caratterizzazione microbiologica dei compost da reflui

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caratterizzazione microbiologica dei compost da reflui
CARATTERIZZAZIONE MICROBIOLOGICA DEI COMPOST DA
REFLUI OLEARI
Milva Pepi e Silvano Focardi
Università degli Studi di Siena,
Dipartimento di Scienze Ambientali,
Via P.A. Mattioli, 4; 53100 Siena
1. Introduzione
1.1 Compost da reflui oleari e microrganismi
Durante il processo di compostaggio, i microrganismi degradano una parte della materia
organica a biossido di carbonio (CO2) ed acqua, in condizioni di aerobiosi, mentre la frazione di
materia organica rimanente dà luogo alla formazione di bio-fertilizzanti grazie alla produzione
di humus (Vlyssides et al. 1996; Tomati et al. 1996; Paredes et al. 2000; Bertoldi and
Shnappinger 2001; Baeta-Hall et al. 2004).
Un caratteristico processo di compostaggio richiede condizioni ottimali di temperatura
e di umidità, tali da permettere la crescita e lo svolgimento delle attività fisiologiche dei
microrganismi, ad esempio il contenuto in umidità deve essere compreso tra il 50 ed il 65%
(Arvanitoyannis and Kassaveti 2006).
Inoltre, una condizione importante per il buon funzionamento del processo di
compostaggio è rappresentato da una sufficiente aerazione e porosità tra le particella,
favorendo così il flusso di aria (Arvanitoyannis and Kassaveti 2006). Durante il processo di
compostaggio vengono aggiunti materiali igroscopici di supporto per mantenere livelli ottimali
di umidità e di aerazione (Caputo et al. 2002).
I reflui oleari vengono miscelati con porzioni di materiali diversi e la miscela viene
rigirata circa una volta a settimana, permettendo l’aerazione meccanica. I materiali miscelati ai
reflui oleari sono in genere costituiti da materiale di scarto dell’agricoltura ( sfalci e potature),
facilmente recuperabili e non costosi (Baeta-Hall et al. 2004). Questi materiali fanno diminuire
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il contenuto dell’umidità e forniscono un ulteriore supporto all’aerazione della miscela (BaetaHall et al. 2004). La temperatura gioca un ruolo vitale nel processo di compostaggio, ed è un
parametro legato all’attività microbica, al rapporto C:N ed al pH. La temperatura degli ammassi
di compost viene misurata giornalmente ad una profondità di 20 cm a partire dalla sommità
dell’ammasso, e da altri punti scelti a caso all’interno dell’ammasso stesso.
Il rimescolamento meccanico favorisce il graduale aumento della temperatura,
permettendone un aumento fino alla fase termofila (Baeta-Hall et al. 2004). Il rapporto C:N
intorno a 25–35 risulta essere il più favorevole per il compostaggio (Tomati et al. 1996;
Barrington et al. 2002, Charest and Beauchamp 2002; Baeta-Hall et al. 2004; Arvanitoyannis
and Kassaveti 2006). Se il rapporto C:N è elevato, il processo di compostaggio inizierà
lentamente e continuerà per un lungo periodo (Baeta-Hall et al. 2004).
Il processo di compostaggio richiede, in alcuni casi, periodi di oltre 6 mesi per
raggiungere lo stato di maturazione (Baeta-Hall et al. 2004). Talvolta è necessario ottimizzare
la crescita microbica se si è in un contesto industriale per la produzione di compost (Thassitou
and Arvanitoyannis 2002). In alcuni processi di compostaggio di sansa vergina tal quale il
materiale viene dapprima coperto da batteri mesofili e la relativa comunità microbica aumenta
alla fine del processo di compostaggio (Baeta-Hall et al. 2004).
I batteri mesofili iniziano la decomposizione delle sanse vergini tal quali a temperature
comprese tra 30 e 45°C, con il risultato di reazioni esotermiche che facilitano la crescita dei
batteri termofili a 50–60°C (Thassitou and Arvanitoyannis 2002). Se non monitorati, i batteri
termofili possono aumentare ulteriormente fino a temperature di circa 70°C, portando ad una
diminuzione dell’attività (Thassitou and Arvanitoyannis, 2002). Le concentrazioni di ossigeno, il
pH, il contenuto in umidità, il rapporto carbonio - azoto (C:N) e la taglia delle particelle, devono
quindi essere ottimizzati per raggiungere la massima efficienza del processo (Thassitou and
Arvanitoyannis 2002).
Dopo la fase termofila, il materiale del compost raggiunge il valore della temperatura
ambiente, una fase che costituisce lo stadio di maturazione (Baeta-Hall et al. 2004). Per quanto
riguarda il compost ottenuto dai reflui oleari, l’aerazione meccanica è il metodo più efficace
per raggiungere lo stadio di maturazione (Baeta-Hall et al. 2004).
Questo metodo favorisce inoltre l’aumento della temperatura ed il raggiungimento di
una migliore efficienza durante l’umificazione (Baeta-Hall et al. 2004). L’aerazione meccanica è
più vantaggiosa dal punto di vista energetico e necessita di una minore specializzazione da
parte dei tecnici coinvolti (Baeta-Hall et al. 2004).
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Il contenuto in fenoli ed in lipidi caratteristico dei reflui oleari si riduce drasticamente
alla fine del processo di compostaggio (Baeta-Hall et al. 2004). La materia organica viene
ridotta di più del 50% nello stadio finale del compostaggio (Baeta-Hall et al. 2004). La stabilità
del compost dipende dal grado di humificazione e si ha una riduzione in fitotossicità alla fine
della maturazione del compost (Baeta-Hall et al. 2004) (Fig. 1).
O2
microrganismsi (batteri, attinomiceti, funghi)
enzimi
CO2
calore
materia organica
•
proteine
•
carboidrati
•
lipidi
•
lignina
humus
rapporto C/N
umidità
temperatura
pH
Figura 1. Schema del processo di compostaggio e ruolo dei microrganismi nella trasformazione
dei substrati e produzione di CO2, calore ed humus.
1.2 I microrganismi del compostaggio
Nel processo di compostaggio, i microrganismi trasformano i substrati organici e gli agenti
igroscopici aggiunti al compost, entrambi derivati da materiale vegetale. I componenti
principali della materia organica sono rappresentati da carboidrati (e.g. cellulosa), proteine,
lipidi e lignina. La capacità dei microrganismi di assimilare la materia organica dipende dalla
loro attitudine a produrre gli enzimi necessari per la degradazione dei substrati. Più complesso
è il substrato, più esteso ed adattabile è il sistema di enzimi richiesto. Attraverso l’azione
sinergica dei microrganismi, i composti organici complessi vengono degradati a piccole
molecole che possono poi essere utilizzate dalle cellule microbiche (Golueke, 1991, 1992¸
Tuomela et al. 2000).
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I microrganismi richiedono una fonte di carbonio, macronutrienti come azoto, fosforo
e potassio per la loro crescita. Il carbonio serve in primo luogo come fonte di energia per i
microrganismi, mentre una piccola frazione dello stesso carbonio viene incorporato all’interno
delle loro cellule. Una parte dell’energia che si viene a formare viene utilizzata per il
metabolismo microbico, e la parte rimanente viene rilasciata come calore. L’azoto rappresenta
un elemento critico per i microrganismi perché è un componente delle proteine, degli acidi
nucleici, di aminoacidi, di enzimi e co-enzimi ed è necessario per la crescita della cellula e per il
suo funzionamento. Se l’azoto costituisce un fattore limitante durante il compostaggio il
processo di degradazione risulta lento. Per contro, se c’è un eccesso di azoto, questo viene
spesso perduto dal sistema in forma di gas come ammonio o altri composti dell’azoto. Il
rapporto ottimale C/N risulta compreso tra 25 e 40, ma il valore può variare in funzione del
substrato (Golueke, 1991).
I microrganismi sono capaci di utilizzare le molecole organiche solubili in acqua. Se il
contenuto in umidità scende sotto un livello critico, l’attività microbica diminuisce ed i
microrganismi entrano in una fase di dormienza. Per contro, un livello di umidità troppo
elevato può causare una perdita di aerazione e la lisciviazione dei nutrienti, con la presenza di
zone di anaerobiosi ed una diminuzione della velocità di degradazione e l’insorgenza di
problemi dovuti agli odori (Golueke, 1991).
In condizioni ottimali, il compostaggio procede attraverso tre fasi: (1) la fase mesofila,
(2) la fase termofila, che si protrae da pochi giorni ad alcuni mesi, e (3) la fase di
raffreddamento e maturazione che si protrae per diversi mesi.
La lunghezza delle fasi di compostaggio dipende dalla natura della materia organica
che deve essere compostata e dalla efficienza del processo, che viene determinato anche dal
grado di aerazione e di agitazione. All’inizio del compostaggio la massa si trova a temperatura
ambiente e di solito è leggermente acida. Le fonti di carbonio solubili e facilmente degradabili,
come i monosaccaridi, amidi e lipidi, vengono utilizzati dai microrganismi nei primo stadio del
compostaggio. Il pH diminuisce perché durante la degradazione di questi composti si formano
acidi organici. Nello stadio successivo i microrganismi iniziano a degradare le proteine, con il
risultato della liberazione di ammonio e di un aumento dei valori di pH. Dopo che sono state
consumate le fonti di carbonio facilmente degradabili, vengono degradati e parzialmente
trasformati in humus i composti più resistenti come cellulosa, emicellulose e lignina
(Crawford, 1983, Paatero et al., 1984).
L’humus è il prodotto finale del processo di humificazione, nel quale i composti di
origine naturale vengono parzialmente trasformati in sostanze humiche relativamente inerti.
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Le sostanze humiche possono essere considerate la riserva più importante di carbonio
organico nei suoli e negli ambienti acquatici (Aiken et al., 1985). Non è ancora ben nota la
struttura definitiva delle sostanze humiche, ma queste vengono solitamente divise in gruppi
sulla base del frazionamento chimico. La materia organica presente nel compost è solitamente
complessa dal punto di vista chimico ed è difficile da scomporre. Aiken et al. (1985) hanno
diviso le sostanze humiche nei seguenti gruppi: humina (non solubile in acqua a qualsiasi pH),
acidi humici (non solubili in acqua in condizioni acide) ed acidi fulvici (solubile in acqua in tutte
le condizioni di pH).
Il compostaggio è un processo dinamico effettuato da popolazioni microbiche in rapida
successione. I gruppi principali di microrganismi coinvolti sono batteri, inclusi gli attinomiceti,
ed i funghi (Golueke, 1991). Sebbene il numero complessivo di microrganismi non cambia in
modo significativo durante il compostaggio, la diversità microbica può variare durante le
diverse fasi del compostaggio (Atkinson et al., 1996a). La natura precisa della successione ed il
numero dei microrganismi in ciascuna fase del compostaggio dipende dal substrato e dal
microrganismo precedente (Crawford, 1983).
