Calvesi recensione catalogo GDD 17.02.12
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Calvesi recensione catalogo GDD 17.02.12
Recensione: Italo Tomassoni, Gino de Dominicis. Catalogo ragionato delle opere, Milano, Skira, pp. 576. Da: Storia dell’Arte n.130 (n.s. 30) – CAM Editrice, Roma, Dicembre 2011 Quando, alla fine del 1998, si seppe della morte di Gino De Dominicis, l'incredulità prevalse sul dolore. La notizia che il teorico dell'Immortalità fosse mancato così giovane, a cinquantuno anni, suonò come un'estrema invenzione dell'artista, tanto più che nessuno, tra noi, era a conoscenza di un cattivo stato della sua salute. Mi trovavo alle Scuderie del Quirinale, per discutere della mostra "2000" che si cominciava a preparare, e con la speranza di trovare subito una smentita, corsi presso l’abitazione di Gino vicina a Palazzo Braschi, ma mi trovai di fronte a un portiere che mi negò l'accesso: "nessuno può entrare". Cominciai a mettere in moto le più strane ipotesi (un allontanamento che sarebbe seguito mesi dopo da un clamoroso ritorno, o "resurrezione", perché tanto Gino sarebbe stato capace di organizzare?), per diverse ore credetti addirittura che questo fosse certo. Non ricordo più che giorno, di preciso, fosse, e con il recente catalogo di Italo Tomassoni alla mano, ho cercato la data. Una parte del libro si intitola infatti "biografia", che si apre con l'anno di nascita, ma poi invano ho cercato quello della morte. E questo è stato il mio primo approccio all'opera di Italo, e il primo messaggio che ne ho ricavato. Non esiste la data di morte di un immortale. In compenso, naturalmente, questo catalogo "ragionato" (che non ha, vale a dire, la pretesa della completezza, ma è aperto a future, oculate integrazioni) è più che scrupoloso nel controllo analitico delle opere e dei dati, e annovera 632 opere, frutto di anni di fatica e di scavo, una selezione rigorosissima che ha scansato ogni opera di dubbia autenticità e costituisce quindi una base imprescindibile per ogni altra ricerca sull'artista. Tomassoni, che con De Dominicis fu vero amico ed è ora fedele custode della sua personalità, affinché resti immune da quelle contaminazioni così insidiose quanto frequenti da parte del mercato più irresponsabile, ha portato a termine un'opera di particolare difficoltà, stante l’assenza di pubblicazioni se non giornalistiche e, quasi totale, di cataloghi e documentazioni di mostre, all'infuori di qualche collettiva. Fu questo, come l'opposizione a farsi fotografare e a fotografare le sue opere, un tratto caratteristico di De Dominicis, essendo a suo avviso solo l' immagine originale quella autentica. Ma c'e di più: l'artista ha voluto disintegrare oltre ottocento immagini, distruggere una quantità di libri e cataloghi e oscurare con il nero un numero ("imprecisato" dice Tomassoni) di opere che erano presenti nello studio al momento della sua scomparsa. Tomassoni è peraltro il critico che con maggiore profondità è penetrato nella poetica di questo pittore sconcertante, inoltrandosi in essa con un cauto e quasi sacrale rispetto nel magistrale saggio critico del catalogo, ricco peraltro di immagini e concetti sottili come ami gettati nella speranza e attesa -1- della pesca. La poetica di De Dominicis è al limite dell'imponderabile, la spia che egli concede alla contemplazione della sua opera è cosi esigua, rispetto all'universale su cui apre, che nessuno può dire, credo, di riuscire a interamente possederla. Così come nessuna porta consente di entrare realmente nel mito, e preziosamente Tomassoni afferma che, nell'arte del Novecento, De Dominicis é «l'unico mito». «Avvicinandosi a un sacerdote dell'Assoluto, la scrittura che affronta il mito di Gino de Dominicis è incompatibile con il criticamente corretto. L'ibridazione tra generi, specie, religioni e razze ammonisce che nessuno potrà mai sapere se questo artista complesso ed ermetico fu genio o alieno, eroe o semidio, vagabondo stanziale o mutante, extraterrestre o eremita nella civiltà dell' informazione, signore dei mezzi o giocatore d'azzardo impassibile fino alla fine». Maurizio Calvesi -2-
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