Il tempo e la relatività
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Il tempo e la relatività
I.S.I.S. Giulio Natta Bergamo ESAME DI STATO 2013-2014 Il tempo e la relatività Michele Grisa 5aB Lst 2 Indice 1. Introduzione .................................................................................................................................... 4 2. Il tempo nella filosofia ................................................................................................................. 5 2.1. Concezione del tempo di Henri Bergson...................................................................................... 5 2.2. Connessione tra il tempo definito da Bergson e la teoria della psicoanalisi Freudiana ................................................................................................................................................................ 6 3. 4. Il ruolo del tempo nella letteratura ........................................................................................ 9 3.1. Italo Svevo ................................................................................................................................................ 9 3.2. Brano tratto da “La Coscienza di Zeno” ..................................................................................... 13 L’utilizzo dello “stream of consciousness” nella letteratura inglese ........................ 16 4.1. 5. James Joyce “Ulysses” e “Dubliners” ........................................................................................... 16 Concezione del tempo nella relatività di Einstein........................................................... 19 5.1. Dalle equazioni di Maxwell a Einstein ....................................................................................... 19 5.2. Le equazioni di Lorentz ................................................................................................................... 20 5.3. Relatività generale ............................................................................................................................. 22 6. Considerazioni finali .................................................................................................................. 25 7. Fonti .................................................................................................................................................. 27 8. 7.1. Sitografia ................................................................................................................................................ 27 7.2. Bibliografia............................................................................................................................................ 27 Mappa concettuale ...................................................................................................................... 28 3 1. Introduzione La nuova concezione del tempo tra ‘800 e ‘900 ha tra i suoi principali fondatori il filosofo francese Henri Bergson. Egli mette in crisi il paradigma positivista e non vede più la realtà sotto le leggi della meccanica e sotto le coordinate temporali della fisica, ma intende il reale come una proiezione del soggetto e della sua coscienza. La “dimensione tempo”, attraverso la visione psicoanalitica di Freud, si sposta dalla sfera dei processi coscienti a quella dei più profondi e nascosti processi dell'inconscio dove si svolge la maggior parte della vita mentale dell'uomo. Il rapportarsi dell'uomo con il tempo ha una successione cronologica soltanto nei processi coscienti: cioè il flusso cronologico del tempo è unicamente frutto dell'attività cosciente e conserva i suoi momenti, distinti l'uno dall'altro, solamente a livello coscienziale. Nel mondo dell'inconscio invece, l'organizzazione di tali elementi cronologici perde una qualsiasi successione ordinata ed i momenti temporali emergono dall'inconscio mescolati insieme e contestualmente presenti: cioè presente, passato e futuro, nel passaggio da un momento all'altro, non hanno successione cronologica. La compresenza costante di tutti gli eventi della vita nella coscienza individuale ha portato alla nozione di “Stream of Consciousness” (flusso di coscienza) descritto da William James. Queste nuove idee hanno un forte riscontro in letteratura e dall’inizio del XX secolo, ne sono esempio le opere di Proust, Joyce e Svevo; il tempo non è più soltanto la condizione necessaria per portare a compimento un’azione, ma è il soggetto stesso del romanzo. Si assiste dunque ad un processo di interiorizzazione: al tempo matematico sembra sostituirsi quello della coscienza. Dominano concezioni fortemente soggettive del tempo: viene proposta una percezione soggettiva della durata, il tempo cioè sembra dilatarsi o ridursi a seconda degli stati di coscienza di colui che vive e racconta le esperienze. 4 2. Il tempo nella filosofia 2.1. Concezione del tempo di Henri Bergson La concezione del tempo delineata da Newton regnò incontrastata fino alla fine dell’Ottocento. La radicale critica del tradizionale concetto del tempo che Henri Bergson (18591941) svolse nella cultura europea di fine Ottocento appartiene in pieno alla storia della scienza, e non soltanto a quella della filosofia fenomenologica. La filosofia di Bergson si presenta come massima espressione dello spiritualismo francese e come acuta reazione al positivismo, imperante in Europa nella seconda metà dell’Ottocento. Negare le tesi del Positivismo significa negare che i fatti naturali siano l’unica realtà e che la scienza sia l’unica conoscenza possibile. Ciò implica che la filosofia si riappropri della conoscenza della realtà, in una forma che essa stessa definisce come differente dalle modalità della scienza; riportando l’essenza della realtà all’interno della coscienza, svincolando l’uomo dal determinismo meccanicistico della scienza della natura. Di qui la rivalutazione della vita spirituale e dell’intuizione come organi privilegiati della conoscenza e l’esaltazione della libertà, dello spirito, dello slancio vitale, dell’intuizione e della mistica. Bergson ebbe anche il merito di mettere in evidenza la natura paradossale dell’apparentamento tra tempo e spazio, risalente ad Aristotele e ribadita da Kant. Ciò che l’orologio segnava non era il tempo, ma un movimento nello spazio, una cifra aritmetica. Il tempo reale, vero era altrove. Per riappropriarsene, la sua filosofia si rivolgeva all’esperienza immediata operando un ritorno cosciente ai dati dell’intuizione, ossia alla coscienza che possiamo avere del tempo grazie all’intuizione del suo durare. La visione anti-positivistica di Bergson raggiunge la sua massima originalità nella contrapposizione tra il tempo della scienza e il tempo della vita o la durata. Il tempo della scienza di cui si avvale la fisica, la matematica e in particolare la psicologia positivista è un tempo spazializzato, fatto di istanti differenti solo quantitativamente, eventi distinti tra loro, misurabili solo quantitativamente e come tali associabili a dei punti spazio. Reversibile poiché un esperimento può essere ripetuto e osservato un numero indefinito di volte. 