Figure 2 – Le ife del micelio vegetative di Saccharomonospora viridis ceppo P101T sono
ramificate ed in alcuni casi sono presenti estremità arrotolate. Le singole spore sono osservate
solo nel micelio aereo (Pati et al. 2009)
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All’inizio del compostaggio i batteri mesofili predominano, ma dopo che la
temperatura è aumentata oltre i 40°C, si rilevano i batteri termofili ed anche i funghi termofili
si manifestano nel compost. Quando la temperatura eccede i 60°C, l’attività microbica
diminuisce drammaticamente, ma dopo che il compost si è raffreddato i batteri mesofili e gli
attinomiceti predominano ancora (McKinley and Vestal, 1985; Strom, 1985a).
Il compostaggio è generalmente un processo aerobico, ma si possono sviluppare
microambienti anaerobi. Atkinson et al. (1996b) hanno stimato che almeno l’1% di tutti i
batteri riscontrati nel compost da rifiuti solidi urbani sono anaerobi. Tutti i batteri anaerobi
riscontrati sono altamente cellulosolitici e quindi in grado di giocare un ruolo significativo nella
degradazione delle macromolecole. La maggior parte dei batteri anaerobi mesofili sono
facoltativi, mentre in condizioni di termofilia vengono riscontrati batteri anaerobi in maggiore
quantità (Atkinson et al., 1996b).
1.3 Batteri e funghi del compost
Tra i microrganismi che guidano il processo di compostaggio, i batteri sono strutture
unicellulari con dimensioni che vanno da 0,5 a 3,0 µm. A causa della loro piccola taglia, i batteri
hanno un rapporto superficie/volume molto elevato, tale da permette rapidi trasferimenti di
substrati solubili nella cellula. Come conseguenza, i batteri sono solitamente molto più
dominanti rispetto ai microrganismi più grandi come i funghi. Alcuni batteri, e.g. Bacillus spp.,
sono capaci di produrre endospore con spesse pareti che sono molto resistenti al calore, alle
radiazioni ed ai disinfettanti chimici (Haug, 1993).
Un ampio intervallo di batteri son stati isolati da differenti ambienti di compost, e sono
stati assegnati ai generi Pseudomonas, Klebsiella e Bacillus (Nakasaki et al., 1985; Strom,
1985a,b; Falcón et al., 1987). Specie batteriche caratteristiche della fase termofila
appartengono al genere Bacillus, e.g. B. subtilis, B. licheniformis e B. circulans. Strom (1985b)
ha riportato che una percentuale pari all’87% di colonie selezionate a caso durante la fase
termofila del compostaggio apparteneva al genere Bacillus. Molte specie termofile del genere
Thermus sono state inoltre isolate dal compost a temperature elevate, fino a 65°C ed anche
82°C (Beffa et al., 1996).
Gli attinomiceti sono batteri che formano filamenti multicellulari, quindi possono
assomigliare ai funghi. Essi sono particolarmente evidenti durante la fase termofila, come
anche durante la fase di raffreddamento e maturazione del compost, e possono essere così
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numerosi da divenire visibili sulla superficie del compost. Gli attinomiceti termofili sono stati
isolati a partire da un’ampia serie di substrati naturali, e.g. dalla sabbia del deserto e dal
compost (Cross, 1968). I generi degli attinomiceti termofili isolati dal compost comprendono
Nocardia, Streptomyces, Thermoactinomyces e Micromonospora (Waksman et al., 1939b;
Strom, 1985a). Gli attinomiceti sono capaci di degradare alcuni tipi di cellulosa e possono
solubilizzare la lignina, ed inoltre tollerano temperature e pH più alti rispetto ai funghi. Quindi
gli attinomiceti sono agenti importanti per la degradazione della ligno-cellulosa durante i picchi
di temperatura, anche se la loro capacità di degradare la cellulosa e la lignina non è così
elevata come quella dei funghi (Crawford, 1983). In condizioni avverse gli attinomiceti
sopravvivono in forma di spore (Cross, 1968).
Per quanto riguarda i funghi, il fattore più importante che influenza la loro crescita è la
temperatura. Altri fattori importanti sono le fonti di carbonio e di azoto, ed il pH. Per la
crescita dei funghi è necessario un livello moderatamente alto di azoto, sebbene alcuni funghi,
principalmente funghi che degradano il legno, crescono in presenza di un basso livello di azoto.
Infatti, un basso livello di azoto rappresenta spesso un prerequisito per la degradazione della
lignina (Eriksson et al., 1990; Dix and Webster, 1995). La maggior parte dei funghi preferisce un
ambiente acido ma tollera un ampio intervallo di pH, ad eccezione dei Basidiomycotina che
non crescono bene ad un pH superiore a 7,5. Le specie del genere Coprinus sono le uniche dei
Basidiomycotina che richiedono un ambiente alcalino (Dix and Webster, 1995).
La maggior parte dei funghi è costituita da mesofili, che crescono in un intervallo di
temperatura che va dai 5°C ai 37°C, con un optimum compreso tra 25 e 30°C (Dix and Webster,
1995). Tuttavia, nell’ambiente del compost la temperatura elevata significa che un piccolo
gruppo di funghi termofili costituisce un importante agente di biodegradazione. In natura i
funghi termofili crescono nei mucchi di compost nei giardini, nei nidi degli uccelli, mucchi di
carbone, nei tubi e negli scarichi per il raffreddamento delle centrali elettriche, negli stoccaggi
di molti prodotti agricoli (come fieno, grano, etc.) ed in mucchi di trucioli di legno nella torba
(Sharma, 1989; Dix and Webster, 1995). Nel compost per la crescita dei funghi, i funghi
termofili sono responsabili della degradazione della lignocellulosa, che è un prerequisito per la
crescita dei funghi commestibili (Sharma, 1989).
Cooney ed Emerson (1964) definiscono i funghi termofili come funghi con un massimo
di crescita di temperatura di 50°C o più alti e con un minimo di temperatura di 20°C o più alto.
Le specie termotolleranti hanno un massimo di temperatura di crescita di circa 50°C ed un
minimo ben al di sotto di 20°C (Cooney and Emerson, 1964). Crisan (1973) definisce tuttavia
termofili quei funghi che presentano un optimum di temperatura uguale o superiore a 40°C.
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Alcuni funghi termotolleranti e termofili sono noti per avere attività cellulosolitica o
ligninolitica, o si possono ritrovare in crescita su substrati di lignocellulosa o compost.
Alcune specie e di funghi termofili sono state caratterizzate (Cooney and Emerson,
1964; Crisan, 1973, Rosenberg, 1975, Brock, 1978, Mouchacca, 1997). L’optimum della
temperatura di crescita per la maggior parte dei funghi termofili è compresa tra 40°C e 50°C ed
il massimo è di 55°C. In accordo con Cooney ed Emerson (1964), 60°C rappresentano la
temperatura limite per i funghi e, in accordo con Brook (1978), 60-61,5°C è la temperatura
limite per tutti gli eucarioti. La tolleranza alle temperature varia tra i generi ed anche tra i
diversi isolati delle specie dei funghi. Il substrato può anche avere alcune influenze sulla
tolleranza alle temperature (Ofosu-Asiedu and Smith, 1973). Sono stati invece descritti funghi
capaci di crescere oltre i 61,5°C. El-Naghy et al. (1991) hanno riportato una attività di
saccarificazione in Sporotrichum thermophile (sin. Myceliophthora thermophile) a 65°C, ed
Ofosu-Asiedu e Smith (1973) mostrarono che Talaromyces emersonii era ancora molto attivo
dopo quattro settimane a 60°C, indicando che il fungo può essere attivo anche a temperature
più elevate. Tuttavia, la crescita del fungo vicino al massimo di temperatura è molto lenta, se
confrontata con quella all’optimum di temperatura (Rosenberg, 1975).
I più attivi degradatori di lignina sono i Basidiomycotina, ma in accordo con Cooney ed
Emerson (1964) tutti i Basidiomycotina sono mesofili. Tuttavia, un piccolo gruppo di
Basidiomycotina cresce bene ad elevate temperature. Phanerochaete chrysosporium è un
fungo della muffa bianca con un optimum di temperatura di 36-40°C ed un massimo di
temperatura di 46-49°C. Ganoderma colossum è un altro fungo della muffa bianca che è
ancora capace di crescere a 45°C ed ha un optimum di crescita a 40°C (Adaskaveg et al., 1990;
1995). Nel genere Coprinus ci sono alcune specie che hanno un optimum di temperatura
superiore ai 40°C (Crisan, 1973). Alcune specie di Coprinus del marciume del legno sono funghi
della marciume bruno che modificano, piuttosto che degradare la lignina (Rayner and Boddy,
1988).
Un fungo termofilo appartenente alla sottodivisione Ascomycotina, Thermoascus
auranticus, ha mostrato un’elevata capacità ligninolitica (Machuca et al., 1995), ed è stato
isolato dal compost (von Klopotek, 1962). Funghi del marciume lieve termo-tolleranti come
Thielavia terrestris, Paecilomyces sp. e Talaromyces thermophilus, sono debolmente
ligninolitici (Dix and Webster, 1995).
Waksman et al. (1939a,b) hanno studiato il compostaggio su scala di laboratorio alle
temperature di 28°C, 50°C, 65°C e 75°C. A 28°C la popolazione era eterogenea con i batteri che
risultavano dominanti in tutto l’intero periodo, ed i funghi appaiono successivamente. I funghi,
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insieme ai batteri ed agli attinomiceti, formano la popolazione microbica nel compost a 50°C.
All’inizio ci sono funghi termofili attivi, i quali vengono poi seguiti dai batteri e dagli
attinomiceti, alcuni dei quali crescono sul micelio fungino. I compost utilizzati in altri studi
descritti sopra erano su ampia scala.
Il materiale grezzo del compost contiene circa 106 conte microbiche di funghi
mesofili/g di materiale grezzo e 103-106/g di funghi termofili (von Klopotek, 1962; Thambirajah
and Kuthubutheen, 1989; Thambirajah et al., 1995). Il fungo mesofilo predominante nel
materiale grezzo è stato individuato essere il genere Geotrichum (von Klopotek, 1962;
Nusbaumer et al., 1996) ed il fungo termofilo l’Aspergillus fumigatus (von Klopotek, 1962). Le
conte dei funghi diminuiscono all’aumentare delle temperature, ed a 64°C tutti i funghi
temofili scompaiono. Tuttavia, un fungo mesofilo, Cladosporium cladosporioides, cresce bene a
64±65°C, ma non son stati riscontrati funghi ad una temperatura di 67°C (von Klopotek, 1962).
Negli studi di Thambirajah et al. (1995) e Waksman et al. (1939a,b), non erano stati individuate
funghi quando la temperatura superava i 60°C. Nello studio di Thambirajah e Kuthubutheen
(1989) i funghi sopravvivono alle alte temperature, probabilmente per il breve tempo di durata
del picco di riscaldamento. Quando la temperatura scende sotto i 60°C, i funghi mesofili e
quelli termofili riappaiono nel compost (von Klopotek, 1962; Thambirajah et al., 1995). Il fungo
dominante dopo il picco di temperatura è il genere Aspergillus (Nusbaumer et al., 1996) o la
specie Thermomyces lanuginosus (von Klopotek, 1962), che era stato individuate come fungo
dominante anche a 50°C. T. lanuginosus è in grado di decomporre la cellulosa, le emicellulose
ed anche la lignina, sebbene con una bassa efficienza rispetto agli altri componenti (Waksman
et al.,1939a,b). Thambirajah e Kuthubutheen (1989) e Thambirajah et al. (1995) hanno messo
in evidenza che il numero di funghi mesofili e termofili fungi (104±106/g) nel compost maturo
era lo stesso, ma von Klopotek (1962) ha mostrato che i funghi termofili dominavano,
soprattutto nelle zone secche del compost maturo.
