FABBRICA DI CIOCCOLATO (LA)
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FABBRICA DI CIOCCOLATO (LA)
FABBRICA DI CIOCCOLATO (LA) CHARLIE AND THE CHOCOLATE FACTORY RASSEGNA STAMPA CINEMATOGRAFICA Editore S.A.S. Via Bonomelli, 13 - 24122 BERGAMO Tel. 035.320.828 - Fax 035.320.843 - Email: [email protected] 2 Regia: Tim Burton Interpreti: Johnny Depp (Willy Wonka), Freddie Highmore (Charlie Bucket), Helena Bonham Carter (Sig.Ra Bucket), James Fox (Sig. Salt); Christopher Lee (Padre Di Willy Wonka), Missi Pyle (Sig.Na Beauregard), Annasophia Robb (Violet Beauregarde), Noah Taylor (Padre Bucket), Julia Winter (Veruca Salt), Jordan Fry (Mike Teavee), Garrick Hagon (Reporter Di Denver), David Kelly (Nonno Joe), Harry Taylor (Sig. Gloop), Philip Wiegratz (Augustus Gloop) Genere: Fantastico/Avventuroso - Origine: Gran Bretagna/Stati Uniti d'America - Anno: 2005 - Soggetto: Roald Dahl - Sceneggiatura: John August, Pamel Pettler - Fotografia: Philippe Rousselot - Musica: Danny Elfman - Montaggio: Chris Lebenzon - Durata: 105' - Produzione: Richard D. Zanuck, Michael Siegel E Brad Grey Per Warner Bros., The Zanuck Company, Plan B Films, Warner Bros. - Distribuzione: Warner Bros (2005) Fiume e cascata di cioccolato caldo, prati di menta, alberi di caramello, laghi di miele, colline di panna montata, bastoni di zucchero d'orzo, massi ripieni di marmellata, nave di fragola a forma di drago. Ma anche nanetti operai, danzatori e cantanti (sono un unico nano, Deep Roy, moltiplicato all'infinito dalla lavorazione in digitale), punizioni e sparizioni, insidie e pericoli, sfruttamento pure di scoiattoli-schiaccianoci. "La fabbrica di cioccolato" di Tim Burton, tratto dal testo bello e famoso dello scrittore inglese Roald Dahl che aveva già nutrito nel 1971 "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato" di Mel Stuart con Gene Wilder (ora pubblicato in DVD dalla Warner), non è un film per bambini né un film per adulti. È un magnifico film per spettatori amanti della fantasia, della crudeltà, dei sogni, del divertimento. Cinque bambini trovano nelle tavolette di cioccolato Wonka un biglietto d'oro che consente loro, insieme con un parente, di entrare nella fabbrica di cioccolato in cui vive autorecluso il proprietario Willy Wonka e di visitarla. Sono: una ricca viziata, un grassone goloso, una campionessa di masticazione di chewingum, un saputello tecnologico, un bambino 'normale' poverissimo che possiede soltanto l'amore della famiglia. Uno di loro risulterà vincitore della selezione compiuta da Wonka durante il lungo giro della fabbrica, e il suo premio (ma nessuno lo sa) sarà ereditare l'azienda. Gli altri vengono via via eliminati dalla competizione, per tornare un attimo verso la fine: a causa dei loro difetti sono stati puniti, non soppressi. Johnny Depp è un Willy Wonka perfetto nell'alternare o fondere cortesia e follia, realtà e irrealtà, sorrisi e ghigni, eleganza e malvagità: quando evoca come nell'infanzia il severissimo padre dentista (Christopher Lee, figura paterna per il regista Tim Burton) gli proibisse di mangiare dolci e di trarre piacere da ogni dolcezza, si capiscono tante cose. L'immaginazione geniale e la maestria cinematografica di Tim Burton hanno fatto de "La fabbrica di cioccolato" un film incantevole e insieme pedagogico: il protagonista rifiuta il dono della fabbrica se non può dividerlo con i genitori e i nonni; il padre operaio del protagonista, licenziato e sostituito da una, macchina, viene riassunto per tenere sotto controllo quella macchina infida; l'ascensore di vetro volante e trasparente, come altre modernissime strutture della fabbrica, è rischioso. Nel film ammirevole, tutti sono bravissimi: James Fox, padre della bambina viziata e l'innumerevole nano Deep Roy; Philippe Rousselot eccellente direttore della fotografia e Axel McDowell scenografo; Gabriella Pescucci costumista creativa e Danny Elfman compositore delle musiche. Più bravo di tutti è Tim