la ricerca di anticorpi umani è stato utilizzato come test comparativo dopo essere stato adattato per i sieri suini: poiché il metodo è una ELISA indiretta il rilevatore è stato sostituito con l’AcM anti-IgG suine coniugato utilizzato nei test home-made. L’antigene è rappresentato da una coppia di peptidi ORF2 e ORF3 (30-40 aa di lunghezza) per ciascuno dei due ceppi di virus Introduzione L’epatite virale E è un’infezione acuta del fegato a trasmissione oro-fecale, il cui agente eziologico è un virus a RNA, appartenente alla famiglia Haepeviridae, genere Hepevirus. Il virus HEV (Hepatitis E Virus) è costituito da una particella capsidica icosaedrica che racchiude un genoma a singolo filamento positivo di RNA lungo circa 7,5 kilobasi. Il virus è un agente zoonosico e recenti studi hanno confermato la presenza endemica dell’infezione in molti allevamenti suini italiani (2). E’ stata riscontrata una stretta relazione genetica tra ceppi virali identificati nei suini e genotipo umano. La possibilità che questa specie rappresenti un serbatoio naturale della malattia ed un veicolo della trasmissione zoonosica (1) consiglia maggior attenzione verso gli strumenti utilizzati per individuare questa infezione nei suini. Obiettivo del presente studio è quindi lo sviluppo di metodiche ELISA per la ricerca di anticorpi anti-HEV nei sieri suini, mediante la produzione delle proteine ricombinanti ORF2 e ORF3, considerate i principali antigeni immunogeni durante l’infezione da HEV, e di specifici anticorpi monoclonali. Materiali e Metodi Clonaggio. L’RNA virale è stato estratto da feci di suini infettati sperimentalmente con un ceppo di campo italiano (genotipo 3) utilizzando il kit QiAamp Viral RNA-Minikit (Qiagen). La regione corrispondente ai geni codificanti ORF2/ORF3 è stata retro-trascritta ed amplificata attraverso una nestedPCR. La retro-trascrizione e la prima amplificazione sono state eseguite utilizzando il kit onestep Titan One Tube RTPCR System (Roche), mentre la seconda amplificazione è stata eseguita utilizzando il sistema PfuTurbo Hotstart DNA Polymerase (Stratagene). Il costrutto ottenuto è stato quindi inserito in un vettore pCR-Blunt II-TOPO (Invitrogen) e sequenziato. Le regioni codificanti per le proteine ORF2 e ORF3 sono state successivamente amplificate separatamente utilizzando primers specifici con siti di restrizione per il subclonaggio delle stesse in vettori d’espressione. La regione nucleotidica codificante l’intera proteina ORF2 (1660 aa) è stata clonata nel vettore di espressione batterico pQE30 (Qiagen); una sua porzione (112-608 aa) in grado di 67 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 umano, Birmano e Messicano. Sieri. Sono stati esaminati 609 sieri suini, di cui 390 provenienti da 16 allevamenti del nord Italia di varia tipologia (ingrasso, svezzamento, ciclo aperto e centri genetici) e 219 provenienti dal centro-sud Italia. Inoltre sieri di 22 suini Specific Pathogen Free (SPF) e sieri di due suini infettati sperimentalmente e prelevati a vari intervalli sono stati utilizzati come controlli per verificare e calibrare le reazioni. disegnato con antigene di origine suina, ma negativi al test commerciale umano: quest’ultimo ha identificato il 35% di campioni positivi rispetto al 51% evidenziato dal test homemade. L’esame dei sieri sperimentali ha confermato la tendenza osservata con i sieri di campo. Il test ELISA con ORF2Baculovirus ha chiaramente evidenziato sieroconversione a 21g post infezione; con i test ELISA ORF2-E.coli e commerciale la sieroconverisone è rilevata con leggero ritardo e minore intensità, mentre non è stata rilevata risposta immune verso ORF3 nei due suini infettati (Fig. 2). La siero conversione misurata si riferisce esclusivamente alla classe IgG, essendo l’Ac rivelatore specifico per questo isotipo. Risultati Antigeni ricombinanti e AcM. I tre antigeni ricombinanti sono stati prodotti con alte rese; per ognuno di loro il peso molecolare e la reattività con sieri suini positivi è stata confermata mediante western blotting. Dei 45 AcM risultati reattivi nei confronti della proteina intera ORF2 espressa in E.Coli, 41 hanno reagito anche con la proteina ORF2 tronca (112-608aa) prodotta nel sistema baculovirus. Nessuno degli AcM ottenuti ha dimostrato capacità di inibire il legame di sieri suini positivi all’antigene e solamente 1 su 45 è risultato debolmente reattivo nei confronti del cocktail peptidico utilizzato nel test ELISA commerciale. I 12 AcM valutati in western blotting hanno riconosciuto la proteina ORF2 denaturata prodotta in E.Coli. Per lo sviluppo di saggi ELISA è stata valutata la capacità di due AcM (4E12 e 1D4) di fungere da Ac di cattura per legare e purificare l’antigene in un complesso immune su fase solida. L’AcM 4E12 è stato selezionato per la migliore efficienza di cattura e di presentazione della ORF2 alla reazione con i sieri suini. ELISA. Tutti i sieri sono stati esaminati con i tre saggi ELISA home-made basati sui tre antigeni ricombinanti e col kit commerciale. Una chiara separazione tra campioni reattivi e non reattivi nella popolazione è stata osservata soprattutto nel saggio home-made con la ORF2 prodotta in Baculovirus. Data l’assenza di un “gold standard”, il cutoff per ciascun saggio è stato selezionato considerando il profilo di reazione dei sieri SPF e la correlazione tra i test. In particolare, le soglie definite sono rispettivamente 10 e 25 %P per i test ELISA ORF2-Baculovirus e ORF2-E.coli, 20 %P per il test commerciale e il valore di Densità Ottica 0.4 per l’ELISA-ORF3. Nell’esame dei 609 sieri di campo, i saggi ELISA sviluppati con le proteine ORF2 prodotte in E.Coli e in baculovirus hanno mostrato la miglior correlazione (Fig.1), con una concordanza del 93,5% (Tab.1). Mentre la maggior parte dei 22 campioni discordanti, positivi solo al test con ORF2 espressa in baculovirus, presentavano una reattività elevata, i 14 sieri positivi solo al test con ORF2 da E.coli reagivano con valori border-line, attribuibili a probabili falsi-positivi. Questa minore specificità del test ELISA con antigene da E.Coli è corroborata anche dal profilo di reattività dei sieri SPF (non mostrato). La risposta immune verso ORF2 evidenziata con i due test ELSA sviluppati ha rilevato una sieroprevalenza generale nella popolazione suina italiana del 50%. Campioni positivi sono stati riscontrati in 14 allevamenti su 16, con un range di prevalenza tra 17 e 100%. Solo 29 (5%) sieri su 609 sono risultati reattivi verso la proteina ORF3 nel rispettivo test (non mostrato). Tra il test ELISA basato su ORF2-Baculovirus, che ha presentato le migliori performance, e il test commerciale la concordanza rilevata è solo del 77%, con un significativo sbilanciamento di sieri positivi nel test home-made, Discussione Le proteine ORF2 e ORF3 sono state espresse con successo nei sistemi baculovirus/Sf9 ed E.Coli ed un ampio pannello di AcM specifici nei confronti della proteina ORF2 è stato prodotto. Questi reagenti sono risultati particolarmente utili per sviluppare saggi ELISA homemade per la ricerca di anticorpi anti-HEV. I risultati hanno dimostrato che l’antigene ORF2 è altamente immunogeno nei suini, a differenza dell’antigene ORF3, e che il sistema d’espressione della proteina ricombinante ORF2 mediante baculovirus fornisce le migliori performance. La minore sensibilità mostrata dall’ELISA commerciale rispetto ai test ELISA-ORF2 sviluppati è probabilmente imputabile oltre che alle differenze antigeniche tra ceppi suini ed umani di HEV, anche ad una miglior antigenicità delle proteine fulllenght. Figura 1. Correlazione tra i risultati ottenuti in ELISAtrapping con antigene ORF2 espresso in Baculovirus ed in E.coli (Scatter plot di 609 sieri suini di campo) Tabella 1. Risultati dei test ELISA-trapping con antigene ORF2 espresso in Baculovirus e in E.coli applicati a 609 sieri di campo ELISA trapping ORF2-Baculovirus ELISA trapping ORF2-E.coli 68 sieri + - totale + 288 14 302 - 22 285 297 totale 310 299 609 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Figura 2. Reattività dei sieri prelevati dopo infezione sperimentale di due suini: confronto tra i differenti test ELISA Bibliografia 1. Alini D., 2008. Epatite virale E (HEV): il rischio zoonotico. Webzine Sanità Pubblica Veterinaria, Numero 46, Febbraio 2008. ISSN p.1592-1581 2. Di Bartolo I., Martelli F., Inglese N., Pourshaban M., Caprioli A., Ostanello F., Ruggeri F.M., 2008, Widespread diffusion of genotype 3 hepatitis E virus among farming swine in Northern Italy, Veterinary Microbiology, 132 p.47-55 3. Tian-Cheng Li, Naokazu Takeda, Tatsuo Miyamura, Yoshiharu Matsuura, Joseph C. Y. Wang, Helena Engvall, Lena Hammar, Li Xing, and R. Holland Cheng, 2005, Essential Elements of the Capsid Protein for SelfAssembly into Empty Virus-Like Particles of Hepatitis E Virus, Journal of virology, 79 p.12999–13006 Ringraziamenti Progetto finanziato dal PRC2006/001. 69 Ministero Italiano della Salute XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 GARANZIE SANITARIE DEI MOLLUSCHI TRASFORMATI CON TECNOLOGIE INNOVATIVE Arcangeli G. a, , Terregino C. a, De Benedictis P. a , Rosteghin M.a , Zecchin B. a, Manfrin A. a , Rossetti E. b, Rovere P. c e Brutti A. c a Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Legnaro (Pd); b Consorzio Pescatori del Polesine – Scardovari – Rovigo; c Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari – Parma; Keywords: vongole veraci, norovirus, alte pressioni idrostatiche. Introduzione: Tra i prodotti ittici, i molluschi bivalvi (MB), data la loro caratteristica di essere animali filtratori, sono senza dubbio l’alimento più a rischio per il potenziale accumulo di sostanze nocive per l’uomo. Numerosi sono i microrganismi, le tossine e gli inquinanti chimici segnalati: virus enterici, vibrio, salmonelle, biotossine da fitoplancton tossico, metalli pesanti, diossine, solo per ricordare i principali (4). Nonostante la normativa europea consideri con molta severità il controllo dei MB, sono comunque numerose le segnalazioni di infezione/intossicazione nell’uomo. In questi ultimi anni gli “allerta” per infezioni da virus enterici sono aumentate in tutta Europa, soprattutto sostenute da Norovirus (NV) (fam. Caliciviridae), a seguito di consumo di MB crudi (6). Il trattamento dei MB con alte pressioni (HHPHigh Hydrostatic Pressure) può essere una garanzia per il consumatore in quanto in grado di inattivare eventuali NV presenti garantendo al tempo stesso la conservazione delle proprietà nutrizionali dei MB che con la cottura andrebbero perse. In questo studio è stato verificata l’efficacia delle HHP nei confronti di un ceppo di norovirus murino (MNV-1), un surrogato del NV in grado però di replicare su coltura cellulare. Pool di vongole veraci (R. philippinarum) infettate sperimentalmente con MNV-1 sono stati sottoposti a HHP con valori tra 3000 e 5000 Bar (pari a 300 e 500 Megapascal - MPa) a differenti intervalli di tempo, da 1 fino a 6 minuti. Il valore di applicato pari a 500 MPa per 1 minuto si è dimostrato efficace per inattivare il MNV-1. Summary : Bivalve molluscs, due to their filtering activity, are the seafood more dangerous for the possibility to accumulate toxic substances, i.e. enteric viruses, salmonella, biotoxins, toxic phytoplankton, eavy metals, dioxins, ect. In particular, during these last years the allerta related to NVs presence in bivalve molluscs are increased. In this study we investigated the ability of HHP to inactivate murine norovirus (MNV-1), a recognised surrogate for NoV, in experimentally infected Manila clams. Pools of infected live clams were subjected to hydrostatic pressure ranging from 300 to 5000 MPa for different time intervals between 1 and 6 minutes. Virus vitality post-treatment was assessed and the data obtained indicates that the use of HHP of at least 500 MPa for 1 minute were effective in inactivating MNV-1. Materiali e metodi: La ricerca è stata condotta sulla ghiandola digestiva del MB indicata come organo d’elezione per la concentrazione del NV nei molluschi (2). Il ceppo di MNV-1 è stato gentilmente fornito dal Prof. H. W. Virgin, della Washington University School of Medicine, MO, USA. Le linee cellulari: RAW 264.7. Il numero di unità formanti placca (PFU)/ ml, è stato determinato con il metodo proposto da Wobus et al. 2004 (7). Contaminazione delle vongole: 200 vongole veraci raccolte in aprile 2010 in laguna di Scardovari (Ro), nel Delta del Po, sono state messe in una vasca con 100 lt di acqua con salinità del 3,5% a 15 °C e con il 90% di ossigeno disciolto. Le vongole non sono state depurate per ridurre al minimo lo stress di adattamento all’ambiente artificiale e non comprometterne le capacità filtratorie. Dopo 24 ore di acclimatamento l’acqua della vasca è stata contaminata con MNV-1 in modo da ottenere un titolo finale in acqua pari a 4 log TCID50 ml -1. Le vongole, del peso medio di 10 g ciascuna, sono state lasciate 24 in acqua contaminata. Trattamento con HHP: a) preparazione dei campioni: 7 sacchetti di polypropylene sono stati prepararti con 10 soggetti ognuno. 6 di questi sono stati sottoposti a trattamento con HHP ed il rimanente utilizzato come controllo. I singoli sacchetti sono stati conservati a 4°C fino al momento del trattamento, 24 ore più tardi. b) è stato utilizzato un compressore Avure QFP 35® della capacità di 35 lt in grado di sviluppare fino a 600 MPa. La temperatura durante l’esperimento è stata di 20°C. Estrazione virale: eseguita secondo la procedura proposta da Baert et al., 2008 (1). La prova è stata ripetuta 3 volte a distanza di 8 giorni ciascuna. Risultati e discussione: I risultati sono riassunti in tabella 1. Da notare la graduale diminuzione del titolo virale all’aumentare del valore di pressione applicato. Con 500 MPa per 10 minuti è stata ottenuta la completa inattivazione virale. In altri lavori, le alte pressioni sono state applicate con successo nelle ostriche, notoriamente consumate crude, per verificarne l’efficacia nei confronti di calicivirus felino e murino. Non ci sono lavori di valutazione di HHP verso le vongole veraci che più di altri molluschi possono veicolare virus enterici perché vivono in lagune, ambienti con acqua salmastra e chiusi, solitamente contaminati da questi virus e che parimenti ad altri molluschi possono essere consumati crudi o poco cotti (5). Paragonando l’intensità di pressione con la durata dell’applicazione, i due profili mostrano che non esiste correlazione lineare nel decremento di vitalità del virus murino sia all’aumentare del tempo sia dell’intensità di pressione. Il valore di 500 MPa trovato come efficace, è leggermente superiore a quello impiegato da Kingsley, 2007, in ostriche infettate con MNV-1 , dove un trattamento con 400 MPa per 5 minuti a 5°C si è dimostrato efficace (3) , impiegando però temperature e strumenti per HHP diversi. Ringraziamenti: Il presente lavoro è stato condotto grazie al finanziamento del Ministero della Salute agli IIZZSS (Ricerca corrente IZSVe 02/2007). Un doveroso ringraziamento Fabio Borghesan e Marco Penzo per i preziosi consigli tecnici. Bibliografia 1. Baert, L., Uyttendaele, M., Vermeersch, M., Van Coillie, E., Debevere, J., (2008), Survival and transfer of murine norovirus 1, a surrogate for human noroviruses, during the production process of deep-frozen onions and spinach. J. Food Prot. 71, 87–94. 2. Le Guyader F.S., Bon F., DeMedici D., Parnaudeau S., Bertone A., Crudeli S., et al. ,(2006), Detection of multiple noroviruses associated with an international gastroenteritis outbreak linked to oyster consumption. J Clin Microbiol. ; 44 (11): 3878-82; 3. Kingsley D.H., Holliman D.R., Calci K.R., Chen H., and Flick G.J., (2007), Inactivation of a Norovirus by High-Pressure Processing. Appl. Envir. Microbiol. 73,581-585. 4. Lees D. ,(2000) Viruses and bivalve shellfish. Int J Food Microbiol 59:81-116; 70 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 5. Suffredini E., Corrain C., Arcangeli G., Fasolato L., Manfrin A., Rossetti E. et al., 2008 “Occurrence of Enteric Viruses in shelfish and relation to climatic-environmental factors”, di, Letters in Appl. Microbiol., 20, 462-468. 6. Westrell T, Dusch V, Ethelberg S, Harris J, Hjertqvist M, Jourdan-da Silva N et al., (2010), Norovirus outbreaks linked to oyster consumption in the United Kingdom, Norway, France, Sweden and Denmark, Euro Surveill. 2010;15(12):pii=19524. Available online: http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle. aspx?ArticleId=19524 7. Wobus, C. E., Karst, S. M., Thackray, L. B., Chang, K.O., Sosnovtsev, S. V., Belliot, G., et al. (2004), Replication of norovirus in cell culture reveals a tropism for dendritic cells and macrophages. PLoS Biology, 2, 2076–2084. Tabella 1 Condizioni sperimentali Prova I Prova II Prova III Valore medio Pressione Tempo applicazione(min) Non trattato - 4.2 x104 3.75x104 2.73x104 3.56 x 104 300MPa 1 3.7x104 1.5x104 1.3x104 2.16x104 300MPa 3 1.9x104 1.9x104 0.8x104 1.53x104 300MPa 5 1.2x104 1.8x104 1.5x104 1.50x104 400MPa 1 1.0x104 1.4x104 1.2x104 1.20x104 400MPa 5 0.8x104 1.2x104 1x104 1.00x104 400MPa 10 3.6x103 3.5x103 3.5x103 3.53x103 500MPa 1 - - - - 500MPa 5 - - - - 500MPa 10 - - - - 600MPa 1 - - - - 600MPa 3 - - - - - - - - Controllo negativo Titolo virale 71 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RICERCA DI E. COLI, SALMONELLA SPP., VIRUS DELL’EPATITE A E NOROVIRUS NEI MOLLUSCHI BIVALVI: DATI PRELIMINARI Salzano C., Saggiomo F., Toscano V., Grimaldi P., Guarino A., Fusco G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Caserta Keywords: Norovirus, Hepatitis A virus, Real-time PCR ABSTRACT European Legislation fixed microbiological, chemical and bio toxicological limits for shellfish but no virological limits. In the present study the results of Hepatitis A virus (HAV) evaluation and Norovirus contamination in 35 bivalve shellfish are reported. All the samples were negative for HAV whereas three samples were positive for the Norovirus GI and six samples for Norovirus GII. cozze (Mytilus galloprovincialis), provenienti da zone classificate come classe B della provincia di Caserta (Castelvolturno) e 4 cannolicchi (Solen marginatus), provenienti da banchi naturali della provincia di Salerno. 2.2 Controlli microbiologici Le metodiche utilizzate, per la ricerca di Salmonella spp e il conteggio di E.coli mediante MPN, sono state rispettivamente UNI EN ISO 6579: 2004 e ISO TS 16649-3:2005. 2.3 Controlli virologici Per la ricerca del virus dell’epatite A, NoVGI e NoV GII è stato utilizzato un protocollo fornitoci dal Laboratorio Nazionale di Riferimento per il controllo delle contaminazioni virali dei molluschi bivalvi (Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare - Reparto Adempimenti Comunitari e Sanità Pubblica dell’Istituto Superiore di Sanità). Tale protocollo prevede l’utilizzo di 2 ml di una soluzione di proteinasi K (0.1mg/ml) (Sigma–Aldrich, Milano, Italia) alla quale è stato aggiunto 2 g di epatopancreas sminuzzato; tale preparato è stato incubato prima a 37° C in agitazione per 60 min e successivamente in bagnomaria a 65°C per 15 min. I campioni sono stati centrifugati a 3000 x g per 5 min e il surnatante è stato prelevato e conservato a -20°C. L’estrazione dell’RNA è stata eseguita con il Kit Nucleospin RNA II (Macherey- Nagel GmbH & Co., Dϋren, Germany) seguendo le istruzioni della ditta produttrice. L’estrazione è stata condotta su 500 µl di campione e l’RNA è stato eluito con 100 µl di buffer di eluizione. La mix di retrotrascrizione e la PCR (one step) è stata preparata utilizzando i materiali presenti nel kit Platinum qRT PCR Thermoscript one step system (Invitrogen). I primers e le sonde utilizzate per il virus dell’Epatite A sono: (FW) HAV68 5’-TCA CCG CCG TTT GCC TAG-3’, (REV) HAV240 5’- GGA GAG CCC TGG AAG AAA G-3’, probe HAV 150 FAM- CCT GAA CCT GCA GGA ATT AA-MGB (2), per i Norovirus GI: (FW) QNIF4 5’CGC TGG ATG CGN TTC CAT-3’ (3), (REV) NV1LCR 5’-CCT TAG ACG CCA TCA TCA TTT AC-3’, probe NGI FAM-TGG ACA GGA GAY CGC RAT CTTAMRA (4), per i Norovirus GII: QNIF2 (FW) 5-‘ATG TTC AGR TGG ATG AGR TTC TCW GA-3’ (5), (REV) COG2R 5’- TCG ACG CCA TCT TCA TTC ACA-3’ (6), probe NGII FAM-AGC ACG TGG GAG GGC GAT CG-TAMRA (5). La retrotrascrizione e l’amplificazione è stata effettuata con il seguente profilo termico: 55°C per 60 min, 95° C per 5 min, e 45 cicli a 95° C per 15 sec , 60° per 1 min e 65° per 1 min. Il campione è stato considerato positivo qualora presentava un Ct ≤ 44. 1. INTRODUZIONE Ad oggi, se escludiamo l’art. 11 comma 5, lett. B del Reg. CE 853/2004 che lascia la possibilità di stabilire i “requisiti igienico sanitari supplementari in collaborazione con il laboratorio di riferimento comunitario per i molluschi bivalvi vivi compreso analisi virologiche e le relative norme virologiche”, non esiste una specifica normativa che stabilisce la ricerca di virus enterici nel sopra citato alimento. A ciò si aggiunge il Decreto Legislativo n°191 del 2006 che obbliga le regioni del territorio nazionale e le province autonome ad applicare un piano di sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica di ciascun territorio verso gli agenti zoonotici previsti nell’allegato I parte B del regolamento, tra i quali risultano annoverati anche Calicivirus e il virus dell’Epatite A (HAV). In Italia i casi registrati di insorgenza di gastroenterite da epatite A sono ancora numerosi e molti di questi, registrati in regione Campania, sono stati attribuiti proprio al consumo di molluschi bivalvi. Entrambi i virus, Norovirus (NoV) ed HAV, si diffondono per via oro-fecale, pertanto i MEL (Molluschi Eduli Lamellibranchi) si contaminano indirettamente con acqua contaminata da feci di individui infetti. Inoltre HAV e NoV, per la loro capacità di dare infezione a dosi basse (1-10/UFP) e di sopravvivere a lungo nell’ambiente esterno, sono considerati una delle principali cause di gastroenterite nell’uomo. in Italia i casi segnalati di malattia alimentare da Norovirus, sono ancora pochi, ma in ambito internazionale si è registrato un numero considerevole di episodi. Difatti, nel 2006 nel sistema di allerta comunitario per alimenti e mangimi (RASFF) sono pervenute nove segnalazioni di episodi di malattia da alimenti contaminati tra cui ostriche crude (1). Il ruolo di potenziale vettore di patologie virali riconosciuto ai MEL, è legato alla loro peculiarità di essere organismi filtratori, per cui possono concentrare nei loro tessuti non solo contaminanti chimici ma anche batteri e virus quando allevati o raccolti in acque contaminate da scarichi fognari. In conclusione, alla luce di quanto sopra riferito, poiché il possesso dei corretti requisiti igienico sanitari per la produzione e successiva immissione sul mercato dei molluschi viene stabilito sulla base dei criteri microbiologici e biotossicologici indicati dal Reg. (CE) n° 2073/2005, riteniamo interessante valutare in questa tipologia di alimento, a nostro avviso a rischio riguardo alla presenza di contaminanti virali enterici, oltre alla presenza di E.coli e Salmonella spp., anche la presenza di HAV e NoV genogruppi GI e GII, patogeni ritenuti a livello internazionale tra le principali cause di gastroenterite nell’uomo. 4. Risultati e Discussione I risultati ottenuti nel presente studio, sebbene riferiti ad un numero non elevato di campioni, risultano interessanti e per questo richiedono doverose considerazioni. Salmonella spp. è risultata assente in tutti i campioni così come il virus dell’Epatite A. Diversamente, 8 campioni di MEL sono risultati positivi per E. coli al metodo convenzionale. Riguardo quest’ultimo dato, è utile precisare che la presenza di E. coli, è stata ritrovata in 8 campioni di cui 4 rappresentati da cozze e 4 da cannolicchi. In tutti i campioni il conteggio batterico risultava inferiore a 230 MPN/100g e solo un campione di cozze presentava 2. Materiali e Metodi 2.1 Campionamento L’indagine è stata effettuata su 35 campioni di cui 31 erano 72 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 un valore di poco superiore al limite di legge. La presenza di RNA virale appartenente al genere Norovirus, genogruppo GII è stata rilevata in 6 campioni, mentre il genogruppo GI in 3 dei 35 esaminati. I dettagli delle positività sono riportate in tabella 1. In merito alla co-presenza Norovirus ed E. coli i dati ottenuti risultano i seguenti: dei 3 campioni positivi per Norovirus GI, solo in un campione di cannolicchi è stata riscontrata presenza di E. coli con valore di 78 MPN /100g, mentre nei 6 campioni positivi per Norovirus GII, è stata riscontrata la presenza di E coli solo in 2 campioni di cannolicchi con valori, rispettivamente, di 230 MPN/g e 78 MPN/100g (Tab. 2). Infine riguardo alla co-presenza di entrambi i genogruppi di Norovirus, solo un campione di cannolicchi, risultato positivo anche ad E. coli con conteggio di 78 MPN /100g, è risultato positivo ad entrambi i genogruppi. La quasi totalità dei campioni esaminati, eccetto 4 campioni di cannolicchi, sono stati raccolti dai servizi veterinari da una zona classificata come categoria B, secondo quanto stabilito dal Reg. 854/2004 CE. I risultati ottenuti relativamente all’indice di contaminazione fecale sono abbondantemente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa per i mitili vivi raccolti dalla zona classificata B. L’attuale normativa ritiene E. coli, a nostro avviso giustamente, un ottimo marker biologico per la valutazione indiretta di fecalizzazione dell’acqua. A tale proposito anche il Comitato Scientifico per le Misure Veterinarie in relazione con la Salute Pubblica (CSMVSP) raccomanda il 19-20 settembre 2001 l’uso di E. coli quale indicatore biologico della qualità dell’acqua di raccolta dei mitili. Alla luce dei risultati ottenuti che indicano un’assenza di correlazione tra E.coli e Norovirus, riteniamo che l’utilizzo del solo patogeno E. coli come indicatore biologico indiretto della qualità dell’acqua e dell’alimento è insufficiente e che si debba necessariamente integrare l’attuale normativa con una norma che preveda anche l’impiego di un marker virale adeguato, sia per sensibilità e facilità d’ impiego della tecnica in uso per il suo ritrovamento e sia per capacità di sopravvivenza nell’ambiente. Si ricorda che un indicatore per essere definito tale e adatto allo scopo, deve presentare caratteristiche biologiche e biochimiche simili ai patogeni e le metodiche utilizzate per il suo ritrovamento devono essere sensibili, possibilmente rapide, validate e standardizzate. Tanto premesso, si comprende facilmente che nel caso dei virus, essendo questi incapaci di replicarsi nell’alimento e, possedendo caratteristiche biologiche e biochimiche totalmente diverse dai batteri, possono essere, con buona probabilità, rilevati in un alimento solo utilizzando marker biologici simili. Nel nostro studio la quasi totalità dei campioni risultati positivi per Norovirus, risultavano negativi alla presenza di E. coli , se consideriamo i limiti di legge stabiliti per i mitili raccolti nelle zone classificate sia B che A. Riteniamo interessante evidenziare che la presenza di E. coli, sebbene al di sotto dei limiti di legge, risultava presente in tutti i campioni di cannolicchio esaminati. E’ nostra opinione che questa specie di mollusco merita una particolare attenzione poichè vive insabbiata presso aree naturali, e non essendo stata sottoposta ad alcuna attività di depurazione, può presentare requisiti igienico sanitari differenti rispetto a specie che si allevano in filari in aree controllate. Inoltre, è anche utile evidenziare che indicatori batterici, rispetto ai virus quali il virus dell’Epatite A ed i Norovirus, presentano una maggiore sensibilità ai fattori ambientali ostili e ai processi di depurazione delle acque e pertanto nei loro confronti il processo di depurazione risulta molto più efficace (7,8); effetto che non sussiste quando i contaminanti risultano essere virus. Alla luce di ciò, considerando che l’attuali normative non prevedono limiti per la presenza di contaminanti virali nei molluschi vivi, proponiamo alle Autorità competenti di valutare misure aggiuntive all’attuale norma al fine di sorvegliare e quindi garantire l’assenza di Norovirus in molluschi vivi dopo permanenza nelle varie zone con particolare riguardo a quelle di classe A. L’impiego routinario della metodica biomolecolare può risultare una soluzione utile ed efficace alla problematica segnalata anche in funzione del fatto che la metodica è considerata la più sensibile anche dal Ministero della Salute che ne raccomanda l’applicazione (1) per il rilievo di contaminanti virali negli alimenti. Tab. 1: Presenza di NoV, virus dell’Epatite A, E. coli e Salmonella spp. in campioni di molluschi bivalvi. campioni N° NoV GI NoV GII HAV E. coli Salmonella spp. Cozze cannolicchi 31 4 2 1 4 2 0 0 4 4 0 0 Tab. 2: Correlazione tra i campioni positivi per NoV ed il numero di E. coli (MPN/100g). Campioni positivi per Norovirus cozze cannolicchi NoVGI NoVGII E. coli + + + - + + + + + + 78 MPN/100g 230MPN/100g 4. Bibliografia 1) Raccomandazione del Ministero della Salute - Direzione Generale per la sicurezza degli alimenti e della nutrizione Ufficio VIII- ex VI Prot. DGSAN/VII (ex VI) 3734 del 20/04/2007. 2) Costafreda MI., Bosch A., Pintò RM. 2006 Development, evaluation, and standardization of a real-time TaqMan reverse transcription-PCR assay for quantification of hepatitis A virus in clinical and shellfish samples. Appl. Environ Microbiol. 72(6): 3846-3855. 3) Da Silva AK., Le Saux JC., Parnaudeau S., Pommepuy M., Elimelech M., Le Guyader FS. 2007 Evaluation of removal of noroviruses during wastewater treatment, using Real-time Reverse Transcription-PCR: different behaviors of genogroups I and II. Appl. Environ Microbiol 73(24):7891-7897 4) Svraka S., Duizer E.,Vennema H., de Bruin E., van der Veer B., Dorresteiјn B., Koopmans M. 2007. Etiological role of viruses in outbreaks of acute gastroenteritis in the Netherlands from 1994 through 2005. J. Clin Microbiol. 45 (5): 1389-1394. 5) Loisy F., Atmar RL., Guillon P., Le Cann P., Pommepuy M., Le Guyader FS. 2005 Real time RT-PCR for noroviruses screening in shellfish. J. Virol Methods. 123(1): 1-7. 6) Kageyama t., Koiјma S., Shinohara M., Uchida K., FuKushi S., Hoshino FB., Takeda N., Katayama K. 2003 Broadly reactive and highly sensitive assay for Norwalk- like viruses based on real-time quantitative reverse transcription-PCR. J Clin Microbiol. 41(4): 1548-1557. 7) Franco E., Toti L., Gabrieli R., Croci L., De Medici D., and Pana A. 1990. Depuration of Mytilus galloprovincialis experimentally contaminated with hepatitis A virus. International Journal of Food Microbiology 11, 321-328. 8) Ueki y., Shojoi M., Suto A., Tanabe T., Okimura Y., Kikuchi Y., Saito N., Sano D. and Omura T. 2007 Persistence of caliciviruses in artificially contaminated oysters during depuration. Applied and Environmental Microbiology 77,(17) , 5618-5701. 73 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PREVALENZA DI VIBRIO SPP ISOLATI DA PRODOTTI ITTICI CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS Costa A.1, Alio V. 1, Canonico C. 2 ,Potenziani S. 2, Russo Alesi E.M. 1, Di Noto A.M. 1 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche, Ancona Key words: V. parahaemolyticus, serotyping, seafood, antimicrobial resistance SUMMARY The aim of this study was to value the prevalence and the antimicrobial resistance of Vibrio spp., particularly Vibrio parahaemolyticus, in samples of fishing products collected in the years 2006-2009 in the Sicilian region. A total of 250 samples (110 shellfish, 120 fish and 20 cephalopods) were analysed. Vibrio spp was isolated in 80 samples (32%) and in 66.3% of shellfish. V. alginolyticus was the most frequently isolated (81.3%), followed by V. parahaemolyticus (13.8%). The isolates of V. parahaemolyticus were tested by PCR for the presence of species- specific genes (toxR and tlh) and to detect the tdh and trh genes and serotypes: of all 11 strains analysed, 1 had the trh gene and 1 had tdh gene, both isolated in mussels, belonged to serotype O8 K36 e OUT K30. The isolates were also examined to check their susceptibilities to different antimicrobial agents. di biologia molecolare. Inoltre su diversi ceppi di Vibrio spp. isolati è stata valutata la suscettibilità antibiotica mediante metodo di diffusione in agar. MATERIALI E METODI Nel periodo 2006-2009 sono stati analizzati, per ricerca di Vibrio spp, un totale di 250 campioni di alimenti ittici tra cui: 110 molluschi bivalvi vivi (93 campioni di mitili, 11 di vongole e 6 di ostriche), 20 molluschi cefalopodi (5 campioni di calamari, 4 di totani e 11 di polpi) e 120 teleostei freschi di varie specie provenienti da pescherie della Sicilia occidentale. Le specie esaminate sono riportate in Tab 1. L’indagine è stata effettuata in particolare su campioni di molluschi bivalvi vivi, pervenuti in laboratorio a seguito di campionamenti presso gli impianti di produzione e di stabulazione della regione Sicilia, da parte dei servizi veterinari delle AUSL, per i controlli sanitari previsti in normativa (2). Per la ricerca di Vibrio spp. potenzialmente patogeni (ISO/ TS21872-1:2007) sono stati utilizzati un terreno cromogeno (CHROMagar) ed il TCBS (Thiosulphate Citrate Bile Sucrose) agar; le colonie sospette sono state identificate mediante prove biochimiche di conferma (TSI-S agar, test di alotolleranza, prova dell’indolo, test dell’arginina, lisina e ornitina) e/o mediante sistemi biochimici miniaturizzati (API 20 E e API 20 NEbioMerieux). I ceppi identificati come V. parahaemolyticus sono stati ulteriormente caratterizzati per la presenza dei geni speciespecifici (toxR e tlh) e per i geni tossigeni (tdh e trh) codificanti per i fattori di virulenza del patogeno mediante metodo PCR (6). Tali isolati negli ultimi due anni sono stati sottoposti a sierotipizzazione nei confronti degli antigeni O (lipopolisaccaridico) e K (capsulare) mediante antisieri del commercio (7). Le metodiche biomolecolari e sierologiche sono state eseguite dall’IZS di Ancona, LNR per le contaminazioni batteriologiche dei molluschi bivalvi. L’antibioticoresistenza è stata da noi determinata, sui ceppi di Vibrio spp isolati, con il metodo di diffusione in agar (Kirby Bauer) testando i seguenti antibiotici: amoxicillina + ac. clavulanico, ampicillina, cefotaxime, cefalotina, ciprofloxacina, cloramfenicolo, colistina, gentamicina, kanamicina, tetraciclina, trimethoprim-sulfametoxazolo, vancomicina. INTRODUZIONE Il genere Vibrio comprende microrganismi molto diffusi nelle acque marine e facilmente isolabili da diverse specie ittiche come pesci, molluschi bivalvi e cefalopodi, crostacei. Diverse specie appartenenti alla famiglia Vibrionaceae sono associate ad infezioni nell’uomo e negli animali, trasmesse per contatto diretto con l’ambiente acquatico o attraverso ingestione di alimenti o acqua contaminata (3,4). La patogenicità dei ceppi batterici di Vibrio è dovuta alla produzione di tossine. Il ruolo svolto da ceppi patogeni tossigeni di V. parahaemolyticus, V. cholerae e V. vulnificus nelle patologie gastroenteriche, dovute in particolare al consumo di molluschi bivalvi e prodotti ittici crudi, è documentato da tempo. Altre specie hanno manifestato occasionalmente patogenicità, tra le quali V. alginolyticus (1,9). Attualmente il parametro Vibrio patogeni non è inserito nel Reg (CE) n. 2073/2005 e successive modifiche (Reg. CE 1441/2007) sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari: viene comunque evidenziata dalla Comunità Europea la necessità di raccogliere dati sulla diffusione dei ceppi di Vibrio potenzialmente patogeni nei prodotti della pesca, con particolare riguardo a V. parahaemolyticus e V. vulnificus. L’importanza di verificare le proprietà tossigene dei ceppi di V. parahaemolyticus isolati nei prodotti della pesca, effettuata mediante PCR (ricerca geni tdh e/o trh), è stata evidenziata negli ultimi anni da una nota del Ministero della Salute, su parere dell’Istituto Superiore di Sanità, allo scopo di stabilirne l’eventuale non conformità (5). E’ recente inoltre l’isolamento di ceppi pandemici di V. parahaemolyticus in Italia, in casi di gastroenterite associati al consumo di mitili locali (7,8). Nella regione Sicilia sono attualmente attivi impianti di molluschicoltura presso Siracusa (mitili) e Licata (ostriche) e siti di stabulazione e centri di depurazione/spedizione (CDM/CSM) nella provincia di Messina. In questo caso i mitili a loro volta provengono dall’alto e medio Adriatico ma possono anche avere provenienza estera, soprattutto dalla Spagna. Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la prevalenza di Vibrio spp. in prodotti ittici freschi, in particolare molluschi bivalvi vivi, con particolare riferimento a V. parahaemolyticus. I ceppi isolati di V. parahaemolyticus sono stati sottoposti a caratterizzazione biochimica e tossicologica mediante tecniche Tab 1 Tipologia e n. campioni esaminati 2006- 2009 Tipologia campioni Molluschi bivalvi 93 Mytilus galloprovincialis 11 Tapes philippinarum 6 Ostrea edulis Orate d’allevamento Teleostei 20 Spaurus aurata 100 Molluschi cefalopodi 11 Eledone moscata 5 Loligo vulgaris 4 Todarodes sagittatus TOTALE 74 n. campioni esaminati 250 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RISULTATI Su 250 campioni analizzati, 80 (32%) sono risultati contaminati da Vibrio, di cui 53 (66.3%) campioni di molluschi bivalvi, 23 di teleostei (28.7%) e 4 di molluschi cefalopodi (5.0%). Tra le specie di Vibrio spp isolate, la specie prevalente è stata V. alginolyticus (81.3%) isolata in particolare nei molluschi bivalvi. Tra i vibrioni minori, identificati: V. litoralis (3) e V. metschnikovii (1). Riguardo a ceppi di Vibrio spp potenzialmente patogeni, nella nostra indagine sono stati isolati 11 ceppi (13,8%) di V. parahaemolyticus, di cui 10 nei mitili e 1 in un campione di teleostei (sarde). I ceppi di Vibrio spp. sono stati isolati in qualunque periodo dell’anno: in alcuni campioni di mitili sono stati isolati due specie di Vibrio. Nei campioni da noi esaminati non sono state identificate altre specie di interesse sanitario quali V. vulnificus e V. cholerae (Tab 2). Tra gli 11 isolati di V. parahaemolyticus, 1 ceppo è risultato tdh+ e 1 ceppo trh+ , entrambi isolati da mitili, rispettivamente sierotipizzati come O8 K36 e OUT K30, sierotipi non rientranti tra i cloni pandemici. Il ceppo tdh+ è stato isolato da un campione di mitili, a sua volta proveniente dal medio Adriatico (Tab 3). Alcuni ceppi risultati non tossigeni, sono in corso di sierotipizzazione. I ceppi di V. parahaemolyticus, riguardo l’antibioticoresistenza, sono risultati sensibili agli antibiotici testati, tranne 4 resistenti all’ampicillina, 3 alla tetraciclina e 1 resistente ad amoxicillina + ac. clavulanico, ampicillina e colistina. La resistenza agli antibiotici è stata testata anche nei ceppi di V. alginolyticus, la maggior parte dei quali ha mostrato resistenza ad ampicillina ed amoxicillina. In entrambe le specie, diversi i ceppi resistenti alla vancomicina. CONCLUSIONI I risultati ottenuti dall’indagine evidenziano come la contaminazione da Vibrio spp sia una problematica di notevole interesse. Riguardo V. parahaemolyticus è stata osservata una maggiore incidenza nei mitili rispetto ad altri prodotti ittici, come più spesso riportato in letteratura. Studi recenti hanno confermato la diffusione di V. parahaemolyticus nei mari italiani (3,4): dati di letteratura mostrano che la frequenza di ceppi tossigeni isolati dai prodotti ittici risulta essere piuttosto bassa (dall’1% al 3%) (5). Lo sviluppo delle metodiche biomolecolari ha permesso negli ultimi anni la verifica delle proprietà tossigene dei ceppi di V. parahaemolyticus isolati, effettuata mediante PCR (ricerca geni tdh e/o trh). In tempi recenti inoltre, il riscontro di alcuni sierotipi responsabili di pandemie in Asia, Africa ed America ha portato l’attenzione su questa problematica anche in Europa ed in Italia (7). Studi recenti mostrano infatti l’associazione di casi clinici di infezione da V. parahaemolyticus pandemico e consumo di molluschi bivalvi locali (8). Da qui l’importanza della sierotipizzazione dei ceppi isolati, estendendo l’indagine ai possibili isolamenti in tutti i prodotti ittici. Nel contempo riteniamo utile studiare l’antibiotico resistenza di ceppi di Vibrio sia patogeni che potenzialmente tali, per valutare la eventuale diffusione di resistenze in ceppi diffusi nella flora autoctona marina. Come già sottolineato da diversi autori, è auspicabile includere la ricerca di V. parahaemolyticus patogeni nei sistemi di sorveglianza per le infezioni gastroenteriche nonché nei programmi di monitoraggio delle aree di raccolta dei molluschi bivalvi. Tab 2 Tipologia campioni Mitili vongole ostriche Orate allevam Teleostei Molluschi cefalopodi (1) Austin B. (2010) Vibrios as causal agents of zoonoses Vet § Microbiol 140; 310-317 TOTALE V. parahaemol 10 V. alginolyt 33 7 3 V. spp totale 1 43 7 3 1 2 2 1 11 (13.8%) 20 BIBLIOGRAFIA (2) Costa A.,Cardamone C., Alio V.,Grippi F., Napoli C.,Vella A., Nifosì D (2009) Controllo sanitario dei molluschi bivalvi nella regione Sicilia: monitoraggio microbiologico, chimico e biotossicologico XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. , Parma 30/09-2/10/2009, pag.120-121 (3) Croci L., Suffredini E. (2003) Rischio microbiologico associato al consumo di prodotti ittici Ann Ist Sup Sanità; 39 (1); 35-45 21 4 2 4 65 (81.3%) 4 (4.9%) 80 (32%) (4) Masini L.,Bacchiocchi S.,Marangoni V.,Santarelli S., Ottaviani D. (2006) Indagine sulla prevalenza di vibrioni patogeni nei prodotti della pesca e dell’acquacoltura Industrie Alimentari XLV (4); 410-413 (5) Ministero della Salute comunicazione Prot. DGVA III del 15/09/2005 –Parere dell’ISS a seguito conclusione del gruppo di lavoro sul V.parahaemolyticus nei prodotti della pesca Tab 3 Tipologia campioni Mitili Mitili Mitili mitili Mitili Mitili mitili Mitili Mitili Mitili Sarde Prelievo presso Allevamento SR Allevamento SR Allevamento SR Stabulazione ME Allevamento SR Stabulazione ME Allevamento SR Stabulazione ME Allevamento SR Stabulazione ME Pescheria PA Tdh Trh Sierotipo - - - - - - - - O10:K70 - + OUT K30 + - O8:K36 - - O3:K48 - - O11:K40 - - O4:K34 (6) Ottaviani D, Santarelli S.,Bacchiocchi S., Masini L. Ghittino C., Bacchiocchi I. (2005) Presence of pathogenic V. parahaemolyticus .strains in mussels from the Adriatic Sea, Italy Food Microbiology 22; 585-590 (7) Ottaviani D, Leoni F, Rocchegiani E, Santarelli S, Canonico C, Masini L, Ditrani V, Carraturo A. (2008). First clinical report of pandemic Vibrio parahaemolyticus O3:K6 infection in Italy. J Clin Microbiol. 46:2144-2145. (8) Ottaviani D, Leoni F, Rocchegiani E, Canonico C, Potenziani S, Santarelli S, Masini L, Scuota S, Carraturo A. (2010) Vibrio parahaemolyticus-associated gastroenteritis in Italy: persistent occurrence of O3:K6 pandemic clone and emergence of O1:KUT serotype. Diagn Microbiol Infect Dis. 66:452-455. (9) Ripabelli G., Luzzi I. (2001) Infezioni da batteri del genere Vibrio Microbiologia Medica 1:43-51 75 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 LA SHELF-LIFE DI VONGOLE VERACI (RUDITAPES PHILIPPINARUM) ALLEVATE E DEPURATE, DA DESTINARE AL CONSUMO UMANO. Favretti M.(1), Pezzuto A.(1), Furlan F.(1), Zentilin A.(2), Arcangeli G.(1) e Cereser A.(1) .(1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – Legnaro (Pd); (2) Almar - Acquacoltura Lagunare Marinetta - Soc. Coop. Agricola a.r.l. – Marano Lagunare (UD) Key word: shelf life, vongole veraci, SUMMARY According to European and national laws on bivalve shellfish, the alive bivalve shellfish must stay alive during their shelf life in conformity with microbiological, chemical, physical and biotoxicological parameters. The aim of this research is to define ideal parameters of time and temperature in order to preserve depurated Ruditapes philippinarum during shelf life. I campioni sono stati trasportati al Laboratorio in contenitori coibentati entro 4 ore dal termine della depurazione; al momento della consegna è stata effettuata la valutazione ispettiva e quindi si è proceduto all’esecuzione delle analisi. Le analisi, eseguite in laboratorio accreditato ACCREDIA, sono state le seguenti: - Numerazione di enterobatteri totali (ISO 21528-2:2004) - Numerazione di Escherichia coli β-glucuronidasi positivi (MPN) (ISO/TS 16649.3:2005) - Ricerca di Salmonella spp. (ISO 6579:2002/Cor1:2004 (E)) - Esame ispettivo (aspetto, odore, colore, resistenza all’apertura, vitalità, peso totale dei soggetti vivi, peso medio dei soggetti vivi, numero di soggetti rotti e non vitali). Le analisi sono state effettuate al tempo zero e dopo 1, 2, 3, 4, 6, 8 giorni dal confezionamento a tre diverse condizioni di temperatura: 6±1°C, 10±1°C e 20±1°C. I campioni sono stati conservati, dal momento della consegna al Laboratorio al momento dell’analisi, a diverse temperature in refrigeratori e camere termostatiche con controllo della temperatura in continuo (sistema Labguard II®). I campioni sono stati mantenuti nelle loro confezioni originali fino al momento dell’esecuzione dell’analisi. Le analisi dei campioni a 20°C sono state interrotte al quarto giorno di vita commerciale in quanto non aveva più senso proseguire, visto lo scadimento delle caratteristiche organolettiche del prodotto. PREMESSA In base all’attuale normativa sull’igiene dei prodotti alimentari (Reg.ti UE relativi al c.d. Pacchetto igiene) ed alle linee guida nazionali sui molluschi bivalvi del 25 gennaio 2007, i molluschi bivalvi vivi (MBV) in fase di commercializzazione devono rimanere vivi e vitali per l’intera durata della vita commerciale (shelf-life). Inoltre i MBV devono essere conformi ai parametri microbiologici, chimici, fisici (radionuclidi) e biotossicologici stabiliti da specifiche normative. Mentre la presenza di contaminanti chimici, fisici e biotossicologici è legata allo stato di contaminazione delle aree di allevamento/raccolta dei MBV, la presenza di contaminanti batterici, e segnatamente E. coli e Salmonella spp. che rappresentano i due parametri scelti dalla normativa come markers di contaminazione fecale, potrebbe essere legata anche ad una non corretta gestione del prodotto una volta immesso sul mercato. La normativa relativa ai MBV già prevede una attenzione particolare nella fase di commercializzazione al fine di garantire la massima igiene. Sono infatti vietate operazioni come la reimmersione in acqua o l’aspersione del prodotto finito, fatto salvo i Centri di Depurazione (CDM) che dispongano di impianti idonei, lo stoccaggio promiscuo con altri prodotti ittici, i quali devono essere accuratamente separati onde evitare rischi di contaminazioni crociate. I MBV devono essere obbligatoriamente confezionati in contenitori/sacchi di rete/ vaschette chiuse e con etichetta inamovibile. Scopo di questa indagine è quello di definire valori guida per quanto riguarda temperatura e tempo di conservazione di vongole veraci depurate e la relativa influenza sulla carica microbica fecale iniziale, considerata l’assenza di una specifica bibliografia di riferimento. RISULTATI -Ricerca di Salmonella spp. in 25 g: L’analisi è stata effettuata al tempo zero su 5 unità campionarie e non è stata rilevata la presenza di Salmonella spp. -Numerazione di enterobatteri: valori espressi in ufc/g TEMPERATURA GIORNO 0 6°C < 40 < 40 10°C 20°C < 10 1 2 < 10 < 40 < 40 < 40 280 < 10 < 10 3 MATERIALI E METODI I molluschi facevano parte di un lotto di produzione raccolto in un area di allevamento lagunare ubicata in Laguna di Marano e Grado (Nord Adriatico), classificata Zona B e quindi da destinare al CDM. Le condizioni di depurazione sono state mantenute del tutto simili a quelle utilizzate dalle normali procedure adottate dal CDM. Il Centro di Depurazione adotta un sistema a ciclo chiuso con acqua trattata e condizionata termicamente che alimenta un impianto a flusso verticale in Bins. Il campione sottoposto a prova era costituito da 25 unità campionarie di vongola verace (Ruditapes philippinarum) confezionate in sacchetti in rete da 1 kg cadauno ciascuno con la propria etichetta. 4 < 10 < 10 < 10 150 < 40 < 10 6 < 10 < 10 < 10 < 10 < 10 < 10 8 < 40 < 40 < 10 < 10 36 45 < 10 < 10 < 10 210 140 < 10 < 10 < 10 < 10 < 10 < 10 Non sono presenti valori di riferimento normativi. Il Reg. CE 2073/2005, considera quasi unicamente Escherichia coli quale indicatore di contaminazione fecale Gli enterobatteri sono, in genere, batteri poco esigenti e vanno visti come microrganismi indesiderabili negli alimenti, non solo perché fra essi si annoverano specie potenzialmente patogene (Salmonella, Shigella, ceppi verocitossici o enteropatogeni di E. coli), ma anche perché 76 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 nei primi giorni ed ha evidenziato una brusca diminuzione soprattutto nei campioni conservati a 10°C. con il loro metabolismo possono degradare sensibilmente le caratteristiche sensoriali del prodotto. I valori riscontrati nei vari momenti di analisi nei campioni conservati alle diverse temperature sono sempre risultati inferiori al limite di rilevabilità del metodo o comunque bassi. -Numerazione di Escherichia coli β glucuronidasi positivi (MPN): valori espressi in MPN/100g Esame ispettivo conservazione a 6°C: DATA TEMPERATURA TEMPERATURA GIORNO 0 6°C < 20 80 10°C 20°C 130 1 2 < 20 80 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 3 4 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 6 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 8 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 < 20 12/05/2009 GG DI VITA 14/05/2009 16/05/2009 18/05/2009 20/05/2009 0 2 4 6 8 6°C 6°C 6°C 6°C 6°C PESO TOTALE VIVI (g) 1016,0 959,0 987,0 1009,6 888,4 891,2 933,0 858,9 833,1 N.ESEMPLARI VIVI 114 108 112 111 98 106 108 103 102 PESO MEDIO VIVI (g) N. ESEMPLARI ROTTI 8,9 8,9 8,8 9,1 9,1 8,4 8,6 8,3 8,2 1 5 1 0 4 4 0 2 0 ODORE ESTERNO 3 3 3 2 1 2 2 1 2 COLORE ESTERNO 3 3 3 3 3 3 2 2 2 RESISTENZA ALL’APERTURA ODORE INTERNO, DOPO APERTURA 3 3 3 3 3 2 2 2 2 3 3 3 3 3 3 3 3 3 VITALITA’ 3 3 3 3 3 3 2 1 1 Legenda: VALORE < 20 Escherichia coli è un microrganismo appartenente alla famiglia delle enterobatteriaceae, normalmente presente nell’ intestino umano e animale; la sua presenza al di fuori del tratto intestinale è indicazione di contaminazione fecale. CARATTERISTICHE 3 2 ODORE ESTERNO nullo alghe/mare COLORE ESTERNO lucente RESISTENZA 1 0 acre/stanco pungente/marcio opaco marrone vivo resistente mediamente poco aperte nullo alghe/mare acre/stanco pungente/marcio morti<1% 2%<morti<4% 5%<morti<7% morti>8% ALL’APERTURA ODORE INTERNO, Il Reg. CE 2073/2005 prevede un limite di 230 MPN/100g per molluschi provenienti da area A o depurati; pur essendo presente una bassa carica di E. coli dopo la depurazione (fatto peraltro possibile ed, entro certi limiti, tollerato) (4,5), il limite di legge non è mai stato superato durante l’intera valutazione della shelf life. DOPO APERTURA VITALITA’ Esame ispettivo conservazione a 10°C: DATA GG DI VITA TEMPERATURA -Esame ispettivo: L’esame ispettivo fornisce molte informazioni in merito allo stato di conservazione del prodotto e di eventuali alterazioni. Sono stati valutati diversi parametri come l’odore esterno e interno, il colore, e la resistenza all’apertura. Inizialmente questi parametri sono risultati tutti soddisfacenti, col tempo si è poi verificato un naturale e progressivo scadimento delle caratteristiche organolettiche. Il peso totale dei soggetti vivi ha rilevato un calo progressivo, più spinto nel caso dei campioni conservati a 10°C rispetto a quelli conservati a 6°C. Il calo del peso dei campioni conservati a 20°C è stato ancora più evidente dei precedenti. Il peso medio dei singoli soggetti è stato abbastanza costante nei primi giorni e ha dimostrato un progressivo calo, più repentino nel caso di incubazione a 20°C. I campioni conservati a 6°C hanno mantenuto discrete caratteristiche organolettiche e buona vitalità sino al termine della sperimentazione, raggiungendo a 8 giorni di vita commerciale il 92% di soggetti vivi. I campioni conservati a 10°C, in una condizione cioè simile a quella in fase di distribuzione (così come ribadito nella nota Ministeriale DGSAN 0030773-P del 29 ottobre 2008 con oggetto: Regolamento CE 2073/2005: problematica relativa a L. monocytogenes) hanno mantenuto discrete caratteristiche organolettiche e buona vitalità sino al quarto giorno di vita commerciale. I campioni conservati a 20°C hanno mantenuto discrete caratteristiche organolettiche e buona vitalità sino al secondo giorno di vita commerciale, in quanto le condizioni di abuso termico hanno accelerato notevolmente lo scadimento dei caratteri sensoriali del prodotto. Il numero di soggetti vivi all’interno delle retine si è mantenuto abbastanza elevato 12/05/2009 14/05/2009 0 2 6°C 10°C 18/05/2009 4 20/05/2009 6 10°C 8 10°C 10°C 993,8 996,0 952,6 952,2 866,0 875,0 537,0 N.ESEMPLARI VIVI 114 113 109 105 105 102 103 70 73 PESO MEDIO VIVI (g) 8,9 8,8 9,1 9,1 8,8 8,5 8,5 7,7 7,3 N. ESEMPLARI ROTTI 1 0 2 2 2 1 4 1 2 ODORE ESTERNO 3 3 3 1 1 1 1 0 0 COLORE ESTERNO 3 2 2 3 3 0 0 1 0 RESISTENZA ALL’APERTURA ODORE INTERNO, DOPO APERTURA 3 3 3 3 3 1 1 1 1 3 3 3 3 3 1 1 1 1 VITALITA’ 3 3 3 2 3 1 2 0 0 PESO TOTALE VIVI (g) 1016,0 16/05/2009 534,7 Esame ispettivo conservazione a 20°C: DATA GG DI VITA TEMPERATURA PESO TOTALE VIVI (g) 12/05/2009 13/05/2009 0 1 14/05/2009 2 15/05/2009 3 16/05/2009 4 6°C 20°C 20°C 20°C 20°C 775,8 1016,0 998,0 960,4 922,0 906,9 N.ESEMPLARI VIVI 114 114 105 105 115 96 PESO MEDIO VIVI (g) 8,9 8,8 9,1 8,8 7,9 8,1 N. ESEMPLARI ROTTI 1 0 4 4 3 2 ODORE ESTERNO 3 3 2 1 1 0 COLORE ESTERNO 3 3 1 1 1 0 RESISTENZA ALL’APERTURA 3 3 2 2 1 1 ODORE INTERNO, DOPO APERTURA 3 3 3 3 1 1 VITALITA’ 3 3 1 1 0 0 CONCLUSIONI In base ai risultati delle prove eseguite, pur essendo presente nel prodotto depurato una carica di E. coli inferiore al valore limite di legge, non ne è stata osservata moltiplicazione nel tempo anche in caso di mantenimento in abuso termico. E’ noto che E. coli inizia a moltiplicare oltre 7 °C (1) Il fatto che nella vongola viva sia presente una flora microbica autoctona, potrebbe spiegare la mancata crescita di E. coli, dovuta alla competizione microbica ed alla mancanza di un substrato trofico ideale, normalmente rappresentato 77 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 dall’ambiente enterico di vertebrati omeotermi terrestri. La durata della shelf-life potrebbe spingersi fino a 8 giorni di vita commerciale, mantenendo però la catena del freddo senza interruzioni e conservando il prodotto a temperature non superiori a +6°C; si osserverebbe, tuttavia, un decadimento delle caratteristiche di lucentezza del guscio ed un leggero calo di peso dovuto alla perdita di liquido intervalvare. 1. 2. 3. 4. ICMSF, Microrganisms in foods, Characteristics of microbial pathogens, 1996, Blakie Academic e Professional. Lees D. , Viruses and bivalve shellfish. , 2000, Int J Food Microbiol 59:81-116; 5. 78 Lucy E. F., Connolly M., Graczyk K. T., Tamang L., Sullivan R. M. and Mastitsky E. S., Zebra mussels (Dreissena polymorpha) are effective sentinels of water quality irrespective of their size, 2010, Aquatic Invasions Volume 5, Issue 1: 49-57. Perkins F.O., Haven D.S., Morales-Alamo R. And Rhodes M.W., Uptake and elimination of bacteria in shellfish, 1980, J Food Prot., 43:124-126; Richards G.P., Microbial purification of shellfish: a review of depuration and relaying, 1988, J. Food Prot., 51:218-25 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SVILUPPO DI UN METODO MOLECOLARE A SINGOLO TARGET PER L’IDENTIFICAZIONE DI ESCHERICHIA COLI O157 PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA IN MATRICI ALIMENTARI E ANIMALI Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S. Laboratorio Comunitario e Nazionale di Referenza per Escherichia coli, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia; Keywords: Escherichia coli, detection, PCR-RealTime ABSTRACT Identification of VTEC O157 in food is performed by the ISO 16654:2001 standard. It is a cultural method, requiring an immunomagnetic concentration step. The procedure is expensive and time consuming and requires further confirmation of the isolated strain as VTEC. The aim of this study was to develop a single-target method for the molecular detection of VTEC O157 from biological samples, which do not require the isolation of the strain. We focused on toxB gene as the target of such a method. It encodes a virulence factor strongly associated with VTEC O157. We identified two isoforms of this gene and developed a Real TmePCR strategy for the specific identification of the O157-specific isoform. Such a strategy could be applied to RNA samples from enrichment cultures preventing the need of the isolation step. Such a method would represent an innovative tool for the fast and specific detection of viable VTEC O157 in food and animal sources, suitable for large routine applications. VTEC, chiamato pO157 (1). Il prodotto di questo gene, toxB, è coinvolto nell’adesione di ceppi VTEC O157 promuovendo la produzione e la secrezione delle proteine attraverso il sistema di secrezione di tipo III codificato dalla LEE (4). La presenza di pO157 è associata con il 100% dei ceppi VTEC O157 e con il 90% di tutti gli altri ceppi VTEC che causano malattia grave nell’uomo (3). Il gene toxB rappresenta il candidato ideale per lo sviluppo di un metodo specifico per VTEC O157 in quanto presente in tutti i ceppi analizzati finora. Tra gli altri marcatori di questo plasmide di potenziale interesse, i geni katP ed espP sono presenti in proporzioni variabili dei ceppi VTEC (40-60%) mentre Il gene ehxA, che codifica l’enteroemolisina, non sembra essere associato unicamente con ceppi VTEC (2). MATERIALI E METODI Ceppi Batterici I ceppi VTEC utilizzati in questo studio sono parte della collezione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e sono stati isolati in Italia tra il 1988 e il 2008. In particolare abbiamo analizzato un totale di 65 ceppi così suddivisi: 8 ceppi VTEC O157, 12 ceppi O26, 5 ceppi O103, 12 ceppi O111, 2 ceppi O121, 7 ceppi O145, 9 ceppi O113, 4 ceppi O91 e 6 ceppi di origine animale appartenenti ai sierogruppi O8, O23, O25, O45, O73 e O109. Nello studio sono stati inoltre inclusi i ceppi O157 di riferimento EDL 933 e RIMD0509952/VT2 Sakai e 27 ceppi aessate mediante lo strumento Rotorgene (Corbett) attraverso 40 cicli di amplificazione (95°C per 10 secondi, 60°C per 45 secondi) seguiti da uno step di lenta denaturazione (aumento graduale della temperatura da 50°C a 95°C, con un incremento di 0,5°C/s). INTRODUZIONE La ricerca di Escherichia coli O157 produttori di verocitotossina (VTEC) negli alimenti si effettua applicando lo standard internazionale ISO16654:2001. Questo è un metodo colturale che comporta un notevole dispendio di tempo e risorse e richiede la conferma del ceppo isolato come VTEC. Quest’ultima prevede la dimostrazione della presenza dei geni codificanti le verocitotossine (VT) o delle tossine stesse o, in ultima analisi, l’invio del ceppo ad un laboratorio di riferimento. Per tali motivi, questa strategia è poco adattabile alle esigenze di rapidità, economicità ed utilizzabilità su grandi numeri di campioni, proprie dell’industria alimentare e dei laboratori che effettuano il controllo degli alimenti. Fino ad oggi sono stati prodotti diversi reagenti destinati all’identificazione di E. coli O157, inclusi quelli destinati a metodi molecolari per la ricerca dei geni di virulenza o dei geni associati al sierogruppo in matrici biologiche. La sola identificazione dei geni associati al sierogruppo O157, non rappresenta un metodo sufficiente, data l’esistenza di ceppi E. coli O157 non patogeni per l’uomo. Inoltre, anche i geni codificanti i fattori di virulenza (l’adesina intimina e le VT), possono essere presenti, in varie combinazioni, in stipiti di E. coli non necessariamente in grado di causare malattia nell’uomo. Inoltre, l’identificazione nelle colture di arricchimento delle caratteristiche associate a questi patogeni (sierogruppo O157 e presenza dei geni di virulenza) con metodi molecolari non ne garantisce la contemporanea presenza nello stesso ceppo, richiedendone l’isolamento e la conferma. Lo scopo di questo lavoro è stato la messa a punto di un metodo molecolare a singolo target per la ricerca di ceppi VTEC O157 da matrici alimentari o animali mediante PCR-RealTime. La ricerca di un unico target fa sì che non sia necessario procedere alla verifica della presenza di più marcatori in un’unica cellula batterica. Inoltre, l’applicazione di questo strumento a preparazioni di RNA consentirebbe di non dover procedere all’isolamento per la dimostrazione della vitalità della cellula batterica. Il target molecolare selezionato per lo sviluppo del nostro metodo è rappresentato da una porzione di un gene di virulenza accessorio presente sul plasmide caratteristico dei ceppi O157 RISULTATI Analisi dei geni toxB localizzati sui plasmidi pO157 e pO26-Vir Alla luce dei dati indicanti la presenza del gene toxB anche in ceppi VTEC O26 (5), e della determinazione della completa sequenza del genoma del ceppo VTEC O26:H11, H30 (Acc. No. NC_012487) abbiamo investigato sulla possibile presenza di isoforme diverse di questo gene associate al sierogruppo. L’analisi in silico delle sequenze dei geni toxB dei ceppi VTEC O157:H7 (Sakai) e O26:H11 (H30) ha mostrato, tra i due geni, il 91% di identità di sequenza nucleotidica e l’89% di identità di sequenza aminoacidica (95% di sostituzioni positive). Gli stessi valori di identità sono stati ottenuti mediante l’allineamento di toxB localizzato sul plasmide del ceppo O157:H7 Sakai con quello presente sugli altri tre plasmidi pO26 sequenziati (Acc. No. AP01095, AB456530 e GQ259888), i quali hanno un’identità di sequenza del 99% a livello nucleotidico tra loro e con la sequenza del pO26-Vir. Sulla base di queste informazioni è stato possibile identificare due isoforme del gene toxB, associate ai sierogruppi VTEC O157 (toxBO157) e O26 (toxBO26). Al fine di discriminare tra le due isoforme del gene, abbiamo disegnato la coppia di primers toxB_F/toxB_R su regioni conservate della sequenza genica, in modo da permettere l’amplificazione di entrambe le isoforme di toxB, e la loro differenziazione tramite l’analisi della temperatura di melting (77°C nell’isoforma dell’O157 e 79°C in quella dell’O26) (Figura 1). 79 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 a patologia grave nell’uomo, mentre l’isoforma toxBO157 risulta associata specificamente ai VTEC O157. Alla luce dei risultati ottenuti in questo studio, il saggio sviluppato nel nostro laboratorio per l’identificazione delle isoforme del gene toxB costituisce un ottimo candidato per lo sviluppo di un metodo molecolare a singolo target in grado di identificare la presenza di VTEC O157 in matrici di origine alimentare o animale. Sono attualmente allo studio sonde basate sulla tecnologia Taqman® disegnate sulla sequenza di toxBO157 con lo scopo di mettere a punto un kit specifico per la rilevazione di questa isoforma del gene. Stiamo inoltre, valutando l’applicabilità del kit su preparazioni di RNA da ceppi isolati e matrici alimentari contaminate in modo da evitare il passaggio di isolamento del ceppo. L’utilizzo dell’RNA come stampo per le reazioni di PCR garantisce infatti la presenza nel campione del ceppo batterico vitale. Questo saggio, una volta messo a punto, potrebbe rappresentare uno strumento di screening di un grande numero di campioni, anche in automazione, di facile applicabilità nei piani di autocontrollo dell’industria alimentare. Figura 1. Curve di melting relative agli ampliconi toxB ottenuti rispettivamente da VTEC O157 e O26. Associazione della presenza dell’isoforma toxBO157 con VTEC O157 Sessantacinque ceppi VTEC appartenenti a diversi sierogruppi e 27 ceppi di E. coli non patogeni, sono stati sottoposti ad analisi mediante PCR-RealTime per la ricerca e la caratterizzazione del gene toxB. I risultati sono riportati in tabella 1. Bibliografia 1. Caprioli A, Morabito S, Brugère H, Oswald E. Enterohemorrhagic Escherichia coli. Vet Res. 2005 MayJun;36(3):289-311. Review 2. Schmidt, H., L. Beutin, and H. Karch. 1995. Molecular analysis of the plasmid-encoded hemolysin of Escherichia coli O157:H7 strain EDL 933. Infect. Immun. 63:1055–1061. 3. Schmidt, H., M. Bitzan, and H. Karch. 2001. Pathogenic aspects of Shiga toxin-producing E. coli infections in humans, p. 241–262. In G. Duffy, P. Garvey, and D. McDowell (ed.), Verocytotoxigenic Escherichia coli. Food & Nutrition Press, Inc., Trumbull, Conn. 4. Tatsuno, I., H. Kimura, A. Okutani, K. Kanamaru, H. Abe, S. Nagai, K. Makino, H. Shinagawa, M. Yoshida, K. Sato, J. Nakamoto, T. Tobe, and C. Sasakawa. 2000. Isolation and characterization of mini-Tn5Km2 insertion mutants of enterohemorrhagic Escherichia coli O157:H7 deficient in adherence to Caco-2 cells. Infect. Immun. 68:5943–5952. 5. Tozzoli R, Morabito S, Caprioli S. 2005. Detection of toxB, a plasmid virulence gene of Escherichia coli O157, in enterohemorrhagic and enteropathogenic E. coli. J Clin Microbiol. 2005 Aug;43(8):4052-6. Tabella 1. Risultati dello screening per PCR-RealTime e delle analisi di melting Sierogruppo O157 O26 O145 O121 O103 O111 O113 altri VTEC ECOR N.ceppi 10 12 7 2 5 12 9 10 27 toxB positivi 10 9 3 2 0 0 0 0 0 Isoforma toxBO157 toxBO26 toxBO26 toxBO26 I prodotti di amplificazione sono stati sottoposti ad analisi delle curve di melting allo scopo di distinguere le due isoforme del gene. Tutti i ceppi toxB-positivi hanno mostrato picchi di denaturazione in corrispondenza delle due temperature previste (Figura 1). In particolare tutti i ceppi O157 hanno mostrato un picco di denaturazione alla temperatura di 77°C±0,15°C (toxBO157), mentre tutti i ceppi non-O157 toxB-positivi hanno mostrato picchi di denaturazione alla stessa temperatura di 79°C±0,15°C (toxBO26). I ceppi di E. coli non patogeni sottoposti all’analisi sono risultati tutti negativi per la presenza di toxB (tabella 1). DISCUSSIONE Il prodotto del gene toxB è un fattore di virulenza in grado di aumentare la capacità di ceppi VTEC O157 di aderire a monostrati di cellule in coltura (4). Questo gene è stato identificato anche in ceppi VTEC di sierogruppo O26 (5). Il completamento della sequenza dei plasmidi di virulenza dei ceppi VTEC O157 (Acc. No. NC_002128) e O26 (Acc.No. NC_012487), ha consentito l’identificazione di due isoforme del gene toxB. In questo studio abbiamo elaborato un saggio basato sulla real time PCR che consente di distinguere tra le due isoforme del gene toxB. I risultati di uno screening su un pannello di 94 ceppi di E. coli, comprendenti ceppi VTEC appartenenti a diversi sierogruppi e ceppi non patogeni, hanno mostrato che l’isoforma toxBO26 è presente e conservata in molti dei sierogruppi non-O157 associati 80 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 EPISODI DI COLORAZIONI ANOMALE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI Oliverio E., De Nadai V.,Finazzi G., Ruggiero V.,Daminelli P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare Reparto di Microbiologia Brescia Key words: Bacillus cereus, shelf-life, Reg CE 1441/2007 SUMMARY In August 2010, after episodes of abnormal colorations in dairy products, some samples of ricotta cheese from two companies were analyzed (Case 1 e Case 2).The tests were carried out to assess the Bacillus cereus ability to cause macroscopically visible changes in products and its potential ability to produce toxin. The results show the Bacillus cereus presence only at 15° and 20°C with an increase in direct proportion with temperature rise (Case 1).There was presence of Bacillus cereus in four of nine samples analyzed after incubation at 20°C (Case 2). Tabella 1: schema campionamento durante la shelf-life di ricotta vaccina oggetto di ritiro 06/08 09/08 10/08 11/08 13/08 INTRODUZIONE Nel mese di agosto 2010, in seguito ad episodi di colorazioni anomale in prodotti lattieri -caseari, sono state effettuate prove di shelf-life su ricotte vaccine appartenenti ad un lotto oggetto di ritiro da parte della Ditta per sospetta contaminazione con Bacillus cereus in seguito a segnalazione da parte di un consumatore e successiva allerta comunitaria (Caso 1). Le prove sono state effettuate per valutare la capacità del microrganismo di provocare eventuali alterazioni macroscopicamente visibili nel prodotto (es. alterazioni di colorazione) e/o eventuale capacità di produzione di tossina. La valutazione è stata condotta in 4 diverse situazioni di conservazione, sino al raggiungimento del termine minimo di conservazione dichiarato in etichetta. I risultati mostrano la presenza del Bacillus cereus solo a 15°C e 20°C con una crescita direttamente proporzionale all’aumento della temperatura. Inoltre sono stati analizzati 18 campioni di ricotta vaccina, provenienti da lotti differenti, in regime di autocontrollo, per la ricerca di Pseudomonas e Bacillus cereus. in seguito a ritiro di tutti i prodotti da parte di un altro caseificio per il riscontro di colorazioni anomale (caso 2) I campioni sono stati analizzati a tempo zero e dopo incubazione a 20°C. Si è osservata la presenza del Bacillus cereus in quattro dei nove campioni analizzati dopo incubazione, mentre la ricerca di Pseudomonas è risultata sempre negativa. 4°C X X X 10°C X X X 15°C X X X 20°C X X X Ad ogni campionamento, oltre a verificare lo sviluppo di colorazioni anomale nel prodotto, si è proceduto alle seguenti analisi: Numerazione dei lattobacilli mesofili (MP interno • IZSLER - MRS agar incubato a 30°C per 48 ore); • Numerazione di Bacillus cereus (MP UNI EN ISO 7932:2005 - BCA agar incubato a 30°C per 48 ore); Eventuale valutazione della produzione di tossina • di Bacillus cereus in caso di crescita del microrganismo oltre valori di 105 ufc/g Numerazione di Clostridium perfringens (MP UNI • EN ISO 7937:2005 - SC agar incubato a 37°C per 20 ore); Numerazione delle Enterobacteriaceae (MP • interno IZSLER - VRBG agar incubato a 37°C per 24 ore); Numerazione di Escherichia coli (MP interno • IZSLER - TBX agar incubato a 44°C per 24 ore); • Numerazione dei Miceti (Lieviti e Muffe) (MP interno IZSLER - OGYEA agar incubato a 20°C per 5 giorni); Determinazione del pH mediante strumento • con compensazione automatica della temperatura (Hanna Instruments HI 223); • Determinazione dell’acqua libera. Per ogni campionamento è stata effettuata l’analisi in triplo dei campioni (su 3 distinte confezioni sigillate). Le ricotte del Caso 2 sono state così suddivise: 9 sono state analizzate a tempo zero e 9 sono state incubate a 20°C ed analizzate dopo 4 giorni. Ad ogni campionamento, oltre a verificare lo sviluppo di colorazioni anomale nel prodotto, si è proceduto alle seguenti analisi: • Numerazione di Bacillus cereus (MP UNI EN ISO 7932:2005 - BCA agar incubato a 30°C per 48 ore); Eventuale valutazione della produzione di tossina • di Bacillus cereus in caso di crescita del microrganismo oltre valori di 105 ufc/g; • Determinazione del pH mediante strumento MATERIALI E METODI Per le prove del Caso 1 è stata utilizzata ricotta vaccina confezionata in vaschette da 250 g da consumarsi preferibilmente entro il 15/08/2010. La A.S.L. del territorio di competenza ha fatto pervenire al Reparto di Microbiologia Laboratorio di Microbiologia dell’IZSLER 40 confezioni di ricotta così suddivise: • 6 confezioni sono state poste a +4°C (temperatura ottimale di conservazione); • 9 confezioni sono state poste a +10°C (temperatura di presumibile conservazione durante il circuito di distribuzione ed a livello domestico); • 9 confezioni sono state poste a +15°C (moderato abuso termico); • 9 confezioni sono state poste a +20°C (franco abuso termico). ìI campionamenti sono stati eseguiti in accordo allo schema seguente: 81 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 • Poiché è stato dimostrato che Bacillus cereus è in grado di produrre tossina a partire da una concentrazione di 1 x 105 ufc/g, sarebbe opportuno valutare la concentrazione del patogeno nell’alimento prima di procedere alla ricerca della tossina. Al contrario, in alimenti contaminati, ad esempio, con Staphylococcus aureus, si può effettuare direttamente la ricerca della tossina, in quanto la presenza della tossina stessa nell’alimento è indipendente dalla concentrazione del patogeno. Alla luce della tecnica di produzione e degli ingredienti utilizzati (panna pastorizzata), la shelf life dichiarata dal produttore non appare adeguata per la tipologia di prodotto del Caso1 Le analisi microbiologiche svolte su un campione di ricotta prelevato presso la Ditta e conservato a +4°C, non hanno rilevato parametri non conformi. Dalle analisi effettuate sulle ricotte del Caso 2 risulta la presenza del Bacillus cereus solo nei campioni sottoposti ad incubazione alla temperatura di 20°C. Sulla base dei risultati raccolti in queste prove, è necessario sottolineare l’importanza della valutazione della shelf-life sul prodotto conservato a temperature a rischio (15°C e 20°C), considerando anche l’utilizzo nel processo produttivo di panne pastorizzate che possono contenere spore del microrganismo. E’ auspicabile una maggiore educazione del consumatore nella conservazione di questi prodotti, considerando il fatto che episodi di colorazioni anomale si sono verificati soprattutto verso la fine della shelf-life e alle temperature di conservazione domestica. con compensazione automatica della temperatura (Hanna Instruments HI 223); Numerazione di Pseudomonas spp., su piastre di PPA agar incubate in aerobiosi a 25°C per 48 ore (ISO-TS 11059/2009). RISULTATI Nel grafico 1 sono riportati i risultati della ricerca di Bacillus cereus nelle ricotte del Caso 1 a 10°C, 15°C e 20°C. Grafico 1 I risultati mostrano che solo la conservazione a 15°C e 20°C ha consentito lo sviluppo del microrganismo: a 15°C lo sviluppo inizia dal 3° giorno e si raggiunge la concentrazione necessaria per la produzione della tossina al 5°giorno; a 20°C la crescita e il raggiungimento della concentrazione necessaria per la produzione della tossina si osservano già al 3°giorno. In nessun caso sono comparse alterazioni organolettiche di prodotto ed il ceppo di Bacillus cereus presente non ha prodotto tossina. I risultati delle analisi del Caso 2 riportano la presenza di Bacillus cereus solo in 4 campioni dopo incubazione a 20°C, ma il ceppo presente non ha prodotto tossina. Non risulta la presenza di Pseudomonas. BIBLIOGRAFIA 1. Regolamento CE 2073/2005 della Commissione del 15 Novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari 2. Regolamento CE 1441/2007 della Commissione del 5 Dicembre 2007 che modifica il Regolamento (CE) 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari 3. Parere del gruppo di esperti scientifici sui pericoli biologici concernente il microrganismo “Bacillus cereus e altri microrganismi della specie Bacillus nei prodotti alimentari” (Richiesta EFSA-Q-2004-010) adottato il 26-27 gennaio 2005 DISCUSSIONE Un precedente challenge test, è stato svolto dal Reparto di Microbiologia, su ricotte contaminate con Bacillus cereus. La prova, con contaminazione, effettuata sia a freddo che a caldo, ha dimostrato che la temperatura a cui il prodotto viene normalmente confezionato in azienda, in caso di una contaminazione accidentale da Bacillus cereus ha un effetto assimilabile ad un trattamento di pastorizzazione ed è sicuramente efficace nei confronti delle forme vegetative del microrganismo determinandone rapidamente la morte, mentre le spore sono in grado di sopravvivere. Tuttavia non si apprezza una successiva germinazione delle stesse, con conseguente incremento della popolazione, né durante la fase di raffreddamento né durante la fase di shelf-life del prodotto pur in situazioni di lieve incremento della temperatura di conservazione (da 5 a 8°C) rispetto a quella considerata ottimale. In aggiunta ai dati raccolti con questa sperimentazione, la prova di shelf life del Caso 1 ha evidenziato presenza di Bacillus cereus nel prodotto posto in condizioni di abuso termico, sino ad un livello considerato a rischio per il consumatore (superiore a 1 x 105 ufc/g), anche se il ceppo isolato non si è dimostrato capace di produrre tossina emetica. Bacillus cereus è comunque in grado di produrre anche una tossina ad attività diarroica (temolabile) per la quale non sono disponibili metodi di isolamento ed identificazione. 82 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE SULLA PRESENZA DI ANISAKIS SPP IN ALICI E SARDE FRESCHE E PREPARATE Costa A., Sciortino S., Martorana C., Palumbo P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo Key words: Engraulis encrasicolus, Sardina pilchardus, Anisakis spp. SUMMARY The authors report preliminary data on the occurrence of larval stages of Anisakis spp in fresh and prepared fish products, especially Engraulis encrasicolus, sampled in fish market in the western area of Sicily from January 2009 to July 2010. We examined 290 fish and 210 salted, oil and marinated fish products, ready to eat. No larva was found in the marinated fish. 9 samples of salted and oil fish examined were positive for Anisakis larvae: the larval stages were found in the visceral cavity. Out of 290 fish examined 2 Sardina pilchardus were positive for Anisakis. Morphological analysis classified all larvae as L3 stages of Anisakis belonging Type I (sensu Berland 1961). In the molecular analysis digestion profiles allowed the identification of the larva of Anisakis pegreffii, based on the combination of RFLP patterns. studio per verificare l’eventuale presenza di larve del genere Anisakis su campioni di alici e sarde provenienti dai mari della Sicilia e nel contempo estendere l’indagine sulle semiconserve ittiche sottoposte a salagione o a marinatura, campionate presso Industrie Ittico Conserviere della Sicilia (IIC) o presso esercizi di commercializzazione. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra gennaio 2009 e luglio 2010 sono stati esaminati, per ricerca di larve di Anisakis, un totale di 500 campioni di cui 290 di alici e sarde fresche e 210 di semiconserve, confezionate o sfuse, con prevalenza di acciughe salate (74) e sott’olio (66), 60 di sardine salate e 10 di alici marinate (Tab 1). Le alici e le sarde fresche provenivano da mercati ittici, pescherie e ambulanti della Sicilia Occidentale (Palermo, Trapani, Sciacca), trasportate entro 24 ore e conservate a temperatura di refrigerazione. I campioni di semiconserve ittiche esaminati erano stati prelevati presso esercizi di commercializzazione o direttamente presso IIC alla fine del processo di produzione (Sciacca, Bagheria). Alcuni campioni di acciughe e sarde salate sono state prelevate presso mercati all’ingrosso di Palermo venduti in forma sconfezionata. Sui campioni di pesce fresco si è proceduto all’esame visivo e/o mediante stereomicroscopio per la ricerca di larve di nematodi Anisakidae sia in cavità celomatica che a livello muscolare. I campioni di alici marinate e di acciughe sott’olio e sotto sale sono stati sottoposti a digestione enzimatica (Reg 2075/2005). Nei campioni di sarde salate di maggiori dimensioni la ricerca delle larve è stata effettuata mediante stereomicroscopio sia nel tessuto muscolare che nei visceri. Le larve di Anisakis identificate morfologicamente sono state poste in etanolo 70% per essere sottoposte successivamente all’analisi biomolecolare mediante PCR-RFLP secondo la metodica descritta in precedenti lavori (3,9). INTRODUZIONE L’anisakiasi umana è stata descritta per la prima volta in Olanda da Van Thiel, intorno agli anni 60, in correlazione all’abitudine di consumare aringhe crude poco salate (“green herring”) o marinate. Da allora molti casi sono stati descritti nel mondo. L’uomo può infestarsi accidentalmente in seguito al consumo di prodotti ittici crudi o poco cotti, infestati da larve vive di nematodi anisakidi, appartenenti al genere Anisakis al 3° stadio, o prodotti ittici sottoposti a trattamenti (salagione, marinatura, affumicatura) che non siano stati idonei a devitalizzare le larve: la zoonosi conseguente (anisakiasi) è ben documentata da diversi autori (6,8). Accanto alle manifestazioni gastroenteriche, più o meno gravi a seconda della localizzazione (forma gastriche, intestinali o extraintestinali), le forme larvali di Anisakis, anche devitalizzate, negli ultimi anni sono state riconosciute responsabili di ipersensibilità IgE- dipendente (1,5): sono state infatti osservate reazioni allergiche conseguenti sia ad ingestione sia a manipolazione di pesce infestato. Di recente anche la Commissione Europea ha evidenziato la reazione allergica ad Anisakis a seguito di contatto o di ingestione ed il possibile rischio per la salute umana. Le attuali normative, quali la Circ 11 marzo 1992 n.10, impongono di attenzionare, tra le specie ittiche marine presenti nei mari italiani, le alici o acciughe (Engraulis encrasicolus) e le sardine (Sardina pilchardus). In particolare E. encrasicolus è una specie pelagica di piccola taglia, largamente pescata nei nostri mari, non soggetta alla pronta eviscerazione e spesso consumata cruda, in preparazioni culinarie che prevedono la marinatura e/o la salagione. Studi effettuati negli ultimi anni sulla diffusione di larve di Anisakis in pesci del Mar Adriatico Centrale (4), riportano una prevalenza del 4.1% per le alici e del 3.1% per le sardine. Maggiori le percentuali riportate in alici campionate nel Tirreno (Napoli) (7.14%) (7) e in sardine campionate in Sardegna (13.3%) (10). Dati bibliografici mostrano nel contempo in Italia l’associazione tra casi clinici documentati di anisakiasi umana, provocate da larve di Anisakis e consumo di alici crude o praticamente crude quali le alici marinate (6,8) la cui preparazione è molto diffusa soprattutto lungo le coste dell’Adriatico e del Sud Italia. Scopo del nostro lavoro è stato quindi quello di effettuare uno RISULTATI Riguardo ai campioni di semiconserve ittiche sono state evidenziate larve di Anisakis in 7 campioni di alici (3 sotto sale e 4 sott’olio): i campioni di alici marinate, prelevati presso esercizi di commercializzazione, sono risultati tutte negativi. Negativi anche i campioni di alici fresche esaminati, tutte provenienti dal pescato della zona. La presenza di larve di Anisakis è stata riscontrata in 2 campioni di sarde fresche e in 2 di sarde sotto sale. Tab 1 Tipologia campione Alici sarde Alici sotto sale Alici sott’olio Sarde sotto sale Alici marinate Totale 83 Totale esaminati 160 130 74 66 60 10 500 positivi 0 2 3 4 2 0 11 % 1.5 4.1 6.1 3.3 2.2 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Nelle preparazioni ittiche esaminate sono state reperite uno scarso numero di larve (1-2 per campione), non vitali per l’alta concentrazione di sale: i campioni di alici e sarde sotto sale erano costituiti da grosse latte da 1 Kg, le alici sott’olio da barattoli di vetro. La provenienza delle alici è probabilmente estera: le Industrie Ittiche lavorano grandi quantità di prodotto semilavorato proveniente in particolare da Tunisia, Marocco o Croazia, essendo tra l’altro insufficiente il prodotto locale. I parassiti isolati dalle preparazioni ittiche salate/sott’olio, devitalizzati, apparivano all’esame microscopico alterati dal trattamento di salagione ma morfologicamente identificabili come appartenenti al genere Anisakis Tipo I (sensu Berland) Alcune larve ancora ben conservate sono state sottosposte ad analisi biomolecolare (PCR-RFLP) per il genere Anisakis: i dati di RFLP sono stati analizzati mediante elettroforesi su gel che ha rivelato i modelli di restrizione tipici per le specie, in base alle chiavi di lettura indicate in bibliografia: i profili di digestione ottenuti hanno permesso di identificare le larve isolate come A. pegreffii (3,9). responsabili degli esercizi di ristorazione e somministrazione ma anche del consumatore finale. Alla luce di quanto sopra esposto si ritiene interessante continuare a svolgere questo studio per avere dati scientifici sempre più aggiornati circa la contaminazione da parassiti Anisakis in prodotti ittici di largo consumo. Nell’ambito della sicurezza alimentare inoltre i dati epidemiologici sulla prevalenza di questa parassitosi rivestono sicuramente grande importanza per un approccio sulla valutazione del rischio. BIBLIOGRAFIA 1) Audicana M.T., Ansotegui I. J.,Fernandez de Corres L., Kennedy M.W. (2002) Anisakis simplex: dangerous-dead and alive? Trends in Parasitology vol 18 n.1 January 2002;20-25 2) Berland B. (1961) Nematodes from some Norwegian marine fishes. Sarsia 2:1-50 3) Costa A., Di Noto A.M., Marino F., Palumbo P., Sciortino S., Caracappa S. (2010) “Occurrence and molecular identification of Anisakis spp in marine fishes from the Sicilian coasts” Abstracts SOIPA in Parassitologia Vol 52 (No 1-2) June 2010: 349 4) Fioravanti M.L., Gavaudan S., Tonucci F., Vagnini V. (2003) Indagine sulla diffusione di larve di Anisakis e Hysterothylacium (Nematoda: Anisakidae) in pesci del Mar Adriatico Centrale. Atti SISVET 2003 5) Fraj Lazaro J, Remacha Tomey B., Colas Sanz C., Ortega Fernandez de Retana A., Lezaun Alfonso A.(1998) Anisakis, anisakiasis and IgE-mediated immunity to Anisakis simplex. J. Investig Allergol Clin Immunol 8(1):61-3 6) Fumarola L., Monno R., Ierardi E., Rizzo G., Giannelli G., Lalle M., Pozio E. (2009) Anisakis pegreffii etiological agent of gastric infections in two Italian women Foodborne Pathog Dis Nov; 6 (9): 1157-9 7) Marrone R., Damiano S., Panzardi M., Palma G., Mattiucci S., Anastasio A. (2007) Occurrence of Anisakis pegreffii larvae in anchovy Engraulis encrasicolus caught off Naples Gulf (Italy) Parassitologia 49: 225 ISFP VII 8) Mattiucci S., Paoletti M., De Angelis M., Sereno S., Cancrini G (2007) Human anisakidosis in Italy: molecular and histological identification of two new cases Parassitologia 49, 2008:226 ISFP VII 9) Sciortino S., Palumbo P., Reale S., Macrì D., Costa A. “Applicazione della PCR-RFLP per l’identificazione di specie di larve di Anisakis isolate da prodotti della pesca” (2009) XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. , Parma 30/092/10/2009, pag. 66-67 10) Piras M.C., Tedde T., Garippa G., Virgilio S., Piras G.P., Merella P. (2010) First contribution to the knowledge of the epidemiology and molecular characterization of Anisakis spp in commercial fish caught off northern Sardinia Abstracts SOIPA in Parassitologia 52:362 11) Opinion of the Scientific Committee on Veterinary Measures relating to Public Health- Allergic reactions to ingested Anisakis Simplex antigens and evaluation of the possible risk to human healh -27 April 1998 European Commission Food Safety 12) Scientific Opinion on risk assessment of parasites in fishery products EFSA Journal 2010; 8(4):1543 CONCLUSIONI La Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003 (Allegato I) include l’anisiakiasi nell’elenco delle zoonosi e degli agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza in funzione della situazione epidemiologica nelle varie fasi della catena alimentare. In Italia pochi sono i dati epidemiologici sulla prevalenza di questa parassitosi per formulare una stima del rischio per il consumatore. L’anisakiasi nella forma invasiva costituisce un pericolo per l’uomo solo nel caso di consumo di pesci in cui il parassita sia conservato vivo al momento dell’ingestione ma non si deve sottovalutare il rischio allergologico che nei casi più gravi, peraltro rari, può portare allo shock anafilattico. Un recente documento dell’EFSA sulla sicurezza alimentare attenziona il rischio da presenza di parassiti nei prodotti ittici: viene evidenziato che l’unico parassita dei prodotti ittici che può provocare reazioni allergiche è l’Anisakis. All’EFSA è stato chiesto tra l’altro di: valutare i rischi per i consumatori derivanti da possibili reazioni allergiche dovuti a parassiti potenzialmente presenti nei prodotti ittici e di definire criteri per garantire che il consumo di prodotti ittici crudi, poco cotti o affumicati a freddo provenienti da zone di pesca e da acquacoltura, non presenti rischi per la salute riferiti alla presenza di parassiti. A ciò si deve aggiungere la subentrata libera circolazione dei vari alimenti, pesci compresi, in ambito di Comunità europea. A tutt’oggi sono già numerose le segnalazioni di partite di pesci parassitati di evidente provenienza extranazionale: diverse le notifiche EFSA, puntualmente riportate dal portale RASFF del Ministero della Salute, su infestazioni parassitarie da nematodi Anisakis in prodotti ittici, comprese le alici, provenienti in particolare dalla Croazia. I risultati preliminari ottenuti dalla nostra indagine suggeriscono di attenzionare, come indicato dalle attuali normative (Circ 11 marzo 1992 n.10; Reg CE 853/2004), alcune specie ittiche già note per la presenza di questi parassiti. Il consumo di pesce crudo o praticamente crudo (marinato, salato, affumicato) somministrato dai ristoranti, venduto da esercizi di gastronomia o semplicemente preparato in casa, sta conoscendo un crescente successo negli ultimi anni: le classiche “alici marinate”, sono sempre più apprezzate dai consumatori. E’ da ricordare che la normativa europea impone ai ristoratori che il pesce da consumare crudo, affumicato o marinato sia sottoposto a congelamento a -18°C per almeno 24 ore, obbligo non sempre rispettato o conosciuto dagli esercenti. Da qui l’importanza di una corretta informazione non solo dei “Ricerca Corrente IZS SI 11/07 Ministero della Salute” 84 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RIEMERGENZA DELLA RABBIA SILVESTRE NEL NORD-EST DELL’ITALIA: SITUAZIONE EPIDEMIOLOGICA E STRATEGIE DI INTERVENTO Mutinelli F. IZS delle Venezie, CRN per la rabbia, Legnaro (PD) Key words: rabbia, vaccinazione orale, volpe Riassunto – Dopo quasi 13 anni di assenza dal territorio italiano, indenne dal 1997, la rabbia silvestre ha fatto la sua ricomparso nell’ottobre del 2008 in provincia di Udine a ridosso del confine con la Slovenia. Nel 2009, l’epidemia si è estesa alle province di Pordenone e successivamente di Belluno, interessando poi nel 2010 anche le province autonome di Trento e Bolzano. Oltre alle misure di prevenzione adottate al fine di tutelare gli animali domestici e l’uomo, sono state programmate e realizzate campagne di vaccinazione orale delle volpi di emergenza mediante distribuzione aerea delle esche nell’inverno 2009-2010 e nella primavera-estate 2010. Il 77% delle volpi testate dopo la prima campagna hanno evidenziato un titolo anticorpale ≥0.5 IU/ml. Riemergenza della rabbia Nell’ottobre del 2008, a distanza di quasi 13 anni dall’ultimo caso di rabbia diagnosticato in provincia di Trieste nel dicembre del 1995, la rabbia silvestre ha fatto la sua ricomparsa in alcuni comuni del nord-est della regione Friuli Venezia Giulia [3]. Nel 2008, sono stati diagnosticati un totale di 9 casi di rabbia nella provincia di Udine. L’epidemia di rabbia silvestre si è poi estesa nel 2009 alla provincia di Pordenone e alla regione Veneto. Infatti, un cane di proprietà non vaccinato nei confronti della rabbia è risultato positivo il 17 novembre 2009 nel comune di Lozzo di Cadore (BL). In precedenza la rabbia silvestre aveva interessato la provincia di Belluno, unica provincia nella regione del Veneto, dal 1978 al 1983, in relazione all’epidemia presente nell’arco alpino. Nel 2009 sono stati diagnosticati 68 casi di rabbia nelle province di Udine, Trieste e Pordenone (35) e Belluno (33) (Tabella 1). Nel 2010 l’epidemia di rabbia silvestre ha continuato ad interessare principalmente la provincia di Belluno con 180 casi, facendo tuttavia registrare anche 14 casi nelle province di Udine e Pordenone, 8 nella provincia autonoma di Trento e 5 in quella di Bolzano. Dal 2008 ad oggi i casi di rabbia sono stati 284 (Tab.1) [6]. Fra le specie animali interessate, i selvatici sono quelli maggiormente rappresentati con 269 casi su 284 (94,7%); in particolare la volpe con 240 casi (84,5%); i domestici positivi sono stati 15 (5,3%) (Tabella 2). L’analisi filogenetica delle sequenze eseguita presso l’ISZ delle Venezie ha rivelato che tutti i virus italiani analizzati appartengono al genotipo 1 (rabbia classica) ed al gruppo dei virus dell’Europa Occidentale (clade WE). Come atteso, i virus responsabili dell’attuale e della trascorsa epidemia in Friuli Venezia Giulia si sono raggruppati con i virus circolanti nei Paesi limitrofi, in particolare Slovenia, Bosnia Erzegovina ed ex-Jugoslavia [2,3]. Analoghe caratteristiche hanno presentato gli isolati virali della Slovenia (2008/09). Summary - Italy has been classified as rabies-free since 1997. Fox rabies re-emerged in north-eastern Italy in October 2008, in an area bordering Slovenia. In 2009, the infection spread westward to Veneto region and in 2010 to the provinces of Trento and Bolzano. Further to the preventative measures applied to limit the spread of the infection to domestic animals and humans, aerial emergency oral fox vaccination was implemented in the winter 2009-2010 and the spring-summer 2010. Of the foxes sampled following the first vaccination campaign, 77% showed a rabies antibody titre of ≥0.5 IU/ml. Introduzione La rabbia silvestre ed urbana ha interessato l’Italia centromeridionale fino al marzo 1973, con rari casi di rabbia nei selvatici segnalati nelle province di Trento, Bolzano e Belluno nel 1967 e 1968. Successivamente, la rabbia silvestre ha fatto la sua comparsa nell’arco alpino, da Aosta a Trieste, con una prima epidemia nel periodo 1977-1986, legata alla situazione epidemiologica della malattia in Francia, Svizzera, Austria e Yugoslavia. La seconda epidemia ha interessato la sola regione Friuli Venezia Giulia nel periodo 1988-1989 e la terza ha interessato nuovamente la regione Friuli Venezia Giulia nel periodo 1991-1995 e la provincia di Bolzano nel 1993 e 1994 [5]. Anche in questi casi la presenza della rabbia negli stati confinanti ha condizionato la sua comparsa in Italia. Campagne di vaccinazione orale delle volpi sono state realizzate dal 1984 al 2004 quasi ininterrottamente nei territori infetti come strategia fondamentale nella lotta alla rabbia silvestre. L’ultimo caso di rabbia è stato diagnosticato in una volpe in provincia di Trieste nel dicembre del 1995 e dal 1997 l’Italia ha ottenuto il riconoscimento di stato indenne da rabbia. Nel periodo 1977-1995 sono stati diagnosticati 3.333 casi di rabbia: il 98,2% ha interessato animali selvatici e solo l’1,8% domestici. Tra i selvatici, le volpi hanno rappresentato l’87,5%, i mustelidi il 9,4% e gli erbivori selvatici il 2,9%. Circa novecento pipistrelli sono stati esaminati nel tempo nel territorio italiano e sono risultati negativi per rabbia. Tre casi di rabbia di importazione sono stati diagnosticati nel cane: dalla Yugoslavia nel 1984 (Roma), dalla Costa d’Avorio nel 1989 (Milano) e dalla regione del lago Balaton (Ungheria) nel 1992 (Brescia). Casi di rabbia autoctoni sono stati segnalati nell’uomo dal 1946 al 1968. Da allora sono stati diagnosticati tre casi di importazione, due dall’India nel 1970 e 1977, ad uno dal Nepal nel 1996. Strategie di intervento A fronte della ricomparsa della rabbia silvestre sono state programmate e realizzate campagne di vaccinazione orale delle volpi nella regione Friuli Venezia Giulia fra gennaio e dicembre 2009; campagne di vaccinazione di emergenza sono state realizzate nel dicembre 2009-gennaio 2010 in Veneto e nelle province autonome di Trento e Bolzano (circa 10.000 km2); e tra aprile e giugno 2010 negli stessi territori estendendo l’intervento a tutto il Friuli Venezia Giulia, fino a 2.300 m di altitudine (circa 30.000 km2 (Figura 1). In linea con le raccomandazioni comunitarie [4], si è operato con l’ausilio di elicotteri equipaggiati con un dispositivo automatico per la distribuzione delle esche supportato da navigatore satellitare e registrazione computerizzata, raggiungendo una densità di distribuzione di 25-30 esche/ km2. Il monitoraggio della vaccinazione realizzata a dicembre 2009-gennaio 2010 ha fornito risultati decisamente incoraggianti considerato che il 77% delle volpi testate presentava un titolo anticorpale ≥0.5 IU/ml [1]. Una nuova campagna di vaccinazione orale di emergenza è stata iniziata nella seconda metà di agosto e si protrarrà fino a metà settembre coprendo un territorio di circa 30.000 km2, dalle 85 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 vaccination of foxes in northeastern Italy, 28 december 2009-20 january 2010: preliminary evaluation. Euro Surveill. 