5 Secondo Bergson vi è una tendenza comune a considerare alla stessa stregua i fenomeni temporali e quelli spaziali. Quasi "ossessionati" dall'idea di spazio, lo introduciamo a nostra insaputa nella rappresentazione della successione temporale accostando cioè i nostri stati di coscienza in modo da percepirli l'uno accanto all'altro, come lungo una linea continua e collegando tali fatti psichici secondo un ordine cronologico o secondo il principio di causa-effetto. La concezione del tempo di cui fa uso la scienza è senza dubbio fornita, secondo Bergson, di un certo grado di verità: esteriorizzando il tempo, come successione misurabile di istanti, la scienza riesce ad ottenere innegabili successi necessari alla vita pratica. Questa concezione nasconde però un grosso equivoco: quello di confondere il tempo con lo spazio e di esprimere la durata attraverso l'estensione. Bergson contrappone così al tempo della scienza, che non fa altro che astrarre, quantificare e spazializzare, l'esperienza psicologica del nostro io, il tempo della coscienza (o della vita). Egli non nega che il tempo della scienza possa essere applicato alla nostra coscienza, ma ciò è senza dubbio limitante: la critica che Bergson mosse al Positivismo fu proprio quella di essersi fermato alla superficie senza riuscire a cogliere l'essenza profonda delle cose che si cela dietro la loro apparenza. Il nostro mondo interiore è un fluire qualitativo, intensivo e dinamico che si compone di momenti che sfuggono alle arbitrarie e violente giustapposizioni della psicologia positivista ma che al contrario si compenetrano tra loro e si fondono l'uno nell'altro: è un processo costante in cui questi momenti psichici si susseguono sommandosi, arricchendosi progressivamente e sviluppandosi, in virtù di questi continui apporti ricevuti. Da qui il tempo della vita come un ininterrotto fluire dei nostri stati di coscienza in cui non ha senso distinguere tra un prima e un poi. Questo vissuto del tempo si lasciava intuire come composto di momenti indistinguibili che si fondevano in un continuum nel quale ogni istante era del tutto nuovo e creativo e insieme capace di conservarsi nella memoria. 2.2. Connessione tra il tempo definito da Bergson e la teoria della psicoanalisi Freudiana Con le teorie di Freud la "dimensione tempo", prima esaminata nella concezione fornita dalla filosofia, trova una nuova connotazione nella speculazione 6 psicoanalitica. Freud, il cui merito è di avere modificato radicalmente la psicologia e la psichiatria, giunge attraverso lo studio dei fenomeni isterici alla convinzione che esiste nell'uomo uno strato profondo che non perviene mai alla coscienza, pur avendo la capacità di agire su di essa: l'inconscio. La scoperta dell'inconscio segna l'atto di nascita della psicoanalisi che si configura infatti come psicologia del profondo e che sposta il centro di gravità dell'indagine psicologica dalla sfera dell'attività cosciente a quella dell'attività inconscia. "Con tutto ciò", scrive Freud, "non è detto che la qualità della coscienza abbia per noi perduto il suo significato. Resta la sola luce che splende nell'oscurità della vita psichica e che ci guida". Gli strati più profondi e nascosti della personalità umana vengono eletti dalla psicoanalisi a punti di vista privilegiati da cui osservare l'uomo. E' nei profondi strati inconsci dell'apparato psichico dell'uomo, molto più ampi e più estesi del mondo cosciente, che può essere acquisita l'interpretazione e la spiegazione razionale dell'intera personalità umana. Rifiutando la concezione intellettualistica dell’Io, come unità semplice riportabile a quell’unico centro unificatore che è l’Io cosciente, Freud afferma che la psiche è un unità complessa costituita da un certo numero di sistemi dotati di funzioni diverse e disposti in un certo ordine gli uni rispetto agli altri. La prima topica psicologica (studio dei topoi o luoghi della psiche) viene elaborata da Freud nel cap. VII dell’Interpretazione dei sogni e distingue tre sistemi: il conscio (Cs), il preconscio (Pcs) e l’inconscio (Ucs). Il preconscio comprende l’insieme dei ricordi che pur essendo momentaneamente inconsci, possono, in virtù di uno sforzo dell’attenzione, divenire consci. L’inconscio comprende quegli elementi psichici stabilmente inconsci che sono mantenuti tali da una forza specifica che può venir superata solo in virtù di tecniche apposite. La seconda topica, elaborata a partire dal 1920, distingue tre “istanze”: l’Es, l’Io e il Super-io. L’Es è la forza impersonale e caotica – Freud ne parla come “un calderone di impulsi bollenti” – che costituisce la matrice originaria della nostra psiche. Per queste sue caratteristiche, l’Es non conosce “ne il bene, ne il male, ne la moralità”, ma obbedisce unicamente “all’inesorabile principio del piacere”. Esso esiste inoltre al di là delle 7 forze spazio-temporali codificate da Kant e ignora le leggi della logica. Il super-io è ciò che comunemente si chiama coscienza morale, ovvero l’insieme delle proibizioni che sono state instillate all’uomo nei primi anni di vita e che poi lo accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole. L’Io è la parte organizzata della personalità, che si trova a dover “equilibrare”, tramite compromessi, le pressioni, le esigenze di quei “tre padroni”, come li definisce Freud, che sono l’Es, il Super-io e il mondo esterno. Nell’individuo normale l’Io riesce abbastanza bene a padroneggiare la situazione, mentre se una o l’altra istanza (l’Es o il Super-io) prende il sopravvento, si creano disturbi della psiche. Secondo Freud, il rapportarsi dell'uomo con il tempo ha una successione cronologica (presente, passato e futuro) soltanto nei processi coscienti: cioè il flusso cronologico del tempo è unicamente frutto dell'attività cosciente e conserva i suoi momenti, distinti l'uno dall'altro, alla superficie della coscienza. Nel mondo dell'inconscio l'organizzazione di tali elementi cronologici perde una qualsiasi successione ordinata ed i momenti temporali emergono mescolati insieme e contestualmente presenti: cioè presente, passato e futuro, nel passaggio da un momento all'altro, non hanno successione cronologica. Questa concezione freudiana dell’inconscio e dell’organizzazione dei suoi momenti temporali sarà utilizzata dagli scrittori del periodo moderno come forma innovativa di scrittura. 