Burton, pudico, ironico, leggero, creatore postmoderno dell'inaudito e del meraviglioso. La Stampa - 02/09/05 Lietta Tornabuoni Charlie Bucket vive in serena miseria con genitori e nonni, mangiando solo zuppa di cavoli. Quando Willy Wonka, padrone della fabbrica da cui esce il miglior cioccolato del mondo, lancia un grande concorso, Charlie è uno dei fortunati bambini che trovano il biglietto d'oro. Gli altri rappresentano quattro peccati capitali: più tradizionali (la gola, la sete di potere) o più aggiornati (la competitività, il culto dell'informatica) che siano. E tratto dal libro di Roald Dahl, che segue con una certa fedeltà (eccetto per l'ultima parte, interamente nuova); eppure "La fabbrica di cioccolato" appare in tutto e per tutto una creatura di Tim Burton. Fino dall'inizio, con quella contrapposizione tra alto e basso - la cioccolateria domina il villaggio e la catapecchia dei Bucket - che riporta per direttissima a "Edward mani di forbice"; come vi riportano il personaggio solitario di Depp e il padre di questi, interpretato da un vecchio attore di horror là Vincent Price, qui Christopher Lee. Se mai c'è stato un film passibile di due diversi livelli di lettura, questo è il nuovo film di Burton. Da una parte si presta a una visione ludica, dolce come il cioccolato, buona per il pubblico infantile come per gli adulti più smaliziati, che gusteranno una satira della popculture dove si chiamano in causa Hitchcock e i Beatles, Kubrick (il famoso monolito di "2001" era una tavoletta di cioccolato?) e Bubsy Berkeley, aggiungendoci un tocco di Magritte. Poi c'è l'altra lettura: ed è una lettura meno innocente, più 'politica', con un retrosapore di cacao amaro. Apparentemente fabbrica fordista, basata sulla catena di montaggio, la cioccolateria rivela invece un interno pieno di strane piante e popolato da minuscole creature, gli Umpa Lumpa. Il giardino delle delizie è la rappresentazione di un organismo umano, che elabora materia organica, la digerisce e la defeca in forma di cioccolato. Più che l'apparato gastrico, però, l'allegoria riguarda il modo di divorare le immagini, il nostro consumo di visivo in una cultura di massa che tutto digerisce e tutto espelle. L'avventura di Charlie e dei suoi compagni nel Paese delle meraviglie non somiglia, forse. a uno dei mille reality show tv dal meccanismo basato sull'eliminazione progressiva di tutti i concorrenti meno uno, il vincitore? Traccia che c'era già nel romanzo di Dahl beninteso, ma che Tim attualizza in modo molto esplicito. Nell'interpretazione di Wonka, capriccioso padrone a metà strada tra il dandy e Michael Jackson, capace di 'soffrire in flashback', Depp mette un bel po' di genio e un pizzico di follia. La Repubblica - 23/09/05 Roberto Nepoti Charlie è un ragazzino tanto felice di stare al mondo. Anche se poi molte ragioni di felicità non le avrebbe. Abita una casupola che farebbe ribrezzo a un sorcio. Si nutre quasi esclusivamente di minestre di cavolo bollito (il menù di casa non è suscettibile di molte variazioni). E vuole tanto bene ai genitori e ai nonni (anche se gente simile può essere amata solo da un cuor d'oro come Charlie). Charlie ha un sogno da sempre. Entrare nel maniero sulla collina, la favolosa fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. Ma la fabbrica è chiusa da un pezzo, e di Wonka quasi nessuno si ricorda (solo il nonno di Charlie, ma è possibile, a questo punto, che Willy sia la fola di un vecchietto). Fola o non fola, Charlie sogna ogni notte la fabbrica come un favolosa Disneyland mangereccia. Finché un giorno il sogno non diventa realtà. Wonka s'è rifatto vivo. Nella contrada s'è sparsa la voce che ha indetto una specie di lotteria. Alle tavolette di cioccolato che ha distribuito nella regione sono abbinati alcuni biglietti ( d'oro) d'ingresso libero nella casa di WiIly. I primi cinque ragazzi che raccoglieranno cinque biglietti potranno visitare, in compagnia di un genitore, la fabbrica di cioccolato