Per approfondire - Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra
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Per approfondire - Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra
Reflectoscopic Analysis of cultural goods for knowledge and preservation G. ANTONIOLI, F. FERMI, C. OLEARI, R. REVERBERI Università degli Studi di Parma, Dipartimento di Fisica – Istituto Nazionale per la Fisica della Materia 1. Introduzione Nonostante l’eccezionale ricchezza artistica dell’Italia, l’interesse per il colore e la colorimetria nei Beni culturali ha preso corpo solo negli ultimi venti anni. Per la verità, già negli anni 1950 l’Istituto Centrale di Restauro, nella persona del fisico Manlio Santini, iniziò studi sulla misurazione del colore nei dipinti, ma le difficoltà strumentali, in parte esistenti ancora oggi, rallentarono la ricerca [15]. Lo scopo di questi studi, allora come oggi, è di arrivare alla conoscenza più profonda di un bene attraverso tecniche analitiche non distruttive, sostituendo ogni conoscenza a vista, cioè basata sull’apparenza visiva e la memoria, mentale e fotografica, con una conoscenza strumentale basata sulla misura delle proprietà ottiche della superficie del bene attenuta mediate tecnica reflectoscopica. Questa tecnica riguarda la misurazione della radiazione elettromagnetica riflessa dalla superficie in relazione alla radiazione incidente o in relazione alla radiazione riflessa da una superficie di riferimento [1, 2]. Il colore e la lucidezza sono le proprietà più evidenti di una superficie e ne caratterizzano l’apparenza visiva. Queste sono riconducibili a grandezze fisiche ben definite, proprie della reflectoscopia, e note con i nomi di fattore di riflessione spettrale e fattore di lucidezza (o, come si suole dire, fattore di gloss - “gloss”, nella lingua inglese, significa appunto lucidezza) [2]. I tempi sono ormai maturi. Le conoscenze scientifiche di base sono acquisite e le metodiche d’indagine sono state definite. È ormai tempo di procedere nella classificazione delle possibili superfici, in modo da creare un “database” per l’immediata utilizzazione pratica. Lo studio di un bene mediante tecniche reflectoscopiche non è limitato al solo fine analitico, ma ha ruolo applicativo. In questo articolo si indicano le più evidenti applicazioni della reflectoscopia e della colorimetria nell’ambito della fruizione e della conservazione dei beni culturali, che possono sintetizzarsi nei seguenti punti, dei quali i primi sei riguardano la conservazione e il restauro del bene e quelli successivi la fruizione del bene: 1) il monitoraggio nel tempo della lucidezza mediante misure del fattore di gloss, col fine di evidenziare deterioramento superficiale dovuto a microscopiche screpolature della vernice, a polvere, a modificazione chimica e fisica dovuta all’interazione con l’ambiente; 2) il monitoraggio nel tempo delle caratteristiche reflectoscopiche spettrali del bene, al fine di valutare il degrado cromatico del bene (in questo caso misure reflectoscopiche sostituiscono la documentazione fotografica classica, dipendente dall’illuminazione contingente dell’oggetto ripreso, affetta da deperimento nel tempo e priva della oggettività della misura); 3) studio colorimetrico dell’invecchiamento dei pigmenti, dei leganti e delle vernici in situ e con invecchiamento artificiale; 4) l’analisi colorimetrica del bene per la scelta dei materiali con cui effettuare l’eventuale restauro (primo scopo è di evitare forme di metamerismo, con l’impiego di materiali visivamente uguali all’originale solo sotto particolari illuminazioni); 5) l’analisi colorimetrica del bene ottenuta con illuminazione contenente radiazione ultravioletta per l’identificazione dei componenti fluorescenti; 6) la classificazione dei materiali e dei colori in ambito urbano, architettonico, archeologico, .… (in questo caso le misurazioni avvengono a distanza con tecniche proprie del telerilevamento); 7) l’illuminazione del bene, col duplice fine di avere una visione diretta ottimale compatibile con la più sicura conservazione del bene (il miglior risultato si raggiunge con la conoscenza reflectoscopica del bene e la conoscenza spettrale delle sorgenti per l’illuminazione); 8) la ripresa fotografica ottimale del bene (in questo caso è richiesta anche la sensibilità spettrale della pellicola o dei fotorivelatori della camera digitale). Come è noto, un corpo illuminato assume un’apparenza che dipende dall’illuminazione. Due sono gli insiemi di fenomeni che prevalgono nel creare l’apparenza: i primi riguardano la riflessione della luce sulla superficie del corpo illuminato e i secondi i processi di assorbimento, diffusione e fluorescenza all’interno del corpo [2, 3, 7, 9]. Con misurazioni fisiche differenti si tende, per quanto possibile, a distinguere i fenomeni: il fattore di gloss tende a considerare ciò che avviene in superficie e il fattore di riflessione spettrale ciò che avviene all’interno. Questa separazione non è però mai totale. Le misure reflectoscopiche dipendono dalla temperatura e dall’umidità, in particolare la dipendenza del colore dalla temperatura è un fenomeno, detto termocromismo, sovente trascurato. Tali dipendenze possono essere anche grandi e non vanno sottovalutate. La riflessione non è l’unico fenomeno che riguarda la superficie e l’apparenza dei corpi. Esistono superfici la cui struttura micrometrica e submicrometrica dà origine al fenomeno della diffrazione con appariscenti effetti cromatici. Sono di questa natura le iridescenze dei compact disc e gli effetti di colore delle ali delle farfalle e delle piume di certi uccelli. Il colore in questi casi dipende dalla natura spettrale della sorgente che illumina, dall’inclinazione con cui la luce incide sul corpo e dal punto di osservazione. Fenomeni di natura interferenziale si hanno sulle superfici di corpi ricoperti da strati di differenti materiali e di spessore submicrometrico. Questi fenomeni portano a colorazioni appariscenti e a iridescenze. La colorazione delle bolle di sapone, delle lenti in strumenti ottici e di certi occhiali da sole, oggi di moda, è dovuta a interferenza. Anche in questo caso il colore dipende dalla natura spettrale della sorgente che illumina, dall’inclinazione con cui la luce incide sul corpo e dal punto di osservazione. Nel caso di diffrazione superficiale e di interferenza le grandezze fisiche, di cui sopra si è parlato, devono essere riconsiderate nella loro definizione. Il fattore di riflessione spettrale ha valore conoscitivo solo se si considerano singolarmente i raggi a definiti angoli d’incidenza e di emergenza dalla superficie del corpo e la misurazione del fattore di gloss non è più nettamente separabile dalla misurazione del fattore di riflessione spettrale. Per fare queste misurazioni sono stati recentemente messi sul mercato spettrofotometri multiangolo, destinati a operare nei laboratori di aziende per vernici con pigmenti metallici, micacei, interferenziali, perlescenti e in generale con pigmenti a effetto. È evidente che la colorazione e l’apparenza dovute a diffrazione e interferenza richiedono una trattazione a parte, data la complessità dei fenomeni. Per quanto riguarda i beni culturali, questi fenomeni si presentano in un limitato insieme di casi e ciò ci induce a non considerarli in questa nota. 2. La lucidezza dei corpi La lucidezza di un corpo dipende dalla riflessione superficiale, la quale, a sua volta, dipende dalla qualità della superficie, che può essere levigata o scabra [2]. Nel primo caso si ha riflessione speculare, o regolare, e nel secondo riflessione diffusa. In generale i due tipi di riflessione sono contemporaneamente presenti in rapporto variabile. Analogamente, nel caso di corpi trasparenti, si ha trasmissione regolare o speculare e trasmissione