Coprinus sp. (von Klopotek, 1962; Nusbaumer et al., 1996), Panaeolus sp., Corticium
coronilla e forse Mycena sp. (von Klopotek, 1962) sono Basidiomycotina che si riscontrano nel
compost. Questi sono stati tutti isolati dal compost durante la fase di raffreddamento e di
maturazione o da compost maturo (von Klopotek, 1962; Nusbaumer et al., 1996).
1.4 Casi di studio microbiologici del compost da reflui oleari
Le comunità microbiche del compost da reflui oleari possono selezionare per microrganismi
con caratteristiche peculiari. Alcuni batteri capaci di degradare i tannini, selezionati all’interno
di compost da reflui oleari, sono stati isolati in presenza di acido tannico come unica fonte di
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carbonio e di energia. I ceppi batterici isolati sono stati assegnati ai generi Serratia e Pantoea.
In questo studio, per la prima volta, ceppi batterici capaci di degradare l’acido tannico sono
stati isolati da compost allestito da reflui oleari (Pepi et al., 2010).
Le comunità microbiche di compost da reflui oleari di un sistema a due fasi sono state
caratterizzate sia dal punto di vista genetico, sia fisiologico, mettendo in evidenza un’elevata
biodiversità ed una variabilità nelle conte dei microrganismi nella fase termofila. Inoltre sono
stati messi in evidenza microrganismi capaci di degradare i tannini, ed alcuni ceppi sono stati
isolati dalla stessa fase termofila ed identificati come Lysinibacillus fusiformis, Kocuria palustris,
Tetrathiobacter kashmirensis e Rhodococcus rhodochrous, ed è stato definito il loro ruolo nella
degradazione di acido tannico e nella produzione di tannasi (Federici et al., 2011).
Studi sulle comunità microbiche, inclusi i batteri patogeni, E. coli e Salmonella spp., e
sulle attività enzimatiche in compost da reflui oleari hanno mostrato la diminuzione della
tossicità e della patogenicità e lo sviluppo di attività enzimatiche positive all’interno del
compost (Sciancalepore et al., 1996).
La presenza di microrganismi con caratteristiche vantaggiose è stata inoltre messa in
evidenza nel compost da reflui oleari, come nel caso di uno studio che ha mostrato un
aumento delle popolazioni di batteri azoto-fissatori alla fine della fase termofila del
compostaggio (Galli et al., 1997). L’aumento di nitrati e la presenza di batteri azoto fissatori
sono stati inoltre messi in evidenza in suoli ammendati con compost da reflui oleari,
suggerendo il ruolo positivo delle aggiunte del compost prodotto da reflui oleari (Pepi et al.,
2009).
Altri aspetti microbiologici positivi sono stati inoltre messi in evidenza, sempre in
compost da reflui oleari, dove sono stati individuati lieviti, funghi e batteri eterotrofi,
cellulolitici e nitrificanti, quindi attivi all’interno del compost e con un ruolo di primo piano
nella trasformazione dei composti organici in compost maturo (Filippi et al., 2002).
1.5 I tannini
I tannini, composti polifenolici ampiamente diffusi in natura, si ritrovano nelle foglie, nella
frutta e nei semi, così come nel legno e nella corteccia degli alberi.
Secondo gruppo polifenolico per ordine di abbondanza dopo la lignina, sono composti
metabolici secondari delle piante, in quanto non hanno un ruolo diretto nel loro metabolismo.
Il peso molecolare di questo gruppo varia tra i 500 ed i 3000 Dalton (Kumar et al., 1999).
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Differiscono dagli altri polifenoli in quanto hanno la capacità di far precipitare le
proteine presenti in soluzione, dando luogo a complessi molto stabili ed inoltre hanno la
capacità di reagire anche con altre macromolecole quali amido, cellulosa e minerali (Aguilar e
Gutiérrez-Sànchez, 2001). Sulla base della loro struttura e delle loro proprietà i tannini ed i loro
derivati vengono classificati in quattro gruppi differenti: i) gallotannini; ii) ellagitannini (questi
due gruppi sono anche detti tannini idrolizzabili); iii) tannini complessi; iv) tannini condensati
(Aguilar et al., 2007) (Fig. 2).
Figura 2 - Strutture chimiche dei tannini (da Mingshu et al., 2006).
I gallotannini sono caratterizzati dalla presenza di molecole di acidi organici, come
l’acido gallico ed il digallico, esterificati ad un nucleo centrale di zucchero (generalmente
glucosio).
Gli ellagitannini formano blocchi di unità di acido ellagico legati ai glucosidi e sono
frequentemente presenti nella corteccia degli alberi e nel legno. Gli ellagitannini sono molto
più stabili dei gallotannini in quanto presentano il legame carbonio-carbonio.
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Il gruppo dei tannini complessi è costituito da strutture ottenute dalle reazioni tra
l’acido gallico o l’acido ellagico con le catechine ed i glucosidi.
I tannini condensati sono composti complessati ad un gruppo centrale di flavonoidi e
non vengono considerati facilmente idrolizzabili (Aguilar et al., 2007). Tra questi è possibile
trovare i derivati delle catechine, come ad esempio la cianidina e la delfinidina, responsabili del
carattere astringente di alcuni tipi di frutta e del vino (Sanchez, 2001).
Quando sono presenti in elevate concentrazioni nel suolo, i tannini possono rallentare
il tasso di decomposizione della sostanza organica, agendo indirettamente con l’inibizione
degli enzimi degradanti dei microorganismi (Scalbert, 1991). Uno degli effetti negativi dei
tannini riguarda la nutrizione animale, per la capacità di dar luogo a complessi stabili tra gli
enzimi ed i minerali altrimenti richiesti dai microrganismi presenti nell’apparato digerente
(Aguilar et al., 2007).
I tannini possono avere un impatto negativo per l’ambiente. Ad esempio, i tannini
residui presenti negli scarichi delle concerie e nei reflui delle industrie agricole possono avere
effetti negativi per gli organismi viventi, sia acquatici che terrestri, causando così seri problemi
di inquinamento ambientale (Kumar et al., 1999).
I tannini sono in grado di inibire anche la crescita di un gran numero di microorganismi
(Akiyama et al., 2001), presentano infatti non solo degli effetti antimicrobici, ma anche degli
effetti antivirali (Kim et al., 2010). I tannini idrolizzabili resistono all'attacco microbico e sono
quindi recalcitranti; sia questi che quelli condensati in forma insolubile si legano alle pareti
cellulari ed alle proteine, rendendo queste strutture chimicamente e fisicamente, meno
accessibili all’attacco dei microrganismi decompositori e quindi resistenti alla biodegradazione
(Field e Lettinga, 1992).
Nonostante le proprietà antimicrobiche dei tannini, alcuni batteri appartenenti ai
generi Bacillus (Mondal e Paty, 2000), Klebsiella (Deschamps, 1983), Citrobacter (Kumar et al.,
1999), nonché funghi e lieviti sono resistenti a queste molecole ed hanno sviluppato alcuni
meccanismi per degradarli in ambienti naturali, utilizzandoli come fonte di carbonio e di
energia (Deschamps, 1989).
1.6 L’acido tannico
L'acido tannico, appartenente al gruppo dei gallotannini, è un polifenolo idrosolubile
contenente zuccheri esterificati (in maggior parte glucosio) ed acidi fenol-carbossilici come
12
l’acido gallico, l’acido esaidrossidifenico o il suo stabile dilattone, l’acido ellagico (Akiyama et
al., 2001). L’acido tannico mostra caratteristiche positive, come le proprietà antiossidanti,
antimutagene, anticarcinogeniche, antimicrobiche ed antivirali, unite a proprietà negative,
come l’attività pro-ossidante e la tossicità indotta se è presente in elevate concentrazioni.
Come composto antiossidante, l’acido tannico viene ampiamente utilizzato come
additivo nell’industria alimentare ed in quella farmaceutica. Inoltre si è mostrato utile nel
prevenire l’ossidazione dei lipidi di membrana, ed agisce come mediatore dei danni prodotti
dall’ossigeno e dai suoi radicali liberi sul DNA. Così come la gran parte dei polifenoli naturali,
l’acido tannico presenta anche attività pro-ossidanti. E’ stato infatti dimostrato che in presenza
di Cu(II) l’acido tannico provoca la degradazione del DNA originando le specie reattive
dell’ossigeno (Khan et al., 2000) (Fig. 3).
Figura 3 - Struttura chimica dell’acido tannico (da Kim et al., 2010).
A causa della sua natura idrosolubile, l’acido tannico può indurre effetti tossici per gli
organismi acquatici come le alghe, il fitoplankton, i pesci e gli invertebrati (Wang et al., 2009).
Per le sue note proprietà antimicrobiche, l’acido tannico può inibire la crescita dei
batteri dell’intestino, probabilmente a causa della sua forte capacità di legare il ferro,
diminuendone la biodisponibilità. E’ stata infatti individuata l’inibizione della crescita per
batteri dei generi Bacteroides, Clostridium, Enterobacter, Escherichia, Salmonella (Chung et al.,
13
1998). E’ stata riscontrata anche l’inibizione della crescita di batteri appartenenti a generi
diversi: Aeromonas (Chung et al., 1995), Cytophaga (Zhao et al., 1997), Helicobacter
(Funatogawa et al., 2004), Klebsiella, Listeria e Staphylococcus (Chung et al., 1993).
Nonostante le proprietà antimicrobiche, sono tuttavia noti batteri acido tannicodegradanti. Lewis e Starkey (1969) individuarono per la prima volta la degradazione dell’acido
tannico da parte di batteri anaerobi Achromobacter sp. Deschamps et al., riportarono uno
studio dettagliato riguardante questo fenomeno e attraverso la tecnica delle colture di
arricchimento, in cui l'unica fonte di carbonio risultava essere l'acido tannico, isolarono
quindici differenti ceppi batterici acido tannico-degradanti, che risultarono appartenere ai
generi Bacillus, Staphylococcus e Klebsiella. (Deschamps et al., 1980, 1983, 1985; Deschamps e
Lebeault, 1981). Studi recenti hanno inoltre messo in evidenza ulteriori ceppi batterici acido
tannico-degradanti appartenenti ai generi Lactobacillus (Ayed e Hamdi, 2002; Kostinek et al.,
2007; Rodríguez et al., 2008; Sasaki et al., 2005), Streptococcus (Sasaki et al., 2005), Pantoea
(Pepi et al., 2010), Pseudomonas (Selwal et al., 2009), Serratia (Belur et al., 2010; Pepi et al.,
2010). Batteri capaci di crescere in presenza di 2 g l-1 di acido tannico vengono comunemente
considerati come acido tannico-resistenti (Pell et al., 2000).
