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BICERIN / STORIA AUTOMOBILISTICA BICERIN Il Bicerin (pronunciato [bitʃeˈriŋ] in piemontese, letteralmente bicchierino) è una storica bevanda calda e analcolica tipica di Torino, evoluzione della settecentesca "bavareisa", gustosa bevanda servita in grandi bicchieri tondeggianti, composta da una mescolanza di caffè, cioccolato e crema di latte dolcificata con sciroppo. Il rituale del bicerin prevedeva che i tre ingredienti fossero serviti separatamente. Inizialmente erano previste tre varianti: pur e fior (l’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato), ’n pòc ’d tut (ovvero un po' di tutto), con tutti e tre gli ingredienti miscelati. È stata quest’ultima formula ad avere più successo e a prevalere sulle altre. Una curiosità che è rara da leggere è che il tutto veniva accompagnato da dei "bagnati", dolcezze artigianali di ben 14 specie. Tra i primi testi che raccontano la storia del Bicerin c'è il testo di Alberto Viriglio "Torino e i Torinesi"; la prima edizione risale ai primi anni trenta. Nel 2001 il Bicerin è stato riconosciuto come "bevanda tradizionale piemontese" con pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte. La ricetta Lo storico locale che conserva gelosamente la ricetta del Bicerin, di fronte al Santuario della Consolata Si ritiene che la sua origine sia dovuta ad uno storico locale torinese che da allora ne porta il nome e ne conserva gelosamente la tradizionale ricetta, difesa accanitamente: i dipendenti sono tenuti, per contratto, al segreto. È comunque possibile trovarlo nelle migliori caffetterie di Torino, in versioni sempre lievemente differenti nelle dosi e nell'omonima caffetteria di Montesarchio in provincia di Benevento. Gli ingredienti Gli ingredienti sono semplici: cioccolato fatto in casa, caffè e fior di latte, ma le dosi della ricetta originale sono sconosciute. Il risultato è una bevanda gustosa, frutto della fusione dal bollente della cioccolata con il marcato sapore del caffè e la delicata schiuma raffreddata del fior di latte. Viene servito in alti bicchieri o calici di vetro che permettono di osservarne la sfumatura di colori dovuta al miscelarsi dei vari ingredienti. Lungo il percorso a piedi sosteremo nei principali caffè storici di Torino, gustando bevande fatte solo in questa cittadina fra cui il “Bicerin”. CAFFE’ TORINO Il caffè Torino fu aperto nel 1903 dal suo estroso fondatore, che con grande coraggio e intraprendenza volle entrare in competizione con gli altri caffè storici che si affacciano sulla piazza San Carlo e ne fece subito un salotto. I marmi pregiati, i medaglioni dipinti, il lungo bancone di legno e marmo finemente sbalzato, la sontuosa e armoniosa scala, le dorate specchiere: tutto fu concepito all’insegna del gusto dell’epoca che si traduce ancora oggi in un buon gusto che non ha tempo. Illustri furono i frequentatori: da Pavese a De Gasperi. Ma anche miti dei scintillanti anni 50 come James Stuart, la conturbante Ava Gartner ai tempi del suo amore per Walter Chiari e la splendida Brigitte Bardot. Oggi il caffè Torino ha quasi 108 anni e li porta davvero bene con i suoi arredi originali e ai suoi pezzi rari intatti nel tempo. CAFFE’ FIORIO Il caffè Fiorio è un locale storico di Torino situato in via Po.Il caffè Fiorio è stato aperto nel 1780, fu punto di incontro di artisti aristocratici e uomini politici tra i quali Massimo d’Azeglio, Camillo Benso conte di Cavour e Giacinto Provana. Definito come il caffè dei Macchiavelli e dei codini perché frequentato nell’ottocento da aristocratici, è tuttora un apprezzatissimo luogo di ritrovo dei torinesi. CAFFE’ CONSOLATA (AL BICERIN) Questo locale ha visto la luce nel 1763, appena nato, ma ancora da battezzare . . . dovrà passare qualche anno prima che il locale prenda il nome dalla sua creazione più famosa. Il locale cambia volto all’inizio dell’ ottocento: tutto il palazzo viene ristrutturato e il caffè al Bicerin prende l’aspetto che con cura è stato conservato fino ad oggi. Compaiono la cornice esterna in ferro, i panelli pubblicitari ai lati, le colonnine e i capitelli in ghisa. Ma non sono gli unici cambiamenti: dentro le pareti vengono abbellite con boiseries di legno decorati da specchi e i semplici tavoli sono sostituiti da quei tavolini in marmo che si possono ancora ammirare. Il bancone è sempre quello solido e insostituibile, alle sue spalle spuntano i vasi di confetti, ben 40 tipi diversi . . . una gioia per gli occhi. Ancora oggi guardando il tavolino d’angolo accanto alla vetrina, sotto l’orologio sembra di vedere il conte di Cavour. Molti furono i personaggi