diffusa della luce. La riflessione come fenomeno fisico è governata dalle leggi della riflessione e della rifrazione di Snell e dalle leggi di Fresnel. Le prime riguardano l’aspetto geometrico del fenomeno e le seconde riguardano l’energia e la polarizzazione della luce. Questi fenomeni superficiali dipendono dall’indice di rifrazione e quindi, per corpi caratterizzati da indice di rifrazione poco variabile nell’intervallo delle radiazioni visibili, hanno ruolo poco importante dal punto di vista spettrale. Come già detto, la grandezza che quantifica la lucidezza di una superficie è il fattore di gloss. Si definisce fattore di gloss il rapporto tra due flussi luminosi riflessi in modo speculare rispettivamente dalla superficie in esame e da una superficie convenzionale di riferimento (Fig. 1). Quest’ultima è costituita da vetro levigato di indice di rifrazione n = 1.567 e contenente pigmento nero (norma ISO 2813). Il pigmento nero comporta che la luce che per rifrazione entra nel corpo di vetro nero venga totalmente assorbita e non riemerga, e ciò garantisce che si misura solo il flusso di luce riflessa specularmente dalla superficie. La riflessione è speculare, quindi gli angoli di incidenza e di riflessione sono uguali. Tale angolo è tipico di ogni settore merceologico ed è convenzionale. Per costruzione il fattore di gloss è adimensionale e a volte è espresso su scala percentuale. Lo strumento per la misurazione del fattore di gloss è comunemente detto glossmetro ed è reperibile sul mercato. ϑ ϑ I I0 n = 1.567 Fig. 1 – Geometria di illuminazione e di visione nella misurazione del fattore di gloss. 3. Il colore dei corpi La grandezza fisica atta a specificare il colore di un corpo visto in riflessione è il fattore di riflessione spettrale mentre per un corpo visto in trasparenza è il fattore di trasmissione spettrale. È opportuno dare la definizione di queste grandezze prima di affrontare il discorso sull’origine fisica del colore [1, 2]. Il fattore di riflessione spettrale di una superficie è il rapporto tra il flusso radiante spettrale uscente dalla superficie in esame e il corrispondente flusso uscente dal diffusore riflettente ideale imponendo che i due corpi siano illuminati con uguale geometria e i flussi uscenti siano raccolti in uguale geometria. Per costruzione il fattore di riflessione spettrale è adimensionale e a volte è espresso su scala percentuale (nei grafici qui riportati la scala non è percentuale). Il diffusore riflettente ideale è una superficie ideale che non assorbe, né trasmette luce, ma riflette diffusamente con una radianza uguale per tutti gli angoli di riflessione e in tutti i punti della superficie (tale radiazione emergente dalla superficie è detta lambertiana). Ciò che distingue fattori di riflessione diversi è il modo di illuminare e di raccogliere la luce. La Commission International de l’Éclairage (CIE) ha definito modi standard di operare, a cui i produttori di strumenti si attengono rigorosamente. Qui si considerano le due geometrie più importanti per lo studio dei beni culturali: a) geometria 45°/0°, in cui la luce illuminante è costituita da un fascio parallelo di raggi che incide sulla superficie con un angolo d’incidenza di 45° e la luce emergente dalla superficie per essere inviata allo spettrometro è costituita da un fascio di raggi paralleli e ortogonali alla superficie stessa, quindi con un angolo di 0° (Fig. 2). In pratica si evita di considerare raggi rigorosamente ortogonali alla superficie illuminata per evitare che l’ottica con cui si raccoglie la luce produca riflessioni sulla superficie stessa alterando la misura. Si opera con un angolo prossimo a 0° e per convenzione questo angolo è di 8°. allo spettrometro 8° 45° I I0 diffusore ideale Fig. 2 – Geometria 45°/0° nella misurazione del fattore di riflessione spettrale. b) geometria diff/0°. La luce illuminante entra in una sfera d’integrazione, la cui superficie interna, che approssima nel modo migliore la superficie lambertiana bianca, diffonde la luce all’interno in modo quasi lambertiano. Ciò comporta che attraverso una piccola apertura della sfera (piccola significa avente un’area inferiore a 1/10 dell’area della superficie interna della sfera) si realizza un flusso uscente di luce quasi lambertiano e quindi, se su tale porta si pone l’oggetto da misurare, questo è illuminato in modo diffuso quasi lambertiano. Con un’opportuna ottica si raccoglie la luce che emerge ortogonalmente dall’oggetto e la si invia allo spettrometro. In pratica non si raccoglie la luce emergente esattamente a 0° ma la si raccoglie a 8°, come nel caso della geometria 45°/0° e per la stessa ragione. (Fig. 3). Con la geometria consentita dalla sfera di integrazione si opera secondo due modi diversi, con la componente speculare inclusa o esclusa: sulla sfera, in posizione simmetrica al punto in cui si raccoglie la luce da inviare allo spettrometro e rispetto alla normale al campione da misurare, si presenta un foro otturabile con un tappo rimovibile. Se il tappo chiude l’apertura senza interrompere le proprietà ottiche della superficie interna, il corpo viene illuminato anche dalla luce che, proveniente dal tappo, per riflessione speculare giunge direttamente allo spettrometro e in questo caso la misura è con la componente speculare inclusa. Se il tappo è rimosso la componente speculare viene esclusa. La componente speculare della luce dipende dal grado di lucidezza della superficie dell’oggetto della misura e quindi le misure eseguite nei due diversi modi producono informazioni diverse. Il confronto tra le misure ottenute nei due diversi modi dà informazioni sulla lucidezza della superficie del campione. Solo per la misura ottenuta con la componente speculare esclusa ha senso un confronto con la misura ottenuta in geometria 45°/0°. allo spettrometro Tappo rimovibile 8° diffusore ideale Fig. 3 – Geometria diff/0° nella misurazione del fattore di riflessione spettrale. Il tappo rimovibile permette la misurazione con la componente speculare inclusa per tappo inserito ed esclusa per tappo rimosso. Per i corpi visti in trasparenza, come i vetri colorati, sono definibili grandezze analoghe a quelle per la visione della luce riflessa, ma la pratica risente del fatto che la definizione di un corpo ideale trasmittente in modo diffuso è problematica. In questo caso si procede operativamente nella geometria 0°/0° con cui si misura la trasmittanza interna di corpi a scopo chimico-analitico (Fig. 4). Si definisce il fattore di trasmissione spettrale interna di un corpo a facce piane e parallele il rapporto I(λ)/I0(λ) tra i flussi spettrali radianti emergenti rispettivamente dal campione in esame e da un campione di uguale forma e uguale indice di rifrazione. Questa misura è quasi totalmente indipendente dalla riflessione che si ha sulla superficie del corpo. Si definisce trasmittanza spettrale totale di un corpo a facce piane e parallele il rapporto I(λ)/Iin(λ) tra i flussi spettrali radianti rispettivamente emergente ed entrante nel campione in esame. Questa misura dipende dalla riflessione che si ha sulla superficie del corpo e quindi è meno utile per la identificazione del colorante contenuto nel corpo. Per costruzione la trasmittanza spettrale è adimensionale e a volte è espressa su scala percentuale. Allo spettrometro I Iin I0 Fig. 4 – Geometria 0°/0° nella misurazione della trasmittanza spettrale interna. Questa geometria è la stessa usata nei convenzionali spettrofotometri a scopo analitico nei laboratori chimici. Si procede ora nel considerare i fenomeni fisici responsabili del colore dei corpi con lo scopo di passare a una loro modellizzazione. Come già detto, non consideriamo il colore dovuto a diffrazione e interferenza, e ci limitiamo al caso in cui i fenomeni responsabili del colore sono l’assorbimento e la diffusione della luce. La fluorescenza viene trattata a parte. Distinguiamo ancora il fenomeno di riflessione superficiale dai fenomeni che si verificano all’interno dei corpi. Un corpo può essere al suo interno otticamente omogeneo o disomogeneo. Si ha omogeneità ottica se l’indice di rifrazione è uguale in tutti i punti del corpo e si ha disomogeneità se cambia da punto a punto. La disomogeneità ottica è molto importante perché è responsabile della diffusione della luce. I corpi che presentano trasparenza sono otticamente omogenei mentre i corpi opachi no. La colorazione è prevalentemente dovuta all’assorbimento spettralmente selettivo di luce. Le sostanze coloranti che miscelate con un mezzo legante (solitamente detto veicolo) danno origine a un nuovo materiale otticamente omogeneo, cioè trasparente, sono dette coloranti (in inglese “dye”). Le sostanze coloranti che in tale miscelazione portano a corpi otticamente non omogenei, cioè a corpi opachi, sono detti pigmenti. I coloranti presentano solo assorbimento di luce mentre i pigmenti assorbimento e diffusione. 