2010;15(28):pii=19617. Available online: http://www. eurosurveillance.org/ViewArticle.aspx?ArticleId=19617 2. De Benedictis P., Capua I., Mutinelli F., Wernig J.M., Arič T., Hostnik P. (2009): Update on fox rabies in Italy and Slovenia. Rabies Bulletin Europe 33, 5-7. 3. De Benedictis P., Gallo T., Iob A., Coassin R., Squecco G., Ferri G., D’Ancona F., Marangon S., Capua I., Mutinelli F. (2008): Emergence of fox rabies in north-eastern Italy. Euro Surveill. 2008;13(45):pii=19033. Available online: http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle. aspx?ArticleId=19033. 4. European Commission. (2002): The oral vaccination of foxes against rabies. Report of the Scientific Committee on Animal Health and Animal Welfare. 23 October 2002. 5. Mutinelli F., Stankov S., Hristovski M., Seimenis A., Theoharakou H., Vodopija I. (2004): Rabies in Italy, Yugoslavia, Croatia, Bosnia, Slovenia, Macedonia, Albania and Greece. Chapter 8. p. 93. In: Historical perspective of rabies in Europe and the Mediterranean basin. (A.A. King, A.R. Fooks, M. Aubert, A.I. Wandeler eds.), OIE, Paris. 6. www.izsvenezie.it (aggiornato al 31 agosto 2010) province di Trento e Bolzano fino al confine con la Slovenia. Un analogo intervento è già stato programmato anche per novembredicembre 2010. Ulteriori campagne di vaccinazione orale delle volpi sono state inoltre programmate fino al 2012 con cadenza biennale (primavera e autunno), secondo le raccomandazioni comunitarie [4]. Contestualmente sono state adottate misure dirette a tutelare gli animali domestici e l’uomo, limitando la movimentazione dei cani in funzione dell’evoluzione della situazione epidemiologica, rendendo obbligatoria la vaccinazione antirabbica dei cani e degli erbivori a rischio di esposizione ed ancora è stata realizzata una campagna di formazione per gli addetti al settore e di informazione per la popolazione. E’ stata inoltre costituita l’Unità di crisi centrale per il coordinamento degli interventi diretti al controllo della rabbia silvestre nelle regioni e province autonome interessate e sono stati rafforzati i rapporti di collaborazione con le rispettive autorità di Austria e Slovenia per il coordinamento degli interventi di vaccinazione orale delle volpi. Bibliografia 1. Capello K., Mulatti P., Comin A., Gagliazzo L., Guberti V., Citterio C., De Benedictis P., Lorenzetto M., Costanzi C., Vio P., Zambotto P., Ferri G., Mutinelli F., Bonfanti L., Marangon S. (2010): Impact of emergency oral rabies Tabella 1. Casi di rabbia diagnosticati nel 2008-2010 ripartiti per regione/provincia autonoma (Aggiornati al 31.08.10) ANNO 2008 2009 2010 Totale REGIONE N° testati N° positivi % positivi N° N° testati positivi % positivi N° testati N° positivi % positivi N° testati N° positivi % positivi FRIULI 192 9 4,69% 856 35 4,09% 1155 14 1,21% 2203 58 2,63% VENETO 494 0 0,00% 720 33 4,58% 2124 180 8,47% 3338 213 6,38% PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO 203 0 0,00% 117 0 0,00% 840 8 0,95% 1160 8 0,69% PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO 807 0 0,00% 1270 0 0,00% 1103 5 0,45% 3180 5 0,16% Totale 1696 9 0,53% 2963 68 2,29% 5222 207 3,96% 9881 284 2,87% Tabella 2. Specie animali positive per rabbia Figura 2. Distribuzione dei casi di rabbia diagnosticati nel 2008-2010 ed aree interessate dalle campagne di vaccinazione orale delle volpi (Aggiornata al 31.08.10) Specie animale asino bovino cane capriolo cavallo cervo faina gatto marmotta martora tasso volpe Totale 86 N° positivi 2008 N° positivi 2009 N° positivi 2010 1 1 3 1 1 8 9 3 60 68 8 1 1 3 9 1 1 10 172 207 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CARATTERIZZAZIONE DI CEPPI DI EQUINE HERPEVIRUS TIPO 1 CIRCOLANTI IN ITALIA FRA IL 1990 ED IL 2010 1,2 Canelli E., 2Manna G., 1Catella A., 1Lelli D.,1Fontana R., 2Cardeti G., 2Autorino L., 1Cordioli P. 2 1 IZSLER, Dipartimento di Sanità animale, Laboratorio di Virologia, Brescia IZSLT, Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Equini (CERME), Roma Keywords: Equine Herpesvirus type 1, Single Nucleotide Polymorphism, Mutant strains SUMMARY Equine herpesvirus 1 (EHV-1) is an important horse pathogen, which is mainly responsible for respiratory diseases, abortion, perinatal death, but also for a neurological syndrome, defined as Equine Herpesvirus Myeloencephalopathy (EHM). Only certain strains, classified as mutant, are believed to cause this neurological form. A single nucleotide polymorphism (SNP) within the gene encoding for the DNA polymerase was reported in these strains and is considered the marker for neuropathogenicity. The aim of this study was to analyse a panel of 87 Italian strains, collected from 1990, using a realtime allelic discrimination PCR assay. The results reveal the presence of both mutant as well as classical variant throughout the whole study period, with an increase of the latter during the last five years. All neurological cases were correlated to mutant strains. However, these were also detected in a high percentage of abortion cases, confirming that the mutation led to an higher viral aggressiveness and pathogenicity. Foetal and placental tissues are proved as an optimal material for typing both EHV-1 variants. A continuous monitoring of the circulating strains would be useful in order to clarify some evolutionary and epidemiological hypotheses which are still not well understood. MATERIALI E METODI Campioni In totale lo studio ha riguardato 87 ceppi di EHV-1, dei quali 69 (80%) isolati da campioni originari principalmente da Lombardia ed Emilia Romagna e 18 (20%) da regioni centromeridionali. La maggior parte dei ceppi (93%) proveniva da casi di aborto o mortalità perinatale, mentre 6 sono stati ottenuti da differenti matrici prelevate in corso di sindromi neurologiche diagnosticate prevalentemente fra il 2009 ed il 2010. Un campione è stato isolato da un mulo in seguito ad immunosoppressione farmacologia. Real-time allelic discrimination Taq-Man® PCR Il DNA è stato ottenuto da omogenati d’organo, tamponi nasali, sangue intero o da surnatanti di tessuto-colture mediante QIAamp Viral RNA Mini Kit (Qiagen). I primer e le sonde utilizzati sono gli stessi descritti da Allen, 2007 [1] e il protocollo di discriminazione allelica è stato leggermente modificato e adattato alla routine di laboratorio. In breve è stata utilizzata una duplex real-time Taq-Man® PCR per la discriminazione allelica dei ceppi classici (A2254) e mutanti (G2254). Le sonde TaqMan-MGB® sono state marcate rispettivamente VIC® per i ceppi mutanti e FAM® per i ceppi classici. Per ogni reazione, sono stati utilizzati 2.5 μl del DNA estratto e 22.5 μl di mix (12.5 μl of Taq-Man® Universal PCR Master Mix (Applied Biosystems), 1.5 μl di primer (1.5 μM) e 1.5 μl di ogni sonda (2 μM) e 2 μl di acqua nuclease-free). Le condizioni termiche utilizzate sono le seguenti: denaturazione iniziale a 95° C per 10 min, seguita da 55 cicli a 95°C per 15 s e 65°C per 1 min. La successiva analisi per l’identificazione della variante rispetto alla SNP è stata fatta utilizzando il software per la discriminazione allelica dello strumento One Step Plus (Applied Biosystem) o comparando le curve di amplificazione dei ceppi con entrambe le sonde (positivo <=40, negativo >40 o =0). INTRODUZIONE Equid Herpesvirus 1 (EHV-1) appartiene alla sottofamiglia delle Alphaherpesvirinae, genere Varicellovirus. EHV1 è un virus a DNA lineare a doppio filamento di 150 Kbp, il cui genoma comprende 80 open reading frame (ORF). Nonostante l’ampio utilizzo di vaccini, il virus risulta endemico nelle popolazioni equine. Alle infezioni da EHV-1, primarie o da riattivazione di virus latenti, sono associati aborti, mortalità neonatale e forme respiratorie. Inoltre, negli ultimi anni sono stati segnalati in tutto il mondo e con maggiore frequenza focolai di sindrome neurologica o EHM (Equine Herpesvirus Myeloencephalopathy), anche ad andamento epizootico. Per questo motivo la EHM è stata classificata come una forma patogenetica potenzialmente emergente [6]. Si ritiene che solo alcuni ceppi di EHV-1 (definiti ceppi neuropatogeni o mutanti, per distinguerli dai ceppi considerati classici) siano responsabili di tale sindrome [4]. È stato osservato che mentre i ceppi mutanti vengono isolati nel corso di tutte le patologie sopra riportate, solo in un modestissimo numero di casi con sintomatologia neurologica sono stati rilevati ceppi classici. Studi genomici hanno identificato la presenza di una singola sostituzione nucleotidica (SNP) a livello di ORF30 (gene che codifica per la DNA polimerasi), significativamente associata all’evoluzione neurologica dell’infezione [3, 4, 7]. In particolare alla sostituzione nucleotidica di adenina (A) con guanidina (G) in posizione 2254 corrisponde la sostituzione di asparagina (N) con acido aspartico (D) alla posizione aminoacidica 752. Gli obiettivi di questo studio sono stati: caratterizzare i ceppi di EHV-1 circolanti in Italia a partire dal 1976, valutare le eventuali correlazioni tra varianti e forme cliniche e verificare possibili variazioni di distribuzione della frequenza sia in termini di localizzazione territoriale, sia nel corso degli anni. Sequenziamento Per verificare il metodo sono stati sequenziali dieci ceppi (3 ceppi mutanti e 7 ceppi classici secondo la discriminazione allelica) per un frammento della regione codificante per la ORF30. Il protocollo e i primer impiegati sono quelli descritti da Nugent et al. (2006) [4]. I prodotti amplificati sono stati sequenziati direttamente dopo purificazione utilizzando il kit Big Die Terminator e analizzati con analizzatore genetico 3.130 (Applied Biosystems). È stata effettuata l’analisi in BLAST e l’allineamento multiplo delle sequenze ottenute con quelle di ceppi di riferimento rappresentativi (Mutant. AB4: AY665713; Classic V592: AY464052) è stato effettuato con CLUSTAL-W (Lasergene, DNASTAR). RISULTATI Di 87 ceppi analizzati 53 (61%) hanno mostrato la mutazione D/752. In particolare, il 56% dei virus originari delle regioni centro-meridionali è risultato N/752, mentre i ceppi delle regioni settentrionali hanno mostrato una prevalenza del 63% di stipiti mutanti (Tab.1). Inoltre, si nota una presenza costante di ceppi 87 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 mutanti fin dagli anni 90, con un aumento nella prevalenza dei ceppi classici soprattutto nell’ultimo quinquennio (Tab.2). La variante D/752 è risultata associata a tutti i casi con conclamata sintomatologia neurologica, ma anche a molteplici casi ad esito abortigeno o di mortalità perinatale (92%). L’analisi genetica dei ceppi analizzati, confermando la disposizione già ottenuta con la discriminazione allelica, ha dimostrato l’attendibilità del metodo impiegato. all’aumento della virulenza corrisponde un aumento del titolo di virus circolante, soprattutto associato ai leucociti; ciò sempre significativamente dipendente dalla singola mutazione. Le ipotesi patogenetiche formulate attribuirebbero proprio agli elevati titoli viremici la maggiore probabilità di infettare e indurre danni alle cellule epiteliali non solo delle arterie del SNC, ma anche di quelle a livello placentare. Di conseguenza, la variante D/752 risulterebbe anche maggiormente abortigena. I dati ottenuti confermano infatti che i ceppi mutanti vengono rilevati con alta frequenza anche negli aborti e, pertanto, feti ed invogli fetali possono essere utilmente impiegati anche ai fini della caratterizzazione molecolare dei ceppi circolanti. Lo studio condotto indica inoltre che, nella popolazione equina nazionale, coesistono costantemente negli anni entrambe le varianti del virus, facendo ipotizzare l’assenza di un vero e proprio svantaggio selettivo. Per confermare questa ipotesi, è necessario continuare ad effettuare sistematicamente la sorveglianza e l’analisi dei ceppi di EHV-1 circolanti. L’isolamento dei ceppi associati a forme neurologiche risulta più frequente negli ultimi anni, probabilmente per la maggiore attenzione posta a tali sindromi a seguito delle recenti epidemie sostenute dal virus West Nile. Per evitare di sottostimare il fenomeno, al contrario di quanto avviene in campo, l’infezione da EHV-1 dovrebbe sempre essere sempre considerata nella diagnosi differenziale di forme nervose. Sono in corso ulteriori studi per approfondire le analisi epidemiologiche e ampliare l’analisi genetica anche ad altre regioni del genoma di EHV-1, per evidenziare ulteriori marker e profili genetici associati alla manifestazione della EHM in campo. Tab.1: disposizione dei ceppi analizzati per area geografica e per variante (mutante o classica). Tab.2: prevalenza dei ceppi mutanti o classici nel periodo di studio, suddiviso in gruppi di quattro anni. Ringraziamenti Gli autori ringraziano Annamaria Tirelli per il preziosissimo supporto tecnico. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Allen G.P. Development of a real-time polymerase chain reaction assay for rapid diagnosis of neuropathogenic strains of equine herpesvirus-1. (2006)J Vet Diagn Invest 19:69-72. 2. Allen G.P. and Timoney P.J., Recent advances in our understanding of equine herpesvirus-1 (EHV-1) myeloencephalopathy, 107th Annual Meeting of the United States Animal Health Association (2007), pp. 373–380. 3. Goodman B.L., Loregian A., Perkins A.G., Nugent J., Buckles L.E., Mercorelli B., Kydd H.J., Palu G., Smith C.K., Osterrieder N., Davis-Poynter N.(2007) A point mutation in a herpesvirus polymerase determines neuropathogenicity, PLos Pathog 3,1583–1592 4. Nugent J., Birch-Machin I., Smith K.C. Analysis of equine herpesvirus type 1 strain variation reveals a point mutation of the DNA polymerase gene strongly associated with neuropathogenic versus non-neuropathogenic disease outbreaks. (2006) J Virol 80,4047–4060. 5. Smith K.L, Allen GP., Branscum A.J., Cook R.F., Vickers M.L., Timoney P.J., Balasuriya U.B.R., The increased prevalence of neuropathogenic starins of EHV-1 in equine abortions, vet microbio, 141 (2010) 5-11 6. Anonymous, Equine herpesvirus myeloencephalopathy: a potentially emerging disease. In: USDA-APHIS (Eds.), APHIS Veterinary Services Center for Epidemiology and Animal Health, Washington, DC, USDA, 2007 pp. 40–43. 7. Van de Walle G.R., Goupil R., Wishon C., Damiani A., G.A. Perkins G.A. and Osterrieder N., A single-nucleotide polymorphism in a herpesvirus DNA polymerase is sufficient to cause lethal neurological disease, J. Infect. Dis. 200 (2009), pp. 20–25. DISCUSSIONE I risultati ottenuti in questo studio dimostrano che entrambe le varianti di EHV-1 circolano in Italia a partire dagli anni ’90. Mentre per i ceppi centro-meridionali si nota una prevalenza di ceppi classici, per quelli delle regioni settentrionali si osserva un maggior numero totale di ceppi mutanti. Tale differente distribuzione potrebbe essere riconducibile ai fattori di rischio più comuni a livello locale e regionale (circuiti ippico-sportivi e stazioni di monta). I risultati indicano che a fronte della persistente circolazione di ceppi mutanti, si assiste ad un aumento della prevalenza dei ceppi classici. Ciò, risulterebbe in controtendenza rispetto ad altri studi [2, 3, 5]. Tuttavia tali risultati concorderebbero con l’ipotesi evoluzionistica che individua la variante D/752 come progenitore della N/752 [4]. Infatti, in tutti gli altri herpesvirus la sequenza del gene della polimerasi virale presenta un residuo acidico, solitamente l’acido aspartico, alla posizione equivalente a Pol752 di EHV-1. Un altro risultato da richiamare all’attenzione è quello relativo alla presenza del solo tipo D/752 nei focolai di forma neurologica conclamata. Questo supporta le ipotesi di altri studi che indicano la mutazione a livello di ORF 30 come fattore sufficiente e probabilmente necessario all’evoluzione neurologica dell’infezione [3, 4, 7]. L’utilizzo di cloni infettanti, che esprimono o meno la mutazione, in sperimentazioni su equini [3, 7] ha già convincentemente dimostrato che la variante D/752 è più patogena e aggressiva rispetto alla N/752, soprattutto se si fa riferimento alla fatalità elevata della forma neurologica. Inoltre è stato verificato che 88 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 FOCOLAIO DI FORMA NERVOSA DA EQUINE HERPESVIRUS TIPO 1 1 Canelli E., 1Catella A., 2Mazzolari L., 3Schiaffino F., 2Begni E., 1Gelmetti D., 1Salogni C.,1Moreno A., 1Lelli D., 1Sozzi E., 1 Cordioli P. 1 IZSLER, Dipartimento di Sanità animale, Laboratorio di Virologia, Brescia 2 veterinario ufficiale ASL di Brescia, Brescia 3 veterinario libero professionista, San Giorgio Horse Club, Rudiano, Brescia Keywords: Equine Herpesvirus -1, forma neurologica SUMMARY Between December 2009 and January 2010, a dramatic outbreak of the neurological form due to Equine Herpes Virus type1 (EHV-1) occurred in three neighbouring horse-farms and involved 15 out of 23 horses. Within ten days the affected horses showed high temperature; 12 of them also manifested neurological signs: ataxia, legs paralysis with a caudal to cranial progression, often exited in recumbency. Clinical suspect of a viral neurological disease was supported by macro and microscopic findings, and confirmed by virological analyses. The EHV-1 was detected by real-time PCR, isolated from the nervous central system on RK13 cells and identified by using specific monoclonal antibodies. The phylogenetic analysis on the ORF30 amplified fragment of the isolated strains revealed the genetic mutation on the polymerase gene, previously described for the EHV-1 neuropathogenic or mutant type. sono stati conferiti ai laboratori IZSLER per la necroscopia e le analisi. Nel frattempo nell’arco di venti giorni, altri dieci cavalli si sono ammalati. Tre di questi, che mostravano solo inappetenza e febbre, hanno recuperato dopo terapia, in 7-10 giorni. Gli altri sette cavalli presentavano febbre (39,4-41°C) associata a debolezza, atassia e paresi progressiva degli arti posteriori. Un cavallo presentava anche anemia, linfoadenopatia mandibolare e edema dello scroto e degli arti posteriori, precedenti alla comparsa dei segni neurologici. Tre dei sette cavalli, sono stati sottoposti ad eutanasia in seguito a un decubito laterale irreversibile. Gli altri quattro cavalli sono guariti in seguito a terapia. A questo riguardo, dato che non esiste una terapia specifica e poiché non si conosceva ancora la causa della patologia, è stato applicato un protocollo terapeutico di idratazione endovenosa con una soluzione elettrolitica bilanciata, e di somministrazione di DMSOdesametasone e di complessi vitaminici. Una settimana dopo questo primo allevamento, tre fattrici di cinque presenti in due piccoli allevamenti confinanti con il Circolo San Giorgio, hanno presentato aborto e gli stessi sintomi descritti prima. Solo una è sopravvissuta all’infezione. Nelle vicinanze dei paddok delle fattrici erano presenti anche tre puledri di nove mesi di età, che non hanno sviluppato segni riferibili a infezioni da EHV-1. In entrambi i focolai, tutti i cavalli presenti erano vaccinati con un vaccino inattivato bivalente (nei confronti di EHV-1 e EHV-4). INTRODUZIONE Equid Herpesvirus 1 (EHV-1) è un Varicellovirus della famiglia Alphaherpesvirinae. Il genoma di EHV-1 è costituito da un DNA lineare a doppio filamento, che comprende 80 open reading frame (ORF). Le forme cliniche più frequenti dell’infezione da EHV-1 sono di tipo respiratorio e abortigeno, ma il virus è anche responsabile di una sindrome nervosa definita EHM (Equine Herpesvirus Myeloencephalopathy). Molti studi, anche retrospettivi, sui ceppi isolati nel corso di EHM hanno rivelato la presenza di una mutazione puntiforme alla posizione nucleotidica 2254 del gene codificante per la polimerasi virale (ORF30), con sostituzione amminoacidica di N (asparagina) con D (acido aspartico) alla posizione 752. Tale mutazione sembra essere associata in modo significativo ad un’aumentata patogenicità virale, che si esprime in una maggiore viremia e una maggiore aggressività a livello di cellule epiteliali delle arterie del SNC [2, 10]. I recenti focolai italiani da West Nile virus (WNV), hanno portato ad una maggiore attenzione da parte dei veterinari di campo nei confronti delle sintomatologie nervose nella specie equina. La diagnosi differenziale viene quindi ad essere uno strumento fondamentale, soprattutto durante i periodi epidemici per WNV. Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire le informazioni cliniche e diagnostiche riguardanti la forma neurologica da EHV-1, ripercorrendo un recente focolaio verificatosi in provincia di Brescia. Esami virologici Dopo la necroscopia, gli omogenati di encefalo, cervelletto e midollo allungato di alcuni dei cavalli sottoposti ad eutanasia sono stati esaminati con tre differenti real time-PCR per la ricerca di WNV, Borna Virus ed EHV-1 [7]. Gli stessi campioni sono stati anche inoculati su colture cellulari Vero, RK13 e su colture primarie di derma equino per l’isolamento virale. La crescita virale è stata valutata mediante osservazione giornaliera dei monostrati. Sono state infine eseguite anche le analisi istologiche e immunoistochimiche classiche su sezioni cerebrali e di midollo spinale. Analisi genetiche In seguito alla positività per EHV-1, un frammento della ORF 30 è stato analizzato mediante sequenziamento genetico. Il protocollo e i primer impiegati sono quelli descritti da Nugent et al. (2006) [4]. I prodotti amplificati sono stati sequenziati direttamente dopo purificazione. La specificità delle sequenze è stata verificata in BLAST. L’allineamento multiplo delle sequenze con quelle dei ceppi di riferimento è stato eseguito con Clustal W (Lasergene). MATERIALI E METODI Il focolaio: descrizione clinica Il primo sospetto di una patologia neurologica è stato effettuato dai veterinari del Circolo Ippico San Giorgio, Brescia, quando un cavallo (Ginger, 18/12/09 – index case) è apparso inappetente, con una parziale paresi degli arti posteriori, seguita da una paralisi completa con decubito laterale. Il cavallo è stato poi sottoposto ad eutanasia. Dopo pochi giorni un altro cavallo (Temeraro) ha mostrato gli stessi sintomi. Sono state quindi misurate le temperature di tutti i cavalli presenti nel circolo e la carcassa e i campioni di sangue di quest’ultimo cavallo Esami sierologici I sieri sono stati prelevati inizialmente da due cavalli, divenuti sintomatici appena dopo la morte di Temeraro (28/12/09), poi altre due volte da tutti i cavalli sopravvissuti. Il primo prelievo è stato effettuato subito dopo la conferma della diagnosi (27/01/09), i cavalli sono stati poi di nuovo campionati il 10/02/09. I sieri sono stati testati in sieroneutralizzazione (SN), seguendo il protocollo OIE [5], e in fissazione del complemento (CF). 89 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RISULTATI In totale il focolaio ha coinvolto 13 di 23 animali presenti. Poiché i tre allevamenti erano confinanti sono stati considerati come un’unica unità epidemiologica e l’infezione come un unico focolaio. Tutti gli animali avevano un’età superiore ai 7 anni. La morbilità totale è stata di circa il 65% e il tasso di mortalità del 30%. Il quadro anatomo-patologico dei cavalli sottoposti a necroscopia era sovrapponibile a quello descritto in corso di EHM. Le real-time PCR diagnostiche sono risultate: negative per Borna virus e per West Nile virus e positiva per EHV-1. Già al primo passaggio, era evidente sulle colture di cellule RK13 un effetto citopatico riferibile a herpesvirus e confermato come da EHV-1 mediante immunofluorescenza (EHV-1/324102/ BS/2009). Anche l’istologia e l’immunoistochimica hanno confermato la diagnosi. In particolare, all’esame istologico era evidente un lieve infiltrato linfocitario multifocale, a prevalente distribuzione perivascolare; edema diffuso, presenza di trombi ialini e microemorragie a livello di tutto il sistema nervoso centrale dalla corteccia al midollo spinale. La colorazione immunoistochimica con antisiero EHV-1 specifico è risultata positiva a livello del citoplasma di alcune cellule endoteliali cerebrali. Le lesioni macroscopiche e microscopiche postmortem delle fattrici successivamente coinvolte nel focolaio, sono state le stesse descritte per il primo caso, e l’esame virologico ha confermato la diagnosi (EHV-1/16656/BS/2010). L’analisi genetica degli isolati ha evidenziato la presenza della già descritta sostituzione di A in posizione 2254 (D/752 aa) con G (N/752 bis), ma anche la presenza di un’altra sostituzione silente in 2874 di G con A, non rilevabile in entrambi i ceppi di riferimento (Tab. 1). Per quanto riguarda le analisi sierologiche i primi due cavalli prelevati, hanno avuto una sieroconversione rilevata mediante sieroneutralizzazione, mentre gli anticorpi fissanti il complemento, inizialmente negativi, hanno subito un notevole aumento. Tutti gli altri sieri presentavano titoli anticorpali elevati in entrambe le date di prelievo, senza incrementi significativi in entrambe le metodiche. Le sequenze dei due isolati sono disponibili in GenBank con i seguenti numeri d’accesso: HM125711 (16656/BS/2010); HM125712 (324102/BS/2009). è stato causa di una forma grave. I dati sierologici sui prelievi fatti in fase acuta e convalescente dai primi due cavalli analizzati erano indicativi di un’infezione recente. La sierologia appare quindi come un metodo molto utile quando il primo prelievo viene effettuato vicino all’inizio della sintomatologia febbrile e/o degli altri sintomi clinici e la sieroconversione viene valutata su un secondo campione prelevato 5-7 giorni dopo il primo. Al contrario, non dà risultati significativi se i prelievi vengono effettuati in corso di focolaio o successivamente, poiché gli alti titoli anticorpali non sono valutabili per stabilire la temporalità dell’infezione. La fissazione del complemento è stata confermata come un metodo sierologico valido, soprattutto per diagnosticare infezioni recenti. Ulteriori studi genomici sono in corso su questi ceppi e su altri isolati da focolai neurologici per l’analisi della inter region tra ORF62- ORF63. Questa particolare regione sembra interessante in quanto appare associata alla crescita virale e alla virulenza di EHV-1. La prevalenza delle infezioni nervose da EHV-1 è spesso sottostimata, dato che la sintomatologia clinica non è sempre evidente o patognomonica. Il focolaio descritto rappresenta invece un caso grave, vista la morbilità e la letalità particolarmente elevate. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Allen G.P., Powell D.G.,2003, Equine herpesvirus neurological disease in the USA and United Kingdom. Equine Dis Quart 12,2–3. 2. Goodman B.L., Loregian A., Perkins A.G., Nugent J., Buckles L.E., Mercorelli B., Kydd H.J., Palu G., Smith C.K., Osterrieder N., Davis-Poynter N., 2007, A point mutation in a herpesvirus polymerase determines neuropathogenicity, PLos Pathog. 3,1583–1592 3. Henninger R.W., Reed S.M., Saville J., 2006, Epidemic neurologic disease due to equine herpesvirus-1 at a university equestrian center. J Vet Intern Med 2007;21:157– 165 4. Nugent J., Birch-Machin I., Smith K.C., 2006, Analysis of equine herpesvirus type 1 strain variation reveals a point mutation of the DNA polymerase gene strongly associated with neuropathgenic versus non-neuropathogenic disease outbreaks. J Virol 80,4047–4060. 5. OIE Terrestrial Manual 2008, Chapter 2.5.9 Equine rhinopneumonitis. Serological test: a)virus neutralization test Page 899-900 6. Pusterla N., Wilson W.D., Madigan J.E., Ferraro G.L., 2009. Equine herpesvirus-1 myeloencepahopathy: a review of recent developments, The Veterinary Journal 180, 279-289. 7. Sala M., Cersini A:, Damiani A., Scicluna M. T., Manna G:, Spallucci V.,Caprioli A,., Ciabatti M.I.,Autorino G. L., 2009 Validazione di metodi real-time PCRper la diagnosi simultanea di alcune encefalomieliti virali degli equidi, Atti del III Workshop nazionale di virologia veterinaria, Valenzano, Bari 11-12 giugno 2009 8. Studdert M.J., Hartley C.A., Dynon K., 2003, Outbreak of equine herpesvirus type 1 myeloencephalitis: new insights from virus identification by PCR and the application of an EHV-1-specific antibody detection ELISA. Vet Rec 153,417– 423. 9. Stierstorfer B., Eichhorn W., Schmahl W., Brandmuller C., Kaaden O.-R., Neubauer A., 2002, Equine Herpesvirus Type 1 (EHV-1) myeloencephalopathy: a Case Report. J Vet Med B 49, 37-41 10. van Maanen C., Sloet van Oldruitenborgh-Oosterbaan M.M., Damen E.A., 2001, Neurological disease associated with EHV-1 infection in a riding school: clinical and virological characteristics. Equine Vet J 33,191–196. Tab.1 Schema della analisi genetica delle sequenze della ORF30 dei due ceppi isolati in corso di focolaio, confrontate con i ceppi di riferimento Ab4 (mutante) e V592 (classico). Ab4 AY665713 2225* 742** 2254 752 V D T G 2874 G 958 L 2968 G 990 E V592 AY464052 T V A N G L A K 324102/09 16656/10 T T V V G G D D A A L L G G E E * posizione nucleotidica, relativa all’inizio della sequenza della ORF 30 del ceppo di riferimento Ab4; ** posizione amminoacidica corrispondente. in base alla sequenza del ceppo V592 . DISCUSSIONE Nonostante l’utilizzo della profilassi indiretta su larga scala, l’infezione da EHV-1 è ancora frequente e può verificarsi anche in forma di sindrome neurologica. L’isolamento di un virus che presenta la mutazione puntiforme a livello di ORF 30 in da questo focolaio, conferma la forte associazione tra questa mutazione e l’evoluzione neurologica dell’infezione. Il ceppo correlato a questo focolaio ha mostrato un’elevata virulenza ed 90 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI (CSM) ANIMALI: ISOLAMENTO, CARATTERIZZAZIONE E CONTROLLI DI QUALITÀ Di Marco P.1, Ferrari M.2, Sesso L.1, Purpari G.1, Russotto L.1, Cannella V.1, Dara S.1, Di Bella S.1, Guercio A.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia; 2Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna Key words: Cellule Staminali Mesenchimali (CSM), caratterizzazione, controlli di qualità ABSTRACT Among research activities of Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS), working according UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 norms, there are Mesenchymal Stem Cells (MSCs) isolation, amplification, characterization and banking. In this survey equine and canine MSCs are collected from bone marrow and adipose tissue. Safety testing methods are applied to assure cells biosafety. MSCs could be used in order to study tissue remodelling both autologus and allogeneic implantation. di tipo I) antibiotata. Il pacchetto cellulare ottenuto dalla digestione viene lavato e centrifugato con PBS antibiotato. Infine, il pellet ottenuto è risospeso in terreno colturale completo (D-MEM low glucose, 20% SFB e 10% antibiotici-antimicotici). La vitalità cellulare è valutata mediante il Trypan blu test. Figura 1. Prelievo di tessuto adiposo (a) e midollo osseo (b) INTRODUZIONE Negli ultimi anni lo studio delle CSM ha permesso di verificare la loro capacità di auto-rinnovarsi e differenziarsi in numerosi tipi cellulari, rappresentando così una sorta di sistema di sicurezza dell’organismo. Esse, infatti, svolgono una funzione di riserva per le cellule mature, provvedendo alla loro sostituzione allorquando esse raggiungono il limite fisiologico di sopravvivenza o eventi negativi ne determinano la morte precoce. Ogni cellula staminale ha la potenzialità di evolvere sia in un’altra cellula staminale (auto-rinnovamento) che in un tipo cellulare (muscolare, ematico, neuronale, cartilagineo, osseo, ecc.) con funzioni specializzate. Queste caratteristiche hanno fatto riflettere sulla possibilità di utilizzare le CSM nell’ambito della rigenerazione dei tessuti. In questo lavoro viene descritta l’attività di isolamento, amplificazione, caratterizzazione e conservazione delle CSM da midollo osseo e da tessuto adiposo di cane e cavallo. Inoltre, è stata valutata la possibilità di utilizzare le CSM nella terapia cellulare rigenerativa in cani e cavalli, rispettivamente con lesioni ossee e tendinee. Le CSM sono state isolate e propagate in laboratorio, al fine di potere ottenere una concentrazione cellulare ritenuta idonea per l’impianto autologo e allogenico in animali con problemi ortopedici. Le cellule sono state sottoposte a controlli microbiologici e a test di tumorigenicità, al fine di limitare i rischi conseguenti alla manipolazione cellulare ed alla comparsa di mutazioni, con acquisizione di caratteristiche oncogene. Caratterizzazione delle CSM Per la tipizzazione cellulare si eseguono due tests in vitro. Il primo di essi consiste nella determinazione delle “Unità Formanti Colonie” (CFU), che permette di verificare l’abilità delle cellule isolate di dare origine a colonie (Figura 2). A tale scopo, le cellule vengono inoculate in piastre da 6 pozzetti alla concentrazione di 300, 150, 60, 30, 15, 8 cellule/cm2 in terreno di coltura completo ed incubate a +37°C al 5% di CO2. Dopo 13-15 giorni le colonie ottenute sono fissate con metanolo, colorate con Giemsa e contate (2). Figura 2. Unità Formanti Colonie “CFU” Il secondo metodo si basa sull’accertamento della pluripotenza delle CSM. Per tale indagine le cellule sono coltivate in specifici terreni (Miltenyi Biotec) e sottoposte a differenziamento verso tre diverse linee cellulari: condrocitica, adipocitica ed osteocitica (7). Le CSM destinate al differenziamento verso la linea condrocitica sono coltivate in provette a fondo conico per almeno 40 giorni a +37°C al 5% di CO2. L’avvenuto differenziamento è confermato dalla formazione del nodulo di condrociti (Figura 3) sul quale vengono eseguiti esami istochimici. Figura 3. Nodulo di condrociti MATERIALI E METODI Controllo dei donatori Per ogni animale viene realizzata una cartella clinica anamnestica, nella quale vengono riportate informazioni utili ad identificare il donatore ed il suo stato di salute. Isolamento e amplificazione delle CSM Le CSM sono isolate da tessuto adiposo e midollo osseo di cani e cavalli in buono stato di salute. Il midollo osseo è prelevato dalla cresta iliaca o dallo sterno (Figura 1b), mediante siringa contenente eparina, e trasferito in provette eparinizzate (3). Successivamente è diluito con PBS sterile e centrifugato. Il buffy coat viene prelevato, stratificato su un gradiente di densità (Histopaque 1077) e centrifugato. L’anello di cellule formatosi nell’interfaccia midollo-Histopaque 1077 viene raccolto e risospeso in terreno di coltura completo (50% D-MEM low glucose, 50% Ham’s F12, 20% SFB e 10% antibioticiantimicotici). Il tessuto adiposo sottocutaneo (Figura 1a) o viscerale (7, 8), viene sminuzzato e lavato con soluzione salina (HBSS) antibiotata. I frammenti sono digeriti in una soluzione enzimatica (Collagenasi 91 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Gli animali vengono controllati per evidenziare l’eventuale comparsa di noduli. In presenza di noduli viene eseguito l’esame istologico. Congelamento Le CSM sono sottoposte a congelamento, eseguito secondo modalità standard in terreno colturale addizionato con il 10% di DMSO e l’80% di siero bovino fetale (1). Dopo scongelamento, le cellule sono sottoposte a prove di vitalità. Le CSM destinate al differenziamento verso la linea adipocitica ed osteocitica sono coltivate in pozzetti da 35 mm ed incubate a +37°C al 5% di CO2. Dopo 20 giorni vengono effettuate le colorazioni “Oil Red O” e di “Von Kossa” (Figura 4) che permettono di rilevare rispettivamente la presenza di cellule adipocitiche ed osteocitiche. Figura 4. Colorazioni di Von Kossa (a) e Oil Red O (b) RISULTATI Il nostro lavoro ha consentito di isolare, dal midollo osseo e dal tessuto adiposo animale, una popolazione di CSM che è stata caratterizzata sia morfologicamente che sulla base delle capacità differenziative. Le CSM già dopo 48 ore dall’isolamento aderiscono alla superficie della fiasca ed assumono una morfologia di tipo fibroblastico (Figura 6). Le stesse raggiungono la subconfluenza in circa 7-10 giorni. Il numero dei passaggi seriali eseguiti non sono superiori a sei e le cellule sono congelate al primo e secondo passaggio. Controlli di sterilità Tutte le colture destinate all’impianto sono sottoposte a controlli atti a confermare l’assenza di agenti contaminanti, rappresentati da micoplasmi, batteri, miceti e virus (4). L’eventuale presenza di micoplasmi viene valutata attraverso la coltura in specifici terreni liquidi e solidi, la colorazione di Hoeshst e la Real Time PCR. Per l’accertamento della contaminazione da batteri e miceti vengono impiegati terreni selettivi, liquidi e solidi. Un panel di tests diretti ed indiretti è stato messo a punto per la valutazione della presenza di agenti virali (isolamento in monostrati di cellule permissive, PCR, Real Time PCR, emoagglutinazione, ELISA, virus neutralizzazione, tests immunoenzimatici, microscopia elettronica). Cross-contaminazione interspecie La tecnica di PCR-RFLP richiede l’amplificazione di una porzione del gene del citocromo b (348 bp) e consente l’autenticazione di colture di cellule appartenenti a 23 diverse specie animali (6). Prove di tumorigenicità ed oncogenicità (5) Prove in vitro: la linea cellulare da testare, le cellule VERO (controllo negativo) e le cellule Hep-2 (controllo positivo) vengono inoculate in piastre a 6 pozzetti contenenti terreno solido ed incubate a +37°C al 5% di CO2. Le piastre vengono osservate per almeno tre settimane. Le cellule tumorali, dopo 7-10 giorni, cominciano a replicare e a formare agglomerati multicellulari. Le cellule negative mostrano atrofia. Prove in vivo: la linea cellulare da testare, le cellule VERO e le Hep-2 vengono inoculate mediante iniezione sottocutanea (Figura 5), ognuna in gruppi di 10 topi atimici (genotipo Nu/ Nu). Figura 6. CSM in coltura Il test delle CFU dimostra che queste cellule sono in grado di dare origine a cloni di tipo fibroblastoide. La pluripotenza delle CSM isolate viene confermata dalla capacità di evolvere verso le tre linee cellulari esaminate. Il differenziamento in adipociti è evidenziato dalla formazione di granuli lipidici di colore rosso nel citoplasma cellulare (Figura 4b). L’evoluzione verso il tessuto osseo è confermata dalla presenza del substrato cellulare di aggregati di calcio di colore nero (Figura 4a). La capacità di differenziare in condrociti è testimoniata dalla formazione di agglomerati di tipo cartilagineo (Figura 3). Inoltre le prove di tumorigenicità in vivo e in vitro delle CSM non evidenziano alcun potere oncogeno. Le cellule congelate mostrano un’elevata vitalità anche dopo scongelamento. CONCLUSIONI I risultati, seppur preliminari, hanno evidenziato come le CSM isolate da midollo osseo e tessuto adiposo di cane e cavallo siano in grado di replicare in vitro, consentendo di ottenere una concentrazione cellulare ideale per l’impianto in vivo. Le CSM isolate sono contraddistinte da caratteristiche biologiche tipiche di staminalità, quali la pluripotenza. La possibilità di congelarle consente di disporre di stocks di cellule già amplificate, controllate e prontamente disponibili, riducendo i tempi di attesa per l’impianto cellulare (impianto allogenico). Nell’uso della terapia rigenerativa risulta importate il followup clinico di cani e cavalli trapiantati. Questi ultimi, per le caratteristiche funzionali del loro apparato scheletrico, simili a quelle umane, consentono di verificare gli esiti di una terapia innovativa sia in campo veterinario che umano. Figura 5. Iniezione sottocutanea in un topo genotipo Nu/Nu 92 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. B.A., Flaat M., Gagliardi C., Patel B., Ripoll C. (2008). Adipose-derived stem cells: Isdolation, expansion and differentiation. Methods 45: 115-120. 2. Castro- Brunnel Malaspina H. et al (1980). Characterization of human bone marrow fibroblast colony-forming cells (CFU-F) and their progeny. Blood 56: 289-301. 3. Crovace A., Lacitignola L., Francisco E., Rossi G. (2008). Histology and immunohistochemistry study of ovine tendon grafted cBMSCs and BMMNCs after collagenaseinduced tendinitis.Vet Comp Orthop Traumatol. 4: 329336. 4. Freshney R.J. (1987). Culture of animal cells. A manual of basic techniques. New York Alan R. Liss Inc. 5. Kahn P., Shin S. (1979). Cellular Tumorigeniticity in Nude Mice. Test of associations among loss of cell-surface fibronectin, anchorage independence, and tumor-forming ability. J. Cell Biology. 82: 1-16. 6. 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Stem Cells. 25: 818-827. 93 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 STUDIO CLINICO RETROSPETTIVO PER LA VERIFICA DELL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO DELLE TENDINOPATIE DEL CAVALLO MEDIANTE IMPIANTO DI CELLULE STAMINALI OMOLOGHE DERIVATE DAL GRASSO Sala M.1, Canonici F.2, Barbaro K. 1, Bonini P. 1, Caminiti A. 1 ,Spalluci V. 1, Aquilini E. 1, Amaddeo D. 1, Autorino G.L. 1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma 2 Clinica Veterinaria Equine Practice, Campagnano di Roma ( Roma) Key words: Adipose mesenchymal stem cells, Equine tendon-desmopathy, multirater agreement beyond chance ABSTRACT Myo-tendinopathies are common pathological conditions affecting the musculoskeletal system of the horse. The competitive career of performance horses may be shortened as a consequence of tendon injuries, especially because the full recovery is extremely difficult or impossible . In addition, they can be cause of chronic pain. The aim of this study was to assess the anatomical recovery of injured tendons after the injection of stem cells extracted from adipose tissue into the area of damage. For this purpose, 17 horses were selected and treated with stem cell and a set of 51 ultrasound images were collected in 3 different stages of disease. Afterwards, a single blind trial involved 4 experts was carried out to assess qualitatively and quantitatively the images using an evaluation system based on ordinal scales of ranked scores. A multivariate logistic regression analysis was performed to identify significant relationships between opinions from the experts and the stage of disease. Results from this study suggest the structural recovery of the tendon tissue after the injection of stem cells. (Roma) tra il 2008 ed il 2009. Le AMSC sono state ottenute da grasso sottocutaneo prelevato in zona caudale, estratte, isolate ed espanse in coltura come descritto in una nostra precedente comunicazione (Barbaro K., 2008). Le colture, raccolte e risospese in ragione di n° 500.000/ml cellule nel plasma degli stessi soggetti, sono state quindi introdotte nelle rispettive sedi di lesione mediante inoculazione eco-guidata. Diagnostica per immagini (ecografia). I cavalli selezionati sono stati sottoposti a diagnosi ecografica delle lesioni allo stadio A (pre-inoculo), nonché dopo 60 giorni (tempo stadio B postinoculo) ed a 120 giorni (stadio C post-inoculo). L’inoculo di cellule staminali è avvenuto mediamente 7-10 giorni dopo il rilievo delle immagini al tempo A. Il circuito per la valutazione del recupero anatomico. La verifica oggettiva del recupero anatomico post-inoculo delle lesioni è stata condotta attraverso la valutazione della concordanza dei giudizi espressi da 4 medici veterinari di riconosciuta esperienza internazionale nella diagnostica per immagini dell’apparato muscolo-scheletrico del cavallo. A tale scopo, è stato allestito un panel di 51 immagini costituito dalle ecografie originali condotte al tempo A, B e C su ognuno dei 17 cavalli arruolati. Ad ogni esperto, sono quindi state inviate per via postale 3 repliche dello stesso panel (51 x 3 = 153 immagini) su supporto digitale (DVD) . Ogni immagine è stata codificata univocamente per la lettura in cieco da parte degli esperti. Per ciascuna di esse, il singolo esperto ha espresso due tipi di valutazione, una qualitativa in base a al grado di ecogenicità dell’immagine (completely anechoic, mostly anechoic, hypoechoic, isoechoic) ed una quantitativa, in base alla percentuale di fibre osservate (0-25%, 26-50%, 51-75% 76%-100%). Analisi dei dati. Ai fini delle analisi, le 4 categorie di giudizio relative all’ecogenicità ed alla % di fibre sono state ridotte a variabile dicotomica: alta/bassa ecogenicità; alta/bassa % di fibre. Mediante la statistica Kappa di Randolf, è stata condotta una valutazione della ripetibilità e della riproducibilità dei giudizi espressi rispettivamente dal singolo esperto e dall’insieme dei 4 esperti, per ciascuna immagine. E’ stato quindi possibile valutare il grado di accordo intra ed inter-esperto, depurato dall’effetto del caso. Con la medesima statistica sono state calcolate la ripetibilità e la riproducibilità dei giudizi in relazione allo stadio della lesione (A, B, C). Per la valutazione del valore restituito dalla statistica Kappa è stata utilizzata la scala di valutazione proposta da Landis e Kock, ponendo valori > 0,61 come soddisfacenti. Al fine di verificare l’oggettivo recupero anatomico delle lesioni a distanza dall’inoculo è stata utilizzata una regressione logistica multivariata considerando come variabili di outcome il livello di ecogenicità (alta/bassa) e la percentuale di fibre (alta/bassa) ponendo lo stadio della lesione, (A,B,C), l’esperto (1,2,4,5) e la replica (1°,2°,3°) come variabili indipendenti (Explanatory variables). INTRODUZIONE Le tendino-desmopatie rappresentano una delle condizioni patologiche più frequenti dell’apparato muscolo-scheletrico del cavallo ed in particolare dei cavalli atleti, per i quali spesso comporta la fine della carriera, a causa dell’impossibilità di una guarigione anatomico-funzionale completa. Negli anni sono state proposte varie metodiche, mediche e chirurgiche, che comunque hanno fornito scarsi risultati. Recentemente, l’approccio della terapia rigenerativa attraverso l’impiego di cellule staminali ha incontrato un crescente interesse come alternativa alla terapia classica di tali patologie. Le Adipose Mesenchymal Stem cells (AMSC) possono costituire un substrato alternativo a quelle del midollo osseo con vantaggi in termini di isolamento, rapidità di espansione, e maggior numero di cellule presenti (Nakagami H., 2006). Le valutazioni ecografiche di controllo post-impianto testimoniano, su singoli casi, una riparazione qualitativamente superiore per la precoce rigenerazione di fibre tendinee altrimenti difficilmente apprezzabile. Tuttavia, non esistono ancora degli studi clinici retrospettivi in grado di dimostrare oggettivamente la reale efficacia di questo trattamento né sono ancora stati documentati studi ed applicazioni cliniche su popolazioni campionarie tali da rendere generalizzabili i risultati. L’obiettivo di questo lavoro è la verifica, attraverso uno studio di campo, della risposta individuale alla somministrazione di un numero predefinito di cellule staminali in soggetti con tendinopatie del flessore superficiale delle falangi. Ulteriore obiettivo è rappresentato dalla sperimentazione di un metodo di lavoro finalizzato alla valutazione oggettiva delle immagini ecografiche dei soggetti sottoposti ad autorapianto di cellule staminali estratte dal grasso, da parte di esperti chiamati a eseguire una diagnostica per immagini in cieco. MATERIALI E METODI Selezione dei casi. Sono stati selezionati 17 cavalli con diagnosi di tendinopatia caratterizzata dalla rottura parziale delle fibre del tendine flessore superficiale delle falangi, effettuata presso la Clinica Veterinaria Equine Practice, Campagnano di Roma RISULTATI Le valutazioni espresse dai 4 esperti sottolineano una propensione ad attribuire giudizi di maggiore ecogenicità e di maggiore percentuale di fibre alle immagini ecografiche eseguite 94 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 a 60 giorni (stadio B) e 120 giorni (stadio C) post-inoculo rispetto alle immagini relative allo stadio A (tempo 0 pre-inoculo) (Tabella 1- esempio per ecogenicità). I giudizi espressi da ogni singolo esperto, sia qualitativo che quantitativo, per le 3 repliche della stessa immagine sono risultati ripetibili ( K di Randolph > 0,61). I 4 esperti, si sono inoltre dimostrati coerenti tra loro nell’esprimere lo stesso giudizio per la stessa immagine, dimostrando elevata riproducibilità delle valutazioni espresse (K di randolph > 0,61). Ogni esperto è risultato coerente con se stesso nell’esprimere lo stesso giudizio in funzione dello stadio (A, B e C) al quale appartenevano le immagini (tabelle 2 e 3). La riproducibilità viene mantenuta per le immagini di stadio B e C mentre è risultata inferiore (moderata) per le Immagini di stadio A (tabella 4). La regressione logistica ha confermato probabilità significativamente maggiori che immagini di stadio B e C venissero valutate ad alta ecogenicità ed alta % di fibre rispetto alle immagini relative allo stadio A della lesione. In particolare le immagini di stadio C hanno mostrato una probabilità 95 volte maggiore di essere classificate ad elevata ecogenicità (O.R. 95, 8; 41,8 < O.R. <219,5) e 50 volte maggiore di essere classificate ad alta % di fibre rispetto alle immagini di stadio A (O.R. 49,5; 26,3 < O.R. <93,1). L’analisi multivariata ha escluso qualsiasi effetto dell’esperto o della replica sull’outcome osservato (Tabelle 5 e 6). alternative to Fleiss’s fixed-marginal multirater kappa. Manuscript submitted for publication. Tabella 1. Distribuzione dei giudizi espressi dagli esperti sul grado di ecogenicità per stadio dell’immagine (51 immagini per stadio per ogni esperto) Tabella 2. Ripetibilità (Valori statistica K di Randolph) dei giudizi espressi sul grado di ecogenicità per stadio dell’immagine ecografica (N=51x3 osservazioni / esperto) DISCUSSIONE In base ai risultati descritti, lo studio è stato in grado di dimostrare, in condizioni di campo ed attraverso un circuito di valutazione indipendente basato sulla diagnostica per immagini, il recupero anatomico di lesioni del tendine flessore superficiale delle falangi del cavallo in seguito all’intervento di inoculo di cellule staminali. Anche se i giudizi espressi dai singoli esperti sulle stesse immagini ecografiche possono risultare influenzati dalla soggettività, nonché dipendere dalla strumentazione utilizzata per la visualizzazione delle immagini su schermi PC diversi, le analisi condotte hanno consentito di accertare la ripetibilità e la riproducibilità di tali giudizi. Inoltre, sebbene non sia stato reclutato un gruppo di cavalli omogeneo per età, sesso e razza, nel complesso è risultata una chiara associazione tra ecografie effettuate a 60 e 120 giorni post inoculo e l’elevata ecogenicità e % di fibre, ad ulteriore supporto del successo della terapia adottata. Tabella 3. Ripetibilità (Valori statistica K di Randolph) dei giudizi espressi sulla % di fibre per stadio dell’immagine ecografica (N=51x3 osservazioni /esperto) Tabella 4. Riproducibilità (K di Randolph) dei giudizi espressi per stadio dell’immagine ecografica (N=51x3 osservazioni /esperto) BIBLIOGRAFIA Barbaro K, Bonini P, Gentili C, Cancedda R, Canonici F, Autorino GL, Amaddeo D. (2008),Cellule staminali da grasso di equino: loro applicazione nella rigenerazione ossea. Atti X Congresso nazionale SIDiLV Alghero ottobre 2008 Cohen, J. (1968). Weighted kappa: Nominal scale agreement with provision for scaled dis-agreement or partial credit. Psychological Bullettin 70, 213-220. Fleiss, J. 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Regressione Logistica – % di fibre (alta vs bassa) 95 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ASSOCIATO A MALATTIA RESPIRATORIA Decaro N.1, Mari V. 1, Lucente M.S. 1, Colaianni M.L. 1, Cirone F. 1, Losurdo M.1, Cordioli P.2, Buonavoglia C. 1 1 Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari, Valenzano (BA) 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lombardia ed Emilia Romagna, Brescia Key words: Pestivirus atipico, Malattia respiratoria, Caratterizzazione genomica SUMMARY In this study, a BVDV-3 strain (Italy-1/10-1) was isolated for the first time in Europe from calves with respiratory disease. By analysis of the nearly full-length genome (12,104 nucleotides), the European strain clustered with previously-reported BVDV3 strains, being more closely related to southern American viruses than to the Thai isolate Th/04_KhonKaen. The isolation of BVDV-3 from a clinical outbreak, together with its genetic distance from BVDV-1/BVDV-2, poses intriguing questions about the efficacy of commercially-available BVDV vaccines and the need to develop specific vaccines against this new virus. vitelli con sintomi evidenziavano una modesta leucopenia, con conte totali comprese tra 2,55 e 3,52 × 109 leucociti/l (valori di riferimento 4-12 × 109 leucociti/l). Da questi animali sono stati prelevati tamponi nasali per gli esami virologici e batteriologici. La maggior parte degli animali è guarita progressivamente nell’arco di due settimane a seguito della somministrazione di terapia di supporto (antibiotici e fluidoterapia). Due vitelli di 6 mesi con sintomatologia più grave sono morti e l’esame autoptico eseguito sulle carcasse ha evidenziato la presenza di broncopolmonite a livello dei lobi apicali e tracheite con essudato catarrale nel lume tracheale. I lobi polmonari interessati dalle lesioni sono stati prelevati per le successive analisi. I campioni raccolti sono stati sottoposti alla ricerca dei più comuni agenti respiratori della specie bovina (5), tra cui BVDV (6). La ricerca e quantificazione dell’RNA dei pestivirus atipici è stata effettuata mediante un test real-time RT-PCR specifico per BVDV-3 (7). Dai campioni di polmone dei due vitelli morti è stato tentato l’isolamento virale su cellule in linea continua di rene bovino MDBK. Il genoma virale dello stipite prototipo Italy-1/10-1 è stato determinato mediante successive prove di RT-PCR, come precedentemente descritto (8). I prodotti PCR sono stati inviati alla BaseClear B.V. (Leiden, Paesi Bassi) per il sequenziamento diretto in entrambe le direzioni. Le sequenze ottenute sono state assemblate ed analizzate utilizzando il software BioEdit e gli strumenti di analisi dell’NCBI (htttp://www.ncbi.nlm.nih. gov) e dell’EMBL (http://www.ebi.ac.uk). La sequenza dell’intero genoma e delle regioni genomiche maggiormente informative (E2, 5’ UTR, Npro) sono state confrontate con le analoghe sequenze di stipiti pestivirus di riferimento. Le stesse regioni sono state sottoposte ad analisi filogenetica, la quale è stata condotta utilizzando il software MEGA4 ed i metodi neighborjoining e massima parsimonia e fornendo un supporto statistico mediante bootstrapping pari a 1000. INTRODUZIONE I virus della diarrea virale bovina (BVDV) appartengono alla famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus. Si tratta di virus ad RNA monocatenario, a polarità positiva, codificante per una poliproteina, che è scissa, ad opera di proteasi cellulari e virali, in proteine strutturali (C, Erns, E1, E2) e non strutturali (Npro, NS2-3, NS4A, NS4B, NS5A, NS5B) (1). In base all’attuale classificazione dell’International Committee on Taxonomy of Viruses (http://www.virustaxonomyonline.com), il genere Pestivirus comprende quattro specie riconosciute: BVDV-1, BVDV-2, virus della Border disease (BDV), virus della peste suina classica (CSFV). A queste è stato proposto di aggiungere una quinta specie, Pestivirus della giraffa. Attualmente, pertanto, si riconoscono due distinte specie di BVDV, BVDV-1 e BVDV-2, le quali risultano differenziabili su base genetica ed antigenica. Recentemente, un pestivirus atipico è stato isolato da un lotto di siero fetale bovino originario del Brasile. Questo virus, D32/00_”HoBi” è stato proposto come una nuova (sesta) specie Pestivirus, BVDV-3 (2). Altri due pestivirus “HoBi”-like, ceppi CH-KaHo/Cont e Brz buf 9, sono stati identificati in Sud America rispettivamente in una coltura cellulare probabilmente contaminata da siero fetale bovino infetto e nel sangue di una bufala (3). Ad oggi, esiste un’unica sequenza del genoma completo di un pestivirus “HoBi”-like, ceppo Th/04-KhonKaen, il quale è stato isolato da un siero bovino durante un’indagine epidemiologica per BVDV in Thailandia. Tuttavia, anche in questo caso non è noto se il virus fosse associato o meno a manifestazioni cliniche. L’analisi comparativa delle sequenze disponibili in banche dati accessibili on-line (GenBank) ha mostrato che tali virus rappresentano una nuova specie, BVDV3, all’interno del genere Pestivirus (4). Nel presente lavoro si riportano i risultati della caratterizzazione genomica di un pestivirus atipico (BVDV-3) isolato da un focolaio di malattia respiratoria in un allevamento di bovine da latte in Calabria. RISULTATI Tutti i campioni analizzati sono risultati positivi al test nestedPCR per la ricerca di pestivirus (6) e sono stati caratterizzati come BVDV-2. Gli esami virologici, batteriologici e parassitologici hanno escluso la presenza negli stessi campioni di altri patogeni, ad eccezione dei polmoni dei vitelli deceduti dai quali sono stati isolati Streptococcus bovis e Vibrio spp. L’analisi di sequenza del frammento del gene Erns amplificato in nestedPCR ha evidenziato una identità nucleotidica tra gli stipiti BVDV identificati nell’allevamento pari al 99.8-100%. Tuttavia, all’analisi mediante BLAST è emerso che l’identità nucleotidica con gli stipiti BVDV-2 maggiormente correlati non era superiore al 74%, mentre una più stretta correlazione genetica (più del 90% di identità nucleotidica) è stata dimostrata nei confronti del pestivirus atipico ‘Hobi’-like Th/04_KhonKaen, proposto come nuova specie BVDV-3. Mediante real-time RT-PCR specifica per BVDV-3, i campioni sono risultati contenere titoli di RNA virale compresi tra 2.57 × 103 e 5.48 × 105 per µl di estratto. Gli stipiti BVDV identificati nei polmoni dei vitelli morti sono stati isolati con successo su cellule MDBK, come dimostrato dalla positività al test di immunofluorescenza indiretta effettuato con un anticorpo monoclonale panpestivirus. Mediante MATERIALI E METODI Il focolaio di malattia respiratoria è stato osservato in un allevamento di bovine da latte della Calabria nel periodo compreso tra dicembre 2009 e febbraio 2010. I segni clinici hanno interessato 26 vitelli di 6-7 mesi di età, i quali manifestavano febbre (39.4-40.1°C), tosse, tachipnea e presenza di scolo nasale sieromucoso. Gli esami ematologici condotti su sei 96 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 prove di RT-PCR e successivo sequenziamento, è stato possibile determinare quasi per intero il genoma dello stipite Italy-1/10-1, rappresentativo dei ceppi circolanti in allevamento. La sequenza ottenuta (12.104 nucleotidi) è stata depositata in GenBank con il numero di accesso HQ231763. L’analisi comparativa ha dimostrato che lo stipite BVDV-3 isolato possiede la stessa organizzazione genomica degli altri membri del genere Pestivirus, rappresentata da una ORF di 11.700 nucleotidi fiancheggiata da due regioni non codificanti (UTR). La più elevata identità nucleotidica (90%) è stata riscontrata nei confronti dello stipite BVDV-3 tailandese Th/04_KhonKaen, mentre le identità con stipiti BVDV-1 e BVDV-2 si sono attestate su valori molto più bassi, rispettivamente del 66.2-67% e del 67.1-67.4%. Valori simili sono stati ottenuti dal confronto con ceppi BDV e CSFV di riferimento. Analizzando le regioni E2, 5’ UTR e Npro, lo stipite Italy-1/10-1 è sempre stato caratterizzato come BVDV-3, ma le correlazioni genetiche più elevate sono state evidenziate nei confronti dei ceppi sudamericani D32/00_’Hobi’ e CH-KaHo/cont, dei quali sono disponibili solo sequenze parziali di alcune regioni. Mediante analisi filogenetica ottenuta con il metodo neighborjoining sulla sequenza dell’intero genoma dello stipite Italy-1/10-1 e di stipiti pestivirus di riferimento, risultano evidenti sei cluster monofiletici (Fig. 1): BVDV-1, BVDV-2, BVDV-3, BDV, CSFV e Pestivirus della giraffa. Nell’ambito di questo albero, lo stipite Italy-1/10-1 ricade nello stesso gruppo del virus Th/04_KhonKaen, il quale è nettamente separato dagli altri membri del genere Pestivirus. L’analisi delle singole regioni ha prodotto una segregazione sovrapponibile, nella quale lo stipite Italiano segrega con gli stipiti sudamericani. La stessa topologia è stata ottenuta con il metodo della parsimonia in tutte le regioni analizzate. DISCUSSIONE I risultati del presente studio indicano che BVDV-3 non è presente solo nei continenti americano ed asiatico, ma circola anche in Europa. Per la prima volta è stata dimostrata una chiara associazione tra uno stipite BVDV-3 e la comparsa di sintomatologia clinica (malattia respiratoria). Infatti, le precedenti segnalazioni, per se relative ad infezioni naturali, non avevano mai messo in evidenza la presenza di una qualche manifestazione clinica (9). Dal punto di vista genetico, lo stipite italiano è risultato maggiormente correlato ai ceppi sudamericani che al prototipo tailandese Th/04_KhonKaen. Poiché la maggior parte delle segnalazioni riguarda la identificazione di questi virus in lotti di siero fetale bovino contaminati, è verosimile che l’introduzione di questo nuovo BVDV nel continente europeo sia legata all’impiego di vaccini o altri prodotti preparati con siero bovino infetto. Esistono, infatti, precedenti segnalazioni di infezione da BVDV conseguente all’impiego di prodotti immunizzanti contaminati (1012). Al momento, non si conoscono né l’impatto che questo nuovo virus ha sulla salute animale e sulle produzioni zootecniche, né la sua attitudine ad indurre immunotolleranza alla stessa stregua di BVDV-1 e BVDV-2. Una costante sorveglianza epidemiologica potrà contribuire a definire gli aspetti ancora poco chiari della infezione sostenuta da BVDV-3 ed a valutare la possibilità di ricorerre all’impiego di prodotti immunizzanti specifici per i piani di profilassi. BIBLIOGRAFIA 1. Heinz FX, Collett MS, Purcell RH, Gould EA, Howard CR, Houghton M, et al. Family Flaviviridae. In: van Regenmortel MHV, Fauquet CM, Bishop DHL, Carstens EB, Estes MK, Lemon SM, et al., editors. Virus Taxonomy. Classification and Nomenclature of Viruses. New York: Academic Press. 2000; p. 859-78. 2. Schirrmeier H, Strebelow G, Depner K, Hoffmann B, Beer M. Genetic and antigenic characterization of an atypical pestivirus isolate, a putative member of a novel pestivirus species. J. Gen. Virol. 2004; 85:3647-52. 3. 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Vet. Microbiol. 2009; 138:62-8. 9. Ståhl K, Kampa J, Alenius S, Persson Wadman A, Baule C, Aiumlamai S, et al. Natural infection of cattle with an atypical ‘HoBi’like pestivirus—implications for BVD control and for the safety of biological products. Vet. Res. 2007; 38:517-23. 10. Wensvoort G, Terpstra C. Bovine viral diarrhoea virus infections in piglets born to sows vaccinated against swine fever with contaminated vaccine. Res. Vet. Sci. 1988; 45:143-8. 11. Løken T, Krogsrud J, Bjerkås I. Outbreaks of border disease in goats induced by a pestivirus-contaminated orf vaccine, with virus transmission to sheep and cattle. J. Comp. Pathol. 1991; 104:195209. 12. Falcone E, Tollis M, Conti G. Bovine viral diarrhea disease associated with a contaminated vaccine. Vaccine 1999; 18:387-8. Fig. 1. Albero filogenetico costruito con il metodo neighborjoining sulle sequenze dell’intero genoma (A), E2 (B), 5’ UTR (C) e Npro (D) dei membri del genere Pestivirus. Gli asterischi indicano un elevato supporto statistico per il corrispondente nodo (valori di bootstrap pari al 75-100%). La barra rappresenta il numero di sostituzioni nucleotidiche per sito. RINGRAZIAMENTI: Il presente studio è stato realizzato grazie ai finanziamenti della Ricerca di Ateneo 2008, progetto “Patogeni emergenti dei ruminanti”. 97 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SVILUPPO DI UNA ONE-STEP MULTIPLEX REAL TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE E LA DIFFERENZIAZIONE DEI PESTIVIRUS DEI RUMINANTI Rossi E., Giammarioli M., Torresi C., Pellegrini C., De Mia G.M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia. Key words: Pestivirus, real-time PCR, controllo interno SUMMARY sono stati impiegati isolati BVD-1, BVD-2 e BD appartenenti alla nostra banca virus e rappresentativi dei genotipi circolanti in Italia. In aggiunta a ciò, sono stati analizzati una serie di campioni clinici rappresentati da siero, sangue, tessuti e liquido seminale. L’RNA virale è stato estratto con il kit QIAamp viral RNA Minikit (Qiagen) secondo le istruzioni indicate dalla ditta produttrice. Prima della fase di estrazione è stato introdotto un controllo interno (IC-RNA) (5µl/10x105copie/µl) prodotto secondo le indicazioni di Hoffmann e coll. (2). Brevemente, è stato amplificato un frammento di 712 bp della proteina fluorescente pEGFP-1 (BD Bioscence Clontech) e clonato nel vettore pGEM-Teasy (Promega). La sequenza e l’orientamento dell’inserto è stato controllato mediante sequenza. Il risultante plasmide è stato linearizzato con l’enzima NcoI, purificato e transcritto in vitro mediante il sistema Riboprobe SP6/T7 secondo le indicazioni della ditta produttrice (Promega). Il transcritto è stato quindi digerito con DNase e purificato mediante l’RNAeasy Mini kit (Qiagen). La corretta lunghezza del transcritto di RNA è stata confermata mediante elettroforesi in gel di agarosio e la concentrazione determinata allo spettrofotometro. Una volta prodotto, l’ICRNA è stato aliquotato e conservato a -80°C. La strategia di produzione è rappresentata nella figura 1. A single rapid step real-time multiplex RT-PCR with internal control (IC-RNA) was developed for detection and differentiation of bovine diarrhoea virus (BVDV1/BVDV2) and border disease virus (BDV). Partial 5’-NTR region was detected by two Taqman probes labelled with different fluorochromes. A heterologous in vitro transcript of the enhanced green fluorescent protein (EGFP) gene based on a specific primer-probe system was generated as a universal internal control (IC) to improve virus specific real-time reverse-transcriptase PCR assay. The sensitivity of the multiplex real-time RT-PCR was higher compared to the end-point PCRs usually used for laboratory diagnosis. The assay allows rapid detection and differentiation of ruminant Pestiviruses and provides an efficient control of extraction step. INTRODUZIONE Il genere Pestivirus, famiglia Flaviviridae, comprende il virus della diarrea virale del bovino di tipo 1 (BVD-1) e di tipo 2 (BVD2), il virus della border disease (BD) e il virus della peste suina classica (PSC) (7). Nel suino sono state descritte infezioni naturali con i virus della PSC, della BVD e della BD, ovini e bovini possono infettarsi con il virus della BVD e della BD (9, 6, 1). L’infezione sostenuta da virus del genere Pestivirus è stata dimostrata anche in ruminanti selvatici (10). In assenza di un quadro clinico univoco, la diagnosi di laboratorio diventa indispensabile per identificare l’agente eziologico. Recentemente sono state sviluppate diverse realtime RT-PCR (2, 3) per la diagnosi di BVD e BD. La possibilità di utilizzare una prova che permette di minimizzare le crosscontaminazioni, di identificare e differenziare i Pestivirus e di utilizzare un controllo interno può rappresentare un utile mezzo diagnostico per la routine di laboratorio. Lo scopo di questo lavoro è stato quello di sviluppare una metodica one-step multiplex real-time RT-PCR in grado di identificare e differenziare i Pestivirus dei ruminanti in presenza di un controllo interno e di valutarne comparativamente l’efficienza rispetto a PCR end-point tradizionalmente utilizzate per la diagnosi di laboratorio. Fig. 1: strategia di produzione del controllo interno (IC-RNA) La one-step multiplex real-time RT-PCR è stata messa a punto con il kit commerciale QuantiTect virus kit (QIAGEN) e ottimizzata con differenti concentrazioni di primers/probes. Il saggio è stato condotto utilizzando un volume di reazione di 25µl, 20pmol/µl di ciascun primers, 10pmol/µl di ciascuna probe, 5µl della master mix QuantiTect virus (5x), 0,25µl della RT master mix QuantiTect virus (100x), 6 µl di RNA. Il profilo di reazione è stato il seguente: 20 min. a 50°C (RT), 5 min. a 95°C (inattivazione RT/attivazione Taq polimerasi), seguiti da 42 cicli di 15 sec. a 95°C (denaturazione) e 75 sec. a 60°C (appaiamento/elongazione) in un ABI PRISM 7900 HT Sequenze Detection System (Applied Biosystems). L’analisi comparativa è stata condotta paragonando la one-step multiplex real-time RT-PCR con una RT-PCR panpestivirusspecifica che impiega i primers 324/326 (8) e una nested RTPCR in grado di differenziare BVD-1 e BVD-2 dopo un primo ciclo di amplificazione (5). MATERIALI E METODI Nello studio sono state valutate differenti coppie di primers e probes (sonde TaqMan) prodotte con il software Primers Express (3.0) sulla base di una sequenza consenso ottenuta allineando isolati BVD-1, BVDV-2 e BD del nostro dataset di sequenze oltreché riportati in letteratura. In base a risultati di prove preliminari, sono stati selezionati i primers e le probes descritti da Hoffmann e coll. (2) e da La Rocca and Sandvik (4). Tutti i primers e le probes esaminati amplificano un tratto della regione 5’-NTR nel genoma dei Pestivirus. Diluizioni logaritmiche dei virus di referenza BVD-1 (105.25 TCID50/100µl), BVD-2 (104.75 TCID50/100µl) e BD (105.0 TCID50/100µl) sono state utilizzate per valutare la sensibilità e il limite di rilevabilità della prova. Per la validazione della prova RISULTATI La one-step multiplex real-time RT-PCR è in grado di rilevare e identificare nello stesso tempo BVD-1/BVD-2 e BD. La sensibilità analitica della prova è stata determinata in 3 98 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 esperimenti indipendenti, utilizzando per ciascuno, 3 repliche di ogni diluizione logaritmica dei virus di referenza. L’analisi dei Ct in funzione del titolo virale ha mostrato un aumento lineare, anche se sembra esserci una leggera diversa efficienza di amplificazione tra BVD-1/BVD-2 e BD (Figura 2). possibilità che ovini, caprini e sebbene più raramente, anche bovini, sono suscettibili di potersi infettare indifferentemente con uno qualsiasi dei virus in questione, in presenza di quadri clinici sovrapponibili. I principali vantaggi offerti da tale metodica sono rappresentati da (i) un aumento della specificità dovuto alla presenza di sonde Taqman; (ii) un aumento della sensibilità basato sulla amplificazione di un prodotto molto corto; (iii) la capacità di rilevare più agenti patogeni contemporaneamente; (iv) la riduzione del rischio di cross-contaminazioni, in assenza di manipolazioni post-PCR e (v) l’inserimento di un controllo interno in grado di monitorare la fase di estrazione. Ricerca finanziata dal Ministero della Salute, (DL 502/92, art. 12), RF 2006 IZS 369400 (DIAG-NOVA). BIBLIOGRAFIA 1. Carlsson, U., 1991. Border disease in sheep caused by transmission of virus from cattle persistently infected with bovine virus diarrhoea virus. Vet. Rec. 128, 145–147. 2. Hoffmann, B., Depner, K., Schirmeier, H., Beer, M., 2006. A universal heterologous internal control system for duplex real-time RT-PCR assays used in a detection system for pestiviruses. J. Virol. Methods 136, 200–209. 3. Young, N.J., Thomas, C.J., Collins, M.E., Brownlie, J., 2006. Real-time RT-PCR detection of Bovine Viral Diarrhoea virus in whole blood using an external RNA reference. J. Virol. Methods 138, 218–222. 4. La Rocca S.A., T. Sandvik. 2010. A short target real-time RT-PCR assay for detection of pestivirus infecting cattle. J. Virol. Methods, 161, 122-127. 5. Letellier C., Kerkhos P., Wellemans G., Vanopdenbosch E. 1999. Detection and genotyping of bovine diarrhea virus by reverse transcription-polumerase chain amplification of the 5’ untranslated region. Vet. Micriobiol., 64, 155-167. 6. Sandvik, T., 2005. Selection and use of laboratory diagnostic assays in BVD control programmes. Prev. Vet. Med. 72, 3–16. 7. Thiel, H.J., Collett, M.S., Gould, E.A., Heinz, F.X., Houghton, M., Meyers, G., Purcell, R.H., Rice, C.M., 2005. Genus Pestivirus. In: Fauquet, C.M., Mayo, M.A., Maniloff, J., Desselberger, U., Ball, L.A. (Eds.), Virus Taxonomy—Eighth Report of the International Committee on the Taxonomy of Viruses. Elsevier Academic Press, pp. 988–998. 8. Vilcek, S., Herring, A.J., Nettleton, P.F., Lowings, J.P., Paton, D.J., 1994. Pestiviruses isolated from pigs, cattle and sheep can be allocated into at least three genogroups using polymerase chain reaction and restriction endonuclease analysis. Arch. Virol. 136, 309–323. 9. Vilcek, S., Belak, S., 1996. Genetic identification of pestivirus strain Frijters as a border disease virus from pigs. J. Virol. Methods 60, 103–108. 10. Vilcek, S., Ridpath, J.F., Van Campen, H., Cavender, J.L.,Warge, J., 2005. Characterization of a novel pestivirus originating from a pronghorn antelope. Virus Res. 108, 187– 193. Fig. 2: limite di rilevabilità della one-step multiplex real-time RT-PCR Il limite di rilevabilità dei diversi virus è BVD-1 = 0,7 TCID50, BDV-2 = 2,2 TCID50 e BD = 3,9 TCID50. L’introduzione del controllo interno (IC-RNA) non ha indotto una flessione della sensibilità analitica della prova come è possibile osservare nella tabella 1. Tab. 1: sensibilità analitica della one-step multiplex real-time RT-PCR con e senza IC-RNA Diluiz. virus IC-RNA No IC-RNA Ct Puro + + + (21,5) 10-1 + + + (24,7) 10-2 + + +(29,1) 10-3 + + +(32,9) 10-4 + + +(36,6) 10-5 - - > 42 10-6 - - > 42 Tutti gli isolati BVD-1/BVD-2 e BD impiegati, sono stati correttamente evidenziati a prescindere dal genotipo di appartenenza. L’analisi comparativa tra la one-step multiplex real-time RT-PCR e le PCR panpestivirus-specifica e nested, ha mostrato una sensibilità analitica superiore o almeno paragonabile rispetto a queste ultime. DISCUSSIONE La one-step multiplex real-time RT-PCR descritta nel presente studio, si è dimostrata un sistema robusto e dotato di elevata sensibilità e specificità, che consente di differenziare nello stesso tempo BVD-1/BVD-2 e BD in presenza di un controllo interno di reazione. Ciò è di grande utilità nella diagnosi differenziale dei Pestivirus dei ruminanti, considerata la 99 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 IDENTIFICAZIONE DI UNA NUOVA VARIANTE MORFO-GENETICA DI SARCOCYSTIS HOMINIS Peletto S. 1, Acutis P.L..1, Sacchi L.3, Genchi M.3, Clementi E.3, Guidetti C.2, Felisari L.4, Felisari C.4, Mo P.4, Modesto P.1, Zuccon F.1, Campanella C.1, Domenis L. 2 1,2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta: 1 S.S. Genetica e Immunobiochimica, Torino 2S.S. Sezione di Aosta, Quart (AO); 3Università di Pavia, Dipartimento di Biologia , Pavia;4 Azienda Sanitaria Locale Biella, Struttura Semplice Area B, Biella. Key words: Sarcocystis, identificazione genetica, microscopia elettronica Summary In the frame of a prevalence study for sarcosporidiosis in semiintensively bred cattle in North-Western Italy, a systematic species identification was carried out combining the traditional method of electron microscopy with molecular techniques. This approach lead to the identification of a new morpho-genetic variant of Sarcocystis hominis, characterized by hook-like structures of villar protrusions and a different length of 18S rRNA gene sequence. amplifica una regione del gene 18S rRNA, generando ampliconi di differente lunghezza a seconda della specie di Sarcocystis: 164 paia di basi (pb) per Sarcocystis hominis, 172 pb per Sarcocystis cruzi e 186 pb per Sarcocystis. hirsuta. L’utilizzo del primer marcato ha permesso di effettuare un’analisi di frammenti tramite elettroforesi capillare, su ABI 3130 Genetic Analyser (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). La taglia è stata determinata con il software di analisi GeneMapper. Alcuni campioni contenenti la nuova variante genetica sono stati clonati nel vettore TOPO TA (Invitrogen, Carlsbad, CA, USA). Un minimo di 10 plasmidi è stato analizzato tramite sequenziamento utilizzando i primer del kit; le sequenze sono state allineate con SeqMan (DNASTAR inc., USA) e analizzate con BLAST. Microscopia elettronica. Singole cisti sono state isolate dal tessuto muscolare mediante aghi chirurgici e con l’ausilio di un microscopio ottico rovesciato (Olympus CK2). I campioni sono stati post-fissati in tetrossido di osmio, disidratati e inclusi in resina epossidica (Epon 812). Sezioni di 80 nm sono state esaminate con il microscopio elettronico a trasmissione Zeiss EM 900. L’identificazione di specie è stata effettuata utilizzando i riferimenti morfologici ultrastrutturali riportati da Dubey et al. (2). Introduzione Il genere Sarcocystis comprende protozoi parassiti intracellulari, il cui ciclo biologico prevede un ospite intermedio (solitamente erbivoro), in cui si svolge la fase di riproduzione asessuale con formazione di cisti nelle fibre muscolari, ed un ospite definitivo (carnivoro), in cui si svolge la fase sessuale, a livello della parete intestinale. Il bovino può agire da ospite intermedio per Sarcocystis cruzi, Sarcocystis hirsuta e Sarcocystis hominis. Quest’ultima specie presenta carattere zoonosico, avendo come ospite definitivo l’uomo. L’infestazione da Sarcocystis hominis può provocare nell’uomo sintomi enterici acuti o subclinici, a seconda della sensibilità individuale. Il parassita può costituire un particolare pericolo per soggetti immunodepressi: è stato riportato un caso di un paziente con AIDS conclamata, che ha agito contemporaneamente come ospite intermedio e definitivo, sviluppando sintomi muscolari e gastroenterici (4). L’identificazione di specie di Sarcocystis al microscopio ottico permette la distinzione unicamente tra cisti a parete sottile (Sarcocystis cruzi) e cisti a parete spessa, che possono corrispondere a Sarcocystis hominis oppure a Sarcocystis hirsuta (5). Il metodo classico per un’accurata classificazione tassonomica delle specie di Sarcocystis si basa sulla valutazione al microscopio elettronico dei particolari morfologici che caratterizzano la parete delle cisti protozoarie. Negli ultimi anni sono stati messi a punto metodi molecolari per la tipizzazione di Sarcocystis, che si distinguono dalla microscopia elettronica per facilità e rapidità di esecuzione. La combinazione dei due metodi è stata utilizzata dagli Autori del presente lavoro per effettuare l’identificazione di tutte le Sarcocystis rilevate in bovini della Provincia di Biella nell’ambito di un progetto di studio sulla prevalenza di questa parassitosi. Grazie a questo approccio è stato possibile identificare una variante morfo-genetica di Sarcocystis hominis, le cui caratteristiche sono di seguito illustrate. Risultati e Discussione Tutte e tre le specie di Sarcocystis capaci di infestare il bovino sono state identificate con il metodo molecolare. I dati di prevalenza e diffusione negli organi sono riportati nell’abstract di Domenis et al. presentato in questo Convegno (1). L’applicazione alla PCR differenziale dell’analisi di frammenti ha migliorato notevolmente l’interpretazione dei risultati, eliminando i possibili errori che possono essere invece commessi nel distinguere su gel ampliconi differenti tra loro per pochi nucleotidi. Oltre alle lunghezze attese, in alcuni campioni positivi per Sarcocystis cruzi o hominis, è stata rilevata anche la presenza di frammenti di 168 pb, come risulta dalla Figura 1. Il successivo clonaggio di alcuni di questi campioni e l’analisi dei cloni con BLAST ha rivelato una sequenza del gene 18S rRNA non presente nei database pubblici, caratterizzata da una similarità del 94% con Sarcocystis hominis e da una differenza rispetto a quest’ultima per l’inserzione di quattro basi: si è quindi ipotizzata l’esistenza di una variante di Sarcocystis hominis. Materiali e metodi Con il progetto di studio sopra citato sono stati rilevati, tramite esame istologico di esofago, cuore, diaframma, 300 bovini con sarcosporidiosi. Tutti i campioni di organo risultati positivi (n=732) sono quindi stati sottoposti all’identificazione di specie mediante metodo molecolare. Con la microscopia elettronica sono stati analizzati 14 campioni, risultati positivi al metodo molecolare per una o più specie, al fine di verificare la correttezza del metodo molecolare stesso ed insieme valutare l’ultrastruttura delle pareti cistiche delle diverse specie. Identificazione su base genetica. E’ stato utilizzato il metodo basato su PCR differenziale descritto da Vangeel et al. (3), al quale sono state apportate modifiche: è stato infatti utilizzato un primer reverse marcato con HEX all’estremità 5’. Questa PCR Figura 1. Analisi di frammenti, effettuata con Gene Mapper, riportante i picchi corrispondenti a S. hominis (164 bp), S. hominis variante (168 bp) e S. cruzi (172 bp). 100 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Alla microscopia elettronica è stata confermata la presenza di S. cruzi e S. hominis. A causa dell’esiguo numero di animali colpiti e del basso grado di infestazione, non si è riusciti a caratterizzare S. hirsuta. Per quanto riguarda S. cruzi, la parete ha evidenziato lunghe protrusioni villose, non contenenti microtubuli, ripiegate sopra la parete cistica. Lo spessore della parete (con relative espansioni villose) è risultato pari a 0,5 μm mentre la lunghezza delle protrusioni è risultata pari a 3,5 μm. (Figura 2) Figura 4. Parete cistica della presunta variante morfologica di Sarcocystis hominis. Frecce e punte di frecce indicano le strutture ad uncino rispettivamente alla base e all’apice delle espansioni digitiformi; g = strato granulare; m = muscolo; b=bradizoiti In conclusione, alla luce della validità dimostrata dal protocollo diagnostico nell’identificare le specie note, la variante descritta merita ulteriori approfondimenti al fine di giungere ad una classificazione univoca di questa nuova entità morfogenetica ed insieme stabilirne il potenziale zoonosico. Figura 2. Parete cistica di Sarcocystis cruzi: v =protrusioni villose; b = bradizoiti; m = muscolo; g = strato granulare Ringraziamenti La ricerca è stata svolta nell’ambito del progetto (codice B67) “Diffusione della sarcosporidiosi nelle carni provenienti da suini e bovini allevati e macellati per autoconsumo nella provincia di Biella” finanziato dalla Regione Piemonte Programma di Ricerca Scientifica Applicata 2004. Per quanto riguarda Sarcocystis hominis, la parete cistica è risultata dotata di espansioni digitiformi (larghezza 1,2 μm, altezza 7,1 μm) strettamente ravvicinate, con microtubuli e superficie elettrondensa finemente ondulata (Figura 3). Bibliografia 1. Domenis L., Guidetti C., Peletto S. , Sacchi L., Genchi M., Clementi E., , Felisari L., Felisari C., Mo P., Modesto P., Zuccon, F., Campanella C., Acutis P.L.. Distribuzione di Sarcocystis spp negli organi bersaglio (cuore, esofago, diaframma) di bovino. Atti XII Congresso Nazionale SI.Di.L.V., Genova 27-29 ottobre 2010. 2. Dubey J.P., Speer C.A. and Fayer R., 1989. Sarcocystosis of animals and man. CRC Press. Boca Raton. FL. Pp 1-215. 3. Vangeel L, Houf K, Chiers K, Vercruysse J, D’Herde K, Ducatelle R., 2007. Molecular-based identification of Sarcocystis hominis in Belgian minced beef. Journal of Food Protection 70(6):1523-6. 4. Velásquez J.N., Di Risio C., Etchart C.B., Chertcoff A.V., Mendez N., Cabrera M.G., Labbé J.H., Carnevale S., 2008. Systemic sarcocystosis in a patient with acquired immune deficiency syndrome. Human Pathology 39(8), 1263-1267. 5. Vercruysse J., Franse J., van Goubergen M., 1989. The Prevalence and Identity of Sarcocystis Cysts in Cattle in Belgium. Journal of Veterinary Medicine B 36, 148-15 Figura 3. Parete cistica di Sarcocystis hominis. La freccia indica i microtubuli nelle espansioni digitiformi; g = strato granulare; m = muscolo Nei campioni in cui è stata ritrovata la variante genetica di S. hominis sono state rilevate cisti con caratteristiche mai descritte in precedenza. In particolare si è osservata la presenza di strutture ad uncino sia alla base che all’apice delle espansioni digitiformi, comunque simili a quelle di S. hominis (Figura 4). 101 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INFEZIONI DA MICOBATTERI: SITUAZIONI EPIDEMIOLOGICHE EMERGENTI E AGGIORNAMENTO SU METODI DIAGNOSTICI E DI TYPING Alessandro Dondo Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sede di Torino Keywords: micobatteriosi, epidemiologia, diagnostica Le malattie infettive, ed in particolare quelle a carattere zoonosico, lungi dall’essere sotto controllo, come erroneamente previsto negli anni ’60 e ’70, costituiscono un rischio rilevante per la salute degli individui e rappresentano un elevato carico assistenziale per il sistema sanitario anche nell’ambito del settore veterinario. La protezione della salute umana dalle malattie direttamente o indirettamente trasmesse dagli animali all’uomo è considerata con priorità assoluta nella politica sanitaria della Comunità Europea. Degna di rilievo è la recentemente dichiarazione dell’OMS che ha definito, per la prima ed unica volta nella sua storia, la tubercolosi come un’emergenza globale. Diventa pertanto indispensabile potenziare le metodologie diagnostiche e disporre di strategie gestionali da utilizzare per il controllo delle patologie zoonosiche, mentre parallelamente, su alcune di esse, diventa opportuno effettuare anche in modo indiretto valutazioni sulle problematiche connesse ai fenomeni di antibioticoresistenza. Il carattere zoonosico dei micobatteri è conosciuto da tempo e rappresenta un problema di sanità pubblica a livello mondiale. In particolare, la maggiore resistenza che i Micobatteri mostrano nei confronti di agenti fisici e chimici rispetto ad altri microrganismi, spiega l’aumento delle segnalazioni di infezioni nella popolazione umana, favorita peraltro dalla copresenza di fattori predisponenti, quali l’AIDS, l’età e trattamenti terapeutici immunosoppressivi. La tubercolosi (TB) è, a livello globale, una delle più importanti patologie croniche a carattere infettivo e benchè sottoposta a misure di controllo e cura, essa rappresenta ancora oggi una delle emergenze sanitarie più importanti. In medicina veterinaria, le criticità legate all’infezione tubercolare assumono sfumature ed implicazioni differenti sia dal punto di vista sanitario che economico nel settore produttivo. Poiché la tubercolosi è anche un’importante zoonosi, l’obiettivo, su entrambi i versanti, è quello di impedire il passaggio dell’infezione all’uomo e agli animali. L’iter di eradicazione della TB da M. bovis procede positivamente ma occorre un continuo adeguamento dei protocolli d’intervento in relazione all’andamento del contesto epidemiologico. Al fine di assicurare una strategia di controllo globale risulta necessario potenziare e sviluppare protocolli diagnostici in vita e post mortem non solo nelle specie a carattere zootecnico ma anche negli animali selvatici e d’affezione. Per la tubercolosi bovina sono previsti nei paesi industrializzati programmi di eradicazione obbligatori basati sulla politica del “test & slaughter”. Da qui emerge l’importanza di avere a disposizione metodologie diagnostiche affidabili da applicare nelle fasi fasi finali del processo di eradicazione anche con lo scopo di avviare programmi mirati per la gestione delle sacche d’infezione residue. E’ altresì importante elaborare protocolli di sorveglianza per la determinazione in tempi rapidi di un’eventuale fonte d’infezione e la comprensione del processo infettivo. La diagnosi in vita della tubercolosi bovina che si avvale dell’utilizzo della tradizionale prova intradermica unitamente all’ormai consolidato test del gamma interferone e quella post mortem che prevede l’ispezione in sede di macellazione e l’applicazione in laboratorio di tecniche microbiologiche applicate in parallelo a tecniche biomolecolari si sono dimostrate procedure molto efficaci nell’ambito del sistema di sorveglianza attiva della malattia. I controlli di qualità in itinere dei protocolli diagnostici in uso sono un’azione fondamentale nel mantenimento dell’efficacia del programma di sorveglianza. A questo riguardo, la tipizzazione e caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati si sono dimostrate un valido strumento per completare e approfondire il quadro epidemiologico scaturito dalle informazioni raccolte con i metodi classici di indagine; l’epidemiologia riveste infatti un ruolo fondamentale nella definizione della probabilità di presenza d’infezione in un allevamento. In particolare, in questa fase è molto importante ai fini del controllo dell’infezione, identificare i fattori di rischio legati alla comparsa e/o persistenza dell’infezione negli allevamenti e analizzarli nell’ambito della realtà in cui ci si trova ad operare. Studi condotti per determinare i fattori di rischio e la dinamica della diffusione della tubercolosi bovina hanno dimostrato che molti aspetti possono influire negativamente sulla persistenza e/o sulla diffusione dell’infezione, tra cui le dimensioni dell’allevamento, la pratica dell’alpeggio e la gestione dei liquami. E’ inoltre indispensabile mantenere attivo un programma condiviso con la Medicina Umana mirato all’approfondimento eziologico dei casi di tubercolosi nell’uomo per la definizione, costante e attuale, delle infezioni causate da M. bovis. La definizione e promozione di percorsi diagnostici in grado di assicurare una diagnosi di laboratorio sempre più tempestiva e mirata, con l’adozione di protocolli d’intervento basati sulle risultanze epidemiologiche, rivestono un ruolo fondamentale per il controllo della tubercolosi. Infatti uno dei principali risultati attesi dalla attività di ricerca sulla tematica è quello di potenziare le procedure di controllo della TB sia di origine umana che animale attraverso una stretta integrazione con il settore di medicina umana. E’ inoltre indispensabile, con l’analisi dei dati ottenuti, disporre di informazioni utili alla conoscenza delle dinamiche diffusive della TB utili a identificare nuove strategie per il controllo e prevenzione della malattia stessa. Il controllo della TB richiede quindi strumenti diagnostici in grado di svelare l’infezione in modo precoce e correttamente, pertanto la ricerca ha sviluppato nel corso degli anni protocolli diagnostici in vivo e post mortem sempre più sensibili, accurati e rapidi nei tempi di risposta. L’obiettivo è infatti quello di fornire strumenti appropriati per intervenire tempestivamente nei focolai e ridurre il rischio di infezione ad altri animali e all’uomo. In materia di tubercolosi bovina, il processo di eradicazione sul territorio nazionale è ormai entrato nella fase di mantenimento dei requisiti finora raggiunti in alcuni distretti, mentre sono presenti ancora sacche d’infezione in alcuni contesti geografici. Sulla base delle esperienze condotte in altri Paesi, è necessario quindi affrontare la problematica relativa all’eventuale passaggio dell’infezione ad altri animali sia selvatici che domestici, oltre che impiegare risorse per l’estinzione dei focolai ancora presenti. Relativamente alla fauna selvatica e agli ungulati selvatici in particolare, resta di primaria importanza stabilire il loro ruolo, ora che si conoscono le aree in cui l’infezione è presente poiché dimostrata con l’isolamento di M. bovis. Sul versante degli animali d’affezione, non sono disponibili in commercio test immunologici per la diagnosi di tubercolosi in vita, ma 102 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 sono stati fatti notevoli progressi in termini di ricerca di nuovi cocktail antigenici per il miglioramento delle performance dei test basati sul rilievo dell’immunità cellulo-mediata. L’infezione di queste specie può avvenire infatti, oltre che attraverso il loro contatto con bovini infetti da M. bovis, con pazienti infetti da M. tuberculosis e attraverso l’ingestione di roditori possibile veicolo di M. microti. Il percorso evolutivo delle tecniche diagnostiche applicabili per la tubercolosi bovina nei principali filoni tematici che sono stati studiati progressivamente nel corso degli anni ha consentito di adottare via via diversi protocolli, che oggi convergono nell’approccio multidisciplinare offerto alla Sanità Pubblica per la diagnosi di tubercolosi. In sintesi essi sono: Saggio del gamma IFN test - Al protocollo standard, in relazione alle caratteristiche epidemiologiche del territorio, sono stati apportati alcuni adattamenti per migliorarne le prestazioni che hanno interessato la fase di stimolazione (utilizzo contemporaneo di PPD australiane e italiane) e i criteri interpretativi (introduzione del concetto di “campione non discriminante” in caso di non concordanza del risultato espresso dalle PPD Australiana e Italiana e di “non idoneità” del campione riferito al valore basale ≥0.150 per evidenziare produzione aspecifica di interferone). Esame batteriologico – sono state studiate procedure basate sull’applicazione di differenti metodi di decontaminazione (NaOH 2% e HPC 1.5%), l’utilizzo di tipologie diverse di terreni colturali solidi e liquidi (Stonebrink, LJ Medium, LJ w/o glicerina e middlebrook 7H9) e sono stati valutati e realizzati diversi sistemi per la preparazione dei campioni da sottoporre ad esame batteriologico e biomolecolare. La definizione di questi protocolli ha permesso di ottenere, per l’esame batteriologico, degli ottimi risultati in termini di sensibilità e specificità, spesso superiori ai dati riportati in bibliografia. PCR diretta su tessuto – L’applicazione di una tecnica di hemi-nested PCR per la rilevazione diretta di M. tb Complex, messa a punto e successivamente migliorata negli anni, nelle fasi di estrazione del DNA, di amplificazione e di verifica della specificità del risultato, rappresenta oggi un sussidio diagnostico complementare alle tecniche microbiologiche, di grande rilievo in relazione ai livelli prestazionali raggiunti. Esame istopatologico – L’esame istopatologico con colorazione ematossilina eosina (EE), da sempre utilizzato per la caratterizzazione dei quadri anatomo-patologici “sospetti”, è stato sottoposto a un percorso di validazione al fine di determinarne l’affidabilità nell’ambito del protocollo diagnostico post-mortem. L’istologia rappresenta un utile ausilio per la diagnosi di tubercolosi, permettendo in tempi brevi di confermare o escludere il sospetto in presenza di quadri di dubbia valutazione all’esame anatomopatologico; inoltre, grazie alla caratterizzazione morfologica, fornisce un’indicazione sulla possibile eziologia della lesioni risultate negative alle altre metodiche del protocollo diagnostico. Identificazione e caratterizzazione genotipica di M. bovis – Le tecniche avanzate di caratterizzazione molecolare dei ceppi di M. bovis isolati nel corso delle operazioni di eradicazione sono ormai consolidate e riconosciute a livello internazionale. Esse hanno permesso di avviare e sviluppare l’epidemiologia molecolare, nuova disciplina mirata a supportare o indirizzare con riscontri analitici l’epidemiologia convenzionale nelle indagini dei focolai di malattia. Le tecniche di Spoligotyping e VNTR-ETR typing, applicate in modo retrospettivo ai ceppi isolati e ordinariamente in routine permettono oggi di acquisire informazioni consistenti e significative per realizzare una fotografia, grazie anche alla georeferenziazione dei dati, dei ceppi presenti sul territorio, della loro diffusione e delle dinamiche di circolazione. Antibioticoresistenza - La valutazione di fenomeni di antibioticoresistenza in ceppi di M. bovis è stata studiata e dimostrata mediante il saggio dell’antibiogramma. L’attività di ricerca è caratterizzata da una progressione che, come descritto, è sempre stata costante negli anni ed ha reso possibile la realizzazione di molti protocolli che oggi vengono applicati nei laboratori nell’ambito della diagnostica delle micobatteriosi nelle diverse specie animali. Le tecniche basate sulla caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati hanno permesso altresì di dimostrare che gli eventi di trasmissione dell’infezione tra bovino e uomo sono fatti concreti e, soprattutto, accadono ancor oggi. Ciò ha consentito di rafforzare ulteriormente le motivazioni delle politiche sanitarie a sostegno delle campagne di eradicazione della malattia, in modo che una forza nuova sia impressa per il raggiungimento dell’obiettivo finale. Le indagini condotte su ceppi isolati da cinghiali hanno evidenziato che in alcune aree è presente omologia su base biomolecolare con ceppi bovini, suggerendo che questa specie animale selvatica può rappresentare un bioindicatore della presenza dell’infezione da M. bovis nei bovini. Le indagini preliminari in allevamenti a rischio per sviluppo di fenomeni legati a antibioticoresistenza, ha permesso di evidenziare la circolazione di ceppi di M. bovis fenotipicamente resistenti ad Isoniazide e a Streptomicina, imponendo una riflessione non più basata su ipotesi o sensazioni, ma su evidenze analitiche, sul pericolo potenziale che questi ceppi possano essere trasmessi all’uomo. Di riflesso, ha consentito indirettamente di supporre realisticamente la relazione con la pratica di trattamenti fraudolenti messi in atto per mascherare l’infezione tubercolare nei bovini. Alla luce dei risultati sin qui raccolti e delle valutazioni che ne sono conseguite, emerge in tutta chiarezza l’importanza di continuare ad alimentare senza cali di intensità la vivacità della ricerca e delle attività ad essa correlate, in modo che i ricercatori che operano all’interno degli Istituti possano dare continuità allo sviluppo della diagnostica della tubercolosi e, di conseguenza, possano fornire quel contributo, che si auspica decisivo al processo di eradicazione della malattia dagli allevamenti. Con lo sviluppo delle attività è indispensabile rafforzare le sinergie già avviate tra i diversi gruppi di ricerca a livello nazionale ed internazionale con l’obiettivo finale di raggiungere l’eradicazione globale della malattia. L’impegno volto al sostegno del processo di eradicazione della malattia che si avvia verso le fasi terminali con la necessità di affrontare i nuovi scenari, modulando i protocolli analitici e gestionali a supporto dei processi decisionali e degli interventi delle politiche sanitarie nei territori di competenza. In particolare risulta ancora necessario approfondire aspetti legati alla diagnosi in vita e alla diagnosi post-mortem per potenziare ed ampliare la gamma dei test previsti nei protocolli diagnostici sia in specie domestiche che selvatiche, anche attraverso ampliamento dei target molecolari per la caratterizzazione genetica dei ceppi isolati. Nell’ambito dell’epidemiosorveglianza si auspica come prioritario lo sviluppo di un albero decisionale nella gestione dei focolai. Inoltre, con l’analisi dei dati ottenuti è possibile disporre di informazioni utili alla conoscenza delle dinamiche diffusive della Tb utili a identificare nuove strategie per il controllo e prevenzione della malattia con l’analisi e la revisione dei flussi informativi uomoanimale nella tubercolosi finalizzata alla rilevazione di eventuali punti critici. 