e naturalmente abbuffarsi a volontà. Charlie trova cinque tickets e si precipita a razzo. Ma il Willy Wonka che accoglie lui e gli altri quattro sulla soglia è un tipo leggermente inquietante. Pur avendo almeno l'età del nonno di Charlie ha un'apparenza poco più che adolescente, ha la pelle sbiancata gli occhi bistrati, il rossetto sulle labbra. Insomma sembra il gemello di Michael Jackson (certo, è agghindato con abiti ottocenteschi, ma del resto anche la rock star indulge a fogge d'altri tempi). Uno smagato spettatore d'oggi direbbe subito che Charlie e compagnia sono capitati nelle grinfie di un pedofilo. Ma Charlie è un ingenuotto di fiaba. La prima impressione che ha di WilIy è quella di un mago buono capace di mille prodigi. E prodigi certamente accadono in quel luogo dove tutto si può mangiare (alberi, cespugli, sono di caramelle e di bon bon, una pacchia per i cinque visitatori e una condanna a morte per un diabetico). La visita però diventa incubo quando Wonka manifesta il suo scopo. Scegliere nel quintetto l'erede del suo dolciastro impero. E qui tutti i ragazzi , tranne Charlie si rivelano dei maledetti arrivisti che circondano Wonka di moine e tirarlo dalla loro parte. Mal gliene incoglie agli ambiziosetti. Willly rivela il suo lato oscuro. E per i quattro (non per Charlie) saranno cavoli amari. La storia ci fornisce anche un antefatto. Che spiega le turbe di Wonka. Da ragazzino venne messo in croce da un padre sadico (chi si rivede, Christopher Lee) che non solo gli impediva di mangiare caramelle, ma tra i mezzi di tortura adoperava una museruola che intrappollava le gengive del misero Willy. Piacerà forse non ai bambini, ma certamente a molti genitori dei bambini. Il racconto originale di Roald DahI è come quasi tutte le opere di Dahl una storia horror, un po' troppo sofisticata per i piccoli fans di Biancaneve, molto solleticante invece per gli adulti che di Biancaneve hanno sempre apprezzato le cupe atmosfere gotiche (il castello, la foresta, la montagna dove moriva la strega). Nella mani di Tim Burton (i primi batman "Edward mani di forbice") l'incubo è sempre in agguato, anche nelle sequenze dove i colori sono più squillanti e l'aria più solare. Appena si schiude la porta della fabbrica e ap- pare Wonka in cilindro e redingote, è subito chiaro che i cinque ragazzini si stanno infilando in una trappola. Burton giura di non essersi ispirato a Michael Jackson (il suo modello, asserisce, e stato l'aviator Howard Hughes) ma è chiaro che mente sapendo di mentire. Non solo ha truccato Depp come Michael, ma gli rifilato anche i suoi fantasmi, almeno quelli che sono emersi dalla pubblicizzatissima odissea giudiziaria della rock star. Wonka come Michael è una specie di Peter Pan che insegue un infanzia perduta e forse mai avuta. Che magari è sincero quando si presenta nelle vesti di benefattore. Ma che è inevitabilmente destinato al ruolo di carnefice. Burton non delude nemmeno i suoi fedelissimi, quelli che di fronte al suo flop del remake del "Pianeta delle scimmie" paventavano un'altra bufala, quando Tim annunciò che s'accingeva a un altro rifacimento quello di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato del 1971. Pericolo scampato ancor prima di dare il primo ciak. Checché ne dicano gli scribi di cinema che il vecchio 'Willy' non l'hanno mai visto, il vecchio era un vero disastro, anche al botteghino. Bastava che Burton rimanesse nella sua media di rendimento, e il risultato era già migliore. Qui però Tim è ben oltre il proprio standard. I 105 minuti di proiezione sono una festa per gli occhi, dal prologo in casa di Charlie alle bellurie colorate all'interno della factory. E se Depp si mangia a volte il film, anche i personaggi minori (i ragazzi e i loro ignobili genitori) sono splendidamente incisi. Con una precisione e una cattiveria che raramente s'è vista in una pellicola indirizzata (almeno in apparenza) al pubblico delle famiglie. Libero - 23/09/05 Giorgio Carbone