a venire qui: Giacomo Puccini si racconta nelle sue memorie che ogni tanto si faceva 4 passi per venire al Bicerin che abitava nella vicinissima via S. Agostino; anche Friedica Nietzsche gustava volentieri il “Bicerin” e si diceva che diceva la frase”rovente ma delizioso”; Macario in compagnia di qualche bellezza del palcoscenico ma anche Guido Gozzano, Italo Calvino e Mario Soldati. MUSEO AUTOMOBILI “BISCARELLI” Nato come Museo Nazionale dell'Automobile, prende origine da una proposta avanzata durante il congresso indetto dall'Automobile Club di Torino nel 1932, per celebrare i "Veterani dell'Automobile", ovvero coloro che avevano conseguito la patente di guida da almeno 25 anni. Latori della proposta furono due pionieri del motorismo italiano, Cesare Goria Gatti e Roberto Biscaretti di Ruffia, entrambi cofondatori dell’Automobile Club e della Fiat. Nel 1933 Giuseppe Acutis, presidente dell'Associazione dei Costruttori di Autoveicoli, invitò Carlo Biscaretti di Ruffia e Giuseppe di Miceli, allora direttore dell'Automobile Club di Torino, ad organizzare una Mostra retrospettiva nell'ambito del Salone di Milano, per sondare l'interesse degli appassionati in vista di eventuali sviluppi. Carlo Biscaretti era stato fin da giovanissimo a fianco del padre Roberto, dedicando alla passione per i motori tutta la sua attività di artista, tecnico e giornalista. Riuscì così ad ottenere in prestito una trentina di vetture che furono presentate al Salone, sollevando grande interesse nel pubblico. Il 19 luglio 1933 la Città di Torino deliberò di fondare il museo, nominando un apposito comitato promotore ed ottenendo l'approvazione del Capo del Governo, Benito Mussolini, che personalmente impose la denominazione "Museo Nazionale dell'Automobile". Pochi giorni dopo, il podestà di Torino, Paolo Thaon di Revel, affidò a Carlo Biscaretti l'incarico di "ordinatore provvisorio", che sarebbe durato vent'anni. Il problema principale era trovare una sede adatta. Le acquisizioni vennero concentrate inizialmente in un magazzino di via Andorno, nella ex Fabbrica Aquila Italia- na (la collezione avrebbe poi cambiato indirizzo altre quattro volte prima di approdare a quello definitivo di corso Unità d'Italia) finché nel 1938 si giunse al trasferimento del materiale esistente, costituito ormai da un centinaio di vetture e telai, una biblioteca e un archivio, nei locali ricavati sotto le gradinate dello stadio comunale, aperti ufficialmente al pubblico nel maggio 1939. La sistemazione non era però molto funzionale. Gli ambienti erano inadatti, con sbalzi di temperatura che scoraggiavano l'affluenza dei visitatori e danneggiavano i materiali. Durante la seconda guerra mondiale la collezione rimase pressoché intatta sia durante i bombardamenti sia durante la successiva presenza delle truppe alleate, ma la biblioteca e l'archivio andarono in parte distrutti o dispersi. Dopo il conflitto, si ritornò a parlare di una nuova sistemazione e di una strutturazione definitiva dell'ente. L'Associazione dei Costruttori cominciò ad interessarsi del museo e nel luglio 1955 decise di promuovere la costruzione una nuova sede. Il terreno fu trovato in corso Unità d'Italia, di proprietà del Comune di Torino; i finanziamenti furono assicurati dalle fabbriche di automobili e dalla famiglia Agnelli, alle quali si aggiunsero presto le case di pneumatici, le compagnie petrolifere, le banche cittadine ed altri enti. Mentre cominciavano i lavori per la costruzione, l'Ente venne rifondato e rinominato "Museo dell'Automobile", con rogito notarile del 22 febbraio 1957, poi riconosciuto con decreto del Presidente della Repubblica l'8 ottobre dello stesso anno. Carlo Biscaretti di Ruffia fu nominato presidente del consiglio di amministrazione. Alla sua morte, avvenuta nel settembre 1959, il consiglio deliberò all'unanimità che l'istituzione portasse il suo nome, a ricordo del suo impegno per la costruzione del museo. Il museo fu solennemente aperto al pubblico il 3 novembre 1960. Nel corso della sua storia, il museo si è arricchito di nuove sezioni: il centro di documentazione e la biblioteca. Nel 1975 la biblioteca ed il centro si sono notevolmente arricchiti di libri, documenti originali e fotografie, grazie al lascito Canestrini. Negli ultimi anni sono diventati sempre più evidenti i limiti dell'edificio, soprattutto per la mancanza di spazi espositivi, ormai saturi. Nel 2003 viene approvata la ristrutturazione del museo da parte della Città di Torino e il 10 Aprile 2007 il museo viene chiuso al pubblico per avviare un grande processo di ristrutturazione che lo riguarderà per 3 anni fino al 19 Marzo 