103 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 UTILIZZO DI UN TEST ELISA MULTI-ANTIGENE PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DI TUBERCOLOSI BOVINA (TB) Casto B.1, Pacciarini M.1, Donati C.1, Nassuato. C1, Zoppi S.2, Moresco A. 3, Dondo A.2, Rossi F.2, Bergagna S.2, Boniotti M.B.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino 3 Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, Trento Key words: TB, ELISA, antigeni ricombinanti Summary lievito 1%( in PBS-T) alla diluizione 1:50 e incubati 1h a 37° C in agitazione. Successivamente le piastre vengono incubate 1h a 37°C in agitazione con un anticorpo anti-IgG bovine coniugato con perossidasi. La reazione colorimetrica è misurata in OD a λ=492 con lettore per micro piastre. Per ogni singolo siero i risultati ottenuti (media delle densità ottiche dei 2 pozzetti adsorbiti con l’antigene – densità ottica del pozzetto senza antigene) sono rapportati al controllo positivo della piastra ed espressi come percentuale di positività. Determinazione dei valori soglia per singolo antigene: il valore ottimale di cut-off di ogni singola proteina è stato determinato dalla corrispondente curva ROC (Receiver Operative Curve) (fig. 1) elaborata dall’analisi di 507 sieri bovini provenienti da 7 differenti allevamenti ufficialmente indenni da TBC e 93 sieri bovini, positivi all’isolamento colturale per M. bovis provenienti da 21 allevamenti infetti da tubercolosi. In this study the humoral responses of individual animals were tested by means of a multi-antigen indirect ELISA assay developed in our laboratory. PPDB, PPDA and 4 recombinant proteins expressed in E. coli (MPB70, MPB83, ESAT-6 and CFP-10) were used. The test showed moderate sensitivity and high specificity. Nevertheless, it was able to detect humoral response in animals were the other tests failed. Among the antigens, MPB70 detected most of the ELISA positive samples, followed by PPDB, MPB83, ESAT-6 and CFP-10. The use of the ELISA test could be complement to other techniques based on cellular response to identify TB infection in cattle. Introduzione La tubercolosi bovina è una zoonosi causata prevalentemente da due microrganismi appartenenti al gruppo Mycobacterium tuberculosis complex (MtbC): M. bovis e M. caprae. Negli animali infetti la risposta immunitaria predominante è di tipo cellulo-mediata su cui si basa la diagnosi in vivo che viene Figura 1. Curve ROC per la determinazione del cut-off dei singoli test ELISA. eseguita tramite il test intradermico e/o il test del γ-interferon. Questa risposta è anche la causa dell’infiammazione cronica caratteristica della tubercolosi bovina che porta alla formazione di granulomi e lesioni tipiche. Con il procedere della malattia l’animale sviluppa una risposta anticorpale mentre, in una fase avanzata di infezione generalizzata, gli animali possono perdere la capacità di rispondere al test intradermico (IDT) e al γ-interferon (1). Questi animali anergici potrebbero quindi essere la causa d’improvvisi e inaspettati focolai. Gli animali anergici potrebbero però essere rilevati tramite un saggio sierologico. Numerosi studi hanno evidenziato che per rilevare la risposta anticorpale è necessario utilizzare un approccio multi-antigene in modo da coprire la diversità individuale e temporale di questa risposta (3,4). In questo studio è stato sviluppato e standardizzato un test ELISA indiretta basato sull’utilizzo di antigeni ricombinanti specifici e valutata la risposta umorale di animali provenienti da allevamenti sede di focolaio. Materiali e Metodi Antigeni ricombinanti: le regioni nucleotidiche codificanti le proteine antigeniche MPB70, MPB83, ESAT6, CFP10 del M.bovis sono state clonate nel vettore pQE30 (Qiagen) ed espresse in E.Coli come proteine di fusione con una coda di poli-istidine. Le proteine sono state purificate per mezzo di una resina Ni-NTA (Qiagen). ELISA indiretta: il protocollo prevede che le proteine MPB70, MPB83, ESAT-6, CFP-10, la tubercolina bovina (PPDB) e la tubercolina aviare (PPDA) vengano adsorbite con tampone carbonato (pH 9,6) su micropiastra di polistirene a 96 pozzetti, le piastre sono poi incubate O.N a 4°C. Per ogni campione si sensibilizzano 2 pozzetti e un 3° pozzetto funge invece da bianco . I campioni di siero vengono analizzati in tampone estratto di 104 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Risultati Il saggio ELISA indiretta con le 4 proteine ricombinanti (MPB70, MPB83, ESAT6, CFP10) e le tubercoline bovine e aviari è stato utilizzato per analizzare un totale di 749 sieri bovini di cui: 507 sieri provenienti da 7 allevamenti ufficialmente indenni utilizzati per valutare la specificità del test e 242 sieri provenienti da 21 allevamenti sede di focolaio situati nelle regioni Lombardia, Piemonte e Trentino Alto Adige. Queste regioni hanno una prevalenza di TB inferiore allo 0.1% o sono riconosciute ufficialmente indenni (Trentino Alto Adige). Dopo aver determinato i valori di cut-off per ogni singolo antigene, sono stati calcolati i valori di specificità e sensibilità (tabella 1) considerando 2 criteri diversi per classificare il campione come positivo: 1) reattività ad un solo antigene oppure 2) reattività ad almeno due antigeni. Nonostante la sensibilità del test ELISA multi-antigene sia inferiore ai saggi diagnostici classici, questo saggio è stato in grado di rilevare 3 animali positivi (in grigio) che erano risultati negativi o dubbi a tutti i saggi tradizionali. Discussione Il saggio ELISA sviluppato nel nostro laboratorio presenta un’elevata specificità a fronte di una sensibilità modesta ma comparabile a quella ottenuta sino ad ora in altri lavori scientifici. Il fatto che la maggior parte dei sieri positivi siano reattivi a due o più antigeni è indice di robustezza del test sviluppato. Inoltre l’approccio multi-antigene del saggio ELISA offre la possibilità di modulare la specificità e la sensibilità in base al numero di antigeni reattivi che vengono considerati per la classificazione dell’animale come positivo o negativo. Si potrebbero pertanto utilizzare diversi criteri di interpretazione del risultato a seconda che si voglia monitorare un allevamento già sede di focolaio o un allevamento di cui non si conosce lo stato sanitario mantenendo criteri più stringenti in quest’ultimo caso. Per quanto riguarda la reattività delle singole proteine la tubercolina bovina e la proteina ricombinante MPB70 sono risultati essere gli antigeni maggiormente immunogenici. Applicato a sieri provenienti da allevamenti focolaio, il nostro test è stato in grado di rilevare 3 animali positivi che erano risultati negativi o dubbi a tutti i test in vivo e post mortem tradizionali. Questi risultati suggeriscono che il test ELISA multi-antigene possa essere utilizzato come test complementare agli altri test basati sulla risposta cellulo-mediata per la diagnosi di tubercolosi bovina e per migliorare la probabilità complessiva di rimuovere/eliminare tutti gli animali infetti negli allevamenti dove è in corso l’eradicazione. Tabella 1- Sensibilità e Specificità test ELISA multi-antigene Criteri di positività % Specificità Sensibilità % 1 ANTIGENE POSITIVO 94,87 74,19 2 ANTIGENI POSITIVI 98,81 61,29 In tabella 2 sono riassunte le reattività ottenute per singola proteina. La proteina MPB70 si conferma come la proteina maggiormente coinvolta nella risposta anticorpale (2). Nella tabella 3 si mette in evidenza che la maggior parte dei sieri positivi sono reattivi a due o più proteine antigeniche. 2) Tabella 2 e 3- Reattività dei sieri testati agli antigeni ricombinanti utilizzati nei test ELISA 3) ANTIGENE MPB70 MPB83 ESAT6 CFP10 PPDB CAMPIONI 81 26 12 12 84 N° ANTIGENI 1 2 3 4 5 TOT CAMPIONI 19 43 27 12 5 96 Bibliografia: 1. Infine, il test ELISA multi-antigene è stato applicato a 242 sieri provenienti da 21 allevamenti sede di focolaio. I risultati dei test ELISA sono stati confrontati con i risultati delle prove in vivo, IDT e γ-interferon, e degli esami post mortem quali l’osservazione di lesioni macroscopiche, l’esame istologico, la colorazione ZN, l’isolamento colturale e la PCR eseguita direttamente sul campione biologico. Nella tabella 5 viene confrontata la capacità diagnostica del saggio ELISA multi-antigene di classificare i campioni come positivi sia quando erano reattivi ad un solo antigene sia con reattività ad almeno due antigeni. 2. 3. 4. Tabella 5- Confronto tra la capacità diagnostica dei test in vivo, test post mortem e ELISA multi-antigene De la Rua-Domenech R., A.T. Goodchild, H.M. Vordermeier, R.G. Hewinson, K.H. Christiansen, R.S. Clifton-Hadley. 2006. Ante mortem diagnosis of tuberculosis in cattle: A review of the tuberculin tests, g-interferon assay and other ancillary diagnostic techniques. Research in Veterinary Science 81, 190-210. Fifis T., C. Costopoulos, L.A. Corner and P.R. Wood: 1992. Serological reactivity to Mycobacterium bovis protein antigens in cattle. Vet Microbiol. 30, 343-354. Lyashchenko K.P., M. Singh, R. Colangeli, M.L. Gennaro. 2000. A multi-antigen print immunoassay for the development of serological diagnosis of infectious diseases. Journal of Immunological Methods 242, 91-100. Whelan, C., E. Shuralev, G. O’Keeffe, P. Hyland, H. F. Kwok, P. Snoddy, A. O’Brien, M. Connolly, P. Quinn, M. Groll, T. Watterson, S. Call, K. Kenny, A. Duignan, M. J. Hamilton, B. M. Buddle, J. A. Johnston, W. C. Davis, S. A. Olwill, and J. Clarke. 2008. Multiplex immunoassay for serological diagnosis of Mycobacterium bovis infection in cattle. Clin. Vaccine Immunol. 15:1834-1838. ELISA TESTs in vivo TESTs post mortem N° campioni sieri positivi ad un solo antigene sieri positivi a due antigeni + + DUBBI DUBBI -/ND -/ND + -/ND + -/ND + - 89 47 7 3 37 59 64 14 2 1 13 2 54 12 0 1 8 2 Ringraziamenti Questo lavoro è stato finanziato dal Ministero della Salute con il progetto di ricerca finalizzato 2006 DIAGNOVA. Si ringrazia G. Botti per l’aiuto tecnico fornito. 105 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE DELL’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DEL γ-INTERFERON TEST PER LA TUBERCOLOSI BOVINA IN ASSENZA DI GOLD STANDARD Vitale N., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Bergagna S., Ippolito C., Petruccioli G., Goria M., Garrone A., Ferraro G., Chiavacci L. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Keywords: bovine tuberculosis – γ-interferon assay- latent class analisys Introduzione La tubercolosi bovina (bTB) è una patologia cronica a carattere zoonosico causata da Mycobacterium bovis con gravi implicazioni di sanità pubblica e danni economici negli allevamenti colpiti. L’eradicazione della bTB si basa sull’individuazione, l’isolamento e la rimozione dei capi infetti. Gli strumenti diagnostici utilizzati nella diagnosi di bTB si possono dividere in 2 grosse tipologie: le metodiche utilizzate in vita e le prove post mortem. La diagnosi formulata in vita si basa principalmente sulla risposta della immunità cellulo-mediata; che nel caso di M. bovis è sia meccanismo di difesa, sia causa dell’infiammazione cronica caratteristica dell’infezione. I due test attualmente utilizzati per la diagnosi in vita sono: l’intradermoreazione con tubercolina PPD, che costituisce la prova ufficiale e il γ-Interferon (γ-IFN) test, prova in vitro della PPD. I test post mortem sono effettuati sul capo abbattuto per rilevare la presenza di M. bovis (esame batteriologico, PCR diretta da tessuto) o la presenza di lesioni (esame anatomopatologico) riconducibili a M. bovis. Tradizionalmente le metodiche post mortem sono considerate prove di conferma dei test in vita e per questo motivo sono state utilizzate in diversi studi (3,8) come criterio per validare in situazioni di campo i test in vita, soprattutto il γ-IFN. Tuttavia, l’utilizzo delle metodiche post mortem come gold standard può portare a delle stime distorte dell’accuratezza diagnostica. Difatti, questi ultimi sono indicatori di malattia mentre quelli in vita sono indicatori di infezione (2) e pertanto i test post mortem sono meno sensibili dei test in vita (3). L’utilizzo degli strumenti diagnostici post mortem porterebbe a delle distorsioni nelle stime dell’accuratezza dei test in vita dovute ad errori di composizione del campione il cosiddetto Spectrum bias; fenomeno che si verifica quando i capi selezionati per lo studio non rappresentano tutta l’intera casistica della malattia o dell’infezione, ma solo alcune tipologie di infetti esempio i casi più gravi. In questo caso la popolazione utilizzata per stimare l’accuratezza diagnostica non sarebbe omogenea rispetto alla popolazione su cui nella routine sarà impiegato il test. Per valutare l’accuratezza del γ-IFN in situazione di campo, quando non è disponibile un gold standard è possibile utilizzare i modelli a classe latente (LC). In questo lavoro per valutare l’accuratezza diagnostica della prova del γ-IFN in situazione di campo è stata eseguita una analisi per classi latenti in un focolaio di bTB. diagnostico alle prove in vita è stato esaminato con un protocollo completo di esami post mortem che prevedeva: l’ispezione anatomopatologica, l’esame colturale e la PCR da tessuto. I risultati di queste 5 tecniche diagnostiche (γ-IFN, ICT, PCR, batteriologico, esame anatomopatologico) sono stati confrontati attraverso un modello LC a 2 classi. Sono stati stimati: prevalenza, accuratezza diagnostica (sensibilità, specificità), valori predittivi, rapporti di verosimiglianza (LR). utilizzando uno stimatore bayesiano e lo stimatore di massima verosimiglianza. L'analisi dei dati è stata eseguita utilizzando i software S.A.S v.9.1 e WINBUGS (4,5). Le stime dell’accuratezza diagnostica del γ-IFN ottenute da questo lavoro sono state confrontate con le stime derivate da uno studio analogo su un campione casuale di 326 bovini (6) che utilizzava il modello LC sempre in assenza di gold standard. Il lavoro sui 326 bovini era stato condotto su una popolazione che presentava una prevalenza diversa rispetto al focolaio bTB del presente studio e confrontava 4 test differenti (tubercolina, ispezione al macello, γ-IFN, isolamento M. bovis). Risultati e conclusioni Sono stati eseguiti 202 esami PCR, colturale e anatomopatologico; 197 ICT e γ-IFN in quanto 5 campioni di siero non sono risultati idonei. In tabella sono presentati i dati relativi alle 5 metodiche considerate. Tabella 1 risultati delle metodiche sui capi provenienti da un focolaio bTB ICT NEG NEG NEG NEG NEG NEG NEG NEG NEG NEG NEG POS POS POS POS POS POS POS POS Materiali e metodi Lo studio è stato condotto su tutti i bovini appartenenti ad un focolaio di bTB verificatosi in regione Piemonte nell’estate 2009 in provincia di Cuneo. Dopo accurata indagine epidemiologica e prove eseguite in vita e post mortem è stato decretato l’abbattimento totale. Tutti i capi dell’allevamento ancora in vita al momento dell’abbattimento totale sono stati testati con γ-IFN e con un test rapido immunoenzimatico basato sulla rilevazione della risposta umorale (1,7), l’immunocromatografico test (ICT). Su tutto l’effettivo di stalla indipendentemente dall’esito 106 PCR NEG NEG NEG NEG NEG POS POS POS POS POS POS NEG NEG NEG POS POS POS POS POS γ-IFN NEG NEG POS POS POS NEG NEG NEG POS POS POS NEG POS POS NEG NEG POS POS POS BATT NEG POS NEG POS POS NEG POS POS NEG POS POS NEG NEG POS NEG POS NEG POS POS ANPAT NEG NEG NEG NEG POS NEG NEG POS NEG NEG POS NEG NEG NEG NEG POS NEG NEG POS n 27 1 13 6 3 15 5 1 7 25 27 6 2 3 2 1 5 4 12 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 La prevalenza intrallevamento stimata dal modello è risultata pari a 0.5045 (IC95%: 0.42-0.60). I dati relativi alla sensibilità, specificità, valori predittivi positivi e negativi, rapporto sensibilità 1 meno specificità (LR+) e rapporto 1 meno sensibilità su specificità (LR-) del γ-IFN sono riportati in tabella 2. I dati di sensibilità e specificità del γ-IFN calcolati in questo lavoro sono concordi con quelli calcolati nell’altro studio (tabella 3) come si evince dagli intervalli di confidenza sovrapponibili. I risultati dello studio confermano le buone performance del test γ-IFN soprattutto in termini di specificità anche in situazioni epidemiologiche differenti e con prevalenze diverse. R., Esfandiari J., McNair J., Pollock J.M., Andersen P., Lyashchenko K.P., 2006. Early antibody responses to experimental Mycobacterium bovis infection of cattle. Clinical and vaccine immunology 648-654. 8. Wood PR, Corner LA, Rothel JS et al.,1992. A field evaluation of serological and cellular diagnostic tests for bovine tuberculosis. Vet Microbiol. 31:71–9. Abstract To assess diagnostic accuracy of Interferon-gamma (IFN-γ) assay under field conditions without a gold standard a latent class analysis was performed in a bTB outbreak. Several diagnostic tool were compared: IFN-γ, colture, post mortem examinations, and ICT. Diagnostic sensibility and specificity of IFN-γ were approximately estimated at 65% (95% confidence interval [CI] 54–75%) and 94% (CI: 87-99%), respectively. Results revealed that under field conditions IFN-γ is a reliable tool. Tabella 2 accuratezza diagnostica del γ-IFN in un focolaio SP 0,94 SE 0,65 IC 95% 0,87 0,99 IC 95% 0,54 LR- 0,75 0,37 VPN 0,73 LR+ VPP 10,79 0,92 Tabella 3 risultati di uno studio di accuratezza diagnostica del γ-IFN in assenza di gold standard su un campione casuale di 326 bovini prevalenza 32% specificità 0,99 0,89-99,9 (25,2%-39,7%) sensibilità 0,79 0,6-0,91 Bibliografia 1. Bergagna S., Zoppi S. , Ippolito C., Rossi F., Vitale N., Chiavacci L., Bertoli M., Dondo A “studio preliminare per la valutazione delle performance di un test immunocromatografico per la diagnosi in vita di tubercolosi bovina” xi congresso nazionale sidilv, Parma 2009 2. Corner, L.A., 1994. Post mortem diagnosis of Mycobacterium bovis infection in cattle. Vet. Microbiol. 40, 53–63. 3. De la Rua-Domenech, R., A. T. Goodchild, H. M. Vordermeier, R. G. Hewinson, K. H. Christiansen, and R. S. Clifton-Hadley. 2006. Ante mortem diagnosis of tuberculosis in cattle: a review of the tuberculin tests, gamma-interferon assay and other ancillary diagnostic techniques. Res. Vet. Sci. 81(2):190–210. 4. Spiegelhalter, D.J., Thomas, A., Best, N.G., 2004. WinBUGS Version 1.4 User Manual. MRC Biostatistics Unit. 5. SAS Institute Inc. 2004 SAS/STAT 9.1 User‘s Guide, Version 9.1 Cary, North Carolina, USA: SAS Publishing.. 6. Vitale, N., Zoppi, S., Rossi, S., Dondo, A., Bergagna, S., Goria, M., Chiavacci,L. “Estimating diagnostic accuracy of γ interferon test for bovine tuberculosis infection without a gold standard” atti M.BOVIS V Conference Wellington, New Zealand 25th-28th August 2009 7. Waters W.R., Paler M.V., Thacker T.C., Bannantine J.P., Vordermeier H.M., Hewinson R.G., Greenwald 107 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SUB-TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP PARATUBERCULOSIS MEDIANTE HIGH-RESOLUTION MELTING DNA ANALYSIS E SONDE NON MARCATE Ricchi M1, Barbieri G2, Belletti GL1, Pongolini S1, Carra E1, Garbarino CA1, Cammi G1, e Arrigoni N1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini”. Centro Referenza Nazionale Paratubercolosi 2 Università degli Studi di Parma – Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare Key words: Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, sub-tipizzazione molecolare, High Resolution Melting Ricerca effettuata nell’ambito del progetto di Ricerca Corrente IZSLER 19/2009 “Tipizzazione molecolare dei ceppi di Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map) e sue applicazioni in epidemiologia molecolare” Summary One of the most widely used techniques for the genotyping of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map), is Multi Locus Short Sequence Repeat (MLSSR). This technique is based on the direct sequencing of some variable loci containing tandem repeats. Among the three loci showing the highest variability (SSR1, SSR2 and SSR8), we focused on SSR8, which is constituted by triplets ranging from three to five repetitions. We developed a simple, rapid and cost-effective method to resolve this locus. This method is based on a Real Time PCR followed by High-Resolution Melting (HRM) analysis with unlabelled probes. Materiali e metodi I ceppi di Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis utilizzati in questo studio sono stati isolati dal Centro di Referenza Nazionale per la Paratubercolosi durante l’attività di routine diagnostica. Un’ansata di sub-coltura di Map è stata stemperata in 100 µl di acqua distillata sterile e sottoposta a disgregazione meccanica mediante TissueLyser (Qiagen, Milano, Italia) per 5 min a 30 Hz, previa aggiunta di 100 mg di biglie di vetro (diametro 150-212 µm). Il DNA, estratto mediante DNA QIAamp Mini Kit (QIAGEN, Milano, Italia), è stato quantificato a 260 nm e opportunamente diluito per amplificare 10 ng totali. I polimorfismi del locus SSR8 sono stati risolti mediante elettroforesi capillare, eseguita con il sequenziatore automatico Beckman Coulter CEQ 8000 (USA), secondo le istruzioni del kit “Dye Terminator Cycle Sequencing (DTCS) quick Start” ed impiegando i primers secondo Amonsin (6). I primers usati nel nostro studio sono stati disegnati utilizzando il programma Beacon Designer (versione 7.6, Premier Biosoft International, USA), modificati manualmente seguendo la strategia della Late-PCR (8) per ottenere una PCR asimmetrica, tale da garantire una sufficiente quantità di DNA a singolo filamento complementare alla sonda. Le sequenze dei primers e della sonda sono riportate nella tabella 1. Introduzione Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map) è l’agente eziologico della paratubercolosi, malattia che colpisce particolarmente i ruminanti. Alcuni studi suggeriscono inoltre come questo micobatterio possa essere implicato nella malattia di Crohn dell’uomo (1), sebbene il suo ruolo ezio-patogenetico sia ancora controverso. Nei bovini la malattia si presenta come una enterite granulomatosa cronica che porta a diarrea, perdita di peso e calo generale delle performances zootecniche. L’infezione sostenuta da questo agente patogeno, che ha diffusione mondiale, è causa di gravi perdite economiche per l’industria zootecnica (2). La conoscenza dell’epidemiologia e della biodiversità dei ceppi di Map circolanti potrebbe favorire la comprensione delle modalità di diffusione di questo patogeno. A questo proposito numerose metodiche sono state utilizzate per tipizzare molecolarmente Map: IS900-Restriction Fragment Length Polymorphism, Amplified Fragment Lenght Polymorphism (AFLP) e Pulsed Field Gel Electophoresis (3). Queste metodiche presentano tuttavia una serie di limiti, quali: elevata quantità di DNA da processare (ottenibile solo con colture pure del ceppo in esame), scarsa riproducibilità (AFLP) e necessità di personale e apparecchiature specializzate (4, 5). Più recentemente reazioni PCR su loci contenenti tandem repeats hanno superato molti di questi problemi e al momento sono considerate le tecniche emergenti per la tipizzazione molecolare di Map (3, 4). Fra i diversi loci analizzati mediante questa tecnica, quelli che dimostrano maggiore variabilità sono quelli descritti da Amonsin e coll. (6) come Short Sequence Repeats (SSRs). In particolare, i loci SSR 1, SSR2 e SSR 8 si sono rilevati quelli più informativi (3, 6). I loci SSR 1 e 2 sono costituiti da ripetizioni di una singola base (guanosina) in un range compreso tra 7 e oltre 14 ripetizioni, mentre il locus SSR8 è costituito da serie di triplette (guanosina-guanosina-timidina) in un range compreso tra 3 e 5 ripetizioni (6). Dato l’esiguo numero di differenze in termini di basi, per poter risolvere i polimorfismi presenti a livello di questi loci, la tecnologia utilizzata è il sequenziamento diretto del DNA. Lo scopo del nostro studio è stato quindi quello di tipizzare questi loci utilizzando metodi alternativi meno costosi e più semplici da implementare rispetto al sequenziamento. Per questo fine abbiamo utilizzato una PCR Real Time accoppiata a High-Resolution Melting (HRM) DNA analysis, utilizzando sonde oligonucleotidiche non marcate (7). I dati preliminari sul locus SSR 8 mostrano l’efficacia di questa tecnica nel risolvere i polimorfismi presenti. Tabella 1: Sequenze dei primers e della sonda per il locus SSR8. I primers amplificano una regione variabile (a seconda del polimorfismo presente) da 83 a 92 bp. * indica la presenza di un c6’-amminoblocker in posizione 3’. Sequenza (5’-3’) Forward Reverse Probe CGGGTGCGCGAGCTGGTGC CGCTCCTCGGGCATCTGC GAGGCGCGGGTGGTGGTGGTGGTGGCGCA* Abbiamo utilizzato una mix di PCR preparata addizionando LCGreen® Plus+ Melting Dye (Idaho technology Inc, Salt Lake City, Utah, USA) a Right-Taq (EuroClone, Pero, Italia) con 0.2 mM dNTPs, 0.5 µM di sonda modificata chimicamente in posizione 3’ (c6’-amminoblocker) per evitare l’allungamento da parte della DNA-TaqPolimerasi, 0.05 µM per il primer limitante (forward) e 0.5 µM per quello in eccesso (reverse). Le reazioni di PCR sono state effettuate in StepOne Plus system (Applied Biosystems). Le condizioni erano: denaturazione a 95 °C per 3 min, seguita da 50 cicli con 15 sec di denaturazione e 30 sec di annealing/ estensione a 67 °C. Gli ampliconi sono stati immediatamente processati portandoli a 95 °C per 15 sec e di seguito a 60 °C per 1 min. I campioni sono stati quindi riscaldati da 60 °C a 95 °C, incrementando la temperatura di 0.1 °C per singolo step, con 10 misurazioni per ogni °C di incremento. La temperatura di melting (Tm) è stata misurata dal software (StepOne Software v2.1, Applied Biosystems) senza normalizzare con ROX. I dati ottenuti sono stati quindi processati sottraendo la fluorescenza del controllo senza sonda, derivando i risultati ottenuti e “pulendo” (smoothing) i dati con il metodo della media mobile. Per massimizzare ulteriormente le differenze dei diversi polimorfismi, 108 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Bibliografia abbiamo calcolato una funzione esponenziale negativa, ricavata utilizzando due intervalli di dati scelti a monte e a valle della transizione della Tm per ciascuna curva e l’abbiamo sottratta ai dati derivati in precedenza. Abbiamo quindi normalizzato sottraendo il valore minimo e dividendo per il massimo dei dati risultanti (9). Infine da questi dati sono stati ottenuti i grafici relativi utilizzando Sigma Plot. 1. Scanu AM, Bull TJ, Cannas S, Sanderson JD, Sechi LA, Dettori G, Zanetti S,Hermon-Taylor J. 2007. Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis infection in cases of irritable bowel syndrome and comparison with Crohn’s disease and Johne’s disease: common neural and immune pathogenicities. J Clin Microbiol. 45:3883-90. 2. Harris NB, Barletta RG. 2001. Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis in Veterinary Medicine. Clin Microbiol Rev. 14:489-512. 3. Motiwala AS, Li L, Kapur V, Sreevatsan S. 2006. Current understanding of the genetic diversity of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis. Microbes Infect. 8:1406-18. 4. Stevenson K, Alvarez J, Bakker D, Biet F, de Juan L, Denham S, Dimareli Z, Dohmann K, Gerlach GF, Heron I, Kopecna M, May L, Pavlik I, Sharp JM, Thibault VC, Willemsen P, Zadoks RN, Greig A. 2009. Occurrence of Mycobacterium avium subspecies paratuberculosis across host species and European countries with evidence for transmission between wildlife and domestic ruminants. BMC Microbiol. 9:212. 5. Thibault VC, Grayon M, Boschiroli ML, Hubbans C, Overduin P, Stevenson K, Gutierrez MC, Supply P, Biet F. 2007. New variable-number tandem-repeat markers for typing Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis and M. avium strains: comparison with IS900 and IS1245 restriction fragment length polymorphism typing. J Clin Microbiol. 45:2404-10. 6. Amonsin A, Li LL, Zhang Q, Bannantine JP, Motiwala AS, Sreevatsan S, Kapur V. 2004. Multilocus short sequence repeat sequencing approach for differentiating among Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis strains. J Clin Microbiol. 42:1694-702. 7. Zhou L, Errigo RJ, Lu H, Poritz MA, Seipp MT, Wittwer CT. 2008. Snapback primer genotyping with saturating DNA dye and melting analysis. Clin Chem. 54:1648-56. 8. Pierce KE, Sanchez JA, Rice JE, Wangh LJ. 2005. LinearAfter-The-Exponential (LATE)-PCR: primer design criteria for high yields of specific single-stranded DNA and improved real-time detection. PNAS. 102:8609-14 9. Palais R, Wittwer CT. 2009. Mathematical algorithms for high-resolution DNA melting analysis. Methods Enzymol.454:323-43. 10. El-Sayed A, Hassan AA, Natour S, Abdulmawjood A, Bülte M, Wolter W, Zschöck M. 2009. Evaluation of three molecular methods of repetitive element loci for differentiation of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (MAP). J Microbiol. 47:253-9. 11. Nguyen-Dumont T, Calvez-Kelm FL, Forey N, McKay-Chopin S, Garritano S, Gioia-Patricola L, De Silva D, Weigel R, Sangrajrang S, Lesueur F, Tavtigian SV. 2009. Breast Cancer Family Registries (BCFR); Kathleen Cuningham Foundation Consortium for Research into Familial Breast Cancer (kConFab). Description and validation of high-throughput simultaneous genotyping and mutation scanning by highresolution melting curve analysis. Hum Mutat. 30:884-90. Risultati In figura 1 sono mostrati i profili di tre polimorfismi rappresentativi del locus SSR8, ottenuti con ceppi di campo isolati in laboratorio. Abbiamo rilevato una differenza di circa 4 °C nei valori di Tm corrispondenti ai diversi polimorfismi osservati, permettendo una distinzione inequivocabile tra i vari polimorfismi. Oltre a quelli rimossi nel corso del processamento matematico dei dati, relativi agli ampliconi e non alla reazione di ibridazione, non si rilevavano altri picchi. 41 campioni di ceppi di campo di Map sono stati processati sia con la metodica HRM sia con il sequenziamento del locus, evidenziando una perfetta corrispondenza fra le due tecniche impiegate. Un campione mostrava tre ripetizioni (Tm 72.2 ± 0.0 °C), 20 quattro ripetizioni (Tm 76.2 ± 0.1 °C) e 20 cinque ripetizioni (Tm 80.7 ± 0.1 °C). Figura 1: Figura rappresentativa delle curve di melting ottenute del locus SSR8 della sola regione di ibridazione della sonda non marcata. Discussione Numerosi dati in letteratura suggeriscono come la metodica MLSSR sia quella con il più alto indice discriminatorio (DI) per la sub-tipizzazione di ceppi di Map (3, 6, 10). In particolare i loci 1, 2 e 8 sembrano essere quelli con una più elevata variabilità (3, 6). Tecniche con elevato indice discriminatorio (>0.90 DI) consentono di effettuare analisi di linkage utili ai fini epidemiologici (4). Uno dei limiti di questo metodo è la necessità di sequenziare direttamente ogni singolo locus analizzato, con notevole dispendio in termini economici (costo elevato delle apparecchiature e necessità di personale altamente specializzato). La metodica da noi proposta, basata su analisi HRM in presenza di sonde non marcate è una tecnica recentemente sviluppata, con elevato potenziale risolutivo, in grado di evidenziare anche “single nucleotide polymorphisms” di classe 4 (11). Il metodo da noi sviluppato, riferito per il momento al solo locus SSR8, presenta i vantaggi di essere semplice, molto veloce (circa 3 ore per effettuare l’amplificazione e l’analisi della curva di melting), poco costoso e di non richiedere manipolazioni successive all’allestimento della reazione di PCR. Ulteriori studi sono in corso per valutare l’utilizzo di questa tecnica anche nella risoluzione degli altri due loci mononucleotidici (SSR 1 e 2). 109 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RUOLO DEL SUINO NERO DEI NEBRODI NELL’EPIDEMIOLOGIA DELLA TUBERCOLOSI BOVINA IN SICILIA Mazzone P.1, Corneli S.1, Cagiola M.1, Biagetti M.1, Ciullo M.1, Sebastiani C.1, Boniotti M.B.3, Pacciarini M.L.3, Di Marco V.2, Russo M.2, Aronica V.2, Fiasconaro M.2, Marianelli C.4, Pesciaroli M.4, Pasquali P.4 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna – Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi bovina da M. bovis 4 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare Key words: Mycobacterium bovis, pig, Spoligotyping SUMMARY The application of the control measures included in the national tuberculosis eradication programmes, allowed us to reduce the prevalence of Bovine Tuberculosis (TB) in several Italian regions. However further efforts are necessary in order to achieve the eradication of the disease in South of Italy, especially in Sicily where prevalence of TB is still more than 3% (prevalence of 2009). In order to gain a better understanding of the epidemiology of the disease in the area of the Nebrodi Park, a survey was conducted to assess the presence of M. bovis in the population of autochthonous pigs that share common pastures with cattle. In this study 106 pig carcasses were examined by anatomopathological inspection and submitted to culture isolation. Sixteen M. bovis strains were isolated and genotyped by DVR-Spoligotyping and ETRs markers. The combination of information derived from the epidemiological investigation and the genetic profiles allows us to hypothesize that there was a transmission of M. bovis between cattle and swine population of Nebrodi Park. (DM 592 del 15 Dicembre 1995, D.Lgs. 196 del 22 maggio 1999) e probabilmente sta comportando il coinvolgimento del Suino Nero nell’epidemiologia della malattia. Con l’intento di verificare questa ipotesi nel 2009 è stata condotta un’indagine conoscitiva nell’ambito del Progetto di Ricerca del Settimo Programma Quadro, denominato “Strategies for the eradication of bovine tuberculosis” (Contract Number 212414 - Acronimo TB-STEP). Lo studio preliminare effettuato su 75 suini del Parco dei Nebrodi e 46 suini del Parco delle Madonie, ha evidenziato la presenza di M. bovis in 8 dei 121 soggetti esaminati, rispettivamente 6 positività nei suini dei Nebrodi e 2 in quelli delle Madonie (4). Sulla scorta di questi risultati nel 2010 si è deciso di concentrare le indagini sulla popolazione del Parco dei Nebrodi, avviando un campionamento mirato in sede di macellazione. MATERIALI E METODI Nel primo semestre del 2010 presso il mattatoio di Mirto (ME), sono stati esaminati 106 Suini Neri Siciliani allevati nel comprensorio del Parco dei Nebrodi allo stato libero e semi brado. Dopo accurato esame ispettivo, sono stati prelevati da ogni soggetto i linfonodi della testa (retrofaringei e parotidei), i linfonodi dell’apparato respiratorio (bronchiali e mediastinici) e i linfonodi dell’apparato digerente (epatici, gastrici ed intestinali). Sono stati successivamente inviati all’IZSUM sia gli organi sede di lesioni riferibili a tubercolosi, sia gli organi prelevati da suini che non avevano presentato lesioni macroscopiche evidenti (NVL). Presso l’IZSUM su ogni campione pervenuto è stato effettuato l’esame anatomo-patologico e l’esame colturale per l’isolamento dei micobatteri, eseguito secondo le metodiche tradizionali previste dal D.M. 592/95, su terreni solidi selettivi (Lowestein-Jensen e Stonebrink). L’eventuale crescita delle colonie è stata monitorata settimanalmente per un periodo di almeno tre mesi. Sulle colonie tipiche, risultate positive alla colorazione per acido resistenti, l’identificazione è stata eseguita mediante tecniche bio-molecolari. Per una prima differenziazione tra Mycobacterium spp, Mycobacterium avium e Mycobacterium tuberculosis complex dalle colonie isolate è stata eseguita una metodica PCR secondo quanto riportato da Kulski et al. (5). Le colonie classificate come appartenenti al M. tuberculosis complex sono state successivamente tipizzate applicando il protocollo di Huard et al. (6). I ceppi identificati come M. bovis sono stati caratterizzati presso il Centro di Referenza Nazionale per la tubercolosi bovina da M. bovis (TBCentro-IZSLER), con l’ausilio di tecniche di tipizzazione molecolare: Spoligotyping e analisi dei loci ETRs (7). Al fine di ottenere informazioni di ordine epidemiologico, i profili genetici dei ceppi in esame sono stati confrontati con ceppi isolati nello stesso arco di tempo, nel territorio siciliano e nel territorio nazionale. La INTRODUZIONE La tubercolosi bovina (TB) è una malattia infettiva che colpisce principalmente i bovini ma può riguardare anche altri animali domestici, alcune specie di animali selvatici, liberi o in cattività, e l’uomo (1). Gli agenti eziologici della tubercolosi appartengono al gruppo del Mycobacterium tuberculosis complex (MtbC) che comprende: Mycobacterium bovis, storico agente causale della TB, Mycobacterium caprae, neospecie recentemente differenziata all’interno del gruppo MtbC anch’essa responsabile della TB (2), Mycobacterium tuberculosis, agente eziologico della tubercolosi umana, Mycobacterium bovis BCG (variante vaccinale), Mycobacterium africanum, Mycobacterium microti, Mycobacterium canettii e Mycobacterium pinnipedii, patogeno per le foche e per i leoni marini (3). Nell’ambito di una collaborazione scientifica tra l’IZS dell’Umbria e delle Marche, l’IZS della Sicilia e l’ISS, è stata condotta un’indagine per valutare la presenza del M. bovis nella popolazione del Suino Nero dei Nebrodi. Il Suino Nero Siciliano è una razza autoctona che vive libera o in cattività nelle aree protette del Parco dei Nebrodi, delle Madonie e dell’Etna, condividendo il pascolo con i bovini dello stesso territorio (Fig.1). A tale riguardo è opportuno ricordare che in Sicilia negli ultimi 10 anni sono stati registrati tassi di prevalenza della TB spesso superiori al 5%. Valori così elevati lasciano presupporre che nei territori siciliani vi sia una notevole circolazione del M. bovis tra i bovini e allo stesso tempo consentono di ipotizzare una preoccupante contaminazione dei pascoli. Questa situazione in Sicilia dilata gravemente i tempi necessari per il raggiungimento della qualifica sanitaria di Regione Ufficialmente Indenne 110 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DISCUSSIONE In merito all’obiettivo principale del lavoro, ovvero dimostrare un coinvolgimento del Suino Nero Siciliano nella diffusione della TB nel territorio considerato, possiamo concludere che effettivamente vi è stata una circolazione di M. bovis tra la popolazione bovina e suina del Parco dei Nebrodi. Inoltre dal tipo di lesioni evidenziate all’esame ispettivo possiamo ipotizzare che la popolazione di suini selvatici abbia un ruolo attivo nella diffusione della malattia nelle aree geografiche considerate e che il Suino Nero dei Nebrodi non sia solo uno “spillover host” ma un vero e proprio “reservoir”. Questa tesi trova conferma anche in un’indagine condotta nella penisola iberica sulla popolazione di cinghiali e suini selvatici (9), in un contesto ecologico molto simile a quello siciliano; nello studio si sottolinea che il riscontro di lesioni generalizzate nei soggetti esaminati rinforza l’ipotesi che i suidi selvatici possano essere effettivamente degli eliminatori di M. bovis. Oltre alle considerazioni di ordine epidemiologico, la tipologia dei quadri anatomo-patologici riscontrati, desta anche preoccupazioni in termini di Salute Pubblica. Le lesioni evidenziate nei maiali sono apparse del tutto sovrapponibili a quelle che normalmente si osservano nei bovini affetti da TB; in particolare nei quadri di infezione generalizzata è d’obbligo chiedersi quale destino dare alle carni dei soggetti macellati. La normativa italiana e comunitaria a tale riguardo non offre delucidazioni, pertanto è compito e responsabilità del solo veterinario ispettore decidere se destinare alla distruzione le carcasse interessate. Inoltre l’isolamento di micobatteri atipici anche da soggetti con lesioni simil-tubercolari, dimostra quanto sia indispensabile procedere sempre all’esame colturale laddove nei maiali si riscontrassero quadri anatomo-patologici “sospetti”. Pertanto anche alla luce dei risultati che stanno emergendo dal Progetto di Ricerca Europeo “Strategies for the eradication of bovine tuberculosis”, potrebbe essere auspicabile un’attenta integrazione della normativa sulla TB che fornisca indicazioni utili per affrontare la problematica anche in specie diverse dal bovino, sia dal punto di vista della Sicurezza Alimentare, sia per la salvaguardia delle biodiversità e degli allevamenti al pascolo. localizzazione geografica degli allevamenti ci ha permesso di individuare la compresenza di ceppi omologhi circolanti tra i bovini e i suini che avevano condiviso il pascolo nel Parco dei Nebrodi. RISULTATI All’esame anatomo-patologico (EAP) sui 106 soggetti esaminati, 68 non hanno presentato alcun tipo di lesione (NVL) mentre 38 hanno presentato lesioni macroscopiche. Di questi, in 22 soggetti sono stati evidenziati quadri anatomo-patologici riferibili a tubercolosi (EAP tipico) con lesioni nodulari sclero-caseo-calcifiche e lesioni miliari. Tra i soggetti con EAP tipico, in 10 casi erano coinvolti tutti gli apparati linfonodali osservati, ricalcando il quadro anatomopatologico dell’ infezione generalizzata protratta del bovino. In 16 casi sono state evidenziate lesioni miliari più o meno diffuse nel parenchima linfonodale, non suggestive di lesioni tubercolari tipiche (EAP atipico), Tabella 1. L’esame colturale ha permesso di isolare il M. bovis in 16 soggetti, dei quali 14 avevano mostrato lesioni tipiche all’esame anatomo-patologico (EAP tipico) e 2 non avevano presentato alcun tipo di lesione in nessuno dei linfonodi osservati (NVL). In 2 soggetti con lesioni atipiche sono stati isolati rispettivamente M. avium e Rhodococcus equi mentre in 6 soggetti sono stati isolati micobatteri non appartenenti al MtbC. Di questi ultimi, 4 hanno presentato lesioni a carico dei linfonodi della testa non riferibili a tubercolosi (EAP atipico) e 2 non presentavano lesioni (NVL). I primi risultati della genotipizzazione dei ceppi di M. bovis isolati nella popolazione del Suino Nero dei Nebrodi, suggeriscono la presenza di due Spoligotipi molto diffusi in Italia: SB120 presente in più del 50% dei focolai e SB0841 caratterizzato dall’assenza degli spacers 6 e 7 e rilevato in Italia nel 4,8 % dei ceppi di M. bovis esaminati (8). SB0120 è stato ulteriormente differenziato in due genotipi mediante l’analisi dei loci ETRs: SB0120/ETR45533 e SB0120/55534, mentre SB0841 è stato trovato in combinazione solo con ETR55533. I tre profili genetici sono stati descritti in allevamenti bovini della Sicilia ma sono segnalati anche in altre regioni italiane. In particolare SB120/ETR45533 è uno dei genotipi maggiormente diffusi in tutta la penisola ed in Sicilia. Mentre il genotipo SB0841/55533 è stato riscontrato, oltre che in Sicilia, prevalentemente nelle regioni del CentroSud. Figura 1: Localizzazione geografica dei Parchi Siciliani Tabella 1: Esiti dell’esame anatomo-patologico e dell’esame colturale condotti sui Suini Neri dei Nebrodi * Comprensivi degli isolamenti di M. avium e Rhodococcus equi EAP Esame colturale M. bovis Atipici Negativo Tipico 14 0 8 22 Atipico 0 6* 10 16 NVL 2 2 64 68 16 8 82 106 111 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Mycobacterium avium and Mycobacterium intracellulare in Blood Culture Fluids of AIDS Patients. J.Clin. Microbiol., V.33, No3, 668-674 6. Huard R.C., de Oliveira Lazzarini L.C., Butler W.R., van Soolingen D. and Ho J.L. (2003) PCR-Based Method To Differentiate the Subspecies of the Mycobacterium tuberculosis Complex on the Basis of Genomic Deletion. J. Clin. Microbiol., Vol. 41, No 4, p. 1637-1650 7. Frothingham,R.,Meeker-O’Connell W.A. (1998). Genetic diversity in the Mycobacterium tuberculosis complex based on variable numbers of tandem repeats. Microbiology 144:1189-1196 8. 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(1995) Use of a Multiplex PCR to Detect and Identify 112 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 IDENTIFICAZIONE DI UN MODELLO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO SEMI-QUANTITATIVO PER CLASSIFICARE LE AZIENDE CHE PRODUCONO LATTE CRUDO E DEFINIRE STRATEGIE DI CONTROLLO Cibin V.1, Barrucci F.1, Ricci A.1, Ferronato A.2, Pozza G.1, Ferrè N.1, Capello K.1, Dalla Pozza M.C.1, Ramon E.1, Longo A.1, Mioni R.1, Conedera G.1, Pittui S.3, Marangon S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD); 2Az-ULSS 15, Regione Veneto; 3Unità Progetto Sanità Animale e Igiene Alimentare, Regione del Veneto Keywords: unpasteurized milk, risk assessment model, control strategies INTRODUZIONE Il consumo di latte non pastorizzato ha subito un rapido incremento in Italia negli ultimi anni; all’inizio del 2010 erano presenti circa 800 distributori automatici a livello nazionale, di cui circa 200 situati nella Regione Veneto. Tra i più probabili microrganismi potenzialmente presenti nel latte crudo in grado di determinare malattia nell’uomo si annoverano Salmonella Typhimurium, Campylobacter jejuni ed E.coli O157 verocitotossici (1). La normativa europea ed italiana definiscono dei criteri per la produzione ed il commercio di latte non pastorizzato con lo scopo di ridurre il rischio per i consumatori a livelli accettabili. Questa normativa è principalmente focalizzata su controlli sanitari del latte a livello aziendale o del distributore automatico. A seguito della segnalazione in Italia di casi umani conseguenti al consumo di latte non pastorizzato, è diventato evidente il bisogno di definire una strategia di controllo più efficace rispetto ai controlli sul prodotto finito. Lo scopo di questo studio è stato quello di strutturare un modello di valutazione del rischio semi-quantitativo per identificare strategie di controllo a livello dell’azienda e raccogliere dati utili ad implementare il modello. Figura 1. Risk-pathway Figura 2. Modello matematico MATERIALI E METODI È stata definita una “risk-pathway” ovvero uno schema del flusso degli eventi attraverso i quali il/i pericolo/i può /possono contaminare il prodotto finito, assumendo che la contaminazione del latte dipenda esclusivamente dalla presenza di vacche infette che eliminano il pericolo/i attraverso le feci e che la contaminazione del latte possa avvenire solo indirettamente (trasferimento di patogeni dalle feci al latte) durante la mungitura (figura 1). È stato definito un modello matematico per descrivere algebricamente la “risk-pathway” (figura 2). Si considerano variabili critiche del modello la prevalenza di animali infetti, π, e la quantità di patogeni che può essere trasferita dalle feci al latte o “transfer rate”, α. Sono state selezionate 16 aziende produttrici di latte crudo e sottoposte a campionamento per ottenere informazioni relativamente ai parametri π e α. Sono stati applicati sia metodi microbiologici che molecolari, con lo scopo di identificare e quantificare la presenza di Salmonella spp., E.coli O157 e Campylobacter spp. sia nelle feci che nel latte prelevati dalle aziende selezionate, per avere informazioni sul parametro π e ottenere dati per implementare il modello. Per classificare le aziende sulla base delle variabili che possono influenzare il valore del parametro α (“transfer rate”), è stato usato il metodo AHP (Analytic Hierarchy Process), che ha permesso di attribuire un valore (peso) ad ogni variabile identificata attraverso un gruppo di esperti opportunamente selezionato (2), (figura 3). È stato sviluppato un questionario standardizzato, somministrato alle aziende selezionate, per raccogliere informazioni sulle variabili identificate e pesate utile a classificare le aziende sulla base del punteggio associato. Figura 3. Variabili ed entità con cui contribuiscono al parametro α 113 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RISULTATI I risultati dell’analisi microbiologica qualitativa sono riportati in figura 4; i campioni di feci positivi sono stati sottoposti anche ad analisi quantitativa (dati non riportati). Tutti i 260 campioni di latte raccolti e analizzati per la presenza di Salmonella spp., E.coli O157 e Campylobacter spp. sono risultati negativi. Le variabili che influenzano il parametro “transfer rate” (α) sono state pesate secondo la tecnica AHP da un gruppo di esperti (figura 3). Le aziende produttrici di latte sono state classificate secondo il “punteggio globale” associato al parametro α ; i punteggi più elevati sono associati a una maggiore probabilità di trasferimento di agenti patogeni dalle feci al latte (figura 5). Figura 4. Risultati delle analisi microbiologiche qualitative DISCUSSIONE I risultati delle analisi microbiologiche suggeriscono che le vacche da latte che producono latte destinato ad essere consumato crudo eliminano più frequentemente Campylobacter spp. Il fatto che nessuno dei campioni di latte sia risultato positivo per gli agenti patogeni ricercati potrebbe suggerire o che nessuna delle aziende positive abbia un “punteggio globale” associato al parametro α che giustifichi il trasferi-mento di agenti patogeni dalle feci al latte oppure, più probabilmente, che, a dispetto di un “punteggio globale” negativo (alto), il controllo del latte non sia abbastanza sensibile da permettere l’identificazione delle aziende problematiche. I risultati di questo studio confermano che le misure di controllo a livello dell’azienda non dovrebbero dipendere esclusivamente dai risultati dei controlli del latte, bensì dovrebbero essere modulati sulla base del livello di rischio identificato in accordo con il tipo di pericolo, “π” e il “punteggio globale” combinati in una matrice di rischio. Figura 5. Risk-ranking delle aziende SUMMARY Following the notification in Italy in recent times of human cases caused by unpasteurized milk consumption, the need for the definition of control strategies more effective than just the end-product controls, as established by European and Italian legislation, became evident. Aim of this study was to develop a semi-quantitative risk assessment model useful to identify control strategies at farm level. Critical variables in the model are considered the prevalence of infected animals and the “transfer rate” that describes the amount of pathogens that may be transferred from the faeces to milk. BIBLIOGRAFIA 1. Oliver S. P., Boor K. J., Murphy S.C., Murinda S. E. (2009), Food safety hazards associated with consumption of raw milk, Foodborne pathogens and disease, volume 6, number 7, pp. 793-806. 2. Vaidya S.O., Kumar S. (2006), Analytical hierachy process: an overview of applications, European Journal of Operational Research, 169, pp. 1-29. Si ringrazia il personale della Az-ULSS 15 (Regione Veneto) coinvolto nell’attività di campionamento e il personale tecnico della Sezione Territoriale di Pordenone, del Laboratorio di Microbiologia Alimentare (SC1) e del Laboratorio di Epidemiologia applicata la controllo di filiera (SC8) per l’attività di analisi. 114 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DESCRIZIONE DI DUE EPISODI DI INTOSSICAZIONE DA CLOSTRIDIUM BOTULINUM IN ALIMENTI VEGETALI DI PRODUZIONE INDUSTRIALE De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Losio M.N., Bertasi B., Fenicia L.(*), Anniballi F(*)., Daminelli P., Boni P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Microbiologia, Brescia Centro Nazionale di Referenza per il botulismo D.S.P.V.S.A. – Istituto Superiore di Sanità, Roma Key words: C. botulinum, produzioni vegetali industriali, Reg. CE 2073/2005 Storicamente una percentuale rilevante di episodi di tale patologia risulta associata al consumo di conserve di preparazione domestica, ottenute mediante processi produttivi e/o trattamenti termici inadeguati. Un numero significativo di casi, tuttavia, è causato da alimenti di produzione industriale, in cui la crescita di C. botulinum risulta solitamente associata ad un inadeguato controllo del processo o ad alterazioni dell’integrità della confezione (3, 4). L’identificazione di ciascun caso di botulismo alimentare, principalmente se correlato a produzioni industriali, costituisce un problema di sicurezza alimentare e un’emergenza di salute pubblica, in quanto esiste il rischio concreto che il cibo contaminato possa essere consumato da diverse persone. Risulta quindi necessaria non solo l’immediata diagnosi clinica di tale intossicazione, ma anche la tempestiva identificazione del prodotto alimentare contaminato al fine di effettuare un efficace ritiro e richiamo dal mercato. Il presente studio riporta la descrizione di 2 episodi di botulismo verificatisi nei primi mesi del 2010 in Lombardia a seguito di assunzione di alimenti vegetali di produzione industriale. MATERIALI E METODI Presso il Reparto Microbiologia dell’I.Z.S.L.E.R. sono state applicate le seguenti emtodiche Ricerca delle tossine Per la ricerca della tossina botulinica vengono pesati 25 g di alimento in sacchetto con filtro e stomacherizzati a bassa velocità dopo aggiunta di tampone gelatina a pH 6.5. In seguito a incubazione a temperatura di refrigerazione overnight viene prelevata la quota spontaneamente filtrata e fatta centrifugare a 4000 giri/minuto per 1 ora. Fase A: Rilevazione delle tossine botuliniche Il surnatante viene prelevato e diviso in due aliquote, di cui una viene trattata termicamente a 100°C per 10 minuti al fine di inattivare le tossine eventualmente presenti. 0,5 ml di surnatante tal quale (crudo) e 0,5 ml dell’aliquota trattata termicamente (cotto) vengono inoculati per via intraperitoneale in una coppia di topi di circa 20 g. In presenza di tossina botulinica il topo inoculato con il “crudo” mostra sintomi di progressiva paraparesi flaccida e dispnea, fino a morte per paralisi respiratoria con caratteristico profilo “a vite di vespa” dell’addome, che giunge in 2-48 ore, e comunque non oltre i 5 giorni. Il soggetto inoculato con l’aliquota trattata termicamente come controllo negativo non deve presentare alcun sintomo. La rilevazione della tossina nel siero viene effettuata mediante filtrazione del campione con filtri da 0,2 μm. 0,5 ml di filtrato tal quale (crudo) vengono inoculati per via intraperitoneale in un topo di circa 20 g. Per le considerazioni relative all’interpretazione dell’analisi si rimanda a quanto precedentemente descritto. Fase B: Tossinotipizzazione In caso di sospetto della presenza di tossina botulinica si procede all’identificazione del tossinotipo attraverso l’uso di antisieri specifici. 0,5 ml di ciascuna delle antitossine disponibili (antitossina A, B, E ed ABE) vengono messi a contatto con uguale quantitativo di estratto non trattato termicamente per 30 minuti. Si procede inoculando per via intraperitoneale 4 coppie di topi, ognuna con una diversa antitossina. La tossina botulinica presente porta a morte tutti gli animali ad eccezione di quelli SUMMARY In this study 2 cases of food-borne botulism caused by consumption of commercially produced vegetable products are described. Both canned small artichoke and vegetable soup allowed Clostridium botulinum growth and type B neurotoxin production. In both cases a proper and ready action planned by health public authority avoided further spread of the disease. INTRODUZIONE Il botulismo è una sindrome neuroparalitica causata da una tossina prodotta da clostridi appartenenti a 6 gruppi distinti, che agisce inibendo il rilascio di acetilcolina a livello di placca neuromuscolare. La forma alimentare, correlata all’ingestione di prodotti contaminati da neurotossina, è solitamente associata alla presenza di Clostridium botulinum appartenente ai gruppi I (proteolitico, tossinotipi A, B, F) e II (non proteolitico, tossinotipi B, E, F). Delle 7 neurotossine botuliniche esistenti (A-G) la A e la B risultano più spesso implicate in casi di intossicazione umana, seguono la E e la F. C. botulinum è un microrganismo anaerobio sporigeno la cui germinazione e moltiplicazione è consentita da condizioni di moderata acidità (pH > 4.6) e concentrazione di NaCl (< 8%) del substrato alimentare. Esistono differenze significative relative alla resistenza termica delle spore e alle temperature minime di crescita del patogeno tra i Clostridi del gruppo I e II, che vengono quindi correlati a un diverso target di produzioni alimentari considerate potenzialmente a rischio, come riportato in Tabella 1. Tabella 1: Caratteristiche di C. botulinum gruppo I e II (1) C. botulinum proteolitico non proteolitico Temperatura minima di crescita Resistenza termica spore (D100C°) Alimenti a rischio 10 – 12 °C 3 °C > 15 < 0,1 cibi in scatola prodotti della pesca fermentati o essiccati, REPFED In Italia ogni anno vengono segnalati 20 – 30 casi di botulismo alimentare, causati principalmente dal consumo di conserve di verdura e pesce e, in misura minore, da prodotti caseari, conserve di carne e pollame. Grafico 1: andamento del numero di casi di botulismo in Italia dal 1996 al 2009 (2) 115 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 inoculati con l’antisiero specifico. Ricerca del Clostridium botulinum La ricerca di C. botulinum viene solitamente effettuata da matrice alimentare o da campione di feci. Una quantità di acqua peptonata tamponata (APT) equivalente alla matrice da analizzare (se possibile 25 g), viene addizionata al campione in modo da ottenere una diluizione 1:1. Dopo stomacherizzazione a bassa velocità si procede a centrifugazione a 4000 giri/minuto per 1 ora. Il surnatante viene eliminato e il sedimento viene risospeso in 6 ml di APT, seminati in 3 provette di terreno Cook Meat Medium – CMM (2 ml in ciascuna provetta). Le provette contenenti i brodi seminati vengono pastorizzate a 80°C per 30 minuti e incubate in giare da anaerobiosi a 30°C per 5 giorni. Dopo centrifugazione il surnatante viene sottoposto a filtrazione e dal sedimento viene effettuato esame microscopico utilizzando la colorazione di Gram. Il surnatante viene utilizzato per la valutazione della capacità tossinogenetica del ceppo attraverso prova biologica. effettuate le seguenti analisi: determinazione del pH, rilevando un valore pari a 5.72; determinazione dell’Aw, rilevando un valore pari a 0,947; ricerca tossina botulinica con esito di presenza, cui è seguita tossinotipia con identificazione tossina tipo B; ricerca C. botulinum con esito di presenza di bacilli Gram + e spore in posizione subterminale nel vetrino ottenuto da CMM; veniva confermata la presenza del patogeno attraverso estrazione della tossina dal terreno e rilevazione tramite prova biologica. Il passato di verdure, risultando contaminato da C. botulinum e tossina botulinica di tipo B, è stato riconosciuto come causa del presente episodio di botulismo, confermando la casistica che indica gli alimenti REPFED tra quelli a rischio per la possibile presenza di Clostridium botulinum e relative tossine. I ceppi di Clostridium botulinum isolati nel corso dei casi trattati sono stati inviati al Centro Nazionale di Referenza per il botulismo presso il D.S.P.V.S.A. dell’Istituto Superiore di Sanità. In entrambi gli eventi descritti una corretta gestione dei casi da parte delle autorità sanitarie ha consentito la tempestiva individuazione dell’alimento implicato e l’attivazione del sistema di allerta rapida, evitando la potenziale insorgenza di ulteriori episodi di intossicazione. Lo sviluppo di C. botulinum in alimenti di produzione industriale, tuttavia, riflette la necessità di una più attenta individuazione dei pericoli microbiologici correlati ai processi tecnologici di produzione da parte delle Ditte di trasformazione alimentare. Il trattamento termico di pastorizzazione previsto dal processo produttivo del pestato di carciofi risulta insufficiente a garantire l’eliminazione di eventuali spore presenti nelle materie prime. L’assenza di indicazioni in etichetta che impongano il mantenimento del prodotto a temperatura di refrigerazione e la shelf-life prolungata consentono poi la moltiplicazione di tale patogeno e la produzione di tossina. Anche nel caso del passato di verdure, nonostante siano specificate le modalità di conservazione, la durata della vita commerciale assegnata dalla Ditta produttrice risulta inadeguata. Il Regolamento 2073/2005, infatti, impone la necessità di stabilire il periodo di conservabilità degli alimenti “a condizioni ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione e uso” (5) e non basandosi esclusivamente su valutazioni applicabili in caso di mantenimento del prodotto in situazioni ideali, ma evidentemente inadeguate a livello di comune utilizzo domestico. RISULTATI E DISCUSSIONE Caso 1 In data 22/03/10, in seguito a comunicazione da parte di un Ente Ospedaliero della Lombardia di un caso di sospetto botulismo, viene inviato presso l’IZSLER un campione di sangue del paziente e una confezione aperta di pestato di carciofi in vasetto, alimento potenzialmente implicato. In etichetta sono riportati i seguenti ingredienti: carciofini 66%, olio extra-vergine di oliva, frutta secca, cipolle, spezie, aglio. Nonostante la data di scadenza indicata sia il 30/12/10, il prodotto risulta evidentemente alterato, presentando odore pungente e produzione di gas. Si procede con la ricerca di tossina botulinica da siero del paziente e la contemporanea ricerca di tossina e di C. botulinum dall’alimento, oltre alla determinazione di pH e Aw. Non viene rilevata presenza di tossina dal campione di siero. Il pestato di carciofini presenta valori di pH (5.7) e Aw (0.941) compatibili con la moltiplicazione di C. botulinum e la produzione di tossina. La prova biologica permette di dimostrare la presenza di tossina botulinica nell’alimento. Si procede dunque con la tossinotipia, inoculando 3 coppie di topi (2 soggetti trattati con filtrato crudo + antitossina A, 2 soggetti trattati con filtrato crudo + antitossina B, 2 soggetti trattati con filtrato crudo + antitossina E). Nel contempo viene effettuata la ricerca di C. botulinum nell’alimento, dimostrando la presenza di bacilli Gram + con spora subterminale e deformante il profilo del soma batterico. Si procede quindi con l’estrazione della tossina dal CMM e l’isolamento del ceppo. Il topo trattato con filtrato crudo muore con postura tipica. In seguito a trattamento con antitossina A, B, E ed ABE si ottiene la sopravvivenza dei soggetti trattati con antitossina B ed ABE e la morte dei topi trattati con la A e la E. È possibile quindi tipizzare il Clostridio come produttore di tossina di tipo B. Parallelamente è stato ricercato C. botulinum dalle feci del paziente ottenute in un secondo momento, e ne è stata confermata la presenza. Caso 2 Una confezione di passato di verdure di produzione industriale con sospetta contaminazione da C. botulinum viene inviato presso il Reparto di Microbiologia dell’IZSLER in data 29/03/10. Il campione è stato prelevato dalla casa di un paziente ospedalizzato per sospetto botulismo, che aveva consumato precedentemente all’insorgenza dei sintomi una confezione di passato prodotta dalla stesa Ditta, nonostante risultasse gonfia e presentasse sapore poco gradevole. Il paziente ha dichiarato inoltre di aver conservato il prodotto a temperatura ambiente per ore prima del consumo, nonostante in etichetta fosse specificato di mantenere l’alimento in frigorifero tra 0 e 4°C. Sul campione sono state BIBLIOGRAFIA 1. Peck M. W., (2002). Clostridia and food-borne disease. Microbiology today, 2, p: 9-12. 2. www.epicentro.iss.it 3. Efsa Scientific Opinion: Opinion of the Scientific Panel on biological hazards (BIOHAZ) related to Clostridium spp in foodstuffs. 4. Pflug IJ., (2010). Science, practice, and human errors in controlling Clostridium botulinum in heat-preserved food in hermetic containers, J Food Prot., 73 (5), p: 993-1002. 5. Regolamento CE 2073/2005 della Commissione del 15 Novembre 2005. 116 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PSEUDOMONAS spp IN FIORDILATTE AL DETTAGLIO Bilei S., Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., De Angelis V., Di Domenico I., Palmieri P., Zottola T. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana KEYWORDS: Fior di latte, Pseudomonas, Enterobacteriaceae (VRBGA) rispettivamente. Dopo aver incubato a 30°C per 48 ore il PSA e a 37°C per 24 ore il VRBGA, è stato effettuato il conteggio delle colonie caratteristiche. Le piastre di PSA sono state esaminate anche con la lampada di Wood per evidenziare la possibile fluorescenza delle colonie sospette. Le colonie presunte Pseudomonas spp sono state quindi sottoposte a conferma biochimica mediante il sistema automatizzato VITEK® 2 COMPACT (BioMérieux). ABSTRACT A microbiological investigation was carried on 25 samples of “Fior di Latte” cheese to evaluate their possible contamination. Pseudomonas spp. and Enterobacteriaceae were mainly detected, at different levels of contamination, even not associated with changing of the texture and colour of the cheese. INTRODUZIONE A seguito dell’allerta del 9 giugno 2010 riguardante le c.d. “mozzarelle blu”, sono pervenuti numerosi campioni di fior di latte prelevati dagli organi ufficiali per la ricerca della causa di tale alterazione organolettica. I risultati ottenuti a livello locale e nazionale hanno evidenziato la presenza di batteri appartenenti al genere Pseudomonas alcuni dei quali riconosciuti responsabili della colorazione. Pseudomonas spp si isola spesso da alimenti freschi, con elevata Aw, dal suolo e dall’acqua, che rappresentano il loro habitat originario (2). L’interesse per questo tipo di batteri è dovuto alla loro diffusione nelle acque con conseguente contaminazione ed alterazione degli alimenti, come il latte ma soprattutto i suoi derivati. La maggior parte dei campioni pervenuti alterati e riscontrati contaminati da Pseudomonas, erano prodotti da una ditta tedesca mentre pochi altri sono risultati essere prodotti da importanti ditte italiane. Sulla scorta di quanto emerso si è ritenuto quindi interessante approfondire la conoscenza sulle condizioni igieniche di produzione e di vendita di fior di latte prodotti a livello industriale in Italia e all’estero ed acquistati presso la grande distribuzione. RISULTATI I campioni di fior di latte all’apertura della confezione, non hanno mai presentato alterazioni organolettiche visibili nel colore, consistenza ed odore. Tra i campioni risultati positivi per Pseudomonas, 4 hanno sviluppato una lieve colorazione giallastra accompagnata da fluorescenza, rilevata con la lampada di Wood, nel corso del periodo di conservabilità indicato dal produttore. In tutti questi casi l’unica specie isolata è stata P. fluorescens a titoli variabili tra 103 e 106. Nessun campione ha presentato una colorazione blu. In 16 dei 25 campioni esaminati sono stati rilevati titoli di Pseudomonas da 3,3x103 a 2,6x106 ufc/g. Complessivamente sono stati isolati 10 ceppi di P. fluorescens, 5 di P. putida e 3 di P. aeruginosa. Da 2 campioni sono stati isolati contemporaneamente ceppi di Pseudomonas appartenenti a specie diverse (Tabella 2.). In 16 campioni sono stati rilevate concentrazioni di Enterobatteri da 8,8x102 a 8,7x107 ufc/g di prodotto (Tabella 1.). Categoria MATERIALI E METODI L’indagine è stata condotta nel periodo compreso tra luglio e settembre 2010, su campioni di fiordilatte prodotti con latte bovino coagulato con acido citrico, di pezzatura compresa tra 100 e 250 grammi, confezionati con il loro liquido di governo in buste di plastica termosaldate e con una shelf-life a +4°C, variabile da 3 a 4 settimane. Oltre alle valutazioni microbiologiche, è stata effettuata anche una valutazione di tipo organolettico, particolarmente orientata verso il rilevamento di alterazione del colore, nonché dell’odore e della consistenza. Complessivamente sono stati esaminati 25 campioni di mozzarella, 22 prodotte presso 11 distinti stabilimenti distribuiti sul territorio nazionale e 3 provenienti da 2 stabilimenti siti in Germania diversi da quello oggetto dell’allerta di cui 1 di proprietà di una ditta italiana. Tutte le mozzarelle oggetto dello studio sono state acquistate presso la grande distribuzione durante il loro periodo di shelf life. I campioni sono stati prelevati direttamente dal banco frigo, trasportati in laboratorio con una borsa termica a temperatura di refrigerazione e dopo il prelievo, conservati a temperatura di 3°C +/- 2°C per le successive osservazioni. Su tutti i campioni, analizzati entro 24 ore dall’acquisto, è stata eseguita la numerazione di Pseudomonas spp e la numerazione di Enterobacteriaceae (ISO 21528-2:2004) (4) mediante semina delle sospensioni delle diluizioni seriali fino a 10–5, su piastre di Pseudomonas Selective Agar (PSA) e su Violet Red Bile Glucose Agar <10 10 - 10.000 10.000-100.000 100.000-1.000.000 1.000.000-3.000.000 < 3.000.000 Totale Valore medio ufc/g 881 46.000 336.667 2.050.000 87.333.333 Numero campioni Tabella 1. Numerazione di Enterobacteriaceae 9 7 1 3 2 3 25 DISCUSSIONE I risultati ottenuti da questo primo e limitato studio permettono di affermare che la presenza di Pseudomonas spp non sempre è associata ad una alterazione del colore della superficie esterna del prodotto. Solo 4 campioni contaminati da P. fluorescens, hanno infatti prodotto entro i termine di scadenza, una colorazione gialla accompagnata da fluorescenza mentre per tutti gli altri non sono state osservate alterazioni nonostante le alte cariche batteriche registrate. I titoli medio-alti di carica batterica sia per quanto riguarda Pseudomonas che Enterobatteri, in tutti i 16 campioni risultati contaminati, assumono particolare rilevanza perché ottenuti a partire da analisi eseguite immediatamente dopo l’acquisto del prodotto e lontane dal termine della shelf life indicata dal produttore pur in assenza del riferimento alla data di produzione. 117 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 È accertato quindi che sul tavolo del consumatore possono arrivare prodotti non alterati organoletticamente ma con caratteristiche igieniche non adeguate che possono peggiorare quando tale tipologia di prodotto venga consumata in prossimità della scadenza. È evidente quindi il richiamo ad un maggiore controllo e miglioramento delle condizioni igieniche nell’ambiente lavorativo e delle materie prime impiegate ed in particolare dell’acqua, habitat primario di Pseudomonas spp. attraverso una più puntuale applicazione delle Buone Pratiche di Lavorazione. Per lo stesso motivo sarebbe necessario, intendendo mantenere le medesime caratteristiche produttive fin ad ora adottate, rivedere la durata della shelf life (5) che per questi prodotti industriali appare decisamente elevata. Si presume infatti che i titoli di Pseudomonas e di Enterobacteriaceae rilevati in questo studio in una fase di molto precedente la data di scadenza indicata dal produttore, possano incrementarsi notevolmente soprattutto in caso di interruzione della catena del freddo nel corso delle varie fasi di commercializzazione e di abuso termico in ambito domestico. Nonostante la scarsa probabilità che Pseudomonas possa essere responsabile di modificazioni della salute del consumatore (3), sarebbe auspicabile in presenza di un vuoto normativo sul suo significato tecnologico (1) la definizione di limiti di accettabilità della sua presenza nei prodotti alimentari ed in particolare nei prodotti freschi a base di latte. Tabella 2. Titoli e specie degli Pseudomonas isolati Categoria <100 3 - 10.000 10.000 - 100.000 100.000 - 1.000.000 1.000.000 - 4.000.000 Totale Valore medio ufc/g 3.300 45.500 300.000 2.650.000 Numero campioni 9 7 2 3 4 25 P. fluorescens P. putida 5 3 1 1 2 3 10 BIBLIOGRAFIA 1) Bevilacqua A. et Al. “Significato tecnologico delle Pseudomonadaceae nella mozzarella” - Industrie Alimentari XL (2008) settembre, pag. 855-8605 2) Cantoni C., Bersani C., Dragoni I., Iacumin L., Comi G. “Pseudomonas fluorescenti negli alimenti” - Industrie Alimentari XLII (2003) giugno, pag. 609-612 3) Giaccone Valerio “Pseudomonas e prodotti lattiero-caseari”, Medicina Veterinaria Preventiva suppl. al n. 32, (2010) settembre 4) ISO 21528-2:2004 Microbiologycal of food and animal feeding stuffs – Horizontal methods for the detection and enumeration of Enterobacteriaceae – Part 2: Colony–count method 3 5) Pasquinelli F. “Diagnostica e tecniche di laboratorio” ed. 118 5 P. aeruginosa 1 1 1 3 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ISOLATI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS DA PRODOTTI LATTIERO-CASEARI: OTTIMIZZAZIONE DI UN PROTOCOLLO PFGE. Nogarol C. 1, Bianchi D.M.1, Vencia W.1, Losio M.N.2, Zuccon F. 1 e Decastelli L.1 1 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, Brescia, Italy Keyword:Pseudomonas fluorescens, PFGE, alimenti SUMMARY Since June 2010 a large amount of fresh dairy products with anomalous coloration was reported all over Italian territory. The microbiological analyses showed the presence of high count of Pseudomonas fluorescens, environmental bacterium, able to produce green-blue pigments. Because of the large number and diffusion of these anomalous colorations and in order to investigate the origin of food contamination, a Pulsed-Field Gel Electrophoresis (PFGE) protocol has been optimized in order to characterize at molecular level the isolates. bassa frequenza (1, 2). Per valutare l’efficacia di restrzione è stato utilizzato anche il ceppo di P. fluorescens NCTC 10038. Il protocollo standard per l’estrazione del DNA prevede i seguenti passaggi: dopo isolamento su piastre di CBA (Columbia Agar Sangue) Microbiol®, alcune colonie batteriche vengono stemperate in buffer CBS (100 mMTris-HCl, 100 mMEDTA) fino a raggiungere una determinata densità ottica, la sospensione viene mescolata con egual volume di gel di agarosio al 2% e colata in appositi supporti (mould); dopo solidificazione le “plugs” sono incubate per 2 ore a 55 °C nel tampone di lisi (50 mM Tris-HCl, 50 mM EDTA, pH8 1%, Sarcosyl) proteinasi K 0.1mg/ml; dopo 2 lavaggi di 10’ in acqua demonizzata sterile e 3 lavaggi in buffer TE (10 mM Tris-HCl e 1 mM EDTA pH 8) ciascuna plug viene quindi messa ad incubare overnight nella miscela di restrizione con l’enzima secondo le istruzioni del produttore. Dopo incubazione le plug vengono caricate nel gel di agarosio 1 % (Pused Field Certified Agarose, BioRad) e sottoposti a corsa elettroforetica utilizzando il CHEF Mapper® XA (BioRad). Alcuni parametri sono stati ottimizzati per la messa a punto della metodica come riportato in tabella 1 e tabella 2. INTRODUZIONE Pseudomonas fluorescens è un bacillo Gram-negativo, psicrofilo, asporigeno, prevalentemente di origine ambientale. E’ un microrganismo non inserito tra i patogeni per l’uomo, eccetto per soggetti debilitati o immunodepressi ,a differenza di altre specie (P. Aeruginosa, P. mallei). La sua importanza nel settore alimentare è legata alla capacità di indurre processi alterativi in alimenti refrigerati provocando ingenti danni economici. Infatti numerosi ceppi di P. fluorescens sono in grado di produrre pigmenti di differenti colorazioni (tra cui la pioverdina blu-verde). Ad oggi non sono state riportate in bibliografia episodi di trasmissione per via alimentare. A partire da giugno 2010, in tutta Italia, si sono susseguite numerose segnalazioni relative a casi di alterazioni in prodotti lattiero-caseari (in particolare mozzarelle e formaggi a pasta filata). I prodotti presentavano una colorazione bluastra, più o meno diffusa sulla superficie e limitata a pochi millimetri di profondità. Le analisi sono state mirate all’isolamento del microrganismo responsabile dell’alterazione cromatica. Per meglio caratterizzare epidemiologicamente gli isolati di P. fluorescens sono stati utilizzati protocolli di biologia molecolare che permettessero di confrontare i profili dei ceppi al fine di valutarne similitudini e differenze a livello genomico. Grazie alla attività congiunta dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta con l’IZS della Lombardia ed Emilia Romagna, è stato avviato uno studio per la caratterizzazione molecolare dei ceppi di Pseudomonas fluorescens isolati dagli IIZZSS, basata su 2 metodiche: l’elettroforesi in campo pulsato (PFGE) e la ribotipizzazione. Scopo principale del presente lavoro è descrivere un protocollo ottimizzato di PFGE per ceppi di P. fluorescens isolati da prodotti lattiero caseari a scopo epidemiologico. Tabella 1: Preparazione plug e digestione enzimatica con enzimi di restrizione di ciascuna plug N° Protocollo ed enzimi di restrizione Assorbanza Sospensione Batterica Concentrazione Enzimi e T° di restrizione 0,550 nm 8U/37 °C 1 SpeI SwaI 8U/37 °C 2 SpeI 0,400< OD < 0,500 SwaI 8U/37 °C 8U/25 °C 3 SpeI SwaI 0,400< OD < 0,500 8U-6U-4U-1U/37 °C 8U-6U-4U-1U/25 °C Tabella 2. Parametri per corsa elettroforetica PFGE N° Protocollo ed enzimi di restrizione MATERIALI E METODI I campioni di alimento sono stati sottoposti ad analisi microbiologica per l’isolamento e il conteggio di Pseudomonas spp. mediante metodo ISO/TS 11059:2009 “Milk and milk products – Method for the enumeration of Pseudomonas spp”. Gli isolati batterici sono stati fenotipicamente identificati; i ceppi risultati P. fluorescens sono stati preparati per la caratterizzazione molecolare. Al fine di ottenere due profili di restrizione discriminanti, generati con enzimi con caratteristiche di taglio differenti, sono stati impiegati SpeI, con elevata frequenza di taglio e SwaI con Switch Time e tempo di corsa 1 SpeI 1 sec - 64 sec / 20 ore SwaI 1 sec - 64 sec / 20 ore 2 SpeI 1 sec - 64 sec / 20 ore SwaI 1 sec - 64 sec / 20 ore 3 119 SpeI 1 sec - 25 sec / 22 ore SwaI 1 sec - 25 sec / 22 ore XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RISULTATI Nelle fasi di ottimizzazione sono stati valutati i profili di restrizione ottenuti con i differenti protocolli (Tabelle 1 e 2). Per quanto riguarda l’enzima SpeI, con il protocollo 1 si ottiene una corsa elettroforetica dove i frammenti di restrizione non sono correttamente risolti (Figura 1). L’enzima SwaI, invece, non genera frammenti genomici (dati non mostrati); inoltre le variazioni riportate nel protocollo 2 e 3 (Tabelle 1 e 2) non permettono di ottenere frammenti di restrizione apprezzabili (dati non mostrati). Per quanto riguarda SpeI, invece, la diminuzione della concentrazione batterica consente il bilanciamento della reazione enzimatica di restrizione. Tuttavia il profilo elettroforetico ottenuto appare non sufficientemente risolto a causa dei parametri di corsa (switch time) non adeguati alle caratteristiche dei frammenti generati. Il protocollo 3, ottenuto reimpostando i parametri di corsa (Tabella 2), consente una corretta risoluzione del profilo di restrizione. Inoltre, si ottiene una buona restrizione anche con una concentrazione di enzima pari a 4 U come riportato in figura 2. in questo studio evidenzia come variazioni nei parametri di corsa possano essere determinanti per una risoluzione chiara dei frammenti di restrizione ottenuti. Infatti, per quanto riguarda l’enzima SpeI, utilizzando il protocollo 1 i frammenti di restrizione non sono correttamente risolti e questo potrebbe dipendere dal rapporto sbilanciato tra quantità di DNA estratto e Unità di enzima utilizzato. L’enzima SwaI, invece, non genera frammenti genomici: questo potrebbe essere dovuto ad una alterazione dell’attività enzimatica in seguito ad una temperatura elevata di incubazione (37 °C), infatti in un primo approccio sono stati utilizzati i parametri riportati da Rainey B. et al. (2). Utilizzando i protocolli 2 e 3 è stato possibile ottimizzare tutti i parametri PFGE per ottenere una migliore risoluzione dei frammenti genomici generati. I risultati ottenuti permetteranno di poter eseguire indagini epidemiologiche atte a correlare i ceppi di P. fluorescens isolati in alimenti dai diversi IIZZSS. Inoltre il confronto con altri metodi molecolari, quale il ribotyping, sarà utilizzato per ottenere una tipizzazione molecolare degli isolati. Questo potrebbe consentire, da un lato una valutazione nella filiera produttiva la distribuzione dei diversi ceppi batterici isolati da prodotti lattiero-caseari con colorazioni anomale, dall’altro l’ identificazione di una eventuale fonte comune di contaminazione dei prodotti analizzati. Questo sarà possibile grazie anche alla collaborazione degli altri IIZZSS, all’attività congiunta tra l’IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e l’IZS della Lombardia ed Emilia Romagna e al coordinamento del Direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione. Figura 1.Corsa PFGE con parametri del protocollo 1 con enzima SpeI. BIBLIOGRAFIA 1- Gershman M.D., Kennedy D.J., Noble-Wang J., Kim C., Gullion J., Kacica M., Jensen B., Pascoe N., Saiman L., McHale J., Wilkins M., Schoonmaker-Boopo D., Clayton J., Arduino M., Srinivasan A. Multistate outbreak of Pseudomonas fluorescens bloodstream infection after exposure to contaminated heparinized saline flush prepared by a compounding pharmacy. Clinical Infectious Diseases, 2008, 47: 1372-1379. 2- Rainey P.B., Bailey M.J. and Thompson P. Phenotypic and genotypic diversity of fluorescent pseudomonads isolated from field-grown sugar beet. Microbiology, 1994, 140: 2315-2331. Figura 2. Risultato preliminare di una corsa elettroforetica di ceppi di P. fluorescens isolati da prodotti lattiero-caseari con colorazioni anomale, nella prima e nell’ultima lane P. fluorescens NCTC 10038 DISCUSSIONE L’elettroforesi in campo pulsato consente di poter confrontare il profilo genomico, ottenuto in seguito a restrizione enzimatica, dei ceppi di differente provenienza. Pur essendo tra le metodiche biomolecolari più indaginose in termini di tempo di esecuzione e visualizzazione del risultato, la PFGE rappresenta la tecnica d’elezione per la caratterizzazione molecolare di ceppi batterici. L’analisi dei profili elettroforetici degli isolati batterici utilizzati 120 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 121 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 122 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 POSTERS 123 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 MANGANESE NEI MANGIMI: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO A MICROONDE IN FAAS Abete M.C., Pellegrino M., Tarasco R., Gavinelli S., Palmegiano P, Leogrande M., Fioravanti F., Fasano F., Squadrone S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino Key words: manganese, microwave digestion, validation. BREAD BCR 191; * incertezza del recupero, determinata mediante 18 prove indipendenti su materiale di riferimento certificato BROWN BREAD BCR 191 con l’introduzione dell’incertezza di misura propria del materiale di riferimento certificato; * incertezza dovuta alla pesata, derivante dal rapporto di taratura della bilancia e considerata 2 volte (una per la tara e una per la pesata del campione); * incertezza dovuta ai volumi, derivante dalle tolleranze dichiarate dai produttori della pipetta (considerata 2 volte: soluz. standard e diluizione campione) e del matraccio (considerata 3 volte: soluz. standard, campione ed eventuale diluizione); * incertezza dovuta allo spettrofotometro,derivante dalla variabilità max dichiarata dal produttore; * incertezza dovuta alla curva di calibrazione, contributo delle curve di calibrazione eseguite nelle prove di validazione; * incertezza dovuta al Materiale di Riferimento, incertezza dichiarata della soluzione standard di manganese. INTRODUZIONE Il manganese è il decimo elemento più comune nella crosta terrestre, ed è presente in natura in diversi stati di ossidazione. Viene utilizzato in siderurgia e nella produzione di leghe con alluminio, magnesio, ferro cobalto e rame e nell’industria chimica in vernici, fungicidi, catalizzatori etc. E’ un oligoelemento essenziale, componente di numerosi sistemi enzimatici, ed è fondamentale per la normale struttura del tessuto osseo. L’assunzione con la dieta è molto variabile e dipende soprattutto dall’entità del consumo di alimenti ricchi di tale elemento; l’assorbimento è del 5-10%, in seguito viene trasportato attraverso il sangue a fegato, reni, pancreas e ghiandole endocrine. Il manganese può essere tossico se presente in alte concentrazioni, i sintomi di avvelenamento da manganese sono allucinazioni e amnesie, ma si possono riscontrare anche Parkinson, embolie, bronchiti. Gli effetti del manganese si presentano principalmente nelle vie respiratorie e nel cervello. Per gli animali il manganese è un componente essenziale di oltre trentasei enzimi usati per il metabolismo di carboidrati, proteine e grassi. Gli animali che assumono troppo poco manganese possono avere problemi di sviluppo, di formazione ossea e di riproduzione. Un eccesso di manganese può causare problemi a polmoni, fegato e vascolari, diminuzione della pressione sanguigna, problemi di sviluppo dei feti animali e danni al cervello. Negli alimenti ad uso zootecnico il REG. CE 1334/2003 fissa i limiti massimi consentiti per il manganese, mentre il REG CE 882/2004 prevede che per il controllo ufficiale degli alimenti e dei mangimi si utilizzino metodi validati e accreditati. Il REG CE 152/2009 riporta i metodi ufficiali per le analisi degli oligoelementi nei mangimi e dà facoltà ai laboratori di utilizzare tecniche di preparazione dei campioni differenti purchè ne venga dimostrata la validità rispetto al metodo proposto. Tale regolamento prevede la mineralizzazione dei campioni mediante incenerimento mentre lo sviluppo del metodo e la sua a validazione è’ stato effettuato con mineralizzazione in forno a microonde. RISULTATI La tabella 1 presenta le concentrazioni medie dei due metodi di mineralizzazione e il calcolo del test F derivante dall’analisi della varianza (ANOVA). Tabella 1 – Confronto metodi di mineralizzazione. Metodo Media Recupero (mg/Kg) Dev. St. (mg/Kg) Microonde 18.7 92% 0.408 Via secca 18.9 93% 0.279 Test F F critico 1.153 4.965 Dal confronto tra l’F calcolato e l’F critico si può concludere che, con un livello di confidenza del 95%, le concentrazioni medie dei due metodi non sono significativamente diverse pertanto si può decretare l’equiparabilità delle due tecniche. La tabella 2 riporta i risultati delle prove di recupero effettuate su due materiali di riferimento certificati e sul mangime fortificato (a circa 150 mg/kg). Si precisa che il LOQ indicato nel REG CE 152/2009 è 20 mg/kg. MATERIALI E METODI Sono state effettuate 6 prove processando materiale di riferimento certificato BROWN BREAD BCR 191 (concentrazione di Manganese = 20,3 mg/kg) sia per via secca, sia con forno microonde ad alta pressione per confrontare le due tecniche di mineralizzazione. Per valutare il recupero e la precisione del metodo con mineralizzazione in forno a microonde, sono state eseguite 54 prove suddivise in tre livelli e tre sessioni analitiche utilizzando sia materiale di riferimento certificato PEACH LEAVES SRM1547 (concentrazione di Manganese = 98 mg/kg) e BROWN BREAD BCR 191 (concentrazione di Manganese = 20,3 mg/ kg) sia campioni di mangime positivizzati (concentrazione di Manganese circa 150 mg/kg). Inoltre è stato verificato il campo di misura utilizzando un materiale di riferimento certificato PINE NEEDLES SRM 1575a (concentrazione di Manganese = 488 mg/kg) . L’incertezza di misura è stata calcolata in accordo alla Procedura Gestionale Standard in uso presso l’IZS di Torino e alle Linee guida degli IIZZSS, che prevedono l’identificazione dei contributi all’incertezza di misura ed il loro calcolo di seguito riportati: * incertezza di ripetibilità, determinata mediante 18 prove indipendenti su materiale di riferimento certificato BROWN Tabella 2 – Prove di recupero Sessione n° Conc. Certif./ pos. (mg/ Kg) 1 18.7 0.408 19.8 0.735 3 18.6 0.582 1 95.5 1.601 91.9 1.121 3 93.3 1.353 1 140.6 2.333 146.6 1.067 139.1 3.553 2 2 2 3 124 Conc. Scarto media per tipo Recupero sessione (mg/ per livello (mg/Kg) Kg) 20.3 98 147.2 Recupero totale 93.76% 95.48% 93.17% 94.14% XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 La tabella 3 riporta i risultati delle prove di precisione, ottenuti quantificando ciascuna sessione a fronte di una retta media ottenuta ponendo in ordinata i segnali di assorbanza e in ascissa le concentrazioni nominali, e il calcolo del test F derivante dall’analisi della varianza (ANOVA), dell’RSD% di ripetibilità e riproducibilità (da ANOVA). CONCLUSIONI I riusltati ottenuti mostrano che la mineralizzazione in microonde può essere impiegata come tecnica alternativa all’ incenerimento proposto dal Regolamento CE 152/2009 con notevole risparmio sui tempi di analisi e conseguente possibilità di aumento del numero di campioni processabili e diminuzione dei tempi di attesa per l’utenza. La riferibilità, la rintracciabilità e la confrontabilità delle misure viene assicurata mediante l’utilizzo di materiali di riferimento ed il calcolo dell’incertezza di misura. I dati ottenuti dalle prove di validazione permettono quindi di dichiarare l’idoneità del metodo per gli scopi prefissati in quanto stabiliscono le caratteristiche ed i limiti del metodo stesso. Tabella 3 – Prove di precisione Ses. n° Conc. nomin. (mg/ Kg) 1 2 Conc. media per ses. (mg/Kg) 20.3 20.7 20.5 1 96.4 98 97.0 3 97.6 1 150.9 2 RSD % riprod. Test F F critico 3.88 4.73 0.487 3.682 1.48 2.04 0.891 3.682 1.90 1.98 0.083 3.682 20.9 3 2 RSD % ripet. 147.2 3 150.6 Ricerca realizzata grazie al finanziamento del Ministero della Salute BIBLIOGRAFIA . 1. Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. 2.Regolamento (CE) n. 1334/2003 della Commissione del 25 luglio2003 che modifica le condizioni per l’autorizzazione di una serie di additivi appartenenti al gruppo degli oligoelementi nell’alimentazione degli animali. 3.Regolamento (CE) n. 152/2009 della Commissione del 27 gennaio 2009 che fissa di campionamento e di analisi per i controlli ufficiali degli alimenti per gli animali. 150.3 Dal confronto tra l’F calcolato e l’F critico si può concludere che, per ciascun livello e con un livello di confidenza del 5%, le concentrazioni medie delle tre sessioni non sono significativamente diverse. Gli RSD% di ripetibilità e riproducibilità sono conformi ai requisiti richiesti (limite accettabilità RSD% ripet. 10% ; RSD% riprod. 