8 3. Il ruolo del tempo nella letteratura La centralità del tema della realtà, in rapporto alla coscienza, da cui essa viene a definirsi è tradotto in ambito letterario da una radicale innovazione, sia per quanto riguarda la struttura narrativa (ad esempio l’utilizzo del “tempo misto” da parte di Svevo in “La coscienza di Zeno”), sia dal punto di vista tematico (viene introdotta una dimensione più interiore del singolo e tematiche legate alla psicoanalisi). Viene adottato lo “Stream of consciousness” da scrittori come James Joyce. 3.1. Italo Svevo “La coscienza di Zeno”, del 1923, riassume l'esperienza umana di Zeno, che racconta la propria vita in modo così ironicamente disincantato e distaccato che l'esistenza gli appare tragica e insieme comica. Zeno Cosini è un ricco esponente della borghesia commerciale triestina che, per guarire dalle sue nevrosi, si rivolge ad uno psicanalista, il dottor S., il quale gli consiglia di scrivere le tappe fondamentali della sua vita, da cui poi trarre il materiale necessario per una terapia psicoanalitica. Di fatto, il romanzo inizia con una prefazione del dottor S. che dichiara di pubblicare le memorie del paziente per vendicarsi della sua improvvisa sospensione della cura. Segue un preambolo con i primi tentativi di autoanalisi, dopo di che si entra nel pieno della descrizione del diario dove, attraverso sei episodi tematici, si colgono le varie tappe della "coscienza di Zeno": Tutto il discorso del protagonista si sviluppa in un'oscillazione continua tra malattia e salute, tra narrazione e riflessione, tra coscienza ed inganno, tra bisogno degli altri e difficoltà di instaurare con loro un rapporto, tra desiderio e aridità sentimentale. Zeno è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che egli stesso sa di non poter conquistare. La sua non è una personalità sicura e definita, ma ricca di contraddizioni e di paure: "giunge al matrimonio con Augusta dopo aver cercato di conquistare Ada e Alberta; ha bisogno della moglie per amare l'amante e dell'amante per amare la moglie; vive il suo rapporto con Guido come riflesso ambiguo del rapporto impossibile con Ada, ecc.…". Zeno è immerso fino in fondo in un mondo borghese, del quale il suo racconto ci presenta personaggi chiusi in valori sicuri, in certezze quotidiane, in abitudini e regole di vita, da tempo consolidate: ma, allo stesso tempo, in quel mondo egli si sente a disagio, in uno stato di eterna inferiorità, 9 che gli impedisce sempre di comportarsi come dovrebbe, di fare le mosse giuste, di commisurare sforzi e risultati. Zeno ha maturato delle convinzioni (la vita è lotta; l'inettitudine non è più un destino individuale, ma è un fatto universale; la vita è una "malattia"; la nostra coscienza un gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli), e in forza di tali assunti il protagonista acquista quella saggezza necessaria per vedere la vita umana come una brillante commedia e per comprendere che l'unico mezzo per essere sani è la persuasione di esserlo. Nella sua ottica, i valori su cui regge la vita borghese non sono altro che inganni e schermi che danno un senso di rispettabilità e un'apparenza di equilibrio che è alla base dell'esistenza umana. Egli elabora molteplici strategie per sottrarsi a quei valori, pur continuando a rispettarli, per condurre una vita borghese seppur non partecipandovi attivamente. Ad ogni passo egli scopre così l'imprevedibilità della vita, la sfasatura tra l'idea che ognuno ha di sé e ciò che effettivamente accade. Nel corso di un dialogo con Guido, una casuale associazione di parole lo porta a coniare un'ironica definizione, in cui si può riassumere tutto il senso delle vicende del romanzo: "La vita non è né brutta né bella, ma è originale…" Tutto il vivere si risolve in un'"enorme costruzione priva di scopo", in qualche cosa di "bizzarro" e di strano, che fa concludere così: "forse l'uomo vi è stato messo dentro per errore e che non vi appartiene". Come individuo, Zeno è smemorato, distratto, dimentica l'ora in cui deve sposarsi, sbaglia funerale, si sente indebolito, ma nello stesso tempo si ritiene superiore agli altri. E’ l’uomo delle contraddizioni. E ciò da cui egli trae maggiormente linfa vitale, è la malattia, punto di partenza e di arrivo della sua coscienza. Essa diviene per il protagonista strumento fondamentale di conoscenza, perché può rivelargli le contraddizioni più nascoste della realtà, l'inganno che si nasconde sotto le apparenze sociali, tanto che arriverà a dire: "la malattia è una convinzione e io nacqui con quella convinzione…" La malattia si presenta come nevrosi, abito etico, patologia psico-mentale, paura di invecchiare e di morire. Una malattia che molto spesso è immaginaria, che egli vuole vedere sia in sé sia negli altri e in cui ama vivere e da cui potrà uscire solo affidandosi alla fuga e al caso. E a questo punto interviene proprio il caso , ovvero 10 l'incoerenza della vita che lo dichiara così vincente: addirittura, l'arrivo della guerra lo farà arricchire. Nell'ultimo capitolo, l'abbandono della cura si collega alla frattura tra il protagonista, ormai vecchio, e le sue avventure precedentemente narrate. E' certo comunque che la frattura su cui l'opera si chiude è segnata fortemente dall'incombenza della guerra: questa si pone anche come segno simbolico dell'uscita da un'epoca, della rottura di un mondo compatto quale era stato, al di là dei suoi precari equilibri, quello del giovane Zeno, della nuova minaccia di distruzione che incombe sul mondo borghese. Raggiunto improvvisamente da una guerra che aveva creduto fino all'ultimo lontana, Zeno si accorge che la sua malattia ed il gioco dei suoi desideri gli hanno fatto ignorare la realtà. E proprio da questa presa di coscienza Zeno sembra ottenere la guarigione che lo riconduce, però ad allargare lo sguardo alla malattia, alla crisi che ha colpito l'intera civiltà umana: nella pagina finale del romanzo Zeno, dopo aver ripercorso le tappe fondamentali della propria vita prende coscienza