3.1 Coloranti e mezzi trasparenti Consideriamo prima i coloranti. Un colorante è caratterizzato esclusivamente da un coefficiente di assorbimento lineare spettrale a(λ) che rappresenta la probabilità che un fotone di lunghezza d’onda λ sia assorbito in un percorso unitario all’interno di un mezzo avente una concentrazione unitaria del colorante stesso [2]. Le grandezze che specificano otticamente l’interno di un dato corpo di spessore s e concentrazione del colorante c sono: 1) La trasmittanza spettrale interna (la dipendenza dalla concentrazione c del colorante e nota come legge di Beer e la dipendenza dal cammino s come legge di Bouguer-Lambert) (Fig. 5) τ i (λ , s) = exp(− c a(λ ) s ) = 10 − c ε (λ ) s Si osserva che • per ragioni pratiche si preferisce la base decimale a quella neperiana e quindi si passa dal coefficiente di assorbimento al coefficiente di estinzione ε(λ) = log10e a(λ) = 0.43429 a(λ); la trasmittanza τi(λ, s) è adimensionale e l’unità di misura di con cui si esprimono ε(λ) e a(λ) dipende dalle unità scelte per c e s ed è tale che il prodotto delle dimensioni delle tre grandezze [c a(λ) s] è adimensionale. 2) la densità ottica interna (Fig. 6) • δ(λ, c, s) = − log10τi(λ, s) = c ε(λ) s 3) il logaritmo della densità ottica interna (Fig. 7) log10δ(λ, c, s) = log10ε(λ) + log10(c s). Quest’ultima grandezza si presenta come somma di altre due, delle quali log10ε(λ) è una funzione della lunghezza d’onda e log10(c s) è una costante. La funzione log10ε(λ) è tipica del colorante, come lo è il coefficiente d’estinzione ε(λ), e la sua conoscenza è di enorme importanza analitica. L’analisi qualitativa si attua per semplice confronto tra la funzione misurata e le funzioni proprie di coloranti noti e loro miscele raccolte in un database. Si deve porre attenzione al fatto che la legge di Beer può non essere rispettata esattamente per concentrazioni elevate. 1 τ i( λ ) 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 5 – Trasmittanza spettrale interna di filtri di gelatina, concepiti per uso fotografico in sintesi sottrattiva, caratterizzati da diverse concentrazioni del colorante magenta. δ( λ ) 400 500 600 [nm] 700 Fig. 6 – Densità ottica (o assorbanza) spettrale interna dei filtri di colore magenta considerati in figura 5. log10δ(λ) 400 500 600 [nm] 700 Fig. 7 – Logaritmo in base 10 della densità ottica dei filtri di colore magenta considerati nelle figure 5 e 6. Le cinque funzioni qui riprodotte differiscono per una costante e hanno la forma tipica del colorante usato. Gli strumenti per la misurazione delle grandezze qui definite sono spettrofotometri normalmente reperibili in commercio. Purtroppo gli strumenti standard per laboratorio chimico operano solo su campioni sufficientemente piccoli da entrare nello strumento. Inoltre richiedono campioni a facce piane e parallele affinché, dal confronto con un uguale campione privo del colorante, si possa separare nella misurazione la riflessione superficiale dall’assorbimento interno al campione. Comunque oggi esistono strumenti dotati di guide di luce a fibre ottiche adattabili a misurazioni in situ. In questo caso l’operatore deve essere anche adeguatamente competente in ottica per disporre correttamente lo strumento. I coloranti sono sovente usati per colorare carta, tessuti, …, e in questi casi non si ha a che fare con un corpo trasparente e quindi il modo di procedere è lo stesso che si ha per i mezzi torbidi. Consideriamo per esempio un inchiostro costituito da un liquido con all’interno disciolto un colorante (esistono anche inchiostri contenenti pigmenti). Una volta inchiostrato un foglio di carta l’inchiostro essicca e la carta appare ricoperta da uno strato solido, trasparente e con all’interno il colorante. Questo strato funziona da filtro per la luce che illumina il foglio, infatti la luce, una volta attraversato lo strato, arriva spettralmente modificata sulle fibre di cellulosa della carta. Qui le fibre di cellulosa diffondono la luce. La parte di luce diffusa all’indietro viene nuovamente filtrata dallo strato d’inchiostro e infine riemerge giungendo all’osservatore. 3.2 Pigmenti e mezzi torbidi I pigmenti sono materiali che, sotto forma di granuli di dimensione micrometrica e submicrometrica, si trovano all’interno di un corpo conferendo a questo un aspetto opaco e colorato. Solitamente corpi di questo tipo, sia naturali sia artificiali, sono detti mezzi torbidi. Il grado di opacità e il colore dipendono dalla concentrazione dei pigmenti nel corpo. Se l’opacità non è completa si parla di corpo traslucido. Come già detto, qui ci si limita ai pigmenti caratterizzati solo dal coefficiente di assorbimento spettrale K(λ) e dal coefficiente di diffusione spettrale S(λ), escludendo i pigmenti metallici, micacei, perlescenti, …, fluorescenti. Si ha diffusione se il raggio emergente ha uguale lunghezza d’onda del raggio incidente, mentre si ha fluorescenza se il raggio emergente ha lunghezza d’onda più lunga di quella del raggio incidente (legge di Stokes). La diffusione della luce è un fenomeno tridimensionale perché per ogni fotone che giunge al punto, in cui avviene la diffusione, si ha un fotone che, se non assorbito, emerge in tutte le direzioni, seppur con diverse probabilità. La trattazione corretta di un mezzo torbido richiede una modellizzazione tridimensionale dell’interazione tra la luce e i granuli di pigmento dispersi nel mezzo con una rappresentazione tensoriale del coefficiente di diffusione. Nella storia della scienza si trovano vari tentativi di modellizzazione tridimensionale, ma la loro complessità e specificità ne ha impedito l’applicazione diffusa su scala industriale. Il successo è toccato invece a un modello monodimensinale, il quale propone una trattazione riduttiva dell’interazione tra luce e materia. Il modello, limitato all’interno dei corpi, è noto come modello a due flussi di Kubelka e Munk, mentre l’aspetto superficiale è trattato in una elaborazione aggiuntiva nota come correzione di Saunderson [2, 9]. Il modello di Kubelka – Munk introduce la diffusione in un modello monodimensionale e per questo è una generalizzazione delle leggi di Bouguer-Lambert e di Beer. Tale modello, nonostante la sua nota limitazione intrinseca, opera in modo soddisfacente e tutte le aziende del settore delle vernici, delle materie plastiche e in generale di tutti i materiali colorati, ne fanno uso. È anche noto che la risposta del modello non può essere esatta e quindi ogni imitazione di un colore dato mediante pigmenti noti avviene in due fasi: una prima fase in cui si applica il modello e una seconda che ne corregge il risultato. Il modello di Kubelka – Munk, seppur riduttivo, non è semplice come la trattazione dei