16%). La tabella 4 riporta i risultati delle prove di verifica del campo di misura SUMMARY We developed a method for the detection of manganese in feeding stuffs by FAAS. by microwave digestion. The validation process was performed according European Regulation 882/2004 considering the following parameters: linearity, LOQ, repeatability and reproducibility, trueness and uncertainty of measurement. The validated method according to these principles is consistent with the requirements of the ISO 17025 and it is suitable for quantitative official analysis. Tabella 4 – Verifica del campo di misura Prove n° Conc. cert. (mg/Kg) Conc. media (mg/Kg) Dev. St. (mg/Kg) Recupero 6 488 462.2 7.053 97.71% Infine la tabella 5 riporta i contributi dell’incertezza di misura e il valore finale dell’incertezza estesa del risultato Tabella 5 – Incertezza di misura COMPONENTE Incertezza relativa di Ripetibilità Contributo 0.00975 Incertezza relativa del Recupero 0.01981 Incertezza relativa Volume (pipetta) 0.00572 Incertezza relativa Volume (matraccio) 0.00170 Incertezza relativa Pesata 0.00014 Incertezza relativa Spettrofotometro 0.00577 Incertezza relativa Curva di calibrazione 0.00403 Incertezza relativa Materiale di Riferimento 0.00150 Somma contributi al quadrato 0.000575 Numero prove ripetibilità 18 Numero prove routine 2 Gradi di libertà effettivi 33 Incertezza composta relativa 0.02397 Fattore di copertura K 2.03 Incertezza estesa relativa del metodo Incertezza estesa relativa del risultato 4.9% 14% 125 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SIEROPREVALENZA DI BRUCELLA SPP IN CINGHIALI CATTURATI DURANTE L’ANNATA VENATORIA 2009/10 NEL SUD DELLA SARDEGNA Addis G.1, Cannata P.1, Liggia S.1, Deidda M.1, Cogoni M.1, Crobeddu S.1, Trincas M.1, Pilo C.1, Liciardi M.1, Aloi D.1, 2, Rolesu S.1, 2 1) Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dip. Diagnostico Territoriale di Cagliari; 2) Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale Key words: sierologia, cinghiali, brucella Tabella 1: Prevalenza sierologiche riscontrate per areale. Abstract Blood samples of wild boars killed during the hunting season were subjected to a serological survey to verify the presence of seropositivity for Brucella spp. using an competitive C-ELISA test. From the results of laboratory tests and georeferencing of the capture sites of wild boar, it was found that there was a widespread seroprevalence in all four macroareas representing areal presence of wild boar hunting land in southern Sardinia. Introduzione Da oltre dieci anni, la Sardegna è riconosciuta territorio ufficialmente indenne da brucellosi bovina e ovi-caprina sostenuta rispettivamente da Brucella abortus e B. melitensis (3). La saltuaria presenza di capi sieropositivi e l’assenza dal 2003 del concomitante isolamento in coltura o evidenziazione mediante PCR di Brucella spp., danno forza ad un ufficiale riconoscimento del raggiungimento dello stato di eradicazione della brucellosi dal territorio. Tuttavia in alcuni allevamenti di suini domestici del sud della Sardegna, si rilevano periodicamente casi di sieropositività e in alcuni capi sieropositivi macellati è stato isolato un ceppo di Brucella spp., successivamente identificata come Brucella suis biovar 2 (2). Poiché oltre alla lepre anche il cinghiale è ritenuto serbatoio di Brucella suis (1, 4), si è voluto verificare la sieroprevalenza nei cinghiale del sud della Sardegna. Areale Campioni esaminati Campioni positivi Prevalenza stimata (95%) Lfi Lfs ArbusFluminimaggiore 233 15 6.44 3.78 10.61 NarcaoVillamassargia 21 0 0 0.44 19.24 Santadi-Teulada Sinnai-Burcei 156 48 10 1 6.41 2.08 3.29 0.11 11.79 12.47 VillasaltoArmungia 82 6 7.32 3.01 15.83 Esterzili-Seui Laconi-Seulo Totale 7 26 573 1 2 35 0.75 7.69 6.11 14.29 1.34 4.35 57.99 26.6 8.48 Discussione La presenza di sieropositività per Brucella spp. evidenzia la diffusione dell’infezione nei cinghiali in tutte le quattro macroaree di caccia considerate (Fig. 1 e Fig. 2). L’accertamento di un focolaio di Brucella suis in allevamenti di suini domestici nel contesto dei territori in cui si è riscontrata sieropositività nei cinghiali selvatici, riggurisce di approfondire le indagini negli allevamenti dei suini domestici nei territori limitrofi, allo scopo di poter confermare se anche in Sardegna il cinghiale possa costituire il principale resevoir selvatico di Brucella suis. Una delle criticità nell’esame sierologico consiste nella possibile cross-reattività di Brucella spp. con altri germi Gram– (1, 4), ma tenuto conto del fatto che le positività sierologiche riscontrate in allevamenti di suini domestici sono state seguite dall’isolamento in coltura di Brucella suis e unitamente alla evidenziazione mediante PCR (2), e che B. suis biovar 1 è stata isolata anche in organi di cinghiale (Ricerca corrente anno 2002 IZS SA 006/02, responsabile Bandino E.), è verosimile ritenere che le positività sierologiche riscontrate in questa indagine siano da attribuirsi ad anticorpi anti-Brucella spp. e non a reattività crociate. Allo scopo di confermare la circolazione di Brucella spp. nella popolazione dei selvatici nei territori oggetto di studio, nel corso delle prossime annate venatorie si prevede di effettuare gli opportuni accertamenti colturali. In considerazione dei risultati che hanno consentito alla Regione Sardegna di ottenere lo status di ufficialmente indenne per la brucellosi bovina e ovicaprina, appare indispensabile lavorare all’obiettivo dell’eradicazione della Brucella suis, alla luce anche dei risultati assolutamente preliminari di questo studio. Un primo obiettivo da raggiungere è l’eliminazione dell’infezione nei suini d’allevamento, ottenibile mediante la promozione della realizzazione di allevamenti controllati razionalmente e la riduzione delle possibilità di contatto con la popolazione selvatica. Materiali e Metodi Durante la stagione venatoria 2009-2010 sono stati raccolti 573 emosieri di cinghiali abbattuti provenienti dal sud della Sardegna. Tali campioni sono stati prelevati al momento dell’abbattimento, raccolti in provetta vacutainer ed inviati al Dipartimento di Cagliari dell’IZS della Sardegna. All’arrivo in laboratorio ogni campione di sangue è stato centrifugato ed il siero ottenuto conservato a – 20°C fino al momento dell’esame. I sieri sono stati saggiati mediante l’utilizzo di un Kit ELISA di tipo competitivo per la ricerca di anticorpi anti-Brucella spp. (SVANOVIR® Brucella-Ab C-ELISA, Svanova biotech AB, Svezia). I campioni in esame sono pervenuti da diverse località di caccia situate in 34 comuni inclusi in 7 areali in cui si svolge normalmente la campagna venatoria per i cinghiali. I Comuni e gli areali di caccia risultano distribuiti uniformemente nel territorio oggetto di studio (Figura 1 e figura 2), gli stessi Comuni ed areali di provenienza dei campioni sono stati raggruppati per comodità in quattro macroaree di estensione territoriale simile (Fig. 2). Risultati Nella popolazione dei cinghiali saggiati è stata stimata per Brucella spp una sieroprevalenza totale pari al 6,11%; sono risultati positivi 35 capi dei 573 esaminati. I soggetti sieropositivi provenivano da 14 comuni distribuiti in tutte le quattro macroaree: la positività sierologica sui campioni esaminati era presente in 6 areali su 7, con percentuali variabili di prevalenza in ciascun areale (Tabella 1, Figura 1 e Figura 2). 126 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 3. Bibliografia 1. 2. AA.VV., OIE Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals 2009 ”PORCINE BRUCELLOSIS “Version adopted by the World Assembly of Delegates of the OIE in May 2009. Alongi C., Spazziani A., Zulato B., Deiana A., Frongia M., Orrù G., Liciardi M. Isolamento di Brucella suis in allevamenti suini della Sardegna. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V., Alghero, 22-24 Ottobre 2008. 4. Decreti Ministeriali del 20 aprile 1998, concernenti la dichiarazione di territorio ufficialmente indenne da tubercolosi bovina e bufalina, da brucellosi bovina e bufalina, da brucellosi ovina e caprina delle province di Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari e della Regione Sardegna. Rapporti Efsa :Porcine brucellosis (Brucella suis) Scientific Opinion of the Panel on Animal Health and Welfare” Question No EFSA-Q-2008-665) Adopted on 5 June 2009 The EFSA Journal (2009) 1144, 2-112 Figura 1 Areali : aree in cui sono presenti i cinghiali e si svolge la campagna venatoria per i cinghiali (Fonte OEVR della Sardegna) Figura 2. Macroaree in cui sono inseriti i Comuni e gli areali di caccia per i cinghiali (Fonte OEVR della Sardegna) Macroaree: territorio in cui sono compresi più areali oggetto indagine sierologica 127 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CONTAMINAZIONE DA PALITOSSINE (PLTXS) IN POPOLAZIONI NATURALI DI MITILI DELLA RIVIERA DEL CONERO DURANTE L’ESTATE 2009 Bacchiocchi S.1, Graziosi T.1, Mengarelli C.2, De Grandis G.2, Moroni M. 2, Principi F.2,Rocchegiani E. 1, Orletti R.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria-Marche Sezione di Ancona (IZSUM)- Via Cupa di Posatora, 3 60100 Ancona 2 Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Marche (ARPAM)- Via Caduti del Lavoro, 40 60131 Ancona keywords: palitossine, Ostreopsis ovata, metodi analitici INTRODUZIONE RISULTATI E DISCUSSIONE Fin dall’estate 2006 l’area prospiciente il promontorio del Monte Conero, che da Ancona arriva fino al porto di Numana, risulta periodicamente interessata dalla presenza di Ostreopsis. ovata (1). E’ ormai noto come le diverse specie di microalghe appartenenti al genere Ostreopsis siano in grado di produrre tossine, nel caso specifico palitossine (PlTXs), molto nocive e spesso letali nei confronti degli organismi bentonici, in grado di accumularsi lungo la catena trofica (10) e di causare sintomi respiratori nell’uomo se inalate con l’aerosol marino (4). Già nel 2006 furono riscontrate positività al test biologico ufficiale per la ricerca di tossine lipofile di tipo polare (MBA DSP Step2) in mitili selvatici prelevati lungo la Riviera del Conero, in concomitanza con la presenza nelle acque di O. Ovata, ad indicare la possibile contaminazione da PlTXs di tali organismi (1). Occorre sottolineare che queste tossine non sono attualmente regolamentate in Europa, né per quanto riguarda le metodologie di analisi, né in relazione ai tenori massimi consentiti nei prodotti della pesca, anche se l’EFSA ha recentemente pubblicato un parere a proposito, suggerendo un limite massimo di 30 µg/kg di parte edibile di mollusco, in considerazione però del solo effetto acuto (3). Scopo di questo lavoro è quello di valutare mediante saggi biologici (mouse test) e funzionali (saggio emolitico) i livelli di contaminazione da PlTXs nelle popolazioni naturali di mitili della Riviera del Conero in presenza della fioritura di O. ovata registrata nell’estate 2009. In Tab. 1 sono riportati i risultati relativi all’analisi del fitoplancton: questi evidenziano la comparsa di O. ovata negli ultimi giorni del mese di Agosto sia nella stazione di Ancona nord che nella stazione di Sirolo sud, pur se con un numero di cellule piuttosto basso; si osserva poi una rapida crescita dei valori fino alla esplosione di una massiccia fioritura, protrattasi fino alla prima decade di Settembre. Successivamente si è potuto osservare un progressivo decremento della presenza dell’alga, fino alla completa scomparsa entro la fine del mese. I risultati relativi ai saggi biologici su topo e al saggio emolitico effettuati sui campioni di mitili evidenziano un massimo di contaminazione da parte delle PlTXs nel periodo compreso tra Settembre e i primi giorni di Ottobre (Tab 2). Inoltre si può osservare come nel corso della fioritura di O. ovata avvenuta nell’estate 2009 i mitili prelevati da banchi naturali della Riviera del Conero abbiano raggiunto livelli di contaminazione da PlTXs superiori al limite proposto dall’EFSA, un dato da valutare accuratamente in vista dell’emanazione di limiti di legge specifici per PlTXs, ma soprattutto nell’ottica della tutela sanitaria del consumatore. Contemporaneamente si è potuto verificare come il MBA PlTXs mostri una buona correlazione con il MBA DSP Step2 in presenza di palitossine, risultando comunque maggiormente specifico, anche se caratterizzato da una importante perdita di analita nelle fasi preparative. L’HNA ha mostrato una buona correlazione con entrambi i saggi biotossicologici e la migliore sensibilità, permettendo tra l’altro una stima semiquantitativa della tossina presente. MATERIALI E METODI Campioni di acqua di fondo e macroalghe sono stati prelevati dall’ Agenzia Regionale Protezione Ambientale Marche (ARPAM) nel periodo agosto – ottobre 2009 presso stazioni collocate in zone sensibili alla presenza di O. ovata. L’ASUR Marche ha invece provveduto a campionare contemporaneamente mitili da 4 punti di prelievo di banchi naturali posizionati lungo il Monte Conero (Fig 1). Sull’acqua di fondo e sulle macroalghe è stata effettuata la conta delle cellule algali. Presso il Centro di Referenza per i Molluschi Bivalvi Vivi (CEREM) è stato eseguito sui campioni di mitili il saggio biotossicologico ufficiale per la determinazione delle tossine lipofile (MBA DSP, Protocollo 2, G.U.R.I., 2002). Tutti i campioni risultati positivi allo Step2 di tale test e alcuni negativi, da utilizzare come controllo, sono stati sottoposti ad analisi con un saggio biotossicologico specifico (MBA PlTXs) e un saggio emolitico (HNA), appositamente messi a punto dal laboratorio per una valutazione di tali metodi e una eventuale conferma della presenza di palitossine. Il saggio biologico specifico per PlTXs testato (9,10,6) prevede una prima estrazione delle tossine da un omogenato di molluschi con metanolo 50% acidificato con acido acetico, rimozione dei componenti lipofili con cloroformio e una successiva estrazione con butanolo, prima dell’inoculo su topo del residuo ottenuto. L’HNA si basa invece sulle proprietà emolitiche possedute dalle PlTXs nei confronti di eritrociti ovini (2), caratteristicamente inibite dall’oubaina (5). Tale saggio ha la caratteristica di essere semiquantitativo. BIBLIOGRAFIA 1-Bacchiocchi S., Graziosi T., Moroni M., De Grandis G., Mengarelli C., Orletti R., 2007. Presence of Ostreopsis and contamination by palytoxin on mussels of the Riviera del Conero (Ancona, Marche, Italy). Atti Simposio Internazionale sulle biotossine marine. Trieste, 27-29 Maggio 2007. 2-Bignami GS, 1993. A rapid and sensitive hemolysis neutralization assay for palytoxins. Toxicon 31 (6), 817-820. 3-EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain (CONTAM); Scientific Opinion on marine biotoxins in shellfish – Palytoxin grou. EFSA Journal 2009; 7(12):1393. [38 pp.]. doi:10.2903/j. efsa.2009.1393. Available online: www.efsa.europa.eu. 4-Grillo C., Melchiorre N., 2005. Il Caso Liguria: azione integrata per il riconoscimento del fenomeno- Aspetti Ambientali- Seminario Internazionale “Ostreopsis: problema per il Mediterraneo?” Genova il 5 dicembre 2005. 5-Habermann E., Chhatwal GS, 1982. Ouabain inhibits the increase due to palytoxin of cation permeability of erythrocytes. Naunyn-Schmiedeberg’s A.of Pharm 319 101-107. 6-Lenoir S., Ten-Hage L., Turquet J., Quod J.P., Bernard C., Hennion M.C., 2004. First evidence of palytoxin analogues from an Ostreopsis mascarenensis (Dinophyceae) benthic bloom in Southwestern Indian Ocean. Journal of Phycology 40 (6), 1042-1051. 7-Penna A., Vila M., Fraga S., Giacobbe M.G., Andreoni F., Riobó P., Vernesi C., 2005. Characterization of Ostreopsis and 128 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Coolia (Dinophyceae) isolates in the western Mediterranean Sea based on morphology, toxicity and internal transcribed spacer 5.8s rDNA sequences. Journal of Phycology 41 (1), 212-225. 8-Rhodes L., Towers N., Briggs L., Munday R. and Adamson J., 2002. Uptake of palytoxin-like compounds by shellfish fed Ostreopsis siamensis (Dinophyceae). New Zealand Journal of Marine and Freshwater Research 36 (3), 631-636. 9-Taniyama S, Arakawa O., Terada M., Nishio S., Takatani T., Mahmud Y., Noguchi T., 2003. Ostreopsis sp., a possible origin of palytoxin (PTX) in parrotfish Scarus ovifrons. Toxicon 42 (1), 29-33 SUMMARY At least by 2006, every summer a massive bloom of benthic dinoflagellate Ostreopsis ovata has occurred on the Conero Riviera (NW Adriatic Sea). Numerous positivities with official DSP mouse test were found on mussels collected in AugustSeptember 2009 in this area connected with algal blooms. Specific mouse bioassay (MBA) and hemolysis neutralization assay (HNA) were performed in order to confirm the presence of PLTXs and to quantify them. Results indicate that all samples contained PLTXs, sometimes at high concentration, representing a serious threat to human health. Fig. 1 – Punti di campionamento Tab. 1 - Concentrazioni di Ostreopsis ovata rilevate nella colonna d’acqua (cell/L) e sulle macrofite (cell/g) lungo la Riviera del Conero. An= Ancona, Sir= Sirolo 24/08/09 28-29/08/09 01-09-09 04-09-09 14-15/09/09 Nome Stazione Cell/L Cell/g Cell/L Cell/g Cell/L Cell/g Cell/L Cell/g Cell/L Cell/g An Nord 7.000 275.000 3,9x106 52.193 1.500 190.906 290.000 91 350 44 An Sud 0 0 37.500 24.057 10.900 12.336 836.000 28.284 200 60 Sir Nord 0 0 115.000 9.252 750.000 55.603 990.000 38.400 840 140 Sir Sud 3.000 57.500 375.000 17.400 646.000 19.124 278.000 22.200 25.000 1.200 Tab. 2 - Risultati delle analisi eseguite per le palitossine su campioni di mitili con i test MBA DSP, MBA PlTXs e il saggio emolitico (HNA) Su sfondo grigio le prove con esito positivo. * Tempi di morte in min. **LOD= Limit Of Detection. Campione MBA DSP n° 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Data prel. 24-08-09 24-08-09 24-08-09 01-09-09 01-09-09 01-09-09 21-09-09 21-09-09 21-09-09 06-10-09 06-10-09 06-10-09 06-10-09 HNA PLTX Provenienza An Nord Sir Nord Sir Sud An Nord An Sud Sir Nord An sud An Nord Sir Sud An Nord An Sud Sir Nord Sir Sud µg/Kg p.e. Step 2 1 ml/topo* 0.5 ml/topo* + + + + + + + + + + + + 40’ 45’ 45’ 50’ vivo 70’ --15’ 10’ ----10’ --- 60’ 60’ 60’ 100’ vivo 200’ --20’ 20’ ----20’ --- 129 17 70 20 240 <LOD** 100 200 160 320 240 160 300 200 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CAMPYLOBACTER TERMOFILI IN ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: 2 ANNI DI MONITORAGGIO IN REGIONE PIEMONTE (2008 - 2009) 1 Barbaro A., 1 Vitale N., 2 Bianchi D.M., 2 Decastelli L., 1 Chiavacci L. 1 2 S.S. Osservatorio Epidemiologico, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino; S.C. Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Key words: Campylobacter , MTA, zoonosi SUMMARY Campylobacter spp. are the most common bacterial cause of infectious intestinal disease (IID) in temperate countries. In order to assure consumer safety monitoring plan are widely present in the European Union. The aim of the study is to analyse two years of monitoring plans of Campylobacter termofili in Piedmont region. In 2008-2009 a total of 1010 samples were analyzed by ISO 10272-1:2006 in order to identify presence of Campylobacter. In 2008 Campylobacter were observed in 12 out of 475 samples (2.5%); 6 Campylobacter termofili were identified. In 2009 campylobacters were observed in 12 out of 535 (2.2%); 10 Campylobacter termofili were identified. Campylobacter spp” a cui segue identificazione di specie. I risultati del piano di monitoraggio per la ricerca di Campylobacter in Piemonte sono stati confrontati con il numero di casi umani registrati dal Centro di Riferimento Regionale per la Sorveglianza, la Prevenzione e il Controllo delle Malattie Trasmesse da Alimenti (MTA) per il periodo considerato. RISULTATI E DISCUSSIONE Nel 2008 sono pervenuti 475 campioni e la presenza di campylobacter è stata rilevata in 12 campioni 2.5% (intervallo di confidenza 95% [IC95%] 1.3%-4.3%). Nel 2009 sono stati analizzati 60 campioni in più rispetto all’anno precedente per un totale di 535 campioni. Il numero di campioni su cui è stata rilevata la presenza di campylobacter è rimasta invariata rispetto all’anno precedente 12 campioni (2.2%; IC95%: 1.2%3.9%). La percentuale di campioni in cui è stata rilevata la presenza di Campylobacter termofili è pressoché costante tra i due anni, come si evince dagli intervalli di confidenza. Le matrici alimentari in cui è stato rilevato sono latte crudo, carni fresche e preparazioni di carni di pollame; i risultati sono riportati nelle tabelle 1 e 2. Nel 2008 dei 12 campylobacter isolati 6 sono risultati C. jejuni mentre i restanti 6 non sono stati identificati. Nel 2009 dei 12 campylobacter isolati ben 10 erano C. jejuni e 2 non identificati. INTRODUZIONE Campylobacter è un agente zoonosico responsabile principalmente di sindromi diarroiche (diarrea del viaggiatore) ma che può determinare in soggetti particolarmente sensibili la sindrome di Guillain-Barrè, una neuropatia immunomediata il cui meccanismo patogenetico è tuttora oggetto di studio e per la quale è praticabile soltanto una terapia di supporto (6). L’infezione nell’uomo può avvenire attraverso diverse fonti, ma gli alimenti di origine animale e vegetale contaminati, se consumati crudi o non adeguatamente cotti rappresentano la principale fonte di malattia (6). L’interesse nei confronti di Campylobacter termofili (C. jejuni, C. coli, C. lari e C. upsaliensis) è aumentato nel corso degli ultimi anni; soprattutto nei Paesi sviluppati dove C. jejuni è considerato la principale causa di gastro-enterite batterica (4,5,7). E’ per questi motivi che dal 2003 è inclusa dall’Unione Europea tra le zoonosi da sottoporre a sorveglianza (Direttiva 2003/99/ CE- allegato I) (3) e che l’autority per la sicurezza alimentare (EFSA) al fine di tutelare la salute del consumatore spinge gli Stati Membri ad attuare dei piani di monitoraggio efficaci. Tuttavia, in Italia non esiste ad oggi un piano di monitoraggio nazionale per la ricerca di Campylobacter termofili negli alimenti di origine animale, per quanto la campilobatteriosi in quanto zoonosi sia soggetta a notifica obbligatoria dal 1990. In Piemonte la ricerca di Campylobacter termofili è prevista nel Piano Regionale Integrato di Sicurezza Alimentare (PRISA) e nel piano di monitoraggio latte crudo al distributore automatico (Intesa Stato Regioni). Per esplorare la situazione epidemiologica piemontese rispetto alla presenza di Campylobacter termofili negli alimenti di origine animale sono stati analizzati i dati relativi a due anni di monitoraggio. Tabella 1: campioni esaminati per la ricerca di Campylobacter termofili per matrice alimentare nel 2008 N. matrice assenza presenza % positivi campioni carni fresche 24 21 3 12,5% latte crudo preparazioni di carne prodotti a base di carne altri alimenti 306 298 8 2,6% 58 57 1 1,7% 72 72 0 0,0% 15 15 0 0,0% totale anno 2008 475 463 12 2,5% In Piemonte presso il Centro di Riferimento Regionale per la Sorveglianza, la Prevenzione e il Controllo delle MTA sono registrati i casi confermati e i casi sospetti da Campylobacter nell’uomo. In generale, un episodio di tossinfezione alimentare è confermato quando l’agente viene isolato in almeno due casi o nell’alimento interessato; altrimenti l’episodio è classificato come sospetto (1,2). In Piemonte nel 2008 sono stati registrati nell’uomo 0 casi confermati e 3 casi sospetti di campilobatteriosi (1). Nel 2009 i casi di malattia confermati sono stati 3; mentre i casi sospetti sono stati 2 (2). L’analisi dei dati ha messo in evidenza un netto divario tra il numero di campioni alimentari positivi per Campylobacter termofili (2,2% nel 2009) e il numero di casi umani registrati dal Centro di Riferimento Regionale per la Sorveglianza la Prevenzione e il Controllo delle MTA (0,1 su 100.000 casi nel MATERIALI E METODI Sono stati analizzati i dati relativi ai campioni esaminati per Campylobacter termofili dal 01/01/2008 al 31/12/2009 in regione Piemonte nell’ambito del PRISA e del piano latte crudo erogato da distributori automatici. Le analisi sono state effettuate con la metodica ISO 102721:2006 “Microbiology of food and animal feeding stuffs – Horizontal method for detection and enumeration of 130 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Bibliografia 1. AAVV (a cura di Magliola R, Di Gioia S, Ferrari P, Rossi MV, Soligon M) (2009) Il Sistema di Sorveglianza dei Focolai Epidemici di Malattie Trasmesse da Alimenti della Regione Piemonte Rapporto 2008 2. AAVV (a cura di Magliola R, Di Gioia S, Ferrari P, Rossi MV, Soligon M) (2010) Il Sistema di Sorveglianza dei Focolai Epidemici di Malattie Trasmesse da Alimenti della Regione Piemonte Rapporto 2009 3. Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003 sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della Decisione 90/424/CEE del Consiglio e che abroga la Direttiva 92/117/CEE del Consiglio. Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. 12/12/2003. L325/25-L325/40. 4. EFSA, The Community Summary Report on trends and sources of zoonoses, zoonotic agents and food-borne outbreaks in the European Union in 2008 5. Horrocks SM, Anderson RC, Nisbet DJ, Ricke SC. (2009) Incidence and ecology of Campylobacter jejuni and coli in animals. Anaerobe. 15:18-25. 6. Humphrey T., O’Brien S., Madsen M. (2007): Campylobacter as zoonotic pathogens: a food production perspective. J. Food Microbiol.; 117:237-257. 7. Murphy C, Carroll C, Jordan KN. (2006). Environmental survival mechanisms of the foodborne pathogen Campylobacter jejuni. J Appl Microbiol. 100: 623-32. 2009). Molteplici sono le ragioni che possono produrre tale differenza, ma sembra in ogni caso molto probabile che vi sia una sottostima della campilobatteriosi umana. E’ noto che negli ospedali l’isolamento di campylobacter non è effettuato in modo sistematico e ciò può sostenere l’ipotesi della sottostima dei casi. Tuttavia, il basso numero di casi umani potrebbe trovare una spiegazione nella corretta abitudine alimentare di consumare previa cottura le carni di pollame e bollitura il latte crudo (Ordinanza 10 dicembre 2008). Tabella 2: campioni esaminati per la ricerca di Campylobacter termofili per matrice alimentare nel 2009 matrice carni fresche latte crudo preparazioni di carne prodotti a base di carne altri alimenti totale anno 2009 N. campioni 23 assenza presenza % positivi 22 1 4.3% 350 340 10 2,9% 64 63 1 1,6% 81 81 0 0,0% 17 17 0 0,0% 535 523 12 2,2% 131 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DIAGNOSI PRE-CLINICA DI PESTE AMERICANA MEDIANTE L’ESAME DEI DETRITI INVERNALI Bassi S.1, Carpana E.2, Carra E.1 , Pongolini S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Via Diena 16, Modena 2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca di Apicoltura e Bachicoltura – Via di Saliceto 80, Bologna Key words: American foulbrood, Winter debris, Paenibacillus larvae SUMMARY An early and indirect identification of Paenibacillus larvae infections in honey bee colony makes possible to act before the onset of clinical symptoms in order to avoid the spreading of the pathogen agent to other colonies. This work provides a contribution in regard to early diagnosis. We have checked if, and in which size, the research of Paenibacillus larvae spores in debris collected in beehive at the end of winter allowed to predict the development of the disease during the season of production. The results obtained are encouraging. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare la correlazione esistente tra la presenza di spore di P. larvae nei detriti invernali di singole colonie e lo sviluppo di casi di PA nel corso della stagione di attività. Inoltre, per semplificare quanto più possibile il procedimento analitico, abbiamo introdotto alcune modifiche ai metodi 100% dei casi. In generale la percentuale delle famiglie colpite aumenta progressivamente nelle diverse classi di grandezza. Si osserva una correlazione positiva tra il numero delle spore rinvenute nei detriti invernali e la probabilità che la malattia si sviluppi nel corso dell’anno. In 5 apiari (A, C, E, G, I) l’esame dei detriti ha identificato l’unica colonia in cui si sarebbe poi manifestata la PA. Negli apiari D ed L si sono avuti invece comportamenti apparentemente non coerenti. In alcune famiglie i cui detriti risultavano negativi o contenevano un basso numero di spore si è sviluppata la malattia mentre in altre famiglie con una carica di spore più alta nei detriti non si è manifestata la malattia nel corso dell’anno. L’analisi delle cause che possono avere determinato tale andamento è allo studio. Nel primo controllo clinico, effettuato ad aprile, sono stati diagnosticati 6 casi di PA (tabella 2). In queste famiglie, con una sola eccezione, il conteggio delle spore nei detriti aveva dato i valori più alti tra tutti quelli riscontrati nel corso della prova. Sembra quindi esistere una certa correlazione tra l’elevato numero di spore nei detriti e la precocità di insorgenza della malattia. Nonostante i dati a disposizione siano ancora esigui e necessitino di essere confermati i primi risultati forniti da questa sperimentazione sono interessanti e indicano che l’argomento merita di essere approfondito. Individuare attraverso l’esame dei detriti invernali il livello di infezione delle colonie, o addirittura poter prevedere con una accettabile approssimazione l’insorgenza o meno della PA nel corso della stagione attiva, consentirebbe di adottare adeguate misure di gestione e di controllo delle colonie descritti (3 – 9) eseguendo l’estrazione delle spore dai detriti per via acquosa. In questa nota vengono presentati i risultati preliminari e parziali di un più ampio lavoro di ricerca che ha come obiettivo lo studio della diagnosi precoce e indiretta della PA. INTRODUZIONE La Peste Americana (PA), sostenuta da Paenibacillus larvae (P.larvae) (6), è la più grave e diffusa malattia batterica delle api. Colpisce esclusivamente le larve e rappresenta a tutt’oggi uno dei principali problemi di patologia apistica nel mondo. Il controllo della PA si basa essenzialmente sull’applicazione di adeguate misure di prevenzione e sulla diagnosi clinica precoce. Tuttavia, per diverse ragioni, la diagnosi è spesso tardiva e con ogni probabilità quando la malattia viene diagnosticata si è già diffusa all’interno dell’apiario o ad altri apiari. Individuare le colonie in cui l’infezione è presente ma non si esprime ancora in forma clinica consente di mettere in atto misure di prevenzione per contrastare l’insorgenza e la diffusione della malattia. Le infezioni subcliniche possono essere svelate ricercando le spore di P.larvae in specifiche matrici che fungono così da indicatori della presenza dell’infezione. Diversi sono gli indicatori utilizzabili (4) in pratica però il miele, prelevato dal nido o dal melario, è quello che viene impiegato con maggior frequenza anche se l’esame delle api adulte consente di identificare un maggior numero di colonie infette (8). Recentemente (9) è stata messa a punto una metodica per la ricerca delle spore di P.larvae nei detriti prelevati sul fondo dell’alveare. Nella Repubblica Ceca l’esame dei detriti viene impiegato per monitorare l’incidenza dell’infezione da P.larvae in vaste aree e per localizzare i focolai di malattia. In caso di positività nei detriti si esegue un’ ispezione dell’apiario per verificare se è in atto la malattia o se l’ infezione è subclinica. Questo consente di eseguire controlli di campo mirati limitando i tempi e i costi che questi comportano. La metodica descritta (9) prevede l’uso del toluene per estrarre le spore dai detriti il ché rende un po’ problematico il suo impiego. Per ovviare a questo inconveniente è stata messa a punto una variante del metodo in cui si utilizza una soluzione acquosa di “Tween 80” , invece del toluene, per sciogliere la componente cerosa presente nei detriti (3). Benché i risultati ottenuti con questo metodo siano soddisfacenti i tempi di esecuzione e alcuni aspetti operativi ne limitano l’ impiego, soprattutto nei casi in cui sia necessario esaminare un numero elevato di campioni. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra il 15 febbraio e il 15 marzo del 2009 sono stati prelevati 123 campioni di detriti da altrettante colonie di 10 apiari delle province di Bologna e Reggio Emilia. I detriti sono stati raccolti sul fondo dell’arnia introducendo un foglio di plastica monouso che veniva lasciato in situ per 20-30 gg. I fogli accuratamente ripiegati e confezionati singolarmente in buste chiuse venivano recapitati al laboratorio e conservati a 2° - 4°C fino al momento dell’esame. Un grammo di detriti veniva trasferito in una provetta da 50 ml, dopo aggiunta di 9 ml di acqua distillata sterile si agitava ma132 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 nualmente ed energicamente la provetta capovolgendola più volte in modo da disgregare quanto più possibile gli agglomerati presenti. La sospensione era quindi trattata in bagnomaria a 90°C per 15 minuti. Al termine si filtrava immediatamente il contenuto su garza sterile trasferendolo, mediante un piccolo imbuto di vetro, in un’altra provetta. Il filtrato era seminato, in volume di 100 µl per piastra, in 5 piastre di MYPGP agar (5) addizionato di acido nalidixico (7) e acido pipemidico (1). Le piastre, incubate a 37°C in atmosfera arricchita con il 10% di CO2 , venivano sottoposte a una prima lettura dopo 5 giorni e a lettura definitiva dopo 10 giorni. Le colonie P.larvae sono state identificate sulla base del caratteristico aspetto e dei tempi di sviluppo delle stesse. In 5 colonie per ogni campione si eseguivano, come prove di conferma, la colorazione di Gram ( bacilli Gram + ) e il test della catalasi (-) e, quando necessario, l’identificazione molecolare in PCR (2). Le famiglie interessate dal prelievo sono state sottoposte mensilmente, dal mese di aprile a quello di ottobre, a un accurato controllo clinico per evidenziare l’insorgenza di lesioni riferibili a PA. cessitino di essere confermati i primi risultati forniti da questa sperimentazione sono interessanti e indicano che l’argomento merita di essere approfondito. Individuare attraverso l’esame dei detriti invernali il livello di infezione delle colonie, o addirittura poter prevedere con una accettabile approssimazione l’insorgenza o meno della PA nel corso della stagione attiva, consentirebbe di adottare adeguate misure di gestione e di controllo delle colonie BIBLIOGRAFIA 1. Alippi A.M. (1995). Detection of Bacillus larvae spores in Argentinian honeys by using a semi-selective medium. Microbiologia 11, 343-350. 2. Bassi S., Carra E., Carpana E., Paganelli G.L., Pongolini S. (2010). A scientific note on the detection of spores of Paenibacillus larvae in naturally and artificially contaminated honey: comparison of cultural and molecular methods. Apidologie 41, 425-427. 3. Bzdil J. (2007). Detection of Paenibacillus larvae spores in the debris and wax of honey bee by the Tween 80 method. Acta Vet. Brno 76, 643–648. 4. de Graaf D.C., Alippi A.M., Brown M., Evans J.D., Feldlaufer M., Gregorc A., Hornitzky M., Pernal S.F., Schuch D.M.T., Titera D., Tomkies V., Ritter W. (2006). Diagnosis of American foulbrood in honey bees: a synthesis and proposed analytical protocols. Lett. Appl. Microbiol. 43, 583–590. 5. Dingmann D.W., Stahly D.P. (1983). Medium promoting sporulation of Bacillus larvae and metabolism of medium components. Appl. Environ. Microbiol. 46, 860–869. 6. Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A., Rauch S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification of Paenibacillus larvae subsp. pulvifaciens and Paenibacillus larvae subsp. larvae as Paenibacillus larvae without subspecies classification. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56, 501-511. 7. Hornitzky M.A.Z., Clark S. (1991). Culture of Bacillus larvae from bulk honey samples for the detection of American foulbrood. J. Apic. Res. 30, 13–16. 8. Nordstro¨m S., Forsgren E., Fries I. (2002). Comparative diagnosis of American foulbrood using samples of adult honey bees and honey. J. Apic. Sci. 46, 5-12. 9. Titera D. and Haklova M. (2003). Detection method of Paenibacillus larvae larvae from beehive winter debris, Apiacta 38, 131–133. RISULTATI Nella tabella 1 vengono riportati i risultati degli esami effettuati. Tra parentesi compare il numero dei casi di PA diagnosticati nelle singole famiglie. I valori ottenuti nel conteggio delle spore sono stati suddivisi per ordine di grandezza in sei classi. Su 123 campioni esaminati 77 sono risultati negativi e 46 positivi con un numero di spore compreso tra 20 e 6.000.000 ufc/g. Le famiglie colpite da PA durante il periodo di osservazione sono state complessivamente 20 con un numero di casi per apiario compreso tra 0 e 5 . Nella tabella 2 per ogni caso di PA diagnosticato è indicata la data della diagnosi e il numero di spore per grammo di detriti invernali. DISCUSSIONE Nelle 77 famiglie in cui i detriti invernali sono risultati negativi per spore di P.larvae solo il 5% ha sviluppato la malattia mentre in quelle con un numero di spore pari o superiore a 100.000 ufc/g la malattia si è manifestata 100% dei casi. In generale la percentuale delle famiglie colpite aumenta progressivamente nelle diverse classi di grandezza. Si osserva una correlazione positiva tra il numero delle spore rinvenute nei detriti invernali e la probabilità che la malattia si sviluppi nel corso dell’anno. In 5 apiari (A, C, E, G, I) l’esame dei detriti ha identificato l’unica colonia in cui si sarebbe poi manifestata la PA. Negli apiari D ed L si sono avuti invece comportamenti apparentemente non coerenti. In alcune famiglie i cui detriti risultavano negativi o contenevano un basso numero di spore si è sviluppata la malattia mentre in altre famiglie con una carica di spore più alta nei detriti non si è manifestata la malattia nel corso dell’anno. L’analisi delle cause che possono avere determinato tale andamento è allo studio. Nel primo controllo clinico, effettuato ad aprile, sono stati diagnosticati 6 casi di PA (tabella 2). In queste famiglie, con una sola eccezione, il conteggio delle spore nei detriti aveva dato i valori più alti tra tutti quelli riscontrati nel corso della prova. Sembra quindi esistere una certa correlazione tra l’elevato numero di spore nei detriti e la precocità di insorgenza della malattia. Nonostante i dati a disposizione siano ancora esigui e ne133 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tabella 1 – Risultati del conteggio delle spore di P.larvae nei detriti invernali e casi di Peste Americana diagnosticati Apiario Conteggio spore: Classi di grandezza (ufc/g) Totale A B C D E F G H I L 10 Negativi (< 20) 2 (0) 3 (0) 13 (0) 19 (2) 7 (0) 11 (0) 3 (0) 3 (0) 9 (0) 7 (2) 77 (4) – 5% 20 – 999 2 (0) 5 (2) 1 (0) 2 (0) 0 1 (0) 6 (0) 7 (3) 0 1 (1) 25 (6) – 24% 1.000 – 9.999 2 (1) 3 (2) 0 0 0 0 0 3 (1) 2 (0) 0 10 (4) - 40 % 10.000 – 99.999 1 (0) 0 1 (1) 0 1 (1) 0 0 0 3 (1) 2 (0) 8 (3) – 37 % 100.000 – 999.999 0 1 (1) 0 0 0 0 0 1 (1) 0 0 2 (2) – 100 % > 1.000.000 0 0 0 0 0 0 1 (1) 0 0 0 1 (1) – 100 % Totale 7 (1) 12 (5) 15 (1) 21 (2) 8 (1) 12 (0) 10 (1) 14 (5) 14 (1) 10 (3) 123 (20) Tabella 2 - Carica di spore nei detriti e data di insorgenza della malattia nelle famiglie con Peste Americana N. Colonia Detriti: ufc/g 1 A 1.520 2 B1 3 PA: Data diagnosi Detriti: ufc/g PA: Data diagnosi N. Colonia 10/08 11 G 6.000.000 17/04 120 22/04 12 H1 20 15/06 B2 322.000 22/04 13 H2 350.000 05/09 4 B3 20 23/08 14 H3 20 05/09 5 B4 2.620 23/08 15 H4 40 04/10 6 B5 9.880 26/09 16 H5 5.000 04/10 7 C 30.000 18/04 17 I 70.000 07/04 8 D1 < 20 05/07 18 L1 < 20 06/07 9 D2 < 20 06/08 19 L2 60 06/07 10 E 26.600 17/04 20 L3 < 20 10/10 134 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RICERCA DELLE SPORE DI Paenibacillus larvae NEL MIELE: VALUTAZIONE DEI RISULTATI OTTENUTI CON DIVERSI PROTOCOLLI DI LAVORO Bassi S.1, Carra E.1, Carpana E.2, Rugna G.1, Pongolini S.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Via Diena 16, Modena 2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca di Apicoltura e Bachicoltura – Via di Saliceto 80, Bologna Key words: American foulbrood, Honey, Paenibacillus larvae SUMMARY Honey produced by Paenibacillus larvae infected honeybee colonies is contaminated by the spores of this bacterium and their detection in honey makes possible an early identification of subclinical infections. Bacterial culture with colony counting and identification of the suspected colonies is the reference method for Paenibacillus larvae spores assessment in honey. A harmonization of the diagnostic techniques for this bacteriological test is favourable. The work provides a contribution in this regard. covata in 5 apiari delle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia. I campioni venivano pre-riscaldati a 50°C per facilitare l’affioramento della cera presente e fluidificare il miele, favorendo così, mediante agitazione, una distribuzione più omogenea delle spore nel campione. Dieci grammi di miele sono stati poi trasferiti in una provetta da 50 ml e diluiti con 10 ml di acqua distillata sterile. Dopo energica e prolungata agitazione il campione veniva trattato in bagnomaria a 85°C – 90°C per 15 minuti (2) per inattivare i contaminanti termosensibili e favorire la germinazione delle spore. Successivamente 3 aliquote da 2 ml venivano trasferite in altrettante microprovette e centrifugate a 3.000 x g , 6.000 x g e 9.000 x g per 30 minuti. Dopo l’eliminazione di 1, 8 ml di surnatante si seminavano i restanti 200 µl in 4 piastre di MYPGP agar (6) addizionato di acido nalidixico (7) e acido pipemidico (1) in volume di 50 µl per piastra. Parallelamente alla semina dei campioni centrifugati si seminavano, con identiche modalità, 200 µl degli stessi campioni non centrifugati. Le piastre, incubate a 37°C in atmosfera arricchita con il 10% di CO2 , erano sottoposte a una prima lettura dopo 5 giorni e a lettura definitiva dopo 10 giorni. Le colonie P.larvae sono state identificate sulla base di prove morfologiche e biochimiche (catalasi) e, quando necessario, mediante identificazione molecolare in PCR (4). Quando un terzo o più della superficie della piastra era invasa da contaminanti la piastra veniva considerata “non leggibile” . INTRODUZIONE La Peste Americana (PA), causata dal batterio sporigeno Gram + Paenibacillus larvae (P.larvae), è la più grave e diffusa malattia batterica della covata. La malattia è presente in tutti i paesi in cui viene allevata Apis mellifera e provoca un consistente danno economico all’attività apistica. Il controllo della PA si basa essenzialmente sull’applicazione di adeguate misure di prevenzione e sulla diagnosi precoce. L’identificazione delle colonie in cui l’infezione è presente in forma sub-clinica consente di prevenire l’insorgenza e la diffusione della malattia. Le infezioni sub-cliniche possono essere svelate utilizzando, come indicatori della presenza dell’infezione, idonee matrici nelle quali si ricercano e si quantificano le spore di P.larvae. Il miele è la matrice impiegata con maggior frequenza, soprattutto per effettuare indagini a scopo di monitoraggio in territori estesi. Non esiste un metodo microbiologico standardizzato per il conteggio delle spore di P.larvae nel miele. Nelle metodiche utilizzate (2, 3, 5, 7, 8) le fasi analitiche sono sostanzialmente le stesse ( - diluizione del campione - trattamento termico - centrifugazione - semina in terreni solidi selettivi - incubazione a 37°C in atmosfera arricchita di CO2 - ), mentre variano, in maniera anche considerevole, alcuni importanti parametri come tempo/temperatura del trattamento termico e tempo/velocità di centrifugazione oppure i terreni colturali impiegati o i tempi di incubazione. Per quanto riguarda la centrifugazione del campione non risulta siano mai state eseguite prove per dimostrare se e in quale misura il risultato finale è influenzato dalle diverse velocità di centrifugazione. Le metodiche utilizzate presentano, a questo riguardo, differenze significative comprendendo sia l’esame di campioni non centrifugati che l’ esame di campioni centrifugati con velocità comprese tra 2.500 x g e 6.000 x g. Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di confrontare, a parità delle altre condizioni, i risultati ottenuti in campioni non centrifugati con quelli di campioni sottoposti a centrifugazione nonché di confrontare i risultati ottenuti con diverse velocità di centrifugazione. RISULTATI I risultati sono riportati nelle tabelle 1, 2, 3 , 4 Nella tabella 1 vengono riassunti i risultati dei 70 campioni esaminati. Nei campioni non centrifugati il numero dei campioni “leggibili” è più alto rispetto a quello dei campioni centrifugati, anche i negativi sono in numero maggiore mentre il numero dei positivi sostanzialmente si equivale. Nei 56 campioni i cui risultati sono “leggibili“ con tutti i protocolli impiegati (tabella 2), si ha, come era lecito attendersi, un maggior numero di positivi tra i campioni centrifugati. I campioni centrifugati che risultano “non leggibili” con una o più delle tre velocità di centrifugazione utilizzate sono in tutto 14, nella tabella 3 vengono riportati i risultati degli stessi campioni esaminati senza centrifugazione. Prendendo in considerazione i risultati dei campioni non centrifugati positivi per spore di P.larvae e confrontandoli con quelli degli stessi campioni centrifugati si evidenzia che il numero medio delle ufc spore/g, nei diversi apiari, è più alto nei campioni non centrifugati (tabella 4). I valori ottenuti sui campioni centrifugati con le tre diverse velocità risultano essere pressoché equivalenti (tabella 4). DISCUSSIONE Con la centrifugazione si concentrano anche le spore delle Bacillacee a rapida crescita presenti nel campione il cui sviluppo può rendere difficile o impossibile la lettura delle piastre. Per tale motivo i campioni centrifugati che risultano “non leggi- MATERIALI E METODI Sono stati esaminati 70 campioni di miele prelevato dai favi di 135 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 bili” sono più numerosi. Esaminando i risultati dei campioni che sono “leggibili” con tutte e quattro le varianti utilizzate si rileva che la centrifugazione, aumentando la sensibilità del metodo, consente di rilevare un maggior numero di campioni positivi perché vengono identificati come positivi anche i campioni con un basso numero di spore (tabella 2). La centrifugazione tuttavia produce, come già detto, sporigeni contaminanti è sempre preferibile esaminare i campioni senza centrifugazione per limitare i problemi conseguenti allo sviluppo della microflora contaminanate. 4. 5. 6. BIBLIOGRAFIA 1. Alippi A.M. (1995). Detection of Bacillus larvae spores in Argentinian honeys by using a semi-selective medium. Microbiologia 11, 343-350. 2. Alippi A.M., Reynaldi F.J., Lo´pez A.C., De Giusti M.R., Aguilar O.M. (2004). Molecular epidemiology of Paenibacillus larvae larvae and incidence of American foulbrood in Argentinian honeys from Buenos Aires province. J. Apic. Res. 43, 135–143. 3. Antu´nez K., D’Alessandro B., Piccini C., Corbella E., Zunino P. (2004). Paenibacillus larvae larvae spores in 7. 8. honey samples from Uruguay: a nationwide survey. J. Invertebr. Pathol. 86, 56–58. Bassi S., Carra E., Carpana E., Paganelli G.L., Pongolini S. (2010). A scientific note on the detection of spores of Paenibacillus larvae in naturally and artificially contaminated honey: comparison of cultural and molecular methods. Apidologie 41, 425-427. de Graaf D.C., Vandekerchove D., Dobbelaere W., Peeters J.E., Jacobs F.J. (2001). Influence of the proximity of American foulbrood cases and apicultural management on the prevalence of Paenibacillus larvae spores in Belgian honey. Apidologie 32, 587–599. Dingmann D.W., Stahly D.P. (1983). Medium promoting sporulation of Bacillus larvae and metabolism of medium components. Appl. Environ. Microbiol. 46, 860–869. Hornitzky M.A.Z., Clark S. (1991). Culture of Bacillus larvae from bulk honey samples for the detection of American foulbrood. J. Apic. Res. 30, 13–16. Ritter W. ( 2003 ). Early detection of American Foulbrood by honey and wax analysis. Apiacta 38, 125–130. Si ringrazia il Sig. Vanni Righetti per la collaborazione tecnica prestata. Tabella 1 – Risultati complessivi dei 70 campioni Metodo Campioni “leggibili” Campioni “non leggibili” Totale Non centrifugato Centrifugazione 3.000 Centrifugazione 6.000 Centrifugazione 9.000 69 ( 47 positivi – 22 negativi ) 1 70 60 ( 50 positivi – 10 negativi ) 58 ( 49 positivi – 9 negativi ) 58 ( 47 positivi – 11 negativi ) 10 12 12 70 70 70 Tabella 2 – Esiti dei campioni “leggibili” con i 4 metodi Tabella 3 – Campioni centrifugati “non leggibili” (n.14) Metodo Campioni positivi Campioni negativi Totale Esito degli stessi campioni non centrifugati Non centrifugato 37 19 56 Centrifugazione 3.000 Centrifugazione 6.000 Centrifugazione 9.000 46 47 45 10 9 11 56 56 56 Non leggibili Negativi Positivi Totale N. 3 (21%) 2 (14%) 9 (64%) 14 Tabella 4 – Numero medio di spore (ufc/g) per apiario Metodo Apiario 1 2 3 4 5 Non centrifugato 5499 51 190 9 470 Centrifugazione 3.000 1975 7 106 2 340 Centrifugazione 6.000 2217 7 105 3 352 Centrifugazione 9.000 2239 8 152 10 354 136 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ETEROGENEITÀ GENETICA DEGLI SMALL RUMINANT LENTIVIRUSES IN ITALIA (1) (2) (3) (1) (2) (3) (1) (1) Bazzucchi M. , Puggioni G. , Brajon G. , Casciari C. , Dei Giudici S. , Taccori S. , Giammarioli M. e Feliziani F. . (1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e Marche, Perugia; (2)Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Sassari; (3)Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana, Firenze (Italy). Key words: analisi filogenetica, lentivirus dei piccoli ruminanti, SUMMARY Small ruminant lentiviruses (SRLVs) are distributed worldwide and cause slow progressive multi-systemic diseases. The nucleotide and amino acid sequences of these viruses are related to the antigenicity and virulence and may affect their persistence and escape from the immune system. The genetic analysis may further help to understand the epidemiology and the phylogenetic relationships of these viruses. It may also be the key to increase the sensitivity of diagnostic tests. The SRLVs are classified into four genetic groups, A-D, based on differences in gag and pol sequences. Furthermore, an highly divergent genotype E has been recently characterized in northern Italy and in Sardinia and comprises two distinct subtypes (E1-E2). In this study, phylogenetic analysis was carried out on sheep, goat and mixed flocks to investigate the heterogeneity of SRLVs from different regions to better understanding the naturally circulating viral strains. The phylogenetic analysis revealed the presence of previously described subtypes A9, B1, B2 and E2. Evidence of new subtypes A10, B3 and E2b, have been described. sono stati scelti, sempre con modalità random, tra quelli afferenti all’IZS Umbria e Marche per analisi di routine, mentre due isolati provenienti dalla Toscana e sette provenienti dalla Sardegna sono stati collezionati nel corso di altre indagini sperimentali. Tutti i campioni sono stati saggiati per verificare la presenza di SRLVs e gli stipiti isolati sono stati sottoposti ad analisi filogenetica. Il DNA totale è stato estratto da cellule infette provenienti dalle varie matrici (buffy coat e latte) utilizzando il kit QIAGEN QIAamp® DNA Mini. Dagli organi infetti invece è stato estratto l’RNA totale, per mezzo del kit QIAGEN RNeasy® Mini. Lo studio di genotipizzazione è stato effettuato sequenziando una porzione del gene gag e parte del gene pol di circa 800 bp, come descritto da Grego e collabortori (7). Il DNA o l’RNA ottenuti sono stati utilizzati in una nested PCR. L’amplicone così ottenuto è stato purificato, quantificato e sequenziato direttamente utilizzando il kit ABI PRISM® Big Dye® Terminator v3.1. in un ABI PRISM 3130 Genetic Analizer (Applied Biosystems). Con le sequenze forward e reverse, prodotte per ciascun isolato in tre esperimenti indipendenti, che hanno mostrato una basecalling elevata, è stata prodotta una sequenza consenso mediante il software Lasergene® del pacchetto DNASTAR. Tutte le sequenze ottenute sono state allineate con sequenze di riferimento presenti in Genbank utilizzando il software Clustal X V.1.83. Il dataset di sequenze è stato quindi analizzato mediante il software BioEdit V.2.1. L’albero filogenetico è stato costruito con il software Mega V. 3.1 utilizzando il metodo di Neighbor-Joining. La validità dell’analisi filogenetica e la robustezza dell’albero è stata determinata effettuando una analisi di bootstrapping su 10.000 replicati. INTRODUZIONE Il virus Visna Maedi (MVV) e il virus dell’Artrite encefalite Caprina (CAEV) sono strettamente correlati ed appartengono al genere lentivirus della famiglia Retroviridae: essi sono responsabili delle infezioni da lentivirus negli ovi-caprini (SRLVs) che, causando malattie a decorso lento e progressivo, possono provocare rilevanti perdite economiche negli allevamenti. Sebbene per lungo tempo l’infezione sia stata considerata specie-specifica, diversi studi hanno dimostrato la trasmissione naturale tra pecore e capre e viceversa e quindi la classificazione basata sullo spettro d’ospite sembra ormai superata (1). Gli SRLVs vengono attualmente classificati in 4 gruppi filogenetici principali: il genotipo A che comprende gli isolati MVV-like, a sua volta suddiviso in diversi sub-genotipi isolati da pecore (A1, A2), da capre (A5, A7) o da entrambe le specie (A3, A4, A6) (2, 3); il genotipo B che comprende isolati CAEV-like, suddiviso in subgenotipi (B1, B2) isolati da entrambe le specie (1, 3); il genotipo C che comprende un isolato norvegese; il genotipo D che comprende isolati identificati in Svizzera e Spagna e recentemente il nuovo genotipo E, identificato in alcune razze caprine italiane (4, 6, 7, ). Recentemente, alcuni autori riportano l’evidenza di un nuovo genotipo E (6) isolato in Sardegna ad ulteriore conferma dell’estrema variabilità genetica di questa popolazione virale. È ormai dimostrato che tale instabilità genetica sarebbe alla base dell’estrema variabilità antigenica degli SRLVs: ciò risulta essere un aspetto molto importante perché tali caratteristiche condizionano negativamente l’affidabilità dei test diagnostici oggi disponibili per il controllo e la sorveglianza dell’infezione. Il presente studio ha analizzato numerosi isolati provenienti da diverse regioni italiane dal punto di vista filogenetico con l’obiettivo di approfondire gli studi già effettuati per meglio comprendere i meccanismi che determinano la variabilità genetica dei SRLVs. MATERIALI E METODI Campioni di sangue e organi sono stati raccolti, con modalità random, in un mattatoio residente in Umbria a cui afferiscono ovini provenienti da diverse regioni italiane; campioni di latte RISULTATI E DISCUSSIONE Tra i campioni analizzati nel presente studio 53 sono stati presi in considerazione per l’analisi filogenetica. Alcuni di questi isolati confermano, in linea generale, i risultati ottenuti da ricerche precedenti collocandosi in genogruppi già descritti (tab. 1). Tab.1: isolati considerati nello studio collocabili in subgenotipi già evidenziati in studi precedenti Specie numero Regione subgenotipo pecora 2 Umbria, Marche A9 capra 5 Umbria, Sardegna, Toscana B1 pecora 2 Piemonte, Umbria B2 capra 2 Sardegna E2 Tre isolati (Umbria) provenienti da un allevamento misto sono collocabili nel sub-genotipo E2, ma mostrano una similarità non superiore all’87% con l’isolato SEUI (Fig.1, Fig.2): per questo motivo sono stati evidenziati come E2b . Trentatre isolati (Umbria), sia caprini che ovini, clusterizzano in un nuovo ed eterogeneo sub-genotipo di seguito indicato come A10 (Fig.1, Fig.2). 137 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Sei isolati (Marche, Sardegna, Umbria), provenienti da entrambe le specie, formano un nuovo cluster separato, indicato come B3, che dimostra una similarità non superiore al 78% con il genotipo A, all’81% con il genotipo B e al 70% con il genotipo E (Fig.1, Fig.2). La disomogeneità della base campionaria di questo studio non consente di esprimere considerazioni definitive riguardo la distribuzione geografica degli stipiti isolati. È comunque interessante notare che il genotipo B2 è stato rilevato nel campione piemontese, mentre i ceppi toscani sono tutti collocabili nel genotipo B1. La dimensione campionaria più numerosa potrebbe spiegare la maggiore variabilità dei ceppi isolati da animali provenienti dalla Sardegna, dalle Marche e, soprattutto dall’Umbria (fig. 1). In conclusione i risultati di questo studio preliminare, confermano l’elevata eterogeneità genetica degli SRLVs circolanti in Italia: anche se questi dati dovranno essere confermati da opportuni approfondimenti, l’evidenza di tre nuovi subgenotipi, (A10, Eb2, B3) si ritiene possa incoraggiare nuove ricerche che dovrebbero essere condotte su una base campionaria rappresentativa di tutto il territorio nazionale. La variabilità genetica dei ceppi isolati, è senz’altro riconducibile alle caratteristiche biologiche e patogenetiche di questi virus, ma è probabilmente legata anche a motivi di tipo epidemiologico: le peculiarità dell’allevamento ovi-caprino, la promiscuità delle greggi e delle specie allevate, unite all’assenza di misure di controllo nei confronti delle infezioni da SRLVs facilitanoi infatti la circolazione di diversi ceppi virali in popolazioni animali anche apparentemente distanti tra loro. Oltre all’assenza di uno specifico piano di controllo è anche opportuno ricordare che sono ancora consolidate alcune pratiche di allevamento, basate sul commercio e la movimentazione dei capi che possono facilitare l’introduzione dell’infezione in allevamenti indenni o di nuovi ceppi in allevamenti già infetti. Una migliore conoscenza delle sequenze nucleotidiche e amminoacidiche degli SRLVs provenienti da diverse aree geografiche e studi sull’evoluzione molecolare del virus possono aiutare ad aumentare la sensibilità e la specificità delle tecniche di diagnostica molecolare e sierologica. Fig. 1: Albero filogenetico costruito sulle sequenze della regione gag-pol (720nt) con il metodo di Neighbour-joining (il valore di bootstrap è stato calcolato su 10000 replicati). BIBLIOGRAFIA 1. G. Pisoni, A. Quasso and P. Moroni, Phylogenetic analysis of smallruminant lentivirus subtype B1 in mixed flocks: evidence for natural transmission from goats to sheep, Virology 339 (2005), pp. 147– 152. 2. C. Shah, J. Boni, J.B. Huder, H.R. Vogt, J. Muhlherr, R. Zanoni, R. Miserez, H. Lutz and J. Schupbacha, Phylogenetic analysis and reclassification of caprine and ovine lentiviruses based on 104 new isolates: evidence for regular sheep-to-goat transmission and worldwide propagation through livestock trade, Virology 319 (2004), pp. 12–26 3. C. Shah, J.B. Huder, J. Boni, M. Schonmann, J. Muhlherr, H. Lutz and J. Schupbach, Direct evidence for natural transmission of smallruminant lentiviruses of subtype A4 from goats to sheep and vice versa, J. Virol. 78 (2004), pp. 7518–7522. 4. E. Peterhans, T. Greenland, J. Badiola, G. Harkiss, G. Bertoni, B. Amorena, M. Eliaszewicz, R.A. Juste, R. Krassnig, J.P. Lafont, P. Lenihan, G. Petursson, G. Pritchard, J. Thorley, C. Vitu, J.F. Mornex and M. Pepin, Routes of transmission and consequences of small ruminant lentiviruses (SRLVs) infection and eradication schemes, Vet. Res. 35 (2004), pp. 257–274 5. D. de Andrei, D. Klein, N.J. Watt, E. Berriatua, S. Torsteinsdottir, B.A. Blacklaws and G.D. Harkiss, Diagnostic tests for small ruminant lentiviruses, Vet. Microbiol. 107 (2005), pp. 49–62. View Record in Scopus | Cited By in Scopus (9) 6. Reina R., Bertolotti L., Dei Giudici S., Puggioni G., Ponti N., Profiti M., Patta C., Rosati S. Small Ruminant Lentivirus genotype E is widespread in Sarda Goat. Vet Microbiol. 2010 Jul 29;144(1-2):2431 7. E. Grego, L. Bertolotti. A. Quasso, M. Profiti, D. Lacerenza, D. Muz, S. Rosati. Genetic characterization of small ruminant lentivirus in Italian mixed flocks: evidence for a novel genotype circulating in a local goat population. J Gen Virol 2007 Dec; 88(Pt 12):3423-7 È ipotizzabile che l’evidenza di nuovi sub-genotipi A10, B3 ed E2b rilevata in questo studio possa essere attribuita a possibili fenomeni di ricombinazione virale che potrebbero essere favoriti da condizioni di allevamenti misto: ulteriori approfondimenti sono comunque necessari per individuare con certezza i fattori che condizionano la variabilità molecolare del virus. Fig. 2: distribuzione geografica degli ceppi di SRLVs utilizzati nell’analisi filogenetica Studio realizzato con i fondi del Ministero della Salute (DL 502/92, art. 12), RF 2006 IZS 369400 (DIAG-NOVA). 138 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PANCITOPENIA NEONATALE DEL BOVINO (BLEEDING CALF SINDROME) E DIARREA VIRALE BOVINA IN FORMA TROMBOCITOPENICA IN VITELLI DI RAZZA PIEMONTESE Bergagna S., Varello K., Grattarola C., Rossi F., Saragaglia C., Bozzetta E., Dondo A., Zoppi S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Keywords: BVDV II – Bleeding calf syndrome - piedmont breed Introduzione Bovine Viral Diarrhoea Virus (BVDV), responsabile del complesso Diarrea Virale Bovina (BVD)/Malattia delle Mucose (MD), appartiene al genere Pestivirus e può essere presente, in natura, sotto due diverse forme biotipiche: virus citopatogeno e virus non citopatogeno, entrambi in grado di determinare la diarrea virale bovina. Grazie ad indagini di genetica molecolare, si è giunti alla distinzione degli stipiti classici, indicati come BVDV tipo I, da quelli trombocitopenici, indicati come BVDV tipo II. In condizioni di campo, le infezioni causate dal BVDV tipo I sono generalmente subcliniche, soprattutto nei soggetti adulti, tuttavia possono manifestarsi con un infezione transitoria acuta caratterizzata clinicamente da febbre, diarrea, alta morbilità e bassa mortalità. Invece, le infezioni sostenute dal BVDV tipo II causano sindromi emorragiche, accompagnate da marcata trombocitopenia, in bovini di qualsiasi età, e forme iperacute con elevata percentuale di morbilità e mortalità. La malattia ha oggi raggiunto una diffusione mondiale, è presente, infatti, in tutti i Paesi dove è praticato l’allevamento dei bovini (2). L’intervento con presidi immunizzanti specifici è considerato una strategia efficace a contenere i danni derivanti dall’azione del BVDV, limitandone nel contempo la diffusione e la circolazione tra gli animali. Il controllo medico dell’infezione da BVDV è volto al raggiungimento di uno stato immunitario permanente di allevamento e soprattutto del gruppo dei riproduttori (1,5). Attualmente, sul mercato sono disponibili numerosi vaccini monovalenti, bivalenti o polivalenti efficaci contro il BVDV, prodotti da diverse ditte farmaceutiche. La profilassi immunizzante presenta aspetti diversi a seconda che si ricorra a vaccini costituiti da virus attenuato o inattivato. I vaccini vivi contengono ceppi di virus più o meno attenuati nella loro virulenza e che replicano nell’ospite. La comparsa della risposta immune è rapida e nel giro di 2-3 settimane nel siero dell’animale sono rilevabili anticorpi ad attività neutralizzante. La durata degli anticorpi nel siero dell’animale è simile a quanto osservato in condizioni d’infezione naturale, comunque alti titoli anticorpali persistono oltre un anno dalla vaccinazione. Tradizionalmente, i vaccini vivi attenuati, utilizzati principalmente nei soggetti all’ingrasso, sono considerati non esenti da rischi, infatti sono stati segnalati incidenti legati alla trasmissione del virus vaccinale al feto e anche la comparsa di stati immunodepressivi e di casi di malattia delle mucose. I vaccini inattivati sono costituiti da stipiti virali CP e NCP cresciuti ad alto titolo e poi resi non infettanti, generalmente con trattamenti chimici. Tali vaccini inattivati pur essendo dotati di elevata innocuità, possono causare reazioni infiammatorie locali post-vaccinazione e sporadici casi di anafilassi e calo della produzione di lattea. Recentemente, casi di pancitopenia neonatale del bovino (BNP) sono stati messi in relazione con l’uso di vaccino inattivato. La BNP è una patologia sporadica emergente nei vitelli riconosciuta solo di recente e segnalata in molti paesi europei, inclusa l’Italia (3,4). La causa è ancora sconosciuta e non si esclude eziologia multifattoriale. BNP si manifesta nei vitelli entro le quattro settimane di vita e, nella maggioranza dei casi, in seguito all’assunzione di colostro dalla madre. Il quadro clinico predominante e caratteristico include emorragie a carico della cute, del sottocute, dei muscoli e dei parenchimi, petecchie sulle mucose, con fenomeni di melena e tendenza al sanguinamento da ferite ed orifizi. Scopo del lavoro è stabilire la causa della morte di due casi di BNP correlata all’immunizzazione con vaccino inattivato nelle madri e confrontare tali quadri anatomo-istopatologici con quello riscontrato in un caso di BVD tipo II in vitelli di razza piemontese. Materiali e metodi Sono stati studiati tre casi clinici (caso 1, 2, 3) di vitelli pervenuti presso la sede di Torino dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta per l’esecuzione dell’esame anatomo-patologico. Come di consueto sono state raccolte informazioni anamnestiche relative all’allevamento d’origine, alle pratiche di vaccinazione e allo stato sanitario e sono stati eseguiti i seguenti protocolli diagnostici di approfondimento. Esame batteriologico – A partire da differenti organi (fegato, milza, polmone e midollo osseo) sono state eseguite colture primarie. In base alle caratteristiche di crescita, in caso di sospetta presenza di germi patogeni, le colonie sono state sottoposte a procedure d’identificazione. L’esame specifico per l’isolamento di Salmonella spp. è stato eseguito di routine in particolare dal fegato, utilizzando la metodica basata sulla norma ISO 6579:2002 e sul Manual of Diagnostics Tests and Vaccines dell’OIE. Esame virologico - La matrice milza è stata analizzata con un test ELISA sandwich (HERD CHECK BVDV Ab/Leukocytes – IDEXX) per la ricerca dell’antigene del BVDV. Esame istologico - Porzioni di organi sono state fissate in formalina tamponata al 4% e sottoposte alle procedure standard d’inclusione in paraffina. Si è poi proceduto al taglio al microtomo di sezioni di 4±2μ di spessore. e colorazione con ematossilina-eosina (EE). I preparati istologici sono stati esaminati al microscopio ottico ad ingrandimenti crescenti (4x, 10x, 20x, 40x). Risultati CASO 1/2009 riferito a BNP– L’anamnesi riportava l’insorgenza improvvisa con rapido exitus su due vitelli di circa una settimana di età di razza piemontese. Entrambi i soggetti presentavano diatesi emorragica con fuoriuscita di sangue non coagulato dagli orifizi, da ferite o siti d’iniezione. Le vacche presenti in allevamento erano state precedentemente vaccinate con vaccino inattivato. Esame anatomo-patologico – All’apertura della carcassa, si evidenziavano anemia delle masse muscolari in tutti i distretti anatomici. A livello intestinale si osservava la presenza di entero-tiflocolite emorragica e la sierosa viscerale appariva diffusamente costellata da spandimenti emorragici. Si rinveniva inoltre nel lume intestinale un agglomerato compatto di mucosa intestinale mista a sangue e feci. A livello abomasale, la sierosa viscerale appariva anemica e in trasparenza si osservava contenuto liquido di colore normale. La sierosa viscerale ruminale appariva uniformemente pallida con presenza di soffusioni estese a livello della giunzione fra sacco dorsale e ventrale. Il contenuto ruminale non presentava alterazioni di colore. All’apertura del sacco pericardico si osservano emorragie diffuse a livello epicardico. Al taglio, le emorragie interessavano sia il 139 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 miocardio che l’endocardio. Esame istologico – All’esame microscopico si poteva osservare quadro emorragico grave generalizzato diffuso con lesioni più evidenti a livello cardiaco, intestinale e linfonodale. Il cuore presentava diffuse emorragie sub endocardiche e miocardiche. A livello intestinale era presente grave e diffusa enterite emorragica transmurale. I linfonodi si presentavano gravemente depleti con emorragie multiple a livello del tessuto adiposo e connettivo peri-linfonodale e trombosi vasale. Foci emorragici erano inoltre presenti a livello polmonare e splenico. Si potevano inoltre osservare foci di degenerazione torbida degli epatociti. CASO 2/2010 riferito a BVDV tipo II – L’anamnesi riportava la morte improvvisa di un vitello di razza piemontese femmina di età di circa 4 mesi. Esame anatomo-patologico – All’apertura della carcassa subitterica si rilevavano estese soffusioni a livello della muscolatura scheletrica superficiale e profonda con diffuse petecchie anche a carico delle sierose peritoneali. A livello renale presenza di glomerulonefrite acuta e di sangue nelle urine. Il parenchima epatico presentava fenomeni degenerativi. In sede toracica si osservava broncopolmonite catarrale subacuta bilaterale apicale e media e all’apertura del sacco pericardico si evidenziavano emorragie diffuse a livello epicardico. Esame istologico – All’esame microscopico si poteva osservare un quadro generale di stasi ematica ed emorragie diffuse evidenti soprattutto a livello polmonare, cardiaco, splenico ed intestinale. Il polmone presentava una broncopolmonite cronica diffusa associata a presenza di globuli rossi e fibrina all’interno degli alveoli ed il cuore foci emorragici sub epicardici. A livello intestinale era presente diffusa enterite linfoplasmacellulare con presenza di materiale di desquamazione, fibrina e globuli rossi all’interno del lume intestinale. La milza presentava splenite emorragica diffusa. Si poteva inoltre osservare lieve colangioepatite cronica multifocale associata a foci di necrosi centrolobulare. CASO 3/2010 riferito a BNP– L’anamnesi riportava l’insorgenza della sintomatologia riferibile a sindrome emorragica dopo due giorni dalla nascita. Il vitello, di razza meticcio-piemontese, presentava croste cutanee con facile tendenza al sanguinamento e diarrea emorragico. L’animale era stato immediatamente sottoposto a terapia intensiva con vitamina K, mantenendo inalterato l’appetito e la vitalità fino alla morte sopraggiunta nell’arco di cinque giorni. La madre era stata vaccinata al 4° mese di gestazione con vaccino inattivato. Esame anatomo-patologico – Esiti di sanguinamento profuso per lesioni di modica entità erano presenti a livelli cutaneo in differenti distretti anatomici. Le mucose apparenti erano marcatamente anemiche e presentavano emorragie puntiformi. Emorragie profuse e spandimenti erano evidenti a livello della regione interscapolare in corrispondenza del sito di inoculo di un precedente trattamento farmacologico e a livello di altri distretti muscolari (dorso, arti, torace). All’apertura della cassa toracica, si osservava pallore diffuso del parenchima polmonare. Il miocardio, diffusamente pallido, era costellato di petecchie. La pleura parietale presentava soffusioni e spandimenti emorragici. Era inoltre evidente un modesto spandimento emorragico a livello della parete del IV stomaco. Esame istologico – All’esame microscopico si poteva osservare grave quadro emorragico generalizzato diffuso con lesioni più evidenti a livello cardiaco e muscolare. Il cuore presentava foci emorragici sub endocardici e miocardici associati a miocardite subacuta multifocale. A livello muscolare era presente grave miosite multifocale associata a foci emorragici. Foci emorragici erano inoltre presenti nel polmone a livello subpleurico e nella milza a livello subserosale. Discussione Recentemente, sono stati messi in atto provvedimenti di sospensione volontaria e temporanea della vendita di un vaccino inattivato, utilizzato in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea. Questa misura di natura transitoria è stata adottata quale intervento precauzionale per valutare il possibile coinvolgimento di questo vaccino nell’insorgenza della BNP. Attualmente sono poche e frammentarie le conoscenze su questa patologia emergente. Inoltre, non è ancora stato definito un quadro patologico attribuibile a BNP e pertanto, la distinzione di questi casi da altre patologie a carattere emorragico viene fatta esclusivamente sulla base di pochi e specifici criteri anamnestici e clinici. Nei due casi da noi descritti, infatti, erano presenti queste caratteristiche: la vaccinazione delle madri nei primi mesi di gravidanza con il vaccino inattivato sottoposto a sospensione volontaria e la presenza di sanguinamenti spontanei a livello cutaneo. Il caso, riferibile invece ad infezione da BVDV tipo II, si discostava dagli altri due per il periodo di insorgenza dei sintomi e l’età più avanzata dell’animale. Dal punto di vista anatomo-patologico, tutti e tre i quadri erano sovrapponibili, mentre i reperti istopatologici erano in linea con quanto riportato in bibliografia (4), relativamente al riscontro di deplezione linfoide a livello linfonodale, emorragie a livello cardiaco, splenico e flogosi a carattere emorragico a carico di vari distretti dell’apparato gastro-enterico. Tuttavia, a causa del numero limitato di casi osservati, non si possono ancora definire con certezza lesioni patognomoniche riferibili a BNP e distinguibili da BVD in forma trombocitopenica. I case reports descritti rappresentano la prima segnalazione di BNP in Piemonte e in particolare su bovini di razza piemontese. Bibliografia 1. Bitsch V., Ronsholt L., 1995. Control of bovine viral diarrea virus infections without vaccines. Veterinary Clinical of North America: food animal practice 11 (3), 627-640. 2. Ciulli S., 2001. Diarrea virale bovina/Malattia delle mucose Una patologia in continua evoluzione. Il progresso veterinario 5, 233-238. 3. Dabak M, Karapinar T, Gulacti I, Bulut H, Kizil O, Aydin S., 2007. Hemorrhagic syndrome-like disease in calves with bovine viral diarrhea and mucosal disease complex. J Vet Intern Med. 2007 MayJun;21(3):514-8. 4. Kappe E.C., Halamiz M.Y., , Schade B., Michaela Alex M., Hoffmann D., Gangl A., Meyer K., Dekant W., Schwarz B.A., Johne R., Buitkamp J., Böttcher J., Müller H., 2010. Bone marrow depletion with haemorrhagic diathesis in calves in Germany: Characterization of the disease and preliminary investigations on its aetiology. Berliner und Münchener Tierärztliche Wochenschrift 123 (1/2): 31–41. 5. Van Oirschot J.T., Bruschke C.J.M., VAN RIJN P.A., 1999. Vaccination of cattle against bovine viral diarrhoea. Veterinary Microbiology 64 (23), 169-183. Abstract Recently, a disease, resulting in unexplained bleeding from the skin, nares, mouth, rectum or injection sites and ear tags was diagnosed in less than 3 weeks old calves. It was reported in both dairy and beef herds and similar cases were described in mainland Europe (England, Scotland, Belgium, Germany, Netherlands). Here we describe two episodes of bovine neonatal pancytopenia (or bleeding calf syndrome) comparing with a case of BVDV type II infection. This is the first BNP report in Piedmont Region regarding piedmont-breed calves. 140 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE COMPARATIVA DI REAL-TIME PCR E PCR END-POINT PER LA RICERCA DI VTEC (VEROTOXIN ESCHERICHIA COLI) IN MATRICI ALIMENTARI Berta V., Bertasi B., Botrugno R., Ferrari M., Coffinardi F. Daminelli P., Losio M.N Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologia Acidi Nucleici Applicata Agli Alimenti, Brescia Key words: VTEC, Escherichia coli, multiplex SUMMARY One of the main human and warm-blooded animals species of microbic intestinal flora is Escherichia coli. There are some pathogen strain, like EHEC (Enterohemorrhagic Escherichia coli) among which the most important is serotype O157:H7, known also as VTEC (Verotoxin Escherichia coli). The main source of these bacteria is gastric-intestinal tract of ruminants (cattle and buffalo). The pathogen transmission is oro-fecal type. In food industry, the main danger is caused by the contact between food and feces, for example meat during slaughtering and milk during milking. To find VTEC in food is used multiplexPCR as molecular biology method. Recently Real-time PCR method is supplanting the traditional PCR end-point. The aim of this work has been the creation of a multiplex Real-time PCR and the following comparison to multiplex PCR end-point. Per quanto riguarda il settore alimentare, il pericolo maggiore di contaminazione è rappresentato dal contatto delle feci con la matrice alimentare; esempi tipici di fonti di contaminazione sono il latte durante la fase di mungitura e la carne al momento della macellazione. Gli alimenti contaminati (carne macinata, latte crudo, insaccati stagionati, ortaggi) rappresentano il principale veicolo d’infezione nell’uomo. La sintomatologia principale è rappresentata dalla diarrea non specifica che, nei casi più gravi, può portare alla CE (colite emorragica), alla SEU (sindrome emolitico-uremica) e alla TTP(porpora trombocitopenia).(6) Dal punto di vista della sicurezza alimentare e di una corretta analisi del rischio, risulta necessario valutare la presenza di ceppi di Escherichia coli patogeni all’interno degli alimenti. Tale valutazione dovrebbe essere imprescindibile dalla ricerca diretta dei fattori di patogenicità, rappresentati ad esempio dai geni codificanti VT e proteine di adesività . Le metodiche di biologia molecolare possono essere applicate come sistema di screening dei VTEC per le loro caratteristiche di sensibilità, di specificità e di rapidità. A tal proposito, le reazioni di PCR-multiplex permettono di ottenere più informazioni, essendo in grado di identificare nella medesima reazione più di un target contemporaneamente (5). In tempi recenti la metodica della real-time PCR sta lentamente soppiantando le tradizionali metodiche di PCR end-point per diverse motivazioni tra le quali: la maggior rapidità, sensibilità, valutazione del risultato in fase di svolgimento della reazione, limitazione di fasi manuali etc. In relazione a quanto descritto, obbiettivo del presente lavoro è stato la messa a punto di una metodica di real-time PCR e la successiva comparazione di questa metodica con la PCR endpoint utilizzata per la medesima determinazione. INTRODUZIONE Escherichia coli è una delle specie principali di batteri inclusa nella flora microbica intestinale dell’uomo e degli animali a sangue caldo. Nella maggior parte dei casi non provoca malattie ed è da sempre considerato indice di contaminazione fecale dell’acqua e degli alimenti. Esistono comunque nell’ambito della specie alcuni ceppi patogeni; tra questi assumono particolare importanza, dal punto di vista diagnostico e della sicurezza alimentare, i ceppi enteroemorragici (EHEC Enterohemorrhagic Escherichia coli), il cui rappresentante principale è il sierotipo O157:H7 (1). Le proprietà patogene di questi ceppi sono legate alla capacità di produzione d’intimina e di tossine Shiga-like. Queste ultime sono esotossine simili a quelle sintetizzate da Shigella dysenteriae 1, codificate dai geni STX 1, STX 2 (Shiga –like toxins). Le tossine Shiga-like sono chiamate anche verocitotossine perché in grado di dare effetto citotossico in cellule VERO. L’intimina invece, è coinvolta nel processo di adesione del batterio alla mucosa intestinale durante la fase d’infezione ed è codificata dal gene eae (4). In base a queste caratteristiche, gli EHEC possono essere indicati con l’acronimo STEC (Shiga-like toxin Escherichia coli) o VTEC (Verotoxin Escherichia coli). All’interno del gruppo dei VTEC, gli EHEC rappresentano i ceppi che, oltre alla capacità di produrre le VT, sono in grado di determinare lesioni alle cellule epiteliali intestinali grazie al fenomeno attaching/effacing (A/E, Adesione-distruzione) ovvero l’adesione del batterio alle cellule e conseguente distruzione dei microvilli intestinali (3). Come già accennato, la capacità di adesione è dovuta alla presenza della proteina intimina sintetizzata a partire dalla sequenza genica denominata eae. La patogenicità maggiore è in generale associata a quei microrganismi che presentano sia capacità di adesione sia capacità di produrre le tossine poiché aderendo all’epitelio intestinale sono in grado di resistere ai movimenti peristaltici ed esplicare l’azione patogena direttamente a contatto con le cellule ospiti; in realtà esistono anche casi in cui è meno probabile che insorga la patologia, per la presenza di batteri in grado di produrre tossine, ma non di aderire alla parete intestinale. Il serbatoio naturale principale di questi batteri è tratto gastro-intestinale dei ruminanti, in particolare dei bovini e bufalini. La trasmissione dei VTEC avviene mediante il circuito oro-fecale. MATERIALI E METODI I primers sono diretti verso i medesimi geni target della real-time ma presentano sequenze differenti dagli stessi. Per effettuare il confronto fra le 2 metodiche sono stati analizzati n. 452 campioni rappresentati soprattutto da prodotti caseari e, in misura minore, da prodotti a base di carne e tamponi ambientali. La messa a punto della real-time PCR multiplex è stata effettuata utilizzando e combinando le seguenti variabili: Tabella 1: variabili per la messa a punto della real-time PCR Numero cicli Conc. Primers (µM) Conc. Sonde (µM) Volume finale di reazione Strumenti 141 40 45 0.3 0.9 0.1 1.8 25 50 A.B. StepOne Realtime PCR A.B.7300 Real-time PCR 1.5 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 I primers utilizzati per la reazione hanno come target STX 1, STX2 ed eae; il profilo termico selezionato alla fine delle prove è stato il seguente: denaturazione iniziale a 50°C per 2 min seguito da 45 cicli di 95°C per 10 sec, 95°C per 15sec,60°C per 1min. Le sequenze geniche dei primers e delle sonde utilizzate, provenienti dal centro di riferimento comunitario per l’Escherichia coli, vengono di seguito riportate: La presenza di dati discordanti può essere dovuta alla diversità del disegno dei primers, nonostante essi siano diretti verso il medesimo gene. La PCR end-point può creare problemi d’interpretazione del risultato in quanto l’utilizzo di diversi tipologie di Taq polimerasi può aumentare l’aspecificità o contribuire alla diminuzione della sensibilità della PCR stessa rispetto alla metodica della real-time, che si è dimostrata essere molto più ripetibile. In PCR end-point possono essere associati alla presenza di bande aspecifiche, oltre alle diverse tipologie di Taq polimerasi, anche le dimensioni dei primers utilizzati. La messa a punto della PCR multiplex risulta fondamentale come metodo di screening, finalizzato alla ricerca dell’intero gruppo dei VTEC e non solo ai ceppi maggiormente patogeni (es.O157:H7). La PCR consente quindi un alleggerimento della mole di campioni analizzati giornalmente rilevando in modo rapido la presenza degli stessi mediante la ricerca contemporanea dei tre geni che ne esprimono la patogenicità. La ricerca dei VTEC, anche non patogeni, consente quindi l’individuazione delle eventuali fonti di contaminazione all’interno del processo produttivo e quindi la rilevazione di punti critici nelle attività principali all’interno dell’azienda. Questo studio, eseguito mediante l’applicazione di Real-time PCR, può contribuire di conseguenza ad effettuare non soltanto valutazioni diagnostiche ma soprattutto epidemiologiche per valutare siti d’ingresso dei patogeni, matrici e processi maggiormente soggetti a contaminazione ecc. L’utilizzo di un metodo tanto più rapido e sensibile si adatta inoltre al controllo dei prodotti alimentari dotati di shelf-life molto breve, che richiedono tempi di risposta altrettanto veloci; lo screening iniziale permette di dichiarare l’eventuale conformità del prodotto e l’idoneità alla vendita molto più rapidamente delle tradizionali metodiche microbiologiche. Il presente lavoro rappresenta però solo uno step iniziale; gli stadi successivi potrebbero essere rappresentati dallo sviluppo di metodiche real-time destinate alla rilevazione di sierotipi verocitotossici quali O26, O111, O145 ed O103, allo scopo di eseguire determinazioni più mirate dei patogeni a seguito dello screening generale in cui sono state riscontrate positività (2). La ricerca dei singoli sierotipi patogeni potrebbe contribuire all’esecuzione di un’analisi del rischio più completa rispetto alla sola valutazione della presenza di O157:H7, tradizionalmente portata avanti fino al momento attuale mediante metodiche ufficiali. Tabella 2: sequenze primers e sonde real-time PCR SEQUENZE PRIMERS eae F 5’-CATTGATCAGGATTTTTCTGGTGATA -3’ eae R 5’- CTCATGCGGAAATAGCCGTTA -3’ STX1 F 5’-TTTGTYACTGTSACAGCWGAAGCYTTACG -3’ STX1 R 5’-CCCCAGTTCARWGTRAGRTCMACRTC -3’ STX2 F 5’- TTTGTYACTGTSACAGCWGAAGCYTTACG -3’ STX2 R 5’- CCCCAGTTCARWGTRAGRTCMACRTC -3’ SEQUENZE SONDE EAE 5’- ATAGTCTCGCCAGTATTCGCCACCAATACC -3’ STX1 5’-CTGGATGATCTCAGTGGGCGTTCTTATGTAA -3’ STX2 5’- TCGTCAGGCACTGTCTGAAACTGCTCC -3’ Per quanto riguarda la PRC multiplex end-point, il profilo termico è il seguente: denaturazione iniziale a 94°C per 2 min seguito da 35 cicli di 56°C per 1 min e 30 sec, 72°C per 30 sec. L’estensione finale viene eseguita a 72°C per 7min. RISULTATI E DISCUSSIONE Tabella 3: risultati del confronto tra PCR end-point e Real-time PCR Risultati PCR endpoint Real-time PCR N. campioni ripartiti negativo negativo 340 positivo positivo negativo positivo negativo negativo positivo positivo 1 11 67 33 N. campioni totali % sul tot BIBLIOGRAFIA 1) Bertasi B.,Agnelli E.,Pavoni E.,Daminelli P.,Boni P. Ricerca di Escherichia coli O157:H7 in alimenti tramite multiplex PCR. Industrie Alimentari, (marzo 2008), anno 47-n.478 pag.276280 2) Hanlon K.A.O., Catarame T.M.G., Duffy G., Blair I.S. and McDowell, (2004) Rapid detection and quantification of E.coli 0157/026/0111 in minced beef by real-time PCR, vol. 96, p. 1013-1023 3) Molina-Romanzi AM. Microbiologia clinica, UTET 2002, cap.7 pag 20-21 4) Normanno G., Escherichia coli O157:H7 e altri ceppi verocitotossici. http://www.sicurezzadeglialimenti.it/ ecoliO157H7.htm 5) Pollanrd D.R., Johnson W.M. H.Lior, Tyler S.D., and Rozee K.R.. (1990), Rapid and specific detection of verotoxin genes in Escherichia coli by polymerase chain reaction, Journal of clinical microbiology, vol.28(3), p.540-545 6) Vijay K., Sharma, Evelyn A., Dean-Nystrom.(2003) Detection of enterohemorragic Escherichia coli O157:H7 by using a multiplex real-time PCR assay for genes encoding intimin and Shiga toxins, Veterinary Microbiology, vol.93, p.247-260 75.2% 452 112 % sui positivi 24.8% 0.9% 9.8% 59.8% 29.5% Dall’analisi della tabella si evince che il 75.2% dei campioni analizzati risultano negativi. Per quanto riguarda il restante 24.8%, il confronto tra le due metodiche ha permesso di evidenziare che il 29.5% dei campioni, riscontrati positivi in PCR tradizionale, hanno dato il medesimo risultato in Real-time PCR. Viceversa il 59.8% dei campioni ha mostrato positività solo in Real-time PCR, deponendo a favore di una maggior sensibilità della stessa a confronto della PCR end-point. La Real-time PCR infatti, in seguito alle prove effettuate per la messa a punto del metodo, è stata allestita in modo da ottenere il limite di sensibilità pari a 10^2 ufc per tutti e tre i geni bersaglio. Infine, per completare la valutazione dei dati, una percentuale minore di campioni (solo lo 0.9%) è risultata positiva solamente alla PCR end-point. 142 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CONTAMINAZIONE DA DIOSSINE NEL LATTE CRUDO: MODELLO DI STUDIO BASATO SULL’UTILIZZO DEL SISTEMA DI SCREENING DR-CALUX Bertasi B., E. Moro, Gasparini M.*, Ferretti E.*, Maccabiani G., Nolli V., Fusini F., Boni P Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologia Acidi Nucleici Applicata agli Alimenti, *Reparto Chimica degli Alimenti di Origine Animale, Brescia Key words: latte crudo, diossine, screening, DR-Calux SUMMARY Related to increase of raw milk consuming, it is necessary to control products about not only pathogens contaminations but also about chemical contaminants. Dioxins can be present in Italian areas, in particular in the presence of waste inceneritors and industrial parks. Chemicals methods are usually performed to identify dioxins, but they aren’t suitable to exute wide range monitoring (they are very expensive and complicate). DRCalux is a rapid and sensitive screening method which allow to detected dioxins by genetically-modified cells cultures. Dioxin-like compounds presence are evaluated by cell culture treatment with chemical extracted samples and chemioluminescence evaluation. Positive results need a confirm by chemical methods. DR-Calux is a screening test right for to carry out an investigation about dioxin contamination diffusion in milk and also in different food products and verify correlation between eventual dioxin presence and geographical and industrialization features of areas of food origins. (7). Il controllo dei contaminanti ambientali a livello dei prodotti agroalimentari è sempre stato appannaggio del settore analitico chimico, mediante l’utilizzo di metodiche molto complesse e costose, anche se molto precise dal punto di vista della quantificazione, e che richiedono specifici standard per ciascuna delle sostanze ricercate. In relazione alle caratteristiche di queste metodiche esse sono sempre state sfruttate per analizzare campioni provenienti da segnalazioni precise e sospettati di non conformità per la presenza di contaminanti ambientali; fino al momento attuale risultava impensabile un’applicazione di tali metodiche a piani di monitoraggio per conoscere la effettiva diffusione della contaminazione da composti diossina simili nella realtà italiana. La possibilità di utilizzare sistemi di screening, sancita dalla direttiva 2002/69/EC (4), rende possibile utilizzare questi sistemi per effettuare indagini su larga scala e conoscere il territorio ed i fattori di rischio connessi alla contaminazione da diossine. Nella direttiva vengono descritti i criteri di accettabilità dei test di screening; essi devono presentare falsi negativi inferiori all’1% e precisione inferiore al 30%. Il sistema DR-Calux è basato sull’utilizzo di una linea cellulare ingegnerizzata, in grado di evidenziare la presenza di diossina mediante meccanismi di trasduzione del segnale. Un recettore a livello intracitoplasmatico lega i composti diossina simili e li trasporta all’interno del nucleo, stimolando il gene esogeno che codifica per l’enzima luciferasi; la produzione di luciferasi dose-dipendente viene evidenziata attraverso l’aggiunta di un substrato chemioluminescente (2). Tale metodica presenta tutte le caratteristiche elencate per i sistemi di screening a livello legislativo comunitario. Obiettivo del presente lavoro è stato quello di applicare il sistema DR-Calux ad un monitoraggio eseguito in regione Lombardia per il controllo del latte crudo (3), per verificarne l’adattabilità del metodo ad eseguire studi epidemiologici relativi alla valutazione delle contaminazioni su larga scala. INTRODUZIONE Negli ultimi anni la popolazione dei consumatori ha dimostrato di aver modificato la propria concezione di alimento, il quale viene considerato non più semplicemente un fattore indispensabile alla sopravvivenza ma una fonte nutritiva che può presentare anche del valore aggiunto. A prescindere dunque dagli alimenti che vengono definiti “funzionali”, esiste una forte tendenza all’acquisto e consumo di alimenti poco o per nulla manipolati, il cui valore aggiunto, nella percezione della popolazione, è rappresentato dal fatto che essi si avvicinano di più all’idea di prodotto “naturale”. Queste nuove richieste di mercato non possono essere avulse da un’evoluzione dei concetti di sicurezza sanitaria; esse rendono necessario un’adeguamento dei controlli ad eventuali nuovi prodotti, la messa a punto di nuove metodiche ed infine l’individuazione di nuove fonti di rischio. Uno di questi alimenti poco manipolati ed appartenenti alla cosidetta “catena corta”, la cui richiesta risulta in continua crescita, è rappresentato dal latte crudo. Questo alimento, a causa delle caratteristiche intrinseche e del processo di produzione, ha già richiesto per altro cambiamenti nel campo dei controlli microbiologici, orientati verso metodiche di biologia molecolare in quanto in grado di dare indicazioni nell’arco di tempi brevi, compatibili con la shelf-life del prodotto (1). Per quanto riguarda invece i contaminanti ambientali dovrebbe essere prestata particolare attenzione alle diossine ed ai composti diossina simili, composti aromatici derivati da combustioni incomplete a livello di inceneritori ed impianti industriali. Gli effetti tossici legati all’introduzione di diossina nell’organismo possono essere diversi: negli animali sono riscontrabili perdita di peso, atrofia del timo, immunosoppressione, epatotossicità, lesioni dermiche, cancerogenicità, e problemi di riproduzione; non tutti questi effetti risultano evidenziabili anche nell’uomo. Le diossine sono composti altamente persistenti, che possono depositarsi e rimanere per lungo tempo nel suolo e sui prodotti vegetali; a causa della struttura molecolare tendono ad accumularsi nel grasso e di conseguenza si trasmettono attraverso la catena alimentare. Date le premesse il latte crudo può essere considerato un alimento a rischio per la presenza di queste sostanze tossiche MATERIALI E METODI Nell’ambito del monitoraggio del latte crudo eseguito in Lombardia durante l’anno 2009, sono stati raccolti 274 campioni da differenti zone. In particolare, nelle aree maggiormente industrializzate del Nord d’Italia, in cui la probabilità di riscontrare la presenza di diossine è elevata, sono stati prelevati 126 campioni suddivisi nelle province di Bergamo, Brescia e Milano. La line cellulare H4IIE di epatoma di ratto e di protocolli di esecuzione dello screening, sono stati forniti dal laboratorio BDS (BioDetection Systems , Netherland). I campioni di latte vengono sottoposti ad un ciclo di estrazioni chimiche mediante una miscela di etere etilico ed esano, seguita da agitazione meccanica. L’estratto viene purificato su colonne di silice attivate con sodio solfato e addizionate di acido solforico. Il campione viene successivamente evaporato e risospeso in DMSO (Dimetil- solfossido). La linea cellulare viene mantenuta in terreno MEM e trasferita in piastre a 96 pozzetti; al raggingimento del 95% di confluenza, è possibile eseguire il trattamento con i campioni provvenienti dall’estrazione chimica. In piastra vengono inseriti oltre i campioni controlli positivi e negativi di estrazione e di reazione oltre ad una serie di standard forniti dal laboratorio di origine del sistema. In presenza di diossina la linea cellulare 143 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 produce luciferasi che a contatto con l’apposito substrato ( luciferina) emette chemioluminescenza misurabile attraverso un luminometro. La concentrazione di diossina viene quantificata comparando l’attività della luciferasi indotta dal campione rispetto agli standards. L’elaborazione dei dati viene eseguita mediante un foglio di calcolo fornito da BDS che produce i risultati in pg TEQ per grammo di grasso. Il TEQ rappresenta la tossicità equivalente, data dal prodotto tra la concentrazione di sostanze capaci di generare lo stesso effetto tossico e il TEF ( Fattore di tossicità equivalente stabilito da WHO per ciascuna sostanza). (6) RISULTATI E DISCUSSIONE Tabella 1: Numero di campioni positivi riscontrati durante il monitoraggio in regione Lombardia (unità di misura livelli di soglia = pg TEQ/g grasso) Totale campioni D<2 2≤D<3 3≤D<4 D≥4 274 223 36 10 5 L’analisi dei dati localizzata in aree specifiche del territorio rappresenta un esempio di applicazione del sistema DR-Calux a studi di tipo epidemiologico; grazie a queste valutazioni è possibile studiare l’eventuale correlazione presente tra le caratteristiche geografiche ed industriali di una determinata zona e l’eventuale contaminazione dei prodotti agricoli ottenuti in situ. La corretta interpretazione di questi informazioni e di conseguenza una più mirata analisi del rischio deve necessariamente basarsi anche sui dati di conferma, in particolare nella fase preliminare di utilizzo del sistema DR-Calux sul territorio; sino al momento attuale infatti riisultava assai difficoltoso eseguire analisi su larga scala con le metodiche chimiche, assolutamente sensibili e specifiche , ma molto complesse, costose ed inadatte a studi di monitoraggio. In tabella 1 vengono conteggiati i campioni considerati positivi nello screening in cui come livello soglia è stato selezionato il valore 2 pg TEQ/g grasso, corrispondente al livello di attenzione come descritto nella normativa…..La scelta di considerare quale soglia il valore 2, è stata effettuata, in primo luogo, per operare in condizioni di maggiore sicurezza in quanto il limite di legge per la contaminazione di diossina nel latte è pari a 3 pg TEQ/g grasso. L’applicazione di questo test di screening prevede la successiva conferma con Gascomatografia ad alta risoluzione in Spettrometria di Massa (GC/HRMS); considerare il livello di attenzione come soglia per definire I campioni destinati a conferma, permette di estendere i margini di controllo sul confronto tra I risultati ottenuti con il biotest cellulare e quelli dati dal metodo chimico. Le caratteristiche del monitoraggio (di tipo conoscitivo), non erano in conflitto con la selezione del valore limite precedentemente indicato. Dalla tabella 1 è possibile evidenziare come i campioni al disopra del 2 corrispondano al 18 % del totale mentre quelli al disopra del limite di legge sono pari al 5,5%. La numerosità dei campioni positivi non risulta ancora sufficiente per trarre conclusioni rigurdo al rischio connesso alla contaminazione da diossina; inoltre è necessario sottolineare che ciascuno di questi campioni deve essere sottoposto a conferma per verificare l’effettiva presenza di diossina. Esiste infatti la possibilità che ci siano degli esiti discordanti fra i dati prodotti da DR –Calux e quelli provenienti dalla GC/HRMS, in relazione alla diversa composizione delle miscele di contaminanti ambientali. I dati ottenuti dalle due metodiche sono tanto più simili quanto più il rapporto diossina/ composti diossina simili all’interno di una miscela risulta elevato (5). Considerato che le aree a più alta industrializzazione presenti in Italia si concentrano in Lombardia e più precisamente nella province di Bergamo, Brescia e Milano, si è ritenuto interessante confrontare i risultati ottenuti nelle rispettive province. Durante il monitoraggio, sono stati prelevati 31 campioni nella provincia di Bergamo, 31 nella provincia di Brescia e 64 nella provincia di Milano. Dalla figura 1 si osserva che in provincia di Bergamo il 13 % dei campioni totali supera il valore di 2 pg TEQ/g grasso ma rimane sotto il limite di legge mentre il 3 % supera il limite di legge; nella figura 2 è rappresentata la situazione nella provincia di Brescia dove il 3 % dei campioni totali supera il valore di 2 pg TEQ/g grasso ma non oltrepassa il limite di legge ed il 6 % supera il valore di 4 pg TEQ/g grasso; in figura 3 è stata considerata la situazione in provincia di Milano dove ben il 23 % dei campioni è compreso nell’intervallo fra 2 e 3 pg TEQ/g grasso mentre il 10 % del totale va oltre il limite di legge. BIBLIOGRAFIA 1) Bertasi B., Corneo P.E., Daminelli P., Finazzi G., Zanardini N., Agnelli E., Losio M.N. Boni P. Consumo di latte crudo: valutazione del livello di esposizione ai principali patogeni batterici attraverso metodiche colturali e biomolecolari. Industrie Alimentari, settembre 2008, anno 47 n°483 2) Bovee T.F.H., Hoogenboom L.A.P., Hamers A.R.M., traag W.A, Zuidema T., Aarts J.M.M.J.G., Brouwer A., Kuiper H.A. Validation and use of the Calux-bioassay for the determination of dioxins and PCBs in bovine milk. Food Additives and Contaminants, 1998, vol.15, N° 8, 863-875 3) Circolare 13/SAN del 13 aprile 2007 “Vendita diretta al consumatore di latte crudo vaccino, ovi-caprini e bufalini nell’azienda agricola di produzione – Modifiche e integrazioni alle Circolari n.39/SAN del 17 novembre 2004 e n.20/SAN del 24 maggio 2005” - Precisazioni 4) Commission Directive 2002/69 EC, of 26 July 2002, laying down the sampling methods and methods of analysisi for the official control of dioxins and the detrmination of dioxin-like PCBs in foodstuff. Official journal of European Community 6.8.2002 EN, L 209/5 5) Scippo M.L., Eppe G., Maguin-Rogester G., De Pauw E. Evaluation of the DR-Calux bioassay for the determination of dioxins in food and feed according to the requirements of the commission directives 2002/69 and 2002/70 respectively. Organohalogen compounds, 2003, vol 60-65 6) Van den Berg M., Birnbaum L. S., Denison M., De Vito M., Farland W., Feeley M., Fiedler H., Hakansson H., Handberg A., Haws L., Rose M., Safe S., Schrenk D., Tohyama C., Tritscher A.., Tuomisto J., Tysklind M., alker N., Peterson R. E. The 2005 World Health Organization Re-evaluation of Human and Mammalian Toxic Equivalency Factors for Dioxins and Dioxin-like Compound. ToxiSci Advance Access published July 7, 2006, 1-56 7) Van Overmeire I., Chu M., Brown D., Clark G., Carbonelle S., Goeyens L.. Application of the Calux bioassay for the determination of low TEQ values in milk samples. 