dell'inutilità della psicoanalisi che non avrebbe mai potuto curare né lui né il mondo. Notevole influenza sull'opera sveviana ebbero le teorie filosofiche di Schopenhauer, Nietzche e Freud, che si andavano diffondendo nei primi anni del '900, quando Svevo scriveva i suoi romanzi. Nella sua natura infatti, confluiscono filoni di pensiero contraddittori e, addirittura inconciliabili: da un lato il positivismo; dall'altro il "pensiero negativo" degli esistenzialisti e l'evidente influenza degli studi psicoanalitici. Dal positivismo egli riprende la fiducia nell'"onnipotenza" del metodo scientifico, applicato allo studio della realtà e il rifiuto di qualunque ottica di tipo metafisico, spiritualistico o idealistico, nonché la tendenza a considerare il destino dell'umanità nella sua evoluzione complessiva. Per quel che riguarda il rapporto con Schopenhauer, pur riprendendone alcuni strumenti di analisi e di critica, non accetta la proposta di una saggezza da raggiungersi attraverso la "noluntas", ovvero la rinuncia alla volontà e il sacrificio degli istinti vitali. Lo stesso atteggiamento Svevo rivela nei confronti di Nietzche e di Freud: il primo infatti è per l'autore il teorico della pluralità dell'io e il "demolitore" dei valori della moderna società borghese occidentale, certamente non il creatore del mito dionisiaco, fatto di razionalità, orgia 11 e passione sfrenata; così come Freud si rivela un maestro nell'apprendimento delle teorie psicoanalitiche sull'ambiguità dell'io e nella comprensione materialisticorazionalista dell'inconscio, ma naturalmente non è accettato da Svevo sul piano dell'ideologia, ossia della visione totalizzante della vita e della terapia medica. La tecnica narrativa dominante nel romanzo consente frequenti richiami al monologo interiore: il vissuto di Zeno viene filtrato direttamente dalla sua coscienza svogliata che preferisce le dimensioni interiorizzate e sfuocate a quelle chiare e precise. L’insicurezza che si crea nell’ “io” narrante produce una serie di dubbi e di interrogazioni nel lettore. La narrazione si svolge in prima persona e non presenta una gerarchia nei fatti narrati, a ulteriore conferma della frantumazione dell'identità del personaggio narrante. Il protagonista non è più una figura a tutto tondo, un "carattere", ma è una "coscienza" che si costruisce attraverso il ricordo, ovvero di Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la sua coscienza. Significativo di come Zeno percepisca la realtà in rapporto alla propria nevrosi è come la malattia abbia come sola cura possibile un’illusione. Zeno funge da voce narrante e da protagonista che guarda alla vita passata, non con scansione cronologica, ma attraverso continue anticipazioni e retrospezioni, il tempo appare ovviamente discontinuo: alla frantumazione dell'io, corrisponde quella del tempo. Queste nuove tematiche permeate sulla nevrosi e sul rapporto realtà-coscienza vengono affrontate attraverso nuove strutture narrative. La narrazione non segue più il modello ottocentesco del cosiddetto “tempo oggettivo”, costruito sul resoconto di una vicenda dall’inizio alla fine, secondo un percorso rettilineo che si svolge in progressione cronologica, ma viene adottata la “struttura aperta”: la vicenda si sviluppa seguendo un percorso tematico, affrontando questioni diverse legate alla nevrosi del protagonista, come la morte del padre, il motivo del fumo o il matrimonio. Ciò si traduce in una rottura delle coordinate logico-sintattiche e in una continua alternanza della narrazione presente o passata: eventi avvenuti in epoche diverse o contemporanee sono perciò narrati al di fuori della successione, all’interno di un “tempo misto”, proiezione sulla realtà della coscienza interiore di Zeno. “La coscienza di Zeno” rappresenta il nuovo romanzo d’avanguardia del primo novecento in cui, per meglio esprimere il rapporto sempre più centrale realtàcoscienza dell’individuo, prevale largamente l’uso del monologo interiore: la distanza fra “io” narrante e “io” narrato diviene così sempre più sottile e ambigua. 12 Indubbiamente non manca il giudizio del primo sul secondo, ma esso resta sempre precario, aperto e problematico. La presenza del giudizio distingue il monologo interiore di Svevo dal “flusso di coscienza” utilizzato da Joyce: la scrittura di Svevo presuppone infatti un controllo razionale, attraverso un’organizzazione logica e grammaticale. Pochi furono i critici che colsero subito la grandezza ed il significato dell'opera sveviana, in un ambiente letterario, quello italiano, ancora arretrato, chiuso in una concezione tradizionale della letteratura, intesa come proposizione dei valori dominanti, attraverso il decoro della forma letteraria. Tra i primi in Italia, Eugenio Montale: ancora un giovane poeta, nel 1923, pubblicò un saggio su Svevo nella rivista "L'esame", in cui considerava quanto i romanzi dello scrittore, sondando una "zona sotterranea e oscura della coscienza", mettessero in crisi la maniera più comune di intendere il reale. Ma anche Joyce, che legge il romanzo e lo apprezza, consiglia l'amico di inviarlo ai due critici francesi V. Larbaud e B. Cremieux che dedicheranno, a “La Coscienza di Zeno” e agli altri due romanzi la maggior parte del fascicolo della rivista "Le navire d'argent" (il vascello d’argento). 3.2. Brano tratto da “La Coscienza di Zeno” Questo brano è tratto dal terzo capitolo del romanzo intitolato “Il fumo” ed evidenzia la visione in chiave psicoanalitica dell’esperienza del fumo. Il protagonista, Zeno, cerca di smettere di fumare e ogni volta promette che fumerà la sua U.S. (ultima sigaretta), ma in realtà rimane sempre schiavo del suo vizio. Egli ha anche provato a rivolgersi a un medico, con scarso successo, e parlando con questo mette in rapporto la sua malattia del fumo con le donne e l’insonnia che lo opprimono a loro volta. L’influenza della psicanalisi di Freud è evidente: egli presenta l’anima come divisa in tre sfere, cioè l’ES, sede delle pulsioni e dell’istinto, il SUPEREGO, vale a dire l’introiezione del principio del dovere e l’IO, che è “schiavo” di entrambi. L’IO di Zeno non ha equilibrio, essendo schiacciato da un ES caotico e irrazionale che non gli dà tregua e che lo spinge in questo caso a fumare e da un SUPEREGO che incombe su di lui, facendolo sentire in colpa. Lo sguardo dell’io narrante (Zeno anziano) sull’io narrato (Zeno giovane) è quasi sempre ironico, critico. Da notare, infine, è la concezione “circolare” del tempo, espressa esplicitamente da Zeno. 13 «Si dice con un bellissimo atteggiamento: “mai più!”