coloranti vista sopra, quindi ci limitiamo a dire che, secondo questo modello, ogni mezzo contenente pigmenti ha un fattore di riflessione spettrale (o di trasmissione spettrale, se il mezzo è visto in trasparenza), che è funzione dei coefficienti K(λ) e S(λ), che caratterizzano il pigmento. Nel caso particolare di totale opacità per cui il mezzo non permette di intravedere ciò che si trova oltre il mezzo stesso (nel caso di vernici si parla di coprenza totale) il fattore di riflessione spettrale R∞(λ) assume la seguente forma R∞ (λ ) = 1 + K (λ ) − S (λ ) 2 K (λ ) K (λ ) + 2 S (λ ) S (λ ) che appare molto interessante, perché R∞(λ) risulta funzione del solo rapporto K(λ)/S(λ). Esplicitando tale rapporto si ottiene 2 K (λ ) (1 − R∞ ) = S (λ ) 2 R∞ (esiste anche un’altra soluzione ma questa non è fisicamente significativa). La correzione di Saunderson esprime il fattore di riflessione totale R’(λ), in cui si considera anche l’effetto superficiale, mediante la R∞(λ) di Kubelka-Munk e l’indice di rifrazione del mezzi. Strumentalmente si misura R’(λ). È qui che si inserisce la molto importante legge della miscelazione di Kubelka-Munk K mix (λ ) = S mix (λ ) ∑ c K (λ ) , ∑ c S (λ ) i i i i i i con ∑c i i =1 che esprime il rapporto Kmix(λ)/Smix(λ) di una miscela di pigmenti in funzione dei coefficienti Ki(λ) e Si(λ) dei singoli pigmenti e delle loro concentrazioni ci. Anche in questo caso si è interessati per scopo analitico a risalire a una funzione che permetta di riconoscere i pigmenti responsabili del colore di un mezzo torbido. L’esperienza porta a dare questo ruolo alla funzione S (λ ) log mix K mix (λ ) relativa alla miscela del pigmento in esame col pigmento bianco, la quale, al variare della concentrazione del pigmento tra il 10% e il 90%, cambia con buona approssimazione per una costante additiva, come accadeva per il logaritmo della densità ottica nel caso dei coloranti. Le figure 8-12 propongono i coefficienti di assorbimento e di diffusione del pigmento bianco e di un pigmento verde, tipici dell’industria delle vernici, del fattore di riflessione spettrale e del log[Smix(λ)/Kmix(λ)]. In figura 8 sono rappresentati i coefficienti K(λ) e S(λ) del pigmento bianco, il quale ha il coefficiente S(λ) = 1 per definizione. In figura 9 sono proposte a confronto su sfondo nero uguali strati di sfere di vetro di diametro decrescente da sinistra a destra e col diminuire del diametro appare crescere la sensazione di bianco e insieme diminuire la sensazione di trasparenza. Ciò mostra come il colore bianco del pigmento bianco sia dovuto alla riflessione dei granuli e che cresce coll’aumentare del loro numero. Nei grafici qui considerati le misurazioni sono state fatte in geometria diff/0°, salvo diversa specificazione. L’analisi qui proposta riguarda pitture totalmente coprenti. Se la pittura non è tale, il substrato della superficie dipinta altera il colore e il fattore di riflessione spettrale. La teoria di KubelkaMunk considera anche questo caso ma la soluzione è molto più complicata. Lo studio di una superficie dipinta richiede una valutazione della coprenza della pittura. Pigmento bianco Fattore di diffusione posto per definizione uguale a 1 per il pigmento bianco S(λ) 1 10 K(λ) 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 8 – Coefficienti K(λ) e S(λ) del pigmento bianco qui usato in miscela col pigmento verde (Fig. 10, 11, 12, 13). Il coefficiente di diffusione è posto uguale a 1 per convenzione come se il pigmento fosse ideale. Questa scelta è imposta da necessità matematica per procedere nella caratterizzazioni di tutti i pigmenti. Il coefficiente di assorbimento per un pigmento bianco ideale dovrebbe essere 0. Nel caso qui rappresentato si ha assorbimento al di sotto dei 430 nm. Fig. 9 – Fotografie a confronto di uguali strati su sfondo nero di sfere di vetro di diametro decrescente da sinistra a destra. Col diminuire del diametro appare crescere la sensazione di bianco, dovuta alla riflessione delle sfere, e insieme diminuire la sensazione di trasparenza. 5 Pigmento verde 10 S(λ) 4 3 K(λ) 2 1 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 10 – Coefficienti K(λ) e S(λ) del pigmento verde che, miscelato in vari rapporti col pigmento bianco (fig. 8), viene analizzato nelle figure 11, 12 e 13. y G R B x Fig. 11 – Diagramma di cromaticità CIE 1931 con le cromaticità delle miscele di pigmento bianco (fig. 8) e verde (fig, 10). Si osserva l’andamento non lineare delle cromaticità, tipico della sintesi sottrattiva dei colori (nella sintesi additiva delle luci si ha un segmento rettilineo). Si osserva anche che molti colori ottenuti per diverse miscele dei due pigmenti sono al di fuori del triangolo RGB di un monitor tricromatico standard, quindi questi colori non sono riproducibili su tale monitor. R(λ) 400 500 600 [nm] 700 Fig. 12 – Fattore di riflessione spettrale di miscele di pigmento bianco (fig. 8) e verde (fig, 10) secondo i rapporti 100%-0%, 90%-10%, 80%-20%, 70%-30%, …,10%-90%,0%-100%. Si osserva che i vari grafici hanno una variazione progressiva e regolare col cambiare dei rapporti di miscelazione a esclusione degli intervalli agli estremi in cui un pigmento passa dallo 0% al 10% (variazione evidenziata con le frecce). log(Smix/Kmix) 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 13 – Logaritmo del rapporto Kmix(λ)/Smix(λ) di miscele di pigmento bianco (fig. 8) e verde (fig, 10) secondo i rapporti 100%-0%, 90%-10%, 80%-20%, 70%-30%, …,10%-90%,0%-100% (fig 12). Si osserva che le varie curve hanno una variazione molto regolare al cambiare dei rapporti di miscelazione, a esclusione degli intervalli agli estremi in cui un pigmento passa dallo 0% al 10% (variazione evidenziata con le frecce), e tale regolarità è così alta da sembrare che le curve siano parallele ed equispaziate. È la forma di queste curve a caratterizzare il pigmento verde considerato. In questo caso, come avviene nella generalità dei casi, questa regola empirica è rispettata. Si presentano anche dei casi singolari, in cui esiste una lunghezza d’onda nell’intervallo visibile o poco fuori, per la quale il log[Smix(λ)/Kmix(λ)] assume lo stesso valore per ogni rapporto di miscelazione tra i pigmenti. Chiamiamo questa lunghezza d’onda punto invariante. Ciò è implicito nella legge della miscelazione di Kubelka-Munk e si verifica tutte le volte che i due pigmenti che entrano nella miscela hanno uguale rapporto K/S in corrispondenza di una particolare lunghezza d’onda, o in una regione. Un esempio di questo caso è presentato nelle figure 14-18, dove i pigmenti in esame sono il giallo Hansa e il blu. 4 Pigmento giallo 3 2 10 S(λ) K(λ) 1 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 14 – Coefficienti K(λ) e S(λ) del pigmento giallo Hansa che, miscelato in vari rapporti col pigmento blu (fig. 15), origina un punto invariante, analizzato nelle figure 16, 17 e 18. 5 Pigmento blu K(λ) 4 3 10 S(λ) 2 1 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 15 – Coefficienti K(λ) e S(λ) del pigmento blu che, miscelato in vari rapporti col pigmento giallo Hansa (fig. 14), origina un punto invariante, analizzato nelle figure 16, 17 e 18. 