Benito Urgu: “qui ci sono ancora quegli angoli fatti alla maniera nostra”
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Benito Urgu: “qui ci sono ancora quegli angoli fatti alla maniera nostra”
PDF Compressor Pro 12 15 giugno 2016 Benito Urgu: “qui ci sono ancora quegli angoli fatti alla maniera nostra” N on ha certo bisogno di presentazioni dopo oltre cinquant’anni di carriera nazionale e internazionale. Definire Benito Urgu un comico è riduttivo. Anche se pochi lo sanno, si tratta di un artista a tuttotondo. Ironico sul palco. Profondo, umile, sensibile, colto ed estremamente riservato nella vita privata. Una super star della Sardegna attuale, come Zola e Riva che rappresentano alta l’isola nel mondo. Chi, meglio di una persona che da oltre mezzo secolo gira l’isola in lungo e in largo, conoscendo posti, genti e menti, è in grado di dare un parere, un’opinione utile a comprendere lo stato in cui versa il Medio Campidano? Lei è conosciuto a livello internazionale e potrebbe vivere ovunque, ma ha scelto di restare qui. Come mai? «È vero - risponde Urgu – qui però ci sono ancora quegli angoli fatti alla maniera nostra. Fuori casa siamo comunque sempre prede. Inoltre ‘mellus strintu in domu mia che allenu in domu de is aturus’». Le piacerebbe una Sardegna Stato? «Si, mi piacerebbe. Ci vorrebbero almeno cinquant’anni per realizzare e perché il tutto si assesti, però non è impossibile. I veri sardi sono gli unici indigeni italiani rimasti della colonia Sardegna». Il Medio Campidano è la provincia più povera d’Italia: che ruolo pensa potrebbe invece giocare? «Il Medio Campidano è ricco di spiagge e della cultura dell’accoglienza. L’ospitalità è una caratteristica fortissima, insita nel ter- ritorio, che potrebbe essere sfruttata al meglio. La zona è povera, è vero, ma in fondo lo è sempre stata e dunque anche il turismo potrebbe essere incentrato valorizzando la cultura, anche storica, delle cose semplici, come ad esempio il cibo e le abitazioni. Il momento è difficile e c’è molta povertà ma la zona è ricchissima». È il sardo vittima della politica sarda, o la politica sarda è così perché il cittadino è arrendevole e rassegnato? «Il sardo ha perso quella che era la sua prepotenza, la consapevolezza di essere un uomo. Ha perso la sua identità. Oggi una manciata di ricchi nel mondo ci manipolano facendoci comunicare attraverso segnali. Vedi i social network. Siamo vittime e non lo sappiamo. Ci sentiamo soddisfatti mentre continuiamo a deprimerci. Siamo talmente abituati a fare quello che ci dicono indirettamente quei quattro potenti, che ubbidiamo senza accorgercene a qualsiasi cosa, anche alla politica sbagliata». Talassemia: coi tagli alla Sanità, alcuni centri trasfusionali considerati “minori”, tra cui quello dell’ospedale di San Gavino, rischia la chiusura costringendo chi ne è affetto, e non solo, a recarsi lontano nei centri più grossi. Cosa ne pensa? Penso che come al solito i tagli vanno a ledere le persone più sfortunate e povere. Allontanare un centro di così vitale importanza da chi ne ha bisogno vuol dire impoverirlo. Vuol dire dunque sminuire la sua persona. Umiliarla e maltrattarla, facendola vivere in un continuo stato di paura e ansia. Ci costringono a fare i salti mortali». Si faccia una domanda attinente al Medio Campidano e si dia la risposta. «Cosa ci ha dato questa forma del Medio Campidano? Niente. Abbiamo fatto sedere persone, creato nuovi posti di lavoro per politici. Pare che in Sardegna siano riusciti ad impoverire anche l’uranio». Tra i vari aneddoti dell’artista vi è un piccolo racconto che spiega in modo logico la scomparsa e la comparsa di talune categorie di persone. «Da ragazzo lavoravo in un circo e ho scoperto che in ogni posto in cui sono stato c’era ‘lo scemo del paese’. Ora non c’è