. Ma dove va l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è possibile di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me ritorna. La malattia, è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione. Di quella dei miei vent’anni non ricorderei gran cosa se non l’avessi ancora descritta ad un medico. Curioso come si ricordino meglio le parole dette che i sentimenti che non arrivarono a scotere l’aria. Ero andato da quel medico perché m’era stato detto che guariva le malattie nervose con l’elettricità. Io pensai di poter ricavare dall’elettricità la forza che occorreva per lasciare il fumo. Il dottore aveva una grande pancia e la sua respirazione asmatica accompagnava il picchio della macchina elettrica messa in opera subito alla prima seduta, che mi disilluse, perché m’ero aspettato che il dottore studiandomi scoprisse il veleno che inquinava il mio sangue. Invece egli dichiarò di trovarmi sanamente costituito e poiché m’ero lagnato di digerire e dormire male, egli suppose che il mio stomaco mancasse di acidi e che da me il movimento peristaltico (disse tale parola tante volte che non la dimenticai più) fosse poco vivo. Mi propinò anche un certo acido che mi ha rovinato perché da allora soffro di un eccesso di acidità. Quando compresi che da sé egli non sarebbe mai più arrivato a scoprire la nicotina nel mio sangue, volli aiutarlo ed espressi il dubbio che la mia indisposizione fosse da attribuirsi a quella. Con fatica egli si strinse nelle grosse spalle: -Movimento peristaltico… acido… la nicotina non c’entra! Furono settanta le applicazioni elettriche e avrebbero continuato tuttora se io non avessi giudicato di averne avute abbastanza. Più che attendermi dei miracoli, correvo a quelle sedute nella speranza di convincere il dottore a proibirmi il fumo. Chissà come sarebbero 14 andate le cose se allora fossi stato fortificato nei miei propositi da una proibizione simile. Ed ecco la descrizione della mia malattia quale io feci al medico: “Non posso studiare e anche le rare volte in cui vado a letto per tempo, resto insonne fino ai primi rintocchi delle campane. È perciò che tentenno fra la legge e la chimica perché ambedue queste scienze hanno l’esigenza di un lavoro che comincia ad un’ora fissa mentre io non so mai a che ora potrò essere alzato”. -L’elettricità guarisce qualsiasi insonnia,- sentenziò l’Esculapio, gli occhi sempre rivolti al quadrante anziché al paziente. Giunsi a parlare con lui come s’egli avesse potuto intendere la psico-analisi ch’io, timidamente, precorsi. Gli raccontai della mia miseria con le donne. Una sola non mi bastava e molte neppure. Le desideravo tutte! Per istrada la mia agitazione era enorme: come passavano, le donne erano mie. Le squadravo con insolenza per il bisogno di sentirmi brutale. Nel mio pensiero le spogliavo, lasciando loro gli stivaletti, me le recavo nelle braccia e le lasciavo solo quando ero ben certo di conoscerle tutte. Sincerità e fiato sprecati! Il dottore ansava: -Spero bene che le applicazioni elettriche non vi guariranno di tale malattia. Non ci mancherebbe altro! Io non toccherei più un Rumkorff se avessi da temerne un effetto simile. Mi raccontò un aneddoto ch’egli trovava gustosissimo. Un malato della stessa mia malattia era andato da un medico celebre pregandolo di guarirlo e il medico, essendovi riuscito perfettamente, dovette emigrare perché in caso diverso l’altro gli avrebbe fatta la pelle. -La mia eccitazione non è la buona, -urlavo io.- Proviene dal veleno che accende le mie vene! Il dottore mormorava con aspetto accorato: -Nessuno è mai contento della sua sorte.» Tratto da “La coscienza di Zeno” di Italio Svevo 1923 15 4. L’utilizzo dello “stream of consciousness” nella letteratura inglese James Joyce was brilliant exponent of approach that tried to represent his idea of ‘stream of consciousness’, a literary technique which seeks to portray an individual's point of view by giving the written equivalent of the character's thought processes, either in a loose internal interior monologue, or in connection to his sensory reactions to external occurrences. The most important technique he used is called “interior monologue”, which he used to represent the complexity of the human mind. Interior monologue is the written representation of a character's inner thoughts, impressions, and memories as if directly ‘overheard’ without the apparent intervention of a summarizing and selecting narrator. The term is often loosely used as a synonym for stream of consciousness. However, some confusion arises about the relationship between these two terms when critics distinguish them: some take ‘stream of consciousness’ as the larger category, embracing all representations of intermingled thoughts and perceptions, within which interior monologue is a special case of ‘direct’ presentation; others take interior monologue as the larger category, within which stream of consciousness is a special technique emphasizing continuous ‘flow’ by abandoning strict logic, syntax, and punctuation. 4.1. James Joyce “Ulysses” e “Dubliners” “Ulysses” is a novel by James Joyce, first serialized in parts in the American journal, and then published in its entirety in 1922 in Paris. It is considered one of the most important works of Modernist literature. Ulysses chronicles the passage through Dublin by its main character, Leopold Bloom, during an ordinary day, June 16, 1904. The title alludes to the hero of Homer's Odyssey, and there are many parallels, both implicit and explicit, between the two works (e.g., the correspondences between Leopold Bloom and Odysseus, Molly Bloom and Penelope, and Stephen Dedalus and Telemachus). June 16 is now celebrated by Joyce's fans worldwide as Bloomsday. The book has been the subject of much controversy and scrutiny since its 16 publication, ranging from early obscenity trials to protracted textual 'Joyce Wars'. Ulysses's groundbreaking “stream of consciousness” technique, careful structuring, and highly experimental prose – full of puns, parodies, and allusions – as well as its rich characterizations and broad humour, has made the book perhaps the most highly regarded work in Modernist writing. In 1999, the Modern Library ranked Ulysses first on its list of the 100 best Englishlanguage novels of the 20th century. Ulysses has become particularly famous for Joyce’s stylistic innovations. In Portrait, Joyce first attempted the technique of interior monologue, or