5 K(λ)/S(λ) 4 Pigmento blu 3 Lunghezza d’onda relativa a un punto invariante 2 1 Pigmento giallo 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 16 – Curve dei rapporti K(λ)/S(λ) dei pigmenti giallo Hansa (fig. 14) e blu (fig. 15). Si osserva che a 470 nm le due curve si intersecano e assumono lo stesso valore. Per ogni rapporto di miscelazione di questi due pigmenti [Kmix(λ)/Smix(λ)] rimane immutato (legge della miscelazione dei pigmenti di Kubelka - Munk) e quindi il fattore di riflessione spettrale non varia al cambiare del rapporto di miscelazione dei due pigmenti. La presenza di in punto invariante comporta che la regolarità vista in fig. 13 per i pigmenti bianco e verde non si ripeta in questo caso. log(Smix/Kmix) 0 Punto invariante 400 500 600 [nm] 700 Fig. 17 – Curve del logaritmo dei rapporti K(λ)/S(λ) dei pigmenti giallo Hansa e blu (fig. 14, 15 e 16) in diversi rapporti di miscelazione. Si osserva che a 470 nm si ha un punto invariante in cui le varie curve assumono lo stesso valore. R(λ) Punto invariante 400 500 600 [nm] 700 Fig. 18 – Curve fattore di riflessione spettrale di miscele dei pigmenti giallo Hansa e blu (fig. 14, 15, 16 e 17) secondo i rapporti 100%-0%, 90%-10%, 80%-20%, 70%-30%, …,10%-90%,0%100%. Si osserva che a 470 nm si ha un punto invariante in cui il fattore di riflessione spettrale ha lo stesso valore per tutti i rapporti di miscelazione. Rimane da caratterizzare i singoli pigmenti che si vuole considerare e ciò avviene misurandone le funzioni Ki(λ) e Si(λ) (i è l’indice che identifica il pigmento). Questa è una misura indiretta e avviene nel modo seguente [2]. Si considerino m diverse miscele di n pigmenti, indicate con k = 1,...m, con le concentrazioni ck,i note. Per ogni miscela si misura il fattore di riflessione spettrale Rk '( λ j ) (nelle aziende produttrici di vernici si suole operare in geometria diff/0° con componente speculare inclusa) e da questo, applicando la correzione di Saunderson a ritroso, si ricava il fattore di riflessione interno R∞, k ( λ j ) . Ora si procede alla valutazione delle funzioni Ki(λj) e Si(λj), la quale avviene per punti, cioè in corrispondenza a ogni lunghezza d’onda λj, risolvendo un sistema di m equazioni (1 − R ∞,k (λ j ) ) 2 R∞ , k (λ j ) 2 = ∑c ∑c i k ,i K i (λ j ) i k ,i Si (λ j ) con k = 1,..., m . Solitamente si procede considerando miscele del generico pigmento col pigmento bianco, del quale si assume il coefficiente di diffusione Sw(λj) = 1 per ogni lunghezza d’onda. Nell’industria delle vernici si seguono schemi operativi consolidati da una esperienza ormai pluridecennale: Per il pigmento nero in miscela col bianco si considerano 3 miscele: 100% del pigmento bianco (la miscela costituita da un solo pigmento presente al 100% è detta a tono pieno e “mass tone” in inglese), 100% del pigmento nero, miscela con 3% di nero e 97% di bianco, da cui si derivano tre equazioni in tre incognite. Una volta caratterizzati i pigmenti bianco e nero si procede con gli altri. • Per ogni altro pigmento colorato organico si considerano le seguenti due miscele: miscela con 5% di questo pigmento e 95% di bianco, miscela con 99% di questo pigmento e 1% di nero, da cui si derivano due equazioni in due incognite. • Per ogni altro pigmento colorato inorganico si considerano le seguenti due miscele: miscela con 25% di questo pigmento e 75% di bianco, • miscela con 99% di questo pigmento e 1% di nero, da cui si derivano due equazioni in due incognite. La caratterizzazione è solitamente buona, a esclusione dei pigmenti con alta croma e tinta gialla, arancia e rossa, per i quali il fattore di riflessione alle lunghe lunghezze d’onda varia troppo poco al variare della concentrazione del pigmento nella miscela. Una volta caratterizzati i pigmenti, il problema quotidiano delle aziende produttrici di vernici, inchiostri, materiali plastici colorati o aziende tessili ha il nome di formulazione dei coloranti e consiste nel valutare le concentrazioni di pigmenti e coloranti noti idonee alla riproduzione del colore di un dato campione. In generale vengono miscelati solo quattro pigmenti oltre al veicolo: il pigmento bianco, quello nero e due pigmenti responsabili del colore. Per avere risultati poco sensibili alle fluttuazioni, che in pratica si hanno nella miscelazione dei pigmenti, è opportuno che questi entrino nella miscela con concentrazioni superiori al 10%. La presenza eventuale di metamerismo può richiedere particolari scelte dei pigmenti e miscele con un numero di pigmenti superiore a quattro. Il problema è sempre affrontato con la teoria di Kubelka-MunkSaunderson. Nella lavorazione occorre tenere presente alcuni fenomeni che influenzano il colore finale: 1) La diffusione S(λ) dipende dalla sezione dei granuli di pigmento e quindi dal grado di macinazione dei pigmenti. Ciò comporta che lo stesso pigmento usato in diversi gradi di macinazione origina colori leggermente diversi. 2) Nel processo di essiccazione in una vernice i granuli di pigmento tendono a coordinarsi (flocculazione) e ciò comporta un cambiamento dei coefficienti S(λ) e K(λ) e quindi del colore. CLASSIFICAZIONE DEI PIGMENTI Classificazione dei pigmenti Pigmenti convenzionali Pigmenti metallici Pigmenti iridescenti e perlescenti Pigmenti micacei 1° tipo Fenomeni prevalenti e caratterizzanti Formula chimiche e indice di rifrazione La diffusione prevale sull’assorbimento (p.es. pigmenti bianchi) • Biossido di Titanio TiO2: Rutilo (n = 2.76) Anatasio (n = 2.55) • BaSO4 (barytes, blank fixe) n ≈ 1.64 • Bianco piombo, carbonato basico di piombo, Pb(OH)2 2PbCO3 , n ≈ 2 • Ossido di zinco ZnO, n ≈ 2 2° tipo L’assorbimento prevale sulla diffusione (p.es. nero fumo, pigmenti organici di piccola sezione) 3° tipo Assorbimento e diffusione ugualmente presenti (p. es. molti pigmenti organici) • Ossido nero di ferro, n ≈ 2.4 • Pigmenti organici a grana grossa Riflessione di tipo speculare Microlamine non metalliche ad alto indice di rifrazione Interferenza, diffrazione L’esperienza condotta dalle aziende delle vernici è una indicazione importante per procedere nel caratterizzare i pigmenti usati nell’arte nei vari tempi. Ogni periodo storico e ogni cultura hanno loro propri pigmenti, una volta caratterizzati i quali, si dispone di un database idoneo alla identificazioni dei pigmenti usati nelle opere d’arte dei vari autori misurando il fattore di riflessione spettrale, dal quale si deriva la funzione caratteristica log[Smix(λ)/Kmix(λ)]. È consuetudine classificare i colori dei dipinti e degli oggetti d’arte usando atlanti dei colori, per esempio gli atlanti Munsell e NCS [2]. Tale pratica deve la sua fortuna alla facilità e alla concretezza d’uso, ma ha limitazioni importanti: il confronto con un atlante deve avvenire sotto un ben definito illuminante, solitamente il D65, e in definita geometria di illuminazione e visione. Ciò è difficilmente realizzabile in pratica. Inoltre non va sottovalutato il deterioramento degli atlanti nel tempo e con l’uso. Tutto ciò ci ha indotto a non considerare tale modo di specificare i colori. 3.3 Fenomeni dell’invecchiamento Lo studio del colore nei dipinti antichi e generalmente nei beni culturali non può prescindere dall’invecchiamento del materiale costituente il bene ed è questa una ulteriore ragione per non seguire la classificazione dei colori mediante atlanti, bensì di seguire la via reflectoscopica. I fenomeni che riguardano l’invecchiamento sono vari e devono essere considerati distintamente. Essi riguardano la superficie e l’interno dello strato superficiale del bene e quindi riguardano le vernici, i pigmenti, i coloranti e il materiale in cui si trovano. La polvere e l’alterazione fisica della superficie si manifesta in un cambiamento di lucidezza, che è valutabile con misure di gloss. La misurazione del gloss viene eseguita molto raramente mentre dovrebbe avvenire con maggior frequenza. Misure del fattore di riflessione spettrale evidenziano anche l’inscurimento dovuto alla polvere, allo sporco dovuto per esempio al fumo delle candele sui dipinti nelle chiese. In figura 19 si considera come esempio la Croce Processionale di Bernardo Daddi (opera eseguita a tempera uovo su tavola fondo oro, in restauro presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze), della quale in una regione uniforme, dipinta a base di lapislazzuli, è stato misurato il fattore di riflessione spettrale prima e dopo di una pulitura eseguita secondo le consolidate tecniche del restauro [17]. La misura si estende su un intervallo che contiene oltre al visibile il primo infrarosso, perché ciò permette di identificare senza ambiguità il pigmento usato. La figura 20 confronta il fattore di riflessione spettrale di due pigmenti diversi il cui riconoscimento dallo spettro visibile è arduo, mentre la parte infrarossa permette un riconoscimento non ambiguo. 