più. Si è dato alla politica». Saimen Piroddi Marisa Putzolu PABILLONIS Ugo Serpi e le sue “Tzie” Le “Tzie” dell’artista della ceramica Ugo Serpi, di Pabillonis, sono attualmente in mostra ad Oristano nello spazio Marte in via Cagliari presso Meloni Arredamenti Srl. Il suo impegno nella ceramica dura da una vita. Dopo aver terminato gli studi oristanesi nell’Istituto Statale d’Arte “Contini”, fonda, assieme ad altri ceramisti, la Cooperativa Maestri d’Arte a cui viene in seguito affidata la gestione del centro pilota dell’Isola di Oristano, diventando nel tempo un preciso punto di riferimento della ceramica artistica dell’intera isola. Nella Cooperativa Maestri d’Arte, svolge un lavoro che dura oltre vent’anni ricoprendo negli ultimi tempi il ruolo di presidente. Il suo impegno è sempre rivolto alla ricerca di nuove forme, di diversi volumi, di interpretazioni attuali della millenaria cultura sarda. La sua passione è la ceramica. Dedica molto tempo allo studio del colore da applicare alle ceramiche e rivolge una sublime attenzione ai più piccoli dettagli. Le “Tzie” sono delle creazioni artistiche che rappresentano la donna sarda arcaica nel vestire, fiera nel portamento ma moderna nel linguaggio e nel proporsi. Le vesti che ricoprono le “Tzie” sono lavorate minuziosamente, direi cesellate, curate in ogni minimo dettaglio. Gli scialli appaiono lisci, altri invece sono realizzati con l’aiuto di tessuti quali cotone, spugna o juta, conferendo una particolare forma alla ceramica. Gli smalti, sia lucidi che opachi, sono dispiegati con eccellente maestria. A volte le “Tzie” sono bicromatiche, altre con svariati colori ed altre ancora invece sono monocromatiche. Rappresentate con i più svariati colori, dal nero al verde scuro, dal rosso al color mattone, dal bordeaux all’arancione, dal grigio al celeste. Stesi in modo uniforme o con sfumature o con giochi di colore. Anche la dimensione di una “Tzia” è importante visto che alcune sono esili, altre basse, altre sono giunoniche, oppure sono alte ma tutte risultano eleganti e dal portamento austero, tipico della fierezza della donna sarda. I loro volti inespressi, che ricordano quelli del Modigliani, incastonati nei fazzoletti, o negli scialli, ti catturano e ti trasportano in una Sardegna arcaica, ma ancora presente. Pur non essendo visi effigiati con bocca, occhi, naso e zigomi, risultano invece non solo espressivi ma pure narranti. Le sue “Tzie” ti la- sciano senza fiato. Ti catturano immediatamente l’attenzione. Sei attratto dalla linearità della figura, dalla bellezza del costume sardo effigiato, dalla semplicità del fazzoletto, del velo, della benda, del manto che ricopre i capelli per poi scivolare lungo i fianchi, dall’austerità con cui si pone coi vestiti gonfi dalla vita in giù. Sembra che esse ti parlino. Per realizzarle occorrono due passaggi nei forni ed una attenzione del particolare degna di nota e soprattutto uno studio a monte dell’antico vestito sardo. Ogni Tzia è un’opera d’arte a se stante, mai identica una all’altra e tutte hanno un nome, come se fossero delle vere persone. Il maestro ceramista Ugo Serpi, con le sue “Tzie”, ci ha mostrato il suo modo di rappresentare le figure femminili traendo sicuramente dai ricordi dell’infanzia, rivisitandoli in chiave attuale, per presentarci la collezione le “Tzie” da cui non si può che restare magneticamente attratti, in quanto non sono solo delle vere sculture in ceramica ma sono proprio un’opera d’arte. Lorenzo Di Biase PABILLONIS Intitolato a Tonino Tiddia l’impianto sportivo comunale È stato intitolato a Tonino Tiddia l’impianto sportivo comunale compreso tra le vie Satta, Nuoro, Villacidro e Funtana Alixi. La struttura comprende un campo di calcio con manto erboso, un altro in terra battuta,una pista di atletica