2001 Organohalogens Compound 45. 144 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 NUMERAZIONE DI CAMPYLOBACTER SU CARCASSE DI BROILER CON METODO UNI EN ISO 102722:2006 A CONFRONTO CON METODO SIMPLATE® (BIOCONTROL SYSTEMS) Bilei S1., Bogdanova T1., Flores Rodas E. M. 1, Greco S1. De Santis P1., Cesarano D1., Di Domenico I1., Mussino M.2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana 2 Biocontrol Systems S.p.A. – Roma KEYWORDS: Campylobacter, broiler, PCR ABSTRACT The study reports the results from determination of the title on 300 samples from carcasses of broilers by UNI EN ISO 10272-2:2006 method and Simplate® method. We compared two methods using Realtime PCR molecular method as Gold Standard. The use of a multiplex PCR method allowed to compare the results of the two methods regarding their ability to isolate the species of Campylobacter pathogens. caso di esito confermato, essendo stata eseguita la prova in PCR non sui singoli ceppi batterici isolati ma su un pool degli stessi, il risultato ottenuto con il metodo ISO è stato ricalcolato come se fosse stata confermata un’unica colonia di quelle precedentemente sezionate per la conferma microbiologica. Il metodo SimPlate®, il cui principio mette in relazione i Campylobacter presenti a specifiche attività metaboliche, si basa su una reazione colorimetrica in piastre a pozzetti che contengono un terreno disidratato pronto all’uso, specifico per C. jejuni e C. coli. I pozzetti con colorazione rossastra sono considerati presunti positivi per la presenza di Campylobacter. La loro osservazione con lampada UV consente di confermare come positivi quelli che non fluorescono. Il metodo PCR realtime è stato eseguito sia su pool di pozzetti positivi che negativi. Nel caso di ottenimento di un risultato negativo con PCR realtime è stato considerato tale anche il risultato positivo precedentemente ottenuto con SimPlate®. I campioni positivi alla PCR realtime prodotti con entrambi i metodi sono stati sottoposti a PCR multiplex (1) per l’identificazione di specie. Gli studi statistici sono stati eseguiti con un test statistico non parametrico mediante il software statistico STATA 9.2 (www.stata.com). INTRODUZIONE Nell’ultimo triennio, nell’Unione Europea, Campylobacter è risultato uno dei principali agenti di zoonosi di origine alimentare. Nel 2008 la campilobatteriosi si è dimostrata essere la causa di infezioni gastroenteriche nell’uomo con 190.556 casi confermati (4). In Italia non esistono dati reali sull’incidenza dell’infezione alimentare, non essendo i casi di gastroenterite da Campylobacter spp, distinti da quelli riguardanti le altre infezioni inserite nella classe IV del D.M. 15 dicembre 1990 “Infezioni, tossinfezioni e infestazioni di origine alimentare”. A seguito della Direttiva 2003/99/CE (2) è stata emanata la Decisione 516/2007 (3) che definisce gli aspetti tecnici e finanziari inerenti uno studio che riguarda la diffusione di Campylobacter e Salmonella nelle carcasse di pollo. Tenuto conto di tale contesto si è avviata nel Lazio un’attività che consentisse di ottenere valori di prevalenza e di contaminazione di Campylobacter su carcasse di broiler allevati e macellati nella Regione. Si è poi proceduto ad un confronto delle performance fra il metodo ufficiale, la UNI EN ISO 10272-2:2006 e un metodo proposto dalla Biocontrol Systems denominato SimPlate® Campylobacter utilizzando come Gold Standard un metodo biomolecolare in PCR realtime validato AOAC (Certificate n. 050603:2006). Il successivo impiego di un metodo PCR multiplex non validato ha permesso di confrontare i risultati dei due metodi relativamente alla loro capacità di isolare le diverse specie di Campylobacter patogeni. RISULTATI L’impiego del metodo ISO ha fatto registrare il 97% (291/300) di prevalenza di carcasse avicole contaminate da Campylobacter spp contro il 68% (184/271) ottenuto con il SimPlate, con un accordo fra i due metodi del 65%. La prova PCR realtime, applicata su pool di ceppi isolati da 282 dei 291 campioni risultati positivi alla ISO, ha confermato il precedente esito diagnostico in 180 campioni (64%), mentre la stessa prova eseguita su 180 dei 184 campioni risultati positivi al SimPlate ne ha confermati 171 (95%) (Grafico 1). I risultati ottenuti con entrambi i metodi prima e dopo l’impiego della prova biomolecolare non sono risultati statisticamente distanti fra loro (p=0.18). MATERIALI E METODI L’indagine è stata condotta nel periodo compreso fra maggio e luglio 2009 su 300 carcasse di broiler nel corso di 18 serie successive di campionamento effettuato a conclusione dell’attività ispettiva del veterinario ufficiale, prelevando tessuti molli nella regione del collo in soggetti di 70 giorni. Da ogni campione sono stati prelevati ca. 35 g di pelle di cui 10g sospesi in 90 ml di Buffered Pepton Water (BPW) per la numerazione dei Campylobacter spp secondo la norma UNI EN ISO 10272-2:2006 e 25g sospesi in 225 ml di Buffered Pepton Water (BPW) per la conta di Camylobacter spp mediante SimPLate®. Pool di ceppi batterici confermati come Campylobacter spp con il metodo ISO sono stati sottoposti a conferma di appartenenza al gruppo di Campylobacter patogeni (coli, jejuni, lari) mediante metodo biomolecolare PCR realtime (Kit genevision Campylobacter spp Warnex). Nel caso di ottenimento di un risultato negativo con PCR realtime si è considerato tale anche il risultato positivo precedentemente ottenuto con il metodo ISO, mentre nel Grafico 1. Prevalenze registrate con i metodi impiegati I risultati della conta di Campylobacter ottenuti con entrambi i metodi riveduti alla luce della prova PCR realtime, sono 145 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 stati raggruppati in 4 classi di frequenza del titolo espresso in ufc/g (Grafico 2). standard, identifica i Campylobacter patogeni (coli, jejuni, lari) escludendo gli altri Campylobacter termotolleranti. Solo il 64% dei positivi ottenuti con il metodo ISO sono stati confermati riducendo la prevalenza precedentemente registrata (-37%) diversamente per quanto accaduto per il metodo SimPlate® che ha ottenuto, con il 95% dei risultati positivi, la quasi totalità delle conferme. Tenendo conto di tali esiti, i due valori di prevalenza precedentemente valutati tendono ad un significativo riallineamento (60% e 63% rispettivamente). Se invece si considerano i risultati negativi al metodo SimPlate® divenuti positivi con quello biomolecolare (n=67), si registra un ribaltamento dei valori con SimPlate® che fa registrare un tasso di prevalenza pari al 96%. Non avendo proceduto alla verifica con metodo colturale della presenza di Campylobacter nei pozzetti risultati negativi al SimPlate® ma positivi alla biologia molecolare, non è possibile considerare definitivi tali esiti. E’ pertanto doveroso limitarsi alle ipotesi che le positività riscontrate in PCR realtime possano essere attribuite a Campylobacter non vivi, che non possono essere esclusi da tale prova ma che su SimPlate® non hanno prodotto il viraggio del colore del pozzetto mantenendo la fluorescenza o alla possibilità in alternativa, che tutte le positività ottenute siano riferibili a Campylobacter lari. L’elevato numero di positivi (101) al metodo ISO non confermati alla biologia molecolare rimanda ai differenti target diagnostici dei due metodi impiegati. Dal confronto fra le performance dei due metodi il SimPlate® fornisce valori di Sensibilità, Specificità ed Accuratezza di gran lunga migliori del metodo ISO. Tali valori si riducono drasticamente se si considerano positivi i 67 campioni risultati negativi al SimPlate®, con una Specificità che da 88% scende allo 0%. La capacità del SimPlate® nel rilevare i veri negativi deve essere dunque maggiormente approfondita con ulteriori prove di laboratorio. Per quanto riguarda i titoli di contaminazione osservati tenuto conto degli esiti della prova biomolecolare, il maggior numero di campioni positivi per entrambi i metodi si è collocato nella classe con valori compresi tra 1 e 500 (41% metodo ISO e 43% SimPlate®). Il valore segnalato per il metodo ISO è in parte frutto della scelta di considerare come positiva un’unica colonia tra quelle isolate e costituenti un pool per la conferma in PCR, che ha determinato una riduzione del valore del titolo di contaminazione della carcassa precedentemente calcolato. I risultati ottenuti dalla PCR multiplex, indicano una maggiore capacità di SimPlate® di rilevare, in linea con quanto riportato in letteratura, Campylobacter jejuni rispetto a Campylobacter coli diversamente da quanto fatto registrare con il metodo ISO (Grafico 3 e 4). Per quanto riguarda i negativi ottenuti con il medesimo metodo, si ritiene necessario un ulteriore approfondimento diagnostico come il sequenziamento, considerati gli alti numeri di Campylobacter spp, ipotetici Campylobacter lari, ottenuti soprattutto con il metodo ISO (57%). In definitiva i risultati ottenuti consentono una valutazione sufficientemente esaustiva delle performance di entrambi i metodi. SimPlate® ha fatto registrare la quasi totalità di conferme dei risultati positivi mediante il Golden Standard ottenendo parametri di Specificità, Sensibilità ed Accuratezza più che accettabili e comunque superiori a quelli fatti registrare dal metodo ISO che al contrario ha ottenuto una significativa riduzione del valore percentuale di esiti positivi di circa un terzo. Per quanto riguarda infine la modalità d’uso di entrambi i metodi, SimPlate® si caratterizza per una maggiore semplicità di impiego consentendo all’operatore di seminare le diluizioni previste direttamente con un unico Grafico 2. Risultati PCR sugli esiti positivi dei 2 metodi in esame per classi di frequenza I risultati della PCR multiplex sono espressi nei Grafici 3 e 4. Grafico 3. Identificazione Campylobacter con PCR mutiplex su pool di ceppi batterici isolati con il metodo ISO Grafico 4. Risultati PCR multiplex su pool di ceppi batterici isolati con il metodo SimPlate ® DISCUSSIONE L’elevata differenza del numero di positivi ottenuta con entrambi i metodi in esame si può spiegare nella capacità del metodo ISO a numerare Campylobacter termotolleranti non distinguendo, all’interno del raggruppamento, quelli patogeni da quelli non patogeni mentre SimPlate®, pur non differenziandoli, numera C. jejuni e C. coli. L’impiego del metodo validato AOAC PCR realtime, utilizzato come Gold 146 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 2003, sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/ CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/CEE del Consiglio. Gazzetta Ufficiale, L325, 12 dicembre, 1-15 3) Commissione Europea (CE) 2007. Decisione 2007/516/ CE della Commissione del 19 luglio 2007 riguardo al contributo finanziario della Comunità a favore di un’indagine da effettuare negli Stati membri relativa alla diffusione e alla resistenza agli antimicrobici del Campylobacter spp. nei branchi di pollo da ingrasso e alla diffusione del Campylobacter spp. e della Salmonella spp. nelle carcasse di pollo. Gazzetta Ufficiale L190/25 4) EFSA-ECDC: The community summary report on trends and sources of zoonoses and zoonotic agents and foodborne outbreaks in the Europea Uninon in 2008. 28 gennaio 2010 5) Gorkiewicz, G., Feierl, G., Schober, C., Dieber, F., Koifer, J., Zechner, R., Zechner, E.L. 2003. Species – Specific Identification of Campylobacter by Partial 16srRNA Gene Sequencing. Journal Clinical Microbiology, 2003 June;4(16) 2537-2546 inoculo e dal medesimo tempo di lettura in caso di completa negatività rispetto al metodo ISO. La differenza nei tempi di lettura sono invece particolarmente evidenti quando siano presenti delle presunte positività, in questo caso infatti SimPlate® richiede la sola conferma mediante lampada UV eseguibile subito dopo la lettura della piastra mentre la ISO, un’ulteriore incubazione di 24-48 ore delle colonie sospette e quindi a partire dalle colture ottenute, una serie di test di conferma che prolungano i tempi di risposta di altre 24 - 48 ore . Le caratteristiche del SimPlate®, rivelatosi un metodo valido sotto molti degli aspetti precedentemente trattati, migliori di quelle osservate nel metodo ISO, indicano che lo stesso possa essere impiegato correntemente in laboratorio, una volta ottenuta la validazione secondo le norme internazionali. BIBLIOGRAFIA 1) Anonymus. ACMSF, Advisory Committee on Microbiological Safety of Food. 2005. FSA/0986/0605 UK, Enternet Quaterly Campylobacter Report Jan – Mar 2005/1.2006 2) Commissione Europea (CE) 2003. Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 17 novembre 147 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE MICROBIOLOGICA SU CAMPIONI DI MOZZARELLA IN OCCASIONE DELL’ALLERTA “MOZZARELLA BLU” Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., Tolli R., Bilei S. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma KEYWORDS: mozzarella blu, Pseudomonas ABSTRACT In June 9, 2010 in Italy, an alert has been made about a case of altered colour of mozzarella cheese from Germany. Following that first case, about 30 official samples arrived to our laboratories, from which mostly Pseudomonas spp were isolated. Also italian dairies gave positive findings for Pseudomonas spp. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra giugno ed agosto 2010, 26 campioni di mozzarelle di cui 22 prodotte dall’azienda tedesca Milchwerk Jäger GmbH, coinvolta nell’allerta e 4 da altri caseifici nazionali ed esteri, sono stati conferiti all’IZS Lazio e Toscana sede di Roma. Si è trattato in particolare di 17 reperti di mozzarella tutti consegnati da privati cittadini alle autorità sanitarie o ai Carabinieri, in relazione ad evidenti alterazioni della colorazione della superficie esterna. Dall’analisi delle etichette è risultato che 15 reperti provenivano dal medesimo stabilimento di produzione della ditta Milchwerk Jäger mentre i restanti 2 da altrettante aziende produttrici di cui 1 polacca ed 1 italiana. Dei reperti consegnati, 12 erano caratterizzati dalla presenza di confezioni aperte da cui mancava parte del prodotto perché già consumato mentre le restanti 5, dalla presenza di confezioni originali integre. Gli altri 9 campioni, prelevati presso la grande distribuzione dai Servizi Veterinari e dal Comando NAS competente per territorio, nella maggior parte dei casi a seguito delle evidenze analitiche di laboratorio relative alla presenza di elevate cariche di Pseudomonas spp concomitanti a colorazioni anomale, erano riferibili alla medesima ditta tedesca oggetto dell’allerta ad eccezione di 2 campioni provenienti da un’altra ditta tedesca e da una ditta italiana. Per un campione di Mozzarella Jäger è stato disposto il vincolo sanitario a destinazione in attesa dei risultati analitici dall’Ufficio Veterinario per gli Adempimenti Comunitari (UVAC) di Roma. Le richieste analitiche sono risultate inizialmente tra loro disomogenee con indicazioni relative alla determinazione di diversi parametri quali Salmonella, Listeria, Stafiilococchi coagulasi positivi, Clostridi solfito riduttori, E. coli beta-glucuronidasi positivi, fino a quando non si sono concentrate sulla sola ricerca di Pseudomonas, Enterobacteriaceae, lieviti e muffe. Su tutti i campioni è stato pure eseguito un esame ispettivo per la verifica della presenza di colorazioni non proprie che hanno consentito di osservare colorazioni bluastre che in alcuni casi interessavano l’intera superficie del prodotto esposta all’aria e che in altri si presentavano sotto forma di macchie rare e talvolta tra loro confluenti. Per la numerazione di Pseudomonas spp è stato applicato un metodointernomentreperlanumerazionedelleEnterobacteriaceae la ISO 21528-2:2004. Partendo da 10g di campione prelevati sterilmente, sono stati aggiunti 90 ml di Peptone Tryptone Water (PTW). La successiva semina delle diluizioni seriali fino a 10–5, è stata eseguita su piastre di Pseudomonas Selective Agar (PSA) e su Violet Red Bile Glucose Agar (VRBGA). Dopo aver incubato a 30°C per 48 ore il PSA e a 37°C per 24 ore il VRBGA, è stato effettuato il conteggio delle colonie caratteristiche. Le piastre di PSA sono state esaminate anche con la lampada di Wood per evidenziare la possibile fluorescenza delle colonie presunte Pseudomonas. Quest’ultime sono state quindi sottoposte a conferma biochimica mediante il sistema automatizzato VITEK® 2 COMPACT (BioMérieux). La ricerca dei lieviti e delle muffe ha seguito una procedura interna che prevede l’impiego del terreno colturale Sabouraud e la sua incubazione a 30°C per 120 ore. Alcuni isolati di Pseudomonas sono stati sottoposti ad elettroforesi in campo pulsato (PFGE), allo scopo di studiare la distribuzione INTRODUZIONE Nei primi giorni del mese di giugno è stato segnalato il primo caso italiano di “mozzarella blu”. Un privato cittadino aveva denunciato la comparsa di una colorazione anomala in una mozzarella di latte vaccino confezionata, acquistata presso la grande distribuzione e prodotta in Germania. In relazione a questa prima segnalazione, il Ministero della Salute ha attivato il sistema di allerta rapido (RASFF) diramandolo agli altri Paesi europei per consentire il ritiro/richiamo del lotto indicato. Successivamente altri lotti di mozzarella del medesimo produttore, sono stati oggetto di segnalazione da parte di consumatori dopo l’acquisto, per la comparsa di modificazioni di colore sulla superficie del prodotto alimentare. In nessuno dei casi segnalati, sono stati registrati danni alla salute dei cittadini. Le mozzarelle oggetto dell’allerta, prodotte in un unico stabilimento di produzione sito in Germania, erano vendute sotto numerosi e diversi marchi commerciali dalla grande distribuzione. Successivamente le segnalazioni hanno però riguardato anche altri produttori sia nazionali che esteri. Già le prime analisi effettuate presso gli IZS avevano individuato come responsabile della colorazione anomala un germe appartenente alla famiglia delle Pseudomonadaceae, genere Pseudomonas. Pseudomonas è un batterio di forma bastoncellare diritto o leggermente ricurvo, con lunghezza di 1,5 ± 3 μm e larghezza compresa tra 0,5 e 0,7 μm, mobile tramite uno o più flagelli polari, Gram negativo, aerobio, catalasi positivo. Pseudomonas spp si isola spesso da alimenti freschi, con elevata attività dell’acqua (aw), dal suolo e dall’acqua che rappresentano il suo habitat originario (1). Tali caratteristiche consentono al germe di sopravvivere e moltiplicare negli ambienti di lavorazione degli alimenti, come per esempio quelli del latte e derivati. La sua resistenza ai comuni disinfettanti, dovuta anche al glicocalice molto spesso, lo rende uno dei componenti principali dei biofilm, difficili da eliminare una volta insediatisi sulle superfici che possono venire a contatto con l’alimento (4). Molte specie sono in grado di produrre dei pigmenti idrosolubili che possono provocare alterazioni cromatiche nei prodotti. Fra questi i più noti sono: fluoresceina (giallo dorato), piorubina (rossomarrone), piomelanina (nero), pioverdina (verde) e piocianina (blu-viola) (3). A questi si associa una rara biovariante di P. fluorescens capace di produrre un pigmento intensamente blu. Questa ultima sembra essere presente maggiormente in mozzarelle ad acidificazione mista o lattica piuttosto che in quelle ad acidificazione chimica (2). Lo scopo di questo lavoro è quello di rappresentare i dati derivanti dall’attività di laboratorio sui numerosi campioni di mozzarella pervenuti a seguito dell’allerta nella regione Lazio. 148 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Campioni positivi per Pseudomonas spp % Pseudomonas spp P. fluorescens P. aeruginosa Milchwerk Jäger 22 13 59,1 13 - Altre Aziende 4 3 75,0 1 2 Totale 26 16 61,5 14 2 Produttore Campioni esaminati Tabella 2. Isolamenti di Pseudomonas spp dei ceppi in causa ed evidenziare la loro eventuale origine clonale. Tabella 1. Risultati delle analisi microbiologiche distinti per tipologia di campionamento e ditta produttrice 9,4x103 3,2x107 1,1x102 Ufficiale 7 <102 <10 3x105 1,7x102 Reperto 2 1,1x107 1x106 <102 1,4x108 Ufficiale 2 1,3x105 2,7x104 2,9x107 <102 Totale Muffe Enterobatteri 3,8x107 Lieviti Pseudomonas spp. Numero campioni 15 Produttore Milchwerk Jäger Reperto Altri produttori Tipo di campione Valore medio ufc/g DISCUSSIONE Particolare interesse riveste l’isolamento ad alti titoli di P. fluorescens in tutti i campioni pervenuti alterati nel colore ad eccezione di un solo campione in cui è stato isolato P. aeruginosa e in 3 campioni reperto con confezioni integre e non alterati al momento dell’apertura in laboratorio. Da segnalare inoltre l’isolamento di P. aeruginosa anche in un campione ufficiale in confezione integra non colorato. Tali risultati mettono in evidenza che Pseudomonas può essere normalmente presente nel prodotto originale anche a titoli elevati (10^6) come dimostrato anche in uno studio effettuato su campioni acquistati presso la grande distribuzione e che quindi sia le condizioni di conservazione che soprattutto la lunga shelf life possono consentire la sua moltiplicazione ed eventualmente la comparsa di colorazioni anomale. Richiama attenzione inoltre il doppio isolamento in altrettanti campioni di cui 1 in confezione integra, di P. aeruginosa. La notevole differenza di carica batterica, tra i risultati ottenuti su campioni già aperti dal consumatore e quelli chiusi all’origine tranne in un caso in cui all’alta carica di Enterobatteriaceae si è associato l’isolamento di P. aeruginosa, depone comunque su una qualità igienico sanitaria accettabile. Da un preliminare studio finalizzato alla definizione dei profili genetici dei ceppi di P. fluorescens mediante Pulsed Field Gel Electrphoresis (PFGE), ha messo in evidenza la medesima origine clonale di 4 stipiti tutti isolati dal mozzarelle prodotte da Milchwerk Jäger. Lo stesso profilo genetico non è stato evidenziato in nessuno degli altri ceppi sottoposti alla medesima indagine sia nell’ambito del presente lavoro che in altri studi svolti presso il nostro Istituto. 26 RISULTATI La valutazione organolettica del prodotto effettuata sui campioni al momento della loro apertura, ha messo in evidenza in 12 di essi, tutti reperti, la presenza di colorazione blu sulla superficie. Si trattava di 10 campioni di mozzarella prodotta dalla Milchwerk Jäger e di 2 campioni di altrettante aziende tra loro diverse. In un caso l’osservazione con la lampada di Wood, ha messo in evidenza fluorescenza su un campione in confezione originale integra aperto in laboratorio per lo svolgimento delle attività, nel quale non si osservava alcuna colorazione anomala. Nei 15 campioni reperto di mozzarella prodotti dalla ditta tedesca oggetto dell’allerta, sono stati osservati i seguenti titoli medi di contaminazione batterica: Pseudomonas spp 3,8x107; Enterobatteri 9,4x103; Lieviti 3,2x107; Muffe 1,1x102, mentre nei 7 campioni ufficiali relativi alla medesima azienda sono stati: Pseudomonas spp <102; Enterobatteri <10; Lieviti 3x105; Muffe 1,7x102 (Tabella 1.). Negli altri 2 campioni reperto che si riferiscono a campioni di mozzarella prodotte da altre aziende, i titoli medi osservati sono stati: Pseudomonas spp 1,1x107; Enterobatteri 1x106; Lieviti <102; Muffe 1,4x108, mentre nei restanti 2 campioni ufficiali relativi allo stesso gruppo di produttori sono stati: Pseudomonas spp 1,3x105; Enterobatteri 2,7x104; Lieviti 2,9x107; Muffe <102 (Tabella 1.). In 16 dei 26 campioni analizzati, è stato isolato Pseudomonas spp.: in particolare in 13 campioni di mozzarella Jäger, tutti reperti, è stato isolato P. fluorescens mentre nei restanti 3 campioni di formaggio di cui 2 reperti, prodotto presso altre aziende, un ceppo di P. fluorescens e due ceppi di P. aeruginosa (Tabella 2.). Dei 13 campioni Jäger, 10 erano pervenuti con le confezioni aperte così come 2 di quelli delle altre aziende. In definitiva quindi P. fluorescens è stato isolato complessivamente in 11 campioni reperto di mozzarella con confezioni già aperte dal consumatore di cui 1 prodotta da una ditta italiana e le restanti 10 dalla Milchwerk Jäger e da 3 campioni reperto con confezioni originali integre di quest’ultima ditta. Infine P. fluorescens è stato isolato su 11 dei 12 campioni pervenuti blu mentre su 1 è stato isolato P. aeruginosa. Il medesimo isolamento è stato ottenuto anche su un campione ufficiale con confezione integra e non colorato al momento del’apertura in laboratorio. Figura 1. Tracciati PFGE ceppi di Pseudomonas BIBLIOGRAFIA 1) Cantoni C. et Al. “Pseudomonas fluorescens ed alterazione di colore delle mozzarelle” Industrie Alimentari XL (2001) giugno, pagg. 33-35 2) Cantoni C. et Al. “Pseudomonas Fluorescenti negli alimenti” Industrie Alimentari XLII (2003) giugno, pagg. 609-612 3) Giaccone V. “Pseudomonas e prodotti lattiero caseari” Medicina Veterinaria Preventiva suppl. al n. 32, (2010) settembre 4) Ombaka E. A. et Al. “Influence of nutrient limitation of growth on stability and production of virulence. Factors of mucoid and nonmucoid strains of Pseudomonas aeruginosa. Rev Infec. Dis. pagg 5 - 880 149 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 STUDIO DEI DATI DI MORTALITÀ DEI PICCOLI RUMINANTI PER VERIFICARE L’EFFICACIA DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA DELLE TSE OVICAPRINE IN ITALIA Bona M. C., Bertolini S., Ru G. BEAR - Biostatistica, Epidemiologia e Analisi del Rischio - Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino Key words: TSE, sistema di sorveglianza, mortalità Introduzione. I primi dati sulle encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE), malattie del sistema nervoso centrale, che colpiscono sia l’uomo che gli animali, risalgono alla prima metà del 17° secolo, con la descrizione di una malattia dei piccoli ruminanti, la scrapie. La scrapie è una malattia naturale, a lento e graduale sviluppo il cui esito è sempre fatale; endemica, essa interessa quasi tutta l’Europa e il mondo. Il controllo e la sorveglianza della popolazione ovina e caprina, per accertare l’eventuale presenza della scrapie, sono stati un requisito della Comunità Europea (UE) fin dal 1991. Con il regolamento (CE) 999/2001 e successive modifiche, la UE ha stabilito le norme per i piani di lotta e monitoraggio in materia di TSE dei piccoli ruminanti, avviando così un sistema di sorveglianza attiva che prevede ogni anno l’obbligo per ogni stato membro di effettuare un numero minimo di test a campione sui capi di età superiore ai 18 mesi, appartenenti alle categorie regolarmente macellati e morti. Nei paesi dell’Unione Europea, in sorveglianza attiva, la probabilità di individuare la scrapie è molto più elevata tra i capi morti che tra gli animali avviati alla regolare macellazione (3,5). Per raggiungere le numerosità campionarie fissate dalla Commissione Europea, la legislazione italiana nel corso del 2005, ha previsto l’esame sistematico di tutti i capi morti sopra i 18 mesi di età. Scopo del presente lavoro è stabilire se la ripartizione geografica del numero di capi morti testati possa servire a valutare l’efficacia del sistema di sorveglianza della scrapie. Si è inteso inoltre valutare se il grado di sorveglianza nelle regioni nel corso degli anni è risultato omogeneo. Conclusioni. I risultati, pur suggerendo ampie oscillazioni nella sorveglianza applicata, vanno interpretati con una certa cautela perché potrebbero in realtà rispecchiare variazioni geografiche reali nella mortalità. Altra causa di differenze potrebbe risiedere nel confondimento per età a cui non è stato possibile far fronte in assenza di dati sulla struttura delle popolazioni ovicaprine considerate. inoltre un diverso grado di attenzione nei confronti del piano di controllo della malattia o problemi economici legati allo smaltimento delle carcasse possono essere alla base delle differenze osservate con il risultato di invalidare parzialmente i dati di sorveglianza. Summary. Reg. (EC) 999/2001 fixed the rules for active surveillance plans on TSEs of sheep and goats in the EU Member States. Even in Italy, the prevalence data for risk category confirmed that the probability of detection of the disease is much higher among fallen stock to the healthy slaughtered. Quite large differences in the geographical rate of fallen stock testing has been shown. The aim of our work was to verify whether the distribution of the number of animals tested as fallen stock can be used to evaluate the effectiveness of the monitoring system of scrapie. Bibliografia 1. 2. 3. Metodi. Il numero osservato di animali morti e testati per scrapie, suddiviso per anno e regione, è stato ricavato dal database nazionale della sorveglianza della scrapie, considerando il periodo che va dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2009. Come denominatore per il calcolo della mortalità regionale osservata è stata utilizzata la popolazione adulta allevata ISTAT (stime campionarie periodiche). In base ai dati ricavati dalla letteratura è stata considerata una mortalità minima attesa, per gli animali adulti, pari al 4% della popolazione adulta totale (1,2). Il grado di sorveglianza raggiunto per singola regione è stato calcolato come rapporto percentuale tra il numero di morti osservato e il numero atteso. I dati raccolti sono stati analizzati con software statistico Stata10.1 4. 5. Risultati. La malattia mostra tassi di prevalenza mediamente 4 volte più alti tra gli animali trovati morti (20,0 IC 95% 17,223,1) rispetto ai capi regolarmente macellati (4,9 IC 95% 4,25,8) (Fig.1). La distribuzione della mortalità annuale riscontrata si scosta in modo rilevante da quella attesa: rispetto ad una mortalità attesa al 4%, in media solo un venticinquesimo di essa viene intercettata (e sottoposta a test). La mortalità osservata risulta relativamente costante lungo i 4 anni considerati mentre varia con la specie (con valori in genere più alti nelle capre) (Fig. 2) e con le regioni dove si osservano ampie oscillazioni e in genere valori più bassi nelle regioni del sud e isole (Fig. 3). 150 Hindson J.C. & Winter A. C.. Manual of sheep diseases. Blackwell Publishing. 2002 v Aitken I. Diseases of Sheep. Wiley-Blackwell Publishing. 2007 Hoinville L.J, Hoek A., Gravenor M.B. & MCLean A. R. Descriptive epidemiology of scrapie in Great Britain: results of a postal survey.2000, Vet. Rec. 146, 455-461. Matthews, L., Coen, P. G., Foster, J. D., Hunter, N. & Woolhouse, M. E. Population dynamics of a scrapie outbreak. .2001, Arch Virol 146, 1173–1186. Health & Consumer protection Directorate General. - Report on the monitoring and testing of ruminants for the presence of Transmissible Spongiform Encephalopaty (TSE) in EU in 2008. XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Fig.1 Sorveglianza attiva : prevalenza per categoria di rischio negli anni (+ivi/10.000 test & 95%CI). Ovini e caprini combinati. Fig.2 Mortalità oservata nel corso degli anni 2006-2009 Fig.3 : Anni 2006-2009. Confronto tra la prevalenza della scrapie tra i capi trovati morti e la mortalità osservata per regione 1) distribuzione geografica delle scrapie (sorveglianza attiva) tra i capi morti: anni 2006-2009 2) mortalità osservata: anni 2006-2009 151 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PROPOSTA DI UN METODO DI CAMPIONAMENTO STANDARDIZZATO PER LA VALUTAZIONE DELLA CONTAMINAZIONE FUNGINA DELL’ARIA IN ALLEVAMENTI DI CONIGLI Bonci M., Mazzolini E., Bano L., Drigo I., Agnoletti F. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Laboratorio di Treviso Key words: air sampling, fungi, rabbit farms SUMMARY The quality of the air inside farms, from the microbiological point of view, depends on the concentration of both bacteria and fungi. The present study focuses on fungal spores and suggests a methodology for the collection of samples aimed at evaluating the extent of total fungi and dermatophytes contamination inside rabbit farms. classificato come “buono” o “scarso” in base alla quantità di pelo accumulato sulle gabbie e lungo i corridoi, visto che tale accumulo è legato alla frequenza e all’accuratezza delle operazioni di pulizia. Allevamenti: nello studio sono stati inseriti sei allevamenti con anamnesi di micosi clinica, ubicati nel Nord Est d’Italia, selezionati in base al tipo di ventilazione, che non facessero ricorso alla nebulizzazione di disinfettanti ad attività antifungina, allo scopo di evitare l’interferenza di tale pratica sulla valutazione quantitativa della contaminazione dell’aria. Allevamento 1: capannone di 36 m di lunghezza e 13 m di larghezza, a ventilazione naturale, in cui sono praticati sia la riproduzione che l’ingrasso, la rimozione delle deiezioni è giornaliera ed il livello di igiene è buono. Allevamento 2: capannone di 70 m di lunghezza e 12 m di larghezza, che accoglie il settore riproduzione ed è dotato di un sistema di ventilazione longitudinale; la deiezioni sono accumulate per lunghi periodi nelle fosse di raccolta sottostanti le gabbie e il livello di igiene è scarso. Allevamento 3: capannone di 60 m di lunghezza e 12 m di larghezza, provvisto di un sistema di ventilazione trasversale, in cui si praticano sia la riproduzione che l’ingrasso; la rimozione delle deiezioni è giornaliera ed il livello di igiene è buono. Allevamento 4: capannone di 50 m di lunghezza e 12 m di larghezza, con un sistema di ventilazione trasversale, che al momento della sperimentazione accoglieva conigli nella fase di ingrasso. La rimozione delle deiezioni è giornaliera ed il livello di igiene è buono. Allevamento 5: capannone di 47 m di lunghezza e 15 m di larghezza, con un sistema di ventilazione longitudinale, in cui sono praticati sia la riproduzione che l’ingrasso. La rimozione delle deiezioni avviene ogni 2-3 giorni e il livello di igiene è scarso. Allevamento 6: capannone di 50 m di lunghezza e 13 m di larghezza, a ventilazione naturale, che accoglie il settore riproduzione e alcuni animali all’ingrasso. La rimozione delle deiezioni è giornaliera e il livello di igiene è buono. Esame microbiologico: il prelievo dei campioni d’aria è stato effettuato con SAS Super 100® (PBI International), un campionatore portatile che consente la rilevazione di funghi e batteri attraverso l’impatto di un volume di aria noto su piastre Petri contenenti un appropriato terreno di coltura. Sulla base di alcune valutazioni preliminari si è deciso di prelevare campioni di 20 l d’aria, utilizzando Sabouraud Dextrose agar addizionato di cloramfenicolo (SCA) per le spore fungine totali e Mycobiotic agar (MA) per i dermatofiti. Le piastre erano incubate a temperatura ambiente ed ispezionate a cinque (SCA) e a sette (MA) giorni d’incubazione per la conta delle colonie. Le cariche erano espresse sotto forma di unità formanti colonia/m3 di aria (UFC/m3). I D erano identificati sulla base delle caratteristiche macroscopiche e microscopiche delle colonie, mentre l’identificazione dei FT non era prevista. Analisi statistica Studio n. 1: per valutare l’associazione tra le cariche dei FT e quelle dei D sono stati utilizzati l’analisi di varianza (ANOVA) ed un modello di regressione lineare. A tale scopo INTRODUZIONE Le spore fungine che contaminano l’aria all’interno degli allevamenti intensivi di conigli derivano da miceti ambientali, da miceti saprofiti o commensali associati agli animali e all’uomo e, soprattutto, da miceti parassiti primari degli animali. Nel coniglio, infatti, la micosi è estremamente diffusa e dati di letteratura indicano che il 60-80% degli allevamenti è infetto (1, 4). Gli agenti eziologici sono Trichophyton mentagrophytes e, in misura minore, Microsporum canis; entrambi, oltre a compromettere il benessere e la produttività degli animali malati, sono agenti di zoonosi a cui sono esposti sia coloro che lavorano in allevamento che gli addetti alla macellazione (2, 3). Scopo del presente studio è la definizione di un metodo di campionamento standardizzato che dia garanzia di attendibilità del dato ottenuto. E’ stata pertanto valutata l’influenza che l’allevamento, il sito, l’altezza ed il momento del prelievo nell’arco della giornata hanno sulla concentrazione di spore di funghi totali e di dermatofiti. Tutto ciò anche nell’ottica di una valutazione oggettiva della qualità microbiologica dell’aria dell’ambiente in cui sono tenuti gli animali produttori di derrate alimentari, nel più ampio contesto della valutazione della qualità dell’ambiente di vita degli stessi. MATERIALI E METODI Disegno sperimentale e campionamento Studio n. 1: per stimare la varianza della concentrazione di spore fungine totali (FT) e di spore di dermatofiti (D) riconducibile all’allevamento e, all’interno dello stesso allevamento, al sito di campionamento (corridoi, per quanto riguarda la larghezza e punti di campionamento lungo i singoli corridoi, per quanto riguarda la lunghezza), sono stati selezionati sei allevamenti in ognuno dei quali, in occasione di quattro sopralluoghi, sono stati prelevati campioni d’aria, in punti predefiniti di ciascun corridoio, ad una distanza regolare di 6-7 metri. Studio n. 2: per stimare l’influenza dell’altezza del punto di campionamento sulle concentrazioni di FT e di D, in ciascun allevamento sono stati prelevati tre campioni d’aria a tre diverse altezze (a livello del pavimento, ad 1 m e a 2 m d’altezza), in almeno quattro punti selezionati in modo casuale. In concomitanza coi suddetti prelievi non era condotto alcun tipo di attività all’interno del capannone. Studio n. 3: per stimare la varianza della concentrazione di FT e di D riconducibile alla collocazione temporale del prelievo nell’arco della giornata, sono stati prelevati, ad intervalli di tre ore, nel corso di una giornata (dalle 9.00 alle 18.00), campioni d’aria in un unico punto di prelievo per ciascun corridoio. Per ogni allevamento era valutato il livello d’igiene, 152 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 le distribuzioni di frequenza delle cariche di FT e D sono state normalizzate mediante trasformazione logaritmica (log10). Studio n. 2 e studio n. 3: per valutare l’influenza sulla concentrazione di FT e D dell’altezza del punto di prelievo e del momento del prelievo nel corso della giornata sono state calcolate la media dei valori rilevati e la deviazione standard (σ). dei D a 1 m e 2 m d’altezza è nettamente superiore rispetto alla concentrazione rilevata ad altezza pavimento. Ciò è verosimilmente riconducibile al fatto che a 1-2 m d’altezza si trovano le gabbie e, quindi, i conigli che albergano il dermatofita di cui rilasciano le spore. Dai dati raccolti risulta che, in linea generale, la concentrazione della carica dei FT e dei D è piuttosto omogenea nell’arco della giornata. RISULTATI E DISCUSSIONE Studio n. 1: in ogni allevamento sono stati campionati da 6 a 11 siti per corridoio per un totale di 1048 campioni, sia per la determinazione dei FT che per quella dei D. Sono risultati idonei 922 campioni per i FT e 1018 per i D, i restanti prelievi sono risultati inidonei alla conta delle colonie per la confluenza delle stesse o per lo sviluppo di muffe a rapida crescita. L’ANOVA e il modello di regressione lineare hanno evidenziato che la concentrazione, sia dei FT che dei D, è associata principalmente all’allevamento e che la distribuzione delle spore dei FT è indipendente dai corridoi mentre per i D, in 3 degli allevamenti campionati, è stata evidenziata una certa correlazione del livello di contaminazione con alcuni dei corridoi. Non sono stati evidenziati gradienti nella concentrazione delle spore di FT, né in senso trasversale né in senso longitudinale, sembra pertanto che il flusso dell’aria atteso, in relazione al tipo di ventilazione, all’interno del capannone, non influenzi la dispersione delle spore. Inoltre gli allevamenti n. 2 e 5 hanno fatto registrare il più elevato grado di contaminazione da FT. Essi sono accomunati sia dal tipo di ventilazione (longitudinale) che dallo scarso livello di igiene per cui, sia quest’ultimo aspetto che una possibile minor efficienza dello stesso sistema di ventilazione potrebbero spiegare le cariche fungine più elevate. Tuttavia, dato il limitato numero degli allevamenti inseriti nello studio, non è possibile fare considerazioni sulla correlazione esistente tra la dispersione spaziale e la numerosità delle spore e il tipo di ventilazione. Nei sei allevamenti è stato isolato esclusivamente T. mentagrophytes, a riprova del fatto che si tratta del dermatofita più comune nel coniglio (1, 4). Nella figura n. 1 è riportata la distribuzione delle cariche dei FT e dei D suddivisa per allevamenti. CONCLUSIONI Il presente studio analizza la procedura per il campionamento dell’aria negli allevamenti intensivi di coniglio, aspetto che non è mai stato affrontato con un approccio statistico. I risultati ottenuti suggeriscono che per una corretta stima del livello medio di contaminazione da spore fungine totali di un allevamento, il prelievo può essere effettuato con SAS Super 100®, campionando l’aria in ciascun corridoio, in un unico punto scelto in modo casuale, ad un’altezza compresa tra 0 e 2 m. In caso di livelli medi di contaminazione risulta appropriato un campione di 20 l d’aria, se invece si sospetta un livello di contaminazione elevato è opportuno ridurre il volume allo scopo di limitare l’incidenza di campioni inadatti per confluenza delle colonie. La media aritmetica delle cariche relative ai singoli campioni, espressa come UFC/m3 di aria, può essere considerata sufficientemente rappresentativa del grado di contaminazione medio. Infine, poiché non è stata riscontrata variabilità giornaliera, non è necessario ripetere il campionamento più volte nell’arco della giornata e un unico sopralluogo in allevamento è sufficiente. Per quanto riguarda i dermatofiti, il livello medio di contaminazione di un allevamento con micosi clinicamente manifesta può essere valutato prelevando 20 l d’aria con SAS Super 100®, ad un’altezza di 1-2 m, in ognuno dei corridoi, in occasione di un unico sopralluogo in allevamento. Nella scelta dei siti di campionamento dovrebbero essere privilegiati i punti in corrispondenza di gabbie contenenti animali con lesioni, tipicamente rappresentati da conigli in fase di presvezzamento e ingrasso, in quanto sembra che la distribuzione delle spore di dermatofiti sia in una certa misura legata alla collocazione degli animali malati. Potrebbe essere necessario prelevare un maggiore volume di aria e/o aumentare il numero dei prelievi per incrementare la sensibilità qualora in allevamento la micosi sia lieve e/o poco diffusa. Come per i FT, la media aritmetica delle cariche dei singoli prelievi, espressa come UFC/m3 di aria, può rappresentare in modo soddisfacente la contaminazione media. Figura 1. Distribuzione delle cariche di FT e D rilevate nei 6 allevamenti (Studio n. 1) Ringraziamenti Questo studio è stato realizzato grazie al finanziamento dal Ministero della Salute nell’ambito del progetto di ricerca corrente IZSVe 01/08 “Valutazione di alcuni parametri ambientali in allevamenti di conigli da carne e correlazioni col benessere animale”. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Coccioli C., Cafarchia C., Romito D., Guastamacchia M., Capelli G., Camarda A., Otranto D. 2008. Dermatophytoses in rabbit farms: epidemiology and risk factors. Parassitologia 50: 188. 2. De La Torre A.M., Cuenca-Estrella M., Rodrĺguez-Tudela J.L. 2003. Estudio epidemiológico sobre las dermatofitosis en España (abriljunio 2001). Enferm. Infecc. Microbiol. Clin. 21(9): 477-483. 3. Romano C. 1999. Tinea capitis in Siena, Italy. An 18-year survey. Mycoses 42: 559-562. 4. Torres-Rodríguez J.M., Dronda M.A., Rossell J., Madrenys N. 1992. Incidence of dermatophytoses in rabbit farms in Catalonia, Spain, and its repercussion on human health. Eur. J. Epidemiol. 8(3): 326-329. Studio n. 2 e n. 3: dal confronto tra le medie dei valori registrati a diverse altezze e tra queste e la media complessiva, è emerso che la concentrazione dei FT sembra non essere correlata con l’altezza del prelievo, mentre quella 153 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SVILUPPO DI UN PROTOCOLLO PER LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ DELL’AMBIENTE NELL’ALLEVAMENTO INTENSIVO DEL CONIGLIO: FASI PRELIMINARI Bonci M.1, da Borso F. 2, Mezzadri M.2, Teri F.2, Bano L.1, Drigo I.1, Mazzolini E.1, Agnoletti F.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – Laboratorio di Treviso 2 Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali - Università di Udine Key words: coniglio, benessere, ambiente d’allevamento SUMMARY The health and welfare of intensively reared rabbits can be affected by environmental parameters such as temperature, relative humidity, air speed, air flow, total dust, noxious gases and airborne bacteria and fungi. The present paper describes a protocol for the measurement of these parameters and illustrates exemplifying results. This study is preliminary to the definition of a methodology for the exhaustive study of the environment inside rabbit buildings, whose routine use could guide the removal of environment-related distress, likely to foster important diseases, thus improving rabbit welfare. le fasi prescelte sono il post-svezzamento (una settimana dopo lo svezzamento) e la pre-macellazione (nei 10 giorni che la precedono). Infine sono stati definiti i punti di campionamento all’interno dei ricoveri e le modalità pratiche di rilievo dei diversi parametri, che sono riportate di seguito. Parametri microclimatici: la temperatura e l’umidità relativa sono misurate in modo automatico e continuo per l’intera settimana di monitoraggio, mediante tre sensori di temperatura e tre sensori di umidità (Econorma FT-102), posizionati in diversi punti: all’intersezione degli assi longitudinale e trasversale dell’edificio, a metà della parete longitudinale contrapposta ai ventilatori (ventilazione trasversale) o a metà della parete trasversale, in vicinanza dei ventilatori (ventilazione longitudinale) e all’esterno dell’edificio, sul lato Nord. Per verificare l’esistenza di difformità fra le diverse zone del capannone, si effettuano misurazioni manuali della temperatura e dell’umidità relativa con sensori Pt-100 e della velocità dell’aria con anemometro a filo caldo (LSI Babuc M), alternativamente in due o tre punti lungo ciascun corridoio tra le batterie di gabbie. In ogni punto si fanno due rilevazioni per parametro, una sopra ed una sotto la fila di gabbie. Il calcolo della portata di ventilazione prevede la misurazione della velocità dell’aria a livello dei ventilatori e la misurazione della superficie degli stessi; la portata dell’aria di ricambio deriva dal calcolo della portata di ventilazione complessiva in relazione al volume totale del capannone. Parametri relativi alla qualità dell’aria: la concentrazione di gas nocivi quali l’ammoniaca (NH3), l’anidride carbonica (CO2), il protossido d’azoto (N2O) e il metano (CH4) è monitorata in modo automatico e continuo per l’intera settimana, per mezzo di due analizzatori multi-gas di tipo fotoacustico ad infrarosso (1302 Brüel & Kjær and 1412 Photoacoustic Field Gas-Monitor, Innova AirTech Instruments), programmati per prelevare ed analizzare campioni di aria ogni 30 minuti. Sono stati individuati due punti di campionamento, uno al centro del capannone, l’altro in corrispondenza del flusso dell’aria estratta da uno dei ventilatori. La concentrazione dei gas nocivi è misurata anche manualmente, in diversi punti del capannone, gli stessi in cui sono rilevati manualmente temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, al di sopra delle gabbie. Infine, l’idrogeno solforato (H2S) è misurato manualmente, all’inizio ed alla fine di ogni settimana di monitoraggio, per mezzo dell’Indoor Air Quality monitor AirBoxx® (KD Engineering), posizionato sulle gabbie al centro del capannone. Le polveri sono misurate al primo e all’ultimo giorno della settimana di monitoraggio, con metodo gravimetrico, per mezzo di un campionatore d’aria portatile a flusso costante (Zambelli ZB2) che raccoglie le particelle di polvere su un filtro a membrana in cellulosa dotato di una porosità di 0,8 μm ed è provvisto di un contatore che registra la quantità d’aria aspirata. Lo strumento è posizionato al centro dell’edificio, sopra le gabbie e attivato ad un flusso di 20 l d’aria al minuto. La durata media del campionamento è di 90 minuti. La concentrazione di polveri totali (mg/m3) è calcolata per differenza tra il peso del filtro dopo e prima del campionamento e tenendo conto del volume complessivo dell’aria aspirata. I filtri sono pesati con l’ausilio di una bilancia analitica (10-5 g) dopo un condizionamento di 24 ore in termostato a 35±1 °C. INTRODUZIONE L’attenzione crescente verso il benessere animale ha indotto ad intraprendere numerosi studi al fine di comprendere gli svariati aspetti che incidono sul benessere degli animali produttori di derrate alimentari. L’ambiente d’allevamento è strettamente legato al benessere animale, ne è dimostrazione il fatto che le patologie che affliggono gli animali negli allevamenti intensivi sono in gran parte condizionate (1, 5). I parametri rappresentativi della qualità dell’ambiente d’allevamento sono, tra gli altri, quelli legati al microclima e quelli legati alla qualità dell’aria (2, 3, 4). Il microclima risente delle condizioni atmosferiche esterne, delle caratteristiche costruttive dei ricoveri e della densità d’allevamento ed è controllato mediante sistemi di ventilazione naturale o forzata, la cui capacità di mantenere i livelli di temperatura ed umidità nel range ottimale per la specie allevata, può ripercuotersi sia sullo stato sanitario, che sulle performance degli animali. Infatti condizioni microclimatiche inadeguate possono favorire l’insorgenza di patologie respiratorie ed enteriche ed influenzare negativamente la produttività, costringendo gli animali ad un maggior dispendio energetico per il mantenimento dell’omeostasi. La qualità dell’aria risente in parte dei fattori che influenzano il microclima, in parte dalle pratiche gestionali (3, 5). Scopo del presente studio è la definizione di una procedura per il monitoraggio ambientale negli allevamenti cunicoli, caratterizzati da una spiccata eterogeneità, sia strutturale che impiantistica. I risultati ottenuti applicando un protocollo di monitoraggio consolidato possono infatti rappresentare una valida base per la pianificazione di miglioramenti strutturali e/o gestionali. Il protocollo presentato è attualmente adottato nell’ambito di un progetto di ricerca per la valutazione delle correlazioni esistenti tra alcuni parametri ambientali e il benessere dei conigli all’ingrasso. MATERIALI E METODI Per la definizione del protocollo sono stati in primo luogo individuati i parametri che, in base alla letteratura tecnica e scientifica sull’argomento, meglio definiscono il microclima e la qualità dell’aria negli allevamenti di conigli all’ingrasso. Per quanto riguarda il microclima sono stati selezionati la temperatura, l’umidità relativa, la velocità dell’aria, la portata dell’aria di ricambio e la portata di ventilazione complessiva; per quanto riguarda la qualità dell’aria sono stati selezionati le polveri totali, la concentrazione di gas nocivi e la concentrazione di batteri e spore fungine. In secondo luogo sono stati scelti le fasi del ciclo d’ingrasso da monitorare e la durata di ogni sessione di monitoraggio. Quest’ultima è stata definita in una settimana e 154 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Per lo studio della qualità microbiologica dell’aria si determina la concentrazione di batteri e spore fungine. Per entrambi sono rilevati sia le carica totale che la concentrazione di specie patogene per il coniglio, quali Staphylococcus aureus, Pasteurella multocida e i dermatofiti Trichophyton mentagrophytes e Microsporum canis. Le cariche si calcolano su volumi di 50 e di 20 l d’aria, rispettivamente per i batteri e per le spore fungine, prelevati mediante il campionatore portatile SAS Super 100® (PBI International) ad altezza delle gabbie, in cinque diversi punti, uno al centro del capannone e due su ognuno dei lati dello stesso, di cui uno vicino all’entrata e l’altro vicino al fondo, in modo da tener conto di un’eventuale disomogeneità nella distribuzione dei batteri e delle spore fungine. I terreni di coltura e i tempi d’incubazione sono stati scelti in funzione del tipo di microrganismo da rilevare e le cariche, batteriche e fungine, calcolate come unità formanti colonia (UFC)/m3. Il suddetto protocollo sperimentale è sistematicamente applicato in due diversi allevamenti, nei cicli d’ingrasso che si avvicendano nel corso di un anno solare. l’individuazione dei punti critici stagionali e rappresenteranno la base per la stesura di un protocollo di monitoraggio semplificato ed applicabile in campo. Figura 3. Distribuzione spaziale della concentrazione di ammoniaca in un allevamento a ventilazione forzata longitudinale (sopra) e trasversale (sotto). RISULTATI E DISCUSSIONE Nelle figure n. 1 e 2 sono riportati degli esempi dei risultati del monitoraggio continuo, rispettivamente della temperatura e dei gas. La registrazione continua dei parametri climatici esterni ed interni evidenzia gli effetti del sistema di ventilazione e consente di valutarne l’efficacia. CONCLUSIONI L’approccio integrato dell’Unione Europea al tema della sicurezza alimentare comporta che la qualità del prodotto finale è frutto della qualità che caratterizza l’intero processo produttivo, a partire dalla produzione primaria. Pertanto lo stato di salute e il benessere degli animali produttori di derrate alimentari influenzano la sicurezza e la qualità della carne da essi prodotta. L’applicazione, ad allevamenti con caratteristiche strutturali diverse, di un protocollo standardizzato migliorerà la comprensione di importanti aspetti, finora scarsamente studiati, relativi alle condizioni di vita dei conigli da carne e potrà contribuire al loro benessere. Potrà infatti fornire dati oggettivi per programmare interventi, strutturali o gestionali, necessari alla rimozione di condizioni ambientali stressanti e predisponenti nei confronti di svariate patologie, concorrendo così, indirettamente, anche ad una possibile riduzione dell’uso degli antibiotici nell’allevamento intensivo del coniglio. Figura 1. Temperature rilevate all’interno e all’esterno di un allevamento durante una settimana della primavera 2010. Figura 2. Concentrazioni di ammoniaca e anidride carbonica in un allevamento a ventilazione trasversale durante una settimana dell’inverno 2010. Ringraziamenti Questo studio è stato realizzato grazie al finanziamento del Ministero della Salute nell’ambito del progetto di ricerca corrente IZSVe 01/08 “Valutazione di alcuni parametri ambientali in allevamenti di conigli da carne e correlazioni col benessere animale”. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Hartung J. The Effect of Airborne Particulates on Livestock Health and Production, in I. Ap Dewi, R.F.E. Axford, I. Fayez M. Marai, H. Omed (Eds.) Pollution in Livestock Production System, CAB International, Wallingford, UK, 1994, pp. 55-69. 2. Hartung J., Phillips V.R. (1994). Control of Gaseous Emissions from Livestock Buildings and Manure Stores. J. agric. Engng. Res., 57:173-189. 3. Müller H.-J., Brunsch R. Technical Solutions for Reduction of Heat Stress in Animal Houses, in Proceedings of Clima 2007 WellBeing Indoors, Helsinki June 10th-14th 2007, pp. 1407–1414. 4. Seedorf J., Hartung J., Schröder M., Linkert K.H., Pedersen S., Takai H., Johnsen J.O., Metz J.H.M., Groot Koerkamp P.W.G., Uenk G.H., Phillips V.R., Holden M.R., Sneath R.W., Short J.L., White R.P., Wathes C.M. (1998). Temperature and Moisture Conditions in Livestock Buildings in Northern Europe. J. agric. Engng. Res. 70: 49-57. 5. Wathes C.M. and Charles D.R. (Eds.), Livestock Housing, CAB International Wallingford, UK, 1994, pp. 3-68, 97-148. La registrazione continua delle concentrazioni dei gas nocivi consente di rilevarne le fluttuazioni giornaliere, mentre le registrazioni effettuate in più punti della superficie del capannone danno informazioni sulla distribuzione spaziale dei gas, come esemplificato graficamente nella figura n. 3. Le medie, giornaliere o settimanali, delle cariche batteriche e fungine e della concentrazione delle polveri possono essere messe in relazione con parametri ambientali ed utilizzate come indicatori del livello di igiene e della situazione sanitaria dell’allevamento. I dati raccolti durante la sperimentazione, tuttora in corso, consentiranno 155 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ANALISI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN PECORE INFETTATE PER VIA INTRAMAMMARIA CON STREPTOCOCCUS UBERIS Bonelli P, Marogna G, Re R, Pilo GA, Pais L, Fresi S, Schianchi G, Nicolussi P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi” Parole chiave: mastite, S. Uberis, risposta immunitaria, subsets leucocitari. ABSTRACT Streptococcus uberis is an environmental pathogen that causes a significant proportion of clinical and subclinical mastitis in ruminants. In spite of this, its pathogenesis is incompletely understood. This study aimed to evaluate immunological response in sheep following experimentally induced S. uberis mastitis. Our results indicate the importance of neutrophils in initial non-specifc defence against this pathogen during the first week after infection, suggesting that the onset of a specific immune response occurs later. goccia di sospensione cellulare e successiva colorazione di tipo Romanowsky, diafanizzazione e montaggio. Le sottopopolazioni linfocitarie sono state identificate su sangue intero e su latte con l’impiego degli anticorpi monoclonali riportati in tabella 1. Per i campioni di sangue è stato impiegato un protocollo di marcatura diretta “Lyse and wash” a 3 colori (CD25/CD8/CD4 WC1/CD8/CD4), mentre per i campioni di latte si è proceduto alla marcatura a 4 colori (CD25/CD8/CD45/CD4 - WC1/CD8/CD45/ CD4). INTRODUZIONE Le mastiti infettive rappresentano una tra le maggiori problematiche sanitarie ed economiche con cui ci si confronta regolarmente nell’allevamento degli ovini da latte (1, 2). Tra le infezioni mammarie causate da batteri ambientali, la prevalenza di Streptococcus uberis appare elevata nell’allevamento bovino (3). Recentemente lo S. uberis è stato segnalato in Sardegna come l’agente patogeno più isolato dal latte ovino mastitico (4). In letteratura esistono esigui riferimenti sul ruolo eziopatogenetico di tale batterio nella pecora, mentre diverse sono le pubblicazioni relative alle infezioni sperimentali eseguite nella specie bovina. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare la risposta immunitaria di pecore infettate sperimentalmente per via intramammaria con S. uberis. Tabella 1. Anticorpi monoclonali utilizzati per l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie nel latte e nel sangue Analisi Statistica L’analisi della varianza (one-way ANOVA) è stata effettuata con l’ausilio del software statistico Minitab (MInitab inc.). MATERIALI E METODI Animali La prova è stata condotta su 4 pecore primipare di razza Sarda durante la prima metà di lattazione. Gli animali sono stati selezionati in base al loro stato di sanitario e alla loro accertata sieronegatività nei confronti di Streptococcus uberis. Quindici giorni prima dell’infezione sperimentale le pecore sono state stabulate presso l’azienda sperimentale dell’IZS della Sardegna per consentire un adeguato periodo di adattamento alle nuove condizioni di allevamento. Infezione Sperimentale L’emimammella sinistra di ciascuna pecora veniva infettata per via intracanalicolare con 2 x 107 UFC di Streptococcus uberis, mentre le emimammelle destre, non inoculate, costituivano il controllo. Visite Cliniche Lo stato sanitario delle pecore è stato monitorato quotidianamente per una settimana dopo l’infezione attraverso l’esecuzione di visite cliniche generali, incluso il rilievo della temperatura rettale e l’esame dell’apparato mammario. Campionamento ed Esami di Laboratorio E’ stato effettuato un campionamento di sangue e di latte di emimammella il giorno 0 (inoculo di S. Uberis) e 2, 3, e 6 giorni dopo l’infezione sperimentale. Sui campioni di sangue sono stati eseguiti l’esame emocromocitometrico completo (ADVIA 2120, Siemens) e l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in citometria a flusso (FACS Calibur, BD). Sui campioni di latte intero sono stati eseguiti l’esame colturale, la formula leucocitaria (esame microscopico ed automatico) e l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in citometria a flusso. A tale scopo, si è proceduto innanzitutto all’ottenimento di una sospensione cellulare previa scrematura del latte tramite centrifugazione (500g x 20’ a 10°C), recupero del pellet cellulare e lavaggi intensivi in PBS. L’allestimento dei vetrini è stato effettuato tramite lo striscio di una RISULTATI Le visite cliniche non hanno messo in evidenza alcun sintomo generale ad eccezione di un lieve rialzo della temperatura rettale nei giorni seguenti l’infezione sperimentale. L’esame dell’apparato mammario testimoniava la presenza di segni clinici riferibili a mastite esclusivamente nelle emimammelle inoculate. Inoltre, si riscontrava la produzione di un secreto mammario sieroso con frustoli caseinici il giorno successivo all’inoculo che si modificava in essudato purulento dal giorno 2. La totalità degli esami colturali dei campioni prelevati dal giorno 2 e provenienti dalle emimammelle infettate risultavano positivi per Streptococcus uberis. La presenza del germe non veniva riscontrata nei campioni provenienti dalle emimammelle controllo. Dall’esame emocromocitometrico completo eseguito sui campioni di sangue si è evidenziata una significativa diminuzione (P≤0.05) dei globuli bianchi a partire dal giorno 3, determinata da una minore presenza in circolo di granulociti neutrofili e linfociti (Fig.1). Le analisi citometriche hanno consentito un maggiore approfondimento mostrando come vi sia stato un decremento dei diversi subsets linfocitari esaminati: T helper, T citotossici, T γδ. Si è comunque riscontrato una maggiore presenza dei WC1+ (P≤0.01) il giorno successivo all’inoculo con una contestuale maggiore coespressione del recettore dell’IL-2, indice di attivazione linfocitaria. I risultati della formula leucocitaria nel latte mostrano come vi siano delle situazioni inverse rispetto a quanto osservato nel sangue. Infatti, pur non essendoci differenze significative rispetto alle emimammelle controllo, in quelle infettate si è riscontrato un aumento dei globuli bianchi al giorno 2 (Fig.2) e dei neutrofili al giorno 3 (fig. 3), mentre i linfociti tendevano a diminuire dal giorno 3 (Fig.4). Lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie del latte ha evidenziato come i linfociti T citotossici siano presenti in misura significativamente (P≤0.05) minore nelle emimammelle infette. 156 Antigene Fluorocromo Reattività Ditta CD25 WC1 CD8 CD45 CD4 FITC FITC RPE Biotinilato Alexa F. 647 IL-2 R T γδ T citotossici Leucociti T helper Serotec Serotec Serotec Serotec Serotec R. secondario Fluorocromo Ditta Streptavidina RPE-Cy5 Serotec XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 8. Winter P., Colditz I.G., (2002). Immunologicla response of the lactating ovine udder following experimental challenge with Staphylococcus epidermidis. Vet. Immunol. Immunopath. 89, 57-65. DISCUSSIONE L’infezione intramammaria con S. uberis ha determinato un’infiammazione acuta della mammella con secrezione purulenta esclusivamente nelle emimammelle inoculate senza alcun coinvolgimento generale. La risposta infiammatoria nelle prime fasi dell’infezione da S. uberis, come già riportato da altri autori per il bovino (5, 6) è caratterizzata da una massiva infiltrazione di granulociti neutrofili nella ghiandola mammaria accompagnata da una contemporanea diminuzione dei neutrofili circolanti (7). I nostri risultati, in accordo con quanto affermato dai suddetti autori per il bovino, confermano l’importanza dei neutrofili e della risposta immunitaria aspecifica nelle mastiti da S. uberis anche nella specie ovina. L’assenza di differenze significative, riscontrabili confrontando i dati relativi alla formula leucocitaria del latte proveniente dalle due emimammelle, potrebbe essere una conseguenza della infiltrazione leucocitaria dell’intera ghiandola mammaria. Infatti, come si evince dai risultati rappresentati in figura 3, pur essendo superiore il numero dei leucociti infiltranti la emimammella infettata, si riscontrano quantità consistenti di globuli bianchi anche nelle emimammelle controllo. Ciò potrebbe essere stato determinato dalla risposta infiammatoria locale e dalla conseguente produzione di fattori chemiotattici in grado di esplicare la loro azione anche sulla emimammella controlaterale. D’altronde Rambeaud et al. (6) e Pedersen et. al. (7) hanno evidenziato come nel bovino in seguito ad infezioni sperimentali con S. uberis si potevano riscontrare minime concentrazioni di citochine infiammatorie e di proteine della fase acuta anche nei quarti mammari non infettati. Resta da stabilire se l’entità della risposta infiammatoria locale possa essere stata influenzata dall’elevata carica infettante impiegata per questa prova sperimentale. Le analisi delle sottopopolazioni linfocitarie del latte hanno evidenziato come l’infezione con S. uberis non abbia determinato un’adeguata attivazione e proliferazione linfocitaria (Fig.4). Come già osservato da Winter et al. nel bovino (8), possiamo supporre che, anche nella pecora, la risposta immunitaria specifica nei confronti di S. uberis a livello mammario si manifesti tardivamente rispetto alla massiccia infiltrazione neutrofila che caratterizza la prima settimana post infezione. Ulteriori ricerche sono necessarie per la valutazione delle citochine coinvolte nella risposta immunitaria contro S. uberis al fine di meglio comprendere i meccanismi di difesa aspecifica e specifica utilizzati dall’ovino per contrastare le infezioni mammarie da patogeni ambientali. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Figura 1. Formula leucocitaria del sangue. *indica differenze significative rispetto al giorno 0 (P≤0.05) Figura 2. Formula leucocitaria del latte: .globuli bianchi nelle emimammelle infettate e in quelle controllo. Figura 3. Formula leucocitaria del latte: .granulociti neutrofili nelle emimammelle infettate e in quelle controllo BIBLIOGRAFIA Bergonier D., De Crémoux R., Rupp R., Lagriffoul G., Berthelot X., (2003). Mastitis of dairy small ruminants. Veterinary Research 34, 689-716. Contreras A., Sierra D., Corrales J.C., Marco J.C., Paape M.J., Gonzalo C., (2007). Mastitis in small ruminants. Small Ruminant Research 68, 145-153. Phuektes L.H., Mansel P.D., Rodney S.D., Hooper N.D., Dick J.S., Browning G.F., (2001). Molecular epidemiology of Streptococcus uberis isolates from dairy cows with mastitis. J. Clin. Microbiol. 39, 1460-1466. Marogna G., Rolesu S., Lollai S., Tola S., Leori S.G., (2010). Clinical findings in sheep farms affected by recurrent bacterial mastitis. Small Rum. Res. 88, 119-125. Bannermann D.D., Paape M.J., Goff J.P., Rimura K., Lippolis J.D., Hope J.C., (2004). Innate immune response to intramammary infection with Serratia marcescens and Streptococcus uberis. Veterinary Research 35, 681-700 Rambeaud M., Almeida R.A., Pighetti G.M., Oliver S.P. (2003). Dynamics of leukocytes and cytokines during experimentally infected induced Streptococcus Uberis mastitis. Vet. Immunol. Immunopath. 96193-205. Pedersen L.H., Aalbæk B., Rǿntved C.M., Ingvartsen K.L., Sorensen N.S., Heegard P.M.H., Jensen H.E., (2003). Early pathogenesis and inflammatory response in experimental bovine mastitis due to Streptococcus uberis. J. Comp Path. 128, 156-164. Figura 4. Formula leucocitaria del latte: linfociti nelle emimammelle infettate e in quelle controllo 157 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INTERSCAMBIO DATI TRA PIATTAFORME INFORMATICHE PER LA GESTIONE DEI CAMPIONI NELL’AMBITO DEL PIANO NAZIONALE BSE E SCRAPIE 1 1 Bortolotti L., 1Breda T., 1Lanari M., 2Favero L., 3Benvegnù F., 1Bozza M.A., 1Granato A., 1Zampieri A., 1Mutinelli F. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro ; 2 Regione Veneto - Unità di Progetto per la Sanità Animale e la Sicurezza Alimentare, Venezia ; 3Info.c.e.r. S.A.S, Mestre Key words: BSE, Scrapie, informatizzazione di data entry. Si è dunque realizzata una soluzione informatica che consente di ridurre errori di digitazione, snellire le operazioni di registrazione dei campioni per il laboratorio e monitorare l’effettuazione del campionamento per la Regione. INTRODUZIONE. Secondo il Piano Nazionale di Controllo, Sorveglianza ed Eradicazione della BSE e della Scrapie, (di seguito denominato Piano), la “sorveglianza attiva” prevede la ricerca della malattia, utilizzando specifici test di screening definiti “test rapidi” condotti su campione di obex di: − bovini di età superiore a 48 mesi, regolarmente macellati o appartenenti alle categorie a rischio (macellazione d’urgenza, differita, morti) nati in Italia o in uno dei Paesi riportati nell’allegato della Decisione della Commissione n. 2008/908/CE e n. 2009/719/ CE. Per i bovini nati negli Stati membri non in elenco, l’età dell’animale da sottoporre all’esame deve essere superiore a 30 mesi per i regolarmente macellati e superiore a 24 mesi per gli appartenenti alle categorie a rischio; − ovini e caprini di età superiore ai 18 mesi o con due incisivi permanenti, regolarmente macellati o appartenenti alle categorie a rischio. La quota di ovicaprini regolarmente macellati o morti da testare viene fissata annualmente per ciascuna Regione sulla base dei volumi di macellazione e sulla base del patrimonio ovi-caprino stimato. I test vengono eseguiti dagli II.ZZ.SS. competenti per territorio. A seguito delle risultanze di specifiche ispezioni comunitarie, le attività di Piano vengono considerate dal Ministero della Salute di notevole importanza, al punto che dal 2010 il raggiungimento dell’obiettivo di testare almeno il 75% dei bovini morti è stato inserito tra gli indicatori dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Il Centro di Referenza Nazionale per le Encefalopatie Spongiformi trasmette trimestralmente alle Regioni gli elenchi relativi ai capi esaminati (morti/macellati) perchè monitorino e verifichino il corretto svolgimento del Piano. La presenza di una consolidata banca dati anagrafica del singolo capo bovino permette raffronti molto accurati tra il numero di capi venuti a morte/macellati da campionare ed il numero di capi testati. In Veneto è stato sviluppato un sistema per il raffronto automatizzato per codice identificativo dei capi bovini da esaminare/esaminati, per evidenziare i casi anomali e verificarli direttamente con l’ausilio dei Servizi Veterinari territoriali. In tale ambito, si è rilevato che tra i motivi del mancato incrocio informatico dei capi, vi è la errata indicazione della marca auricolare rispetto a quanto registrato in anagrafe (17% dei capi risultati in anomalia nel 2007-2008). Per quanto riguarda gli ovi-caprini l’anagrafe del singolo capo è in corso di completamento, i capi registrati rappresentano circa l’85% degli animali da riproduzione presenti in Veneto. Nel corso del 2009 l’IZSVe ha esaminato 38.408 campioni di bovini e 3.505 di ovicaprini, che devono essere di regola accettati, analizzati e refertati in tempi molto brevi, benché il processo di accettazione dei campioni preveda il ricontrollo manuale delle singole registrazioni in modo da evitare errori MATERIALI E METODI. I sistemi informatici di riferimento sono: − BDR (Banca Dati Regionale dell’Anagrafe Zootecnica del Veneto), in cui sono registrati i singoli capi bovini ed ovi-caprini, interconnessa con la Banca Dati Nazionale (BDN) − IZILAB (gestionale dei laboratori dell’IZSVe) in cui vengono registrati gli esami per BSE e Scrapie In BDR vengono gestiti i dati relativi alla morte in stalla del capo bovino: l’esito del test BSE, l’avvenuto ritiro del passaporto e l’acquisizione del certificato di avvenuta distruzione dell’animale. In un modulo accessorio vengono inoltre registrati gli esiti del test BSE effettuati presso gli stabilimenti di macellazione. In IZILAB la accettazione dei campioni da sottoporre ad analisi per BSE/Scrapie necessita della marca auricolare dell’animale, della data di nascita, del sesso e del codice aziendale di provenienza dello stesso. La proposta iniziale di precompilare i dati di ogni singolo animale richiamando la BDR, non è risultata confacente, per i tempi di attesa che tale operazione richiede. Infatti, pur trattandosi di tempi esigui se considerati per un singolo capo (ad es. capo morto in stalla), possono costituire un rallentamento nelle operazioni di accettazione quando i campioni sono numerosi (ad es. capi provenienti da un macello). Si è optato dunque per la realizzazione di una funzione in IZILAB che, tramite chiamata diretta ai servizi web esposti dalla BDR, controlla le accettazioni per gruppo, verificando che in anagrafe bovina esista un capo con lo stesso codice identificativo e gli stessi dati anagrafici e che l’animale sia transitato dal codice aziendale indicato. A seconda della gravità dell’errore riscontrato, la segnalazione in risposta blocca la refertazione del campione, (ad es. per mancata corrispondenza del codice identificativo) o trasmette un semplice avviso all’operatore (ad es. per sesso e/o data nascita non corrispondenti). Poichè in BDR sono reperibili i dati dei singoli capi ovicaprini, la funzione di validazione è stata estesa anche agli ovini e ai caprini per la registrazione dei campioni da esaminare per la Scrapie e per il test di genotipizzazione, pur non generando in questo caso anomalie bloccanti. Da IZILAB, una volta stampato il rapporto di prova viene estrapolato un file da caricare in BDR, per l’aggiornamento dei corrispondenti campi in anagrafe bovina (data di prelievo ed esito test BSE). La chiave di comunicazione tra i due sistemi è rappresentata dal codice identificativo dell’animale. RISULTATI. Le operazioni di accettazione risultano essere velocizzate, in quanto il sistema informatico si sostituisce ai 158 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 dalle rispettive fonti ufficiali, BDR per le anagrafiche dei capi e IZILAB per gli esiti degli esami e si inserisce nel processo di condivisione delle informazioni già avviato da alcuni anni tra la BDR e IZILAB. In futuro, quando sarà completata anche l’anagrafe ovicaprina, si prevede di estendere il flusso di ritorno in BDR anche agli esami effettuati per la Scrapie e per la genotipizzazione degli ovini. controlli effettuati da parte dell’operatore ed evita anche le inesattezze legate alla compilazione della accompagnatoria, che venivano evidenziate solo a posteriori. A livello di BDR vengono resi disponibili in modo automatizzato i dati relativi alla effettuazione dell’esame BSE, con risparmio di risorse ed evitando possibili errori nel data entry. La Regione ha la possibilità di verificare in modo più diretto ed immediato l’andamento della sorveglianza attiva poichè dispone del dato relativo alla effettuazione dell’esame direttamente in BDR, da cui possono essere estrapolati opportuni indicatori per individuare le aree di intervento. SUMMARY IZSVe has developed a computerized procedure that validates the relevant data (species, age, sex, individual code, farm code) of cattle, sheep and goats collected at samples reception for BSE and Scrapie, by data interchange with the Regional Data Base where official data on the animals and their movements are recorded. Moreover a specific tool has been implemented for the automated transfer to the BDR of the laboratory tests results. This paper illustrates the opportunities of sharing information collected from different archives, pointing out the practical benefits for the users. CONCLUSIONI. Il sistema è di recente introduzione, pertanto non sono ancora verificabili miglioramenti rispetto alla precedente gestione, se non i vantaggi immediati nella attività di accettazione dell’IZSVe. Questa gestione non risulta invasiva rispetto alle procedure consolidate, in quanto le innovazioni che non modificano radicalmente la operatività sono più favorevolmente accettate. La procedura consente di utilizzare dati validati resi disponibili 159 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SALMONELLA SPP. IN FAUNA SELVATICA E ANTIBIOTICO-RESISTENZA Botti V,, Navillod F.V., Spedicato R., Pepe E., Domenis L., Orusa R., Guidetti C. Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sezione di Aosta - Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Animali Selvatici, Loc. Amérique, 7/G, 11020, Quart (AO). Key words: salmonella; antibiotico-resistenza; fauna selvatica SUMMARY The emergence of antibiotic-resistance in pathogens has become a major concern in recent years and it is a growing area of concern in veterinary and human medicine. The aim of this work is to describe for the first time in Valle d’Aosta, Piemonte and Liguria, the spread of antibioticresistant strains of Salmonella spp isolated from wildlife, as environmental sentinel of this bacteria. The data analysis revealed the presence of widespread antibiotic-resistance. selvatica, considerata nella sua funzione di sentinella della diffusione ambientale di tale patogeno. MATERIALI E METODI Sono stati analizzati 87 ceppi di Salmonella spp, provenienti da Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, ottenuti mediante la procedura di isolamento classico. Quest’ultima è basata su prearricchimento in Buffered Peptone Water, arricchimento in brodi selettivi (Rappaport Vassiliadis Broth e Selenite Cistine Broth) e semina su terreni selettivi differenziali (Brillant Green Agar e Xylose Lysine Deoxychocolate agar). L’isolamento è avvenuto a partire da feci, da linfonodi e da visceri, raccolti durante l’esame necroscopico di canidi (volpi), mustelidi (faina, tasso), avifauna (selvatica e sinantropa) e ungulati selvatici. La suscettibilità agli antibiotici è stata determinata grazie al test di disco-diffusione (Kirby-Bauer) effettuato su MuellerHinton agar, a partire da una sospensione batterica di torbidità pari a 0.5 McFarland. L’interpretazione è avvenuta seguendo i criteri forniti dal National Committee for Clinical Laboratory Standards (NCCLS). Gli antibiotici testati nello studio sono rappresentativi delle diverse classi: β-lattamici, tetracicline, chinoloni, aminoglicosidi, sulfonamidi potenziati, polipeptidi e fenicoli. Tali molecole sono state selezionate in base alla loro rilevanza per la salute pubblica e tenendo conto delle indicazioni dell’EFSA (10), della rete ENTERNET ITALIA (4) e della letteratura disponibile. Gli antibiotici saggiati e le rispettive concentrazioni sono indicati in tabella 1. Il ceppo S. enteritidis ATCC® 13076TM è stato utilizzato come controllo di qualità. INTRODUZIONE Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è ampiamente diffuso in ambito umano e veterinario. I batteri zoonotici, resistenti agli antibiotici, sono di particolare interesse in quanto potrebbero compromettere l’efficacia del trattamento delle infezioni negli esseri umani. Il contatto tra batteri associati all’uomo con quelli ambientali, vegetali o animali favorisce l’emergere di nuovi meccanismi di resistenza nei patogeni umani (2, 6). Dal punto di vista genetico, i meccanismi attraverso i quali si realizza la resistenza sono fondamentalmente due: resistenza cromosomiale ed extracromosomiale. La prima è caratterizzata da mutazioni a livello cromosomico; è un processo spontaneo che si realizza con una frequenza estremamente bassa. Essa può selezionare ceppi multiresistenti (MDR-Multi Drug Resistant) se la popolazione batterica subisce una pressione selettiva da parte dell’antibiotico. La seconda è caratterizzata dall’acquisizione di plasmidi e/o di altri determinanti genetici extracromosomiali, trasferibili per coniugazione, trasduzione e trasformazione batterica (1). Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è, tuttavia, ancora poco documentato tra gli animali selvatici. Questi ultimi, infatti, rappresentano un reservoir di potenziali patogeni zoonotici, tra cui la salmonella. Essa appartiene alla famiglia Enterobacteriaceae e comprende due specie: S. enterica e S. bongori. S. enterica, a sua volta, annovera sei sottospecie: enterica, salamae, arizonae, diarizonae, houtenae ed indica. La maggior parte delle salmonelle appartiene alla sottospecie S. enterica subsp. enterica, i cui sottogruppi sono generalmente definiti sulla base del sierotipo (5). La salmonella è ubiquitaria ed è in grado di permanere a lungo nelle acque e nel terreno, conservando la sua patogenicità. In Europa, la resistenza agli antimicrobici comunemente usati (tetraciclina, ampicillina e sulfonamidi) risulta frequente tra gli isolati di salmonella e la percentuale di resistenza negli animali varia tra il 13% e il 47%. Livelli di resistenza maggiori sono stati riscontrati negli isolati da suini e da bovini rispetto a quelli ritrovati nei polli. In questi ultimi, tuttavia, si individua maggiore resistenza alla ciprofloxacina e all’acido nalidixico (9). Sono state osservate alcune differenze nella suscettibilità agli antibiotici in relazione alla diversa distribuzione dei sierotipi e fagotipi nei vari paesi e nelle specie animali. Ad esempio, S. typhimurium, che è più comune nei suini e nei bovini, risulta essere più resistente alla tetraciclina, all’ampicillina e ai sulfonamidi rispetto a S. enteritidis, sierotipo comunemente ritrovato nei polli (10). Lo scopo del lavoro è lo studio della diffusione di ceppi di Salmonella spp. antibiotico-resistenti, isolati dalla fauna Tabella 1. Antibiotici utilizzati nel test di disco diffusione. Principio attivo ampicillina (AM) amoxicillina + acido clavulanico (AMC) cefotaxime (CTX) cefalotina (KF) colistina (CT) neomicina (N) acido nalidixico (NA) enrofloxacina (ENR) ciprofloxacina (CIP) Conc. (µg) Principio attivo Conc. (µg) 10 µg cloramfenicolo (C) 30 µg (20 e 10) trimetoprim + sulfametossazolo (SXT) 30 µg ossitetraciclina (T) tetraciclina (TE) gentamicina (CN) kanamicina (K) amikacina (AK) streptomicina (S) 30 µg 25 µg (23.75 e 1.25) 30 µg 30 µg 10 µg 30 µg 30 µg 5 µg 30 µg 10 µg 30 µg 30 µg 10 µg 5 µg RISULTATI La quasi totalità dei ceppi analizzati (98%) ha mostrato resistenza/intermedio-resistenza ad almeno una classe di 160 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 antibiotici. I ceppi totalmente sensibili risultano essere due: S. infantis e S. enteritidis. I ceppi MDR, resistenti/intermedio-resistenti a due o più classi di antibiotici, sono pari al 41.4%. In particolare, S. brancaster, isolata da visceri di gheppio, ha mostrato resistenza a: β-lattamici (AM, AMC); chinoloni (NA); aminoglicosidi (N , S, K); tetracicline (T, TE) e sulfonamidi potenziati (SXT). Anche S. typhimurium in 5 casi su 9 è risultata MDR (immagine 1). I ceppi identificati come nuovi sierotipi hanno presentato un identico profilo di resistenza, mostrando l’assenza di aloni di inibizione per AM, S, T e TE. In un unico caso tra gli 87 ceppi non è stato possibile ottenere la tipizzazione sierologica. Tale ceppo ha, però, manifestato resistenza verso AM, AMC, KF e intermedio-resistenza verso ENR, T e TE. La percentuale di resistenza ai singoli principi attivi è riportata in tabella 2. I valori più elevati sono stati riscontrati per la classe delle tetracicline. fossero associati a quelli che determinano l’antibioticoresistenza, la virulenza potrebbe essere selezionata dall’uso degli antibiotici (3). Probabili cause che favoriscono la selezione di ceppi antibiotico-resistenti sono costituite da trattamenti di massa in allevamento, per la terapia e la profilassi delle infezioni batteriche, e da controllo non accurato delle posologie e dei tempi di trattamento. Anche l’utilizzo dei mangimi addizionati di antibiotici, in condizioni subterapeutiche come promotori di crescita (auxinici), possono aver prodotto resistenza batterica sia verso le molecole impiegate, sia verso quelle strutturalmente e farmacologicamente correlate (resistenza crociata) (5). Tenuto conto dei dati ottenuti si sottolinea la necessità di continuare il monitoraggio del fenomeno dell’antibioticoresistenza nei ceppi di salmonella isolati dalla fauna selvatica, in quanto bioindicatrice e potenziale reservoir di ceppi zoonotici. In conclusione, una costante sorveglianza è indispensabile per identificare il potenziale emergere di nuovi profili di resistenza e per valutare le misure di controllo al fine di diminuire l’antibiotico-resistenza in salmonella. Infine, è essenziale che in ambito veterinario si proceda ad un uso prudente degli agenti antimicrobici. Tabella 2. Percentuali di resistenza ai singoli principi attivi. Principio attivo Resistenza TE T 88% 84% S AM AMC NA ENR 41% 14% 8% 3% 3% N C K 2% 2% 2% KF 1% CT CN SXT 1% 1% 1% Antibiotico-resistenza in Italia (5) 53% Immagine 1. Test di disco diffusione effettuato su una Salmonella typhimurium isolata da poiana. 36% 15% 16% 6% 45% BIBLIOGRAFIA 1. Alekshun M. N., Lecy S. B. (2007). Molecular Mechanisms of Antibacterial Multidrug Resistance. Cell 128: 1037-1050. 2. Baquero F., Martinez J. L., Canton R. (2008) Antibiotics and antibiotic resistance in water environments. Curr. Opin. Biotechnol. 19: 260-265. 3. Briggs C. E., Fratamico P. M. (1999). Molecular charcterization of an antibiotic resistance gene cluster of Salmonella typhimurium DT104. Antimicrob. Agents Chemother. 43 (4): 846-849. 4. ENTERNET Italia. http://www.simi.iss.it/Enternet/metodi_s.asp 5. Istituto Superiore di Sanità. (2005) Infezioni da Salmonella: diagnostica, epidemiologia e sorveglianza. Rapporti ISTISAN 05/27ISSN 1123-3117. 6. Martinez J. L. 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(2010) The EFSA Journal 8 (7) 1658. DISCUSSIONE L’analisi dei ceppi di salmonella, ottenuti da fauna selvatica, proveniente da Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, ha evidenziato la presenza di una diffusa antibiotico-resistenza. La percentuale di resistenza agli antimicrobici, emersa negli animali selvatici considerati nel presente lavoro, risulta essere maggiore (98%) rispetto a quella indicata in animali da reddito dal rapporto EFSA (53%) (10). È essenziale considerare, però, che il campionamento EFSA è stato numericamente maggiore rispetto al nostro studio. I valori di resistenza più elevati sono stati registrati verso le tetracicline. Questo fatto trova evidenza nell’utilizzo di tale antibiotico nei due terzi dei regimi terapeutici applicati in veterinaria (8). In aggiunta, i nostri dati dimostrano, contrariamente a quelli europei, una completa sensibilità dei ceppi verso cefotaxime e ciprofloxacina. Tra le salmonelle MDR, un caso rilevante è rappresentato da S. brancaster. Le informazioni epidemiologiche riguardanti tale sierotipo sono piuttosto limitate. La letteratura riporta isolamenti sporadici: due di questi sono stati segnalati in Toscana nel 1985 e nel 1991 da campioni umani (7). Il fagotipo S. typhimurium DT 104, considerato un patogeno emergente, presenta una maggiore multiresistenza rispetto agli altri fagotipi. Ad oggi, non è noto né se gli isolati di DT 104 possiedano una maggiore virulenza, né se la virulenza sia associata a resistenza multipla. Se i geni per la virulenza 161 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SVILUPPO DI UN METODO IN LC-MS/MS PER LA DETERMINAZIONE DELLA MELAMINA NEL MUSCOLO Brizio P.1,2, Marchis D.1, Prearo M.1, Squadrone S.1, Ciccotelli V.1,2, Leporati M. 2, Capra P. 1,2, Elia A. C.3, Abete M. C.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino 2 CAD- Centro Regionale Antidoping “Alessandro Bertinaria” , Orbassano, Torino 3 Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale, Università di Perugia, Perugia, Italy Key words: Melamine, HPLC-MS/MS, fish per tali motivi le procedura estrattiva e purificativa si articolano in vari passaggi. L’estratto finale in metanolo viene analizzato mediante cromatografia liquida accoppiata ad uno spettrometro di massa a triplo quadrupolo con sorgente ESI (ElectroSpray Ionization). L’utilizzo di tale rivelatore permette di operare in modalità Multiple Reaction Monitoring (MRM) e di prendere in considerazione 3 ioni prodotto per la melamina e lo standard interno, guadagnando in sensibilità e selettività. Per la separazione cromatografica si è scelta una colonna ad interazione idrofilica, con una fase stazionaria in grado di trattenere analiti particolarmente polari. I parametri strumentali ottenuti in fase di ottimizzazione del metodo sono riportati nella Tabella 1, mentre le condizioni cromatografiche sono presentate nella Tabella 2. INTRODUZIONE La melamina viene utilizzata principalmente nell’industria della plastica, in combinazione con la formaldeide, per la formazione di resine melaminiche che trovano impiego anche nella produzione di materiali a contatto con gli alimenti. Ha caratteristiche di ritardante di fiamma e costituisce il componente principale anche di alcune colle e inchiostri. I dati riportati dalla Food and Drug Administration (FDA) Statunitense nel 2007 hanno evidenziato la presenza di melamina nel glutine di grano e nelle proteine del riso importati dalla Cina, ad una concentrazione compresa tra i 2 e gli 80 g/ kg [4]. Analisi eseguite nel 2008 su alimenti e mangimi hanno dimostrato la presenza di melamina in pet food, prodotti da forno, mangimi per maiali o pesci [2]. In base a quanto sinora menzionato l’FDA e l’European Food Safety Agency (EFSA) hanno emanato le prime valutazioni del rischio nel 2007. Nel 2008 gli esperti internazionali della World Health Organization hanno stabilito una dose giornaliera tollerata (TDI) di 0.2 mg/Kg per la melamina [5]. Valutare la quantità di melamina che si deposita anche nel tessuto edibile dell’animale al variare della quantità di sostanza aggiunta fraudolentemente nel mangime è importante poiché il consumatore potrebbe correre il rischio di assumerla in quantità superiori a quelle tollerate per legge. La complessità della matrice e la polarità della molecola di interesse hanno reso necessario affinare le tecniche estrattiva e purificativa [1]. La preliminare ricerca bibliografica si è incentrata inizialmente sulle diverse metodiche estrattive volte ad estrarre efficacemente la melamina presente in varie tipologie di alimenti, principalmente a base di latte, e successivamente sui migliori metodi di rivelazione disponibili [3]. La scelta del miglior accoppiamento tra la tecnica estrattiva e quella purificativa dipende principalmente dalla tipologia di matrice e dalla strumentazione in dotazione al laboratorio; strumenti maggiormente sensibili e/o selettivi riducono la parte purificativa senza nulla sacrificare alle letture qualitativa e quantitativa. Lo scopo di questa ricerca è pertanto lo sviluppo di un metodo in LC-MS/MS, con l’utilizzo di una colonna ad interazione idrofilica, che consenta una riduzione dei tempi di processamento del campione con un notevole guadagno in sensibilità e selettività. Analita MELAMINA MELAMINA 13 C3 M (uma) (M+H)+ DP (V) Trans. 127 38 127-85* 127-68 127-43 CE (V) 26 39 46 130 40 130-87* 130-70 130-44 25 44 47 126,1 129,1 *SRM usata per la quantificazione Tabella 1: valori dei parametri strumentali ottimizzati per la melamina e lo standard interno. Colonna cromatografica % Ammonio Acetato 5 mM % Metanolo Flusso (µL/min) Volume di iniezione (µL) Durata dell’acquisizione (min) 3 µm, 100 x 4.6 mm Luna HILIC (Phenomenex) 15 85 400 20 7.50 Tabella 2: condizioni cromatografiche utilizzate. Campioni di controllo negativi sono utilizzati per la costruzione della retta in matrice che copre un range compreso tra i 250 ng/g e i 1000 ng/g. Il metodo è stato applicato per l’analisi di campioni di muscolo di trota iridea (Oncorhynchus mykiss) alimentata con mangime arricchito di melamina a diversi livelli di concentrazione (12,5 g/kg e 25 g/Kg) per 4 settimane, seguite da un periodo di sospensione (altre 4 settimane). MATERIALI E METODI La tecnica scelta per l’analisi del muscolo prevede, dopo l’omogeneizzazione e l’addizione di un opportuno quantitativo di standard interno, melamina 13C3, l’estrazione e la purificazione con solventi organici e colonne per SPE a scambio ionico. Il muscolo di pesce si presenta come una matrice alquanto complessa poiché ricco di acidi grassi facilmente solubili nei solventi organici comunemente usati per estrazioni solidoliquido; inoltre la melamina è una molecola polare che si estrae preferibilmente in acqua o sue soluzioni, meglio se acidificate; RISULTATI Le trote sono state nutrite con livelli elevati di melamina per testarne l’appetibilità e soprattutto per poter trovare concentrazione elevate nel muscolo, atte allo sviluppo del 162 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 suddetto metodo. Per la quantificazione si è costruita una retta in matrice positivizzando muscoli di trota negativi a concentrazioni di melamina pari a 250, 500 e 1000 ng/g (Figura 1). BIBLIOGRAFIA 1. W.C. Andersen, S.B. Turnipseed, C.M. Kardiwnyk, M.R. Madson, 2007, “Determination of melamine residues in catfish tissue by triple quadrupole LC-MS-MS with HILIC chromatography”; FDA Laboratory Information Bulletin, 23:4396; 2. R. L. M. Dobson, S. Motlagh, M. Quijano, R. T. Cambron, T. R. Baker, A. M. Pullen, B. T. Regg, A. S. Bigalow-Kern, T. Vennard, A. Fix, R. Reimschuessel, G. Overmann, Y. Shan, G. P. Daston, 2008, “Identification and Characterization of Toxicity of Contaminants in Pet Food Leading to an Outbreak of Renal Toxicity in Cats and Dogs”, Toxicological Sciences, 160(1): 251-262; 3. R. Muñiz-Valencia, S. G. Ceballos-Magaña, D. Rosales-Martinez, R. Gonzalo-Lumbreras, A. Santos-Montes, A. Cubedo-FernandezTrapiella, R. C. 