1 R(λ) dopo la pulitura 0.5 Prima della pulitura 0 400 500 600 700 800 [nm] 900 Fig. 19 – Confronto tra i fattori di riflessione spettrale di una superficie dipinta colorata con lapislazzuli prima e dopo la pulitura [17]. Le misure spettrali sono estese anche alla regione del primo infrarosso perché l’informazione fornita da questa regione può essere decisiva nel riconoscere il pigmento usato (Fig. 20). Lo sporco opera come un pigmento vero e proprio a cui si potrebbe associare un S(λ) e K(λ) (lo sporco non sempre ricopre in modo uguale la superficie pittorica). 1 R(λ) Lapislazzuli Azzurrite 0.5 0 400 500 600 700 800 [nm] 900 Fig. 20 – Confronto tra i fattori di riflessione spettrale di una superficie dipinta colorata con lapislazzuli e una con azzurrite [17]. È evidente che in questo caso la discriminazione tra i due pigmenti risulta possibile solo considerando il primo infrarosso. Oltre alla polvere e i fumi esistono altri agenti, come la luce, l’umidità, la temperatura, … e il tempo, che alterano i beni producendo invecchiamento. L’inscurimento di una superficie dipinta è dovuto a diversi fenomeni che riguardano le vernici, i veicoli e i pigmenti. Lo sbiancamento è in generale dovuto a un deterioramento dei pigmenti o dei coloranti. Qui consideriamo questi fenomeni limitando forzatamente l’esemplificazione a pigmenti, vernici, veicoli odierni. Per lo studio degli oggetti d’altri tempi è necessario considerare i componenti usati al tempo proprio degli oggetti stessi. Questi studi richiedono un apparato idoneo a operare un invecchiamento accelerato su campioni appositamente preparati. In commercio esistono apparati di questo tipo, chiamati FadeOmeter, consistenti in cabine all’interno delle quali vi sono sorgenti di radiazioni elettromagnetiche di vario tipo e intensità elevata [9]. Esiste anche la possibilità di operare chimicamente per riprodurre l’effetto di agenti atmosferici quali piogge acide. Nelle figure 21-26 si considerano i diversi effetti prodotti dall’invecchiamento: inscurimento (Fig. 21-22), sbiancamento (Fig. 23), effetti mutuamente compensanti (Fig. 24), ingiallimento del veicolo (Fig. 25) e ingiallimento della vernice damar (Fig. 26). A tutti questi fenomeni corrispondono cambiamenti di colore (coordinate Y, x, y e CIELAB) e di gloss, i quali sono un chiaro e importante indicatore del cambiamento avvenuto nell’oggetto in esame. Per la misurazione del cambiamento di colore è sufficiente l’uso di un colorimetro a tristimolo, ma questa misura non è ricca di informazioni come la misura del fattore di riflessione spettrale. 1 R(λ) Non esposto a invecchiamento Esposto a invecchiamento con filtro UV 0.5 0 Esposto a invecchiamento senza filtro UV 400 500 600 [nm] 700 Fig. 21 – Pittura a olio Verde smeraldo sottoposta a invecchiamento artificiale in Fade-Ometer per tre ore con e senza protezione ultravioletta [9]. L’invecchiamento si manifesta con inscurimento della pittura ed è dovuto a un cambiamento della struttura chimica del pigmento. 1 R(λ) Pittura originale Pittura esposta per 171 ore Pittura esposta per 433 ore 0.5 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 22 – Pittura a olio vermiglione a base di cinabro sottoposta a invecchiamento artificiale in Fade-Ometer per 171 ore e per 433 [9]. Si assiste a un inscurimento molto forte alle lunghe lunghezze d’onda, tipico di un altro pigmento, il metacinabro, e a un debole sbiancamento alle corte lunghezze d’onda. 1 R(λ) 0.5 5582 KJ/m2 2368 KJ/m2 Non esposto 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 23 – Lacca con 16.7% di alizarin miscelata con TiO2 rutilo esposta alla radiazione di una lampada xeno per un tempo corrispondente a una densità di energia alla lunghezza d’onda di 420 nm di 2368 kJ/m2 e di 5582 kJ/m2 (dati di Johnston-Foller 1986) [9]. L’irradiamento comporta uno sbiancamento della lacca quasi esclusivamente nelle corte e medie lunghezze d’onda. 1 R(λ) 0.5 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 24 – Materiale plastico colorato con una miscela di 20% di pigmento arancio di cadmio e di 80% di biossido di titanio rutilo sottoposto a una esposizione di sei mesi alla luce del sole in California [9]. L’ingiallimento del veicolo compensa lo sbiancamento del pigmento arancio-cadmio lasciando immutato il fattore di riflessione spettrale. Il fenomeno dipende dalla concentrazione con cui il pigmento entra nella miscela. 1 R(λ) Non esposto 0.5 Esposto 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 25 – Materiale plastico colorato con una miscela di 5% di pigmento blu cobalto e di 95% di biossido di titanio rutilo sottoposto a una esposizione di sei mesi al sole in Florida [9]. L’ingiallimento del veicolo è responsabile del cambiamento del fattore di riflessione spettrale. Il fenomeno non dipende dalla concentrazione con cui il pigmento entra nella miscela. 1 R(λ) 0.5 0 400 500 600 [nm] 700 Fig. 26 – Fattore di riflessione spettrale misurata in geometria diif/0° con la componente speculare esclusa di una superficie di gesso ricoperta da una vernice damar ingiallita per invecchiamento [9]. È evidente che una vernice di questo tipo opera come un vero filtro giallo. 3.4 Fluorescenza Come si è già detto, si ha fluorescenza quando un corpo assorbe una radiazione di data lunghezza d’onda e ne riemette una di lunghezza d’onda maggiore. Molti sono i materiali che emettono per fluorescenza, in generale i materiali organici, per esempio la carta e la cera. Per questa ragione la fluorescenza non può essere ignorata nello studio dei beni culturali. Il fattore di riflessione spettrale deve essere rivisto per i corpi fluorescenti e in particolare la sua misurazione risulta complicata perché, per avere una corretta relazione tra radiazione incidente e radiazione emessa, distinguendo la diffusione dalla fluorescenza, occorre operare con due monocromatori, uno per illuminare e uno per analizzare la luce riflessa. Il mercato offre pochi strumenti con questa potenzialità e questi sono anche costosi. Molti strumenti da laboratorio per la misurazione del fattore di riflessione spettrale possono operare con radiazione UV, che può essere inserita o disinserita, e questa, se inserita, illumina con la presenza tipica di un dato illuminante, solitamente il D65. La misura così ottenuta è di utilità pratica nelle aziende, ma è solo indicativa. Rinunciando alla misura del fattore di radianza spettrale, si può procedere a una valutazione qualitativa della fluorescenza utilizzando fotocamere digitali abbinate a una illuminazione UV. La lampada UV usata è una lampada commerciale nota col nome di lampada di Wood e la luce emessa è detta luce nera. A Firenze i laboratori dell’Opificio delle Pietre Dure e dell’IFAC-CNR [10, 11, 12], per lo studio della fluorescenza, hanno sperimentato una interessante tecnica multispettrale che fa uso di camere digitali monocromatiche abbinate a una batteria di filtri a banda stretta. Al dipartimento di Fisica dell’Università di Parma [14] si è provato il più semplice uso delle camere tricromatiche digitali mettendo in evidenza la dipendenza del risultato dalle sensibilità spettrali della fotocamera. I risultati sono stati interessanti in entrambe i casi. La tecnica multispettrale ha messo in evidenza la sua superiorità, ma la semplicità d’uso della camera tricromatica digitale non va sottovalutata (Fig. 27). Il lavoro svolto a Firenze è molto importante perché ha messo concretamente a punto una tecnica analitica basata su un database costituito da campioni di colore realizzati con pigmenti e leganti diversi. Il momento analitico consiste nel confrontare immagini del dipinto in esame e dei campioni di colore, ottenute con la tecnica multispettrale e illuminazione UV. In questa esperienza un grande lavoro è stato proprio quello della preparazione dei campioni di colore con i pigmenti, i leganti, … del tempo in cui è stata realizzata l’opera da studiare. Fig. 27 – a) Particolare di un affresco del Parmigianino nella Cappella di San Giovanni a Parma, in fase di restauro, ripreso da una fotocamera digitale. b) Stesso particolare illuminato da lampada di Wood e ripreso nel visibile con fotocamera digitale. c) Stesso particolare illuminato con lampada di Wood e ripreso con fotocamera digitale munita di un filtro passa alto con lunghezza d’onda di taglio di 470 nm per mettere in evidenza solo la luce emessa per fluorescenza [14] (fotografie riprodotte con l’autorizzazione degli autori). 