Sono inoltre noti alcuni ceppi di funghi di Aspergillus sp., Fusarium sp., Penicillium sp. e
Sporotrichum sp. (Chandra et al., 1973; Makkar et al., 1994; Saeki et al., 1980) ed anche ceppi
di lieviti come quelli delle specie Candida nitrativorans, Debaromyces hansenii, Pichia adzetti,
P. monospora, P. polymorpha e P. strasburgensis, che sono stati caratterizzati e sono in grado
di degradare l’acido tannico (Jacob e Pignal, 1975).
1.7 L’enzima tannasi
La Tannin acil idrolasi (E.C. 3.1.1.20), conosciuta come tannasi, è un enzima scoperto in modo
casuale da Tieghem nel 1867, nel corso di un esperimento di formazione dell'acido gallico a
partire da una soluzione acquosa di tannini, in cui crescevano due specie funginee,
successivamente identificate come Penicillium glaucum e Aspergillus niger (Lekha e Lonsane,
1997).
La tannasi è un enzima inducibile, in grado di catalizzare l'idrolisi dei legami estere dei
tannini idrolizzabili (come l'acido tannico, il metil gallato, l'etil gallato, l’n-propilgallato e
l'isoamil gallato), dei tannini complessi e degli esteri dell’acido gallico. L'acido tannico viene
completamente idrolizzato dalla tannasi ad acido gallico e glucosio (Aguilar et al., 2007) (Fig.
4).
14
Tra i produttori della tannasi, oltre ai funghi, è possibile trovare anche batteri (Ayed e
Hamdi, 2002; Kumar et al., 1999; Deschamps et al., 1983; Mondal e Pati, 2000) e lieviti. Non ci
sono molte informazioni riguardanti la produzione di tannasi da parte dei lieviti, ad eccezione
di uno studio condotto da Kumar et al., (1999), dove venne riportato che Paecilomyces sp. era
in grado di idrolizzare i tannini ad acido gallico. Nonostante i funghi siano il più grande gruppo
di decompositori dei tannini, il loro utilizzo comporta delle limitazioni in quanto l’efficacia
risulta essere bassa, non solo a causa della crescita lenta, ma anche perché la loro attività può
essere rilevata solamente quando le concentrazioni di tannini risultano minime (Lekha et al.,
1993)..
15
Figura 4 - Meccanismi di azione della tannasi (da Mingshu et al., 2006).
L’utilizzo dei ceppi batterici acido tannico-degradanti per la produzione della tannasi
risulta più vantaggioso in quanto la crescita e la produzione dell’enzima risultano meno
difficoltose (Mingshu et al., 2006). In questo caso infatti, grazie alla natura inducibile
dell’enzima, l’acido tannico agisce sia come induttore, sia come unica fonte di carbonio.
Inoltre, l’aggiunta di basse concentrazioni di glucosio o lattosio come fonti di carbonio, ne
aumentano la produzione (Mingshu et al., 2006).
La tannasi può essere utilizzata anche in processi di biorisanamento, attraverso le
reazioni che si possono effettuare applicando sia l’enzima purificato, sia la cellula batterica
intera (Li e Trost, 2008). L’insieme di queste applicazioni rientra nell’ambito delle reazioni di
biocatalisi a singolo step (nome generico di una catalisi naturale, effettuata al fine di compiere
delle trasformazioni chimiche sui residui organici). Di queste fanno parte le reazioni di ossidoriduzione, di amminazione, di glicosilazione, di idrolisi, nonché le reazioni di formazione e di
rottura del legame carbonio-carbonio (Wohlgemuth, 2007).
La tannasi, essendo un’acil-idrolasi, compie le reazioni di idrolisi del substrato,
effettuabili sia in fase acquosa che in quella non-acquosa, senza l’utilizzo di cofattori
(Wohlgemuth, 2010). La possibilità di impiego di queste biotecnologie fanno della biocatalisi
una nuova frontiera della biologia, in quanto le industrie necessitano sempre più di ottenere
composti in maniera rapida, efficiente, a basso impatto ambientale e soprattutto a bassi costi
(Wohlgemuth, 2007). L’impiego della biocatalisi non riguarda solo gli ambiti più strettamente
chimico-farmacologici ma si estende anche in campo ambientale, come possibile impiego in
16
processi di biorisanamento. La tannasi, grazie alle sue proprietà, potrebbe essere utilizzata per
esempio per la degradazione dei tannini contenuti nei rifiuti industriali (Kar e Banerjee, 2000),
come quelli prodotti dalle concerie (Gammoun et al., 2006). Gli scarti ottenuti dalla molitura
delle olive contengono un elevato contenuto di composti polifenolici, compresi i tannini in
forma condensata ed idrolizzabile e richiedono procedure appropriate per lo smaltimento.
Anche in questo caso l’impiego della tannasi può risultare vantaggioso (Bettazzi et al., 2006).
Purtroppo, l'utilizzo di questo enzima è limitato a causa delle insufficienti conoscenze
sulle sue proprietà, sulle condizioni ottimali di attività e dalla difficoltà derivate dalle
applicazioni su larga scala. L'enzima viene comunque utilizzato nei processi di trasformazione
di cibi e bevande, nell'elaborazione di tè istantanei e come agente chiarificante in vini, birre,
succhi di frutta (Aguilar et al., 2007).
Le maggiori applicazioni commerciali delle tannasi si hanno nella produzione in ambito
farmaceutico, dell’acido gallico (Pourrat et al., 1985). Questo catecolo infatti, è un intermedio
chiave per la sintesi di un medicinale antifolico ed antimicrobico, il trimethoprim. L'acido
gallico viene inoltre utilizzato come substrato per la sintesi enzimatica del propilgallato, un
potente antiossidante. Lekha e Lonsane (1997) descrivono l'utilizzo di questo enzima anche in
campo alimentare, poiché il trattamento e la sintesi di esteri, dà luogo ad un composto
antiossidante, il propilgallato, il quale può essere utilizzato sia nell'industria alimentare, sia
come resina fotosensibile per la produzione di semiconduttori.
1.8 Importanza dello studio dei microrganismi degradanti l’acido tannico
La ricerca di specie microbiologiche capaci di degradare i tannini risulta pertanto fondamentale
per migliorare i sistemi di gestione dei reflui oleari, con lo scopo di ridurre i danni prodotti da
un settore industriale ad oggi in continua espansione e che interessa in particolare il bacino del
Mediterraneo (Bhat et al., 1998).
17
2. Materiali e metodi
2.1 Caratterizzazione del compost allestito dai reflui oleari e campionamento
Il compost dei reflui oleari (Olive Mill Waste, OMW) utilizzato è stato prodotto secondo il
metodo messo a punto nell’ambito del progetto TIRSAV. Il refluo oleario, costituito da sanse e
noccioli di olive è stato denocciolato e unito ad additivi organici igroscopici costituiti da paglia
(8,5%), scarti di lana (11%) e segatura (8,5%), al fine di produrre una miscela non percolante ed
inodore. La miscela del compost è stata inserita all’interno di sacchi di rete in modo da
permettere il metabolismo aerobico durante il processo di compostaggio (Altieri e Esposito,
2008). La miscela di compost è stata mantenuta per 60 giorni in sacchi, in due differenti
condizioni: in serra (indoor) e all’esterno, al riparo dalla pioggia (outdoor). Per favorire il
metabolismo microbico solo alla miscela mantenuta in condizioni indoor è stata
periodicamente aggiunta acqua per mantenere un’umidità superiore al 50% (Altieri e Esposito,
2008) (Fig. 5).
a
b
Figura 5 - Processo di compostaggio aerobico della miscela di reflui oleari: a) indoor; b)
outdoor.
I campioni di compost sono stati prelevati intorno al 40° giorno, mentre il processo di
compostaggio completo ha avuto una durata di 60 giorni (Baeta-Hall et al., 2005). I campioni di
compost sono stati prelevati impiegando spatole e pinzette sterili e mantenuti a 4°C all’interno
di contenitori sterili (Wirl-pak, Nasco). I campioni sono stati trasportati in laboratorio nel più
breve tempo possibile ed immediatamente processati. Le proprietà della miscela impiegata per
gli studi di microbiologia qui condotti sono state rilevate dal gruppo di ricerca dell’Istituto per i
Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, CNR, Via della Madonna Alta, 128; 06128 Perugia,
e sono state riportate in Tabella I.
18
Tabella I - Principali caratteristiche dell’OMW utilizzato per l’inoculo; T0=inizio del
compostaggio; Tfin=fine del compostaggio indoor; Tfout=fine del compostaggio outdoor. I
valori sono riportati in peso secco; i dati rappresentano la media dei triplicati, con il
Coefficiente di Variazione (CV) inferiore al 5%.
Parametri
Umidità
%
pHa
a
T0
Tfin
Tfout
66,5
22,3
64,6
6,18
6,96
7,12
Conduttività elettricaa
Ds m-1
1,59
2,52
1,35
Ceneri
%
14,7
26,2
19,0
Carbonio organico totale
%
45,1
40,5
42,3
Azoto totale
%
2,2
3,6
3,0
Polifenoli
Mg kg-1
1007
251
342
Indice di germinazione
%
43,7
76,6
57,0
Perdita di materia organicab
%
/
51,5
26,5
Valutati su estratti di acqua 1:10 (w/v); b Perdita di materia organica%=100-100[X1(100-X2)]/
[X2(100-X1)] (da Altieri e Esposito, 2008).
2.2 Colture di arricchimento
I campioni di compost prelevati dal materiale mantenuto indoor sono stati denominati Cilento
1, Cilento 2 e Cilento 3 e sono stati impiegati come inoculi per allestire le colture di
arricchimento. Le colture di arricchimento sono state allestite in terreno di coltura sintetico
Mineral Salt Basal Medium (MSBM) contenente, per litro di acqua bidistillata: 0,1 g di MgSO4 x
7H2O, 1,5 g di KH2PO4, 7,9 g di Na2HPO4 x 2H2O, 0,8 g di NH4Cl. I sali componenti il terreno sono
stati sterilizzati separatamente in autoclave (CDL, mod. steristeam) a 121°C per 20 min. Le
soluzioni contenenti i sali sono state fatte raffreddare, sono stati quindi miscelati in modi da
costituire il terreno MSBM finale, a cui sono stati aggiunti 10 ml di soluzione di Pfenning per
19
litro di terreno. La composizione della soluzione di Pfenning, per litro di acqua bidistillata, era
la seguente: 0,1 g di ZnSO4 x 7H2O, 0,03 g di MnCl2 x 4H2O, 0,3 g di H3BO3, 0,2 g di CoCl2 x 6H2O,
0,01 g di CuCl2 x 2H2O, 0,02 g di NiCl2 x 6H2O, 0,03 g di Na2MoO4 x 2H2O, e 0.05 g di FeCl3.
Aliquote di 1 g di compost sono state aggiunte a 50 ml di terreno MSBM in presenza di acido
tannico (Sigma, Milano) aggiunto allo 0,5% (w/v). Le colture sono state allestite in doppio e
sono state incubate a 28°C al buio per 2 settimane. Le colture di arricchimento che mostravano
torbidità, come indice della crescita microbica, sono state utilizzate per i successivi processi di
isolamento dei ceppi batterici acido tannico-degradanti.