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Figura 1: Retta in matrice relativa alla melamina; le aree dell’analita sono state normalizzate per quella dello standard interno La melamina è stata trovata nei campioni di muscolo analizzati in un range di concentrazione compreso tra gli 0,6 e i 110 mg/ Kg per le trote nutrite con mangime arricchito di melamina a 12,5 g/Kg e in un range compreso tra gli 0,6 e i 190 mg/Kg per quelle nutrite con mangime arricchito a 25 g/Kg. I campioni che presentavano una concentrazione di analita fuori dal range compreso dalla retta sono stati rianalizzati diluendoli e facendo così rientrare il rapporto tra l’area dell’analita e quella dello standard interno nel range prefissato. SUMMARY Melamine is a nitrogen rich compound that was found in fish feed and meal in some countries. This chemical might accumulate in fish tissues and thus present a potential risk for humans health. Rainbow trout were fed with melamine enriched diet; samples were analyzed in order to quantify melamine residues in muscles. After an extraction-purification step, tissues extracts were analyzed by HILIC chromatography coupled with a triple quadrupole tandem mass spectrometer, using a ESI source. This detector allows reaching higher levels of sensitivity and selectivity. CONCLUSIONI Appartenendo la melamina alla famiglia delle triazine, è difficilmente separabile cromatograficamente sulle colonne per cromatografia liquida a fase inversa disponibili sul mercato. La cromatografia liquida ad interazione idrofilica (HILIC) che è stata quindi scelta consente la separazione dei soluti polari tra la fase mobile organica miscibile con l’acqua, presente in elevata concentrazione, e la superficie idrofilica che ricopre la fase stazionaria. Il principio della separazione è lo stesso della cromatografia in fase diretta; questo consente l’eluizione degli analiti d’interesse con elevate percentuali di solvente organico, che aiuta la nebulizzazione degli analiti nella sorgente di ionizzazione, incrementando la sensibilità e la selettività dello spettrometro di massa. La laboriosità delle procedure purificativa ed estrattiva ha consentito di ottenere un estratto piuttosto pulito e concentrato, permettendo di raggiungere limiti di determinazione molto bassi e più precisamente di 10 ng/g. L’utilizzo della cromatografia HILIC accoppiata allo spettrometro di massa a triplo quadrupolo, unitamente all’ottimizzazione delle fasi estrattiva e purificativa, hanno permesso di ridurre notevolmente i tempi di analisi strumentali e di raggiungere livelli di sensibilità e specificità soddisfacenti. RINGRAZIAMENTI Questa ricerca è stata realizzata grazie al finanziamento del Ministero della Salute nell’ambito delle ricerche correnti. 163 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CARATTERIZZAZIONE IMMUNOISTOCHIMICA DI CELLULE STAMINALI IN TUMORI MAMMARI FELINI Campanella C1, Barbieri F2, Cimadomo V1, Tiso M1, Panno R1, Vito G1, Ratto A1, Florio T2, Ferrari A1 1 Centro di Referenza Nazionale per l’Oncologia Veterinaria e Comparata, CEROVEC, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Genova, Italia; 2Laboratorio di Farmacologia, Dipartimento di Oncologia, Biologia e Genetica, Università di Genova, Italia. Key words: carcinoma mammario felino; cellule staminali tumorali. SUMMARY - Feline mammary carcinomas (CMF) in oncology have been considered for a long time a good model for comparative study of the human tumors. Recent studies have revealed the existence of cancer stem cells (CST), a subpopulation responsible for the development and progression of malignant tumors. In our study we have considered 12 feline mammary tumors and we developed a protocol for the isolation of feline mammary tumor and we characterized their phenotype. (Dako) e per Ki-67, clone MIB-1, marcatore di proliferazione cellulare (Dako). Sezioni dello spessore di 4 μm adese su vetrini polilisinati, sono state sparaffinate in xilolo, reidratate in una serie discendente di alcoli e portate all’acqua. Lo smascheramento antigenico è stato effettuato con il tampone Target Retrieval Solution Citrate pH 6 (DakoCytomation) diluito 1:10. Dopo raffreddamento sotto acqua corrente, i vetrini sono stati sciacquati 2 volte in Tris Buffer Solution (TBS) ed è stato eseguito il blocco delle perossidasi con H2O2 al 3% in H2O distillata. Dopo un lavaggio in H2O distillata e 2 in TBS, le sezioni sono state incubate in BSA al 5% in TBS per 30 min. e successivamente con l’anticorpo primario (anti-CD44, diluito 1:25 ed anti-MIB-1, diluito 1:75 in Antibody Diluent, Dako) per 1 ora a temperatura ambiente (t.a.). I vetrini sono stati lavati 2 volte in TBS ed incubati per 30 min. con anticorpo secondario (EnVision TM, Dako Cytomation) e poi incubate per 12 min. con substrato cromogeno 3,3’ –diaminobenzidine tetrachloride (DAB). Le sezioni sono state infine controcolorate con ematossilina di Meyer, lavate in H2O di fonte, disidratate in una serie ascendente di alcoli, chiarificate in xilolo e montate con balsamo Eukitt. In parallelo sono stati trattati i controlli positivi. I preparati sono stati valutati sia con microscopio ottico che con il sistema digitale Coolscope Nikon. Una porzione di tessuto fresco per ciascun tumore è stata dissociata meccanicamente, filtrata e centrifugata a 800 rpm per 5 min. La popolazione cellulare così ottenuta è stata purificata dai fibroblasti con tecnica di separazione immunomagnetica (MACS Milteniy Biotec) e risospesa sia in terreno di coltura selettivo per cellule mammarie staminali (contenente EGF e bFGF) che in condizioni differenziative in terreno D-MEM completo, addizionato con 10% siero fetale bovino (FCS). Le colture sono state piastrate in fiasche ed incubate a 37°C in presenza di 5% CO2. Le cellule mantenute in condizioni selettive hanno formato cluster sferici, non adesi, denominati “mammosfere”. Colture in monostrato sono state ottenute ricoprendo le piastre con la matrice di membrana basale biologicamente attiva Matrigel (BD Biosciences). Le cellule di CMF sono state successivamente piastrate su vetrino coprioggetto o chamberslides, e colorate con anticorpi diretti contro marcatori epiteliali EMA e Citocheratine 45, 46 e 56.5 (clone MNF1116) e CD44 (Ventana Medical Systems). Dopo un lavaggio in PBS, le cellule sono state fissate in 4% paraformaldeide per 10 min. a t.a. e permeabilizzate con PBS-Triton X-100 0.1% per 5 min. Dopo 3 lavaggi in PBS le cellule sono state incubate con siero normale di capra (1:5 in PBS) per 30 min. e successivamente con l’anticorpo primario (anti-EMA ed anti-CD44, 1:2 in PBS) per 1 ora a t.a. I vetrini sono stati lavati in PBS ed incubati con l’anticorpo secondario coniugato al fluorocromo (Alexa Fluor 488 o 568, Molecular Probes) diluito in PBS (1:100) per 30 minuti al buio, in camera umida a t.a., controcolorati con DAPI (4’,6-diamidino-2-phenylindole) e, dopo 3 lavaggi in PBS, montati con il montante acquoso Mowiol (Merck). Le mammosfere sono state colorate in sospensione secondo il protocollo sopra descritto, fissate su vetrino con Mowiol e analizzate con microscopio a fluorescenza. INTRODUZIONE - I carcinomi mammari felini (CMF) sono da tempo considerati in oncologia comparata un buon modello per lo studio della controparte umana. Da tempo sono state sviluppate tecniche immunoistochimiche e biomolecolari, adattandole e affiancandole, più recentemente, a studi sulle cellule staminali tumorali (CST). A differenza delle cellule differenziate non-tumorigeniche, costituenti la maggior parte della massa neoplastica (1,2,), le CST costituiscono una sottopopolazione cellulare ritenuta responsabile dello sviluppo e della progressione dei tumori maligni. La velocità di replicazione delle CST, inferiore rispetto a quella delle cellule neoplastiche differenziate, e la loro potenziale capacità di dividersi per un numero illimitato di cicli, ne determina la resistenza alle terapie convenzionali (chemio /radio), selettive per cellule ad elevata rapidità di proliferazione. Si ritiene pertanto che alla mancata eliminazione delle CST di una neoplasia consegua lo sviluppo della resistenza farmacologica, con fenomeni di recidiva e metastasi. La presenza di CST è stata rilevata in diverse neoplasie umane; in particolare, nel tumore mammario, è stata identificata una sottopopolazione di cellule con fenotipo ESA+/CD44+/CD24-/low con proprietà “staminali”. Nel presente lavoro sono state isolate CST da diversi istotipi di neoplasie mammarie di gatto, utilizzando tecniche di coltura messe a punto per l’isolamento e la crescita di cellule staminali normali e tumorali umane (3); in parallelo i tessuti da cui derivavano, sono stati testati per la presenza di alcuni marcatori antigenici con tecniche di immunoistochimica ed immunofluorescenza. MATERIALI E METODI – Sono state prese in considerazione 12 neoplasie mammarie feline, di cui 5 carcinomi tubulopapillari semplici, 3 carcinomi solidi semplici, 2 carcinomi tubulari semplici, 1 carcinoma squamoso e 1 adenoma mammario a cellule basaloidi. I campioni sono stati prelevati sterilmente, posti in terreno di coltura Dulbecco’s-modified Eagle medium (D-MEM, Euroclone) addizionato con glutammina (2mM), penicillina (200U/ml), streptomicina (200U/ml) ed anfotericina B (2,5μg/ml) (Sigma Aldrich) e mantenuti a 4°C fino alla processazione eseguita entro 4 ore dal prelievo per assicurare la vitalità cellulare. Frammenti rappresentativi di ogni campione sono stati fissati in formalina, inclusi in paraffina e lavorati come di routine per l’esame istologico effettuato secondo la “Classificazione istologica dei tumori mammari di cane e gatto del WHO- seconda edizione”, con attribuzione del codice ICD-O e del grading istopatologico. Tutti i casi sono stati testati con tecniche di immunoistochimica (IIC) per CD44, clone DF1485, marcatore di cellule staminali di carcinoma mammario (4) 164 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Per caratterizzare questa popolazione cellulare presente nelle colture CST abbiamo inizialmente verificato l’assenza di contaminazioni di fibroblasti mediante immunofluorescenza (IF) con anticorpi anti-procollagene, proteina espressa nei fibroblasti. In seguito è stata valutata con IF l’espressione di CD44: una elevata percentuale di cellule è risultata positiva confermando che le colture ottenute sono arricchite in CST (Fig.3). Le colture analizzate presentavano anche immunopositività, sebbene a livelli variabili, di marker per cellule epiteliali (EMA, citocheratine) presenti nelle cellule differenziate. Per caratterizzare ulteriormente le colture di CM felino è stata valutata la presenza di EGFR e E2R, due recettori rilevanti nel carcinoma umano anche dal punto di vista farmacologico. Le colture CST hanno mostrato pattern di espressione variabili per entrambi i recettori rispecchiando le caratteristiche individuali del tumore di origine. Sulla base di questi dati abbiamo avviato uno studio per valutare l’effetto citotossico di farmaci inibitori dell’attività tirosino-chinasica di EGFR (erlotinib e gefitinib) quale possibile approccio farmacologico nel trattamento delle CST di CMF. Mediante saggio colorimetrico MTT è stata valutata l’attività citotossica dei due farmaci sulle colture CST, che hanno presentato diversi livelli di efficacia in ciascuna coltura, una variabilità di risposta che corrisponde a quella osservata nei singoli tumori. Le colture CST di CM felino possono quindi rappresentare un valido modello di studio per l’attività di farmaci citotossici. RISULTATI – Il potenziale proliferativo delle 12 neoplasie studiate è stato caratterizzato con colorazione immnunoistochimica (IIC) per Ki-67 (MIB-1), evidenziando elevata immunopositività, indice della notevole percentuale di cellule in fase di attiva proliferazione (Fig. 1). In parallelo è stata valutata l’espressione della proteina di adesione CD44, marcatore specifico per l’isolamento delle sottopopolazione di CST nel carcinoma mammario umano. I CMF analizzati hanno mostrato una positività per CD44 confinata in discrete aree del tessuto neoplastico (Fig. 2), confermando che le CST sono rappresentate in piccola percentuale all’interno del tumore, come già osservato nelle neoplasie umane. I tessuti freschi corrispondenti ai CMF in studio sono stati processati e purificati dai fibroblasti, per ottenere sia colture primarie differenziate (in presenza di FCS), sia colture arricchite in CST, ottenute in terreno selettivo privo di FCS. Queste hanno mostrato le peculiarità di crescita delle cellule staminali: lenta proliferazione e formazione di aggregati cellulari in sospensione simili alle “mammosfere” descritte per le CST di tumore mammario umano (4). Inoltre, se poste in terreno contenente FCS, erano in grado di differenziare e crescere adese al substrato confermando le capacità differenziative delle CST isolate. In accordo con quanto da noi già osservato in cellule staminali di glioblastoma umano (4), le CST di CM felino mantenevano un fenotipo staminale anche se coltivate in monostrato su una membrana basale artificiale (Matrigel). DISCUSSIONE E’ stato messo a punto un protocollo per l’isolamento di CST di tumore mammario felino: queste sono state caratterizzate dal punto di vista fenotipico e della sensibilità farmacologica. In particolare abbiamo confermato che queste cellule possono essere coltivate sia come mammosfere che in monostrato su Matrigel mantenendo la loro potenziale staminalità. In futuro si prevede di dimostrarne la tumorigenicità in vivo (mediante xenotrapianto in topi nudi) che a tutt’oggi rappresenta l’unica prova definitiva della presenza di CST in coltura. Obiettivo futuro dello studio sarà la valutazione della sensibilità di queste cellule a trattamenti farmacologici. Fig.1 Carcinoma tubulare semplice: positività per Ki-67 (40X) BIBLIOGRAFIA –1) Jordan CT (2004) Cancer stem cell biology: from leukaemia to solid tumor Curr Opin Cell Biol.16,708-712. 2) Porcile C., Barbieri F., Bajetto A., Ratto A., Modesto P., Ferrari A. and Florio T. (2008) STEM cell Properties of tumors cell subpopulations: role in tumorigenesis and therapeutic intervention Rom J Comp Oncol 14, 899-909. 3) Griffero F, Daga A, Marubbi D, Capra M, Melotti A, Pattarozzi A, Gatti M, Bajetto A, Porcile C, Barbieri F, Favoni R, Lo Casto M, Zona G, Spaziante R, Florio T, Corte G. (2009) Different response of human glioma tumor-initiating cells to epidermal growth factor receptor kinase inhibitors. J Biol Chem 284, 7138-7148. 4) Al-Hajj M, Wicha M, Benito-Hernandez A, Morrison S, Clarke M (2003) Prospective identification of tumorigenic breast cancer cells. Proc Natl Acad Sci USA 100:39833988. Fig.2 CMF di tipo tubulare IIC: Anticorpo anti-CD44 Fig.3 CST di CMF: monostrato IF: Anticorpo anti-CD44 165 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 IL LABORATORIO NAZIONALE DI RIFERIMENTO PER Escherichia coli DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Graziani C., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S. Laboratorio Comunitario e Nazionale di Referenza per Escherichia coli, Istituto Superiore di Sanità, Roma Keywords: Escherichia coli, verocitotossina ABSTRACT The Istituto Superiore di Sanità of Rome is the European and National Reference Laboratory for Escherichia coli, including Verotoxigenic E. coli (VTEC) since 2006. The main task of its mandate is to ensure that the methods for the identification and typing of VTEC strains are harmonized. This is accomplished by developing methods, distributing reference materials, organizing proficiency tests and hosting scientists for training stages. The lab also acts as Reference Laboratory of the Enter-Net Italia netwotk in establishing monitoring and surveillance programs for VTEC. - ricerca di E. coli O157 in campioni di feci; - identificazione e conferma di E. coli produttori di Verocitotossina (VTEC) di sierogruppo O157, O26, O103, O111, O145 mediante Real-Time (RT) PCR. LNR E. coli riceve campioni e richieste di analisi da diverse strutture: aziende ospedaliere e cliniche universitarie, Aziende Sanitarie Locali (ASL), Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS), Facoltà di Medicina Veterinaria, ARPA e laboratori privati. Il confronto tra il numero di campioni ricevuti ed esaminati dal LNR E. coli nel 2009 rispetto al 2008 e al 2007 è riportato nella Fig. 1. INTRODUZIONE Il Laboratorio Nazionale di Riferimento per Escherichia coli (LNR E. coli) opera principalmente nel settore degli E. coli produttori di verocitotossina (VTEC), che rappresentano l’unico gruppo di E. coli patogeni per l’uomo con riconosciuta origine zoonotica. In accordo al Regolamento CE 882/2004 le funzioni e i compiti dell’LNR, includono: - collaborazione con il Laboratorio di Riferimento dell’Unione Europea; - coordinamento delle attività dei laboratori responsabili del controllo ufficiale degli alimenti; - organizzazione di test comparativi tra questi laboratori; - supporto tecnico-scientifico all’Autorità competente. Il laboratorio svolge anche il ruolo di Laboratorio di Riferimento per le infezioni umane da VTEC nell’ambito del sistema di sorveglianza ENTER-NET Italia. Le attività del laboratorio comprendono la ricerca e conferma di VTEC e la tipizzazione di stipiti di E. coli isolati da casi clinici, da alimenti e da animali; indagini diagnostiche su pazienti con sospetta infezione da VTEC, in particolare casi di Sindrome Emolitico Uremica (SEU). Al fine di fornire prestazioni e risultati di laboratorio qualificati e riconosciuti in ambito nazionale e internazionale, LNR E. coli ha definito e applica una politica della qualità conforme alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025. Fig. 1: Numero di campioni ricevuti ed esaminati dal LNR E. coli dal 2007 al 2009 divisi per matrice ATTIVITA’ DI SUPPORTO TECNICO-SCIENTIFICO LNR E. coli collabora attivamente con diverse strutture al fine di armonizzare le procedure nel campo della diagnosi delle infezioni da VTEC ed incrementare la sorveglianza e le indagini epidemiologiche. LNR E. coli ha espresso pareri sulle implicazioni sanitarie relative al consumo di latte crudo per il Ministero della Salute, l’AULSS di Legnago (VR), la Regione Veneto, il Consiglio Superiore di Sanità, e partecipando ai gruppi di lavoro di quest’ultimo su “Proposte per un programma di prevenzione delle infezioni da Escherichia coli O157”. LNR E. coli garantisce assistenza alle strutture del SSN tramite la produzione e distribuzione di materiali di riferimento e l’attività di training. In particolare sono stati effettuati 8 eventi formativi teorico-pratici per l’addestramento del personale di strutture sanitarie e universitarie nelle tecniche di identificazione e caratterizzazione dei VTEC. ATTIVITA’ DIAGNOSTICA LNR E. coli esegue a titolo gratuito attività diagnostica su richiesta di strutture del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e altri laboratori pubblici. Questa attività riguarda sia le infezioni umane che matrici derivanti da attività di sorveglianza e controllo su animali, alimenti e ambiente. Gli esami che vengono effettuati sono eseguiti secondo procedure operative standard (POS) e comprendono: - Isolamento, identificazione e conferma di E. coli VTEC mediante amplificazione dei geni codificanti i fattori di virulenza e saggio di citotossicità su cellule Vero, in campioni biologici di provenienza umana, animale e alimentare; - isolamento dei principali sierogruppi VTEC mediante arricchimento per separazione immunomagnetica; - identificazione tramite siero-agglutinazione dei principali sierogruppi di E. coli patogeni; - diagnosi sierologica dell’infezione da E. coli O157, O26, O103, O111, O145 con metodo ELISA (ricerca di anticorpi anti-LPS); - ricerca della Verocitotossina libera in campioni di feci e supernatanti di colture batteriche mediante saggio di citotossicità su cellule Vero; TEST COMPARATIVI INTER-LABORATORIO Identificazione e tipizzazione di ceppi VTEC LNR E. coli ha organizzato quattro circuiti interlaboratorio (proficiency tests, PT) destinati agli IZS. Gli obiettivi dei PT erano: - identificare correttamente un ceppo di E. coli come un VTEC tramite rilevamento in PCR dei geni di virulenza; - identificare correttamente i siero-gruppi dei ceppi VTEC maggiormente associati a malattia grave nell’uomo (3). Le figure 2a e 2b mostrano il numero dei laboratori partecipanti ai PT con le relative prestazioni relativamente all’identificazione dei diversi geni di virulenza ed alla sierotipizzazione dei ceppi. Nel corso degli anni, si è osservato sia un aumento del numero 166 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 di partecipanti che il miglioramento delle prestazioni individuali. In particolare, è importante notare che tutti i laboratori sono ora in grado di identificare correttamente i ceppi VTEC appartenenti al sierogruppo O157, e la maggior parte di loro anche quelli appartenenti agli altri quattro sierogruppi maggiormente coinvolti nelle infezioni umane: O26, O103, O111, O145. animali programmato dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) da condurre su bovini e ovini al macello (2). Ai laboratori è stato richiesto di applicare il metodo ISO 16654:2001 per la ricerca di VTEC O157 (obbligatorio), ed il protocollo CEN descritto in una linea-guida proposta dal LNR E. coli per la ricerca di VTEC non-O157 (facoltativo). Lo studio è stato quindi strutturato come un proficiency test per valutare la performance dei laboratori partecipanti. Undici laboratori da 9 IIZZSS hanno partecipato alla fase obbligatoria dello studio. Nel complesso, tutti i laboratori hanno eseguito correttamente il test. Quattro laboratori hanno preso parte alla fase facoltativa. Un laboratorio ha identificato correttamente la presenza/assenza dei tre geni di virulenza nelle colture di arricchimento di tutti i 5 campioni. Gli altri laboratori hanno commesso rispettivamente 1, 2 e 3 errori. Il PT organizzato nel 2010 aveva come obiettivo la ricerca di VTEC non-O157 in campioni alimentari utilizzando il metodo di riferimento basato sulla real time PCR. Campioni di latte sono stati contaminati con 40 cfu/ml di un ceppo VTEC di sierogruppo O103 e spediti refrigerati ai laboratori. Nove laboratori, un numero molto più elevato rispetto all’anno precedente, hanno partecipato allo studio ed i risultati ottenuti sono in corso di elaborazione. Il PT 2010 è stato organizzato seguendo i principi generali enunciati nella norma internazionale ISO/IEC 17043:2010 “Conformity assessment – General requirements for proficiency testing”. Fig. 2: Studi inter-laboratorio organizzati dal LNR b. Sierogruppi DISCUSSIONE/CONCLUSIONI I VTEC rappresentano una popolazione eterogenea di patogeni a trasmissione prevalentemente alimentare. Un gran numero di sierogruppi di E. coli è stato descritto nelle popolazioni di animali da allevamento con la capacità di produrre le verocitotossine (1), tuttavia i ceppi coinvolti nelle infezioni umane appartengono ad un ristretto numero di questi (3-4). L’impossibilità di distinguere fenotipicamente i VTEC dai ceppi di E. coli commensali richiede, inoltre, la determinazione della presenza dei geni codificanti i fattori di virulenza. Questi presupposti richiedono lo sviluppo di metodi molecolari complessi e richiedono una rete di laboratori qualificati e formati. LNR E. coli ha come obiettivo primario il consolidamento della rete dei laboratori che eseguono il controllo ufficiale degli alimenti in grado di identificare i ceppi VTEC nei veicoli delle infezioni, armonizzando le prestazioni delle strutture operative anche al fine di migliorare la conoscenza dell’epidemiologia delle infezioni da VTEC per affrontare possibili emergenze. Identificazione di VTEC negli alimenti e matrici animali Nel corso del 2009 e 2010 LNR E. coli ha organizzato due PT mirati all’identificazione e isolamento e alla tipizzazione dei principali sierogruppi di VTEC associati ad infezioni umane gravi in matrici animali ed alimentari contaminate artificialmente. I test avevano lo scopo di introdurre nella routine dei laboratori una metodica recentemente sviluppata in ambito CEN (commissione Europea per la normalizzazione) e attualmente in fase di pubblicazione come “technical specification” dall’organizzazione internazionale per la standardizzazione (ISO). Questo metodo è basato sulla identificazione tramite real time PCR dei geni di virulenza e dei determinanti associati ai cinque sierogruppi VTEC maggiormente coinvolti nelle infezioni più gravi in colture di arricchimento. Il metodo prevede, inoltre, l’isolamento del ceppo VTEC eventualmente presente in seguito ad arricchimento sierogruppo-specifico. Il metodo, in seguito alla pubblicazione da parte dell’ISO, diverrà standard internazionale e metodo di riferimento per la ricerca dei VTEC appartenenti ai siero gruppi nel campo di applicazione negli alimenti. il test del 2009 è stato dedicato alla ricerca dei VTEC in campioni costituiti da tamponi superficiali di carcasse bovine simulati, contaminati in laboratorio con quantità variabili di VTEC O157 e O26 in presenza di flora di background. Lo scopo di questo PT era di preparare i laboratori a condurre le indagini relative al monitoraggio dei VTEC nelle popolazioni RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. 2. 3. 4. 167 Caprioli A, Morabito S, Brugère H, Oswald E. 2005. Enterohaemorrhagic Escherichia coli: emerging issues on virulence and modes of transmission. Vet. Res., 36: 289-311 EFSA. 2009. Guidance on the technical specifications for the monitoring and reporting of VTEC on animals and food. EFSA Journal, 7(11): 1366. EFSA-ECDC. 2010. Trends and sources of zoonoses and zoonotic agents and food-borne outbreaks in the European Union in 2008. EFSA Journal; 8 (1): 1496. Karmali MA, Mascarenhas M, Shen S, Ziebell K, Johnson S, Reid-Smith R, Isaac-Renton J, Clark C, Rahn K, Kaper JB. 2003. Association of genomic O island 122 of Escherichia coli EDL 933 with verocytotoxin-producing Escherichia coli seropathotypes that are linked to epidemic and/or serious disease. J. Clin. Microbiol., 41: 4930-4940 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ISOLAMENTO E TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI Mycobacterium bovis DA BOVINI SICILIANI NEL TRIENNIO 2007-2009 Caracappa S.; Piraino C.; Vicari D.; Boniotti M. B. 1, Galuppo L.; Pacciarini M.1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, via G. Marinuzzi 3, Palermo-email: [email protected] 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia “B. Ubertini” Keywords: Mycobacterium bovis, spoligotyping, tubercolosi bovina ABSTRACT Mycobacterium bovis is the causative agent of bovine tuberculosis. Isolation and spoligotyping analysis of 75 M. bovis and one of M. caprae isolates, from 2007 to 2009, from sicilian bovine and one caprine head has been carried out. Twelwe different spoligotype patterns were identified being SB0120 the predominant one. This same spoligotype was previously reported as the predominant one also in an analysis regarding the North of Italy. MIRU-VNTR analysis was performed as a second line genotyping technique by characterisation of ten selected loci. cutaneo tubercolinica PPD (derivato proteico purificato, All. B, 2, Dir. 64/432/CEE) o che mostravano lesioni riferibili alla tubercolosi in sede di esame ispettivo post mortem. I campioni, prelevati, sono stati conservati in contenitori sterili e successivamente trasportati, a temperatura controllata, all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia dove sono stati processati secondo la procedura in uso presso il laboratorio[9]. Nei casi di trasporto non immediato il materiale è stato conservato a 4° ±2° C per un massimo di quattro giorni o congelato a -20°C (DM 592/95, all. 2). INTRODUZIONE Mycobacterium bovis è il principale agente della tubercolosi bovina. Questa zoonosi produce ingenti perdite economiche per le aziende oltre rappresentare una minaccia in termini di salute pubblica. Questo lavoro riporta i risultati della genotipizzazione degli isolati di M. bovis da animali della specie bovina appartenenti ad allevamenti siciliani nel periodo dal 2007 al 2009. Lo spoligotyping [5] è considerato un valido metodo per la tipizzazione molecolare di M. bovis poiché mostra una buona riproducibilità e i risultati possono essere velocemente e facilmente paragonati tra i vari laboratori grazie ai database disponibili (www.mbovis.org, www.pasteur-guadalupe.fr/tb). RISULTATI I ceppi di Mycobacterium bovis isolati sono stati caratterizzati ed, in seguito, inviati al Centro di Referenza Nazionale presso L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia sede di Brescia per la tipizzazione molecolare. Su 76 isolati l’analisi del gene gyrB ha consentito di classificare 75 ceppi di M. bovis e un ceppo di M. caprae. La tipizzazione degli isolati ha poi consentito l’identificazione 12 diversi spoligotipi (Tab. 1). SB0120 si è rivelato essere lo spoligotipo più diffuso (45,8% degli isolati) con un’elevata distribuzione geografica. I 32 isolati che presentavano lo spoligotipo SB0120 sono stati ulteriormente caratterizzati al fine di avere una maggiore capacità discriminativa. La tipizzazione è stata effettuata utilizzando dieci loci VNTR (Variable Number Tandem Repeat, ETR A-E, miru 26, QUB11a, QUB11b, QUB15 e QUB3232, [3,7,8]) che hanno consentito di poter distinguere i 32 isolati in 15 sottopopolazioni (tab. 2). MATERIALI E METODI I micobatteri sono stati isolati da campioni di organi (polmone e fegato) e da linfonodi di animali, provenienti dal territorio regionale, risultati positivi alla prova del test Tab. 1 Diversità, distribuzione e frequenza degli spoligotipi di M. bovis. Bo: bovino; Ca: caprino. Spoligotipo Pattern Specie Province Frequenza (%) SB0120 ■■□■■■■■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo CT, EN, ME, TP, PA, RG, SR 45,8 SB0134 ■■□□□■■■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo CT, EN, PA, RG 17,9 SB0841 ■■□■■□□■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo, Ca EN, ME, SR 15,18 SB0897 ■■□■■■■■□■■□■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo PA, RG, SR 5,52 SB1550 ■■□■■■■□□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo SR 5,52 SB1305 ■□□□■■■■□■■■■■■□■■■■□■■■■■□■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo EN, PA 4,1 SB0121 ■■□■■■■■□■■■■■■□■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□ Bo PA, SR 2,7 SB1567 ■■□■■■■■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■□□□□■■■■■■■□□□□□ Bo RG 1,4 SB0418 □■□□□□□□□□□□□□□□■■■■■■■■■■■□■■■■■■■■■■□□□□□ Bo RG 1,4 168 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tab. 2 Frequenza degli isolati dello spoligotipo SB0120 caratterizzati utilizzando 10 loci VNTR. Diversità allelica (h) Frequenza degli isolati con alleli MIRU-VNTR: 1 2 3 4 5 ETR-A 18,8 40,6 40,6 0,63 ETR-B 31,3 9,4 59,4 0,54 100 0,00 ETR-C ETR-D 96,9 3,1 ETR-E 62,5 18,8 miru 26 3,1 7 3,1 3,1 87,5 0,23 0,00 96,9 0,06 90,6 3,1 DISCUSSIONE I risultati di tipizzazione molecolari presentati in questo studio sono i primi, a nostra conoscenza, per isolati di M. bovis in Sicilia. La tipizzazione molecolare ha evidenziato l’esistenza di dodici spoligotipi, tre dei quali ancora in corso di studio. Lo spoligotipo SB0120 che è risultato essere quello maggiormente diffuso in tutte le provincie siciliane, rappresenta il ceppo BCG-like [4] ed era già stato descritto come lo spoligotipo predominante in uno studio che riportava la tipizzazione di ceppi di M. bovis isolati in regioni dell’Italia settentrionale dal 2000 al 2006 [2]. Inoltre, lo spoligotipo SB0120 è il più frequente in Francia [4] e il secondo più diffuso in Spagna [1] dove invece lo spoligotipo più frequentemente riscontrato è SB0121, a sua volta poco diffuso in Sicilia. I nostri risultati sebbene necessitino di un indagine più a largo raggio possono rappresentare un primo passo per lo studio della reale entità del fenomeno in un territorio, come quello siciliano, dove ancora la Tubercolosi è una realtà nosologica preoccupante. 3,1 3,1 0,18 on variable numbers of tandem DNA repeats. Microbiology 144:1189–1196. 4. Haddad, N., Ostyn, A., Karoui, C., Masselot, M., Thorel, M.F., Hughes, S.L., Inwald, J., Hewinson, R.G., Durand, B., (2001). Spoligotype diversity of Mycobacterium bovis strains isolated inFrance from 1979 to 2000. J. Clin. Microbiol. 39, 3623–3632. 5. Kamerbeek J, Schouls L, Kolk A, van Agterveld M, van Soolingen D, Kuijper S, Bunschoten A, Molhuizen H, Shaw R, Goyal M, van Embden J. (1997) Simultaneous detection and strain differentiation of Mycobacterium tuberculosis for diagnosis and epidemiology J Clin Microbiol. 35(4):90714. 6. Rodríguez S., Romero B., Bezos J., de Juan L., Álvarez J., Castellanos E., Moya N., Lozano F., González S., SáezLlorente J.L., Mateos A., Domínguez L., Aranaz A. and the Spanish Network on Surveillance and Monitoring of Animal Tuberculosis (2010) High spoligotype diversity within a Mycobacterium bovis population: Clues to understanding the demography of the pathogen in Europe Vet Microbiol 141: 89-95 7. Skuce, R. A., T. P. McCorry, J. F. Mc Carroll, S. M. M. Roring, A. N. Scott, D. Brittain, S. L. Hughes, R. G. Hewinson, Neill S. D.. (2002). Discrimination of Mycobacterium tuberculosis complex bacteria using novel VNTR PCR targets. Microbiology 148:519–528. 8. Supply, P., E. Mazars, S. Lesjean, V. Vincent, B. Gicquel, and C. Locht. (2000). Variable human minisatellite-like regions in the Mycobacterium tuberculosis genome. Mol. Microbiol. 36:762-771 9. IZSSI POS DIA05 - Ricerca del Mycobacterium bovis da amteriale organico di origine animale (organi, linfonodi, tessuti) revisione 6 Novembre 2008. Riferimenti bibliografici 3. 11 0,12 100 3,1 10 0,54 6,3 QUB3232 2. 9 18,8 93,8 QUB11b 1. 8 0,06 QUB11a QUB15 6 Aranaz, A., E. Lichana, A. Mateos, L. Dominguez, D. K. Vidal, M. Domingo, O. Gonzolez, E. F. Rodriguez-Ferri, A. E. Bunschoten, J. D. Van Embden, and D. Cousins. (1996). Spacer oligonucleotide typing of Mycobacterium bovis strains from cattle and other animals: a tool for studying epidemiology of tuberculosis. J. Clin. Microbiol. 34:2734-2740 Boniotti, M.B., Goria, M., Loda, D., Garrone, A., Benedetto, A., Mondo, A., Tisato, E., Zanoni, M., Zoppi, S., Dondo, A., Tagliabue, S., Bonora, S., Zanardi, G., Pacciarini, M.L., (2009). Molecular typing of Mycobacterium bovis strains isolated in Italy from 2000 to 2006 and evaluation of variable-number-tandem-repeats for a geographic optimized genotyping.J. Clin. Microbiol. 47: 636–644. Frothingham, R., Meeker-O’Connell W. A.. (1998). Genetic diversity inthe Mycobacterium tuberculosis complex based 169 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE SULLA PREVALENZA DI SALMONELLA NEGLI ALLEVAMENTI DI SUINI DA RIPRODUZIONE DELLA PROVINCIA DI CUNEO Careddu M.E. 1, Olivetto L. 1, Ribero A.1, Fontanarosa S. 1, Bianchi C..1, Decastelli L. 2, Rubinetti F. 3, Vitale N. 3 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta-Sez. Cuneo; Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta-Lab. Controllo alimenti Torino; 3 Osservatorio epidemiologico Keywords: salmonella, suino, allevamento da riproduzione INTRODUZIONE L’epidemiologia delle infezioni da Salmonella nel suino consta di due separati problemi: l’infezione delle carcasse e dei prodotti alimentari e l’infezione che determina la salmonellosi nel suino. Le indagini sulla prevalenza della patologia vanno accuratamente verificate per assicurarsi che l’infezione non sia confusa con la patologia. Nella zona di studio, la provincia di Cuneo, vengono allevati 1 milione di suini circa, si è voluta indagare la prevalenza di Salmonella seguendo lo schema utilizzato dall’EFSA a livello europeo nel survey baseline condotto nel 2007/2008 negli allevamenti di riproduttori per confrontare i dati provinciali ai dati nazionali ed europei emersi in tale studio. pieno tutto vuoto, tipologia approvigionamento mangimi, eventuale presenza probiotici, principi attivi, trattamento e mese di prelievo campioni. E’ stato usato un modello di regressione logistica per valutare contemporaneamente l’effetto di diversi fattori di rischio solo a livello di azienda. Successivamente i fattori che sono risultati significativi a livello di azienda sono stati analizzati con un modello di regressione logistica gerarchico a 2 livelli (azienda, box). Questo per tener conto che i box derivavano da un numero limitato di aziende e alcuni box sono tra loro necessariamente più simili perchè derivano dalla stessa azienda. L’analisi statistica è stata condotta con il software SAS v9.1. MATERIALI E METODI Lo studio è un’indagine di prevalenza per salmonella condotta da novembre 2008 e fino a marzo 2010 su un campione di 66 aziende suinicole da riproduzione della provincia di Cuneo. La dimensione campionaria è stata fissata per stimare con una prevalenza attesa del 20% un livello di confidenza del 95% e un errore dell’8% (66 aziende su 233 censite in ARVETAnagrafe regionale veterinaria). In ogni allevamento sono stati prelevati 10 campioni, ognuno costituito da pool di feci, provenienti da box o sale parto o recinti in cui stabulavano almeno 10 animali. Per ogni box o recinto o sala parto campionati è stata compilata una scheda raccolta dati sul modello della survey baseline condotta dall’EFSA. I campioni sono stati sottoposti ad analisi nella stessa giornata del campionamento, partendo da pesate di 25 grammi, alla ricerca di salmonella spp secondo la metodica ISO 6579:2002/ Amd.1:2007 (isolamento salmonella spp. da materiale biologico con terreno semisolido msrv ). Le colonie sospette sono state poi inviate al laboratorio del Controllo alimenti di Torino per la tipizzazione. I dati raccolti sono stati inseriti in un database e poi analizzati, le analisi eseguite sono le seguenti: -in prima battuta e’ stata condotta una analisi descrittiva monovariata di tutte le variabili presenti sulla scheda epidemiologica per una rappresentazione del campione analizzato -l’analisi bivariata è stata eseguita a livello di azienda considerando l’associazione tra presenza di patogeno e una serie di fattori: anno, mese di prelievo campione, tipo di modalità rimonta, sostituzione verri, numero riproduttori (la variabile era divisa in 4 classi), trattamenti farmacologici. RISULTATI E DISCUSSIONE Su 66 aziende 46 sono risultate negative (tutti e 10 i campioni negativi) e 20 positive (uno o più campioni positivi) per salmonella spp. Nella Tabella 1 sono riportati dettagliatamente i campioni positivi per salmonella e i risultati dei sierotipi isolati: Tabella 2 prevalenza salmonella in allevamenti da riproduzione della provincia di Cuneo L’associazione è stata valutata con il test statistico chi quadrato e con il test LRT (Likelihood ratio test) per le variabili qualitative e il t test per le variabili quantitative fissando il p value a 0.05. Un’ analisi bivariata a livello di box è stata eseguita per i seguenti fattori: possibilità di recarsi all’aperto, presenza alloggi individuali, episodi di diarrea, sesso, presenza di scrofette, fase di produzione, tipo di stabulazione, applicazione tutto 170 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tabella 3 frequenze assolute e relative dei sierotipi isolati CONCLUSIONI Il presente studio conferma che la prevalenza di Salmonella nella provincia di Cuneo è analoga a quella europea. La stima dei fattori di rischio per salmonella trovati nel nostro campione risulta diversa da quelli fatti registrare dalla survey Europea: nella survey EU erano risultati fattori di rischio associati alla presenza della salmonella: il numero di giorni tra campionamento ed esecuzione esame (falsi negativi), il mese di campionamento. In provincia di Cuneo sembra assumere maggiore importanza la tipologia di allevamento (ciclo chiuso). BIBLIOGRAFIA 1.Griffith, R.W., Schwartz, K., Salmonella. In: A.D., Straw et others, DISEASES OF SWINE. Ninth edition,Iowa StateUniversity Press, Iowa, pp. 739-754 2.EFSA_2008 Analysis of the baseline survey on the prevalence of Salmonella in slaughter pigs, in the EU, 2006-2007 - Part B: factors associated with Salmonella infection in lymph nodes, Salmonella surface contamination of carcasses, and the distribution of Salmonella serovars 3.EFSA_2008 Report of the Task Force on Zoonoses Data Collection on the Analysis of the baseline survey on the prevalence of Salmonella in slaughter pigs, in the EU, 2006-2007 [1] - Part A: Salmonella prevalence estimates 4.EFSA_2009 Analysis of the baseline survey on the prevalence of Salmonella in holdings with breeding pigs in the EU, 2008 - Part A: Salmonella prevalence estimates 5. EFSA_2010 Scientific Opinion on a Quantitative Microbiological Risk Assessment of Salmonella in slaughter and breeder pigs La prevalenza di salmonella trovata nel campione di riproduttori è di 39.4% (IC95% 27.6-52.2%) e non è statisticamente diversa da quella fatta registrare a livello Italiano dalla survey baseline condotta nel 2006-2007 dalla EFSA nell’Unione Europea(p=51.2%; IC95%: 39.2-65.1%). I ceppi più frequentemente isolati nel progetto sono: s. typhimurium (16%; IC95%:6-29% ), s. berta (13%; IC95%:526.3%) e s. derby (11%; IC95%:3.6-23.7% ). In Italia, secondo i dati riportati dalla baseline survey EU, il ceppo maggiormente isolato nei riproduttori è s. derby (16.3%; IC95%: 9.1-29%), seguito da s. typhimurium (7%; IC95%: 2.7-17.7%). La differenza tra le proporzioni è statisticamente significativa per s. typhimurium (chisq=4.24 p<0.02); ma non per s. derby (chisq=0.9 p<.34) La stima dei fattori di rischio per salmonella trovati nel nostro campione risulta diversa da quelli fatti registrare dalla survey Europea: nella survey EU erano risultati fattori di rischio associati alla presenza della salmonella: il numero di giorni tra campionamento ed esecuzione esame, il mese di campionamento. Nell’ambito della nostra analisi non abbiamo preso in considerazione il primo aspetto perché gli esami sono stati eseguiti sempre entro 24 ore dalla data di prelievo. L’analisi bivariata (confronto solo tra due variabili, es. ciclomalattia) indicava come statisticamente significativo l’effetto del ciclo chiuso e del mese di campionamento. Il fattore mese però, risultato significativo a livello di stagionalità nel modello di regressione logistico a un livello, è risultato non significativo con il modello gerarchico GEE. SUMMARY In order to investigate the prevalence of salmonella in breeding pigs in the Cuneo district a baseline survey was conducted in April 2010. A samples of 66 holdings with breeding pigs were randomly selected and included in the survey. In each breeding holding, pooled faecal samples were tested for Salmonella and the isolates were serotyped. The prevalence of Salmonellapositive holdings with breeding pigs was 39.4% (IC95% 27.652.2%). The number of different Salmonella serovars isolated was 17 and S. typhimurium was the most frequent (16%). Results of this study are similar to those of EU Salmonella baseline survey. Dall’analisi multivariata quindi è emerso come statisticamente significativo solo l’effetto del ciclo chiuso, in grado di aumentare il rischio di infezione di oltre 4 volte. Tabella 4 output del modello di regressione logistica GEE indicante le stime (Z) e la significatività statistica (P) e gli odds ratio dei 2 fattori considerati 171 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PRESENZA DI LISTERIA MONOCYTOGENES IN IMPIANTI DI MACELLAZIONE. 1 Carfora V, 1 Farneti S., 2 Renzi F., 1Bazzucchi V., 1Scorpioni V., 1Pezzotti G., 1Scuota S. 2 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche Scuola di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di Camerino Keyword: Listeria monocytogenes, PCR, PFGE ABSTRACT Investigations carried out over three months in a pig slaughterhouse resulted in a high contamination of carcasses by Listeria monocytogenes. In order to identify the possible source of contamination, pre-moistened sponges have been swabbed along the whole processing chain. In two facilities was found L. monocytogenes, whose electrophoretic profile, as determined by PFGE, was identical to that one isolated from carcasses. The permanence of the germ along the process appears to be the main cause of contamination of pork meat and derived products, as found by other authors. acqua peptonata (PRE-MOISTENED SPONGES, Solar-cult®), a livello di torace, coscia, guanciale di una singola mezzena. Il prelievo ha interessato una superficie totale di circa 300 cm2 ed è stato effettuato alla fine delle operazioni di macellazione e bollatura, prima dello stoccaggio delle carcasse nelle celle di refrigerazione. I campioni, trasportati a temperatura controllata (4±2°C), sono stati analizzati entro le 24 ore successive all’arrivo in laboratorio. Isolamento e identificazione: la ricerca di L. monocytogenes è stata condotta mediante metodica AFNOR BIO 12/11-03/04. I campioni risultati positivi allo screening effettuato con metodo immunoenzimatico sono stati confermati secondo quanto previsto dalla UNI EN ISO 11290-1:2005. PCR: la PCR di specie è stata eseguita secondo il protocollo di Barocci et al. (1). Quest’ultima permette l’identificazione di specie di L. monocytogenes attraverso l’uso di primers specifici per una regione del gene hlyA codificante per l’esotossina denominata Listerolisina O, la quale svolge attività litica sulle cellule dei tessuti e sui globuli rossi (8). Al fine di valutare la potenziale virulenza dei ceppi isolati, è stata eseguita una PCR per evidenziare la eventuale presenza del gene a localizzazione cromosomica lmo 2026, che sembra essere coinvolto nella moltiplicazione del germe a livello del sistema nervoso centrale. Tale metodica è stata eseguita utilizzando i primers riportati in bibliografia (6), secondo il protocollo descritto in Tabella 1. Le reazioni sono state condotte con Mastercycler 5533 (Eppendorf) e gli amplificati sono stati analizzati mediante corsa elettroforetica su gel al 2%, contenente bromuro di etidio (concentrazione finale 0,5 µg/ml), in tampone TBE 1X (Biorad) e successiva visualizzazione mediante transilluminatore. INTRODUZIONE Dalle analisi effettuate nell’ambito del “Piano di monitoraggio di Listeria monocytogenes e Listeria spp. nei salumifici umbri”, inserito nel “Piano integrato dei controlli 2007-2010 sulla sicurezza Alimentare- Regione Umbria”, risulta che le carni fresche di suino e i prodotti a base di carne anche stagionati da esse derivati sono frequentemente contaminati da germi appartenenti al genere Listeria. Le fonti di contaminazione delle carni suine da parte di L. monocytogenes possono essere molteplici e attribuibili al management igienico-sanitario dell’allevamento o alla non scrupolosa osservanza di misure precauzionali atte ad evitare l’imbrattamento delle carcasse durante la macellazione (5, 7). Comunque, considerata la spiccata capacità di Listeria monocytogenes di persistere negli ambienti di lavorazione, la sua presenza sembra essere più facilmente riconducibile a un problema di natura ambientale (2). Tale microrganismo, pur non essendo sporigeno, mostra una particolare attitudine a resistere alle condizioni ambientali avverse attraverso la messa in atto di una serie di “strategie” fisiologiche e biochimiche. Tra queste, assume particolare rilievo la capacità di formare biofilm,in grado di determinare un aumento della resistenza dei germi ai sanitizzanti convenzionali, quali gli acidi anionici o i composti dell’ammonio quaternario. Sulla base di questi presupposti, si è ritenuto opportuno intraprendere un’indagine conoscitiva sulla presenza di Listeria monocytogenes su carcasse suine regolarmente macellate e negli impianti di macellazione. Dai risultati ottenuti è scaturita inoltre la necessità di indagare le possibili localizzazioni del germe lungo la catena di lavorazione, in uno dei mattatoi dove si era riscontrato un alto numero di carcasse positive. Tabella 1 - Miscela di reazione e condizioni di amplificazione Mix di reazione (50 µl) Buffer 1x MgCl2 1,5 mM dNTPs 200 µM Lmo2026F 0,2 µM Lmo2026R 0,2 µM Taq 1U DNA MATERIALI E METODI Campioni: sono state campionate 120 carcasse di suini regolarmente macellati presso tre mattatoi in provincia di Perugia. In ogni stabilimento sono stati effettuati prelievi ad un mese di distanza uno dall’altro; in ogni sessione di campionamento sono state campionate 20 carcasse. Inoltre era stato previsto, in caso di eventuali positività riscontrate, di effettuare un terzo prelievo negli stabilimenti di macellazione, a livello di superfici ambientali, attrezzature, strumenti utilizzati e, contestualmente, di campionare almeno 20 carcasse macellate nella stessa giornata. Le carcasse sono state campionate, con metodo non-distruttivo mediante spugne pre-inumidite con 2 µl (20-100 ng) Amplificazione 1 ciclo 95°C x 5’ 95°C x 30” 55°C x 1’ 65°Cx 30” 68°C x 15’ 32 cicli 1 ciclo PFGE: i ceppi di L. monocytogenes isolati sono stati sottoposti a elettroforesi in campo pulsato (PFGE). L’estrazione del DNA, la digestione dei campioni con enzima AscI e l’elettroforesi in campo pulsato sono state eseguite secondo il protocollo descritto da Graves and Swaminathan (4) per il programma PulseNet. Come riferimento per l’analisi dei profili di restrizione viene caricato su ogni gel il DNA genomico di Salmonella Braenderup H9812, digerito con enzima Xbal. La corsa elettroforetica è stata eseguita utilizzando un sistema CHEFDR III (Bio-Rad, Hercules, CA) ad un gradiente di 6V/cm, angolo 120°, uno switch time di 4-40 secondi a 14°C per 21 ore. 172 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 delle carcasse suine è strettamente legata all’igiene degli impianti di macellazione. La contaminazione delle carcasse avviene verosimilmente nelle ultime fasi della catena; si può ragionevolmente supporre che la permanenza nella vasca di scottatura determini l’inattivazione pressoché totale del germe. Infatti, anche nel nostro caso, le attrezzature risultate contaminate sono state quelle venute in contatto con la carcassa al termine della lavorazione. Il riscontro dello stesso pulsotipo di L. monocytogenes nello stesso stabilimento di macellazione, per un lungo periodo di tempo, conferma le peculiari capacità del germe di sopravvivere a lungo nell’ambiente, come già osservato da altri Autori. Tale riscontro evidenzia altresì la non sempre adeguata applicazione delle buone pratiche di lavorazione, particolarmente per quello che riguarda la sanificazione delle attrezzature e degli ambienti di lavorazione e il controllo dell’efficacia di tale sanificazione. La metodica PFGE, ormai largamente applicata nella tipizzazione genomica di molte specie batteriche, si dimostra ancora una volta un efficiente strumento per correlare ceppi batterici, anche con diversa collocazione spazio-temporale, consentendo, come in questo caso, di individuare le sorgenti di contaminazione, rendendo più agevole ed efficace l’applicazione di misure correttive . La PFGE per Listeria monocytogenes, come per altri patogeni, rappresenta pertanto un efficace strumento di epidemiologia molecolare. Al fine di completare l’indagine e di rafforzare l’ipotesi della presenza di un unico pulsotipo, i ceppi già tipizzati saranno sottoposti a un’ulteriore digestione utilizzando un altro enzima di restrizione. Dopo l’elettroforesi il gel è stato colorato in bromuro di etidio, decolorato quindi fotografato sotto luce UV. RISULTATI Isolamento e PCR: le positività per L. monocytogenes sono state riscontrate in un unico stabilimento di macellazione; delle 60 carcasse campionate in questo stabilimento, 33 (55.0%) sono risultate positive all’isolamento e alla successiva identificazione di L. monocytogenes mediante analisi in PCR. Tutti i ceppi isolati presentavano il gene di virulenza lmo 2026, generalmente correlato al sierotipo 1/2c (3). I risultati delle analisi dei tamponi ambientali effettuati all’interno del mattatoio sono indicati in Tabella 2. Tabella 2 - Localizzazione ed esito dell’analisi dei tamponi ambientali Localizzazione prelievo Lama coltello per iugulazione Isolamento/PCR Lama sega per sezionamento -/-/-/-/-/-/-/+/+ Pareti “doccetta” per lavaggio carcasse a fine macellazione +/+ Superficie 1°convogliatore carcasse Acqua vasca di scottatura Griglia vasca di scottatura Desetolatrice Superficie nastro trasportatore Superficie 2° convogliatore carcasse BIBLIOGRAFIA PFGE: tutti i ceppi di L. monocytogenes isolati dalle carcasse e dai tamponi ambientali hanno mostrato un profilo di restrizione identico, sia per il numero sia per la posizione delle bande (Fig.1). 1) Barocci S., Calza L., Blasi G., Briscolini S., De Curtis M., Palombo B., Cucco L., Postacchini M., Sabbatini M., Graziosi T., Nardi S., Pezzotti G.. 2008. Evaluation of rapid molecular method for detection of Listeria monocytogenes directly from enrichment broth media. Food Control, 19, 750-756. 2) Cantoni C., Arcidiacono M., Stella S., 2002. Localizzazione di Listeria monocytogenes in macelli per suini. Industrie Alimentari, XLI, 17-24. 3) Doumith M., Cazalet C., Simoes N., Frangeul L., Jacquet C., Kunst F., Martin P., Cossart P., Glaser P., Buchrieser C., 2004. New aspects regarding evolution and virulence of Listeria monocytogenes revealed by comparative genomics and DNA arrays. Infection and Immunity, 72, 1072-1083. 4) Graves L.M. and Swaminathan B., 2001. PulseNet standardized protocol for subtyping Listeria monocytogenes by macrorestriction and pulsed-field gel electrophoresis. Internal Journal of Food Microbiology, 65, 55-62. 5) Hellström S., Laukkanen R., Siekkinen K.M., Ranta J., Maijala R., Korkeala H., 2010. Listeria monocytogenes contamination in pork can originate from farms. J Food Prot. 73 (4):641- 648. 6) Jianshun C., Xiaokai L., Lingli J., Peijie J., Wei W., Dongyou L., Weihuan F., 2009. Molecular characteristics and virulence potential of Listeria monocytogenes isolates from Chinese food systems. Food Microbiology, 26, 103-111. 7) Peccio A., Autio T., Korkeala H., Rosmini R., Trevisani M., 2003. Listeria monocytogenes occurence and characterization in meatproducing plants. Letters in Applied Microbiology, 37,234-238. 8) Portnoy D.A., Chakraborty T., Goebel W., Cossart P. 1992. Molecular determinants of Listeria monocytogenes pathogenesis. Infection and immunity, 60, 1263-1267. Fig. 1: PFGE del DNA genomico di L.monocytogenes digerito con AscI. Lanes 1-10, isolati da carcasse; Lanes 11-12isolati da attrezzature; M, DNA di Salmonella Braenderup H9812 digerito con XbaI. DISCUSSIONE Il fatto che in due dei tre macelli sottoposti a indagine non si sia riscontrata nel tempo alcuna positività per L. monocytogenes a livello di carcasse, accredita l’ipotesi che la contaminazione Si ringrazia il Sig. Michele Tentellini per la cortese disponibilità e per l’assistenza tecnica prestata 173 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 STUDIO BIOMOLECOLARE SULLA PRESENZA DI HELICOBACTER SPP. IN CAMPIONI GASTRICI, DI FECI E SALIVA PRELEVATI DA SUINI AFFETTI DA ULCERA GASTRICA Casagrande Proietti P, Bietta A, Brachelente C, Lepri E, Franciosini MP. Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali ed Alimentari, Facoltà di Medicina Veterinaria, Perugia. Key words: gastric ulcer, Helicobacter spp., PCR. ABSTRACT (Invitrogen, UK) e protocolli di PCR specifici (7). Il prodotto di PCR di Helicobacter spp. è stato sottoposto a digestione enzimatica con MboI (Gibco, UK). 8 prodotti di PCR ottenuti da campioni di mucosa gastrica positivi per H. suis e 8 prodotti di PCR ottenuti da feci e da saliva positivi per Helicobacter spp. sono stati sottoposti a sequenziamento con primers specifici. Stomachs from 400 slaughtered swine were subjected to gross pathological examination to evaluate the presence of ulcers. Sixty-five samples from ulcerated pars oesophagea and 15 samples from non-ulcerated pyloric portions were subjected to histopathological and molecular analyses to detect Helicobacter (H.) species by PCR. Faeces and saliva swabs from 25 animals were collected for in vivo analyses. Histopathology revealed gastric ulcers (93% of cases); the ulcerated oesophageal (49%) and the non-ulcerated pyloric portions (53%) were positive for H. suis, while faeces (60%) and saliva (64%) for Helicobacter spp.; H. pylori was not detected. INTRODUZIONE L’ulcera della parte non ghiandolare dello stomaco è una patologia ad eziologia complessa in cui sono coinvolti molti fattori tra cui l’alimentazione, condizioni di stress e alcuni agenti patogeni.(1,2) Ulcerazioni della porzione non ghiandolare dello stomaco di suini, precedentemente infettati sperimentalmente con H. suis sono state infatti associate alla presenza del patogeno stesso E’ stato inoltre dimostrato che H. suis provoca gastrite in suini infettati sia naturalmente che sperimentalmente (3,4),. Ad oggi non si conosce con esattezza quale ruolo possa avere H. suis nella patologia gastrica suina ma è noto che esso rappresenta la principale specie di Helicobacter in grado di colonizzare lo stomaco dei suini ed inoltre è il microrganismo più diffuso nella patologia gastrica dell’uomo (5) tra gli Helicobacter non-H. pylori. Alla luce di questi dati si può ipotizzare che i suini possano rappresentare una fonte di infezione di H. suis per l’uomo. Il maggiore agente microbico rilevato nelle patologie gastriche umane rimane tuttavia H. pylori, che al contrario sembra infettare solo occasionalmente gli animali (6). L’obiettivo della nostra ricerca è stato quello di valutare la presenza di Helicobacter spp., H. suis e H. pylori mediante analisi di PCR in suini affetti da ulcere gastriche. Inoltre, la presenza di Helicobacter spp. è stata studiata in campioni di feci e di saliva allo scopo di mettere a punto una metodica di PCR utile per applicazioni in vivo. Figura 1. Microscopia ottica, colorazione ematossilina-eosina. Pars esofagea dello stomaco: sono evidenti aree di disepitelizzazione della mucosa e necrosi della sottomucosa (U, ulcera; E epitelio; TG, tessuto di granulazione) RISULTATI L’esame istopatologico ha confermato la presenza di ulcere a vario stadio di sviluppo in associazione a quadri variabili di infiltrati infiammatori nel 93% degli stomaci esaminati al macello. Erano frequentemente visibili lesioni di grado lieve caratterizzate da ipercheratosi paracheratosica della porzione squamosa. Nelle ulcere subacute e croniche si osservava inoltre la proliferazione di un tessuto di granulazione e l’iperplasia dell’epitelio ai margini della zona ulcerata. La porzione ghiandolare era frequentemente infiltrata da linfociti ed eosinofili mentre negli animali con ulcere gastroesofagee subacute-croniche mostrava spesso quadri di gastrite cronica linfofollicolare. L’analisi di PCR eseguita sui campioni gastrici ha rivelato la presenza di Helicobacter spp. nel 49% dei campioni con ulcera gastro-esofagea e nel 53% dei campioni di mucosa pilorica senza lesioni. I campioni positivi per Helicobacter spp. sono risultati positivi anche per H. suis (Fig. 2), dato confermato dalla digestione enzimatica che opera esclusivamente sul genoma di H. suis; H. pylori non è stato rilevato in nessun campione. Dall’analisi di PCR eseguita su campioni di feci e di saliva è emerso che rispettivamente il 60% ed il 64% sono risultati positivi per Helicobacter spp., mentre nessuno dei campioni è risultato positivo per H. suis o H. pylori. Il sequenziamento dei campioni di mucosa gastrica e dei campioni di feci e saliva positivi rispettivamente per la PCR per H. suis e per Helicobacter spp. ha mostrato il 99% di omologia con porzioni del gene 16S rRNA specifiche rispettivamente di H. suis e del genere Helicobacter. MATERIALI E METODI 400 stomaci di suini di 10 mesi sono stati esaminati al macello per valutare la presenza di ulcere gastriche. Gli esami istologici e le indagini biomolecolari sono state effettuate su 65 campioni di tessuto gastrico che mostrava la presenza di ulcere e su 15 campioni di tessuto della porzione pilorica, che macroscopicamente non mostravano la presenza di lesioni ulcerative. Per gli studi molecolari il DNA è stato estratto dai tessuti e dai campioni di feci e di saliva raccolti in vivo da 25 soggetti appartenenti allo stesso gruppo e conservati a -80 °C fino all’uso, utilizzando Charge Switch gDNA mini tissue kit (Invitrogen, UK). Per la PCR sono stati utilizzati primers 174 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 analizzati. Sebbene Krakowka et al. (4) hanno riportato che H. pylori è in grado di colonizzare la mucosa gastrica di suini infettati sperimentalmente, non vi sono indicazioni che i suini possano costituire un serbatoio naturale di questo patogeno (5). Analisi di PCR con primers specifici sono state effettuate su campioni di saliva e feci allo scopo di mettere a punto una metodica in vivo per rilevare H. suis. Dai nostri dati è emerso che il 60% dei campioni di feci e il 64% dei campioni di saliva sono risultati positivi per Helicobacter spp., mentre sono risultati negativi per H. suis e per H. pylori. I nostri dati sono in accordo con quelli di Hanninen et al. che hanno isolato H. bilis e H. trogontum da campioni di feci (9,10) mentre H. suis non è mai stato rilevato. In conclusione i nostri risultati indicano che la PCR, sebbene sia una metodica sensibile ed efficace per l’individuazione di H. suis in campioni gastrici, potrebbe essere meno sensibile nell’applicazione a saliva e feci. È possibile inoltre che specie di Helicobacter diverse da H. suis siano presenti nelle feci e nella saliva. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Figura 2. Prodotti di PCR. (A) PCR di Helicobacter spp. M: 100 bp DNA ladder; 1-4: PCR di campioni gastrici; 5: controllo negativo. (B) PCR di Helicobacter suis. M: 100 bp DNA ladder, 1-7: PCR di campioni gastrici; 8: controllo negativo. (C) Digestione enzimatica con MboI dei prodotti di PCR di Helicobacter spp. M: 100 bp DNA ladder, 1-2: Prodotti della PCR Helicobacter spp. di H. pylori ATCC 43504 con (1) e senza (2) digestione con MboI; 3-4: Prodotti della PCR Helicobacter spp. di campione gastrico suino con (3) e senza (4) digestione con MboI. 2. 3. 4. DISCUSSIONE 5. I nostri risultati indicano che H. suis colonizza sia la pars oesophagea che la porzione pilorica con comparsa dell’ulcera limitatamente alla pars oesophagea, evento che suggerisce una diversa suscettibilità delle due regioni anatomiche alla noxa patogena. Tale differenza può essere riconducibile alla peculiare morfologia delle due porzioni: l’epitelio squamoso stratificato della pars oesophagea è infatti privo di ghiandole produttrici di muco e manca del sistema tampone bicarbonato, che al contrario è presente nella mucosa gastrica ghiandolare; tali caratteristiche favoriscono il verificarsi di danni provocati dal contenuto di acido cloridrico(5).A supporto di queste considerazioni è stato osservato che H. suis colonizza principalmente l’antro e la zona del fundus e in misura minore la zona del cardias (8) In suini sperimentalmente o naturalmente infettati con H. suis il microrganismo è stato rilevato a stretto contatto con le cellule parietali delle ghiandole del fundus; ciò sta ad indicare che il batterio è in grado di stimolare le cellule a produrre una maggiore quantità di acido cloridrico (5) il quale può entrare in contatto con la porzione non ghiandolare dello stomaco. Di conseguenza, questo insulto cronico arrecato alla parte non ghiandolare può indurre lo sviluppo di ulcere. In condizioni fisiologiche la porzione prossimale e quella distale dello stomaco suino vengono mantenute in due comparti distinti sia per quanto riguarda il contenuto enzimatico sia per il pH (5). Il nostro studio non ha consentito di rilevare H. pylori nei campioni 6. 7. 8. 9. 10. Guise HJ, Carlyle WWH, Penny RHC, Abbott TA, Riches HL, Hunter EJ. 1997. Gastric ulcers in finishing pigs: their prevalence and failure to influence growth rate. Vet Rec, 141, 563-566. Henry SC. 1996. Gastric ulcers. Feed management is top priority for prevention., Large Animal Vet 8-11. Grasso GM, Ripabelli G, Sammarco ML, Ruberto A, Iannitto G. 1996. Prevalence of Helicobacter-like organisms in porcine gastric mucosa: a study of swine slaughtered in Italy. Comp Immunol Microbiol Infect Dis, 19, 213-217. Baele M, Decostere A, Vandamme P, Ceelen L, Hellemans A, Mast J, Chiers K, Ducatelle R, Haesebrouck F 2008. Isolation and characterization of Helicobacter suis sp. nov. from pig stomachs. Int J Syst Evol Microbiol, 58, 1350-1358. Haesebrouck F, Pasmans F, Flahou B, Chiers K, Baele M, Meyns T, Decostere A, Ducatelle R. 2009. Gastric Helicobacters in domestic animals and nonhuman primates and their significance for human health. Clin Microbiol Rev, 22, 202-223. Krakowka S, Ellis J. 2006. Reproduction of severe gastroesophageal ulcers (GEU) in gnotobiotic swine infected with porcine Helicobacter pylori-like bacteria.. Vet Pathol, 43, 956-962. Casagrande Proietti P, Bietta A, Brachelente C, Lepri E, Davidson I, Franciosini MP. 2010. Detection of Helicobacter spp. in gastric, faecal, and saliva samples from swine affected by gastric ulcers. J. Vet. Sci. 11(3), 221-225 Park JH, Seok SH, Cho SA, Baek MW, Lee HY, Kim DJ, Park JH. 2004. 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La Dott.ssa Bietta ha condotto la ricerca grazie ad un assegno di ricerca finanziato dalla Regione Umbria 175 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ANALISI DELL’ATTIVITA’ PROTEASOMALE COME MARKER PER LO STUDIO DELLE NEOPLASIE Cerruti F.1, Martano M.2, Morello E. 2, Buracco P.2, Massa M.1, Rambozzi L.3, Cascio P.1 1 Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria, Università di Torino, Grugliasco (TO); 2 Dipartimento di Patologia Animale, Università di Torino, Grugliasco (TO); 3 Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università di Torino, Grugliasco (TO). Keys words: proteasoma, fibrosarcoma da sito di inoculo (FISS), carcinoma mammario canino (CMC) PA28β) mediante la tecnica del Western Blotting con anticorpi mono e policlonali specifici. Brevemente: 60μg di proteina totale sono state separate in un gel di elettroforesi al 12% e trasferite su una membrana di PVDF, incubata con anticorpi specifici per le subunità X, Y, LMP2, LMP7, PA28α e PA28β. Gli anticorpi legati sono stati visualizzati utilizzando la tecnica ECL e l’analisi densitometrica delle bande risultanti è stata condotta con uno strumento ed un software per analisi di immagine. Per ogni animale è stato analizzato sia il tessuto sano che il tessuto tumorale. L’analisi statistica è stata condotta con test non parametrici considerando p<0,05 significativo e p<0,01 altamente significativo. INTRODUZIONE: Il sistema immunitario attua una continua sorveglianza contro le infezioni virali e i tumori monitorando continuamente se le cellule stanno sintetizzando proteine estranee o mutanti (1). Questo meccanismo di sorveglianza si basa sulla presenza delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe I che legano e presentano sulla superficie cellulare i peptidi antigenici (o epitopi) ai linfociti T citotossici. Tali epitopi derivano dall’intero spettro delle proteine espresse nella cellula. Il complesso enzimatico responsabile della generazione della maggior parte dei peptidi antigenici è il proteasoma 26S, una proteasi molto grande presente nel nucleo e nel citoplasma di tutte le cellule eucariotiche, costituita da un core proteolitico 20S e da una serie di attivatori. In presenza di γ-interferone viene indotta la sintesi delle subunità peptidasiche proteasomali LMP2, LMP7 e MECL-1 (omologhe delle subunità costitutive X, Y e Z) e degli attivatori proteasomali PA28α e PA28β, il proteosoma così formato prende il nome di immunoproteasoma. L’immunoproteasoma è in grado di generare un diverso spettro di peptidi che sembra meglio promuovere la presentazione antigenica (1) (1). Poiché sono sempre più numerosi i lavori che evidenziano in molti tipi di lesioni maligne anormalità nell’espressione e nella funzione dei componenti del sistema di presentazione antigenica di classe I con il risultato di fornire alle cellule tumorali un meccanismo per evadere il controllo effettuato dal sistema immunitario (2), è stato condotto il presente studio al fine di evidenziare una eventuale correlazione tra le alterazioni del sistema di presentazione antigenica di classe I e lo sviluppo di due particolari lesioni tumorali: il fibrosarcoma da sito di inoculo felino (FISS) e il carcinoma mammario canino. RISULTATI: L’analisi delle attività proteasomali negli estratti tissutali mostrano un evidente aumento delle attività chimotripsinosimile e caspasi-simile (da 10 a 20 volte superiore nei due tipi tumorali analizzati; tale aumento risulta essere altamente significativo) nelle lesioni tumorali rispetto al corrispettivo tessuto sano dello stesso animale sia per quanto riguarda i tumori da sito di inoculo che per le neoplasie mammarie canine (tabella 1). Tabella 1: Attività chimotripsino-simile e caspasi-simile nelle lesioni tumorali e nel relativo tessuto sano. anmol Suc-LLVYAMC liberate/mg*min, bnmolAc-YVAD-Amc liberate/mg*min. I dati sono espressi come media ± errore standard della media. MATERIALI E METODI: Sono stati analizzati 33 gatti affetti da fibrosarcoma da sito di inoculo e 10 cagne affette da neoplasia mammaria. Per ogni paziente sono stati asportati chirurgicamente una porzione di tessuto neoplastico e una porzione dello stesso tessuto non compromesso dalla lesione. Dai campioni prelevati si sono ottenuti degli estratti tissutali omogenando il tessuto in Tris 50mM pH 7,5, Saccarosio 250mM, MgCl2 5mm, EDTA 0,5mM, ATP 2mM; e centrifugando a 14000rpm, 20 minuti, 4°C. Dopo aver determinato la concentrazione proteica sono state misurate due delle principali attività proteasomali utilizzando specifici peptidi fluorogenici (Suc-LLVY-Amc per l’attività chimotripsino-simile e Ac-YVAD-Amc per l’attività caspasisimile) valutando il rilascio di Amc (7-amino-4-metilcumarina) in continuo per mezzo di uno spettrofluorimetro (λecc.= 380nm λemiss. = 460 nm); la cinetica enzimatica è stata condotta a 37°C utilizzando un tampone di reazione (Tris 20mM pH 7,5, BSA 0.2%, ATP 1mM, MgCl2 2mM) contenente il peptide specifico ad una concentrazione di 100μM. La reazione è stata inoltre condotta anche in presenza del peptide aldeidico MG132 (un inibitore specifico del proteasoma), in modo da poter sottrarre l’attività non imputabile al proteasoma. Parallelamente è stata valutata l’espressione delle principali proteine coinvolte nella generazione dei peptidi antigenici (X, Y, LMP7, LMP2; PA28α e In accordo con questi dati di attività funzionale, lo studio dell’espressione delle subunità proteasomali mediante analisi densitometrica delle bande ottenute con la tecnica del western blotting ha mostrato un chiaro aumento delle subunità immunoproteasomali LMP2 e LMP7 e degli attivatori proteasomali PA28α e β nel tessuto tumorale rispetto al corrispettivo tessuto sano, sia nei FISS che nei carcinomi mammari, mentre l’espressione delle subunità proteasomali costitutive X e Y non risulta essere diverso tra il tessuto sano e la lesione tumorale (figura 1). DISCUSSIONE: Lavori precedenti hanno correlato difetti nella produzione di peptidi antigenici per l’assemblaggio e la presentazione secondo la via di presentazione antigenica di classe I (APM) (1). Per testare questa ipotesi nel presente lavoro abbiamo misurato i livelli di espressione di molti componenti della APM in due modelli tumorali che rappresentano ottimi modelli informativi per lo studio della biologia del tumore 176 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 in differenti specie, inclusa quella umana. Parallelamente abbiamo valutato due delle principali attività enzimatiche proteasomali. Riassumendo i risultati ottenuti: 1) le subunità catalitiche proteasomali costitutive X e Y sono espresse circa allo stello livello nelle lesioni e nei corrispettivi tessuti sani; 2) le subunità immunoproteasomali LMP2 e LMP7 e gli attivatori proteasomali PA28α e β sono chiaramente espressi a livelli molto maggiori nei tessuti neoplastici rispetto a quelli sani di controllo (figura 2); delle subunità dell’APM e il conseguente aumento delle attività enzimatiche può portare alla produzione di un diverso e caratteristico spettro di peptidi che è differente da quello prodotto dalle cellule normali. Queste modificazioni potrebbero non essere ottimali per la generazione e la presentazione di particolari peptidi tumorali permettendo alla cellula neoplastica di evitare il controllo operato dal sistema immunitario per mezzo del meccanismo di riconoscimento e distruzione operato dai linfociti T citotossici. Inoltre i risultati ottenuti potrebbero avere importanti conseguenze nella terapia del cancro, infatti, data l’elevata espressione delle proteine dell’immunoproteasoma in queste forme tumorali spontanee desta preoccupazione sui trattamenti antitumorali basati sulla somministrazione sistemica di γ-interferone e potrebbe spiegare l’accresciuto sviluppo tumorale che a volte si osserva a seguito di tali terapie. In neoplasie che, similmente a quelle descritte nel presente lavoro, presentano un’aumentata espressione delle subunità indotte da γ-interferone, sarebbero da considerare terapie mirate a ridurre i livelli di immunoproteasoma, ad esempio applicando anticorpi anti γ-interferone. I risultati da noi ottenuti sembrano essere un buon punto di partenza per mettere a punto un metodo in grado di discriminare il tipo di terapia da adottare nella cura di particolari tipi di neoplasia. Ulteriori studi dovranno essere condotti al fine di stabilire se le analisi dell’espressione e, soprattutto, delle attività proteasomali potranno essere utilizzabili per stabilire la malignità del tumore, l’eventuale tendenza a formare metastasi e altri particolari utili a poter ipotizzare una prognosi per il paziente. Figura1: immnuoblotting rappresentativi dei livelli di espressione delle subunità proteasomali catalitiche X e Y, di quelle immunoproteasomali LMP2 e LMP7 e degli attivatori proteasomali PA28α e β nei carcinomi mammari canini. s=tessuto sano, n= tessuto neoplastico (CMC). BIBLIOGRAFIA: 1) Goldberg AL., Cascio P., Saric T., Rock KL. (2002) The importance of the proteasome and subsequent proteolytic steps in the generation of antigenic peptides. Molecular immunology 39 (3-4): 147-164. 2) Cerruti F., Martano M., Petterino C., Bollo E., Morello E., Bruno R., Buracco P., Cascio P. (2007). Enhanced expression of interferon-γ-induced antigen-processing machinery compnents in a spontaneously occurring cancer. Neoplasia, 9 (11): 960-969. Figura 2: Box plot rappresentativi del rapporto tra l’espressione delle subunità proteasomali nella lesione neoplastica rispetto al corrispettivo tessuto sano (FISS). ABSTRACT: Our study shows a dramatic enhancement of the proteasomal activities and protein expression in tumor lesions compared to the corresponding healthy tissue. These results clearly show that the MHC class-I antigen generating machinery is highly modified in tumors analyzed (FISS and CMC) and this finding is likely important to understand the mechanism by which neoplastic cells escape the surveillance of the immune system. 3) gli estratti tissutali relativi alla neoplasia hanno livelli di attività chimotripsino-simile e caspasi-simile sempre maggiori rispetto a quelle dei tessuti sani di controllo (tale differenza risulta essere altamente significativa sia nei FISS che nei CMC). Analizzando questi risultati insieme possiamo affermare che nelle cellule neoplastiche la differenza nella composizione 177 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 APPLICAZIONE DI RT-PCR E TEM PER LA DIAGNOSI DELLE VIROSI DELLE API Cersini A., Cardeti G., Marchesi U., Lorenzetti R., Ciabatti I.M., Antognetti V., Cittadini M., Del Bove M., Zini M., Formato G., Amaddeo D. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Ufficio di Staff Biotecnologie, Via Appia Nuova 1411, Roma Key Words: Virosi api, RT-PCR, TEM SUMMARY Specific viruses affecting honeybees are widespread all over the world. In the period 2006-2008 we investigated the presence and spread of seven honeybee viruses among some affected apiaries of two Italian regions. Samples of honeybees at different stages were examined by electron microscopy methods and by RT-PCR for the following 7 viruses: ABPV, BQCV, CBPV, DWV, IAPV, KBV, SBV. All samples resulted negative for IAPV and KBV, while the other viruses were all detected and identified in those samples positive at TEM, too. stampo 30µl di RNA totale. La sintesi del cDNA è stata eseguita mediante amplificatore GeneAmp® PCR System 9700 (A. Biosystems) e consiste in un primo ciclo a 25°C per 10’, seguito da un secondo ciclo a 37°C per 45’. -I primers selezionati – I primers per ABPV, CBPV, DWV, SBV, BQCV, KBV e la bee β-actin sono stati selezionati dalla letteratura. Le dimensioni dei prodotti di PCR sono: 397bp per ABPV (2), 570bp per CBPV (4), 434 bp per DWV (3), 487 bp per SBV (3), 472bp per BQCV (3), 395bp per KBV (3) e 514bp per bee β-actin (9). Per IAPV sono state utilizzate 2 coppie di primers. La prima coppia, gentilmente fornita dalla Beeologics, permette l’amplificazione di una porzione di 137bp della Viral Coat Protein. La seconda coppia, riportata in letteratura, è specifica per una porzione di 767bp altamente conservata e localizzata all’interno della sequenza genomica IGR (Viral RNA Intergenic Region). -Verifica dell’estrazione e controllo di qualità per l’RNA estratto – Sia la verifica dell’estrazione che la qualità dell’RNA ottenuto, sono state valutate mediante l’amplificazione della bee β-actin (8). Le condizioni di amplificazione sono le seguenti: 0,2mM di dNTP, 0,6µM di entrambi i primers, 5µl di 10X Buffer (Invitrogen), 1,5mM di MgCl2 (Invitrogen), 5µl di stampo a cDNA, 0,5µl di 5U/ µl Platinum®TaqDNA Polymerase (Invitrogen) e H2O-DEPC fino ad un volume finale di 50µl. L’amplificazione è stata eseguita con l’apparecchio GeneAmp® PCR System 9700 (A. Biosystems) ed i cicli consistono in: 7’ a 95°C, 40 cicli costituiti ciascuno da 1’ a 94°C, 1’ a 54°C, 1’ a 72°C e seguiti da 7’ a 72°C. -Condizioni di amplificazione per ABPV, CBPV. DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV – Le condizioni di amplificazione per i differenti virus esaminati sono state così elaborate: 0,2mM dNTP, 1µM di ciascun primer, 5µl di 10X Buffer (Invitrogen), 1,5mM di MgCl2 (Invitrogen), 5µl di stampo a cDNA, 0,5µl di 5U/µl Platinum®TaqDNA Polymerase (Invitrogen) e H2O-DEPC fino ad un volume finale di 50µl. L’amplificazione è stata eseguita con l’amplificatore GeneAmp® PCR System 9700 (A. Biosystems) ed impiegando i seguenti profili di amplificazione: 7’ a 95°C, seguiti da 40 cicli costituiti ciascuno da 1’ a 95°C, 1’ a 55°C per ABPV, CBPV, DWV, SBV, KBV, IAPV ed 1’ a 60°C per BQCV, 1’ a 72°C ed infine 7’ a 72°C. -Costruzione dei controlli positivi per ABPV, CBPV, DWV, SBV, BQCV, KBV e bee β-actin Per verificare sia l’amplificazione che la specificità dei prodotti di PCR, i controlli positivi relativi ai virus considerati, sono stati ottenuti dai cDNA gentilmente forniti da P. Blanchard (Agence Française de Sècuritè Sanitarie des Aliments-Afssa) e sintetizzati da RNA estratto da api adulte affette dalle virosi in esame. Gli amplificati specifici per la bee β-actin sono stati ottenuti dal cDNA di api adulte sane. Tali amplificati, successivamente, sono stati purificati impiegando il QIAquick® PCR Purification Kit (Qiagen) e clonati in pCRII-TOPO vector (TOPO TA Cloning® Dual Promoter Kit, Invitrogen). I plasmidi ricombinanti sono stati utilizzati per trasformare le cellule competenti ONE SHOT TOP10 (Invitrogen). I cloni selezionati sono stati controllati mediante analisi con gli appropriati enzimi di restrizione, con opportune PCR di screening e con il sequenziamento in modo tale da verificare la presenza degli specifici prodotti di PCR clonati. INTRODUZIONE Le virosi delle api rappresentano importanti patologie a volte sottovalutate dagli esperti del settore; diffuse in tutto il mondo, possono causare elevate perdite economiche, soprattutto quando associate ad altre malattie (varroatosi, nosemiasi). I 19 virus ad oggi identificati sono spesso responsabili di infezioni latenti o inapparenti; la sintomatologia si manifesta in concomitanza di svariati fattori scatenanti. Negli ultimi anni in Italia sono state condotte indagini diagnostiche (6; 8) al fine di valutare la diffusione delle virosi ed il loro impatto su stato sanitario e attività produttiva delle api. Le tecniche però utilizzate avevano il limite di identificare solo due dei 19 virus conosciuti. Scopo di questo lavoro è descrivere la messa a punto di tecniche di RT-PCR in grado di evidenziare in maniera sensibile e specifica i 7 principali virus potenzialmente diffusi e patogeni per l’Apis mellifera, allevata nelle regioni di competenza dell’IZS LT. MATERIALI E METODI -Matrici utilizzate – Sono stati esaminati 54 campioni di due diverse tipologie, api adulte e larve nelle varie fasi di sviluppo, prelevati in 29 apiari delle regioni Lazio e Toscana durante il triennio 2006-2007-2008. -Microscopia elettronica a trasmissione (TEM) – Gli estratti sono stati preparati e trattati secondo il protocollo descritto da Bailey e Ball (1): ogni individuo viene omogenizzato in 1 ml di PBS (Phosphate Buffered Saline) 0,01M, pH 6,7, contenente il 2% di sodio dietilditiocarbamato (DIECA), aggiungendo successivamente 0,5 ml di dietiletere. Il tutto viene quindi emulsionato con 0,5 ml di tetracloruro di carbonio (CCl4) e centrifugato, una prima volta a 3.000 g per 30 min. e poi a 9.000 g per 30 min. Il sovranatante, viene infine ultracentrifugato con Beckman Airfuge a 21 psi (103.000 g) per 20 min direttamente su griglie in rame rivestite con formvar e carbonate. Le griglie sono colorate negativamente con una soluzione al 2% del sale sodico dell’acido fosfotungstico (NaPT), pH 6,8 ed esaminate al microscopio elettronico ad ingrandimenti compresi fra 28.000 e 36.000x. -Preparazione dei campioni ed estrazione dell’RNA totale– Ogni campione consiste di 6 soggetti (adulti privati di zampe e ali; larve t.q.), omogenati in 6 mL di PBS 1X. L’omogenato viene poi centrifugato a 200 X g per 1 minuto. Il surnatante raccolto viene diluito 1:2 in H2O-DEPC. 140µl sono quindi utilizzati per estrarre l’RNA totale utilizzando il QIAamp viral RNA Mini Kit (Qiagen). -Sintesi del cDNAL’RNA virale è stato retro-trascritto mediante l’impiego dell’High Capacity cDNA Archive Kit (A. Biosystems) utilizzando come 178 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 -Verifica del Limite di rilevabilita (LOD) dei protocolli di PCR per la diagnosi di ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV – Il LOD delle singole PCR messe a punto per la diagnosi di ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV è stato verificato esaminando una serie di diluizioni scalari in base 10 delle regioni genomiche ad RNA che rappresentano i target virali considerati e che sono state sintetizzate in vitro partendo dagli specifici plasmidi ricombinanti. Le reazioni di trascrizione in vitro sono state effettuate con il kit Mega script T7/Sp6 (Ambion) seguite dalla purificazione dei trascritti con colonnine Centri-Sep (Princeton Separation, INC). La sintesi del cDNA a partire dalle diluizioni scalari e la successiva amplificazione con i primer specifici sono state effettuate in un unico step con il kit SuperScript One-Step RT-PCR (Invitrogen). la minore sensibilità della ME rispetto a quella della PCR (7); dall’altro (negativi in PCR, positivi in ME) la PCR è stata eseguita su campioni precedentemente e più volte manipolati, conservati a -80°C e quindi con RNA possibilmente degradato. Mentre l’osservazione al TEM si conferma una tecnica rapida e utile al fine di evidenziare nuovi virus o più virus nello stesso campione (“all-catch method”), alcuni dei suoi limiti restano la bassa sensibilità, i costi e la carente disponibilità di sieri specifici per l’identificazione delle particelle virali osservate. Le principali caratteristiche delle tecniche di PCR sono invece, l’alta sensibilità e specificità con cui è possibile identificare un ceppo virale; di contro viene evidenziato acido nucleico e non l’agente virale infettante. La PCR diventa tecnica di elezione per indagini di monitoraggio e screening quando è necessario analizzare in maniera rapida e precisa molti campioni contemporaneamente. Attualmente sono in itinere vari progetti di ricerca sullo stato sanitario delle api in Italia che si avvalgono di questa tecnica; è inoltre in corso, nei nostri laboratori, la messa a punto della PCR real time quantitativa per ciascuno dei 7 agenti virali in questione. Ciò al fine di verificare l’eventuale correlazione tra la patologia della famiglia colpita e la quantità di uno dei virus presenti, visto che frequentemente più virus possono infettare le colonie anche in maniera latente e asintomatica. RISULTATI E DISCUSSIONE -Risultati in Microscopia Elettronica (ME) – Particelle virali Picorna-like sono state evidenziate in 53 dei 54 campioni osservati al TEM. -Verifica del LOD dei protocolli di PCR applicati per la diagnosi di ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV – I dati riscontrati sperimentalmente coincidono con quelli riportati in letteratura e sono riassunti nella tabella 1. Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto di ricerca corrente 2008 “Indagine sulle possibili cause dello spopolamento e morte degli alveari e loro impatto sulla sicurezza della filiera miele” finanziato dal Ministero della Salute. Tabella 1. LOD dei protocolli di PCR applicati Virus N° minimo di molecole di RNA target rilevate ABPV BQCV CBPV DWV KBV IAPV SBV 80 80 60 50 70 90 50 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. Bailey L., Ball B., (1991). Honey bee pathology. Accademy Press London, pp 193. 2. Bakonyi T., Farkas R., Szendror A., Dabos-Kovacs M., Rusvai M. (2002).Detection of acute bee paralysis virus by RT-PCR in honey bee and Varroa destructor field samples: rapid screening of representative Hungarian apiaries. Apidologie. 33: 63-74. 3. Berènyi O., Bakonyi T., Derakhshifar I., Koglberger H., Nowotny N. (2006). Occurrence of Six Honeybee Viruses in Diseased Austrian Apiaries. Appl. Environ. Microbiol. 72 : 2414-2440 4. Blanchard P., Olivier V., Iscache A.L., Celle O., Schurr C.F., Lallemand P., Ribiére M. (2008). Improvement of RT-PCR detection of chronic bee paralysis virus (CBPV) required by the description of genomic variability in French CBPV isolates. J.Invertebr. Pathol. 97 :182-185 5. Blanchard P., Schurr F., Celle O., Cougoule N., Drajnudel P., Thiéry R., Faucon J.P.,Ribiére M. (2008). First detection of Israeli acute paralysis virus (IAPV) in France, a dicistrovirus affecting honeybees (Apis mellifera). J. Invertebr. Pathol. 99 : 348-350 6. Cardeti G., Lavazza A., Cittadini M., Ponticello L., Formato G., Tittarelli C., Amaddeo D. (2008). Virosi delle api e mortalità degli alveari. Atti Convegno S.I.Di.L.V. X, Alghero (SS), 22-24 Ottobre 2008, p. 136 7. Gelderblom H., Reupke H. and Warring R. (1977). Application of the Beckman AirfugeTM Ultracentrifuge in Virus detection by Electron Microscopy. Kunden Berichten Beckman Instruments GmbH. Monaco di Baviera p. 1-7 8. Lavazza A., Carpana E, Dottori M, Bassi S, Vecchi M.A., Arculeo P. (1996). Indagine sulla diffusione delle virosi in Italia negli anni 1989-1993. Sel. Vet. 11: 873-885 9. Shen M., Cui L., Ostiguy N., Cox-Foster D. (2005). Intricate transmission routes and interactions between-picorna-like viruses (Kashmir bee virus and Sacbrood virus) with the honeybee host and the parasitic varroa mite. J. Gen. Virol. 86 :2281-2289 Tenendo presente che nell’aplicazione routinaria dei protocolli sviluppati si effettua la sintesi del cDNA in un primo step separato dalle successive reazioni di amplificazione con primer specifici, si ritiene che i limiti di rilevabilità per tali protocolli siano in realtà inferiori a quelli riportati in tabella. -Verifica dei protocolli di PCR per la diagnosi di ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV mediante la loro applicazione sui campioni osservati al TEM – I risultati ottenuti sono riportati, suddivisi per anno, nella tabella 2. Tabella 2. Risultati esami in ME e PCR ME PCR Pos/Tot Pos/Tot 2006 5/5 4/5 2007 30/31 31/31 2008 18/18 14/18 Totale 53/54 49/54 Anno Ceppi identificati 1 ABPV, 4 BQCV, 2 DWV, 2 SBV 5 ABPV, 9 BQCV, 6 CBPV, 22 DWV, 18 SBV 3 ABPV, 13 BQCV, 4 CBPV, 13 DWV, 6 SBV 9 ABPV, 26 BQCV, 10 CBPV, 37 DWV, 26 SBV Tutti gli apiari sono risultati positivi con ambedue le tecniche. Relativamente al numero di campioni positivi invece, le discordanze sono riferibili alle diverse caratteristiche delle due tecniche. Da un lato (positivi in PCR, negativi in ME) abbiamo 179 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP. DA VOLPI (VULPES VULPES) E TASSI (MELES MELES) IN REGIONE LOMBARDIA (NORTH ITALY) Chiari M.1, Zanoni M.1, D’Incau M. 1, Salogni C.1, Giovannini S.1, Alborali L.1, Lavazza A.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia, Italy; key words: Volpe, Tasso, Salmonella appartenevano ai sierotipi S. typhimurium, S. enteritidis, S. infantis zoonosici e previsti nei piani di monitoraggio e controllo per le specie avicole e suino. Sono stati isolati anche altri sierotipi, rinvenuti sporadicamente nell’uomo (S. derby, S. muenchen, S. napoli, S. livingston), e sierotipi caratteristici dell’ambiente acquatico o di altri animali selvatici, rettili (S. anatum, S. veneziana, sierotipi di sottospecie houtenae e diarizonae) (tabella 2). Inoltre è stata eseguita la georeferenziazione dei ceppi isolati da volpe (figura 1) e da tasso (figura 2). Abstract Salmonellosis has been studied extensively in passerines, whilst less is known about mammals, particularly carnivores. This study describes of the isolation of Salmonella spp. in the local environment by analyzing wild carnivores. Introduzione La presenza di Salmonella spp. è stata documentata in una grande varietà di animali selvatici (1), sia mammiferi (2) sia uccelli (3,4). L’infezione da Salmonella spp., a seconda delle specie colpita, può presentare diverse forme cliniche, le più gravi sono osservabili nei piccoli passeriformi dove, tale infezione, può esitare con la morte dei soggetti colpiti (4). I carnivori selvatici come la volpe (Vulpes vulpes) e il tasso (Meles meles), essendo al vertice della catena alimentare, possono essere considerati come indicatore della diffusione di Salmonella nell’ambiente selvatico. Tabella 2: sierotipi identificati Tabella 1. campioni eseguiti Positivi Negativi Tasso Volpe Totale 7 46 53 31 567 598 N o n eseguiti 5 35 40 Isolamenti Tasso 3 / 1 / 1 / / S. enterica diarizonae sub. 1 / S. enterica enterica sub. 4 / 1 1 3 4 1 1 1 1 2 3 / / / 2 / / / / / / S. typhimurium S. enteritidis S. infantis S. derby S. veneziana S. napoli S. enterica houtanae Materiali e metodi L’accordo esistente in Lombardia tra i Servizi Veterinari ufficiali, amministratori pubblici e associazioni di cacciatori, nel periodo compreso fra Giugno 2009 e Settembre 2010 ha reso possibile il campionamento di 659 carcasse volpi, rinvenute morte o cacciate e 43 tassi rinvenuti morti (tabella 1) Specie sub. Isolamenti Volpe 10 2 / 1 2 1 7 Sierotipo S. anatum S. ohio S. thompson S. hessarek S. muenchen S. livingston S. manhattan S. bredeney S. mbandaka Non identificabili Totale 43 659 502 L a presenza del virus della rabbia è stata esclusa su tutti i campioni conferiti. L’isolamento di salmonella è stato effettuato con la metodica “Annex D ISO 6579 : 2002”, obbligatoriamente prevista nell’ambito dell’attuazione dei piani di monitoraggio e controllo di salmonella a livello di produzioni primarie. Questa metodica prevede l’utilizzo dei seguenti tipi di terreni: arricchimento in APTS; pre-arricchimento selettivo in terreno semisolido isolamento selettivo-differenziale in XLT4. A questa metodica è stata affiancata anche la procedura di isolamento già in uso presso il nostro laboratorio, che prevede l’utilizzo nella fase di pre-arricchimento del terreno liquido RVB e nella fase di isolamento del terreno differenziale selettivo Hecktoen. L’identificazione delle salmonella è stata effettuata con test biochimici (ONPG, TSI, gallerie di identificazione) e con la classificazione in base al sierotipo. Figura 1. Georeferenziazione isolamenti Salmonella da Volpe Risultati Salmonella spp. è stata isolata da 46 volpi (6,98%) (Figura 1) e 7 tassi (16,27%) (tabella 1). Tramite prove sierologiche sono stati identificati diciassette sierotipi e di questi 16 ceppi (30,18%) 180 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Bibliografia 1. Mörner T. (2001). Salmonellosis. In Infectious diseases of wild mammals, 3rd Ed. (E.S. Williams & I.K. Barker, eds). Iowa State University Press, Ames, 505-507. 2. Euden P.R. (1990). Salmonella isolates from wild animals in Cornwall. Br. vet. J., 146 (3), 228-232. 3. Wilson J.E. & MacDonald J.W. (1967). Salmonella infection in wild birds. Br. vet. J., 123 (5), 212-218. 4. Kirkwood J.K., Holmes J.P. & MacGregor S. (1995). Garden bird mortalities. Vet. Rec., 136 (14), 372. 5. Millán J., Aduriz G., Moreno B., Juste R.A., Barral M. (2004). Salmonella isolates from wild birds and mammals in the Basque Country (Spain). Rev. sci. tech. Off. int. 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Ulteriori indagini e la continuazione del monitoraggio nei prossimi anni potranno essere di aiuto a stabilire il ruolo epidemiologico di volpi e tassi nella diffusione di Salmonella in Lombardia. Un’ipotesi è che queste due specie animali, essendo al vertice della catena alimentare potrebbero infettarsi sia tramite l’assunzione di carcasse di animali contaminate (6,7) sia da risorse naturali inquinante tra cui l’acqua (6). Tuttavia non deve essere esclusa la possibilità che l’infezione possa essere di origine antropica, in particolare da residui di prodotti alimentari. Alla luce degli isolamenti ottenuti e la capacità della volpe di eliminare tali patogeni, in particolare S. typhimurium (7), si può affermare come tali carnivori selvatici possano rappresentare un rischio per l’uomo e gli animali stessi. Di contro, la possibilità di isolare Salmonella indica quale sia l’effettiva diffusione di questo microroganismo nell’ambiente selvatico. Alla luce dei dati emersi i carnivori selvatici, in particolare la volpe, possono essere considerati indicatori della presenza in ambiente selvatico di sierotipi di Salmonella patogeni sia per l’uomo che per gli animali. Ringraziamenti Si ringraziano i tecnici di laboratorio Alberto Tiraboschi, Giorgio Pasini, Laura Birbes e Guiseppe Orlandi la collaborazione fornita. 