stream-ofconsciousness. He also experimented with shifting style the narrative voice of Portrait changes stylistically as Stephen matures. In Ulysses, Joyce uses interior monologue extensively, and instead of employing one narrative voice, Joyce radically shifts narrative style with each new episode of the novel. Joyce also introduced the notion of “epiphany” that became very influent in the modernist period. Joyce wrote that an epiphany is: “a sudden spiritual manifestation, whether in the vulgarity of speech or gesture, or in a memorable phrase of the mind itself”, in other words it is the moment in a story, when a sudden spiritual awakening is experienced, when ordinary feelings and thoughts come together to produce a new sudden awareness. Joyce also used epiphany as a literary device within each short story of his collection “Dubliners” (1916) as his protagonists came to sudden recognitions that changed their view of themselves or their social condition and often sparking a reversal or change of heart. “Dubliners” is a collection of Joyce’s first stories that were published in 1914, although all the stories in the book were written before 1907. Collectively, they form a realistic and highly suggestive portrait of the lives of ordinary people in Dublin. By doing so, they also created a portrait of the city in the midst of what Joyce refers to as a state of ‘paralysis’. In fact, in most of the stories in “Dubliners”, a character has a desire, faces obstacles to it, then ultimately relents and suddenly stops all action. These moments of paralysis show the characters’ inability to change their lives and reverse the routines that hamper their wishes. Another important theme treated in “Dubliners” is The Prison of Routine. Restrictive routines and the repetitive, mundane details everyday life mark the lives 17 of Joyce’s “Dubliners” and trap them in circles of frustration, restraint, and violence. Routine affects characters who face difficult predicaments, but it also affects characters who have little open conflict in their lives. The most consistent consequences of following mundane routines are loneliness and unrequited love. As Joyce himself explained, the stories are arranged in four groups that correspond to four ‘phases of life’: childhood, adolescence, maturity and public life. The theme of the epiphany is also treated in the last Joyce’s novel "The Dead." It begins with an after-Christmas dinner party at the house of two old unmarried sisters, Miss Kate and Miss Julia Morkan, who are also the aunts of the protagonist, Gabriel Conroy. Gabriel goes to the party with his wife Gretta and the house becomes a sort of microcosm of contemporary Ireland and its traditions, with each of the guests representing different generations, religious beliefs – they include both Catholic and Protestants – and political tendencies. Gabriel feels self-confident, especially after a successful speech he makes at the party, and on his way to the hotel, he remembers the best moments of his married life and feels desire for his wife, Gretta. However, when they reach their hotel room he realises that she is crying; at the end of the party, suddenly she had a sad epiphany, a revelation related to her past. Listening to an old Irish song sung by one of the guests, she suddenly remembered her first and perhaps only true love, Michael Furey, a young man who she thinks died for her. On hearing this desperate and passionate account Gabriel has his own “epiphany”. And when Gretta falls asleep he looks outside the window where the snow is falling. He realises the insignificance both of his own life, and of those around him, all of which will fade and die and be forgotten buried by the snow that continues to fall. The sense of well-being generated by the party is thus seen under a harsh new light. 18 5. Concezione del tempo nella relatività di Einstein Alla fine del secolo scorso l'interpretazione teorica dei fenomeni fisici del mondo macroscopico era compendiata nelle classiche equazioni di Newton per i fenomeni meccanici e in quelle di Maxwell per i fenomeni elettromagnetici e ottici. I due gruppi di equazioni erano basati su ipotesi fondamentalmente diverse e contrastanti: nelle equazioni di Newton si suppone che ogni azione tra i corpi si manifesti istantaneamente, qualunque sia la distanza che li separa (teoria dell'azione a distanza), mentre in quelle di Maxwell le forze si propagano con una velocità finita, che è quella della luce. All'inizio del sec. XX i fisici teorici si impegnarono nel tentativo di superare il dualismo tra i principi meccanici e quelli elettromagnetici e di inquadrarli tutti entro un unico schema. La relatività ristretta, chiamata anche relatività speciale fu la prima ad essere presentata da Einstein nel 1905, per conciliare il principio di relatività galileiano con le equazioni delle onde elettromagnetiche. 5.1. Dalle equazioni di Maxwell a Einstein Il problema che si poneva nella seconda metà del secolo XIX, era che le equazioni di Maxwell, che governano tutti i fenomeni di natura elettromagnetica, non sono invarianti per trasformazioni di Galileo. Quindi il principio di relatività non era valido, oppure qualcosa andava modificato nel cambiamento di coordinate tra sistemi di riferimento in moto uniforme. Inizialmente solo la prima ipotesi venne presa in considerazione. Fu introdotto il concetto di etere, come un mezzo nel quale hanno luogo i fenomeni elettromagnetici, e quindi un sistema di riferimento inerziale privilegiato, nel quale cioè l'etere è a riposo. L'etere sarebbe stato il supporto delle onde elettromagnetiche così come l'aria è il supporto delle onde acustiche. Furono concepiti numerosi esperimenti per rivelare il moto della terra rispetto all'etere. La più celebre esperienza a questo riguardo fu quella eseguita per la prima volta da Michelson nel 1879 e poi ripetuta da lui e da vari sperimentatori con sempre maggior precisione e in diverse condizioni: le più accurate misure 19 stabilirono che entro un errore di 300 m/s la velocità della luce era costante qualsiasi fosse la direzione di propagazione ed era indipendente dal moto della Terra, in netto contrasto con la legge di composizione delle velocità di Galileo. Il concetto stesso di etere appariva fisicamente infondato, dovendo l'etere costituire un gas estremamente rarefatto per riempire di sé tutto lo spazio e non impedire il moto dei corpi, e nello stesso tempo possedere una fantastica solidità per sostenere le vibrazioni trasversali delle onde luminose. Parallelamente nel 1904 Lorentz osservò che benché le equazioni di Maxwell non siano invarianti per trasformazioni galileiane, lo sono per altre trasformazioni, dette oggi di Lorentz, che sono delle modifiche a quelle di Galileo. Se la velocità relativa è molto piccola rispetto alla velocità della luce, si riottengono le trasformazioni di Galileo. 