4. Proposta di protocollo per la documentazione reflectoscopica di beni culturali Dopo questa sintetica analisi delle superfici dipinte è possibile passare alla proposta di un protocollo per la schedatura reflectoscopica di un bene [9]. La prima parte della scheda deve essere mirata alla identificazione del bene. La seconda riguarda l’analisi di alcune regioni di misura, comunemente dette ROI (regioni d’interesse), significative per la conoscenza del bene: identificazione dei pigmenti, dei leganti, delle vernici e delle cere, … , stato di conservazione. Per quanto riguarda l’identificazione dei pigmenti è opportuno individuare le regioni in cui i pigmenti sono puri e quindi passare alle regioni dipinte con miscele di più pigmenti. In generale i dipinti presentano poche regioni uniformi sufficientemente estese per operare con gli strumenti commerciali per la misurazione del fattore di riflessione spettrale e questa è una delle difficoltà esistenti. Gli strumenti sono stati concepiti per i laboratori delle aziende di vernici, per il tessile, comunque per campioni uniformi colorati con sezione di circa 1 cm. Accade che vi siano dipinti in cui non esiste una regione uniforme di tale sezione. Inoltre, una volta trovate tale regioni, occorre operare in modo che lo strumento sia riposizionabile sulle stesse ROI per misurazioni ripetute nel tempo. Ammirevole è stato in questi ultimi anni il lavoro dedicato a questi problemi dai ricercatori dell’istituto IFAC-CNR in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze [20]. Non è improbabile che nei prossimi anni il mercato possa offrire a prezzi contenuti camere digitali multispettrali [12] o scanner spettrofotometrici [21] capaci di dare il fattore riflessione spettrale per ogni pixel dell’oggetto con pixel aventi sezione di circa 1/3 mm. Tali strumenti sono anche importanti strumenti per la realizzazioni di archivi d’immagini assolutamente fedeli all’originale. Per la identificazione delle ROI e il riposizionamento dello strumento di misura le macrofotografie fatte con camere digitali sono uno strumento molto utile. A ogni ROI è dedicata una scheda del tipo seguente. Un aggiornamento periodico delle schede è necessario perché la diagnostica possa operare. Tali schede sono un potente strumento per valutare le alterazioni delle ROI e quindi decidere, se necessario, interventi di restauro, pulitura o altro. Queste decisioni spettano a persone competenti e le schede, adeguatamente aggiornate, sono lo strumento per la decisione. Variazioni nel colore (specificato in coordinate Y, x, y o in CIELAB) e variazioni di gloss sono un chiaro e importante indicatore del cambiamento avvenuto in un bene. Nella scheda è inserita anche la specificazione del colore mediante atlanti, perché in passato molto lavoro è stato fatto in questo modo, ma ciò non dovrebbe essere necessario. SCHEDA Identificazione dell’oggetto 1) identificazione dell’oggetto 2) autore o sorgente 3) data di preparazione e realizzazione dell’oggetto Note guida del lavoro di analisi 1) identificazione della ROI [nomi dei file di dati atti a identificare la ROI, per es. immagini digitali] 2) data delle misurazioni 3) temperatura di misurazione (si suppone che l’oggetto sia all’equilibrio termico con l’ambiente) 4) umidità dell’aria 5) lucidezza [gloss] 6) fattore di riflessione spettrale nel visibile [nome dei file] 7) colore (Hue, Value, Chroma di Munsell) 8) colore: sistemi CIE 31 / 64 per D65 (Y; x, y) (L*, a*, b*) 9) fattore di riflessione spettrale nel primo IR [nome dei file] 10) fluorescenza UV con lampada di Wood [nome dei file di immagini digitali] 11) identificazione dei pigmenti positiva / negativa 12) risultati di altri tipi di misurazione (per es. micro raman) 13) commenti 14) conclusioni 5. L’illuminazione Come è noto, un corpo illuminato assume un’apparenza che dipende dall’illuminazione, la quale è definita dalla geometria d’illuminazione e dalla distribuzione spettrale di potenza della luce illuminante. È quindi necessario classificare le sorgenti in base anche alla loro capacità di fare apparire i colori. Limitatamente all’aspetto spettrale dell’illuminazione la CIE ha proposto un indice di resa del colore, il cui significato è puramente convenzionale [2]. Tale indice si basa sull’assunto che esistano sorgenti ottimali da prendersi come riferimento, per le quali l’indice vale 100 per definizione. Queste luci di riferimento sono la luce di corpo nero, al di sotto di 5000K di temperatura, e la luce del giorno per temperatura di colore prossimale superiore. Per le altre sorgenti di luce, che sono la parte maggiore, si procede al calcolo dell’indice di resa del colore. Prima di procedere nel calcolo si deve misurare la temperatura di colore della sorgente in esame, quindi si misura il colore assunto da 14 campioni scelti dall’atlante di Munsell, il cui fattore di riflessione spettrale è quello di oggetti importanti per la vita quotidiana: alcuni sono caratterizzati da saturazione moderata e chiarezza media, altri da tinte sature (rosso, giallo, verde e blu), uno dal colore della pelle umana e un altro dal colore verde del fogliame. Il colore deve essere specificato nello spazio (W*, U*, V*) (questo spazio è diventato obsoleto da quando, nel 1976, la CIE ha proposto il sistema CIELAB e il suo uso, in questo caso, è una pura eredità storica). Il calcolo dell’indice di resa del colore è funzione della differenza di colore media tra i colori assunti dai 14 campioni sotto le due sorgenti (sorgente in esame e riferimento di uguale temperatura di colore prossimale). Questo indice dipende dai 14 campioni dell’atlante di Munsell, la cui scelta è convenzionale, ed è uno strumento utile in tutte le situazioni in cui si debba illuminare una scena per osservarla direttamente o per riprenderla fotograficamente, sia con tecnica fotografica tradizionale sia digitale. L’indice di resa dei colori nella sua definizione considera una realtà molto varia. Nel caso della illuminazione di beni culturali si hanno fattori di riflessione spettrale propri dei beni considerati, quindi la formula della CIE, valida per una situazione molto generale, può risultare in certi casi eccessivamente severa. Consideriamo come esempio oggetti non particolarmente variati nel colore come un manoscritto, una scultura in marmo rosso di Verona o una piazza Senese, in cui tutto è in mattone cotto. In questi casi si potrebbe definire l’indice considerando solo alcuni dei 14 campioni di colore dell’atlante di Munsell e di conseguenza anche sorgenti di luce, giudicate non idonee in base all’indice CIE, potrebbero risultare ottime. Il Metropolitan Museum di New York propone affascinanti esempi di illuminazione con luce monocromatica gialla di lampade al vapore di sodio a bassa pressione (Fig 28, 29). A questo tipo di illuminante