181 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 TRICHINELLA BRITOVI IN UNA VOLPE (VULPES VULPES) IN PROVINCIA DI BRESCIA (ITALY) Chiari M.1, Zanoni M.1, Salogni C.1, Giovannini S.1, Alborali L.1, Lavazza A.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia, Italy; key words: Volpe, Trichinella spp. Abstract This study describes the results of a monitoring program on Trichinella spp. in wild animal, in particular in red fox. anche se l’età l’animale infestato e la prevalenza (0.5%) sono differenti da quanto precedentemente osservato in Regione Lombardia (4). Introduzione In Italia la Volpe (Vulpes vulpes) è diffusa su tutto il territorio nazionale ed è all’apice della catena alimentare animale. Questo canide è ben distribuito e comune anche in Regione Lombardia. I valori di densità noti per le tane variano tra un minimo di 0,18 tane/km2 in Provincia di Cremona e 0,48 tane/ km2 in Provincia di Pavia. La specie, nonostante abbattimenti localmente intensi, sembra essere in aumento (1). Essendo il principale indicatore di presenza di Trichinella spp. (2) (3) nell’ambiente selvatico, in particolare per quanto riguarda T. britovi, le volpi cacciate o rinvenute morte vengono spesso utilizzate nei programmi di monitoraggio. Bibliografia 1. Vigorita V. e Cucè L..”La fauna selvatica in Lombardia Rapporto 2008 su distribuzione, abbondanza e stato di conservazione di uccelli”. Regione Lombardia (2008). 2. Pozio E., L. Rinaldi, G. Marucci, V. Musella, F. Galati, G. Cringoli, P. Boireau and G. La Rosa. “Hosts and habitats of Trichinella spiralis and Trichinella britovi in Europe”. Int. Journal Parasitol. 39 (1): 71-79 (2009). 3. Remonti L., A. Balestrieri, L. Domenis, C. Banchi, T. Lo Valvo, S. Robetto, R. Orusa. “Red fox (Vulpes vulpes) cannibalistic behaviour and the prevalence of Trichinella britovi in NW Italian Alps”. Parasitol. Res. 97: 431-435 (2005). 4. Boni P., G. Bolzoni, A. Civardi. “Diffusione della Trichinellosi tra le volpi catturate in Lombardia e in Emilia-Romagna”. Sel. Vet. 29 (5): 851-854 (1988). Materiali e metodi Nella provincia di Brescia, l’accordo esistente tra i Servizi Veterinari ufficiali, amministratori pubblici e associazioni di cacciatori, ha reso possibile il campionamento delle carcasse di 228 volpi trovate morte o cacciate, tra Giugno 2009 e Maggio 2010. Circa il 50% degli animali provenivano da zone con altitudine superiore ai 400 metri slm. Gli esami per la ricerca di Trichinella spp. sono stati eseguiti dopo aver escluso la possibile presenza della Rabbia. La digestione artificiale è stata eseguita utilizzando l’apparecchio Trichineasy (Syntec International), che rispecchia le indicazioni contenute nella direttive CE 2075/2005. In accordo con tale direttiva, i pool analizzati erano composti da aggregati di 10 grammi di muscolo (diaframma, masseteri, arto inferiore) per ogni animale analizzato. La macchina utilizzata è composta in due parti: la prima e in grado di sminuzzare e digerire a temperatura costante il campione, la seconda filtra e deposita il materiale digerito su un filtro a membrana. Il filtro viene in seguito colorato con un reagente fluorescente che rende più facile individuare le possibili larve delle trichine presenti. L’identificazione della specie è stata effettuata presso il Laboratorio di referenza OIE per la trichinellosi presso l’Istituto Superiore di Sanità utilizzando una specifica multiplex-PCR. Ringraziamenti Si ringraziano i tecnici di laboratorio Andrea Moneta, Giuseppe Orlandi, Alberto Tiraboschi e Roberto Bettinzoli per la collaborazione fornita. Risultati In un solo animale sono state riscontrate larve di Trichinella spp. La carcassa era stata rinvenuta a Sellero, un paese in Vallecamonica a 600 metri di altitudine. Questo soggetto era un maschio giovane, che, all’esame anatomopatologico, presentava lesioni riferibili a rogna sarcoptica. La carica parassitaria era di 45 larve per grammo di muscoli analizzati. La PCR eseguita ha permesso di identificare le larve come Trichinella britovi. Discussione e Conclusioni Il monitoraggio effettuato sulla volpe ha permesso di individuare T. britovi peraltro in un unico soggetto. Tale riscontro rappresenta solo un indicatore dello stato sanitario della popolazione di volpi nella provincia di Brescia 182 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DEFINIZIONE DELLA BIODIVERSITA’ MICROBICA NEI “CIAUSCOLI” DELLA REGIONE MARCHE Ciarrocchi F., Nardi S., Lanciotti M., Palombo B., Striano G., Venditti G., Blasi G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche Key words: Ciauscolo, batteri lattici, biodiversità ABSTRACT The aim of this study was the exploration of the traits of the autochthonous microflora of Ciauscolo salami, a short - ripened fermented sausages manufactured in the Marche region of central Italy. Molecular identification by Amplified ribosomal DNA restriction analysis (ARDRA) and 16S rRNA gene sequencing highlighted the presence of several species of lactobacilli and cocci. Our findings revealed an high diversity of the autochthonous bacterial population investigated between the six producers. RISULTATI L’identificazione genotipica ha consentito di delineare il profilo della popolazione microbica autoctona del Ciauscolo. Nell’ insieme, la composizione in specie delle produzioni di tale prodotto è risultata in accordo con quelle riportate per altri salumi fermentati della tradizione italiana (3, 5) (Tabella 1). Tabella 1. Distribuzione dei 138 isolati batterici in base alla ditta di appartenenza. INTRODUZIONE Il Ciauscolo è un insaccato fermentato tradizionale italiano che recentemente ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta (IGP), sia a livello nazionale (2006), sia a livello europeo (2009). Esso viene prodotto nelle province di Ancona, Macerata ed Ascoli Piceno, in accordo con le produzioni tradizionali locali, senza l’impiego di colture starter. Le sue tipiche caratteristiche sono il colore rosato omogeneo e la spalmabilità che deriva dall’elevato contenuto in grassi uniti, in percentuali variabili, alla massa magra di maiale. La stagionatura va da alcune settimane ad alcuni mesi, a seconda del grado di morbidezza desiderato.Questo lavoro si inserisce all’interno di una indagine volta ad approfondire le conoscenze microbiologiche dei ciauscoli prodotti da alcune aziende marchigiane, al fine di studiare la biodiversità microbica associata a tale produzione e valorizzarne l’utilizzo, attraverso lo studio delle attività biochimiche ed antagoniste di interesse tecnologico. In particolare, vengono riportati i risultati della definizione della biodiversità microbica nei ciauscoli di sei salumifici riconosciuti. MATERIALI E METODI Campionamento: sono stati prelevati campioni di Ciauscolo pronto al consumo (minimo 19 giorni di stagionatura), in ciascuno dei sei salumifici oggetto della ricerca, rispettivamente identificati come Ditta 1, Ditta 2, Ditta 3, Ditta 4, Ditta 5 e Ditta 6. Per tutte le Ditte sono stati campionati 3 lotti di produzione ad eccezione della Ditta 5 per la quale è stato analizzato un solo lotto. Come descritto per salumi a breve stagionatura (2), anche nelle produzioni di Ciauscolo esaminate, è stata riscontrata una prevalenza di batteri lattici (78%) rispetto ai microstafilococchi (18%) (Figura 1). All’interno della flora lattica, tra le specie più frequentemente isolate da prodotti carnei fermentati, Lactobacillus sakei e Pediococcus pentosaceus sono risultate le specie dominanti, costituendo rispettivamente il 35 ed il 21% della popolazione lattica totale, seguite da Lb. paracasei (7%), Lb. plantarum (3%) e Weissella hellenica (2%). Con frequenze minori sono state anche identificate le specie Lb. brevis, Lb. sakei ssp. sakei, Lb. plantarum ssp. palntarum e Lb. curvatus. Tra i cocchi coagulasi negativi, la specie S. saprophyticus è risultata dominante (7%) sulle altre dello stesso gruppo (S. carnosus, S. xylosus e S. saprophyticus ssp. saprophyticus). S. aureus è risultata l’unica specie presente tra gli stafilococchi coagulasi positivi. Inoltre per due isolati è stato possibile giungere alla sola definizione del genere (Carnobacterium sp.). Confrontando la composizione in specie della microflora autoctona investigata per ciascuna ditta produttrice (Figura 2) è stato possibile rilevare una maggiore biodiversità per la Ditta 6 con 7 specie diverse identificate, seguita dalle Ditte 1 e 3 con 6 specie. Per le Ditte 2 e 5 sono state identificate 5 specie diverse, mentre la Ditta 4 ha evidenziato il minor livello di biodiversità con 4 specie batteriche identificate. Conte microbiche ed isolamento: ciascun campione è stato sottoposto ad analisi microbiologiche convenzionali per la conta e l’isolamento di lattobacilli (MRS, 37 °C per 72 h in anaerobiosi), cocchi mesofili (M17, 30 °C per 48 h) e cocchi coagulasi negativi (BP RFP, 37 °C per 48 h). Per ciascun terreno di coltura è stato stabilito, arbitrariamente, di isolare almeno cinque colonie con morfologia diversa. Gli isolati sono stati conservati a – 80 °C in glicerolo in attesa della successiva identificazione. Identificazione molecolare: l’ identificazione genotipica della flora microbica isolata è stata effettuata mediante ARDRA (Amplified Ribosomal DNA Restriction Analysis) e sequenziamento di una porzione del gene codificante il 16S rRNA (1). Per le specie Staphylococcus xylosus e S. carnosus è stata effettuata l’identificazione con PCR specie - specifica mediante l’impiego rispettivamente delle coppie di primer geh3 / geh4 e sc1 / sc2 (4). Studio della biodiversità delle produzioni investigate: la biodiversità dei campioni è stata ulteriormente valutata calcolando l’indice di diversità di Shannon - Weaver. 183 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Figura 1. Ripartizione percentuale dei gruppi microbici individuati nella popolazione batterica autoctona delle produzioni di Ciauscolo investigate. questo microrganismo alle temperature utilizzate durante le fasi di asciugatura (< 25 °C) e stagionatura (< 18 °C). Sebbene con minore frequenza, degna di nota risulta l’identificazione di Lb. plantarum. Questa specie, infatti, se da un lato può dar luogo ad un prodotto caratterizzato da una elevata acidità, non sempre gradita al consumatore, pur tuttavia presenta capacità di produrre batteriocine attive contro Listeria spp. Infine, la presenza di un solo microrganismo appartenente alla specie S. aureus, considerato indicatore di scarsa igiene di processo, ha permesso di evidenziare un buon livello igienico dei prodotti e, di riflesso, un’adeguata applicazione delle norme di buona prassi igienica nei processi in studio. Figura 3. Distribuzione delle specie microbiche individuate nella microflora autoctona di ciascuna ditta di produzione di Ciauscolo. Questi risultati sono parzialmente confermati dai valori degli indici di Shannon-Weaver (indice H) calcolati per ciascuno dei 6 stabilimenti e riportati nella Figura 2. Figura 2. Indice di Shannon-Weaver delle sei produzioni di Ciauscolo. L’indagine preliminare condotta sulle produzioni di Ciauscolo della Regione Marche ha permesso di rilevare che molto dell’originaria tradizione è rimasto inalterato, sebbene la produzione si avvalga di strutture ed apparecchiature in grado di soddisfare precisi requisiti igienico-sanitari, consentendo al contempo una lavorazione più rapida e meglio rispondente ai volumi produttivi richiesti dal mercato. Tale indice rappresenta una stima numerica della diversità microbica di ciascuna delle produzioni esaminate: più è elevato, maggiore è il numero di specie coinvolte nel processo di maturazione/stagionatura. Sulla base di tali considerazioni, secondo i valori dell’Indice H, la maggiore biodiversità risulterebbe appartenere alla Ditta 1, seguita dalle Ditte 3 e 5. Questo si può spiegare dall’ elevato numero di isolati appartenenti alla specie Lb. sakei della Ditta 6 che tende a sbilanciare il valore dell’indice verso un valore più basso. E’ interessante notare come la specie omofermentante facoltativa Lb. sakei sia stata ritrovata in tutte le Ditte in studio, analogamente a quanto osservato in altri salumi a fermentazione spontanea italiani ed europei (6) (Tabella 1 e Figura 3). Anche la specie P. pentosaceus è risultata caratterizzare quasi tutte le produzioni esaminate. Prove eseguite nell’ambito del progetto di ricerca corrente finanziato dal Ministero della Salute: “Studio della flora autoctona nella bioconservazione degli alimenti: caratterizzazione di ceppi isolati in prodotti tradizionali della Regione Marche” (RC IZSUM 05/2007). BIBLIOGRAFIA 1. Aquilanti L., Silvestri G., Zannini E., Osimani A., Santarelli S., Clementi F. 2007. Phenotypic, genotypic and technological characterization of resident lactic acid bacteria in Pecorino cheese from Central Italy. J Appl Microbiol 103, 948-960. 2. Cocolin L., Manzano M., Cantoni C., Comi G., 2001. Denaturing Gradient Gel Electrophoresis Analysis of the 16S rRNA Gene V1 Region To Monitor Dynamic Changes in the Bacterial Population during Fermentation of Italian Sausages. Appl Environ Microbiol, 67, 5113. 3. Coppola R., Giagnacovo B., Iorizzo M., Grazia L., 1998. Characterization of lactobacilli involved in the ripening of soppressata molisana, a typical southern Italy fermented sausage. Food Microbiol., 15, 347. 4. Iacumin L., Comi G., Cantoni C., Cocolin L., 2006. Molecular and technological characterization of Staphylococcus xylosus isolated from naturally fermented Italian sausages by RAPD, Rep-PCR and SauPCR analysis. Meat Sci. 74, 281-288. 5. Parente E., Grieco S., Crudele M. A., 2001. Phenotypic diversity of lactic acid bacteria isolated from fermented sausages produced in Basilicata (Southern Italy). J Appl Microbiol, 90, 943. 6. Rantsiou K., Urso R., Iacumin L., Cantoni C., Cattaneo P., Comi G., Cocolin L., 2005. Ecology and characterization by molecular methods of Staphylococcus species isolated from fresh sausages. Appl Environ Microbiol, 71, 1977. DISCUSSIONE L’elevato numero di batteri lattici riscontrato in tutte le produzioni di Ciauscolo in studio può essere correlato ad alcune note proprietà sensoriali dei salumi a breve stagionatura, quali un gusto più acido e un aroma minore rispetto ai salumi a lunga stagionatura (2). Nonostante l’elevata biodiversità nella popolazione batterica autoctona dei prodotti in esame, non sono state osservate differenze rilevanti tra le sei Ditte. Pertanto sarebbe auspicabile condurre ulteriori indagini sulla biodiversità microbica di questo prodotto mediante la caratterizzazione genotipica delle specie isolate. La presenza di Lb. sakei in tutte le produzioni in studio può essere ricondotta ad una maggiore velocità di crescita di 184 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DETERMINAZIONE MEDIANTE GC-MS E LC-MS/MS DI PESTICIDI IN MATERIALE AUTOPTICO E IN REPERTI PRELEVATI NEI CASI DI PRESUNTA INTOSSICAZIONE ACUTA DI ANIMALI Ciccotelli V.1,2, Brizio P.1,2, Leporati M. 2, Capra P. 1,2, Abete M. C.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino 2 CAD- Centro Regionale Antidoping “Alessandro Bertinaria” , Orbassano, Torino Key words: Pesticides, poisoning, animals INTRODUZIONE La seconda parte prevede la messa a punto di una metodica analitica in cromatografia liquida ad alte prestazioni accoppiata alla spettrometria di massa (LC-MS/MS) per la determinazione di 6 cumarinici (Coumatetralyl, Warfarin, Brodifacoum, Bromadiolone, Flocoumafen, Difenacoum), il Clorofacinone, e l’ α-cloralosio. L’Agenzia di Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti (U.S. Environmental Protection Agency, EPA) riconosce come “pesticida” ogni sostanza o miscela di sostanze intese a prevenire, distruggere o mitigare insetti, animali, vegetali o microrganismi indesiderabili o nocivi (2). La categoria dei pesticidi è molto ampia, oltre a comprendere i più conosciuti insetticidi, erbicidi e fungicidi, in essa vanno a confluire anche gli acaricidi, i larvicidi, i rodenticidi, i regolatori della crescita delle piante ed i repellenti. Il contatto di animali selvatici, da reddito o domestici con tali sostanze può avvenire accidentalmente attraverso diverse vie: la via digerente, la via cutanea oppure la via respiratoria. Nel primo caso l’assunzione attraverso la via digerente può avvenire quando gli animali si alimentano con foraggi freschi, fieni ed insilati o granaglie inquinati direttamente, per irrorazione con parassiticidi per la conservazione o la difesa dai parassiti, per inquinamento ambientale, dalle acque di irrorazione, o indirettamente per passaggio dal terreno inquinato nelle piante. L’assorbimento per via cutanea, invece può avere luogo quando l’animale viene sottoposto a trattamenti per eliminare gli ectoparassiti. L’assorbimento per via inalatoria può avvenire, ad esempio nel caso in cui gli animali vengono lasciati nella stalla quando viene effettuata la sua disinfezione. Purtroppo il contatto può essere provocato volontariamente da individui, che per svariati motivi, disseminano delle esche, oppure accidentalmente per ingestione di prodotti applicati a scopi di disinfezione, come i topicidi, ecc. (1). Questi composti possono essere classificati in base alle loro caratteristiche chimiche in: organoclorurati, organofosfati, carbammati, cumarinici, ecc. I meccanismi di azione sono molto diversi. Gli organofosfati e i carbammati, ad esempio, inibiscono irreversibilmente l’enzima acetilcolinesterasi, essenziale per le attività nervose; i piretroidi bloccano l’apertura dei canali del sodio, provocando nell’animale fenomeni di ipereccitabilità (3); gli organoclorurati provocano un’alterazione degli scambi ionici della membrana assonica con ritardo della chiusura dei canali del sodio e inibizione della fuoriuscita del potassio; i cumarinici inibiscono l’attivazione epatica dei 4 fattori della coagulazione “vitamina K-dipendenti”. Il presente lavoro di ricerca è stato suddiviso in due parti. La prima comprende la messa a punto di un metodo in gascomatografia accoppiata allo spettrometro di massa (CG-MS) per la determinazione di 27 pesticidi, di cui 13 organofosfati (Chlorpyriphos ethyl, Chlorpyriphos methyl, Parathion ethyl, Dimethoate, Metamidophos, Diazinon, Malathion, Ethion, Phosdrin, Terbufos, Pirimiphos ethyl, Isofenphos e Coumaphos), 3 piretroidi (Permetrina isomeri I e II, Decametrin), 4 organoclorurati (Lindano, α-endosulfano, β-endosulfano, endosulfano solfato), 4 carbammati (Methomyl, Desmedipham, Mercaptodimetur, Oxamyl), il Lenacil che fa parte della classe delle diaminouracili, l’alcaloide Stricnina e la Metaldeide. MATERIALI E METODI La preparativa dei campioni consiste in un’estrazione liquidoliquido, il solvente utilizzato dipende dal tipo di matrice: fegato e rene, esche a base di carne vengono estratti con cloroformio; becchime, granaglie, polveri, pellets con acetonitrile; materiale liquido o semiliquido come può essere il contenuto gastrico con esano. In alcuni casi per facilitare il passaggio in soluzione degli analiti si pone il campione in bagno ad ultrasuoni per dieci minuti. Si porta a secco solo una parte dell’estratto in corrente di azoto, quindi si riprende il residuo con metanolo. Avendo a disposizione due differenti metodiche analitiche vengono portate a secco due aliquote di estratto. Un’aliquota viene analizzata mediante GC-MS, avente come analizzatore un quadrupolo, la seconda viene analizzata mediante cromatografia liquida accoppiata ad uno spettrometro di massa a triplo quadrupolo, utilizzando come tecnica di ionizzazione l’ESI (Electron Spray Ionization). Colonna: capillare US50015470 HP-5 17 m*0.200 mm, 0.33 µm ºC/min Rampa : Temp.iniettore: Gas: 185 Temp. ºC Permanenza (min) 70 1,5 25 260 3 25 320 3,8 280°C He Volume di iniezione: 2 µL Modalita’ iniezione: split 10:1 Temp.sorgente: 230°C Temp. quadrupolo: 150°C XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tabella-1: Valori dei parametri strumentali dell’analisi in GC-MS. Colonna: C18( 4.6*150 mm, 1.8 µm) Waters Temp. colonna: 20ºC Fase Mobile : Flusso: Gradiente: Durata della corsa: Volume di iniezione: Le sostanze maggiormente riscontrate in sede analitica e causa di decesso, fanno parte della categoria dei coumarinici o sono miscele di coumarinici ed organoclorurati (figura-2). A: Ammonioacetato 10 mM B: Metanolo 0.500 mL/min 60% di A a 0 min 100% di B a 1 min 31 min 10 µL Sorgente: ESI negativo Temp. sorgente: 350ºC Figura-2. Distribuzione dei veleni causa di avvelenamento. CONCLUSIONI Tabella-2: Valori dei parametri strumentali dell’analisi in LC-MS/MS. I metodi sviluppati permettono di svelare la realtà celata dietro ai presunti casi di intossicazione acuta o avvelenamento volontario di animali da compagnia, da reddito e selvatici. La possibilità di accedere alle biblioteche multimediali permette di avere un pannello di analiti, ricercati con la metodica in GC-MS, continuamente aggiornato, poiché al riscontro di una nuova molecola in un campione reale, se ne acquista lo standard, e dopo aver ottimizzato i parametri strumentali per il suo monitoraggio, si aggiunge alla lista. Il metodo in HPLC-MS/MS non permette la visione di sostanze diverse da quelle ricercate, ma assicura alti livelli di sensibilità e selettività per le molecole incluse nel metodo. L’analisi in GC-MS viene eseguita in full scan, in questa modalità qualsiasi sostanza separata durante la fase cromatografica e in grado di generare un segnale, viene rilevata dal detector. Grazie alla presenza della libreria, una volta individuato un picco cromatografico sconosciuto si può risalire alla molecola di appartenenza. Inoltre il software dello strumento permette di inserire le transizioni ioniche scelte per ogni analita, in modo tale da poter visualizzare solo i canali in cui essi potrebbero essere presenti. Per quanto riguarda l’analisi in HPLC-MS/MS, si lavora in modalità Multiple Reaction Monitoring (MRM), ovvero per ogni analita si seleziona lo ione precursore, si provoca la sua frammentazione e si vanno a monitorare i frammenti caratteristici. BIBLIOGRAFIA 1. Beretta C., (1998), “Tossicologia Veterinaria”. Ambrosiana. pp. 67-72. 2. Cassaret & Doull’s. (2000). “Tossicologia I fondamenti dell’azione delle sostanze tossiche”. EMSI, pp. 847-865. 3. Whittem T. (1997). “L’intossicazione da insetticidi a base di piretrine e piretroidi nel gatto”. VETERINARIA; pp.75-78. RISULTATI In un anno di attività (dal 1° agosto 2009 al 1° agosto 2010) sono stati analizzati 420 casi di presunto avvelenamento di animali, il 64% dei quali è stato confermato dall’esito analitico, come riportato nella figura-1. SUMMARY The present work has been divided in two parts. The first concerns the development of a method in GCMS to determine: 13 organophosphates, 3 piretroids, 4 organochlorarines, 4 carbamates, lenacil, strychnine and mathaldeide. The second counts the development of a method in HPLC-MS/MS to determine: 6 coumarine compounds, Chlorophacinone and α-chloralosio. The started matrix can be a pool of liver and kidney, gastric contain of animals died in suspicion circumstances, birdseed, and bait. Figura-1: Andamento delle positività nel corso di un anno di attività 186 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PRELIMINARY EVALUATION OF BIOCHEMICAL AND HAEMATOLOGICAL INDICES IN THE CIRNECO DELL’ETNA CANINE BREED Cicero A., Vazzana I., Agnello S., Randazzo V., Vicari D., Galuppo L., Percipalle M. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, Palermo Keywords: Cirneco dell’Etna, haematological and biochemical parameters SUMMARY e senza anticoagulante. Le provette prive di anticoagulante sono state mantenute a temperatura ambiente per 2 ore per permettere un’adeguata separazione del siero. Le provette addizionate di anticoagulante sono state mantenute a temperatura di refrigerazione fino al momento dell’invio al laboratorio. Tutti i campioni sono stati processati nelle tre ore successive al prelievo da un laboratorio d’analisi che è soggetto a controlli di qualità interni giornalieri ed esterni a cadenza semestrale. Un esame emocromocitometrico completo è stato eseguito su sangue raccolto in EDTA K3 utilizzando un emocitometro a flusso (Cell-Dyn 3700®, Abbot Diagnositics), mentre sui sieri separati per centrifugazione a 3500 rpm per 10 min, sono stati eseguiti i profili di funzionalità epatica e renale tramite un analizzatore di chimica clinica (Konelab 20, DASIT). L’analisi del tracciato elettroforetico delle proteine è stato realizzato con un sistema automatizzato (Helena Biosciences SAS-1 e SAS-2) In an attempt to provide haematological and haematochemical reference values for the Cirneco dell’Etna canine breed, a small population of this rare breed has been studied. Both haematological and haematochemical parameters investigated in this study fell within reference limits. Results are here briefly reported with the purpose to develop reference values useful for clinical diagnostics and for further research investigations. INTRODUZIONE Il Cirneco dell’Etna è una delle razze canine più antiche conosciute e la sua origine risale al 1000 a.C. La razza giunta fino ai nostri giorni non è il risultato di un progetto e di una successiva selezione programmata da parte dell’uomo, come normalmente avviene per la maggior parte delle razze canine, ma bensì il prodotto del naturale adattamento all’ambiente e al particolare impiego cui l’animale è stato adibito nel corso dei secoli. La razza in questione rientra nel novero delle razze da caccia che riconoscono la loro culla d’origine nel bacino del mediterraneo. Ipotesi diverse suggeriscono che la razza sia stata originata dai cani dei Faraoni egiziani delle ultime dinastie e da cani importati in Italia dai commercianti Fenici. Altri studi sono propensi invece nel considerare il Cirneco una razza autoctona siciliana. Nei secoli scorsi il Cirneco è stato utilizzato prevalentemente per la caccia al coniglio selvatico anche se in un ambito territoriale alquanto ristretto dal momento che la razza è poco diffusa fuori dai confini nazionali. Benché si tratti di una razza presente ed evolutasi nel territorio siciliano nell’arco di diversi secoli, non sono disponibili informazioni relative alla sua fisiologia ed in particolare alle caratteristiche ematologiche ed ematochimiche. Lo scopo del presente lavoro è quindi quello di tracciare un profilo dei valori fisiologici di questa razza canina allo scopo di definire omogeneità o difformità dai valori tipici della specie canina, fornire un ulteriore strumento di diagnosi per il clinico e gettare le basi per uno studio più approfondito dell’ematologia di questa razza. RISULTATI I risultati dell’esame emocromocitometrico e biochimico sono riportati in tabella. I dati, differenziati per sesso, sono espressi in termini di valori medi con relativa deviazione standard. DISCUSSIONE I valori ematologici ed ematochimici presi in esame in questo lavoro includono i parametri di base normalmente impiegati nella pratica clinica. Le osservazioni dei parametri ematologici di una popolazione animale vengono normalmente confrontate con dei valori o intervalli di riferimento ottenuti da una popolazione animale equivalente impiegando metodiche di laboratorio analoghe. Le osservazioni sono considerate normali allorché rientrano all’interno dell’intervallo o range di riferimento. Nel caso in oggetto i risultati ottenuti rientrano negli intervalli di riferimento della specie canina e quindi non si prestano a speculazioni sull’influenza di eventuali fattori intrinseci legati al genotipo della popolazione esaminata (1, 2). Cionondimeno è fondamentale proseguire nello studio delle caratteristiche ematologiche della razza, estendendo la ricerca anche ai parametri non presi in esame in questa occasione, allo scopo di approfondirne la conoscenza relative alla fisiologia e migliorare l’approccio clinico alla risoluzione delle problematiche sanitarie. MATERIALI E METODI Per questa indagine sono stati selezionati 25 soggetti, 17 femmine e 8 maschi di età compresa tra 5 mesi e 5 anni. I cani, provenienti da allevamenti riconosciuti ed iscritti nell’albo genealogico della razza, erano clinicamente sani ed erano sottoposti a programmi di vaccinazione routinaria e a trattamenti antiparassitari periodici. Gli animali erano ospitati in box singoli ed erano alimentati con una dieta commerciale equilibrata. I prelievi ematici sono stati effettuati nelle prime ore del mattino con gli animali a digiuno postprandiale da almeno 12 ore ma con libero accesso all’acqua per tutta la durata del protocollo sperimentale. Da ciascun soggetto sono stati prelevati, direttamente dalla vena giugulare, due campioni di sangue raccolti in provette di tipo vacutainer con 187 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Cirneco Parametro Riferimento Duncan; Kaneco Maschio Femmina Rbc (M/µL) 6.59±0.70 5.96±0.41 5.50-8.50 Wbc (K/µL) 9.06±1.99 10.06±1.85 6.00–17.0 Neu (K/µL) 5.14±1.30 6.38±1.33 3.00–11.0 Eos (K/µL) 0.60±0.30 0.70±0.22 0.10–1.20 Bas (K/µL) 0.30±0.12 0.34±0.31 0–0.3 Lym (K/µL) 2.14±0.93 2.03±1.01 1.0–4.80 Mon (K/µL) 0.56±0.23 0.59±0.28 0.1–1.30 Hgb (g/dL) 15.5±2.17 13.9±2.03 12.0–18.0 Plt (K/µL) 271.40±108.67 382±181.66 200–500 Alt/Gpt (U/l) 39.6±7.23 36.85±17.01 21-102 Ast/Got (U/l) 31.6±5.86 37.75±14.29 23-66 Crea (mg/dl) 0.78±0.08 0.69±0.10 0.5-1.5 Urea (mg/dl) 26.6±12.42 21.12±8.61 10-28 Albumina (%) Glob. Alfa1 (%) 45.01±9.94 4.63±2.55 49.99±7.91 5.6±2.64 43.5-57.8 2.72-7.68 Glob. Alfa2 (%) 11.82±5.16 11.45±5.28 4.64-15.6 Glob. Beta (%) 20.18±9.63 18.42±9.43 14.1-36.2 Glob. Gamma (%) 12.35±2.82 12.12±2.34 3.75-12.9 Rapporto Alb/Glob 0.87±0.34 1.02±0.36 0.50-1.68 BIBLIOGRAFIA 1) Latimer KS, Mahaffey EA, Prasse KW (2003) Clinical pathology. In Duncan and Prasse’s Veterinary laboratory medicine. 4th ed Ames, Iowa State University Press. 895899. 2) Kaneco JJ, Harvey JW, Bruss ML (1997). Clinical biochemistry of domestic animals. 5th ed. Academic Press. San Diego, California. 338-341. 188 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA ZOPFII IN LATTE MASTITICO IN PROVINCIA DI UDINE 1 1 Cocchi M., 1Di Giusto T., 2 De Stefano P., 1 Deotto S.,1 Di Sopra G., 1Clapiz L.,1 Genero N., 1Bregoli M., 3Cammi G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; 2 Libero professionista, Udine; 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna Key words: bovine mastitis, Prototheca zopfii Summary Prototheca spp., a colourless microalgae, are ubiquitous and have been isolated from environmental sources, particularly in wet areas. In dairy herds, P. zopfii is responsible of mastitis. It occurs worldwide. The main purpose of this paper was to describe the prevalence of Prototheca zopfii in bovine mastitis. 834 milk samples, collected from 43 farms located in Udine province were submitted to bacteriological examination and to research Prototheca spp. Diagnosis of Prototheca spp. was confirmed by molecular characterization of the isolates. Moreover, in one farm the presence of the microalga was also monitored in the environment. Prototheca spp. was isolated in 4/843 (0,5%) mastitic milk samples from 2/43 (5%) dairy herds. The results of molecular characterization indicate that all the isolates were P. zopfii genotipe II. effettuate su campioni di latte (singoli quarti) pervenuti al laboratorio nel corso delle routinarie indagini per ricerca di agenti mastidogeni. Viene inoltre descritta l’indagine effettuata in un allevamento colpito, al fine di verificare la presenza di fattori di rischio aziendali, sia a livello di ambiente che di pratiche di mungitura, favorenti la permanenza e la diffusione dell’infezione. Materiali e metodi. Analisi microbiologica. Nel periodo febbraio – giugno 2010 sono stati sottoposti a ricerca Prototheca spp. 834 campioni di latte bovino, appartenenti a 43 allevamenti (numero medio di vacche in lattazione < 50), siti nella provincia di Udine. I campioni di latte prelevati in corso di mastite clinica stati sottoposti sia ad indagine batteriologica sia a ricerca di Prototheca spp. In quest’ultimo caso, 0,01 ml di latte è stato seminato su terreno Prototheca Isolation Medium (PIM), incubato a 30°C ± 2 per 48-72 ore (4). I campioni sono stati sottoposti inoltre a routinarie indagini batteriologiche. Campioni ambientali. L’indagine è stata eseguita campionando con tamponi sterili diverse strutture presenti in sala mungitura (prendi capezzoli, ugelli tubi pulizia, soluzioni per il postdipping e il predipping, pavimento), e in allevamento (acqua di abbeverata, abbeveratoi, area vacche in lattazione). Sono inoltre stati collezionati campioni di feci degli animali all’uscita dalla sala mungitura (2 pool: ognuno costituito da 15 campioni). I campioni così ottenuti, trasportati a temperatura di refrigerazione in laboratorio sono stati sottoposti ad indagine, entro due ore dal prelievo. In laboratorio l’esame colturale è stato condotto nel modo seguente: Campioni di feci. Diluizione in soluzione fisiologica sterile (1:10), omogeneizzazione in Stomacher (Laboratory Blender) per 2 minuti ca e successiva semina di 0,1 ml su PIM; Campioni da tettarelle, pavimento, ugelli dell’acqua. I tamponi sono stati strisciati direttamente su una piastra di PIM; Acqua. 100 ml del campione sono stati sottoposti a filtrazione (0,45 μm) e la superficie contaminata del filtro strisciata su PIM. I campioni ottenuti sono stati incubati a 30°C ± 2 per 48-72 ore. Caratterizzazione degli isolati ottenuti dal latte e dai campioni ambientali. Al termine del periodo di incubazione, da ciascuna delle piastre sono state prelevate più colonie con morfologia riferibile a Prototheca spp e sottoposte ad identificazione della morfologia microscopica della colonia, utilizzando la colorazione di Gram. Successivamente le colonie con morfologia riferibile a Prototheca spp., sono state trapiantate su Sabouraud Dextrose Agar (SDA) – Oxoid - ed inviate al laboratorio di biologia molecolare della sezione di Piacenza (Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna) per tipizzazione molecolare. Analisi biomolecolare. L’indagine, effettuata sulle colonie isolate, mediante PCR è stata in grado di differenziare le diverse specie di Prototheca e nel caso di P. zopfii, anche l’ appartenenza al genotipo I e II (6). In breve sono state allestite tre diverse reazioni PCR, utilizzando i primers: - Proto18-4f, Proto18-4r e PZGT 1/r per P. zopfii genotipo 1 - Proto18-4f, Proto18-4r e PZGT 2/r per P .zopfii genotipo 2 - PZGT 3-IK/f, PZGT 3-IK/R e PZGT 3/r per P. blaschkeae. Introduzione. La mastite costituisce un’importante causa di perdita economica nell’allevamento bovino. Recentemente, da un punto di vista eziologico le microalghe appartenenti al genere Prototheca stanno assumendo sempre maggiore rilievo. Prototheca spp comprende alghe unicellulari, strettamente correlate alle alghe verdi del genere Chlorella anche se, diversamente da queste ultime, sono aclorofilliche. Si rinvengono normalmente in habitat umidi. Prototheca spp può causare patologia in diverse specie animali (infezioni enteriche nel cane, patologie cutanee nel cane, nel gatto e negli ovi-caprini, mastite nel bovino) e nell’uomo, soprattutto nei soggetti immunocompromessi (7). A questo genere appartengono 5 specie: P. zopfii, P. winckerhamii, P. blaschkeae, P. stagnora, P. ulmea. Recentemente, P. zopfii è stata suddivisa in due genotipi, P. zopfii genotipo I e P. zopfii genotipo II; nel caso della mastite bovina, solo quest’ultimo genotipo è considerato patogeno. Accanto a quest’ultima, un’altra specie considerata responsabile di mastite bovina è P. blaschkeae (5). Generalmente l’andamento della mastite da Prototheca spp. è di tipo cronico - evolutivo, con eliminazione delle alghe in modo intermittente ed in significative quantità (1,7). Fra i soggetti colpiti la percentuale di guarigione spontanea è molto bassa (7). Epidemiologicamente la mastite da Prototheca presenta andamento endemico nelle aree tropicali, mentre nelle zone a clima temperato è stata descritta come una patologia sporadica. Recenti segnalazioni tuttavia evidenziano come anche in queste ultime zone, l’andamento della prototoecosi mammaria abbia assunto carattere endemico. Infatti, segnalazioni dagli Stati Uniti e dalla Germania riportano livelli di prevalenza di allevamento superiori al 39% (7). La mastite da Prototheca riconosce fattori predisponenti, quali ad esempio scarsa igiene della mungitura e dell’ambiente di allevamento. La diffusione della presenza di Prototheca anche negli allevamenti di bovine da latte del nostro Paese è stata evidenziata da un recente monitoraggio effettuato sul latte di massa di 350 allevamenti ubicati nella pianura Padana, che ha rilevato la presenza della microalga nel 15,43% dei campioni (2). Scopo del presente lavoro è quello di illustrare i dati relativi alla diffusione della mastite da Prototheca in allevamenti di bovine da latte della provincia di Udine, derivanti da analisi 189 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 non determinare neppure un rialzo del valore delle cellule somatiche. Da sottolineare l’importanza del controllo ambientale al fine di individuare le possibili fonti di contaminazione per gli animali; l’infezione, infatti, nonostante si diffonda principalmente da un animale all’altro attraverso la mungitura, può essere contratta direttamente dall’ambiente. Negli allevamenti in cui non sono segnalate mastiti da Prototheca spp, generalmente l’ambiente risulta con un basso livello di contaminazione (3). Inoltre per valutare l’importanza delle fonti di contaminazione ambientale nella diffusione e mantenimento dell’infezione in allevamento, risulta necessario procedere alla identificazione di specie ( o genotipo nel caso di P. zopfii) dei ceppi isolati. La presenza ubiquitaria di Prothoteca e la resistenza ai presidi terapeutici rendono di particolare importanza sia la precoce individuazione dell’infezione nella mandria sia il monitoraggio in allevamento. La conoscenza della diffusione della microalga negli animali e nell’ambiente permette l’attuazione di misure di controllo e di profilassi che possono impedire all’infezione da Prototheca di causare danni elevati alla produttività dell’allevamento. Risultati e discussione. Sono risultati positivi alla ricerca di Prototheca spp 4/834 (0,5%) campioni di latte mastitico, corrispondenti a 2/43 (5%) allevamenti controllati. Tre campioni appartenevano ad un allevamento (allevamento A), mentre il quarto apparteneva ad un allevamento differente (allevamento B). Nel caso dell’allevamento A, Prototheca spp è stata isolata in due bovine; in particolare da due quarti della prima bovina e da un unico quarto del secondo soggetto. Inoltre, in entrambi i soggetti, l’esame colturale per la ricerca di batteri ha dato esito negativo. Diversamente, nel secondo allevamento (allevamento B), la positività è stata rilevata da un quarto di una bovina, il cui esame batteriologico ha dato come esito Staphylococcus aureus. In seguito alla situazione verificatasi nell’allevamento A sono state avviate successive indagini al fine di monitorare la distribuzione della microalga in allevamento, identificando così le possibili fonti di contaminazione e verificando lo status igienico – sanitario dell’allevamento. In totale sono stati eseguiti 42 campioni ambientali. Di questi, 9 sono risultati positivi (21%). La distribuzione delle positività ambientali è riportata in tabella 1. Tabella 1. Campioni ambientali effettuati nell’allevamento A. Campioni esaminati Campioni positivi % Prendicapezzolo Feci (pool) 24 2 5 0 21 0 Ugello tubo acqua sala mungitura 2 0 0 Soluzione postdipping Soluzione predipping Ambiente sala mungitura 1 1 3 0 0 2 0 0 66.6% Ugelli tubi sala mungitura 1 0 0 Acqua di abbeverata 2 0 0 Abbeveratoio vacche in lattazione: parte esterna 2 2 100 Abbeveratoio vacche in lattazione:parte interna 6 0 0 Tot 42 9 21 Bibliografia. 1. Arrigoni N., Belletti G.L., Cammi G., Garbarino C., Ricchi M. (2010). Mastite bovina da Prototheca. Large Animal Review; 16. 39-43. 2. Cammi G. Arrigoni N., Belletti GL., Garilli F., Ricchi M., Vicari N., Tamba M., Galletti G. (2008). Indagine sulla presenza di Prototheca spp. in allevamenti di bovine da latte del Nord Italia. Atti X Congresso Nazionale SIDiLV, Alghero. 22-24 Ottobre 2008, 120-121. 3. Costa E.O., Carciofi A. C., Melville P.A., Prada M.S., Schalch U. (1996). Prototheca sp. Outbreak of bovine mastitis. J Vet Med B. 43. 321-324. 4. Jensen H.E., Aalbaek B., Bloch B., Huda A. (1998). Bovine mammary protohecosis due to Prototheca zopfii. Med Mycol. 36. 89-95. 5. Marques S., Silva E., Kraft C., Carvalheira J., Videria A., Huss V.A., Thompson G. (2008). Bovine mastitis associated with Prototheca blaschkae. J Clin Microbiol. 46. 1941-1945. 6.Ricchi M, Cammi G, Garbarino CA, Buzzini P, Belletti GL and Arrigoni N. A rapid Real Time-PCR/DNA melting resolution method to identify Prototheca species. 2010. Journal of Applied Microbiology, in press. 7. Roesler U., Hensel A. (2003) Longitudinal analysis of Prototheca zopfii-specific immune responses: correlation with disease progression and carriage in dairy cows, J Clin Microbiol vol 41, n 3. 1181-1186. L’indagine biomolecolare condotta sui ceppi isolati ha confermato la presenza sia sul latte (allevamento A e B) che sui campioni ambientali (allevamento A) di P. zopfii genotipo II. Dall’analisi ambientale i punti critici, in cui si osserva una maggiore contaminazione da Prototheca, sono la sala mungitura (prendi capezzoli, pavimento) e gli abbeveratoi. Sono quindi state intraprese le seguenti misure: sala mungitura: sostituzione prendi capezzoli con introduzione di una soluzione disinfettante composta da acido peracetico e acqua ossigenata. disinfezione abbeveratoi e pavimento sala mungitura con soluzione di ipoclorito di sodio. mungitura delle vacche positive per ultime. controlli periodici degli animali in lattazione con ricerca Prototheca spp sul latte di massa. I dati ottenuti dall’indagine effettuata indicano una scarsa diffusione della mastite da Prototheca nelle stalle di bovine da latte della provincia di Udine. Nel presente lavoro la microalga è stata ricercata solo in soggetti con mastite clinica. Questo può aver portato ad una sottostima della presenza dell’infezione mammaria da Prototheca in quanto, specialmente nelle fasi iniziali, l’infezione, oltre ad non manifestarsi clinicamente, può Figura 1. P. zopfii su PIM dopo 72 h di incubazone (latte). 190 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PRESENZA DEI GENI ICAA E ICAD E FORMAZIONE DEL BIOFILM IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS DI ORIGINE ANIMALE Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Di Sopra G., Bacchin C., Clapiz L., Genero N., Passera A., Bregoli M., Drigo I. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Key words: slime production, Staphylococcus aureus, ica genes Summary. Staphylococcus aureus (SA), is a common cause of infections both in humans and in animals. The virulence of SA is associated with its ability to produce toxins and other extracellular factors and to adhere on host surfaces by the production of a polysaccharidic biofilm. The biofilm formation represents moreover a key factor for protection against phagocytosis and antimicorbial agents. 166 SA strains isolated from animals were evaluated for the slime production by Congo Red agar test (CRA) and by a specific PCR based procedure. 42/166 strains showed the phenotypic trait, whereas 152/166 were positive to molecular characterization. è stata confermata utilizzando un sistema biochimico miniaturizzato (API STAPH - Biomerieux). Da ogni piastra è stata scelta una colonia di SA da sottoporre alle successive indagini fenotipiche e genotipiche. Analisi fenotipica. La colonia di SA è stata coltivata su Congo Red Agar (CRA). Le piastre di CRA sono state allestite addizionando 0.8 g di rosso Congo (Sigma) e 36 g di saccarosio (Sigma) a 11 g di Brain Heart Infusion agar (Oxoid) (2). Le piastre sono state incubate per 24 ore a 37± 2°C, in condizioni di aerobiosi e successivamente poste, overnight, a temperatura ambiente per ulteriori 24-48 ore. La valutazione delle colonie si è basata su un’evidenza colorimetrica, ottenendo in tal modo informazioni di tipo qualitativo sulla presenza del biofilm nel ceppo batterico in esame. In particolare le colonie producenti biofilm appaiono nere/nero-grigie/grigie su fondo rosso, mentre le colonie non producenti il biofilm appaiono rosa/rosso su fondo scuro (2), come illustrato nelle figure 1 e 2. Quali controlli di reazione sono stati associati i seguenti ceppi: controllo positivo: S. epidermidis ATCC 35984 controllo negativo: S. epidermidis ATCC 12228. Analisi genotipica. Il DNA è stato estratto utilizzando il kit commerciale “GeneElute Bacterial genomic DNA kit” (SigmaAldrich). La ricerca geni icaA e icaD è stata eseguita secondo quanto descritto da Tristan et al. (2003). (9). Introduzione. Staphylococcus aureus (SA), microrganismo normalmente presente sulla cute e sulle mucose di diverse specie animali può provocare, in presenza di fattori predisponenti, infezioni di diversa gravità. Solitamente il processo flogistico si esplica a livello di cute e annessi cutanei, di apparato urinario e digerente e di organi quali polmone. Secondo diversi Autori, la mancata capacità di combattere in vivo l’infezione stafilococcica, e l’instaurarsi di un processo di cronicizzazione della stessa, sono legati alla capacità di formare il biofilm da parte del microrganismo (4). Il biofilm viene definito come “una comunità strutturata di cellule batteriche racchiuse in una matrice polimerica autoproducentesi ed aderente ad una superficie inerte o non” (3). Diversi Autori hanno dimostrato che i batteri presenti nel biofilm risultano 101000 volte maggiormente resistenti agli agenti antimicrobici rispetto ai batteri della stessa specie in coltura libera (1). La produzione del biofilm viene regolata a livello genetico dall’intracellular adesion (ica) locus, che controlla la sintesi di un’adesina, PIA (polysaccharide intercellular adhesin), molecola di natura polisaccaridica che permette l’adesione intercellulare (7). L’ica locus è costituito dai geni icaADBC e codifica proteine che mediano la sintesi di PIA nei ceppi di SA: fra di essi, icaA e icaD giocano un ruolo importante nella formazione del biofilm. In particolare, il gene icaA codifica per l’enzima N-acetilglucosaminiltransferasi, anche se la sola espressione del gene icaA induce una bassa attività enzimatica. La piena espressione fenotipica, infatti, è determinata dall’espressione contemporanea sia dell’icaA che dell’icaD (2). Scopo del presente lavoro è stato valutare la presenza dei geni icaA e icaD in ceppi di SA isolati da diverse specie animali in corso di patologia, valutando inoltre fenotipicamente la formazione del biofilm. Figura 1. Ceppo di SA non producente slime Figura 2. Ceppo di SA producente slime Risultati e conclusioni L’indagine condotta ha permesso di identificare 42/166 (25%) ceppi fenotipicamente biofilm +; genotipicamente, invece, 152/166 (91%) ceppi di SA erano positivi alla ricerca per i geni icaA e icaD. Nelle tabelle seguenti vengono illustrati i risultati, suddivisi per specie. Materiali e metodi 166 ceppi di SA isolati da bovino (n = 121), coniglio (n =40) e capra ( n= 5) sono stati sottoposti a test sulla formazione del biofilm e sulla presenza del gene icaA e del gene icaD. I ceppi di SA sono stati isolati a partire da agar sangue incubato in aerobiosi per 24-48 ore a 37± 2°C. I ceppi batterici che presentavano una morfologia riconducibile a Staphylococcus spp. sono stati sottoposti a colorazione di Gram, test della catalasi e della coagulasi del plasma di coniglio al fine di identificare i ceppi di S. aureus. L’identificazione biochimica Tabella 1. Ceppi di SA (n=121) isolati in corso di mastite bovina. Risultati del CRA test e della ricerca dei geni icaA e icaD. CRA 191 + - + 36 77 113 icaA e icaD 0 8 8 36 85 121 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 antimicrobici (8). La comprensione del meccanismo che permette a batteri normalmente saprofiti di colonizzare i tessuti divenendo patogeni riveste notevole importanza e in questo ambito, la caratterizzazione molecolare e fenotipica degli isolati può costituire un valido ausilio. Nel nostro caso, l’utilizzo del test molecolare ha costituito un mezzo importante nella caratterizzazione dei ceppi. Infatti, il solo utilizzo del test fenotipico avrebbe permesso di individuare ceppi biofilm + solo nel 25% dei casi. Considerando che l’indagine molecolare non fornisce informazioni sull’espressione genica, rimane comunque da sottolineare che il suo utilizzo consente di conoscere la potenzialità del ceppo in esame, in tempi rapidi e con una elevata accuratezza. Tabella 2. Ceppi di SA (n=5) isolati in corso di patologia nell’ovino. Risultati del CRA test e della ricerca dei geni icaA e icaD icaA e icaD CRA + - + 0 0 0 0 5 5 0 5 5 Tabella 3. Ceppi di SA (n=40) isolati in corso di patologia nel coniglio. Risultati del CRA test e della ricerca dei geni icaA e icaD. icaA e icaD CRA + - Bibliografia + 6 34 0 0 6 34 40 0 40 1. Amorena B., Gracia E., Monzon M., Leiva J., Oteiza C., Perez M., Alabart J.L., Hernandez-Yago J. (1999). Antibiotic susceptibility for Staphylococcus aureus in biofilm developed in vitro. J Antimicrob. Chemother. 44. 43-55. 2. Arciola C.R., Campoccia D., Gamberini S., Cervellati M., Donati E., Montanari L. (2002). Detection of slime production by means o fan aoptimised Congo Red gar plates based on a colourimetric scale in Staphylococcus epidermidis clinical isolate genotyped for ica locus. Biomaterials.23. 4233-4239. 3. Costerton J.w., Stewart P.S., Greenberg E.P. (1999). Bacterial biofilms: a common cause of persistent infections. Science. 284. 13181322. 4. Dunne W.M. Jr. (2002). Bacterial adhesion: seen any good biofilm s lately? Clin. Microbiol. Rev. 15. 155-166. 5. Fox L.K., Zadoks R.N., Gaskins C.T. (2005). Biofilm production by Staphylococcus aureus associated with intramammary infection. Vet Microbiol. 107. 295-299. 6. Götz F.(2002). Staphylococcus and biofilms. Mol. Microbiol. 43. 869. 1367-1378. 7. Mack D., Haeder M., Siemssen N., Laufs R. (1996). Association by biofilm production of coagulase negative staphylococci with expression of a specific polysaccharide intercellular adhesine. 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Nel coniglio, invece, 6/40 ceppi erano genotipicamente e fenotipicamente biofilm +, mentre 34/40 fenotipicamente negativi, ma icaA e icaD positivi. Per quanto concerne i ceppi di origine cunicola in letteratura non sono stati reperiti valori di possibile confronto con quelli ottenuti nel presente studio. Tutti i ceppi di origine ovina sono genotipicamente e fenotipicamente negativi. Nelle specie esaminate, tutti i ceppi negativi alla ricerca biomolecolare sono risultati negativi al CRA test, mentre tutti i ceppi fenotipicamente positivi sono anche icaA e icaD positivi. L’utilizzo della scala cromatica nella lettura degli isolati ha costituito un importante ausilio interpretativo, riducendo la possibile variabilità soggettiva. La lettura effettuata a 48 ore ha permesso di apprezzare in modo esaustivo il colore delle colonie nel caso dei ceppi positivi; diversamente, nel 70% dei ceppi negativi il prolungamento dell’incubazione a 72 ore ha permesso di apprezzare in modo più corretto il colore. La lettura finale a 96 ore ha permesso inoltre di valutare l’assenza di “variazioni” nei ceppi esaminati dovute alla formazione di spikes di colore rosa/rosso all’interno di colonie nere. Questo fenomeno viene spiegato da alcuni autori con la formazione di cloni che hanno perso i geni icaA e icaD, mentre secondo altri autori tale fenomeno sarebbe da imputare ad una modulazione del meccanismo di trascrizione, piuttosto che alla delezione genica (2). Queste variazioni di colore sono descritte in ceppi isolati in corso di infezione (2). Lo studio del biofilm costituisce elemento importante nell’analisi della virulenza dei ceppi di SA, poiché studi condotti hanno evidenziato come la mancata capacità di produrre PIA dia luogo ad una minore capacità di causare mastite nel bovino (6). Inoltre, in corso di infezione mammaria da SA, la formazione del biofilm, consentendo l’adesione dei microrganismi alla superficie mucosale, determina una persistenza dell’infezione stessa e una aumentata resistenza del microrganismo agli 192 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI E PRESENZA DELLA METICILLINO RESISTENZA IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA MASTITE BOVINA Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Bacchin C., Clapiz L., Di Sopra G., Genero N., Bregoli M., Drigo I. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Key words: antimicrobial susceptibility, Staphylococcus aureus, bovine mastitis Summary. Bovine mastitis is the most costly disease affecting the dairy industry worldwide. Different bacteria have been isolated, and one of the main pathogen is represented by S. aureus. Antimicrobial therapy is an important tool for controlling staphylococcal mastitis. Aim of this study was to investigate antimicrobial susceptibility of S. aureus strains (n=121) isolated from bovine mastitis. Methicillin resistance was evaluated, too. 34% of S. aureus strains were resistant to penicillin. Methicillin resistance was not found. bovina, valutando inoltre la presenza della meticillino resistenza. Figura 1. Acquisizione della meticillino resistenza da parte di SA tramite trasferimento orizzontale di un tratto di DNA, chiamato SCCmec (Adattato da Foster et al.) Introduzione. La mastite rappresenta una delle principali patologie nell’allevamento del bovino da latte. Da un punto di vista eziologico, Staphylococcus aureus (SA) è considerato uno dei principali agenti di mastite contagiosa, con un elevato impatto sanitario ed economico sulle aziende zootecniche. La terapia antibiotica rappresenta uno degli elementi fondamentali nella gestione delle mastiti, anche se recenti studi hanno evidenziato un progressivo aumento della resistenza agli antimicrobici in ceppi di SA isolati in corso di mastite bovina (3,8). Il monitoraggio della resistenza agli antimicrobici dei microrganismi patogeni e dei commensali costituisce un passo importante che influenza sia l’approccio terapeutico che gli interventi da attuare per un uso appropriato degli stessi (1,3). In questo ambito si colloca lo studio della meticillino resistenza (MRSA, methicillin resistant S. aureus), tratto caratterizzante prevalentemente i ceppi di SA isolati dall’uomo. In ambito veterinario esistono differenze fra la diffusione dei ceppi MRSA negli animali da compagnia, in cui rare sono state le segnalazioni sino al 2006 e in quelli da allevamento. In quest’ultimo caso i ceppi di MRSA sono stati descritti in diverse specie fra cui il suino e il bovino (7). La meticillino resistenza è codificata dal gene mecA, a localizzazione cromosomiale che codifica per una proteina modificata, penicillin binding protein, PBP2a, che presenta una bassa affinità per i beta – lattamici (6). I ceppi meticillino resistenti presentano, inoltre, resistenza a quasi tutte le classi di beta lattamici; questo elemento fa sì che le infezioni sostenute da ceppi MRSA siano di difficile gestione e trattamento. In ambito umano infatti la terapia per le infezioni da MRSA è possibile solo con alcuni glicopeptidi e con alcune molecole sperimentali (6). I primi ceppi di SA meticillino resistenti sono stati isolati in ambito ospedaliero (HA-MRSA, hospital acquired methicillin resistant Staphylococcus aureus). Recentemente sono stati segnalati ceppi definiti community acquired methicillin resistant Staphylococcus aureus (CA–MRSA), geneticamente non correlati ai ceppi HAMRSA, identificati in soggetti di età differente (soprattutto giovani) e che non presentano i fattori di rischio tipici dei ceppi HA-MRSA (6). In figura 1 viene illustrata l’acquisizione da parte di ceppi di SA della meticillino resitenza. In questo contesto, il monitoraggio e la conoscenza della diffusione dell’antibiotico resistenza costituiscono elemento importante per la salute pubblica, soprattutto nel caso dei ceppi MRSA recentemente descritti in prodotti di origine animale (5). Scopo del presente studio è stato determinare la sensibilità a sei molecole antibiotiche in ceppi di SA isolati in corso di mastite Materiali e metodi. Analisi batteriologica. Nel presente lavoro sono stati esaminati 121 ceppi di SA, provenienti da 57 allevamenti siti in provincia di Udine, prelevati in corso di mastite clinica e subclinica. Da ogni stalla sono stati scelti più ceppi, appartenenti ad animali diversi. I ceppi sono stati ottenuti inoculando 0,1 ml di latte su agar sangue esculina, incubato a 37°C ± 2 per 18-24 e 48 ore. L’identificazione batterica è stata eseguita considerando la morfologia della colonia, la colorazione di Gram, una reazione positiva alla catalasi e alla coagulasi (plasma di coniglio). L’identificazione biochimica è stata confermata utilizzando un sistema biochimico miniaturizzato (API STAPH - Biomerieux). Test di sensibilità agli antimicrobici. I ceppi batterici sono stati sottoposti a test di sensibilità agli antimicrobici usando il metodo dell’agar diffusione, in accordo con le linee guida del CLSI (documento M31-A3) (4). I principi attivi utilizzati sono stati i seguenti: penicillina (10 µg – Becton Dickinson-), oxacillina (10 µg – Becton Dickinson -), ampicillina (10 µg – Becton Dickinson -), tetraciclina (30 µg – Oxoid -), sulfametoxazolo+trimethropim (1,25 µg – Oxoid -) e cefoxitina (30 µg – Oxoid-). Gli isolati sono stati classificati in sensibile, intermedio, resistente, in accordo con quanto riportato dal CLSI (tabella 1). Tabella 1. Break points (mm) S 193 I R Penicillina >29 <28 Ampicillina >29 <28 Tetraciclina >19 15-18 <14 Cefoxitina Sulfametoxazolo+ trimethropim Oxacillina >21 18-20 <17 >16 11-15 <10 >13 11-12 <10 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Meticillino – resistenza. Al fine di evidenziare la meticillino resistenza, secondo quanto riportato nel manuale del CLSI è stato utilizzato il test dell’agar diffusione, introducendo un dischetto di oxacillina. Nel presente studio, oltre all’utilizzo dell’oxacillina, 0,01 ml di latte sono stati inoculati su terreno Oxacillin Resistance Screening Agar Base, ORSAB (Oxoid), incubato a 37°C ± 2 per 24 ore. Tutti i ceppi sono stati sottoposti alla ricerca per il gene mecA. Analisi molecolare. Il DNA è stato estratto utilizzando il kit commerciale “GeneElute Bacterial genomic DNA kit” (SigmaAldrich). La ricerca gene mecA è stata eseguita secondo quanto descritto da Louie et al, 2002 (9). confermare e da caratterizzare successivamente con metodi biomolecolari. In ambito europeo diversi studi sono stati condotti al fine di conoscere la prevalenza delle infezioni da MRSA nel bovino. Emerge una differente distribuzione dei ceppi MRSA nell’allevamento del bovino da latte, con un range che varia da un valore di prevalenza pari allo 0% (studio norvegese) a un valore pari al 10% (studio belga) (3,10). In Italia un recente lavoro condotto su campioni di latte in stalle della pianura padana ha evidenziato una prevalenza pari al 13% dei ceppi esaminati (2). Pur essendo la meticillino resistenza una caratteristica rinvenibile soprattutto nei ceppi umani, la possibilità di trasferimento all’uomo di cloni isolati dall’animale (ST398, per esempio) pone un serio problema in sanità pubblica. Le differenze registrate in studi multicentrici condotti in diverse realtà produttive europee sottolineano inoltre l’importanza della conoscenza della prevalenza al fine di intraprendere adeguate strategie di controllo. Lo studio dell’antibiotico resistenza nell’allevamento del bovino da latte dovrebbe costituire quindi elemento cruciale per la rapida identificazione dello sviluppo di cloni resistenti e/o multiresistenti. Studi ulteriori si rendono necessari al fine di identificare se eventuali differenze nelle pratiche manageriali possano influenzare il diffondersi di ceppi resistenti. Risultati e discussione. Lo studio condotto ha permesso di valutare il pattern di antibiotico resistenza in ceppi di SA isolati in corso di mastite in provincia di Udine. Le molecole scelte hanno permesso di effettuare valutazioni in merito alla diffusione della resistenza ad alcune classi di chemioterapici. In particolare, l’utilizzo della penicillina permette di avere informazioni sulla sensibilità del ceppo ad altri beta lattamici, mentre l’oxacillina, molecola ampiamente più stabile della meticillina, consente di evidenziare ceppi meticillino resistenti. Nel nostro studio, 41/121 (34%) dei ceppi presentano resistenza alla penicillina, dati in accordo con la resistenza all’ampicillina, evidenziata in 42/121 (35%) dei ceppi. Il 30% dei ceppi era inoltre resistente ad entrambe le molecole saggiate (39/121). Per quanto riguarda i 3 ceppi resistenti alla tetraciclina, essi sono risultati resistenti anche a penicillina ed ampicillina. Non sono stati identificati ceppi resistenti al sulfamidico potenziato (Sulfametoxazolo+trimethropim) nè sono stati identificati ceppi meticillino resistenti. Quest’ultimo dato è stato confermato dall’analisi biomolecolare. Nel caso della cefalosporina di prima generazione solo un ceppo è risultato resistente. La sensibilità agli antimicrobici è sintetizzata in tabella 2. Bibliografia. 1. Acar J., Rostel B.(2001). Antimicrobial resistance: an overview. Rev Sci. Technol. 20. 797-810. 2. Benedetti V., Cremonesi P., Ferrari S., Castiglioni B., Fabbi M., Vicari N., Garbarino C., Battisti A., Franco A., Feltrini F., Luini M. (2010). Staphylococcus aureus meticillino resistenti (MRSA) da campioni di latte bovino. Large Animal Review. 16. 67-70. 3. Bengtsson B., Unnerstad HE., Ekman T., Artursson K., Nilsson-Ost M., Waller KP. (2009). Antimicrobial susceptibility of udder pathogens from cases of acute clinical mastitis in dairy cows. 136. 142-149. 4. Clinical and laboratory standards institute (CLSI). M31-A3. Performance standards for antimicrobial disk and dilution susceptibility tests for bacteria isolated from animals. Vol 28. n 8. 5. Diederen B.M.W., van Loo, J.H.M., Savelkoul, P., Woudenberg, J.H.C., Roosendaal, R., Verhulst, C., van Keulen, P.H.J., Kluytmans, J.A.J.W., (2007). Low prevalence of nontypable methicillin resistant Staphylococcus aureus in meat products in the Netherlands. Proc. 7th International Symposium on the epidemiology and control of foodborne pathogens in pork, Verona, Italia, 398-401. 6. Foster T.J. (2004).The Staphylococcus aureus superbug. Clin Invest. Dec;114(12):1693-6 7. Hunter P., Dawson S., French G.L., Goossens H., Hawkey PM., Kuijper EJ., Nathwani D., Taylor DJ., Teale CJ., Warren RE., Wilcox MH., Woodford N., Wulf M.W., Piddock LJV. (2010). Antimicrobial resistant pathogens in animals and man: prescribing, practices and policies. J Antimicrob Chemother. 65. Suppl 1, i3i17. 8. Kaszanyitzky E., Janosi S., Somogyi P., dan A., Van Bloois L., Van Duijkeren E., Wagenaart J. (2007). MRSA transmission between cows and humans. Emerging Infectious Disease. 13. 630-632. 9. Louie L., Goodfellow, J., Mathieu P., Glatt, A., Louie M., Simor, AE, (2002). Rapid detection of methicillin resistant staphylococci from blood culture bottles by using a multiplex PCR assay. J Clin Microbiol, 40(8): 2786-2790. 10. Vanderhaeghen W., et al., Methicillin ressitnat Staphylococcus aureus (MRSA) ST398 associated with clinical and subclinical mastitis in Belgian cows. Vet Microbiol (2010), doi: 10.1016/j.vet-mic.2009.12.044 Tabella 2 . Sensibilità in vitro dei ceppi di SA (n=121), isolati in corso di mastite, nei confronti dei sei antimicrobici selezionati. Tra parentesi il valore espresso in percentuale. Penicillina Ampicillina Tetraciclina Cefoxitina Sulfametoxazolo+ trimethropim Oxacillina S (%) 80 (66) 79 (65) 118 (98) 120(99) 1 2 1 (100) 121(100) I (%) 0 (0) 0 (0) 0 (0) 0 (0) R (%) 41(34) 42 (35) 3 (2) 1 (1) 0 (0) 0 (0) 0 (0) 0 (0) In uno studio condotto in nove paesi europei e negli Stati Uniti sono state identificate differenze nella diffusione dell’antibiotico resistenza in ceppi di SA isolati in corso di mastite. In particolare, nel caso della penicillina la percentuale di resistenza varia dal 44% (USA) al 50% (Finlandia) (1). Nel nostro lavoro la percentuale si attesta su valori inferiori, nonostante l’utilizzo da lungo tempo della penicillina nel trattamento delle mastiti. Per quanto concerne lo studio della meticillino resistenza, l’utilizzo del terreno ORSAB su cui è stato inoculato direttamente il campione ha dato esiti concordi con quanto rinvenuto con il metodo dell’agar diffusione e con i risultati della biologia molecolare. Questo potrebbe consentire un utilizzo del terreno sia routinario che come mezzo di screening dei ceppi di SA, da 194 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 STUDIO SULLA VARIABILITÀ DEL GENE CAPRINO CCR5 E RUOLO SVOLTO NELLA MODULAZIONE DELLA RESISTENZA ALLE LENTIVIROSI (CAEV) Colussi S. 1, Maniaci M.G. 1, Bertolotti L. 3, Profiti M. 3, Bertuzzi S. 1, Giovannini T. 1, Modesto P. 1, Quasso A. 2, Sacchi P. 3, Peletto S. 1, Rosati S. 3, Acutis P.L.1 1Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Torino; 2 ASL AT Asti – Dipartimento di Prevenzione - Servizi Veterinari – Area Sanita’ Animale, Asti; 3 Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università degli Studi di Torino Key words: Lentivirus, gene CCR5, capra SUMMARY Maedi Visna Virus (MVV) and Caprine Arthritis Encephalitis Virus (CAEV) belong to the family of Retroviridae, genus Lentivirus which includes the human immunodeficiency virus (HIV). Chemokine (C-C motif) Receptor 5 (CCR5) has been considered one of the main sources of genetic resistance to HIV in humans and, recently, one CCR5 variant of the promoter region associated to resistance to MVV has been reported in sheep. This work describes for the first time the CCR5 gene in goats and shows some preliminary results of a case-control study on goats belonging to two CAEV outbreaks. di 16-137 mesi e di 15-53 mesi. Il DNA è stato estratto manualmente mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA (Invitrogen). Il gene CCR5, analogamente a quanto fatto per gli ovini, è stato analizzato mediante quattro PCR comprendenti la regione del promotore, Esone 1, Introne , Esone 2 e CDS, regione 3’ UTR, utilizzando i primer riportati in tabella 1. La PCR è stata condotta su un volume di reazione pari a 50 µl mediante utilizzo di Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen), con aggiunta dei primer suddetti [300 nM] ed utilizzando il profilo termico proposto da White (5). Ciascun amplificato è stato sottoposto a sequenziamento utilizzando i primer descritti in bibliografia (5) e la chimica BigDye® Terminator v.3.1 (Applied Biosystems). Le sequenze ottenute sono state analizzate mediante il Software SeqMan (Lasergene). Gli aplotipi più probabili (p e q >90%) sono stati definiti attraverso l’applicazione del software PHASE (v2.1.1) (3, 4). L’esame sierologico è stato effettuato mediante ELISA ricombinante utilizzando la proteina di fusione P16-P25 espressa in E. coli e purificata mediante cromatografia per affinità. INTRODUZIONE Il virus Maedi Visna (MVV) e il virus dell’Artrite-Encefalite caprina (CAEV) determinano una malattia virale contagiosa tipica di ovini e caprini; appartengono alla famiglia Retroviridae, genere Lentivirus, a cui è ascrivibile anche il virus dell’immunodeficienza acquisita dell’uomo (HIV). I Lentivirus dei piccoli ruminanti causano un’infezione persistente nell’organismo ospite, caratterizzata da un lungo periodo di incubazione, decorso cronico e progressivo. Nell’uomo sono stati descritti alcuni marcatori genetici coinvolti nella modulazione della suscettibilità all’HIV: tra questi il gene CCR5 codificante per una proteina di membrana con funzione di recettore per le chemochine e principale co-recettore per HIV-1 nelle fasi iniziali dell’infezione. In particolar modo è stata descritta una delezione caratteristica di 32 pb presente nella regione codificante, che determina in omozigozi l’incapacità di esprimere un recettore funzionante a livello della membrana cellulare, a cui consegue un’elevata resistenza all’infezione virale; inoltre, mutazioni a carico delle regioni regolatrici sono state associate sia ad un differente livello di espressione del recettore, sia ad una differente suscettibilità verso il virus (1). Un recente studio condotto sugli ovini ha messo in evidenza una delezione di 4 pb nella regione del promotore di CCR5 (54365439) che determina un’alterazione dei siti di legame per fattori trascrizionali riducendo, in ovini omozigoti deleti, fino a 3.9 volte l’espressione di tale recettore e dimezzando la carica provirale (5). Partendo da tale contesto, si è deciso di effettuare uno studio conoscitivo sul gene CCR5 caprino, non ancora descritto, ed un conseguente studio caso-controllo su animali provenienti da focolaio al fine di indagare un eventuale ruolo dei polimorfismi rilevati nel conferire resistenza/suscettibilità al CAEV. RISULTATI Negli animali utilizzati per lo studio conoscitivo sono stati rilevati 17 polimorfismi, riportati in tabella 2; come numerazione di riferimento è stata utilizzata la numerazione della sequenza del gene CCR5 ovino (GenBank FJ008056.1). Tutti i marker rilevati, tranne uno (Ins 4421), sono risultati in equilibrio di Hardy-Weinberg (P> 0.05). E’ stata riscontrata un’unica mutazione codificante in posizione 8121 T>C (ATA>ACA) che determina una sostituzione aminoacidica al codone 198 (I198T). Il software PHASE ha fornito sei aplotipi riportati in tabella 3 insieme alle frequenze ad essi relative. L’allineamento multiplo non ha mostrato mutazioni analoghe a quelle riscontrate nell’ovino tra cui la delezione di 4 pb nella regione del promotore associata ad una riduzione della carica provirale. All’esame sierologico, l’allevamento (a) è risultato costituito da 15 positivi, 17 negativi e 5 deboli positivi; l’allevamento (b) da 42 positivi, 8 negativi e 7 deboli positivi. L’analisi genetica e la valutazione della carica provirale dei campioni relativi allo studio caso-controllo è al momento in corso d’opera. La mutazione non sinonima (8121 T>C) presente nel CDS è stata rilevata ad una frequenza pari allo 0.11%. DISCUSSIONE Questo lavoro si propone di indagare per la prima volta la sequenza del gene CCR5 nella capra ed il ruolo dei polimorfismi ad esso associati nella modulazione della suscettibilità/resistenza all’infezione da CAEV. A differenza di quanto descritto nell’uomo per la mutazione delta 32, nei caprini non è stata riportata alcuna delezione/inserzione a carico del CDS; è stata invece rilevata la mutazione puntiforme 8121 codificante per la sostituzione aminoacidica I198T il cui ruolo è in corso di definizione. Al MATERIALI E METODI Sono stati analizzati, nell’ambito dello studio conoscitivo, 20 campioni di sangue appartenenti a caprini di razza Camosciata. Gli animali sono stati scelti di differente età, non imparentati tra loro e con una ratio tra i sessi di 1:1. Per lo studio caso-controllo sono stati prelevati campioni di sangue da due differenti allevamenti infetti da CAEV di 37 (a) e 57 (b) capi di razza Camosciata, con range di età rispettivamente 195 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tabella 2: mutazioni del gene CCR5 rilevate nei caprini e frequenze relative momento è in atto, negli animali provenienti da focolaio, lo studio dei polimorfismi rilevati nella regione del promotore delle capre precedentemente analizzate per lo studio conoscitivo; mediante appositi software sarà, inoltre, indagato il loro possibile coinvolgimento nell’alterazione di siti di interazione con fattori di trascrizione che potrebbero determinare una modifica dell’espressione del recettore CCR5. RINGRAZIAMENTI La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute (Ricerca Corrente 2009 IZSPLV 06/09 RC) BIBLIOGRAFIA Kaslow R.A., Dorak T. & Tang J.J.(2005) Influence of host genetic variation on susceptibility to HIV type 1 infection. Journal of Infectious Diseases 191:S68-77. McDermott D.H., Zimmerman P.A., Guignard F., Kleeberger C.A., Leitman S.F., the multicenter AIDS cohort study and Mutphy P. (2003). CCR5 promoter polymorphism and HIV-1 disease progression. Lancet 352:866-70. Stephens M., Smith N.J., Donnelly P. (2001) A new statistical method for haplotype reconstruction from population data. American Journal of Human Genetics 68(4):978-89. Stephens M. and Donnelly P.(2003). A comparison of bayesian methods for haplotype reconstruction from population genotype data. American Journal of Human Genetics 73(5):1162-9. White SN, Mousel MR, Reynolds JO, Lewis GS, Herrmann-Hoesing LM. (2008) Common promoter deletion is associated with 3.9-fold differential transcription of ovine CCR5 and reduced proviral level of ovine progressive pneumonia virus. Animal Genetics 40(5):583-9. 1. 2. 3. 4. 5. 4421 Ins TC Regione di interesse Promotore Allele minore Ins Frequenza(%) (MAF) 0.025 4463 G>A Promotore A 0.150 4788 C>G Promotore G 0.125 5171 C>A Promotore A 0.150 5305 C>T Promotore T 0.175 5637 C>T Promotore T 0.150 6415 T>C Introne C 0.150 6816 A>C Introne C 0.025 7034 C>T Introne T 0.125 7266 T>C Introne C 0.025 7412 T>C Introne C 0.025 7448 T>C Introne C 0.150 8121 T>C Esone 2 CDS Esone 2 3’-UTR a valle del 3’UTR a valle del 3’UTR a valle del 3’UTR C 0.125 T 0.150 T 0.125 C 0.025 C 0.025 Mutazione 8598 C>T 9161 C>T 9332 G>C 9353 G>C Tabella 1: primer di PCR Regione di interesse (Ovis aries FJ008056.1) Sequenza dei primer PCR1 4104-4125 5963-5986 5’-tgtagcaccagccattagcttc-3’ 5’-cctgttttgtatctttgatgttat-3’ PCR2 5529-5548 7039-7059 5’-tcagggaaacccatgaataa-3’ 5’-ctgcagtgaatgaagctgtga-3’ 5’-cagcaagctcctaatgatgc-3’ 5’-tactcgctctggagactctc-3’ PCR3 6936-6955 8514-8533 5’-tggctatcgtccatgctgtg-3’ 5’-tcccatctctggcttcaact-3’ PCR4 7911-7930 9436-9455 Tabella 3 Posizione nucleotidica Frequenza Aplotipo (%) 4421 0.800 0.025 0.025 0.025 0.075 0.050 1 2 3 4 5 6 TC 4463 4788 G A A A C G G 5171 5305 5637 6415 C A A A C T T T T C T T T T C C C 196 6816 7034 A C - C T T 7266 7412 7448 8121 8598 9161 9332 9353 T C - T C - T C C C T C C C T T T C T T G C - G C - XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RIBOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS ISOLATI DA MOZZARELLA Consoli M., Losio M.N., Bertasi B., Panteghini C., Ferrari M., Mioni R.1., Decastelli L.2, Varisco G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologia Acidi Nucleici applicata agli Alimenti/ Microbiologia 1 Istituto Zooprofilattico delle Venezie, SC Microbiologia Alimentare 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Reparto Controllo Alimenti Key words: Pseudomonas fluorescens, Ribotipizzazione SUMMARY Pseudomonas fluorescens is a non-pathogenic bacteria that is involved in food contaminations, especially in refrigerated products This microrganism caused a series of complaints from consumers in Italy for mozzarella cheese imported from Germany and product in Italy too, developed a blue tint after opening. In order to track contamination back to its source, in the present work it was used automated Ribotyping that allowed to establish the unequivocal relationships between Italian and German bacterial strains. segnala inoltre che il microrganismo è stato isolato anche da prodotti non alterati nella colorazione. Questi dati costituiscono un elemento a favore dell’ipotesi di una possibile correlazione tra specifici ceppi batterici e capacità di induzione di alterazioni cromatiche. Su questa base obiettivo del presente lavoro è stata la caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati, al fine di valutare l’eventuale presenza di sottopopolazioni caratterizzate da un diverso pattern genetico. Grazie alla attività congiunta dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna con l’IZS del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, è stato avviato il processo di caratterizzazione molecolare dei ceppi di Pseudomonas fluorescens isolati dagli IZZSS, basata su 2 metodiche: la ribotipizzazione (2) e l’elettroforesi in campo pulsato (PFGE). Scopo del presente lavoro è stato di evidenziare possibili cluster potenzialmente correlabili agli episodi di colorazione anomala. Tali informazioni, in futuro messe in confronto con quelle che emergeranno dall’impiego di altri metodi di caratterizzazione, quali PFGE e sequenziamento, consentiranno di stabilire la reale capacità discriminatoria della ribotipizzazione automatica nei confronti di Pseudomonas fluorescens. INTRODUZIONE Le prime segnalazioni sopraggiunte alle autorità pubbliche in merito alla presenza di mozzarelle con colorazioni anomale acquistate presso una nota catena di supermercati discount furono lanciate nel giugno 2010 da privati cittadini residenti a Torino e Trento. All’apertura delle confezioni i prodotti alimentari manifestavano una variazione di colorazione dal bianco al blu. E’ stata effettuata dai militari del NAS un sequestro di circa 70 mila confezioni seguito da un’apertura di un inchiesta da parte della procura di Torino. Le mozzarelle provenivano da uno stabilimento industriale tedesco dell’Alta Baviera. Le analisi, effettuate presso gli Istituti Zooprofilattici del Nord Italia, hanno permesso di identificare l’agente microbiologico contaminante quale Pseudomonasf fluorescens (Ps. fluorescens). Tale contaminazione è stata registrata in mozzarelle sia prodotte in Germania ed importate in Italia, sia prodotte in Italia con materie prime (latte e semi-lavorati) sempre provenienti da Germania ed Italia. La presenza di Ps. fluorescens potrebbe essere legata alla sua natura ubiquitaria, in quanto batterio largamente diffuso in natura, in particolare nel suolo, nelle acque superficiali e nella vegetazione, grazie alla sua capacità di adattamento a variazioni ambientali. A differenza di altre specie della medesima famiglia (Ps. aeruginosa e Ps. mallei) occasionalmente patogene per l’uomo, questo microrganismo non presenta rischio d’infezione, eccetto in soggetti debilitati o immuno-depressi. Non esistono segnalazioni di trasmissione per via alimentare. La sua importanza nel settore alimentare è legata alla capacità, quale microorganismo psicrotrofo, di indurre processi alterativi di alimenti refrigerati,provocando quindi ingenti danni economici. Ps. fluorescens produce infatti una molecola verde-fluorescente denominata pioverdina, in risposta alla carenza di ferro, in grado di modificare in modo permanente il normale aspetto dell’alimento. Inoltre, molti ceppi di questa specie presentano una certa resistenza ai comuni prodotti per la pulizia e disinfezione dei locali e delle attrezzature, pertanto possono formare un biofilm di difficile eradicazione, che può rappresentare una continua fonte di contaminazione secondaria. Le analisi microbiologiche effettuate sui primi campioni pervenuti presso gli Istituti Zooprofilattici di Torino, Venezia e Brescia , hanno confermato la presenza di Ps. Fluorescens ad alte concentrazioni nelle mozzarelle di colore azzurro – blu. Si MATERIALI E METODI Nel periodo dal 16 Luglio 2010 al 19 Agosto 2010 sono stati conferiti all’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna 55 ceppi di Pseudomonas. fluorescens, isolati dai primi casi riscontrati nel Nord Italia, a partire da mozzarelle sia apparentemente normali che caratterizzate da alterazioni nella colorazione e prodotte sia in Italia che in Germania. Tutti i ceppi sono stati sottoposti a ribotipizzazione automatica tramite RiboPrinter Du Pont, di Qualicon Ltd. Q (1). Oltre all’identificazione è stata eseguita la caratterizzazione batterica attraverso il confronto di pattern ottenuti tramite digestione enzimatica del frammento genico 16s rRNA. e L’assegnazione ai diversi ribogruppi viene subordinata ad una valutazione automatica di similarità pari almeno al 95%. La sospensione batterica in buffer è stata inattivata termicamente e successivamente sottoposta a digestione enzimatica, corsa elettroforetica ed ibridazione su membrana con una sonda specifica. Il segnale emesso, catturato da una macchina fotografica è stato rielaborato automaticamente dal software dello strumento in un report. Per la prova è stato utilizzato l’enzima di restrizione EcoRI, in accordo alle indicazioni del produttore. I risultati ottenuti sono stati elaborati mediante software Bionumerics 6.0 per la realizzazione di alberi filogenetici. RISULTATI E DISCUSSIONE Come si evince dal dendrogramma di seguito riportato (fig.1) la maggior parte dei campioni esaminati sono caratterizzati da una forte omologia genetica e vengono raggruppati nel cluster identificato come gruppo 1, all’interno del quale i campioni presentano una distanza genetica non superiore al 2%. Sono compresi in questo ceppi provenienti da campioni di 197 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 mozzarella prodotti in Germania, sia provenienti direttamente dalla Germania sia prelevati in discount italiani. Sono inoltre compresi in questo gruppo 10 campioni isolati da mozzarelle prodotte in Italia, per le quali non è stato possibile stabilire l’acquisizione di materia prima dalla Germania. Nel gruppo 1 sono compresi tutti i ceppi isolati da mozzarelle caratterizzate da alterazione cromatica. Nel gruppo 1 sono compresi tutti i ceppi appartenenti al ribogruppo 1438-S-1. Il gruppo 2 comprende due cluster caratterizzati rispettivamente da una distanza genetica variante dal 20 al 32-34% e comprende campioni di origine nazionale appartenenti ai ribogruppi 1442S-2 ed 1442-S-3. Una maggiore distanza genetica è presente invece nei ceppi appartenenti al gruppo 3 (circa 50%), comprendente campioni provenienti dalla Germania, anche se da uno stabilimenti diverso da quello di provenienza dei ceppi appartenenti al gruppo 1. La percentuale di campioni analizzati appartenenti ai differenti gruppi viene riportata nella tabella 1: N° Valore % 6 11 43 78 Ribogruppo 1457 (gruppo 3) 3 5.5 Altri Totale 3 55 5.5 100 Ribogruppo 1442 (gruppo 2) Ribogruppo (gruppo 1) 1438 Tabella 1 Fig. 1 I dati ottenuti consentono di evidenziare la capacità discriminatoria della ribotipizzazione automatica nei confronti di Pseudomonas fluorescens. I risultati suggeriscono come tutti i ceppi isolati da mozzarelle caratterizzate da colorazione anomala ed esaminati nel presente lavoro siano da correlare a ceppi geneticamente molto simili di Pseudomonas fluorescens mentre i ceppi isolati da prodotti apparentemente conformi risultano geneticamente distanti da quelli coinvolti nell’episodio. E’ opportuno tuttavia sottolineare come la reale significatività di questi dati sia subordinata alla necessità di caratterizzazione di altri ceppi isolati in corso di ulteriori episodi Tali dati devono inoltre necessariamente essere messi a confronto con quelli che deriveranno dall’impiego di altre tecniche di caratterizzazione molecolare quali PFGE ed il sequenziamento. Nell’ambito di indagini finalizzate alla correlazione tra ceppo batterico e espressione di una specifica capacità metabolica risulta infatti di fondamentale importanza identificare la tipologia di tecnica in grado di mettere in evidenza quelle differenze genotipiche direttamente correlabili all’ espressione d i definite caratteristiche fenotipiche . Le informazioni preliminari fino ad ora a disposizione non permettono di affermare quale sia stato il punto d’origine della contaminazione ma, grazie allo studio dei ribogruppi, e quindi delle diversità genetiche presenti in una stessa specie, è stato possibile segnalare la presenza di diversi cluster coinvolti in queste contaminazioni. Il metodo applicato quindi ha permesso di effettuare una prima discriminazione genetica, che potrebbe già essere utile per fare degli studi di diffusione del batterio in diverse aree geografiche. 1 BIBLIOGRAFIA 1) De Cesare A., Manfreda G. 2005. Impiego del riboprinter per la caratterizzazione molecolare rapida dei batteri. 2) Viedmann M., Weilmeier D., Dineen S., Ralyea R., Boor K.J., 2000. Molecular and phenotipic characterisation of Pseudomonas spp. Isolated from milk. Applied and environmental microbiology, 2085-2095 A tale scopo risulta. di fondamentale importanza l’utilizzo di tecniche di tipizzazione molecolare innovative, come la Ribotipizzazione, che permette, attraverso il confronto dei profili di ribotipizzazione, di discriminare le differenze tra ceppi batterici anche appartenenti alla stessa specie. 198 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 CARATTERISTICHE GENOTIPICHE DIFFERENTI IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA LATTE BOVINO PROVENIENTE DA DIVERSI ALLEVAMENTI NEL CENTRO ITALIA Coppola G., Casagrande Proietti P., Bietta A., Passamonti F., Marenzoni ML., Coletti M. Sezione di Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, Dipartimento di Patologia Diagnostica e Clinica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Perugia Key words: S. aureus, Enterotoxins, PCR. ABSTRACT The aim of the study was to evaluate the genotypic characteristics of Staphylococcus aureus isolates (n=170) from bovine milk collected from seven dairy farms in Italy. To genotypically characterize S. aureus isolates, genes encoding virulence determinants (nuc, clfA, spa-IgG-binding, spa-X-region, fnbA and fnbB, cap5 and cap8) and staphylococcal enterotoxins (sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei, sej) were investigated using PCR technique. The results showed that the isolates of S. aureus in each farm have the same genotypic characteristics, while the isolates genotipically differ between the different farms. 1x (Invitrogen), e fotografati, sotto luce ultravioletta utilizzando il sistema DigiDoc system photograph (Celbio). RISULTATI Tutti gli isolati sono stati identificati (API 20 STAPH) come S. aureus e sono risultati positivi per la ricerca della subunità 16S specifica per S. aureus. In riferimento ai geni cfl e nuc, questi sono stati rilevati rispettivamente nel 82% e nel 100% degli isolati. L’88% dei ceppi è risultato positivo per la ricerca del gene spa IgG-binding, per il quale è stato possibile distinguere due polimorfismi; nel 47% degli amplificati è stata ottenuta una banda di amplificazione di 970pb, nel 41% una banda di 810 pb. Il gene spa X region è stato messo in evidenza in tutti gli isolati, ottenendo una banda di amplificazione di 253 pb, a differenza di altri ricercatori che hanno riscontrato un alto polimorfismo per questo gene (6,8). Per quanto concerne la ricerca delle fibronectine; nel 71% degli isolati è stato possibile svelare la presenza contemporanea dei geni fnbA e fnbB; l’11,7% e il 5.8% dei casi invece esprimevano rispettivamente solo il gene fnbB e solo il gene fnbA. Nell’82% dei ceppi studiati è stato possibile riscontrare il gene cap5 mentre in nessuno il gene cap8. Per quanto riguarda le enterotossine stafilococciche in nessuno dei ceppi di Staphylococcus aureus indagati sono stati riconosciuti geni che codificano per la produzione di ES di classe b, c, e, g, h, i. Nel 71% è stata rilevata la presenza contemporanea dei geni sed e sej, mentre il gene sea è stato ottenuto nell’88% degli isolati. In tabella 1 (Tab. 1) abbiamo preferito illustrare solamente i geni che hanno mostrato una differente distribuzioni tra i diversi allevamenti. INTRODUZIONE La mastite è il problema sanitario per eccellenza dell’allevamento della vacca da latte, in parte a motivo delle ripercussioni economiche subite dall’allevatore ed in parte legate alla ripercussione della problematica in Sanita Pubblica. In tutto il mondo Staphylococcus aureus è l’agente eziologico maggiormente isolato dal secreto mammario delle bovine da latte, inoltre è ritenuto il responsabile approssimativamente del 30-40% di tutti i casi di mastite in questa specie animale (1). La sua patogenicita dipende dall’azione combinata di oltre 40 tossine extracellulari differenti, enzimi e proteine superficiali, che da sole o in associazione tra loro determinano il quadro morboso. Alcuni ceppi sono in grado di secernere un particolare gruppo di esotossine chiamate, Enterotossine Stafilococciche (ES), resistenti al calore e alle proteasi gastrointestinali (2). L’obbiettivo di questo studio è quello di evidenziare, se presenti, le differenze tra ceppi di S. aureus isolati da campioni di latte provenienti da aziende diverse, sulla base dei fattori di virulenza espressi. DISCUSSIONE In questo lavoro le caratteristiche genetiche dei ceppi studiati sono risultate molto simili tra gli isolati provenienti dallo stesso allevamento e particolarmente dissimili tra quelli isolati in allevamenti diversi, confermando i dati riportati in bibliografia (6). Le fibronectine A e B ed il clumping factor, sono considerati importanti fattori di virulenza dello Staphylococcus aureus, giocando un ruolo fondamentale nella patogenesi della mastite bovina; tali fattori, insieme ad altri, sembra che contribuiscano all’adesione, alla colonizzazione e all’invasione della tessuto mammario da parte del batterio. Nella nostra indagine l’82% degli isolati sono risultati positivi alla ricerca del gene clfA in accordo con quanto osservato precedentemente da altri ricercatori (6,8,9). I geni fnbA e fnbB sono stati osservati in altissime percentuali, rispettivamente nel 76.% e 82.% dei casi, e contemporaneamente nel 71% degli isolati (3,8). In riferimento ai geni spa X region e spa IgG-binding essi sono stati riscontrati rispettivamente nel 100% e nell’88% degli isolati. L’82% dei ceppi appartengono al sierotipo capsulare 5, poco presente in Europa, ma contemporaneamente il piu segnalato in Indonesia e in Francia (4). Le enterotossine prodotte da S. aureus sono costituite da singole catene proteiche di 23-29-kDa. Queste tossine esprimono anche proprietà immunomodulatrici trasportate molto spesso da elementi mobili del genoma batterico, facilmente trasferibili orizzontalmente tra popolazioni batteriche differenti (2,4). In questo studio 150 ceppi erano in grado di produrre l’ESa, che tra le ES è la maggiore responsabile di intossicazioni alimentari nella specie umana. Il gene sea, non è stato tuttavia segnalato in molti studi (9,10); questa discordanza nei dati potrebbe essere ricondotta MATERIALI E METODI Sono stati selezionati 170 ceppi di S. aureus isolati da campioni di latte bovino, provenienti da 7 diverse aziende nel Centro Italia. L’identificazione di S. aureus è stata eseguita: secondo le linee guida proposte da National Mastitis Council; e da test biochimici complementari mediante API 20 STAPH (BioMérieux) e per la lettura dei risultati è stato utilizzato il Software APILAB Plus (Versione 3.3, BioMérieux). Il DNA genomico dei ceppi di S. aureus è stato estratto utilizzando il Kit Charge Switch gDNA Mini Bacteria (Innvitrogen). In tutti gli isolati è stato valutato il gene 16S, gene specifico per Staphylococcus spp.. I fattori di virulenza ricercati sono stati: il fattore di adesione (clfA), la termonucleasi (nuc), la regione che lega l’IgG e la regione “X” della proteina A (spa X region), le proteine di superficie A e B (fnbA, fnbB), le proteine capsulari tipo 5 e 8 (cap5, cap8), e le enterotossine sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei, sej. Per la reazione di PCR la mix di reazione (30μl) includeva 2.5μl di DNA, 10X PCR buffer, 1.5mM di MgCl2, 200μM di dNTPs, 0.2 μM di ogni primer (Invitrogen) e 1.5U Taq DNA polimerasi (Invitrogen). I primers e le condizioni di PCR utilizzate in questo lavoro sono ampiamente descritte in bibliografia (6,8) e sono state modificate secondo le nostre esigenze. Per l’amplificazione è stato utilizzato il termociclatore GeneAmp PCR System 2400 (Applied-Biosystems). I prodotti di PCR sono stati separati in gel di agarosio (1-2%) contenente 1 mg di GelRed (Sichim) in tampone TAE per l’elettroforesi, concentrato 199 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 alla particolare caratteristica del gene sea di essere trasportato da una famiglia di batteriofagi temperati (7) la cui distribuzione geografica non è uniforme. In riferimento all’associazione tra sed e sej, evidenziati contemporaneamente nel 70,5% dei ceppi valutati nel nostro studio, sono localizzati sul plasmide pIB485 e sono separati da una regione intergenica di poco inferiore a 1 KB. Così come segnalato da Fournier e collaboratori nel 2008 (5) esiste una stretta relazione tra i geni sea, sed e sej riscontrati contemporaneamente nel 70,5% dei ceppi di S. aureus valutati in questo studio. L’ESh, mai osservata nei ceppi studiati, è stata riconosciuta essere il superantigene stafilococcico con la maggiore affinità per il Complesso Maggiore di Istocompatibilità di Classe II. Diversi studi condotti sulla prevalenza, nel latte bovino, di ceppi enterotossigenici hanno dato risultati fortemente discordanti tra loro; questo aspetto potrebbe essere spiegato in parte dalla diversa prevalenza di questi ceppi in aree geografiche differenti ed in parte a motivo sella molteplici tecniche utilizzate per determinare la presenza di stafilococchi enterotossigenici. Sebbene le pratiche abituali di pastorizzazione e refrigerazione siano correttamente ed ampiamente adottate, esiste sempre la possibilità di ritrovare queste tossine nei prodotti alimentari. Al momento non e del tutto chiaro il preciso ruolo delle enterotossine prodotte da S. aureus isolato da campioni di latte bovino nella patogenesi della mastite, comunque l’alta frequenza di ceppi enterotossigenici isolati nel nostro studio, come in altri, impone una corretta valutazione del rischio a cui va incontro l’uomo in qualità di consumatore di alimenti di origine animale. Fig. 1 Distribuzione geografica degli allevamenti (Copyrigh google map). Tab. 1: Confronto genotipico tra ceppi di S. aureus isolato da latte bovino proveniente da aziende diverse del Centro Italia. Farm [No. of isolates] spa-region clfA (1042) (970) A [40] 40 40 B [30] 30 C [30] 30 D [20] E [20] F [20] 20 20 G [10] TOTAL 20 20 140 80 ES fnbA fnbB (1279) (812) 40 40 40 40 40 40 40 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 30 - 20 20 20 20 20 20 20 20 20 - 20 - IgG binding (810) 2. 3. 4. 5. cap5 (880) a (216) d (317) j (142) 10 10 - - - 10 - - 70 130 140 120 140 150 120 120 6. Kalorey D.R., Shanmugam Y., Kurkure N.V., Chousalkar K.K, and Barbuddhe S.B. 2007. PCR-based detection of genes encoding virulence determinants in Staphylococcus aureus from bovine subclinical mastitis cases. J. Vet. Sci. 8:151-154. 7. Loir, Y., Baron, F. and Gautier, M. 2003. Staphylococcus aureus and food poisoning. Genet Mol Res. 2(1): 63–76. 8. Salasia S.I., Khusnan Z., Lammler C., Zschock M. 2004. Comparative studies on pheno- and genotypic properties of Staphylococcus aureus isolated frombovine subclinical mastitis in central Java in Indonesia and Hesse in Germany. The Journal of Veterinary Science: 5, 103-9. 9. Stephan, R., Annemüller, C., Hassan, A. A., and Lämmler, C. 2001. Characterization of enterotoxigenic Staphylococcus aureus strains isolated from bovine mastitis in north-east Switzerland. Vet. Microbiol. 78: 373-382. 10. V Vimercati C., Cremonesi P., Castiglioni B., Pisoni G., Boettcher P.J., Stella A., Vicenzoni G. and Moroni P. 2006. Molecular typing of Staphylococcus aureus isolated from cows, goats and sheep with intramammary infections on the basis of gene polymorphisms and toxins genes. J. Vet. Med B. Infect. Dis. Ve.t Public. Health. 53-423-428. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1. fnb/A/B Asperger H., Zangerl P. 2003. Staphylococcus aureus. In: Roginski H., FuquayJ.W., Fox P.F. (Eds), Encyclopedia of Dairy Sciences, vol. 4. 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Ve.t Sci. 85: 439-448. 