2.3 Isolamento dei ceppi batterici acido tannico-degradanti
Si è proceduto all’isolamento dei ceppi batterici a partire dalle colture di arricchimento che
mostravano torbidità. Aliquote di 100 µl sono state prelevate sterilmente dalle colture e
distribuite sulla superficie di piastre Petri contenenti terreno di coltura MSBM solidificato con
l’1,6% di agar (Difco, Milano), in presenza di acido tannico aggiunto sulla superficie a partire da
una soluzione acquosa di acido tannico al 2%, lasciata complessare con il terreno di coltura ed
eliminando poi, l’eccesso della soluzione. Le piastre così inoculate sono state incubate a 28°C.
Dopo 2 giorni di incubazione, le colonie cresciute che mostravano differenza per colore, forma,
dimensione e consistenza, sono state trasferite per altri tre passaggi su piastre con terreno
MSBM in presenza di uno strato di acido tannico. Allo scopo di verificare ulteriormente la
sterilità delle colonie è stato effettuato un altro passaggio in terreno di coltura complesso
contenente 5,0 g di triptone, 2,5 g di estratto di lievito e 1,0 g di D-glucosio, per litro di acqua
bidistillata (YEPG). Questo trasferimento in terreno di coltura complesso si è reso necessario
per verificare l’eventuale presenza di microrganismi che non erano in grado di crescere in
presenza di acido tannico, ma che avrebbero potuto rimanere in forma silente nel terreno
selettivo. Per conservare i ceppi batterici isolati da ciascun ceppo sono state allestite colture
liquide e 2 ml trasferiti in tubi sterili cryovials (Nalgene, Milano), per permettere il loro
mantenimento ad una temperatura di -80°C, in presenza del 30% di glicerolo sterile.
2.4 Estrazione del DNA genomico dai ceppi batterici acido tannico-degradanti
Colonie singole di ciascun isolato cresciute su piastre con terreno YEPG sono state prelevate
impiegando un’ansa per batteriologia sterile e risospese in 2 ml di tampone di lisi (Tris-HCl 10
mM, EDTA 5 mM; pH 8,0). Queste sospensioni cellulari sono state sottoposte a sonicazione per
cinque cicli, a 20KHz, quindi sono stati aggiunti 40 μl di una soluzione 100 mM di lisozima
20
(Sigma, Milano) ed incubate a 37°C per un'ora. Successivamente sono stati aggiunti 25 μl di una
soluzione al 20% di sodio-dodecilsolfato (SDS), 35 μl di una soluzione 50 mM di Proteinasi K, e
le sospensioni sono state incubate overnight a 55°C. Queste, sono state poi sottoposte per tre
passaggi successivi, a centrifugazione a 14.000 x g per 5 min, con il successivo trasferimento del
sovranatante in una nuova provetta con l'aggiunta di 1 volume di cloroformio-alcool isoamilico
1:24. Da ogni provetta è stata recuperata la fase acquosa che è stata quindi trasferita in una
nuova, aggiungendo un volume corrispondente ad 1/10 di acetato di sodio 3 M ed un ugual
volume di alcol isopropilico. Le sospensioni sono state mantenute a -20°C per un'ora, quindi
sottoposte a centrifugazione a 14.000 x g per 15 min. Il sovranatante è stato quindi eliminato e
al pellet è stato aggiunto 1 ml di alcool etilico al 70%. Le sospensioni sono state sottoposte alle
stesse condizioni di centrifugazione del passaggio precedente e, previa eliminazione del
sovranatante, sono stati fatti asciugare. I pellet di DNA sono stati risospesi in 50 μl di acqua
bidistillata filtrata e sterilizzata in autoclave a 121°C per 20 min. Per ottenere una valutazione
quantitativa del DNA estratto, i campioni sono stati analizzati tramite uno spettrofotometro
(Perkin-Elmer 400B), rilevando il rapporto di Assorbanza a lunghezze d’onda di 260/280 nm.
2.5 Caratterizzazione dei ceppi batterici isolati ed analisi del gene rRNA 16S
I ceppi batterici isolati sono stati fatti crescere su piastre Petri contenenti terreno di coltura
complesso YEPG e la morfologia delle colonie è stata osservata con l’utilizzo di uno
stereomicroscopio (Optika, mod.501). Per ogni colonia è stata inoltre eseguita la
determinazione di Gram (Gram stain kit, Carlo Erba, Milano). Il saggio della catalasi e la
determinazione dell’attività dell’ossidasi sono stati eseguiti in accordo con il metodo di Smibert
e Krieg (1981). L’amplificazione del gene rRNA 16S è stata eseguita impiegando 10 ng di DNA
genomico in 20 µl di tampone 1X Amplitaq (10 mM Tris-HCl; 50 mM KCl; 1,5 mM MgCl2), con
l’aggiunta di 150 ng dei primers 27f (5’-GAGAGTTTGATCCTGGCTCAG-3’) e 1495r (5’CTACGGCTACCTTGTTACGA-3’), 250 µM dNTPs ed 1 U di Taq polimerasi Amplitaq (Perkin-Elmer).
La miscela di reazione è stata incubata a 95°C per 90 s e poi sottoposta a 35 cicli secondo il
seguente profilo di temperature: 95°C per 30 s, temperatura di annealing (Ta) per 30 s e 72°C
per 4 min. La Ta era 60°C per i primi cinque cicli, 55°C per i successivi cinque e 50°C per gli
ultimi 25 cicli. Infine, la miscela è stata incubata a 72°C per 10 min e a 60°C per 10 min; 2 µl di
ciascuna miscela di amplificazione sono stati quindi analizzati per mezzo di elettroforesi, in un
gel di agarosio (1,2% w/v), in tampone TAE (0,04 M Tris-acetato, 0,001 M EDTA) contenente 0,5
µg ml-1 (w/v) di bromuro di etidio. Il sequenziamento del gene rRNA è stato eseguito presso il
servizio di biologia molecolare e sequenziamento dell’azienda BMR Genomics srl con sede
21
presso l’Università di Padova.
2.6 Crescita dei ceppi isolati su terreno di coltura solido in presenza di acido tannico
I quattro isolati sono stati strisciati sulla superficie di terreno di coltura YEPG solidificato con
l’1,6% di agar e trattato con una soluzione di acido tannico al 2% per la complessazione
dell’acido tannico sulla superficie. Le piastre inoculate ed i relativi controlli senza l’aggiunta di
batteri, sono state incubate a 28°C al buio per 24 ore. Gli aloni di degradazione dell’acido
tannico sviluppati attorno alle colonie dei ceppi batterici sono stati presi in considerazione
come un segnale della presenza dell’enzima tannasi e della degradazione dell’acido tannico.
2.7 Saggio colorimetrico dell’attività della tannasi
Gli studi sui batteri acido tannico degradanti sono proseguiti utilizzando terreno minerale
sintetico M9, contenente per litro di acqua bidistillata: 6 g di Na2HPO4, 3 g di KH2PO4, 0,5 g di
NaCl ed 1 g di NH4Cl. L'attività dell’enzima tannasi è stata saggiata seguendo i metodi di lettura
spettrofotometrica e visiva descritti da Osawa e Walsh (1993). Le colonie cresciute su terreno
YEPG sono state trasferite su piastre con terreno M9 ed acido tannico aggiunto sulla superficie,
a partire da una soluzione acquosa al 2% (w/v), ed incubate a 28°C per 24 ore. Dalle piastre che
avevano mostrato crescita batterica visibile con colonie circondate da un alone chiaro di
degradazione, la biomassa batterica, tramite un tampone sterile, è stata prelevata e risospesa
in due provette contenenti ciascuna 3 ml di una soluzione tampone a pH 5,0 costituito da
NaH2PO4 ad una concentrazione 33 mM e metil gallato 20 mM, (Fluka Chemie, Germany), in
modo da ottenere una sospensione densa, equivalente ad una torbidità di 3 McFarland. La
sospensione batterica è stata quindi incubata per 24 ore a 28°C per il primo esperimento e a
37°C per il secondo esperimento. Questo saggio è stato effettuato a due differenti
temperature per ottenere maggiori informazioni sull’attività dell’enzima tannasi. Dopo
l’incubazione a temperatura nota, le sospensioni batteriche sono state alcalinizzate
aggiungendo un volume equivalente di una soluzione di NaHCO3 satura, a pH 8,6 e mantenuto
a temperatura ambiente per 1 ora. Il cambiamento di colore delle sospensioni dal verde al
marrone, è stato considerato come segnale positivo dell'attività dell’enzima tannasi, secondo il
metodo di lettura visiva. Un millilitro di ciascuna sospensione è stato quindi rimosso,
sottoposto a centrifugazione a 14.000 x g per 5 min ed i valori di assorbanza del sovranatante
sono stati rilevati ad una lunghezza d’onda di 440 nm, impiegando uno spettrofotometro UVvisibile (Jenway, mod. 6505). L'esperimento è stato eseguito in triplicato.
22
2.8 Allestimento di colture per il rilevamento della degradazione di acido tannico per via
spettrofotometrica
I ceppi batterici C2A e C2C sono stati fatti crescere su piastre Petri contenenti terreno M9 in
presenza della soluzione di Pfenning (SL-6) ed acido tannico aggiunto a partire da una
soluzione al 2% (w/v). Dalle colonie cresciute sulle piastre sono state allestite le colture liquide
in terreno liquido M9 contenente la soluzione di Pfenning ed acido tannico allo 0,5% (w/v),
incubati in agitazione a 300 r.p.m., a 28°C per 48 ore.
2.9 Determinazione delle concentrazioni di acido tannico
La determinazione del contenuto in acido tannico per via spettrofotometrica è stata ottenuta
in accordo con il metodo di Hagerman e Butler (1978). Un millilitro di coltura è stato prelevato
sterilmente e filtrato con filtri sterili con pori del diametro di 0,2 µm. Al campione filtrato sono
stati aggiunti 2 ml di una soluzione di albumina serica bovina (BSA) con una concentrazione 1
mg ml-1 e successivamente è stata aggiunta una soluzione di NaCl ad una concentrazione 0,17
M allestita in una soluzione 0,2 M di tampone sodio acetato, NaCH3CO2, a pH 5,0. Dopo 10 min
a temperatura ambiente, la sospensione è stata centrifugata a 4000 x g per 10 min, ed il pellet
è stato lavato con un tampone sodio acetato, NaCH3CO2, quindi risospeso in 4 ml di soluzione
contenente SDS/TEA (1% sodiododecilsolfato w/v, 5% trietanolamina v/v) ed 1 ml di FeCl3 (0,01
M di FeCl3 in 0,01 N di HCl). La sospensione è stata incubata a 30°C per 30 min. L’assorbanza
della sospensione è stata rilevata ad una lunghezza d’onda di 510 nm, come misura della
concentrazione di acido tannico.
2.10 Allestimento degli standard per il rilevamento di acido tannico, acido gallico e di
pirogallolo nelle colture batteriche tramite cromatografia liquida ad alte pressioni (HPLC)
Dagli standard per le analisi HPLC costituiti da acido tannico, acido gallico e pirogallolo, sono
state preparate delle diluizioni a concentrazione nota (1:1000 per l’acido tannico e per l’acido
gallico e 1:100 per il pirogallolo) a partire da soluzioni madre (1 mg ml-1) di tali composti. Il
solvente della soluzione madre era così composto: 78% acqua bidistillata; 20% acetonitrile; 2%
acido acetico. Gli spettri ed i picchi di massimo assorbimento sono stati rilevati effettuando
letture allo spettrofotometro a doppio raggio (Cary UV-Vis Spectrophotometer), in un
intervallo di assorbanza compreso tra i 200 ed i 400 nm.