5.2. Le equazioni di Lorentz Dalla non rivelabilità sperimentale dell'etere, e dalla precedente osservazione di Lorentz, Einstein dedusse che non dovesse essere abbandonato il principio di relatività, invece dovessero essere modificate le trasformazioni di coordinate in quelle di Lorentz. Il punto più difficile da comprendere era il significato della differenza della variabile temporale tra i vari sistemi di riferimento, che appare nelle trasformazioni di Lorentz. Partendo dalla critica del concetto di contemporaneità Einstein arrivò alla necessità di tempi diversi in sistemi di riferimento in moto relativo. Secondo le ordinarie concezioni intuitive si ammette in generale di poter considerare due fenomeni come verificantisi nello stesso istante in assoluto, cioè prescindendo dal sistema di riferimento; si può attribuire un significato preciso alla contemporaneità di due fenomeni che avvengono nello stesso luogo, ma bisogna essere più prudenti quando si tratta di confrontare due fenomeni che si verificano in località differenti. Per stabilire se un evento che ha luogo in un punto A sia o no contemporaneo di un evento che ha luogo in un punto B, ci si dovrà servire di due orologi. Per accordare questi ci si servirà di segnali luminosi, per cui bisogna conoscere la legge di propagazione di tali segnali. La velocità della luce rispetto a due osservatori fissi o in moto è molto grande ma finita. In tutti i problemi in cui sono considerati moti che 20 avvengono con velocità molto più piccole di questa e che sono praticamente tutti i problemi studiati dalla meccanica classica, questa velocità di propagazione può essere considerata infinita e quindi il tempo di propagazione della luce trascurabile, per cui gli osservatori considerano un tempo comune; se si tiene conto che qualsiasi segnale si può trasmettere solo con velocità finita, il concetto di simultaneità può essere riferito solo a un determinato osservatore per cui, se per quell'osservatore due fenomeni sono simultanei, non lo sono per un altro osservatore in moto rispetto al primo. Einstein estese il principio di relatività galileiano a tutti i fenomeni, non solo meccanici, ma anche elettromagnetici e di qualsiasi altra natura e introdusse il principio della relatività ristretta. Il vecchio concetto newtoniano di tempo assoluto viene sostituito dal principio della costanza della velocità della luce: la luce si propaga nel vuoto, in tutte le direzioni, con una velocità c che ha sempre lo stesso valore qualunque sia lo stato di moto dell'osservatore e della sorgente. Ammettendo come postulati i due principi di Einstein è possibile dedurre delle nuove leggi di trasformazione delle coordinate da sostituire alle leggi galileiane; esse coincidono con la trasformazione di Lorentz e sono in grado di eliminare le contraddizioni che nello schema teorico prerelativistico sorgevano nel tentativo di interpretare i diversi fenomeni fisici. La teoria di Einstein scarta quindi il concetto di etere, che oggi non viene più utilizzato dai fisici, anche se informalmente si parla ancora di etere per indicare lo spazio in cui si propagano le onde elettromagnetiche. La relatività ristretta prende in esame ciò che accade quando gli osservatori si muovono l'uno rispetto all'altro ma non prende in considerazione gli effetti del campo gravitazionale che verranno invece introdotti nella teoria della relatività generale. Essa accetta il principio di Galileo secondo il quale non è possibile discernere se un osservatore è in moto rispetto ad un altro, se nel sistema di riferimento si prendono due osservatori, dato che lo spazio è omogeneo e isotropo. La teoria si basa su due assunti: Le leggi della fisica sono le stesse per tutti gli osservatori in moto inerziale. La velocità della luce nel vuoto è costante in ogni sistema di riferimento 21 Con l'aiuto delle equazioni di Lorentz si possono dedurre immediate conclusioni sul modo di confrontare misure di lunghezze e di intervalli di tempo eseguite da due osservatori in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro: la lunghezza di un segmento in movimento è minore della sua lunghezza in quiete. La durata di un fenomeno in un corpo in movimento è maggiore di quella dello stesso fenomeno in un corpo fermo. È questo il cosiddetto paradosso dei gemelli (o degli orologi): se uno di due gemelli fa un viaggio spaziale a velocità prossima a quella della luce troverà l'altro al suo ritorno assai invecchiato rispetto a lui, se non addirittura morto da secoli o da più tempo ancora. Tale enunciato è equivalente a quello per cui un orologio in moto rispetto a un altro assolutamente identico marca il tempo con un ritmo assai più lento di esso. L'esempio più evidente della dilatazione dei tempi per sistemi in moto, si ha nel decadimento delle particelle elementari. Sperimentalmente si osserva con estrema chiarezza l'allungarsi della vita media delle particelle instabili che si muovono con velocità comparabili con quella della luce, secondo le formule della relatività. 5.3. Relatività generale Il fondamento della relatività generale è l'assunto, noto come principio di equivalenza, che un'accelerazione sia indistinguibile dagli effetti di un campo gravitazionale, e dunque che la massa inerziale sia uguale alla massa gravitazionale. Il punto di partenza di Einstein fu il fenomeno della gravitazione; egli immaginò il seguente esperimento ideale: si consideri una zona di spazio priva di qualunque forza gravitazionale e in essa un laboratorio con un osservatore. Se il laboratorio inizia a muoversi verso l'alto con moto uniformemente accelerato e l'osservatore lascia cadere una sfera, questa rimane immobile nel punto in cui è stata lasciata, ma a causa del moto accelerato il pavimento finirà con il raggiungerla; da questo istante la sfera rimarrà schiacciata sul pavimento e sarà accelerata con tutto il sistema. L'osservatore vedrà cadere sul pavimento la sfera e in base alle sue conoscenze sul campo gravitazionale può giungere alla conclusione di trovarsi insieme al laboratorio in un campo gravitazionale costante rispetto al tempo. 