200 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ALLEVAMENTI SUINICOLI DELLA PROVINCIA DI CUNEO: INDAGINI DIAGNOSTICHE IN ANIMALI CON SINTOMATOLOGIA NERVOSA Corbellini D.1, Careddu M.E.1, Pautasso A.1, Sona B.2, Corona C.1, Varello K.1, Pintore M.D.1, Trisorio S.1, Acutis P.L.1, Casalone C.1, Caramelli M.1, Iulini B.1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, via Bologna 148 - 10154 Torino; 2 ASL CN1 Servizio Veterinario SC Sanità Animale Key words: suino, infezione, SNC SUMMARY Swine infectious diseases, that may affect the CNS, represent an important clinical problem which may be accompanied by significant high mortality in young pigs and are responsible for huge economic losses. The aim of the present work was to determine the diffusion of the most relevant pathogens on CNS samples of piglets coming from the province of Cuneo. The diagnosis was performed on the basis of the characteristics of the macroscopical lesions detected, bacterial culture examination, biochemical characterization of isolates and molecular methods. (PRRSV) responsabile di patologie respiratorie e riproduttive. Diversi fattori possono influire sulla gravità della malattia quali la virulenza del ceppo, la presenza di infezioni secondarie (virali e batteriche), l’età, il sesso, la predisposizione genetica del soggetto e fattori ambientali. I maiali possono infettarsi attraverso numerose vie: intranasale, orale, vaginale, parenterale, verticale e mediante il contatto diretto tra animali infetti e fluidi contaminati. L’infezione primaria avviene principalmente all’interno dei macrofagi alveolari, dove il virus si replica, poi si estende al tessuto linfonodale e successivamente si diffonde in tutto l’organismo come conseguenza della viremia. La malattia si manifesta generalmente con sintomi respiratori, cianosi a livello delle estremità, vasculite, miocardite, encefalite linfocitaria, aborti, mortalità neonatale. PCV2 La Sindrome del Deperimento Progressivo Post Svezzamento (PMWS) del suino è una malattia cosmopolita ad eziologia multifattoriale sostenuta dal porcine circovirus type 2 (PCV2), un virus a DNA responsabile anche di altre forme patologiche attualmente denominate PCV2 diseases complex. La malattia, generalmente, viene contratta da suini di età compresa tra le 5 e le 12 settimane di vita; le manifestazioni cliniche di più frequente riscontro sono deperimento, malessere, dispnea, linfoadenomegalia superficiale e meno frequentemente pallore, diarrea ed ittero. INTRODUZIONE Le malattie infettive che possono determinare alterazioni a carico del Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono patologie multifattoriali caratterizzate da quadri clinici polimorfi, in grado di provocare mortalità elevata e di influenzare la produttività dell’allevamento. Le prime settimane di vita del suino rappresentano, da questo punto di vista, una delle fasi più delicate e complesse nelle quali si verificano drastici cambiamenti fisiologici e morfologici che possono influenzare negativamente il benessere e la salute degli animali. Un sistema immunitario immaturo in presenza di fattori scatenanti, quali condizioni ambientali sfavorevoli e stress, rendono l’animale più suscettibile ai diversi agenti microbici favorendo la comparsa di sintomatologia clinica. Streptococcus suis S.suis è un batterio Gram positivo che colonizza il tratto respiratorio superiore, in particolare le cavità nasali e le tonsille, i tratti genitali e gastro-intestinali dei suini. L’infezione può interessare animali di tutte le età, ma prevalentemente soggetti giovani fra le 6 e le 10 settimane di vita. Può causare meningite, endocardite, polmonite, artrite e shock tossico, setticemia e morte nelle forme acute. S.suis può occasionalmente infettare altre specie animali e l’uomo. La trasmissione all’uomo avviene in genere per via cutanea, attraverso tagli e abrasioni, e forse per via inalatoria, quando vengono manipolati animali o prodotti infetti. Il sierotipo 2 è più frequentemente isolato e associato a patologia nel suino e nell’uomo. Escherichia coli E.coli rappresenta un batterio comunemente presente nella flora intestinale di molte specie animali; può assumere un ruolo patogeno in relazione a particolari condizioni predisponenti dell’ospite oppure alla presenza di caratteristiche virulente dei ceppi batterici. Nei suini può causare colibacillosi enterica, setticemie emorragiche e la malattia degli edemi. Quest’ultima, più frequente nei soggetti in fase post-svezzamento, si manifesta con la comparsa di eritemi cutanei, edemi sottocutanei in particolare a naso, orecchie, palpebre, laringe e disturbi neurologici come atassia, convulsioni, paralisi. PRRSV La Sindrome Riproduttiva Respiratoria Suina (PRRS) è una malattia causata da un virus ad RNA della Famiglia Arteriviridae Lo scopo di questa indagine è stato quello di valutare la presenza di agenti batterici e virali in SNC di suini, con sintomatologia nervosa, ed effettuare uno studio approfondito sulle lesioni neuropatologiche presenti. MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra luglio 2008 e luglio 2010 sono state esaminate le carcasse di 36 suini deceduti, con sintomatologia nervosa, e provenienti da 13 aziende della provincia di Cuneo. Degli animali in questione sono stati prelevati campioni di SNC e sono state raccolte informazioni riguardanti l’anamnesi di ciascun soggetto. L’età dei suini variava in un range compreso tra i 25 e i 150 giorni. Il materiale raccolto è stato in parte fissato in formalina al 10% per l’esame neuropatologico (colorazione ematossilina-eosina) e in parte congelato per ricerche di tipo microbiologico e di biologia molecolare. L’isolamento e l’identificazione di S.suis e di E.coli sono stati eseguiti mediante l’utilizzo di terreni di coltura selettivi e non e tramite l’identificazione biochimica dei ceppi isolati. Per confermare la presenza di S.suis sono state utilizzate anche metodiche di immunoistochimica (IHC), di immunofluorescenza (IF) e di ibridazione in situ (FISH). Per l’esecuzione dell’IHC e dell’IF è stato utilizzato un anticorpo policlonale specifico per S.suis sierotipo 2 (State Serum Institute, Copenhagen, Denmark), mentre per la FISH è stata utilizzata una sonda oligonucleotidica complementare ad una sequenza dell’RNA ribosomiale 16S del batterio. 201 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 dell’ibridazione in situ (1) è da ricondurre principalmente all’autofluorescenza del tessuto, alla bassa carica batterica rilevata in alcuni campioni e ai processi degradativi che avvengono durante la conservazione del materiale a causa del rilascio di enzimi cellulari. Negli allevamenti monitorati E.coli è stato riscontrato in pochi animali e nella maggior parte dei casi in concomitanza con l’infezione virale determinata da PRRSV. Le aziende esaminate hanno evidenziato una buona situazione epidemiologica per quanto riguarda la diffusione di PCV2: nei campioni tissutali studiati è stato rinvenuto DNA virale in un solo animale. Data la notevole diffusione di questa patologia negli allevamenti suinicoli (2) il ridotto numero di casi riscontrati nel nostro studio potrebbe essere dovuto al fatto che i suini contraggono l’infezione e la relativa malattia ad un’età più avanzata. Per quanto concerne la PRRS, i risultati ottenuti non si discostano da quanto rilevato da altri autori che hanno sottolineato la correlazione tra la diffusione di questa patologia e l’età degli animali coinvolti (3). Anche negli allevamenti cuneesi gli animali colpiti da questa infezione sono tutti soggetti giovani con un’età compresa tra i 25 e i 100 giorni. L’allontanamento dalla madre, il cambiamento di ambiente e di gruppo, la perdita degli anticorpi materni comportano una maggiore suscettibilità degli animali nei confronti dell’infezione e rendono la fase dello svezzamento un momento critico fondamentale per l’insorgenza di questa sindrome. Inoltre la PRRS, influenzando negativamente il sistema immunitario dell’ospite, favorisce l’insorgenza di malattie infettive secondarie; infatti 6 casi sui 9 rilevati sono risultati essere delle coinfezioni. S.suis (4) ed E.coli provocano principalmente lesioni neuropatologiche di tipo suppurativo, mentre PRRSV determina meningo-encefaliti di tipo non suppurativo. La gravità delle lesioni può dipendere dalla carica batterica e virale presente e, pertanto, è interessante notare come nelle coinfezioni non siano presenti lesioni “miste” ma a livello istopatologico ci sia la predominanza di una componente rispetto all’altra. Quasi la metà dei campioni esaminati sono risultati negativi all’indagine batteriologica e virologica e soltanto in 3 casi gli animali non hanno mostrato lesioni neuropatologiche; questo dato pone l’attenzione sulla necessità di approfondire le analisi e di estendere la ricerca anche ad altri agenti patogeni. In conclusione da questa indagine emerge l’importanza di identificare i patogeni presenti nelle diverse fasi di allevamento, al fine di elaborare misure preventive, controlli ed interventi di profilassi e garantire la tutela del benessere animale e della salute umana. La ricerca di PCV2 e di PRRSV è stata effettuata mediante metodiche di PCR con lo scopo di evidenziare la presenza degli acidi nucleici virali nel tessuto nervoso degli animali in oggetto. RISULTATI Dei 36 soggetti studiati 18 (50%) sono risultati positivi all’indagine colturale. L’esame batteriologico ha permesso l’isolamento di S.suis in 13 soggetti (36%) appartenenti a 6 aziende: di questi, 8 casi sono stati confermati con la metodica di IHC. L’IF e l’ibridazione in situ sono state utilizzate per confermare la presenza degli streptococchi e hanno mostrato una sensibilità minore rispetto alle metodiche tradizionali utilizzate per l’isolamento (esame colturale e IHC). E.coli è stato identificato in 5 soggetti (14%) appartenenti a 6 aziende differenti. Un solo animale (3%) è risultato positivo alla ricerca di PCV2 in PCR, mentre in 9 soggetti (25%), appartenenti a 7 aziende, è stato riscontrato il virus responsabile della PRRS. Quindici suini (42%) sono, invece, risultati negativi a tutte le analisi condotte in questa indagine. In 7 soggetti, sui 36 studiati, è stata riscontrata la coinfezione tra i diversi agenti patogeni rilevati: PRRSV e S.suis in 3 casi, PRRSV e E.coli in 4 casi, PCV2 e S.suis in 1 caso. Nella Tabella 1 sono riportati i risultati ottenuti all’esame neuropatologico. Lesioni neuropatologiche Agente eziologico isolato Tabella 1 M.E M.E No Mista LNS supp. non supp. lesioni S.suis 5 2 - - 2 E.coli 1 - 1 - - PCV2 - - - - - PRRSV - 1 1 - 1 PRRSV-S.suis 1 1 - - 1 PRRSV-E.coli 1 - 2 - PCV2-S.suis - 1 - - - AGNR 3 4 2 3 3 Legenda M.E. supp.: Meningo - Encefalite suppurativa M.E. non supp.: Meningo - Encefalite non suppurativa Mista: meningo-encefalite con presenza di linfociti e di neutrofili LNS: Lesioni Non Significative No lesioni: assenza di lesioni AGNR: Agente Eziologico Non Rilevato BIBLIOGRAFIA 1 Boye M., Feenstra A. A., Tegtmeier C., Andresen L. O., Rasmussen S. R., Bille-Hansen V. (2000). Detection of Streptococcus suis by in situ hybridization, indirect immunofluorescence and peroxidase-anti peroxidase assays in formalin-fixed, paraffin-embedded tissue sections from pigs. J Vet Diagn Invest, 12: 224 - 232. DISCUSSIONE Il presente lavoro ha permesso di monitorare l’insorgenza e la diffusione delle principali patologie infettive a carattere neurologico e ad elevato impatto economico in aziende suinicole del cuneese. L’infezione da S.suis si colloca tra le zoonosi di origine professionale in quanto responsabile di malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo che possono comportare rischi concreti per la salute dei lavoratori di questo settore. I risultati conseguiti in questa ricerca hanno permesso di evidenziare l’elevata diffusione di questa infezione e suggeriscono la necessità di ulteriori studi sul ruolo esercitato da questo batterio e sui fattori predisponenti nel determinismo della malattia. La minore sensibilità diagnostica dell’IF ed, in particolare, 2 Chae C. (2005). A review of porcine circovirus 2-associated syndromes and diseases. The Veterinary Journal, 169: 326 - 336. 3 Vezzoli F., Boldetti C., Gualdi V., Luini M., Botti S. (2005). Dinamica dell’infezione da PRRSV in allevamenti suini da riproduzione. Large Animals Review, 6: 17 - 21. 4 Zheng P., Zhao Y. X., Zhang A. D., Kang C., Chen H. C., Jin M. L. (2009). Pathologic analysis of the brain from Streptococcus suis type 2 experimentally infected pigs. Vet Pathol, 46: 531 - 535. 202 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 NOSEMIASI DELLE API MELLIFERE IN TOSCANA E LAZIO: IMPORTANZA DELLA CONSERVAZIONE DEI CAMPIONI AI FINI DI UNA CORRETTA DIAGNOSI Corrias F., Tellini I., Ragona G., Lombardo A., Dal Prà A., Taccori F., Formato G., Brajon G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana Key words: Apis mellifera, Nosema ceranae, diagnosis ABSTRACT Nosema spp. is a spore-forming, unicellular microsporidium. This parasite invades the epithelial cells of the ventriculus of adult bees affecting digestive functions which leads to an important honeybee disease that has many negative effect on production due to depopulation in the beehives. Nosemosis diagnosis has been traditionally realized by detecting spores of Nosema spp trough light microscopical analyses. However, recent findings of two causative pathogens of adult bees (Nosema apis and ceranae) that present similar spore morphology but have similar life cycles, lead to develop a PCR assays as more sensitive methods to detect and identify both microsporidians. Authors describe correlation between light microscopical analisys and PCR assays in sample collected in Tuscany and Lazio during years 2008–2010. positive per nosemiasi con le analisi biomolecolari delle stesse ed approfondire le eventuali cause di discordanza dei risultati. MATERIALI E METODI La ricerca del parassita in api è stata condotta sia sulla base di una sintomatologia nell’apiario ma anche a seguito di indagini sanitarie. Sono stati presi in considerazione 332 campioni di api pervenuti negli anni 2008-2010 da apiari della Toscana e del Lazio e risultati positivi per nosemiasi dopo identificazione microscopica delle spore (x400) secondo la metodica OIE (5). Per valutare l’entità dell’infezione e intraprendere eventuali azioni profilattiche sono state contate le spore/ape con camera Burker-Turk (5). La matrice utilizzata per la microscopia e conta (pestati di 20 addomi con uguale quantità di acqua distillata Dnase/Rnase free) è stata sottoposta ad estrazione di DNA utilizzando il QIAmp DNA mini Kit, in cui la Proteinasi K è stata usata in combinazione con il lisozima. Il Dna estratto è stato poi quantificato mediante lettura spettrofotometrica a 260-280 nm. Per la corretta identificazione di specie è stata eseguita una prima amplificazione che permette di confermare la presenza/assenza di Nosema spp con una coppia di primers in grado di amplificare una regione conservata del gene che codifica per la subunità ribosomiale 16S di Nosema apis e Nosema ceranae (3): NOS For: 5’-TGC CGA CGA TGT GAT ATG AG-3’ NOS Rev: 5’-CAC AGC ATC CAT TGA AAA CG-3’ La concentrazione finale dei componenti della miscela di reazione per un singolo campione (volume finale 50 µl) è di seguito riportata: 1X Buffer di reazione, 2,5 mM MgCl2, 0,2 mM dNTPs, 0,5µM di ciascun primer, 1,25 U AmpliTaq Gold, 50200 ng di Dna estratto. Il profilo di amplificazione è di seguito riassunto: denaturazione iniziale a 95°C per 10 minuti; 40 cicli di amplificazione con denaturazione a 94°C per 30 secondi, annealing a 55,5°C per 30 secondi, estensione finale a 72°C per 10 minuti; conservazione a 4°C. Il prodotto di amplificazione viene poi sottoposto a corsa elettroforetica su gel di agarosio all’ 1.5% a 100 Volt per 45 minuti. Nella Fig.2 è possibile visualizzare in ordine: il marcatore, cinque campioni in esame, il controllo positivo e il controllo negativo. Una volta confermata la presenza di Nosema si procede con l’identificazione di specie mediante una digestione enzimatica (RFLP) (6), che ci consente, in base ai profili di restrizione ottenuti, di determinare se si tratta di Nosema apis o Nosema ceranae (Tab.1). La digestione viene effettuata mediante l’utilizzo contemporaneo di due coppie di enzimi di restrizione che, tagliando il nostro amplificato in siti specifici determineranno la formazione di frammenti caratteristici per l’una o l’altra specie (Fig.3). INTRODUZIONE In Italia, la predisposizione e la validazione di prove di laboratorio per le malattie delle api ha assunto, in questi ultimi anni, una notevole importanza, anche in conseguenza della maggior attenzione che viene attribuita a tali Imenotteri per il fondamentale ruolo che rivestono nel tutelare l’equilibrio ambientale. Nel presente contributo si vogliono illustrare delle considerazioni sulla diagnosi della nosemiasi alla luce delle attività diagnostiche realizzate tra il 2008 ed il 2010 dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (IZSLT). Il genere Nosema è collocato nella classe dei microsporidi, funghi unicellulari, parassiti obbligati. La diagnosi di nosemiasi su Apis mellifera viene effettuata mediante microscopia ottica, oppure mediante PCR. Fino a pochi anni fa era nota la sola presenza in Italia del Nosema apis, responsabile sulle api di una forma gastro-enterica; tale microrganismo, infatti, lede le cellule della mucosa intestinale delle api, apportando un danno funzionale. Il sintomo principale rinvenibile negli alveari interessati da tale malattia è la diarrea, che si ripercuote con un calo di produttività per l’apiario, più evidente nel periodo tardo invernale-primaverile. Dal 2004 è stato appurato che un nuovo patogeno dellle api aveva interessato la nostra ape mellifera: il Nosema ceranae, che per caratteristiche morfologiche solo lievemente si discosta dal Nosema apis, ritenuto fino allora l’unico agente patogeno responsabile della nosemiasi delle api (3-4). Nosema ceranae e Nosema apis, anche se possiedono simili cicli vitali negli ospiti, differiscono nella sintomatologia che inducono nelle api e nella morfologia delle spore: di forma ovoidale le prime, appaiono ridotte in dimensioni rispetto alle seconde, 4x2 µm e 6x3 µm (1,2). Da alcuni autori il Nosema ceranae è stato chiamato in causa per spiegare i fenomeni di spopolamento e morte di alveari che stanno interessando le api in diversi paesi del mondo negli ultimi anni. In questo lavoro abbiamo voluto correlare gli esiti di campioni di api analizzate al microscopio ottico e risultate RISULTATI E DISCUSSIONE Tutti i campioni positivi alla PCR erano di Nosema ceranae; Nosema apis non è mai stato diagnosticato. Le positività microscopiche hanno evidenziato un numero di spore/ape variabile tra un minimo di 5x104 ed un massimo di 14x106, evidenziando diverse situazioni di gravità della malattia/ infezione tra gli apiari. 239 campioni sono stati confermati in PCR e le spore morfologicamente riferibili appartenere a 203 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tab.1: Profili di restrizione Nosema spp. all’osservazione microscopica, solo nel 72% dei casi si sono rivelate tali dopo analisi molecolare. La prima considerazione da fare riguarda un aspetto epidemiologico che trova conferma coi dati bibliografici che indica una distribuzione quasi esclusiva di Nosema ceranae sul territorio nazionale come patogeno delle api, rispetto a Nosema apis. In secondo luogo, in base alla nostra esperienza di laboratorio riteniamo che le condizioni di conservazione del campione originario possano influire sulla presenza di spore di altra natura o anche sulla morfologia in termini di dimensioni e rifrangenza. Questo andrebbe da un lato a rafforzare la impossibilità di diagnosticare nosemiasi mediante la sola indagine microscopica e spiegherebbe i falsi positivi ottenuti alla microscopia ottica rispetto all’esame mediante PCR. I campioni relativi alle analisi svolte nel 2009 risultavano palesemente aver subito una cattiva conservazione, per la presenza di muffe superficiali: la conseguente proliferazione di spore di origine fungina ha prodotto dei falsi positivi all’esame microscopico Sulla base di queste osservazioni è possibile confermare quanto già noto circa la necessità di procedere ad analisi biomolecolari per la conferma ed identificazione della specie e a garantire una corretta raccolta e conservazione del campione. In presenza di preparati mal conservati o debolmente positivi, l’analisi microscopica potrebbe essere inutile e laboriosa. Specie di Nosema Coppie di Enzimi di Restrizione Profilo di Restrizione N.apis NdeI/MspI 91-136-175 bp N.ceranae PacI/MspI 104-116-177 bp Fig.3: Gel di agarosio con profilo enzimatico per Nosema ceranae (digestione con PacI/MspI). (I,X : ladder 50 bp; II-VIII : campioni in esame; IX : controllo positivo Nosema ceranae) Fig.1: Spore morfologicamente diverse in microscopia ottica (400X) Riferimenti bibliografici 1. Fries I, Martin-Hernandez R, Meana A, GarciaPalencia P, Higes M. (2006) Natural infections of Nosema ceranae in European honey bees. Journal of Apicoltural Research 45: 230-233. 2. Fries I. (2010) Nosema ceranae in European honey bees (Apis mellifera). Journal of Invertebrate Pathology 103: S73-S79. 3. Higes M, Martin-Hernandez R, Meana A. (2006). Nosema ceranae, a new microsporidian parasite in honeybees in Europe. Journal of Invertebrate Pathology 92:81-83. 4. Higes M, Martin-Hernandez R, Meana A. (2007). Experimental infection of apis mellifera honeybees with nosema ceranae (microsporidia). Journal of Invertebrate Pathology 94(3): 211-217. 5. OIE Terrestrial Manual 2008. Nosemosis of honey bees. Chapter 2.2.4: 410-414. 6. Klee J, M. Besana A, Genersch E, Gisder S, Nanetti A, Tam D.Q, Chinh T.X, Puerta F, Ruz J.M, Kryger P, Message D, Hatjina F, Korpela S, Fries I, Paxton R.J.(2007) Widespread dispersal of the microsporidian Nosema ceranae, an emergent pathogen of the western honey bee, Apis mellifera. Journal of Invertebrate Pathology 96 (2007) 1–10 Fig.2: Gel di agarosio dei prodotti di amplificazione di un protocollo Pcr per Nosema spp. (spiegazione nel testo). 204 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 MONITORAGGIO DELLA FAUNA SELVATICA NELLA PROVINCIA DI GENOVA Cosma V. 1 , Scaffardi E. 1, Migone L. 1, Ferretti I. 1, Aristarchi C. 2, Tiso M. 1, Schiavetti I. 1 1: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delPiemonte, Liguria, e Valle d’Aosta 2: Provincia di Genova – Settore faunistico Keyword: monitoraggio, fauna selvatica, biomonitor SUMMARY In the Genova area the wildlife population and species has increased during recent years. For these reasons the Istituto Zooprofilattico Sperimentale and the Wildlife Office of the Province of Genova for years have cooperated with a health monitoring plan of game. The three year partnership project, launched in 2008, will entail health monitoring of wild ungulate (Boar, Roe deer and Fallow deer) dwelling in the Genoa Province Territory. The health monitoring plan of wild ungulates living on the territory will be extremely useful, first of all because a more thorough knowledge of diseases affecting these animals may help to counter and keep in check any epidemic and prevent diseases from spreading among domestic and wild species. Moreover, providing hunters with the correct procedures to follow whenever handling a slaughtered wild animal reduces the risk of transmitting these diseases to humans as well. Tab.2. Brucellosi nel cinghiale: positività alla PCR TOTALE CAMPIONI 795 POSITIVI 32 Fig.1 . Linfonodo sentinella per la ricerca di TBC nel cinghiale. INTRODUZIONE Questo è un progetto che L’istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta porta avanti da un anno in collaborazione con il Settore Faunistico della Provincia di Genova e gli Ambiti territoriali di caccia, si propone il monitoraggio sanitario degli ungulati selvatici che popolano la nostra provincia (cinghiali, daini e caprioli); il monitoraggio si articolerà nei prossimi due anni e ci permetterà di avere un quadro ben delineato sulla situazione sanitaria della selvaggina cacciata. MATERIALI E METODI Il progetto ha avuto inizio con giornate di formazione ai cacciatori delle due ATC provinciali coinvolte nella raccolta dei campioni; le lezioni, tenute da Veterinari dell’IZS, hanno riguardato le principali patologie della fauna selvatica, nonché le corrette modalità di manipolazione delle carcasse. Al termine delle lezioni è stata redatta una guida al prelievo dei campioni che è stata distribuita a tutti i cacciatori. I campioni raccolti durante le battute consistevano in una porzione della gola contenente i linfonodi retrofaringei e una provetta di sangue di 1 capo di cinghiale abbattuto per squadra di caccia. Il prelevatore compilava una scheda redatta da personale dell’IZS in cui venivano indicati: località e data dell’abbattimento, peso, sesso ed età del capo abbattuto. I campioni di linfonodi sono stati sottoposti ad esame anatomo-patologico per la diagnosi della TBC. Per quanto riguarda il Capriolo è stato raccolto un campione di sangue per la ricerca delle principali patologia che coinvolgono questi ungulati: psueudotubercolosi, brucellosi, toxoplasmosi e Blue Tongue. RISULTATI E DISCUSSIONE Il sangue dei caprioli testati è risultato negativo a tutte le patologie ricercate. Questa selvaggina viene anche studiata in relazione al loro ruolo di “biomonitor” , per stimare il grado di possibile contaminazione ambientale, per stimare il rischio dell’uomo all’esposizione di sostanze cancerogene; arginare possibili epidemie ed evitare la diffusione di malattie sia intra che interspecifiche tra specie domestiche e selvatiche, tutelare la salute pubblica anche in considerazione dell’aumentato consumo di carni di selvaggina che si è riscontrato negli ultimi anni. BIBLIOGRAFIA 1. Tab.1. Tubercolosi nel cinghiale:sospetti e positività alla PCR TOTALE CAMPIONI SOSPETTI 795 70 2. POSITIVI 3. 40 205 Pedrotti L., Duprè E., Preantoni D., Tosi S., 2001 – Banca dati Ungulati: status, distribuzione, consistenza, gestione, prelievo venatorio e potenzialità delle popolazioni di Ungulati in Italia. - Biologia e Conservazione della Fauna Selvatica Vol. 109. Marsan A., Spanò S., 1999 – Il Capriolo e il Daino in Liguria. II ed. aggiornata. Regione Liguria, Genoa. Marsan A., Schenone L., Spanò S., 2000 – Il Cinghiale in Liguria. Regione Liguria, Genoa. XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 RICERCA DI VTEC (E. COLI 0157 ED E. COLI O26) NELLA FILIERA LATTIERO CASEARIA PUGLIESE: DATI PRELIMINARI Crisetti E.,Cataleta A., Azzarito L., Chiocco D., La Salandra G. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata, Foggia Key words:. E. coli, VTEC, Real-time PCR coli O157 (Sorbitol MacConkey Agar, Microbiol Diagnostici), mentre per l’isolamento di E. coli O26 è stato utilizzato Cefixime Tellurite MacConkey Agar contenente Ramnosio (RMAC-CT) (Rhamnose MacConkey Agar, LAB M). Le colonie isolate sono state ulteriormente caratterizzate per l’antigene somatico O157 e O26 e l’antigene flagellare H7 tramite Real-Time PCR (10). La produzione delle VTs è stata verificata mediante multiplex polymerase chain reaction (M-PCR) come descritto da Paton & Paton (1998) (9) utilizzando specifiche coppie di primer per la ricerca dei geni stx1,stx2 ed eae. I ceppi isolati sono stati testati anche in Real Time PCR per i geni eae, stx1 e stx2 (10, 6). Come controllo positivo per la ricerca dei fattori di virulenza e dell’antigene somatico O157, è stato utilizzato il ceppo E.coli ATCC 43895. Come controllo positivo per E. coli O26 è stato utilizzato il ceppo fornito dall’ EU RL per E. coli, mentre come controllo negativo è stato utilizzato il ceppo E. coli ATCC 25922. Abstract The presence of verocytotoxin-producing of Escherichia coli (VTEC) in foods of animal origin is a public health problem. E. coli VTEC are bacteria responsible for serious human illnesses, such as hemorrhagic colitis and hemolytic uremic syndrome. Little is known about the prevalence and characterization of E. coli VTEC in food production chain. The aim of this work is to provide preliminary data on E. coli VTEC strains isolated from raw milk of different animal origin (bovine, ovine, goat and buffalo), collected from local farms (Puglia). Introduzione Escherichia coli è un microrganismo saprofita dell’intestino dell’uomo e degli animali, da sempre considerato indice di contaminazione fecale. Nell’ambito di questa specie sono presenti cloni patogeni, tra cui i ceppi enteroemorragici (EHEC), il cui capostipite è rappresentato dal sierotipo O157:H7. I ceppi EHEC capaci di sintetizzare le tossine di tipo shiga (shiga-like toxin, o ST), dette anche verocitotossine (VTs), sono stati denominati E. coli verocitotossici (VTEC) o E. coli produttori di tossine Shiga-like (STEC). L’ infezione da VTEC può dar luogo ad una vasta gamma di patologie che variano da semplici forme gastroenteriche a forme più gravi come la sindrome emolitico uremica (SEU) che colpisce bambini ed anziani (2, 5). La patogenicità dei ceppi VTEC è legata alla produzione di due citotossine, VT1 e VT2 codificate da geni batteriofagici stx1 e stx2. Oltre alla sintesi di VTs, un altro fattore associato alla virulenza espresso dagli stipiti VTEC è rappresentato da una proteina di membrana detta intimina, codificata dal gene cromosomiale eae responsabile dell’adesione alle cellule dell’epitelio intestinale (2). Il principale “reservoir” di tali microrganismi è rappresentato dai ruminanti, in particolare bovini. Le infezioni da VTEC sono trasmesse all’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati (4, 5). Negli ultimi anni sono stati riportati numerosi casi di infezione umana da VTEC non-O157 (1, 3). Tra i sierogruppi non-O157 quelli maggiormente isolati sono gli stipiti VTEC O26 rispetto ad altri sierogruppi (O103, O111 e O145) (5). Questa indagine ha l’obiettivo di fornire un contributo sulla diffusione di E.coli O157 e O26 nella filiera lattiero-casearia pugliese. Risultati e discussione I risultati di questo lavoro riportati nella tabella 1 e 2 evidenziano che, su 50 campioni di latte di massa di origine bovina (26), ovina (14), caprina (8), e bufalina (2), i 2 campioni risultati positivi (4%) per la ricerca di stipiti di E. coli produttori di verocitotossine (VTEC), sierogruppi O157 e O26, sono entrambi di origine bovina. I risultati confermano, come riportato in letteratura, che il principale “reservoir” per tali microrganismi è il bovino (4, 5, 7). L’analisi M-PCR sui ceppi isolati ha evidenziato la presenza dei geni stx2 ed eae, per la sintesi dei fattori di patogenicità VT2 ed intimina, per il sierotipo E. coli O157:H7. Il sierotipo E. coli O26, isolato da un secondo campione di latte di massa di origine bovina (2%), ha evidenziato la presenza dei geni stx1, stx2 ed eae per la sintesi di dei fattori di virulenza VT1, VT2 ed intimina. Questi risultati sono stati confermati dall’analisi in Real-Time PCR sia per l’individuazione dei geni sierogruppo-associati sia per la ricerca dei geni eae, stx1 e stx2. Le “foodborne diseases” causate da ceppi VTEC rappresentano un importante problema di sanità pubblica. Nell’ambito delle patologie di cui sono responsabili questi agenti patogeni le infezioni da E. coli O26 sono sempre più frequentemente diagnosticate in Europa ed in Italia. I dati epidemiologici, forniti dalla letteratura non permettono però una esaustiva valutazione del rischio alimentare, soprattutto nel settore lattiero-caseario (5, 4). Gli alimenti maggiormente incriminati sono rappresentati da carni crude e poco cotte e latte non pastorizzato, soprattutto di origine bovina (4, 7). La contaminazione avviene durante la mungitura o nelle fasi di macellazione e lavorazione della carcassa. La vendita diretta del latte crudo dal produttore al consumatore, autorizzata ai sensi del regolamento CE 853/2004, sta destando negli ultimi anni una crescente preoccupazione per l’aumento delle sindromi emolitico uremiche, riconducibile alla presenza di E. coli O157 in tale alimento, nonostante l’O.M. del 10 dicembre 2008, obbliga di indicare nei distributori “prodotto da consumarsi solo dopo bollitura” (8). Materiali e metodi Per lo svolgimento di questo lavoro sono stati prelevati ed analizzati 50 campioni di latte crudo di massa bovino, ovino, caprino e bufalino provenienti da aziende pugliesi. L’isolamento di E. coli O157 dalle matrici alimentari è stato eseguito secondo la norma ISO 16654:2001, mentre l’isolamento di E. coli O26 è stato eseguito seguendo la metodica modificata di Dambrosio et al. (2007) (4). Dall’arricchimento di ciascun campione è stata eseguita l’immuno-separazione magnetica per isolare ceppi di E. coli O157 e E. coli O26 attraverso l’utilizzo di kit specifici per i due sierotipi (Dynabeads®, Invitrogen). Successivamente è stato utilizzato il terreno Cefixime Tellurite MacConkey Agar contenente sorbitolo (SMAC-CT) per isolare i ceppi E. 206 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 5. Lorusso V, Dambrosio A, Quaglia NC, Parisi A, La Salandra G, Lucifora G, Mula G, Virgilio S, Carosielli L, Rella A, Dario M, Normanno G. 2009. Verocytotoxin-producing Escherichia coli O26 in raw water buffalo (Bubalus bubalis) milk products in Italy. J Food Prot. 72(8):1705-8. 6. Nielsen EM, Andersen MT. 2003. Detection and characterization of verocytotoxin-producing Escherichia coli by automated 5’ nuclease PCR assay. J Clin Microbiol. 41(7):2884-93. 7. Normanno G, Parisi A, Dambrosio A, Quaglia NC, Montagna D, Chiocco D, Celano GV. 2004. Typing of Escherichia coli O157 strains isolated from fresh sausage. Food Microbiology. 21(1) :79–82. 8. O.M. 10 dicembre 2008. Misure urgenti in materia di produzione, commercializzazione e vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana. G. U. 14 gennaio 2009. 9. Paton AW, Paton JC. 1998. Detection and characterization of Shiga toxigenic Escherichia coli by using multiplex PCR assays for stx1, stx2, eaeA, enterohemorrhagic E. coli hlyA, rfbO111, and rfbO157. J Clin Microbiol. 36(2):598-602. 10. Perelle S, Dilasser F, Grout J, Fach P. 2004. Detection by 5’-nuclease PCR of Shiga-toxin producing Escherichia coli O26, O55, O91, O103, O111, O113, O145 and O157:H7, associated with the world’s most frequent clinical cases. Mol Cell Probes. 18(3):185-92. La presenza di ceppi E. coli VTEC in alimenti rappresenta un serio rischio per la salute del consumatore in particolare quando non si adoperano le necessarie misure atte ad evitare la replicazione del microrganismo. I dati preliminari di questo lavoro, possono essere utilizzati per valutare la diffusione di VTEC nella filiera lattiero casearia pugliese. Ulteriori studi si rendono necessari per meglio definire la prevalenza di ceppi VTEC nel latte crudo ed il loro potenziale impatto sulla salute pubblica. Bibliografia 1. 2. 3. 4. Brooks JT, Sowers EG, Wells JG, Greene KD, Griffin PM, Hoekstra RM, Strockbine NA. 2005. Non-O157 Shiga toxinproducing Escherichia coli infections in the United States, 1983-2002. J Infect Dis.192(8):1422-9. Caprioli A, Morabito S, Brugère H, Oswald E. 2005. Enterohaemorrhagic Escherichia coli: emerging issues on virulence and modes of transmission. Vet Res. 36(3):289311. Caprioli A, Tozzi AE, Rizzoni G, Karch H. 1997. Non-O157 Shiga toxin-producing Escherichia coli infections in Europe. Emerg Infect Dis.;3(4):578-9. Dambrosio A, Lorusso V, Quaglia NC, Parisi A, La Salandra G, Virgilio S, Mula G, Lucifora G, Celano GV, Normanno G. 2007. Escherichia coli O26 in minced beef: prevalence, characterization and antimicrobial resistance pattern. Int J Food Microbiol. 118(2):218-22. Lavoro svolto con i fondi RC del Ministero della Salute, IZSPB006/08 Tabella 1. Campioni di latte analizzati per la presenza di ceppi E. coli O157 e E. coli O26 Campioni analizzati E.coli O157:H7 E.coli O26 Latte bovino 26 1 1 Latte ovino 14 / / Latte caprino 8 / / Latte bufalino 2 / / Totale 50 1 1 Tabella 2. Caratterizzazione degli isolati E. coli VTEC Campioni Origine Sierogruppo Geni di virulenza Latte bovino O157:H7 eae+, stx1-, stx2+ Latte bovino O26 eae+, stx1+, stx2+ 207 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULARE DI TOPI VACCINATI CON BRUCELLA MELITENSIS REV1 G.Curina1, B.Paternesi1, C. Montagnoli2, G.Severi1, N. D’Avino1, M.Tentellini1, R. Nardini3, R. Forletta3, M.Cagiola1 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche 2 Università Degli Studi Di Perugia 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana Keywords: Brucella Melitensis REV1, Flow Cytometric, T-Cell concentrazione di 1*106 cellule con anticorpi monoclonali primari PE anti-mouse F4/80-Pan Macrophage marker (eBioscience), FITC anti-mouse N.K. 1.1 (eBioscience), PE anti-mouse CD3e (eBioscience), PE-Cy5 anti- mouse CD4 (eBioscience), PE-Cy5 anti- mouse CD8 (eBioscience ), PE anti-mouse/human CD45R (eBioscience ), FITC anti mouse CD25 (Serotec) Analisi in citometria a flusso I campioni allestiti sono stati processati usando lo strumento FACSCalibur(BD), equipaggiato con un laser BLUE 488 nm. Il settaggio dello strumento è stato ottimizzato utilizzando le CALIBRITErmTM 3 (BD Biosciences). I dati fluorimetrici sono stati analizzati utilizzando il software CellQuest Pro (Becton Dickinson Immunocytometry Systems). La distinzione delle diverse popolazioni cellulari è stata effettuata attraverso l’analisi morfologica utilizzando i parametri di Foward e Scatter caratteristici. Summary Sheep brucellosis, a zoonosis mainly due to Brucella melitensis (biovar 1, 2 or 3), remains widespread worldwide. It is responsible for genital disorders and abortions in sheep and also a source of significant economic losses. In areas, where the prevalence of the infection is moderate to high, vaccination is the only suitable method for controlling brucellosis in animals. The live Brucella melitensis Rev 1 strain is currently considered as the best vaccine available for the control of sheep brucellosis, especially when used at the standard dose. The aim of this study was to investigate the response of specific peripheral mononuclear blood cells (PBMC) induced in mouse BALB-C vaccinated with a live B. melitensis Rev 1vaccine produced in bioreactor (1) in order to develop innovative vaccine and diagnostic test DIVA. Introduzione La Brucella un batterio patogeno intracellulare responsabile di gravi patologie nell’uomo ed in altre specie animali. La malattia provocata, ha una notevole importanza sia dal punto di vista sanitario, in quanto causa di zoonosi, sia da un punto di vista economico, a seguito dei frequenti aborti ed infertilità provocati nei piccoli ruminanti. La vaccinazione è tutt’ora impiegata in molte zone endemiche dei paesi del Mediterraneo per arginare l’infezione. Il vaccino Rev1 vivo attenuato è considerato il più valido strumento di profilassi della brucellosi negli ovini e caprini. Tuttavia il suo utilizzo induce una produzione di anticorpi non facilmente distinguibili, con test impiegati routinariamente nei laboratori, da quelli prodotti dagli animali infetti. Questo è il motivo principale che limita l’utilizzo del vaccino REV 1 nei paesi, in cui sono in corso piani di eradicazione basati su test sierologici e sull’abbattimento degli animali ad essi risultati positivi. Scopo della nostra indagine è approfondire, mediante la tecnica citfluorimetrica, le conoscenze in merito alla interazione tra tale agente microbico ed alcune cellule immunocompetenti quali linfociti T, linfociti B, Natural Killer (NK) e Macrofagi in topi Balb-C, al fine dello sviluppo di nuovi presidi immunizzanti e di test diagnostici DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals). Risultati I dati ottenuti dallo studio fenotipico delle popolazioni cellulari coinvolte nel processo infettivo, hanno evidenziato un netto aumento nel tempo dei macrofagi (f4/80) a partire dalle 48 ore dopo la vaccinazione (Fig. 1). Infatti, si assiste non solo ad una loro espansione clonale ma anche ad una loro attivazione, questo dovuto alla loro funzione di cellule presentanti l’antigene (APC). La massima variazione percentuale si ha a 14 DPI mentre la massima attivazione si ha tra le 24 e 48 ore dopo la vaccinazione. (Fig.2) Il ruolo svolto dall’immunità aspecifica nel corso dell’infezione è stato evidenziato dall’espansione clonale delle cellule Natural killer a 48h dopo la vaccinazione raggiungendo il picco massimo a 72 ore. (Fig.3) Fig1: Variazione nel tempo della popolazione dei macrofagi f4/80+ Materiali e Metodi Animali e modello sperimentale Sono stati utilizzati 80 topi Balb-C femmina (20-30gr) di 6 settimane di età, suddivisi in 10 gruppi, ciascuno composto da 8 animali di cui n° 5 animali infettati per via intraperitoneale con 1*106 C.F.U. (2) e n° 3 animali usati come controllo (inoculati con 0,5 ml di S.F). Gli animali sono stati abbattuti a 24h, 48h, 72h e 7, 14, 30, 60, 90 giorni dopo l’inoculazione sperimentale (DPI) del vaccino. Preparazione campioni per analisi citofluorimetrica Le diverse popolazioni cellulari ottenute da ogni campione di milza, sono state poste ad incubare a +4°C, alla 208 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Fig2: cinetica dei macrofagi (f4/80) Fig5: cinetica dei linfociti T CD3+ Fig3: cinetica delle NK E’ stata rilevata la stimolazione dei linfociti naive e la loro differenziazione in CD4+CD8- e CD4-CD8+. I linfociti CD4+ hanno mostrato un’ attivazione progressiva fino a 7 DPI per poi rimanere costanti per tutta la durate della prova (Fig. 6). Invece i linfociti CD8+ hanno mostrato un andamento fluttuante nel tempo (Fig. 6) Fig6: cinetica dei linfociti CD4+/ CD8+ E’ stato inoltre riscontrato un aumento esponenziale dei linfociti B (CD45R+) a partire da 48 ore in rappresentanza del coinvolgimento della risposta immunitaria umorale al processo infettivo (Fig.4). Fig4: cinetica dei linfociti B Discussione I dati ottenuti dal modello sperimentale hanno confermato che tutte le cellule immunocompetenti sono coinvolte nella risposta immunitaria nell’infezione indotta da Brucella melitensis Rev1. Relativamente ai macrofagi, è stato riscontrato un loro interessamento nelle primissime fasi della vaccinazione, confermando il ruolo chiave che essi svolgono nel controllo e nella distruzione del patogeno. I risultati ottenuti riguardo le cellule NK confermano il loro coinvolgimento nell’immunità innata aumentando soprattutto nelle prime fasi dell’infezione. La subpopolazione (CD4+) ha presentato un aumento nei primi 7 giorni, stimolando ulteriormente tramite la produzione di alcune citochine (IFN-γ) l’attività fagocitarla dei macrofagi. La subpopolazione (CD8+) ha presentato una partecipazione discontinua nella risposta immunitaria (3). Infine, l’ aumento esponenziale della popolazione dei linfociti B (CD45R+), conferma la loro predominanza nelle fasi tardive del processo di vaccinazione. I dati ottenuti da questo preliminare studio nel modello murino, impiegando Durante tutto il periodo di studio del processo infettivo, la percentuale dei Linfociti T CD3+ non ha avuto variazioni statisticamente significative (Dati non mostrati). Da un punto di vista dell’attivazione si assiste, invece, ad un graduale aumento già dalle prime ore della vaccinazione (Fig.5). 209 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 la tecnica citofluorimetrica, hanno confermato e chiarito i meccanismi che si attivano nella risposta immunitaria cellulare ed umorale (4,5) a seguito dell’inoculazione del vaccino vivo attenuato REV1. L’implementazione di tali studi può essere determinante per lo sviluppo di nuovi presidi immunizzanti e test diagnostici innovativi in grado di individuare gli animali infetti da quelli vaccinati. 3. 4. Bibliografia 1. 2. G. G. Alton, L.M. Jones, R.B. Angus, J.M. Verger “ Techniques for brucellosis laboratory “ 1988 INRA, Paris M.J. Grillo’, M.J. De Miguel, P.M. Munoz, C.M. Marìn and J.M. Plasco “Efficacy of several antibiotic combinations 5. 210 against Brucella melitensis Rev1 experimental infection in BALB/c mice” 2006 Journal of Antimicrobial Chemiotherapy 58, 622-626 B. Raupach, S. HE Kaufmann “Immune responses to intracellular bacteria” 2001, Current Opinion Immunology, 13, 417-428 M.E. Hamdy, S.M. El-Gibaly, A.M. Montasser “Comparision between immune responses and resistance induced in BALB/c mice vaccinated with RB51 and Rev1 vaccines and challenged with Brucella melitensis bv.3” 2002 Vet. Microbiol. 88, 85-94 G. Splitter, S. Oliveira, M. Carey, C. Miller, J. Ko, J. Covert “ T lymphocyte mediated protection against facultative intracellular bacteria” 1996, Vet. Immunology and Immunopatology, 54, 309-319 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 ANTIBIOTICO RESISTENZA DI SPECIE BATTERICHE ISOLATE DA LATTE MASTITICO IN SICILIA NELL’ANNO 2009 Currò V.; Sutera A.; Marineo S., Lipari L.; Pisano P.; Calato R.; Altomare A.; Martorana C., Vicari D. Istituto Zooprofilattico Della Sicilia “A. Mirri”, via G. Marinuzzi 3, Palermo-email: [email protected] Keywords: Antimicrobial resistance, Staphylococcus aureus, mastitis ABSTRACT Monitoring antimicrobial susceptibility in pathogenic and commensal bacteria in animals is recommended by WHO (World Organization for animal health). This has a very important mean in public health because humans might have many problems because of multiresistant strains. This is the case of Staphylococcus multiresistant to many antimicrobials. During 2009 in the laboratory of Istituto Zooprofilattico della Sicilia were collected many bacterial strains isolated from mastitic milk. The Objective of this study was to investigate the isolates susceptibility pattern of a panel of antimicrobials. sospensione batterica di torbidità pari a 0,5 Mc Farland in piastre di Muller - Hinton e Muller – Hinton addizionato di sangue di pecora per gli isolati appartenenti ai generi Streptococcus spp. E Pasteurella spp. Ciascun ceppo è stato saggiato per almeno 7 antibiotici. Gli isolati di S. aureus sono stati sottoposti ad esami con tecniche di biologia molecolare amplificando il gene della meticillino resistenza che ha dato esito positivo del 2% dei casi. RISULTATI Circa il 50% degli isolati erano rappresentati da ceppi di Staphylococcus aureus che rappresenta il principale agente eziologico di mastiti cliniche e subcliniche. La distribuzione degli altri isolati è schematizzata nella Fig. 1. Tra tutti gli isolati solo alcuni ceppi erano sensibili a tutti gli antibiotici saggiati, molti invece mostravano resistenze multiple, alcuni invece erano resistenti o mostravano parziale resistenza a tutti gli antibiotici saggiati. In tab. 1 sono riportati i risultati per alcuni degli isolati di S. aureus che ha rappresentato l’agente mastidogeno più frequentemente isolato. INTRODUZIONE La terapia con antimicrobici è lo strumento primario per il controllo di patologie come le mastiti che costituiscono da sempre una insidia per l’allevamento degli animali da reddito ed una delle problematiche maggiori nell’ industria lattiero casearia per la capacità di creare problematiche nei processi di trasformazione. Spesso l’utilizzo degli antimicrobici nella pratica veterinaria è stato poco razionale. La diretta conseguenza di un uso non corretto degli antibiotici ha determinato negli agenti patogeni fenomeni di resistenza multipla. Tali resistenze acquisiste possono poi essere “comunicate” tra le varie cellule microbiche che “imparano” ad accrescersi anche in presenza di antibiotici. Il diffondersi di fenomeni di farmacoresistenza, spesso multipla, costituisce oggi una realtà che non va sottovalutata. MATERIALI E METODI Durante il 2009 nei laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia sono stati collezionati ceppi batterici da campioni di latte provenienti da animali con mastite. Tali isolati sono stati identificati utilizzando le tecniche di batteriologia convenzionale con l’utilizzo di terreni selettivi e prove metaboliche in micrometodo (Sistema API Biomerieux). In seguito tali ceppi sono stati sottoposti ad antibiogrammma con metodo di diffusione in agar (Kirby-Bauer) [2] utilizzando per la semina una Fig.1 Distribuzione degli isolati dai campione di latte bovino, ovino e caprino nel 2009. Tab. 1 Sensibilità di alcuni dei ceppi di S. aureus isolati da casi di mastite clinica o subclinica Penicillina G R R S S R R S S S S R Ac Nalidixico S R I R I I R R R R R Lincomicina S S S R S S S I S S I Eritromicina S I S I S S I I S I Meticillina R S S R S S S S S Amikacina S Gentamicina R S S R S S S S Cefoperazone R I S S S I S S S S R S S S S R R S S R R R R I S S S S S S I S I I S S S S S I I S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S S I S S S S I R S S S S I S I R S S S S S R I I S I Trimethopim S Cefalexim R Kanamicina S R 211 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Fig. 2 Rappresentazione schematica delle percentuali di sensibilità agli antibiotici di isolati di S.aureus DISCUSSIONE 1. Le farmaco resistenze acquisite dai batteri rappresentano una minaccia incombente in Sanità Pubblica umana e veterinaria. Si ipotizza che l’uso poco razionale di antimicrobici negli animali da reddito abbia contribuito in maniera significativa all’insorgenza di resistenza in ceppi patogeni o commensali anche per l’uomo. L’interesse per la resistenza agli antibiotici dei batteri patogeni per gli animali sta crescendo per la possibilità di scambio di elementi genetici mobili con batteri patogeni anche per l’uomo. Il costante monitoraggio su queste resistenze potrà contribuire allo studio e quindi alla formulazione di strategie utili per limitarne la diffusione. Strategie che, necessariamente, non possono non prescindere da un razionale utilizzo di presidi antimicrobici [1]. 2. 3. 212 BIBLIOGRAFIA Acar, J., Rostel B. (2001) Antimicrobial resistance: an overview, Rev. Sci. Technol. 20, pp. 797–810. Bauer A.W., Roberts C.E. Jr, Kirby W.M. (1959) Single disc versus multiple disc and plate dilution techniques for antibiotic sensitivity testing Antibiot Annu 7:574-80 Manisha Mehrotra, et al (2000) Clin Microbiol. 381032– 1035 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DIAGNOSI DI ECHINOCOCCOSI CISTICA NEGLI OVINI MEDIANTE IMMUNOBLOTTING Dalmasso S.1 , Rambozzi L. 1, Molinar Min A.R. 1, Martinez-Carrasco Pleite C. 2, Rossi L. 1 1 Dipartimento di Produzioni Animali,Epidemiologia ed Ecologia – Università degli Studi di Torino – Via Leonardo da Vinci,44 -10095 –Grugliasco (TO) 2 Dipartimento di Sanità Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Murcia, Campus Universitario di Espinardo, 30100 Murcia, Spagna Keywords: Echinococcosi cistica, Ovino, Immunoblotting. Introduzione L’echinococcosi cistica (CE) è un’antropozoonosi causata dagli stadi larvali di Echinococcus granulosus. La malattia è ampiamente diffusa nel mondo e rappresenta un problema sia di salute pubblica che economico in molte aree temperate e tropicali (1,2,3). E. granulosus presenta un ampio spettro di ospiti intermedi, tra cui gli ungulati domestici, in particolare gli ovini. Nell’ospite intermedio il parassita si ritrova allo stadio larvale sotto forma di cisti (idatidi), principalmente a livello epatico e polmonare. L’infestazione nell’ovino, è tipicamente asintomatica e la diagnosi è basata sul rinvenimento autoptico delle cisti. Ciononostante i dati epidemiologici raccolti nei macelli potrebbero essere sottostimati per il numero ridotto di ovini adulti macellati rispetto agli individui giovani, soprattutto in zone con bassa prevalenza della parassitosi. Sebbene in passato la diagnosi sierologica nella pecora presentasse forti limitazioni dovute alla scarsa sensibilità e specificità del test, recenti lavori hanno rivalutato l’immunodiagnosi utilizzando come fonte antigenica il liquido idatideo tal quale (4,5,6). Obiettivo del presente lavoro è valutare le performance di un immunoblotting per la diagnosi in vivo di CE negli ovini, ed un suo possibile utilizzo su pool di sieri. anticorpo è stato rilevato tramite 4-cloro-1-naftolo e 30% di H2O2 (Sigma); la reazione è stata bloccata con acqua. La membrana è stata sottoposta a scansione e analizzata tramite Biorad Gel Doc 2000 Imaging System. Come test di referenza è stata usata la diagnosi macroscopica in sede di necroscopia. I campioni con bande di 8-12 e/o 16 e/o 21 kDa sono stati classificati come positivi (Figura 1). Figura 1- Le bande diagnostiche (8-12, 16, 21 kDa) rilevate mediante immunoblotting su sieri di ovino. N: siero negativo, P1: siero positivo per le bande 8-12 e 16 kDa, P2: siero positivo per tutte le bande diagnostiche. Materiali e Metodi Per la messa a punto del test sono stati utilizzati 210 sieri di ovini di età superiore all’anno; 178 sono stati prelevati durante la visita post mortem in un macello situato nella regione di Murcia (Sud della Spagna), area endemica per CE. Per ciascun ovino sono stati esaminati fegato, polmone, cuore, reni, esofago e le sierose parietali per rilevare eventuali stadi larvali di E. granulosus e di Tenia hydatigena e macrocisti di Sarcocystis spp. Per ogni animale inoltre si è provveduto a registrare il numero, la localizzazione, il diametro e la presenza/ assenza di calcificazioni delle idatidi. Come controllo negativo, sono stati utilizzati i sieri di 32 ovini, allevati come rimonta interna in piccoli greggi indenni da CE in provincia di Torino. Come antigene è stato usato il liquido idatideo, prelevato da cisti fertili localizzate nel fegato e nel polmone; dopo centrifugazione a 10000 rpm per 10 minuti a 4°C, il liquido è stato filtrato (0.45 µm) e conservato a -80°C. L’immunoblotting è stato realizzato secondo la procedura descritta da Dueger et al. (4). Aliquote di 10 μg di antigene, diluite in loading buffer (0.125M Tris-HCl pH 6.8, 5% SDS, 10% b-mercaptoetanolo, 10% glicerolo e 0.01% Bromophenol Blue), bollite per 5 minuti sono state fatte correre in un gel di poliacrilammide al 18% e trasferite su una membrana di nitrocellulosa. Come standard molecolare è stata utilizzata una miscela di proteine con peso molecolare compreso tra 210 e 8 KDa (Sigma-Aldrich). La membrana, bloccata con latte magro in polvere per saturare i siti aspecifici, è stata incubata per 12 ore a 4°C in agitazione con i sieri diluiti 1/100 in PBS-tween 5% skim milk. Dopo tre lavaggi in PBS-tween, la membrana è stata incubata a temperatura ambiente per 1 ora con immunoglobuline antiIgG di pecora coniugate con perossidasi (Serotec), diluite 1/1000 in PBS-tween 5% skim milk. Il complesso antigene- Per valutare il possibile utilizzo del test su di un pool di sieri, il siero di un ovino positivo sia alla necroscopia che all’immunoblotting individuale è stato diluito in modo seriale (1.10, 1:20, 1:30, 1.40, 1.50, 1:60) in sieri di ovino negativi sia alla necroscopia che all’immunoblotting. Sono stati testati venti differenti sieri positivi. Per ciascuna diluizione l’intensità delle bande diagnostiche è stata quantificata con ImageJ. La sensibilità e la specificità del test sono state stimate con un intervallo di confidenza del 95%, ed i risultati ottenuti sono stati stratificati rispetto al numero di cisti, alla dimensione ed alla morfologia. La cross-reattività è stata valutata sia nel gruppo di ovini che costituivano il controllo negativo, sia in quelli privi di CE ma che presentavano altri parassiti in sede di necroscopia. Le analisi statistiche sono state eseguite con R-2.9.0. Risultati e discussione L’immunoblotting individuale ha dimostrato avere una sensibilità del 74.2% ed una specificità del 93.3%. La sensibilità non variava in modo significativo rispetto alle dimensioni ed alla morfologia delle cisti (p>0.05), mentre aumentava in modo significativo (p<0.03) all’aumentare del numero di cisti. La specificità del test non variava in modo significativo (p>0.05) in presenza di altri parassiti. Per quanto riguarda il test su pool di sieri, ad un aumento delle dimensioni 213 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 del pool corrisponde una diminuzione dell’intensità delle tre bande diagnostiche (8-12,16 e 21 KDa); fino alla diluizione 1/20 è possibile identificare chiaramente tutte e tre le bande diagnostiche, mentre a diluizioni maggiori è impossibile rilevare la banda 8-12 kDa (Figura 2). La mancata diagnosi dei campioni positivi solo per la banda 8-12 kDa comporta una riduzione della sensibilità fino al 64 % Bibliografia 1) Garippa G, Battelli G, Cringoli G, Giangaspero A, Giannetto S, Manfredi MT. (2004) Animal echinococcosis in Italy: epidemiological update. Parassitologia, 46(1-2):33-8. 2) Eckert J., Conraths F.J., Tackmann K. (2000). Echinococcosis: an emerging or re-emerging zoonosis? International Journal for Parasitology; 30(12-13):1283-94. 3) Battelli G. (2009). Echinococcosis: costs, losses and social Figura 2- Il siero di un ovino positivo sia alla necroscopia che all’immunoblotting individuale è stato diluito in sieri di ovini negativi. Fino alla diluizione 1/20 si distinguono chiaramente le tre bande diagnostiche (8-12, 16, 21 kDa). N: siero di controllo negativo. consequences of a neglected zoonosis. Veterinary Research Communications 33 Suppl 1:47-52. 4) Dueger E.L., Verastegui M., Gilman R.H. (2003). Evaluation of the enzyme-linked immunoelectrotransfer blot (EITB) for ovine hydatidosis relative to age and cyst characteristics in naturally infected sheep. Veterinary Parasitology, 25;114(4):285-93. 5) Gatti A, Alvarez AR, Araya D, Mancini S, Herrero E, Santillan G, Larrieu E. (2007). Ovine echinococcosis I. Immunological diagnosis by enzyme immunoassay.Veterinary Parasitology, 143(2):112-21. 6) Simsek S, Koroglu E. (2004).Evaluation of enzymelinked immunosorbent assay (ELISA) and enzyme-linked immunoelectrotransfer blot (EITB) for immunodiagnosis of hydatid diseases in sheep. Acta Tropica, 92(1):17-24. Abstract Aim of this work was to evaluate the feasibility of pooling serum samples for detection of E. granulosus antibodies in sheep by means of an immunoblotting. A total of 210 sera were collected and individually analyzed (sensitivity: 74.2%; specificity: 93.3%). Subsequently each positive serum were serially diluted in negative sera. Pooled sample testing maintained sensitivity and specificity; until the 1:20 dilution it was possible to clearly detect the diagnostic bands. Dai nostri risultati emerge che l’immunoblotting applicato su pool di campioni può rappresentare un valido strumento, sia in termini di performance del test che di riduzione dei costi, per il monitoraggio della CE a livello di popolazioni ovine. In particolare la sua applicazione potrebbe essere vantaggiosa soprattutto in aree a bassa prevalenza della malattia, dove può costituire un efficace ausilio ai piani di monitoraggio della zoonosi. Inoltre, poiché nei programmi di sorveglianza epidemiologica vengono già previsti e realizzati di routine dei campionamenti sierologici nelle greggi per la ricerca di altre patologie, i medesimi sieri potrebbero essere utilizzati per la sierodiagnosi a pool della CE, con ulteriori quanto ovvi risparmi. 214 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CHLAMYDIACEAE MEDIANTE TECNICHE BIOMOLECOLARI IN ALLEVAMENTI SUINI DA RIPRODUZIONE DEL VENETO 1de Mateo Aznar M., 1Belfanti I., 2Capello K., 1Natale A., 1Ceglie L. 1Struttura complessa 5 Sanità e Benessere Animale, Laboratorio di Diagnostica Virologica e sierologica, 2Staff Direzione Sanitaria, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD) Key words: Clamidiosi, Real Time PCR, suino SUMMARY Previous studies have demonstrated that chlamydial infections are common in intensively-kept pigs. To verify the significance of this infection in reproductive disorders, 186 cervical swabs from 8 closed breeding farms were sampled and screened by a Chlamydiaceae Real Time PCR followed by a speciesspecific Real Time PCR on positive samples. Only 3 sows were positive to C. suis. Moreover, 84 out of 103 conjunctival swabs from weaned-fattening pigs analyzed by PCR were positive to C. suis. These data reveal that the C. suis ocular infection is diffuse in breeding farms in the Veneto Region. clamidie (in particolare la C. suis) è maggiore a livello oculare rispetto all’apparato riproduttivo, per aumentare la probabilità di raccolta di ceppi è stato deciso di effettuare campionamenti in entrambe le sedi. Per selezionare gli animali su cui fare i tamponi oculari, è stato domandato (all’allevatore) in quale fascia d’età, tra lo svezzamento e il magronaggio, fossero visibili più casi di congiuntivite o “occhi sporchi”. I prelievi sono stati effettuati in un’unica stanza, da suini che preferibilmente presentavano congiuntivite e/o edema perioculare e/o epifora, per un totale di 13 suini per allevamento (ad eccezione di un allevamento dove sono stati analizzati 12 animali). Da ogni suino è stato strisciato un tampone per occhio, ruotando la testa del tampone all’interno del sacco congiuntivale. Entrambi i tamponi sono stati trasferiti in una provetta contenente 2 ml di SPG e stoccati a -80°C e poi processati mediante Real Time PCR. Il DNA dei campioni è stato estratto mediante il kit commerciale High Pure PCR Template Isolation (Roche). I campioni sono stati testati mediante un protocollo di Real Time PCR di screening per Chlamydiaceae (6). I campioni risultati positivi allo screening sono stati successivamente esaminati mediante un protocollo di Real Time PCR basato su primers e sonde specifici per discriminare tra le seguenti specie: Cp. pecorum, Cp. psittaci, Cp. abortus e C. suis (9). INTRODUZIONE Le specie di Chlamydiaceae che infettano il suino sono Chlamydia (C.) suis e Chlamydophila (Cp.) pecorum, Cp. abortus e Cp. psittaci. I sintomi dell’infezione sono polmonite, poliartrite, congiuntivite, disordini riproduttivi e aborti (2). In Italia sono state effettuate delle segnalazioni per quanto riguarda le clamidiosi nel suino (4, 8, 10), tuttavia la loro reale diffusione nell’allevamento intensivo è ancora sconosciuta. Al momento, grazie alle nuove metodiche di biologia molecolare, è possibile non soltanto fare una diagnosi di clamidiosi, ma anche determinare la specie di clamidia coinvolta nell’infezione (9). MATERIALI E METODI Con l’intento di valutare la presenza delle Chlamydiaceae in ambito riproduttivo nelle aziende suine della Regione Veneto, sono stati scelti 8 allevamenti a ciclo chiuso, almeno 1 per provincia, eccetto quella di Belluno che presenta un numero esiguo di allevamenti. Poiché le province di Verona e Treviso hanno una consistenza più elevata di allevamenti, sono state campionate 2 aziende per provincia. All’interno di questi allevamenti le scrofe sono state suddivise in due gruppi in base alla presenza o meno di problemi riproduttivi. Dato che il numero di scrofe con problemi riproduttivi è presumibilmente basso, è stato scelto di campionare più scrofe senza problemi (unequal allocation). La precisione delle stime è fissata al 5% e la potenza del test all’80%. La distribuzione e numerosità complessiva delle scrofe con e senza problemi riproduttivi da campionare si trova nella tabella 1. La numerosità campionaria è stata distribuita uniformemente tra gli allevamenti considerati, in modo tale da prelevare per ogni allevamento 8 campioni da scrofe con problemi riproduttivi e 16 da scrofe senza problemi. La ricerca delle Chlamydiaceae in ambito riproduttivo è stata condotta mediante prelievo di tamponi cervicali in doppio, trasferiti in 2 ml di terreno di trasporto SPG (SaccarosioFosfato-Glutamina), stoccati a -80°C e poi processati in Real Time PCR. In allevamento sono state individuate scrofe senza problemi riproduttivi (n=16), vicine al calore, e che avevano terminato lo svezzamento da pochi giorni, e 8 scrofe con problemi riproduttivi scelte tra quelle che presentavano ritorni in calore, scoli vaginali e quelle destinate alla riforma. Dato che in un allevamento suino la probabilità di trovare Tab. 1 - Distribuzione e numerosità delle scrofe con e senza problemi riproduttivi da prelevare. Gruppo Prevalenza di positività ipotizzata Numerosità campionaria Scrofe con problemi riproduttivi 0.2 62 Scrofe senza problemi riproduttivi 0.05 124 Totale 186 RISULTATI Tra i 186 campioni esaminati in Real Time PCR, sono state rilevate 3 scrofe positive per C. suis. 2 di queste appartengono all’allevamento della provincia di Venezia. In base allo stato clinico iniziale, 2 scrofe erano state classificate come scrofeproblema. mentre la terza non manifestava problemi riproduttivi. Per quanto riguarda i 103 campioni prelevati da suini in fase di svezzamento e magronaggio, 84 tamponi oculari sono risultati positivi in Real Time PCR per C. suis. Le positività nei tamponi oculari riguardano animali di 7 aziende diverse e la numerosità dei positivi all’interno di queste aziende varia da un minimo di 10 a un massimo di 13 campioni per ogni azienda. 215 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Tutti i tamponi dell’azienda di Vicenza sono risultati negativi in Real Time PCR. Tali risultati sono concordi con i relativi dati sierologici (dati non pubblicati). Escludendo l’azienda di Vicenza, la prevalenza di positività dei tamponi oculari in Real Time PCR è pari al 93%. Bibliografia 1. Becker A., Lutz-Wohlgroth L., Brugnera E., Lu Z.H., Zimmermann D.R., Grimm F., Grosse Beilage E., Kaps S., Spiess B., Pospischil A., Vaughan L. “Intensively Kept Pigs Pre-Disposed to Chlamydial Associated Conjunctivitis” (2007) J. Vet. Med. A Physiol. Pathol. Clin. Med., 54, 307313. 2. Busch M.,Thoma R., Schiller I., Corboz L., Pospischil A. “Occurrence of Chlamydiae in the Genital Tracts of Sows at Slaughter and their Possible Significance for Reproductive Failure” (2000) J. Vet. Med. B Infect. Dis. Vet. Public Health, 47, 471-480. 3. Camenisch U., Lu Z.H., Vaughan L., Corboz L., Zimmermann D.R., Wittenbrink M.M., Pospischil A., Sydler T. “Diagnostic Investigation into the Role of Chlamydiae in Cases of Increased Rates of Return to Oestrus in Pigs” (2004) Vet. Rec., 155, 593-596. 4. Di Francesco A., Baldelli R., Cevenini R., Magnino S., Pignanelli S., Salvatore D., Galuppi R., Donati M. “Seroprevalence to Chlamydiae in Pigs in Italy” (2006) Vet. Rec., 159, 849-850. 5. Di Francesco A., Donati M., Rossi M., Pignanelli S., Shurdhi A., Baldelli R., Cevenini R. “Tetracycline-Resistant Chlamydia Suis Isolates in Italy” (2008) Vet. Rec., 163, 251-252. 6. Ehricht R., Slickers P., Goellner S., Hotzel H., Sachse K. “Optimized DNA Microarray Assay Allows Detection and Genotyping of Single PCR-Amplifiable Target Copies” (2006) Mol. Cell. Probes, 20, 60-63. 7. Lenart J., Andersen A.A., Rockey D.D. “Growth and Development of Tetracycline-Resistant Chlamydia Suis” (2001) Antimicrob. Agents Chemother., 45, 2198-2203. 8. Merialdi G., Magnino S., Franchi L., Santoni L., Luppi A., Bonilauri P., Labalestra I.,Vigo P.G., Dottori M.. (2003) Descrizione di un episodio di congiuntivite nel suino associato ad infezione da Chlamydia suis. Atti XXIX Meeting SIPAS, 317-321 9. Pantchev A., Sting R., Bauerfeind R., Tyczka J., Sachse K. “Detection of all Chlamydophila and Chlamydia spp. of Veterinary Interest using Species-Specific Real-Time PCR Assays” (2009) Comp. Immunol. Microbiol. Infect. Dis. 10. Spaggiari B., Gherpelli M., Magnino S., Fallacara F., Bonilauri P., Merialdi G. “Episodio Di Patologia Riproduttiva Nel Suino Associato Ad Infezione da Chlamidophila Abortus” (2008) SIPAS XXXIV Meeting Annuale, Salsomaggiore Terme (PR), 13-14 Marzo 2008., 189-194. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Da quanto riportato in altri studi, nell’allevamento suino intensivo possono circolare diverse specie di Chlamydiaceae. Per questa ragione, i campioni sono stati analizzati mediante una Real Time PCR di screening per Chlamydiaceae, e i positivi sono stati successivamente sottoposti ad una Real Time PCR specie-specifica. Le positività individuate nei tamponi cervicali sono modeste: soltanto 3 scrofe, appartenenti a 2 diversi allevamenti, sono risultate positive per C. suis, mentre non è stata rilevata la circolazione di altre clamidie ritenute più patogene per la sfera riproduttiva. Nonostante siano state prese le necessarie precauzioni durante il prelievo, è opportuno considerare che la positività per C. suis su tampone cervicale possa essere conseguenza di una contaminazione fecale a livello dei genitali esterni. D’altro canto occorre ricordare che con questo metodo la prevalenza di clamidie potrebbe essere sottostimata rispetto a quanto rilevabile dall’esame diretto sull’apparato riproduttivo, così come evidenziato da altri autori (3). Per quanto riguarda i tamponi oculo-congiuntivali, è stato dimostrato che l’allevamento intensivo predispone i suini a congiuntivite da C. suis, arrivando ad una prevalenza del 90% negli allevamenti intensivi tedeschi (1). Dai risultati ottenuti in Real Time PCR si conferma una notevole diffusione dell’infezione da C. suis a livello oculo-congiuntivale, rilevandone la presenza in 7 allevamenti su 8 in Veneto. Escludendo i campioni dell’azienda negativa, la percentuale dei tamponi oculari positivi esaminati in Real Time PCR è stata del 93%. Per quanto riguarda l’infezione congiuntivale da C. suis, la cui presenza si conferma molto diffusa negli allevamenti intensivi, è da sottolineare che si tratta di una patologia fortemente condizionata da fattori ambientali, che diminuisce il benessere degli animali e le perfomances di accrescimento. Per questi motivi, si ritiene opportuna l’adozione di misure di prevenzione e controllo di questa infezione. La ricerca proseguirà con l’isolamento su coltura cellulare dei campioni risultati positivi in PCR, allo scopo di ottenere ceppi vivi da caratterizzare ulteriormente, ad esempio sotto il profilo dell’antibiotico-resistenza, in particolare nei confronti delle tetracicline (5,7). 216 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF-LIFE DI INSALATA DI MARE De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Daminelli P., Boni P. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Microbiologia, Brescia Key words: Insalata di mare, L. monocytogenes, Shelf-life SUMMARY The aim of this study was the evaluation of the behaviour of Listeria monocytogenes during the shelf-life of four different seafood salad’s production artificially contaminated and kept at different temperatures. Observed data demonstrated that pathogen’s behaviour depend on food factors as acidity and multiplication of endogenous lactic flora able to bio-compete against Listeria. e conservati in salamoia e non vengono quindi cucinati come avviene per gli altri produttori. Eventuali additivi non riportati potrebbero dunque essere presenti negli ingredienti composti. Shelf-life indicata in etichetta: 10 giorni a 4°C. Produttore 4 Ingredienti: calamari, polpo, seppie, cozze, gamberi, sale, succo di limone concentrato, E202 (sorbato di potassio), E575 (glucone delta lattone), olio di semi di girasole, olio di oliva, prezzemolo. Shelf-life indicata in etichetta: 11 giorni a 4°C. Ceppi batterici Per la contaminazione sperimentale è stata preparata una miscela di 3 ceppi di L. monocytogenes: un ceppo di riferimento (ATTC 19115) e 2 ceppi di campo isolati da prodotti ittici. In seguito alla moltiplicazione dei 3 ceppi patogeni in un fermentatore contenente 1 litro di brodo Brain Heart Infusion (BHI), incubato in agitazione per 24 ore a 37°C, il brodo è stato centrifugato a 4000 giri per 1 ora. Il pellet formato è stato quindi risospeso in soluzione fisiologica e diluito in modo da ottenere 100 mL di miscela contenente una concentrazione del patogeno di circa 105 ufc/mL. Contaminazione del prodotto, campionamento e analisi L’insalata di mare inviata presso il Reparto di Microbiologia dell’IZSLER dalle Ditte produttrici coinvolte nello studio è stata in parte utilizzata per le aliquote di controllo e in parte addizionata con la sospensione del patogeno, ottenendo una concentrazione di L. monocytogenes nell’alimento pari a circa 103 ufc/g. il prodotto è quindi stato suddiviso in aliquote di circa 50 g in sacchetti con filtro da stomacher e confezionato al naturale tramite saldatura ermetica. Un primo campionamento è stato eseguito al tempo zero, prelevando in triplo sia il prodotto di controllo al fine di escludere una contaminazione endogena nell’alimento, che il contaminato per valutare la concentrazione del patogeno artificialmente addizionato. Le diverse aliquote sono quindi state suddivise e conservate a differenti temperature per la valutazione della shelflife: 5°C (temperatura ideale di conservazione), 10°C (temperatura di usuale conservazione domestica), 15°C (moderato abuso termico), 20°C (abuso termico). Il protocollo sperimentale ha previsto l’esecuzione di 7 campionamenti nel corso della shelf-life dell’insalata di mare conservata a 5 e 10°C, che è stata prolungata fino a 28 giorni. Nel prodotto conservato a 15 e 20°C per la durata di 12 giorni sono stati effettuati 4 prelievi. Ad ogni campionamento sono state eseguite le seguenti determinazioni microbiologiche, effettuate in triplo sui campioni contaminati e in singolo sui controlli: Numerazione Listeria monocytogenes su piastre Aloa agar (ISO 11290-2: 1998 Amd/1: 2004) incubate in aerobiosi a 37°C per 48 ore; Numerazione della Carica Batterica totale mesofila (CBT), su piastre di PCA agar incubate in aerobiosi a 37°C per 48 ore; Numerazione Lattobacilli mesofili, su piastre di MRS agar incubate in microaerofilia a 37°C per 72 ore. La determinazione del pH mediante strumento con compensazione automatica della temperatura (Hanna Instruments HI 223) e dell’acqua libera (Aw) mediante apparecchiatura della INTRODUZIONE La normativa vigente in materia di sicurezza degli alimenti (Regolamento CE 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentai (1), modificato e integrato dal Regolamento CE 1441/2007 (2)) demanda all’operatore del settore alimentare la responsabilità di assicurare il rispetto di determinati criteri microbiologici nei propri prodotti. In particolare negli alimenti RTE, quali l’insalata di mare, viene tollerata una contaminazione di Listeria monocytogenes “alla bocca del consumatore” non superiore a 100 ufc/g di prodotto. Al fine di documentare scientificamente il rispetto di tali limiti, i Regolamenti comunitari prevedono la possibilità di effettuare contaminazioni sperimentali, che consentano di studiare il comportamento del patogeno nel corso della shelf-life dei prodotti alimentari. I dati ottenuti forniscono alle Ditte produttrici la capacità di prevedere e documentare l’andamento di Listeria in caso di contaminazione accidentale dei propri prodotti (3) e di stabilire, dunque, una durata della vita commerciale tale da garantire il rispetto dei limiti di legge. A tale scopo insalata di mare prodotta da diverse Ditte di trasformazione è stata contaminata con una sospensione costituita da diversi ceppi di L. monocytogenes ed è stato valutato il comportamento del patogeno durante la shelf-life del prodotto. Ciascuna produzione è stata aliquotata e mantenuta a diverse temperature di conservazione, in quanto la normativa comunitaria indica esplicitamente che il rispetto dei criteri microbiologici deve essere garantito considerando le usuali condizioni di conservazione e utilizzo del prodotto da parte del consumatore. MATERIALI E METODI La prova è stata condotta su insalata di mare prodotta da quattro diversi produttori, utilizzando ingredienti e fasi di lavorazione parzialmente diversificate, come di seguito riportato. Produttore 1 Ingredienti: seppie, polpo, gamberi, sale, pepe, aceto di vino, succo di limone concentrato, E330 (acido citrico), E621 (glutammato di sodio), E202 (sorbato di potassio), E211 (benzoato di potassio), olio di semi di girasole, cetrioli e peperoni sottaceto. Shelf-life indicata in etichetta: 14 giorni a 4°C. Produttore 2 Ingredienti: seppie, calamari, polpo, gamberi, cozze, sale, pepe, succo di limone concentrato, E202 (sorbato di potassio), E575 (glucone delta lattone), olio di semi di girasole, olio di oliva, prezzemolo, carote e zucchine fresche. Shelf-life indicata in etichetta: 15 giorni a 4°C. Produttore 3 Ingredienti: seppie, totani, polpo, gamberi, cozze, sale, pepe, succo di limone concentrato, olio di semi di girasole, prezzemolo, peperoni sottaceto. I prodotti ittici vengono acquistati già pronti 217 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Ditta Testo 650 con sonda fattore k (T 95) sono state eseguite in singolo ad ogni prelievo. Grafico 1: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse produzioni di insalata di mare conservata a 5°C RISULTATI E DISCUSSIONE Parametri chimico-fisici L’analisi dell’andamento dell’Aw nel corso della shelf-life delle 4 diverse produzioni di insalata di mare evidenzia come tale parametro presenti valori costantemente superiori a 0,950 a tutte le temperature di conservazione del prodotto. Il pH, al contrario, presenta valori significativamente diversi tra le tipologie di insalata di mare esaminate. Le produzioni 1 e 4 sono caratterizzate da valori di pH che si mantengono costanti intorno a 4,7-4,8 durante tutta la shelf-life. L’insalata di mare del produttore 2 risulta scarsamente acida, con pH di circa 6 per tutte le condizioni di mantenimento del prodotto. La produzione 3 è caratterizzata da un pH decisamente acido (intorno a 4) nel corso di tutta la shelf-life. Parametri microbiologici La Carica batterica totale mesofila evidenziata nell’insalata di mare del produttore 1, già presente in concentrazione di circa 106-107 ufc/g nel prodotto al tempo zero, mostra un ulteriore incremento nel corso della shelf-life, di entità e rapidità crescenti in funzione della temperatura di conservazione. I lattobacilli mesofili presentano un andamento sovrapponibile a quello descritto per la CBT, che pertanto risulta costituita in misura preponderante proprio da tali popolazioni. Le flore lattiche, capaci di biocompetere nei confronti di eventuali patogeni contaminanti degli alimenti, sono presenti in concentrazione significativa anche nella produzione 4. Al contrario, nell’insalata di mare del produttore 2, in cui anche le verdure vengono sottoposte ad un trattamento di cottura, i lattobacilli mesofili risultano sostanzialmente assenti a tutte le temperature di conservazione del prodotto. Nella produzione 3 tali flore risultano presenti inizialmente in concentrazione molto bassa e subiscono un incremento scarsamente significativo durante la shelf-life. Nel Grafico 1 relativo all’andamento di L. monocytogenes nelle 4 tipologie di insalata di mare conservate a 5°C si evidenzia come tale patogeno presenti un comportamento significativamente diversificato. L’insalata di mare del produttore 1 non supporta la crescita di Listeria, che anzi decresce rispetto alla concentrazione iniziale di contaminazione con tempo di riduzione decimale (D), ovvero il tempo necessario ad osservare la riduzione del 90% dei microrganismi ad una data temperatura, pari a 9 giorni e 16 ore ± 21 ore. La produzione 4 presenta un andamento analogo del patogeno, che nel corso della shelf-life decresce, seppur più lentamente (D= 44 giorni e 15 ore ± 10 giorni e 8 ore). Come già evidenziato in altri lavori (4), la presenza di flore lattiche in rapida moltiplicazione consente di modulare lo sviluppo di Listeria. La presenza del patogeno risulta contrastata efficacemente anche nella produzione 3 in cui, pur in assenza di popolazioni lattiche, la marcata acidità del prodotto ne determina una rapida diminuzione (D= 2 giorni e 23 ore ± 13 ore). Nell’insalata di mare del produttore 2, l’assenza di microrganismi in grado di biocompetere nei confronti del patogeno, congiuntamente alla presenza di un pH debolmente acido, consentono un rapido incremento di L. monocytogenes (Tempo di duplicazione pari a 14 ore), fino al raggiungimento di concentrazioni di plateau in circa 2 settimane. I Grafici 2, 3 e 4 riportano l’andamento di L. monocytogenes nelle diverse produzioni di insalata di mare mantenute rispettivamente a 10, 15 e 20°C. Per i produttori 1, 3 e 4 le considerazioni relative al comportamento del patogeno risultano sostanzialmente analoghe a quanto precedentemente descritto pur in condizioni di conservazione del prodotto teoricamente più favorevoli al suo sviluppo. In assenza di fattori che contrastino la moltiplicazione di Listeria, acidità e/o presenza di flore lattiche, (produzione 2), la velocità di crescita del patogeno aumenta in funzione della temperatura. Grafico 2: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse produzioni di insalata di mare conservata a 10°C Grafico 3: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse produzioni di insalata di mare conservata a 15°C Grafico 4: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse produzioni di insalata di mare conservata a 20°C BIBLIOGRAFIA 1. Regolamento CE 2073/2005 della Commissione del 15 Novembre 2005. 2. Regolamento CE 1441/2007 della Commissione del 5 Dicembre 2007 3. Hartemink R., Georgsson F., (1991). Incidence of Listeria species in seafood and seafood salads. International Journal of Food Microbiology, 12 (2-3), p: 189-195. 4. Andrighetto C., et al., (2009). Lactic acid bacteria biodiversity in italian marinated seafood salad and their interactions on the growth of Listeria monocytogenes. Food Control, 2 (5), p: 462-468. 218 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 INDAGINE SIEROEPIDEMIOLOGICA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNE PATOLOGIE VIRALI NEI CINGHIALI IN SARDEGNA Dei Giudici S., Demartis L., Chironi P., Sulas A., Ladu A., Sanna M.L., Rolesu S., Patta C., Oggiano A. Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna Key words: Elisa, Cinghiale, Patologie virali Abstract – Seroepidemiological study on distribution of some viral diseases in wild boards in Sardinia. Sera from 241 wild boars were collected Sardinia during the hunting season 2008-2009. ELISA tests were carried out to detect antibodies against the following infections: Swine Parvovirus, Aujesky’s Disease, PRRS, PCV2. Antibodies were detected against all the viruses analyzed. The estimated prevalence was: Swine Parvovirus 36,3%, Aujesky’s Disease 49,3%, PRRS 2,1%, PCV2 28,0%. The data were analyzed respect to age, sex and geographical distribution. ed i risultati sono stati espressi come positivo o negativo. Non è stato possibile eseguire la serie completa di esami previsti su tutti i campioni a causa della insufficiente quantità e/o della cattiva qualità del siero. Per quanto riguarda la localizzazione geografica, il territorio è stato suddiviso in 4 zone sulla base delle caratteristiche fisiche e geografiche: Nord, Goceano, Centro-sud, Sulcis, come illustrato nella figura 1. L’età è stata determinata in base alla presenza dei molari della mascella inferiore e divisa in 3 classi: 6-18 mesi, 18-30 mesi, >30 mesi. Il test χ2 è stato utilizzato per valutare le differenze tra i sessi, le classi di età e la localizzazione geografica. Il livello di significatività è stato stabilito a p ≤0.05. Introduzione Le patologie virali rappresentano un problema per l’allevamento suino sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo. I virus che causano malattie nei suini domestici sono in grado di infettare anche i cinghiali. Questa specie è diffusa in tutto il territorio della Sardegna, in particolare in aree collinari e montuose, scarsamente popolate dall’uomo, caratterizzate dalla presenza di boschi di lecci e sughere e da macchia mediterranea. In molte di queste aree il suino domestico viene allevato in modo estensivo al pascolo brado e ciò comporta frequenti contatti con il cinghiale. Tale promiscuità può agevolare la circolazione dei virus fra le due specie. La conoscenza della diffusione delle malattie virali nel cinghiale può chiarire il possibile ruolo di questa specie come “reservoir”. In questo lavoro è stata condotta una ricerca sierologica sui cinghiali della Sardegna per evidenziare l’eventuale presenza di anticorpi contro alcuni patogeni di grande impatto sull’allevamento suinicolo e per i quali si hanno scarse informazioni riguardanti i selvatici: Malattia di Aujeszky (AD), Parvovirus Suino (PPV), Circovirus Suino di tipo II (PCV2), Sindrome respiratoria e riproduttiva del suino (PRRS). Figura 1: cartina della Sardegna e suddivisione per zone Materiali e metodi Per l’indagine sono stati scelti 241 sieri di cinghiali abbattuti durante la campagna venatoria 2008-2009. I sieri sono stati individuati attraverso un campionamento casuale stratificato all’interno di quello utilizzato per la sorveglianza epidemiologica delle pesti suine e della tubercolosi. La numerosità del campione è stata definita sulla base dei dati di sieroprevalenza riportati in letteratura. Per la maggior parte dei campioni è stato possibile ottenere informazioni riguardanti l’età, il sesso e la zona di caccia. I sieri sono stati analizzati per la ricerca di anticorpi utilizzando kit elisa del commercio specifici per i patogeni di seguito riportati: PRRS: elisa di tipo indiretto (Porcine riproduttive respiratory sindrome virus antibody test kit, Idexx) Parvovirus Suino (PPV): elisa di tipo blocking (PPV blocking ab, Agrolabo). Circovirus Suino di tipo II (PCV2): elisa di tipo capture (Primacheck circovirus IgG/IgM, Agrolabo). Il kit è in grado di evidenziare positività da IgG, (infezione pregressa), da IgM (infezione in atto) o da entrambe, indice di infezione recente. Elisa AD – elisa di tipo indiretto (Pseudorabies virus gpI antibody test kit, Idexx) per la ricerca di anticorpi contro la glicoproteina gpI del virus. I test sono stati condotti secondo le indicazioni delle ditte produttrici Risultati Nella tabella 1 vengono illustrati i risultati complessivi ottenuti su 241 campioni analizzati. Tabella 1: Risultati ottenuti per i patogeni esaminati PPV Analizzati Positivi Sieroprevalenza (IC 95%) Non idonei 237 86 36,3 (39,2-42,8) 4 AD 207 102 49,3 (42,3-56,3) 34 PRRS 241 5 2,1 (0,8-5,0) 0 PCV2 232 65 28,0 (22,4-34,3) 9 Come riportato in tabella, è stata rilevata la presenza di anticorpi nei confronti di tutti i patogeni analizzati. Le prevalenze stimate variano in relazione al patogeno, passando da un 2,1% per il PRRS al 49,3% per AD. Per quanto riguarda il PCV2, il 28% di prevalenza comprende le positività da IgG (23.5%), da IgM (0.8%), e da entrambe, indice di infezione recente (3.7%). I dati sono stati suddivisi per sesso (Figura 2), età (Figura 3) e localizzazione geografica (Figura 4), secondo quanto indicato nei materiali e metodi. 219 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 Figura 2: sieroprevalenza per sesso (1, 2, 5). Per quanto riguarda PRRS, studi analoghi in Europa non hanno evidenziato anticorpi contro il virus, mentre in Italia lavori più recenti hanno rilevato percentuali di positività decisamente superiori alla nostra (2). Gli stessi autori suggeriscono che questo virus, una volta entrato nella popolazione dei cinghiali, si diffonda in modo limitato probabilmente per la difficoltà di trasmissione in una popolazione di bassa o media densità (2). In Italia la presenza di anticorpi contro PPV nei cinghiali è stata evidenziata, con percentuali variabili: 7,9% in Campania (2) e 30,1% nelle Alpi occidentali (1). I nostri dati indicano che anche la popolazione dei cinghiali in Sardegna è esposta al parvovirus suino e questo rappresenta un potenziale rischio per i suini domestici. La sieroprevalenza per PCV2 nei cinghiali varia in Europa dal 30 al 40%, in accordo con i nostri risultati. L’elevata prevalenza evidenziata nel Nord Sardegna potrebbe essere dovuta al maggior utilizzo dell’allevamento semibrado in questa zona. Sia per PPV che per PCV2 il ruolo di serbatoio del cinghiale è ancora da accertare dato l’alto tasso di infezione nei suini domestici e la mancanza di informazioni sulla direzione della trasmissione virale fra le due specie (5). Per quanto riguarda la malattia di Aujeszky, precedenti lavori condotti in Sardegna nel 1991 e nel 1996 (4,5), riportano percentuali di positività rispettivamente del 28,8 e del 27,9%. Dal 1997 in Sardegna viene applicato il piano nazionale di controllo della malattia, che prevede la vaccinazione dei suini, ma è probabile che chi pratica l’allevamento brado o semibrado, all’interno di territori in cui il suino domestico vive insieme al selvatico, non vaccini i propri capi. Dall’ultimo dato in nostro possesso (1996), la percentuale di sieropositività per AD è quasi raddoppiata, ma nonostante ciò non si hanno segnalazioni recenti di focolai nel domestico (ultimo focolaio: Oristano 2006). D’altra parte anche per questo virus il ruolo di serbatoio per i domestici è controverso perchè alcuni autori segnalano differenze molecolari fra i ceppi isolati nelle due specie (5). Sicuramente l’infezione da virus AD nei cinghiali in Sardegna ha assunto i caratteri epidemiologici tipici delle infezioni da virus erpetici, il cui successo evoluzionistico è correlato a fenomeni di latenza. Questo garantisce la persistenza virale anche in popolazioni formate da pochi individui che vivono in condizioni di isolamento. Complessivamente i nostri dati indicano interessanti spunti sull’epidemiologia delle patologie virali analizzate. La mancata significatività è probabilmente da attribuire alla bassa numerosità campionaria, pertanto saranno necessari ulteriori studi per confermare quanto osservato. La suddivisione per sesso non ha mostrato differenze significative fra maschi e femmine. Figura 3: sieroprevalenza per età La suddivisione per età mostra un trend crescente per la malattia di Aujeszky e per PCV2 al crescere dell’età, ma tale trend non è risultato significativo. Figura 4: sieroprevalenza per zone Bibliografia: 1) Ferroglio E., Acutis P.L., Masoero L., Gennero S., Rossi L. (2003) Indagine su una popolazione di cinghiali nelle Alpi occidentali. J. Mt. Ecol., 7 (Suppl.): 225-228. 2) Montagnaro S., Sasso S., De Martino L., Longo M., Iovane V., Ghiurmino G., Pisanelli G., Nava D., Baldi L., Pagnini U. (2010). Prevalence of antibodies to selected viral and bacterial pathogens in wild board (Sus scrofa) in campania Region, Italy. Journal of Wildlife Disease 46 (1) 316-319. 3) Oggiano A., Patta C., Laddomada A., Caccia A. (1991) Indagine sieroepidemiologica sulla diffusione della Malattia di Aujeszky nei cinghiali della Sardegna. Atti Società Italiana delle Scienze Veterinarie Volume XLV: 1157-1161. 4) Oggiano A., Patta C., Sarria A., Sanna M.L., Laddomada A., Cabras P. (1996) Indagini sieroepidemiologiche nei cinghiali in Sardegna. Supplemento alle Ricerche di Biologia della Selvaggina XXIV: 637-643. 5) Ruiz-Fons F., Segalés J., Gortázar C. (2008) A review of viral disease of European wild boar: Effects of population dynamics and reservoir role. The Veterinary Journal 176, 158-169 Infine la suddivisione per zone non ha mostrato differenze significative per PPV, AD e PRRS, mentre nel Nord è stata riscontrata una prevalenza significativamente superiore per PCV2 (p=0). Discussione Molti malattie virali hanno come ospite sia il suino che il cinghiale. Questo lavoro ha lo scopo di valutare l’eventuale circolazione nei cinghiali di alcuni virus di notevole importanza per l’allevamento suino, per i quali si pratica la vaccinazione su base volontaria nel domestico. La presenza di un reservoir selvatico può condizionare il successo di una eventuale campagna di controllo della malattia, soprattutto quando il domestico ed il selvatico condividono lo stesso habitat. Questo è il primo studio condotto in Sardegna per la ricerca di anticorpi contro i virus PRRS, PCV2 e PPV nei selvatici. Le percentuali di sieropositività riscontrate sono in accordo con quanto evidenziato da altri autori, anche se esiste una notevole variazione nella prevalenza individuata dai vari gruppi di ricerca 220 XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010 PROVE DI LISOGENIA CON VIRUS BATTERIOFAGI VETTORI DEL GENE STX2 IN CEPPI ENTEROPATOGENI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA ALIMENTI Delle Donne G., Mancusi R. , Trevisani M. Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale- Alma Mater Studiorum Università di Bologna Key words: Escherichia coli produttori di verocitotossine (VTEC), fago-lambda (λ), Shiga-tossina tipo 2 (Stx2). Introduzione: La presenza di Escherichia coli produttori di Shiga-tossine è un problema emergente di sicurezza alimentare. Dati nazionali mostrano che l’infezione è presente in modo diffuso negli allevamenti di bovini da carne e da latte (1,2,3,4,5). Tra i fattori che hanno influito sull’evoluzione della virulenza di questi batteri si ritiene abbiano un ruolo rilevante i virus batteriofagi di tipo lambda in grado di veicolare geni che codificano la produzione di shigatossina 2 (Stx2). I batteriofagi lambda StxII possono infatti infettare alcuni ceppi di Escherichia coli, inducendo un ciclo lisogeno ed integrando il gene che codifica la produzione di verocitotossina nel genoma. Se il ceppo ricombinante è un Escherichia coli enteropatogeno, cioè già possiede i geni eae o saa che codificano le intimine responsabili dell’adesione batterica ai villi intestinali, l’acquisizione della capacità di produrre verocitotossina rende il ceppo estremamente pericoloso per l’uomo, con l’eccezione di alcune varianti (Stx2e ed Stx2f) per le quali nella specie umana non ci sono i recettori cellulari. E’ possibile isolare dalla carne e dal latte bovino ceppi enteropatogeni dei sierotipi O157 e O26 che si dimostrano non verocitotossici (5). La presente ricerca mira a verificare se questi ceppi non verocitotossici possono essere infettati dai batteriofagi vettori del gene Stx2, poiché la conferma della loro recettività e della stabilità del fago nell’ospite batterico avrebbe una notevole rilevanza per la sanità pubblica se questo comporta che il ceppo acquisisce la capacità di produrre verocitotossine. A questo fine lo studio mira la verificare se l’integrazione del gene Stx2 nei ceppi lisogeni avviene nella regione prossima al gene rho, poiché recenti studi (6, 10) mostrano che solo se integrato in tale regione il gene Stx2 viene espresso e dà luogo alla produzione della tossina. Materiali e metodi: Nello studio di lisogenia è stato utilizzato un fago Stx2 isolato in precedenza da un campione di pelle bovina mediante la procedura descritta da Muniesa (6) e come ceppi ospiti stipiti di Escherichia coli isolati da filtri di due diversi impianti di mungitura del latte. I ceppi erano stati isolati impiegando le procedure definite dalle linee guida EFSA (7) e risultavano essere del sierotipo O157 e del sierotipo O26 (Tabella 1). In entrambe i ceppi era stata riscontrata la presenza del gene codificante Stx2, oltre che dell’intimina (eae), ma nei successivi passaggi le colonie mostravano di aver perso il gene Stx2. I ceppi sono stati analizzati per evidenziare la presenza dei geni caratterizzanti dell’isola di patogenicità OI-122 (8). La lisogenia è stata studiata applicando la procedura descritta da Muniesa et al. (6) ma il riconoscimento dei ceppi Stx2 lisogeni è stata fatta mediante isolamento su un terreno contenente cloramfenicolo dopo aver ricombinato il fago come descritto da Serra Moreno et al. (9) e in particolare ricombinando il fago Stx2 mediante inserimento del gene di resistenza al cloramfenicolo ( fago φstx2-ΔCm). In tal modo le colonie lisogene, oltre ad integrare il gene Stx2, sono resistenti all’antibiotico e possono essere facilmente isolate su terreni selettivi, senza ricorrere a tecniche d’ibridazione. Cinque colonie cloramfenicolo-resistenti per ciascun ceppo lisogeno sono poi state confermate mediante PCR impiegando la coppia di primer stx2A-Up e Cm3 in modo da identificare la presenza del gene Stx2. Quindi, amplificando con PCR la regione del genoma definita dalla coppia dei primer rho e Cm3, si verifica che l’inserzione di questo gene sia avvenuta in prossimità del gene rho batterico. Infine si verifica che la lisogenia si mantenga nel tempo, ripetendo per tre volte il trapianto delle colonie cloramfenicolo-resistenti su terreno LB agar contenente cloramfenicolo (10 µg L-1). Risultati: Da entrambe i ceppi ospite di Escherichia coli isolati dai filtri di latte è stato possibile ottenere lisogeni Stx2 positivi, ma delle 5 colonie analizzate per ciascun ce
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