23
2.11 Allestimento di colture batteriche in presenza di acido tannico per saggi di cromatografia
liquida ad alte pressioni (HPLC)
Per ciascuno dei ceppi batterici C2A e C2C sono state allestite colture in terreno liquido M9 in
presenza di acido tannico allo 0,5% (w/v) e 10 ml per litro della soluzione di elementi traccia di
Pfenning. Per tale esperimento sono state utilizzate tre differenti beute da 500 ml
precedentemente sterilizzate, due per i ceppi batterici C2A e C2C, la terza impiegata come
controllo, con solo terreno M9 ed acido tannico allo 0,5% senza l’aggiunta di batteri. L’inoculo
è stato effettuato a partire da colonie singole cresciute su piastre con terreno M9 ed acido
tannico aggiunto sulla superficie a partire da una soluzione al 2% (w/v), con un inoculo iniziale
pari ad una assorbanza di 0,030 rilevata a 600 nm. Le colture sono state incubate a 300 r.p.m. a
28°C per 48 ore e a tempi definiti (0, 6, 12, 18, 24, 36 e 48 ore) sono stati prelevati 5 ml da
ciascuna coltura per rilevare le UFC ml-1 e per effettuare le relative analisi HPLC.
2.12 Estrazione di acido tannico e suoi derivati dalle colture batteriche
Cinque millilitri di ogni coltura batterica sono stati processati attraverso l’estrazione
liquido/liquido aggiungendo alcol etilico (Carlo Erba, Milano). L’estrazione è stata eseguita per
due volte consecutive, gli estratti di ogni campione (6 ml + 6 ml) sono stati combinati e
trasferiti in provette di vetro da 25 ml ed i precipitati sono stati disgregati tramite trattamento
delle soluzioni in un bagno ad ultrasuoni per 30 min, ad una intensità del 70% (Eia, Mod.
CP830). Questo metodo di estrazione ha permesso un recupero dell’acido tannico del 70%.
2.13 Analisi HPLC per la determinazione del contenuto in acido tannico
Le analisi dei campioni così estratti sono state eseguite attraverso la cromatografia liquida ad
alte pressioni-DAD (HPLC-DAD), in accordo con le metodologie proposte da Cawthray (2003).
L’HPLC è stato equipaggiato con un cromatografo Waters (Milford, MA, USA), dotato di un
sistema di controllo 600, costituito da un fotodiodo di array rilevamento(DAD) 996 ed un
software Millennium 32.
La separazione è stata eseguita impiegando una colonna a fase inversa Nova-Pack C-18
(250 mm x 4,0 mm d.i., 4,6 µm), a temperatura ambiente. L’eluizione dei campioni è stata
effettuata secondo un gradiente costituito dal solvente A (acqua/acido acetico, 98:2, v/v) e dal
solvente B (acqua/acetonitrile/acido acetico, 78:20:2, v/v/v), costruito come riportato di
24
seguito: 0-80% del solvente B lineare da 0 a 55 min, ad un flusso di 1,1 ml min-1; 80-90% del
solvente B lineare dai 55 ai 57 min, ad un flusso di 1,2 ml min-1; 90% del solvente B isocratico
dai 57 ai 70 min, ad un flusso di 1,2 ml min-1; 90-95% del solvente B lineare dai 70 agli 80 min,
ad un flusso di 1,2 ml min-1; 95-100% del solvente B dagli 80 ai 90 min ad un flusso di 1,2 ml
min-1. Si è proseguito mediante lavaggio della colonna in metanolo e suo successivo
equilibramento dai 90 ai 120 min ad un flusso di 1,1 ml min-1. Il rilevamento è stato effettuato
tramite una scansione all’interno di un intervallo compreso tra 190 e 400 nm,
precedentemente determinato in base agli standard di riferimento. I campioni sono stati
iniettati in doppio all’interno della colonna, previa filtrazione con filtri in teflon (PVDF) con pori
del diametro di 0,45 µm (Teknokroma, Spagna) (Rodríguez et al., 2008).
L’identificazione dell’acido tannico e dell’acido gallico è stata possibile comparando il
tempo di ritenzione ed i dati dello spettro di ciascun picco con quelli degli standard forniti da
Extrasynthese (Milano, Italia). Il limite di rilevamento (LOD) è stato calcolato come 3 x
deviazione standard dalla media dell’area di disturbo durante l’iniezione del bianco, aggiunto al
responso del segnale di tale composto. Il LOD dello strumento è stato calcolato come 1,20 µg
ml-1. Tutti i componenti hanno mostrato una buona linearità (R≥0,989) in un intervallo
relativamente ampio di concentrazioni.
2.14 Campionamento da compost diversi
Ai primi campioni sperimentali di compost prodotti in laboratorio si sono aggiunti i Compost
prodotti presso il Centro Sperimentale di Compostaggio (CESCO) attraverso un processo
industriale standardizzato e messo a punto nell’ambito del progetto TIRSAV Plus. I diversi
compost presentavano caratteristiche differenti, come riportato in Tab. I. I campioni per le
analisi sono stati prelevati ad un profondità standard di 40 cm all’interno del cumulo,
impiegando strumenti sterili sia per il prelievo, sia per il mantenimento dei campioni di
compost.
25
Tabella II – caratterizzazione chimico-fisica dei differenti campioni di compost ottenuti a partire
con procedure differenti di maturazione analizzate presso il CESCO_LAB.
Codice campione
Ammendante
MON120511BOUT15M
MON120511BOUT-M
UTR190711BOUT-R
UTR050711BOUT-Q
MON110511BOUT-I
NAT231110BIS
NAT280211
UTR040811BOUT-T
UTR280711BOUT-S
UTR220711BOUT-R
QN040711OUT-Q
NAT150411
QR2150611OUT-I-P
VERDE
VERDE
VERDE
VERDE
VERDE
MISTO
MISTO
VERDE
VERDE
VERDE
VERDE
MISTO
VERDE
NAT300611
UTR111210
NAT090611
MISTO
MISTO
MISTO
Metodo di
maturazione
BINS
BINS
BINS
BINS
BINS
REATTORI
REATTORI
BINS
BINS
BINS
PIAZZOLA
REATTORI
QRING
REATTORE
N8
BINS
REATTORI
% Utot
pH
Conducibilità
mS/cm
% TOC
%N
totale
C/N
35,71
7,52
1,12
36,76
1,74
21,13
56,85
41,8
24,17
36,07
33,06
31,27
46,42
38,61
41,43
39,35
32,41
45,15
7,74
7,03
6,57
7,13
7,88
7,89
6,79
6,33
6,48
6,16
7,37
6,03
1,43
1,03
0,72
0,71
1,55
0,88
1,38
1,25
1,17
0,94
1,84
1,36
38,86
39,79
42,21
37,81
40,58
40,73
39,05
39,56
40,32
40,49
38,35
42
1,44
0,72
1,03
1,45
2,24
2,5
1,22
1,19
1,08
1,04
2,35
1,05
26,99
55,26
40,98
26,08
18,12
16,29
32,01
33,24
37,33
38,93
16,32
40
31,8
6,69
1,41
39,76
1,44
27,61
17,46
49,06
8,35
6,75
2,24
1,25
34,69
2,29
1,32
15,15
0
2.15 Conte dei microrganismi ed isolamenti di batteri polifenolo-degradanti
Da ciascun campione di compost sono state prelevate aliquote pari a 1 g ed aggiunte a 9 ml di
soluzione fisiologica (NaCl 0,85%). Questa diluizione (1:10) è stata successivamente sottoposta
26
ad una serie di diluizioni seriali, fino a valori pari a 10-7 e 10-8. Da ciascuna diluizione seriale
sono state prelevate aliquote pari a 100 µl che sono state quindi distribuite sulla superficie di
piastre Petri contenenti terreno di coltura complesso YEPG, o terreno minerale MSBM con
l’aggiunta di acido tannico sulla superficie (vedi sopra). Le piastre così inoculate sono state
quindi incubate a 28°C e le unità formanti colonie (UFC) per millilitro rilevate tramite conta
dopo 48 ore e dopo 1 settimana di incubazione. Dalle piastre contenenti terreno MSBM in
presenza di acido tannico sono state inoltre isolate le colonie che presentavano differenze per
forma, caratteristiche dei margini, colore, consistenza. Le colonie isolate sono state mantenute
a -80°C in presenza di glicerolo al 30%.
27
3. Risultati
3.1 Isolamento dei ceppi batterici degradanti l’acido tannico
A partire dalle colture di arricchimento allestite con i campioni di compost sono stati isolati
quattro ceppi batterici che sono stati denominati CESCO2A, CESCO2B, CESCO2C e CESCO2D. Le
colonie batteriche che mostravano la capacità di crescere in presenza di acido tannico sono
risultate essere quelli provenienti dal campione di compost denominato Cilento 2. Dai
campioni Cilento 1 e Cilento 3 sono state ottenute colonie fungine che hanno invaso le piastre
Petri e che hanno reso difficile l’isolamento delle poche colonie batteriche cresciute. Inoltre per
il campione Cilento 3 è stata registrata la crescita di alcune colonie batteriche solo al primo
passaggio, ma non in quelli successivi in presenza di acido tannico.
I quattro ceppi batterici tannico degradanti sono stati caratterizzati dal punto di vista
morfologico e fisiologico. Sono risultati essere tutti Gram negativi, catalasi positivi, ossidasi
negativi (Tab. III).
Tabella III - Caratterizzazione fisiologica dei ceppi batterici acido tannico-degradanti.
Colorazione
Ceppo
Aspetto colonie
Catalasi
Ossidasi
di Gram
Ø1,0-1,5 mm, color crema, translucida,
C2A
concava, rotonda, margini netti,
+
-
-
+
-
-
+
-
-
+
-
-
mucosa
Ø1,0-1,5 mm, color crema, translucida,
C2B
concava, rotonda, margini netti,
mucosa
Ø1,0-1,5 mm, color crema, translucida,
C2C
concava, rotonda, margini netti,
mucosa
Ø1,0-1,5 mm, color crema, translucida,
C2D
concava, rotonda, margini netti,
mucosa
28
3.2 Caratterizzazione molecolare del rRNA 16S dei ceppi acido tannico-degradanti isolati
I quattro ceppi caratterizzati in questo studio sono stati sottoposti alle analisi di tipo genetico
per determinare i generi di appartenenza.
L’amplificazione ed il sequenziamento del gene 16S rRNA di ciascun ceppo acido
tannico-degradante ha permesso di confrontare le sequenze geniche ottenute con quelle
depositate in GenBank, nel sito RDBII Project (http://rdp.cme.msu.edu/); è stato così possibile
assegnare il genere di appartenenza ai ceppi batterici isolati, come mostrato in Tabella IV. I
quattro ceppi analizzati sono risultati tutti appartenere al genere Klebsiella, facente parte del
phylum Proteobacteria, classe Gamma, ordine Enterobacteriales, famiglia Enterobacteriaceae
(Bergey’s Manual, 2007).