leggera e due campi da tennis. Diverse le società che lo utilizzano: calcio, tennis e atletica che annoverano molti iscritti tra le loro fila. È proprio pensando a questa moltitudine di sportivi che l’amministrazione comunale ha scelto di intitolare gli impianti alla memoria di Tonino Tiddia. «Un giovane che nella sua breve vita si é contraddistinto per il suo impegno su vari fronti: sportivo, sociale, cattolico e politico; fu anche calciatore nonché dirigente del Pabillonis Calcio nelle squadre giovanili»,spiega l’assessore allo sport Marco Sanna. Tonino Tiddia nasce a Pabillonis il 29 agosto 1940, settimo di dieci figli, nel 1958 conseguì il diploma di maestro elementare, morì a ventuno anni il 18 marzo 1962 alcuni giorni dopo un’aggressione, che secondo le cronache del tempo, subì, sembra, da parte di alcuni tifosi, nel corso di una partita in trasferta dove accompagnava, come dirigente, una squadra giovanile del Pabillonis. Per ricordare la figura di questo giovane sportivo, impegnato nel sociale e morto prematuramente, sabato 28 maggio si è svolta la cerimonia ufficiale. Dopo la santa messa nella chiesa di Fatima, alla presenza del sindaco, dell’amministrazione comunale, associazioni sportive e delle autorità civili, militari, religiose, dei familiari e della cittadinanza, nella struttura sportiva è stata scoperta una targa in memoria di Tonino Tiddia. Dario Frau PDF Compressor Pro 15 giugno 2016 13 ARBUS PROGRAMMA Antoi de Padua Santu: il rispetto di una tradizione ultracentenaria DEI FESTEGGIAMENTI U na carezza sempre accompagnata da “Sant’Antoi bellu t’at aggiudai”, “Sant’Antoi c’ada pensai”, “Sant’Antoi t’assistata”: un semplice atto di amore e una didascalia, di preghiera e devozione, che si tramanda oralmente da secoli di generazione in generazione. Sempre uguale, sempre la stessa, semplice, senza alcuna rivisitazione che la modernità informatica si azzardi a modificare. E a giugno, il 13 per il calendario, devozione, tradizione e religiosità si ritrovano a festeggiare e celebrare il Santo moralmente patrono dell’arburese e del guspinese, con la sagra di Sant’Antonio da Padova, sagra antichissima che affonda le proprie radici e origini nelle fatiche contadine del XVII secolo. Risale infatti al 1694, come testimoniato (ma non solo) da un documento presente nell’archivio parrochiale di San Sebastiano, la prima processione, tra le più lunghe d’Europa e in Sardegna seconda solo a Sant’Efisio, che per la prima volta portò il simulacro del Santo da Arbus al borgo di Sant’Antonio di Santadi dove è presente l’antichissima chiesetta (ora rifatta) dedicata al Santo. Tra le sagre presenti in Sardegna Sant’Antonio, per longevità, viene collocata al terzo posto immediatamente dopo Sant’Efisio, che risale al 1657, e Sant’Antioco, le cui celebrazioni al Santo martire patrono della Sardegna sembrerebbero risalire al 1519. Oggi come tre secoli fa questa festa di antiche origini rimane nelle sue caratteristiche peculiari praticamente immutata: quattro giorni all’insegna della devozione e del divertimento dove i riti religiosi e riti civili mantenendo intatte le loro tradizioni continuano a regalare fascino, emozioni e colori. “Sa ramadura”, il coloratissimo tappetto formato da migliaia e migliaia di petali di rose preparato in onore del Santo, i tantissimi gruppi in costume provenienti dai più svariati centri dell’isola, la banda musicale e “ Is traccas” forse meno numerose di prima ma sempre belle e colorate che accuratamente e amorevolmente preparate, impreziosite e arricchite di tappetti, arazzi e tantissimi fiori accompagnano la partenza del Santo. Un’autentica esplosione di colori e di addobbi figli di una sardità sempre più identitaria. Le fisarmoniche che intonano i balli sardi e i canti a “trallallerusu”, is “croccorigas”, le