si associa una temperatura di colore prossimale di 1725K, evidentemente molto bassa, e un indice di resa del colore addirittura negativo. Questi numeri porterebbero a rifiutare tale illuminazione, che invece in questo caso, con sorpresa, valorizza molto le opere illuminate. Questo è un caso estremo, interessantissimo e che andrebbe adeguatamente discusso. Per confronto si propongono due copie della stessa opera di Degas, “la piccola danzatrice quattordicenne”, esposte al Metropolitan Museum, dove la luce è monocromatica gialla, e alla Gare d’Orsay, dove la luce è quasi acromatica in un ambiente completamente illuminato (Fig. 30). Si propone un altro caso interessante, la gipsoteca del Canova a Possagno, dove di giorno l’illuminazione è rigorosamente naturale (Fig. 31): tutto è bianco, i muri, il soffitto i gessi … e lo spazio funziona come una sfera d’integrazione miscelando in armonioso equilibrio la luce diffusa e la luce naturale che piove dal lucernario. In questo caso l’illuminazione artificiale, non necessariamente acromatica, dovrebbe ripetere la stessa geometria di quella naturale. Come detto, l’indice di resa del colore della CIE riguarda solo l’aspetto spettrale della luce illuminante, ma non considera la polarizzazione della luce e gli aspetti geometrici dell’illuminazione. Questi ultimi sono propri dell’illuminotecnica. La regola dell’illuminazione sta nel disporre le sorgenti di luce in funzione del punto di osservazione del bene, evitando che all’osservatore giungano indesiderate immagini riflesse delle sorgenti stesse. L’uso di luce polarizzata può in molti casi attenuare o evitare questi fenomeni conferendo ai colori del bene una saturazione e una morbidezza meravigliose. Tuttavia nella illuminazione non vanno sottovalutati i fenomeni dell’adattamento e dell’apparenza del colore, la cui analisi appartiene a un capitolo della colorimetria in avanzata fase di studio, ma con modelli e teorie non ancora definitivi. La conoscenza incompiuta di questi fenomeni ci induce a non trattarli, nonostante la loro importanza e il loro fascino. Fig. 28 – Copia della “piccola danzatrice quattordicenne” di E. Degas esposta al Metropolitan Museum di New York. L’illuminazione monocromatica giallo sodio a bassa pressione in un ambiente buio isola la figura dando risalto alla espressione del viso e al proporsi del corpo. L’illuminazione porta così a una particolare lettura dell’opera d’arte. (fotografia dell’autore) Fig. 29 – Copia della “piccola danzatrice quattordicenne” di E. Degas esposta al Metropolitan Museum di New York (la stessa di Fig. 28). L’illuminazione in controluce realizzata con luce monocromatica giallo sodio a bassa pressione in un ambiente buio pone la figura, all’interno della teca di vetro, come allo specchio in un atteggiarsi autocompiaciuto. (fotografia dell’autore) Fig. 30 – Copia della “piccola danzatrice quattordicenne” di E. Degas esposta alla Gare d’Orsay a Parigi. L’illuminazione bianca in un ambiente ugualmente illuminato dà risalto soprattutto ai materiali del gonnellino e del corpetto, allontanando la figura dall’attenzione dell’osservatore. (fotografia dell’autore) Fig. 31 – Interno della gipsoteca delle opere del Canova a Possagno. La luce naturale diffusa dall’ambiente e dai gessi, tutto assolutamente acromatico, si miscela con la luce che piove dall’alto in un armonioso equilibrio. (fotografia dell’autore) Conclusioni In questa nota si sono illustrate le grandezze fisiche atte a specificare i principali fenomeni dell’apparenza visiva, cioè la lucidezza e il colore di una superficie, con lo scopo di evidenziarne il ruolo nell’ambito dei beni culturali, dal loro studio, alla conservazione, alla fruizione. Quanto qui esposto deve essere considerato introduttivo ed esemplificativo. Molte conoscenze devono ancora essere razionalizzate e raccolte in opportuni database per poter procedere nella identificazione analitica dei costituenti dei materiali dei beni oggetto di studio. Questi database dovrebbero essere realizzati secondo schemi convenuti dalla comunità scientifica affinché siano strumenti di lavoro. L’aspetto strumentale qui non è stato considerato in dettaglio. Gli strumenti disponibili sul mercato sono prodotti da grandi aziende con lo scopo di rispondere alle esigenze dell’industria nel controllo di qualità nei processi produttivi e per questa ragione sono propriamente standardizzati. Le esigenze del settore dei beni culturali sono differenti. La prima difficoltà è dovuta al fatto che raramente un bene, per esempio un dipinto, un manoscritto, un legno intarsiato, …, presenta una regione uniforme sufficientemente ampia da essere analizzata con gli strumenti commerciali (Fig. 32). Nuovi strumenti appositamente concepiti dovrebbero essere prodotti e a questo la ricerca di questi ultimi anni può dare un grosso contributo [19, 20, 21]. Fig. 32 – Vassoio di anonimo dipinto a olio. Il tempo e l’usura hanno creato un’alterazione della superficie dipinta per cui non è più possibile considerare uniformi regioni che originariamente erano tali, come per esempio lo sfondo di colore avorio. Due dettagli ingranditi evidenziano la rete di fratture che permettono una misurazione significativa solo all’interno delle isole di colore. La sezione di tali isole è submillimetrica e non permette la misurazione del gloss e del fattore di riflessione mediante strumentazione commerciale. (fotografia dell’autore) Ringraziamenti Gli studi sulla colorimetria sono stati condotti nel tempo grazie ai programmi di ricerca scientifica del MIUR, che negli ultimi anni sono stati “Cofinanziamento MIUR 1998”, “Cofinanziamento MIUR 2000”, “Cofinanziamento MIUR 2002” e “Azioni integrate Italia-Spagna” del MIUR 2003, codice IT928. Si ringraziano i colleghi Gianni Antonioli, Fernando Fermi e Remo Reverberi per il dialogo quotidiano su problemi colorimetrici anche relativi ai beni culturali. Bibliografia Bibliografia generale [1] [2] [3] [4] CIE Publication No. 15.2, 2nd Ed., Colorimetry, CIE, Vienna (1986) A cura di C. OLEARI, Misurare il colore, Hoepli Ed., Milano (1998) NASSAU K. The physics and the chemistry of colour: the fifteen causes of color, Wiley, New York (1983) RICHARD TILLEY, Colour and the optical properties of materials, Wiley, Chichester GB, (2000) Bibliografia storica [5] [6] [7] A cura di FERNANDO TEMPESTI, CENNINO CENNINI, Il libro dell’arte o trattato della pittura, Longanesi & C, Milano (1984) Diretto da ICILIO GUARESCHI, Supplemento annuale alla Enciclopedia di Chimica scientifica e industriale, Unione Tipografico-Editrice, Torino (1905) L. COLOMBO, I colori degli Antichi, Nardini Editore, Firenze (1995) Bibliografia specifica [8] [9] [10] [11] [12] [13] [14] NASSAU K. Ed, Color for Science, Art and Technology, Elsevier North Holland, Amsterdam (1998) RUTH JOHSTON-FELLER, Tools for conservation - Color Science in the Examination of Museum Objects, Nondestructive procedures. The Ghetty Conservation Institute, Los Angeles (2001) ALDROVANDI A, ALTAMURA M.L, CIANFANELLI M.T. 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OLEARI, Collana quaderni di ottica e fotonica, SIOF, Centro editoriale toscano, Firenze (2000) [15] M. CORDARO E U. SANTAMARIA, Il problema della misura del colore delle superfici in ICR, in Colorimetria e beni culturali a cura di C. OLEARI, Collana quaderni di ottica e fotonica, SIOF, Centro editoriale toscano, Firenze (2000) [16] A cura di C. OLEARI, Colorimetria e beni culturali, Collana quaderni di ottica e fotonica, SIOF, Centro editoriale toscano, Firenze (2000) [17] NATALIA CAVALCA, Indagini colorimetriche su opere d’arte mediante spettroscopia di riflettanza per l’individuazione dei pigmenti. Università degli Studi di Parma, Tesi di Laurea in Fisica, AA 2002-2003 [18] ROY S. 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