Tabella IV – Assegnazione ai generi corrispondenti dei ceppi acido-tannico degradanti isolati
da compost di reflui oleari.
Nome ceppi
Genere batterico
batterici
assegnato
CESCO2A
Klebsiella
CESCO2B
Klebsiella
CESCO2C
Klebsiella
CESCO2D
Klebsiella
Il confronto delle sequenze del gene rRNA 16S con quelle depositate nel sito dell’NCBI
nel programma RDP II del progetto database con le sequenze del gene rRNA 16S ha assegnato i
ceppi batterici isolati CESCO2A, CESCO2B, CESCO2C, e CESCO2D al genere Klebsiella.
3.3 Crescita batterica in presenza di acido tannico
La degradazione dell’acido tannico da parte dei batteri isolati, in virtù della presenza
dell’enzima tannasi è stata saggiata sia su piastre di terreno M9 ed acido tannico, sia in colture
liquide allestite all’interno di beute.
29
Nella piastre, l’attività di questo esoenzima è risultata visibile sottoforma di un alone
chiaro presente attorno alla zona di crescita batterica: i ceppi C2A e C2C fatti crescere in piastre
contenenti terreno M9 ed acido tannico al 2% (w/v), hanno mostrato la presenza dell’alone, a
differenza della piastra utilizzata come controllo, senza l’aggiunta di batteri (Fig. 6).
Figura 6 - Piastre Petri contenenti terreno di coltura minerale M9 ed acido tannico aggiunto ad
una concentrazione del 2% (w/v). E’ risultato evidente il particolare della formazione dell’alone
chiaro attorno alla zona di crescita batterica, dovuto all’attività enzimatica esocellulare da parte
delle cellule batteriche.
Inoltre, la crescita batterica in presenza di acido tannico è stata saggiata in terreno
liquido M9 ed acido tannico all’0,5% (w/v), in presenza di una miscela di elementi essenziali
denominata mineral mix. I ceppi di interesse hanno mostrato la capacità di crescere in questo
terreno liquido, rilevabile come presenza di torbidità e cambiamento di colore, con un viraggio
verso il colore rosa-arancio rispetto ad un controllo, privo di batteri, che ha invece mostrato un
cambiamento al colore verde dell’acido tannico nel corso dell’esperimento (Fig. 7).
30
Figura 7 - Crescita batterica dei ceppi CESCO2A e CESCO2C visibile come torbidità in terreno di
coltura minerale M9 ed acido tannico all’0,5% (w/v) in presenza di mineral mix, rispetto al
controllo. Il controllo con solo acido tannico, senza l’aggiunta di batteri mostra un naturale
cambiamento di colore per una probabile ossidazione del substrato.
3.4 Saggio colorimetrico dell’enzima tannasi nelle colture batteriche
I valori dell’attività dell’enzima tannasi effettuata a 37°C hanno mostrato un viraggio del colore
dal verde al marrone per tutti i batteri acido tannico-degradanti isolati nel rilevamento
spettofotometrico le colture batteriche hanno fatto registrare valori molto più elevati rispetto
al controllo. In particolare il ceppo Klebsiella sp. CESCO2C ha mostrato il valore più elevato di
assorbanza a 400 nm, pari a 0.905 ± 0.05 (Tabella V).
31
Tabella V - Attività della tannasi a 37°C dei ceppi batterici isolati valutati attraverso metodi
spettrofotometrici e visivi. I dati rappresentano la media dei triplicati ± deviazione standard.
Ceppi batterici
Attività tannasi A440nm
Variazione colore da verde a marrone
C
0,379±0,017
-
CESCO2A
0,823±0,055
+++
CESCO2B
0,821±0,018
+++
CESCO2C
0,760±0,029
+++
CESCO2D
0,905±0,047
+++
Il rilevamento della degradazione di acido tannico con metodi spettrofotometrici ha
permesso di rilevare una diminuzione del contenuto in acido tannico dopo 12 ore di
incubazione ed in corrispondenza dell’aumento di biomassa per il ceppo Klebsiella sp.
CESCO2C.
Dopo 18 ore di incubazione è stata rilevata una diminuzione del 75% del contenuto in acido
tannico, che ha poi mantenuto una concentrazione costante fino alla fine dell’esperimento con
un residuo finale pari al 18%. I valori di acido tannico nel controllo, in assenza di batteri ha
mostrato un andamento costante (Fig. 8).
Il ceppo batterico Klebsiella sp. CESCO2C ha mostrato un andamento della
degradazione di acido tannico, rilevata tramite metodi spettrofotometrici, con una
diminuzione del 16% dopo 12 ore di incubazione, in corrispondenza dell’inizio dell’incremento
della crescita batterica, con una leggera diminuzione della degradazione al 22% dopo 18 ore di
incubazione e con una sensibile diminuzione del contenuto in acido tannico in corrispondenza
della fase esponenziale di crescita, con una diminuzione della concentrazione di acido tannico
pari all’80% dopo 24 ore di incubazione. La concentrazione di substrato si è poi mantenuta
costante fino al termine dell’esperimento, dopo le 48 ore. La concentrazione di acido tannico
senza l’aggiunta di batteri si è mantenuta costante nel corso dell’esperimento (Fig. 8).
32
Figura 8 – Crescita del ceppo batterico CESCO2C (♦) in presenza di acido tannico e relativa
degradazione del substrato (▲). La concentrazione di acido tannico nel controllo, senza
l’aggiunta di batteri, si è mantenuto costante nel corso dell’esperimento (*).
La degradazione dell’acido tannico rilevata tramite analisi di cromatografia liquida ad
altre pressioni (HPLC), ha mostrato l’inizio della degradazione dell’acido tannico dopo 18 ore di
incubazione e la conseguente produzione di acido gallico nel ceppo Klebsiella sp. CESCO2C (Fig.
9.
33
4000
7,00E+08
3500
6,00E+08
3000
5,00E+08
4,00E+08
2000
3,00E+08
UFC ml-1
mg l-1
2500
1500
2,00E+08
1000
1,00E+08
500
0
0,00E+00
0
6
12
18
24
36
48
Tempo, ore
Figura 9 – Crescita del ceppo batterico Klebsiella sp. C2C (▲) e degradazione di acido tannico
(*), con conseguente produzione di acido gallico (×). Concentrazione di acido tannico (♦) e di
acido gallico (■) nel controllo, in assenza di batteri.
34
Per quanto riguarda il ceppo batterico Klebsiella sp. CESCO2C, dopo 18 ore di
incubazione è stata osservata una concentrazione costante di acido tannico, mentre dopo 24
ore è stata rilevata una diminuzione del contenuto in acido tannico pari al 70%, per poi non
ritrovare acido tannico nei punti successivi di incubazione.
Il contenuto in acido gallico in colture di Klebsiella sp. CESCO2 ha mostrato una
concentrazione corrispondente a quella dell’acido tannico degradato, dopo 24 ore di
incubazione. Questa concentrazione di acido gallico si è mantenuta costante nel prosieguo
dell’esperimento. Nel controllo, in assenza di batteri, è stata registrata una concentrazione di
acido tannico che si è mantenuta costante fino alle 24 ore di incubazione ed il mantenimento
di una concentrazione costante nel prosieguo dell’esperimento (Fig. 11).
Dall’osservazione dei cromatogrammi ottenuti tramite analisi HPLC è stato possibile
inoltre mettere in evidenza la presenza del picco dell’acido tannico sia nel controllo rilevato
all’inizio dell’esperimento (Fig. 12), sia alla fine del periodo di incubazione, con solo una lieve
diminuzione della concentrazione di acido tannico (Fig. 13).
Figura 10 – Controllo, in assenza di batteri, al
tempo 0, che mostra il picco dell’acido
tannico.
Figura 11– Controllo, in assenza di batteri, al
termine dell’esperimento che mostra il picco
dell’acido tannico con una lieve diminuzione.
Per quanto riguarda il ceppo batterico Klebsiella sp. CESCO2C l’acido tannico presente all’inizio
dell’esperimento (Fig. 12) è stato rimosso dopo 48 ore di incubazione con la comparsa di un
picco di acido gallico, ed uno di piccole dimensioni con un tempo di ritenzione di 43 min (Fig.
13).
Figura 12 – Coltura di Klebsiella sp. C2A al Figura 13 – Coltura di Klebsiella sp. C2A alla
tempo 0 che mostra il picco dell’acido fine dell’esperimento, con la scomparsa 35
di
acido tannico e la presenza di acido gallico.
tannico.
3.5 Conte di microrganismi da diversi campioni di compost
Gli esperimenti per la determinazione della carica microbica nei campioni di compost, ha
permesso di individuare un contenuto in microrganismi eterotrofi totali compreso tra 10 6 e 108
UFC/ml (Tab. VII). Per quanto riguarda i batteri cresciuti in presenza di acido tannico come
unica fonte di carbonio e di energia, sono stati invece individuati valori UFC/ml compresi tra
103 e 105 (Tab. VII). Sono stati isolati un totale di 63 ceppi batterici acido tannico-degradanti,
che sono stati mantenuti a -80°C per ulteriori caratterizzazioni.
36
Tabella VII – Batteri eterotrofi totali ed acido tannico-degradanti rilevati nei campioni di compost
preparati in diverse condizioni
37
4. Discussione
La presenza di batteri del genere Klebsiella capaci di degradare l’acido tannico, isolati da
compost da reflui oleari è probabilmente da far risalire al fatto che nell’allestimento della
miscela sono stati impiegati anche scarti della lavorazione della lana, quindi campioni di
derivazione animale e potenziali vettori di batteri del gruppo delle Enterobacteriaceae, a cui
questo genere appartiene (Altieri e Esposito, 2008; Brock et al., 2003).
L’isolamento di batteri appartenenti alle Enterobacteriaceae da compost può sembrare
non desiderabile, dal momento che nel corso del compostaggio la fase termofila dovrebbe
eliminare eventuali patogeni, potenzialmente presenti nel gruppo delle Enterobacteriaceae.
Tuttavia il campionamento dal compost è stato eseguito al 40° giorno di maturazione, quando
le temperature si mantenevano intorno a 48–50°C e la popolazione batterica era ancora
ampiamente diversificata (Altieri e Esposito, 2008). I ceppi batterici qui isolati sono stati isolati
dal compost ottenuto da reflui oleari, altre Enterobacteriaceaea sono stati isolati da questi
substrati appartenenti ai generi Serratia e Pantoea (Pepi et al., 2010).
Il genere Klebsiella venne proposto per la prima volta da Trevisan nel 1885 con
Klebsiella pneumoniae come specie tipo. Il genere Klebsiella consiste di cinque specie, K.
granulomatis, K. pneumoniae, K. oxytoca, K. variicola e K. singaporensis (Drancourt et al., 2001;
Li et al., 2004). Nelle specie del genere Klebsiella si riscontrano batteri aerobi (anaerobi
facoltativi), aventi tipi di metabolismo sia respiratorio, sia fermentativo, fisiologicamente
versatili, con cellule bastoncellari, Gram-negative, ossidasi negative e catalasi positive
(Drancourt et al., 2001; Li et al., 2004).