zucche, gelosamente personali ma spesso e volentieri offerte con un impeto di generosità e ospitalità per un piccolo sorso, a coronamento di un gemellaggio occasionale fatto lungo il pellegri- naggio. Infine i tantissimi fedeli che col canto del rosario e la classica “Ave Maria in sardo” scortano il Santo attraverso il lunghissimo percorso che dalla chiesa parrochiale di Arbus, suo abituale luogo di residenza, porta fino alla frazione di Santadi. Persino la parte gastronomica e culinaria è rimasta fortemente legata alle tradizioni del passato dal momento che le lumache al sugo, assieme al formaggio, un buon piatto di maccheroni e un buon bicchiere di vino, rappresentano, proprio come una volta, il piatto forte da consumarsi nella sosta pranzo. Sant’Antonio non è una festa, è la festa per antonomasia non solo per Arbus e Guspini, comunità maggiormente coinvolte nell’avvenimento, ma di un intero territorio. Una festa che può e deve ambire ad un palcoscenico ben più vasto e ambizioso di quello attuale. Una ricorrenza meritevole di maggiori attenzioni e di una promozione turistico/religiosa più intelligente e qualificata che possa consacrarla al pari di Sant’Efisio e Sant’Antioco sagra di levatura e importanza internazionale. L’arrivo del cocchio e del simulacro a Santadi, affollata da migliaia di fedeli, non è da meno. La stanchezza negli animali e negli uomini è visibile ma non rappresenta un alibi. Il Santo viene accolto dall’applauso dei fedeli e dai fuochi d’artificio cui segue la messa e due giorni di feste che animeranno non poco la frazione. Funzioni religiose e intrattenimenti civili si alterneranno proprio come avviene ormai da secoli in attesa che al quarto giorno “Antoi de Padua Santu” riprenda il suo cammino che lo riporterà alla chiesa parrocchiale di San Sebastiano ad Arbus, sua dimora abituale. Gianni Vacca 5a rassegna “Aspettando Sant’Antonio” Un semestre ricco di iniziative alla riscoperta del patrimonio culturale Nuova dimensione e nuovi spazi: la festa cresce e riscopre attraverso una minuziosa ricerca storica e di costume portati avanti già da qualche anno con successo dall’ “Associzione Culturale Comitato permanente Sant’Antonio di Santadi” diversi elementi, tutti legati alla più autentica e genuina tradizione, che risaltano e vanno a valorizzare i più significativi momenti preparatori della festa stessa. Giunta alla 5^ edizione la rassegna finalizza l’attività non solo alla promozione della festa ma anche alla (ri)scoperta del territorio e del ricchissimo patrimonio culturale, naturalistico, archeologico, agroalimentare e di artigianato artistico del comune di Arbus. Questi gli appuntamenti più significativi del 2016. Il primo appuntamento, il 10 gennaio, è “Sa die de sa sèmena de su trigu sardu e sreppadura cun is bois” fortemente legato nella tematica a quello in programma il 10 luglio, ultimo in calendario dedicato a “Sa die de sa messadura a manu e de sa trèba cun is bois”. Giornate dedicate alla semina a mano e alla mietitura a falce a mano e trebbiatura, dove ven- gono valorizzati due elementi centrali della festa, il grano sardo ed i buoi. Il 9 e 10 aprile due giornate dedicate alla “Valorizzazione degli addobbi e dei ricami”. Le giornate del 7 e 8 maggio sono dedicate alla “Valorizzazione dei buoi” nelle quali sono illustrate le attività correlate ai buoi, in particolare la ferratura, la preparazione artigianale dei ferri, la lavorazione de su jabi e l’aratura dei campi. Il 21 maggio il calendario ha previsto la 5a edizione della “Corsa di Sant’Antonio”, gara di atletica leggera su strada finalizzata alla valorizzazione della borgata di Sant’Antonio di Santadi e occasione per la promozione del territorio circostante, delle coste, delle dune e delle numerose strutture ricettive. L’11 e il 