22 Si può affermare che in base ai fenomeni meccanici il campo gravitazionale apparente prodotto da un moto accelerato non è distinguibile da un vero campo dovuto all'attrazione di una massa. La velocità della luce nel vuoto può essere considerata il valore limite superiore di ogni possibile velocità che può essere impressa a un corpo o a un segnale fisico qualsiasi. L'aumento della massa all'aumentare della velocità del corpo assume proporzioni sempre maggiori mano a mano che ci si avvicina alla velocità della luce, per raggiungere la quale sarebbe necessario fornire al corpo una energia infinita. Uno dei risultati più importanti della teoria è l'aver scoperto l'equivalenza tra massa ed energia: a ogni massa a riposo si accompagna un'energia di riposo e a ogni energia E, inversamente, può attribuirsi una massa; in questa formula, che estende il principio di conservazione dell'energia, è contenuto tutto quanto occorre per valutare l'energia ottenibile sotto qualsiasi forma, dalla disintegrazione di un nucleo o di una particella elementare, o da reazioni nucleari. 𝑬 = 𝒎𝒄𝟐 La formula E = mc2, propria della teoria della relatività, è sicuramente una delle formule matematiche più famose e molto probabilmente la più famosa in assoluto, ciò grazie alla sua estrema eleganza e semplicità. In sostanza la formula prende in considerazione: E = energia m = massa c = velocità della luce Diventa inoltre facile capire come massa ed energia si equivalgano e come siano, per così dire, due facce della stessa medaglia (in sostanza la massa è energia estremamente concentrata). Proprio questa equivalenza tra massa ed energia spiega come concentrando un grosso quantitativo di energia si possa creare della massa e quindi materia e come si possa ottenere un grandissimo quantitativo di energia anche partendo da una piccolissima massa. Per fare un esempio che chiarisca questo concetto, quando lo Space Shuttle decolla di tutto il propellente usato solo all'incirca un grammo diventa energia, tutto il resto si converte semplicemente in fumo e prodotti della combustione. 23 Utilizzando l'energia nucleare la resa aumenta ma in una comune bomba atomica, per esempio, viene convertito in energia solo all'incirca lo 0,5% della massa totale del materiale fissile. Se fosse possibile convertire per intero la massa in energia, i problemi energetici che oggi fanno tanto discutere sarebbero senza alcun dubbio risolti. Basti pensare che un chilogrammo di materia corrisponde a 25 miliardi di kWh (25.000 GWh); questa enorme quantità di energia equivale, in pratica, al consumo mensile di energia elettrica in Italia. L’equivalenza massa – energia ha dimostrato la sua straordinaria potenza, purtroppo, anche con le bombe atomiche. 24 6. Considerazioni finali Dopo aver trattato il rapporto dell'uomo con il tempo nella visione di diversi campi culturali del nostro tempo, mi sono chiesto come viva l'uomo di oggi tale rapporto e la sua proiezione nel futuro. Nel terzo millennio della nostra epoca del cambiamento, caratterizzata da una straordinaria evoluzione scientifica e tecnologica, tutto è rimesso in discussione per un numero impressionante di fatti e di scoperte che rendono superato ciò che è accaduto il giorno prima. Il tempo resta certamente uno dei punti di riferimento fondamentale: fuori di noi tutto cambia perché quello che era prima non è più adesso e non sarà più domani. Ma il punto di riferimento, dato dal tempo, continua a modificarsi insieme agli sforzi per misurarlo, controllarlo ed adeguarlo alle esigenze della nostra civiltà: sforzi che i nostri antenati, che lavoravano nei campi e vivevano e morivano in conformità ai grandi cicli della natura, non avrebbero mai compreso. Infatti il loro riferimento sicuro era la ciclicità del sorgere e tramontare del sole e delle stagioni dell'anno ed il tempo della loro esistenza era legato al succedersi dei fenomeni della natura. Oggi queste certezze, per rapportarsi con il tempo della nostra vita, sono venute a mancare: il tempo ha ritmi e modalità diversi che difficilmente possono essere riferiti soltanto al tempo astronomico. Il tempo è diventato un sistema relazionale al quale siamo obbligati ad adeguarci: siamo talmente precisi a tal punto da misurare con orologi atomici il milionesimo di miliardesimo di secondo e la nostra giornata è condizionata dalla logica del tempo della nostra civiltà (ora legale, differenze temporali sempre più ravvicinate negli spostamenti da un punto all'altro della terra, sistemi di telecomunicazioni e computer che hanno trasformato in pochi anni il nostro modo di vivere il rapporto con il tempo). E' difficile rendersi conto nei ritmi della nostra vita quotidiana che, illudendoci di imprigionare il tempo alle esigenze della nostra civiltà, siamo finiti in catene noi. Ma, nella nostra società del cambiamento, il problema del rapportarci con il tempo non deve soltanto gestire la routine quotidiana, alla quale siamo inevitabilmente incatenati, ma è soprattutto vivere la libertà del tempo interiore: cioè vivere la durata qualitativa del tempo vissuto nella nostra coscienza con le sensazioni, le 25 passioni e le emozioni attraverso le quali certi secondi sembrano durare alcune ore e certi giorni volano via come secondi. 26 7. Fonti 7.1. Sitografia http://www.treccani.it/ http://it.wikipedia.org/ http://en.wikipedia.org/ 7.2. Bibliografia Italo Svevo - La Coscienza di Zeno – Giunti editore Cinzia Medaglia, Beverley Anne Young – With rhymes and reason Walker – Corso di fisica - linx 27 8. Mappa concettuale Bergson percepisce la realtà come proiezione del soggetto e della sua coscienza utilizza l’intuizione come strumento per comprendere la vita della coscienza caratterizzata da un tempo inteso come durata Influenze di Bergson in ambito letterario letteratura italiana vengono introdotte nuove tematiche legate a: il flusso di coscienza, la malattia, la nevrosi, l’inettitudine in ambito scientifico letteratura inglese stream of consciousness Crisi della concezione newtoniana riguardo al interior monologue tempo analizzate attraverso una nuova struttura narrativa e nuovi temi ne è un esempio: Joyce Ulysses - direct interior monologue Svevo con: Dubliners La coscienza di Zeno - paralysis-escape; - la realtà è concepita in rapporto alla coscienza del soggetto, alla sua malattia e nevrosi - il flusso di coscienza e il monologo interiore permetto questa nuova descrizione della realtà 28 sono utilizzati da: - epiphanies; Teorie di Einstein
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