I batteri del genere Klebsiella costituiscono importanti cause di infezioni nosocomiali,
presentano un abbondante glicocalice e sono immobili. Pur essendo enterobatteri, si ritrovano
spesso associati a patologie dell’apparato respiratorio. Batteri del genere Klebsiella sono stati
abbondantemente isolati dall’ambiente e per alcuni ceppi di questo genere è nota la capacità
di fissare l’azoto (Xu et al., 2010).
L’attività antimicrobica dei tannini è stata individuata in numerosi studi (Scalbert,
1991). Alcuni microrganismi sono tuttavia capaci di degradare i tannini e di utilizzarli come
fonte di carbonio e di energia (Bhat et al., 1998). Sono stati condotti studi per poter valutare il
potenziale di applicazione di batteri acido tannico-degradanti per impieghi su larga scala
dell’industria alimentare, quella dei mangimi, nella medicina e nel trattamento degli scarichi
provenienti dalle concerie (Mingshu et al., 2006).
38
L’applicazione del metodo delle colture di arricchimento per lo studio microbiologico di
campioni provenienti da siti contaminati, ha permesso l’isolamento di diversi microrganismi
acido tannico-degradanti. Da sedimenti prelevati da un’area contaminata da scarichi di una
conceria, Franco et al. (2005) avevano isolato differenti ceppi batterici caratterizzati da queste
proprietà, alcuni di questi appartenenti al genere Klebsiella.
Inoltre, in un esperimento di screening di campioni di suolo molti altri ceppi batterici
appartenenti al gruppo delle Enterobacteriaceae si erano mostrati capaci di degradare l’acido
tannico (Zeida et al., 1998).
La degradazione dell’acido tannico nei batteri del genere Klebsiella qui caratterizzati è
stata confermata dalla produzione di acido gallico e di glucosio, quest’ultimo utilizzato come
fonte di carbonio per la crescita batterica. Profili degradativi simili sono stati individuati in
precedenza in batteri del genere Klebsiella (Mingshu et al., 2006).
Per quanto riguarda l’attività tannasica dei ceppi batterici qui isolati è stato messo in
evidenza un profilo di degradazione in presenza di acido tannico simile a quello rilevato in
alcuni ceppi batterici isolati da scarichi provenienti da una conceria (Franco et al., 2005).
Sebbene l’attività della tannasi sia stata ampiamente riportata in piante ed animali, i
microrganismi (batteri, lieviti e funghi) sono quelli che mostrano l’attività tannasica più elevata
(Aguilar et al., 2007). I ceppi Klebsiella spp. isolati in questa tesi hanno mostrato un’attività
della tannasi simile a quella di altri ceppi batterici (es. Lactobacillus plantarum) isolati da
diversi substrati, come uva, mosto e vino (Vaquero et al., 2004).
Evidenze dell’attività tannasica è stata inoltre riportata da Osawa e Walsh (1993), in
batteri del gruppo delle Enterobacteriaceae isolati dal tratto alimentare dei koala, ed in batteri
della specie Streptococcus bovis isolati dalle feci dei koala. Altri batteri del gruppo delle
Enterobacteriaceae, Klebsiella planticola e Klebsiella pneumoniae (Deschamps et al., 1983),
Enterococcus faecalis (Goel et al., 2005) sono stati riportati come produttori dell’enzima
tannasi.
Il ceppo Klebsiella sp. CESCO2C qui analizzato ha mostrato una crescita maggiore in
terreno di coltura con aggiunta della soluzione di Pfenning, rispetto a quella rilevata nello
stesso terreno, senza aggiunta della soluzione di elementi in traccia. Questo può essere dovuto
alla presenza di Fe2+ nella soluzione, un cofattore dell’enzima tannasi (Aguilar et al., 2007).
La degradazione di acido tannico e la produzione di acido gallico da parte dei batteri
qui caratterizzati ha mostrato un andamento stechiometrico fino alle 24 ore di incubazione,
mentre nel prosieguo dell’esperimento la concentrazione di acido gallico ha mantenuto una
39
concentrazione costante. Questo si può spiegare considerando che l’acido gallico può andare
incontro ad una ulteriore degradazione a catecoli (Franco et al., 2005). Nelle colture batteriche
non è stato tuttavia possibile rilevare la presenza di catecoli, probabilmente a causa della loro
elevata reattività con l’ossigeno. Quindi le molecole dei catecoli possono ossidarsi, dando
spesso luogo a substrati colorati dal marrone al giallo-arancio, ma non si ritrovano nel terreno
di coltura. A supporto di questa ipotesi, le colture del cepp Klebsiella sp. CESCO2C ha mostrato
una colorazione rosa-arancio dopo 36-48 ore di incubazione in presenza di acido tannico.
L’eventuale presenza di catecoli nel corso della degradazione batterica di acido tannico sarà
ulteriormente indagata, eventualmente, effettuando saggi di degradazione in condizioni di
anaerobiosi.
In ceppi del genere Klebsiella sono stati riscontrati profili degradativi che non
portavano alla produzione di pirogallolo ma di un catecolo con una differente distribuzione dei
gruppi ossidrilici, il floroglucinolo (Mingshu et al., 2006). Nel corso delle analisi HPLC sono stati
individuati picchi che al momento non è stato possibile caratterizzare, ma che saranno oggetto
di ulteriori studi per individuare l’esatto profilo di degradazione dell’acido tannico da parte del
ceppo Klebsiella sp. CESCO2C qui saggiato.
Una lieve diminuzione della concentrazione di acido tannico è stata rilevata anche nei
controlli negli ultimi due punti di prelievo, dopo 36 e 48 ore di incubazione. Questa
diminuzione del substrato può essere attribuita ad una trasformazione aspecifica,
probabilmente dovuta all’esposizione, alla temperatura di incubazione o al contatto con
l’ossigeno atmosferico. In corrispondenza della diminuzione di acido tannico nei controlli non è
stata peraltro rilevata la presenza di acido gallico, dimostrando l’assenza di enzimi di
provenienza batterica in grado di rompere il legame estere tra il glucosio e l’acido gallico della
molecola di acido tannico (Aguilar et al., 2007).
Il numero di microrganismi eterotrofi totali individuato nei diversi campioni di compost
allestiti in accordo con differenti metodi, ha permesso di individuare valori in accordo con
quelli caratterizzati in campioni di compost simili. Questi valori hanno messo in evidenza
elevati numeri di popolazioni microbiche ed una verosimile elevata attività microbica
all’interno dei campioni di compost.
A partire dalle piastre allestite in presenza di acido tannico sono stati isolati un totale di
63 ceppi batterici acido tannico-degradanti, e la loro successiva caratterizzazione permetterà
un ulteriore approfondimento delle loro proprietà fisiologiche ed enzimatiche e fornirà
informazioni sulle caratteristiche dei diversi compost saggiati.
40
Il compostaggio a partire da OMW rappresenta un modo facile e conveniente per lo
smaltimento questo sottoprodotto agro-industriale. Nel processo di compostaggio, i
microrganismi svolgono un ruolo chiave, trasformando la materia organica dei rifiuti in una
forma modificata di alta qualità e ricca di elementi nutritivi per le piante.
Lo studio microbiologico riportato è stato condotto in composti preparati con
tecnologie differenti, ossia il compostaggio semplificato passiva (PCS) e il compostaggio
composito attivo (ACC). Si tratta di sistemi implementati nella cornice del progetto TIRSAV e,
variando alcuni parametri tecnologici, come la miscela di composizione, il tipo di modifica e il
tempo di maturazione metodo.
Questo studio dimostra che microrganismi peculiari esistono in compost diversi, anche
se questi ultimi hanno origine dalla stessa OMW. La presenza di comunità microbiche
compost-specifiche può essere correlata al diverso approccio tecnologico impiegato e
potrebbe quindi essere utilizzato come parametro di qualità per il processo di compostaggio e
per caratterizzare il prodotto finito.
41
5. Conclusioni
Le comunità microbiche attive nel processo di compostaggio a partire da reflui oleari
rappresentano un aspetto importante da approfondire sia in termini genetici e tassonomici, sia
fisiologici. In particolare quest’ultimo aspetto può fornire informazioni importanti sui
meccanismi di degradazione dei substrati del compost da parte dei microrganismi, sugli enzimi
coinvolti e sui prodotti delle degradazioni. Questi ultimi costituiscono i substrati di altri
microrganismi e quindi il processo di compostaggio può proseguire, con una stretta
concatenazione e dipendenza dei vari fattori tra di loro. La caratterizzazione delle comunità
microbiche del compost può quindi rappresentare un elemento in grado di definire la qualità
del compost stesso.
Batteri del phylum delle Enterobacteriaceae appartenenti al genere Klebsiella sono
stati isolati da compost da reflui oleari, mettendo in evidenza la loro resistenza al processo di
compostaggio. Questi ceppi batterici hanno mostrato la capacità di degradare l’acido tannico
in virtù della presenza dell’enzima tannasi. La degradazione di acido tannico e la crescita
batterica hanno mostrato il loro picco massimo dopo 24 ore a 28°C. Dopo 18 ore di
incubazione è stata messa in evidenza la presenza di acido gallico nelle colture batteriche,
indice della degradazione dell’acido tannico, mentre il glucosio viene utilizzato come fonte di
carbonio dalle cellule batteriche. Al momento non è stato possibile mettere in evidenza la
presenza di ulteriori prodotti della degradazione dell’acido tannico, poiché è probabile che si
tratti di catecoli reattivi con l’ossigeno. Per ottenere queste informazioni saranno condotti
ulteriori esperimenti in assenza di ossigeno.
Una serie di ceppi batterici acido-tannico-degradanti, pari ad un numero di 63 ceppi,
sono stati isolati dai diversi compost saggiati per la crescita in presenza di terreni di coltura
complessi e con l’aggiunta di acido tannico.
Questi ceppi batterici possono rappresentare una potenziale risorsa per applicazioni
biotecnologiche, come un incremento della rimozione di polifenoli durante il compostaggio,
poiché possono svolgere un ruolo determinante per il processo di umificazione della materia
organica che contiene un carico elevato di polifenoli, come nel caso dei reflui oleari.
Le analisi microbiologiche dei campioni di compost hanno messo in evidenza una
elevata attività microbica, sia per quanto riguarda i batteri eterotrofi, responsabili della
trasformazione della materia organica del compost e quindi coinvolti nel processo di
umificazione, sia per quanto riguarda i batteri specializzati per la degradazione dei polifenoli.
Questi ultimi, in particolare, sono batteri che hanno mostrato adattamenti a livello enzimatico,
42
tramite la produzione dell’enzima tannasi, che conferisce loro la capacità di degradare l’acido
tannico a glucosio ed acido gallico. I batteri caratterizzati da questo profilo degradativo sono
molto importanti in quanto sono in grado di compiere il primo passaggio della degradazione,
quello più difficile da effettuare, ma che comporta la produzione di molecole più facili da
degradare e biodisponibili per le altre popolazioni microbiche presenti nel compost. Da queste
considerazioni sei evince quindi che la presenza di batteri specializzati è determinante anche
per la rimozione di substrati difficili da degradare, e quindi la loro caratterizzazione è
importante e deve essere approfondita, con studi a livello delle membrane cellulari, per
mettere in evidenza gli eventuali adattamenti delle cellule batteriche ai substrati tossici.
43
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