2011. Oltre che ad una ristrutturazione dell'edificio e dei suoi spazi interni, sia espositivi che di servizio, in accordo con la Città di Torino viene sensibilmente rivista anche l'organizzazione dell'ente, che viene rifondato. La nuova struttura si presenta quindi completamente rivista sia nella sua organizzazione amministrativa sia negli spazi interni ed esterni; l'area che circonda l'edificio viene rivalutata e all'edificio stesso viene aggiunto un nuovo corpo dal volume superiore a quello preesistente. Gli spazi interni hanno ricevuto un completo rivolgimento dell'allestimento e del percorso espositivo. La collezione viene integrata da ambientazioni e installazioni interattive e viene divisa in tre parti distinte, una per ogni piano. Il quartiere inoltre viene rivalorizzato dal museo stesso con una serie di attività complementari che fanno vivere il Museo dell’Automobile a tutte le ore del giorno e della sera; diventando un elemento trainante del rinnovo urbano del quadrante sud della città. Il 19 marzo 2011, durante le celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità d'Italia in corso in città, alla presenza del presidente Giorgio Napolitano che dopo aver visitato il museo ha dichiarato: <<Arte e industria sono la nostra forza>>, il museo ha riaperto i battenti al pubblico, presentando il nuovo allestimento. Oltre al presidente Giuseppe Alberto Zunino e al direttore Rodolfo Gaffino Rossi, al vertice della nuova gestione del museo c'è anche Lapo Elkann che è stato anche il responsabile della scelta degli allestimenti e dell'immagine del museo. La presenza di Lapo Elkann non è un caso: la Fiat, oltre ad essere fra i fondatori del museo e aver finanziato il progetto di ristrutturazione, è all'interno della società che lo gestisce. Il museo dopo i primi 30 giorni dalla sua riapertura ha ricevuto già 40.000 visitatori, 9.200 solo nel primo fine settimana. La collezione La collezione permanente del museo conta più di 200 vetture, più alcuni telai e circa una ventina di motori. Le vetture sono di circa 80 marche diverse (molte di queste ormai scomparse) in rappresentanza di nove paesi (Italia, Belgio, Gran Bretagna, Germania, Paesi Bassi, Francia, Polonia, Spagna e Stati Uniti d'America). Tra i pezzi più pregiati comprende la vettura a vapore Bordino del 1854; la prima automobile Fiat, la FIAT 3 ½ HP del 1899, priva ancora di retromarcia; La Jamais Contente del 1899, la prima automobile a superare la velocità di 100 km/h; il primo modello Benz del 1893 con il cambio di velocità a cinghie; la Peugeot Type 3 del 1893, il primo modello Peugeot presente in Italia, appartenuta alla famiglia Rossi. la Bernardi 3,5hp del 1896; il primo modello Oldsmobile del 1904; la Fiat del 1907 che vinse il Gran Premio dell'ACF; l'Itala 35/45 HP che nel 1907 vinse il Raid Pechino-Parigi; l'Itala "Palombella" del 1909 appartenuta alla regina Margherita; La vettura elettrica STAE del 1909;, la Rolls-Royce Silver Ghost del 1914; l'Isotta Fraschini 8 del 1920; la Diatto 30 del 1925; l'Alfa Romeo P2 del 1930; la Austin Seven del 1932; La Fiat 500 "Topolino" del 1936; la Ferrari 500 F2 con cui Alberto Ascari vinse il titolo mondiale nel 1952; la Lancia Aprilia del 1948; la Cisitalia 202 sempre del '48; la Fiat Turbina del 1954; la Jaguar E 4.2 del 1969; la Iso Rivolta. Lele F del 1972; la Ferrari 126 C2 con cui Gilles Villeneuve corse nel 1982 o la Ferrari F40 del 1987 e tante altre. Tra questi modelli "storici" vi è anche il progetto di veicolo a molla del 1478 realizzato da Leonardo da Vinci. Oltre a queste auto che hanno segnato il 1900 la collezione negl'anni si è arricchita di nuovi veicoli, non solo modelli di serie come la nuova Fiat 500 del 2007 ma anche concept car come la Fiat Ecobasic la Fioravanti LF1, un prototipo del 2009 che vede la firma della Fioravanti e concretizza un progetto congiunto fra tre delle aziende leader della componentistica per auto: Magneti Marelli, Brembo e Pirelli, volto a migliorare la sicurezza nelle monoposto di Formula 1. Oltre ai concept troviamo anche vetture di serie ma prodotte in serie limitata come la dream car: Alfa Romeo 8C Competizione, esposta anche nella versione "spider". La collezione è arricchita non solo da concept come l'Alfa Romeo Disco Volante o il concept EYE realizzata dallo IED di Torino per la Tesla Motors ma anche da moltissime vetture da competizione e monoposto di formula uno come la Ferrari F310 di Michael Schumacher del 1996, la monoposto Alfa Romeo 179B o la 155 V6 TI famosa per aver dominato nel DTM sin dal suo primo anno di partecipazione.
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