12 di giugno la rassegna propone “Su coccoi de sa Festa”, dove si valorizza l’arte della decorazione del pane de su coccoi ma anche de “Su pani de Saba”, ornamento delle corna dei buoi. Infine il 3 luglio, penultimo appuntamento della rassegna, “Traccas senza frontiere”, serata in allegria con lo svolgimento di divertenti ed interessanti giochi di società. (g. v.) Quella di quest’anno, in calendario dal 18 al 22 giugno, é l’edizione numero 320, festeggiamenti interrotti solo per alcuni anni durante la seconda guerra mondiale. Ad organizzarla come avviene ormai dal 1977 è la Proloco tramite un comitato interno denominato “Passu Passu Cun Tui Antoni Santu” la cui presidenza è stata affidata per l’edizione 2016 a Maria Viviana Onnis. Il programma dei festeggiamenti nonostante le innegabili sofferenze economiche figlie del difficile momento che attraversa il paese rimane particolarmente nutrito e legato ad un tradizionale “palinsesto” tipico di questa sagra ed equamente diviso tra funzioni religiose e intrattenimenti di tipo civile. Otto le messe che verranno complessivamente celebrate. Quattro, quelle del sabato e del martedì, legate alle partenza e all’arrivo del Santo. A Santadi ci saranno le due processioni, quella della domenica e quella del lunedì, la prima con i cavalieri e i gruppi folk, la seconda riservata alla benedizione dei campi. Perché non va dimenticato, la sagra e la grande devozione per il Santo ebbero anche chiare origini e radici contadine.Tesi suffragata e avvalorata da numerosi storici, critici e scrittori del XIX secolo tra i quali il professor Goffredo Casalis che alla festa riserva numerosi passaggi nel suo Dizionario Geografico StoricoStatistico-Commerciale pubblicato nel 1833 e lo stesso Giuseppe Vaquer nel libro “Arbus” del 1895. La parte laica della festa regala il momento di maggior fascino e spettacolarità con la sfilata dei cavalieri, dei grupppi folk, della banda musicale e delle traccas. Gli intrattenimenti musicali saranno tenuti a Santadi il sabato, la domenica ed il lunedì ed il martedì ad Arbus in concomitanza con il rientro del Santo. Non mancano poi le sagre con i prodotti tipici locali, i fuochi d’artificio ed un torneo di Calcio giovanile, ormai una tradizione, in memoria del giovane Giuseppe Frau prematuramente scomparso. (g. v.) Curiosità e aneddoti La devozione e l’amore per il Santo accomuna i centri di Arbus e di Guspini quelli maggiormente coinvolti nell’organizzazione della festa e comunque unici centri abitati in cui il Santo transita nel suo lungo pellegrinaggio che dalla chiesa parrocchiale di Arbus lo porta alla chiesetta di Sant’Antonio di Santadi. Chiesa costruita nel corso della prima metà del XVII secolo ma rifatta in modo non restaurativo e riconsacrata il 18 giugno del 1950 dopo che un anno prima veniva demolito il “grande e sinuoso campanile a vela a luce arcuata”, un autentico capolavoro ormai immortalato solo in immagini e foto d’epoca. Ma non sempre era così. Il primo passaggio del simulacro a Guspini si ebbe l’11 giugno del 1876. Fino a quel momento infatti simulacro, processione e traccas non transitavano a Guspini. Lo aggiravano passando per la strada denominata (tuttora) dai guspinesi “sa ia de is Arburesusu”. L’innesto in direzione Santadi avveniva dopo qualche chilometro dal passo Gennefrongia nella località di “Perd’ e Cuaddu”, strada che da Arbus porta a Montevecchio, e dal centro minerario si proseguiva poi verso Mattianni. Altra curiosità, caduta ormai in disuso, era la “gara al tiro del gallo”, passatempo preferito dagli uomini fino al secolo scorso nei due giorni di permanenza a Santadi. Narra il Vaquer nel suo libro: “Si lega esso per i piedi al manico d’uno spiedo, che si conficca coll’altra estremità sul terreno. I cacciatori si dispongono in fila - a circa cinquanta metri di distanza - pronti a far fuoco contro il bipede designato. Devono tirare uno alla volta, dopo aver pagato cinque centesimi agli operai, i quali serbano i soldi ricavati a pro del Santo…..il povero gallo, vittima rassegnata, col capo all’ingiù, prima di venir colpito deve sentirsi fischiare vicino più di una pallottola….” Curiosi anche i nomi che i proprietari dei buoi danno ai loro animali. Ne citiamo alcuni, quelli più simpatici: “Si ses innoi non at’essi po nudda”, “Scarescirì”, “Curregirì ca ses sennori”, e ancora “No ti pedronu” e “La ca t’ingannasa”. Infine un detto, quello più famoso che meglio rappresenta la festa e le sue complicità: “Po Sant’Antoni chi esti sposu ndi torrada storrau, chi esti bagadiu ndi torrada sposu”. Detto ancora straordinariamente attuale dal momento che la festa è da sempre occasione d’incontro e di divertimento, tra giovani ma non solo, dove talvolta possono nascere grandi o piccole storie d’amore. (g.v.) PDF Compressor Pro 14 15 giugno 2016 Sulle ali della Musica tra band e solisti di casa nostra La musica è ritmo e il ritmo è vita, come il respiro e il battito del cuore LUNAMATRONA - BARUMINI I Cinque dell’Oca Giuliva, dopo sei anni il tanto atteso ritorno F ra le band che senza dubbio hanno caratterizzato la musica nel territorio (e non solo) durante il pri mo decennio degli anni duemila, trovano senza dubbio posto “I Cinque dell’Oca Giuliva”, un gruppo molto particolare caratterizzato da un genere originale, ma soprattutto da una maniera di stare sul palco che li ha resi davvero unici. Quando infatti si cerca di parlare con loro una cosa è certa: non è possibile farsi una “chiaccherata seria”, questo per via della loro stravaganza e del loro modo di essere, sempre allegro e mai posato, che ha rappresentato per certi versi il segreto del proprio successo. Nata intorno al 2001, la band è stata composta dal cantante Roberto Frailis, noto Rocco, Andrea Orrù e Velio Ortu (entrambi alla chitarra), Daniele Sideri al basso, Giorgio Casu, in arte Giorgé, alla batteria, oltre ad Alessandro Frailis “sesta Oca” definito il corpo da ballo. Il gruppo è rimasto in vita sino al 2010 ed ha tenuto una serie innumerevole di concerti. Tuttavia, durante i primi anni della loro esistenza, non si sono distinti per originalità: ai primordi la band vantava un repertorio e un’impostazione sul palco abbastanza classica e mite. Poi, intorno alla fine del 2003, avviene la svolta. «Ci arrivò fra le mani - commenta Andrea Orrù - un cd di un mio compaesano di Lunamatrona (Fausto Podda ndr) con dentro i grandi successi degli anni ’60; sto parlando della musica beat ovvero musica straniera di successo riadattata con testi italiani incollati un po’ a forza. Decidemmo di stravolgere la nostra scaletta e con essa ci venne naturale trasformarci in una band dove la musica si fondeva con la comicità. Partecipammo ad un contest al Varadero, un locale cagliaritano oggi non più esistente e nei primi anni 2000 molto in voga. Vincemmo quel concorso musicale e partecipammo, come premio, ad una manifestazione ad Urbino». Da quel momento in poi un successo inarrestabile: una serie infinita di concerti con il frontman Rocco vero e proprio intrattenitore insieme al resto del gruppo. Per il pubblico numeroso che li ha sempre seguiti una serie infinita di concerti memorabili fatti di balli, risate e tanta allegria. Con “I Cinque dell’Oca Giuliva” sul palco le serate si trasformavano, insieme alla musica, in veri e propri spettacoli dov’era soprattutto la comicità a farla da padrone. «Fra i tanti successi - continua Andrea Orrù, - c’è da ricordare anche la vittoria al festival cagliaritano “Sottosuoni” riservato alle band emergenti. Fu un successo indimenticabile: se ancora ripenso a quegli anni mi viene “la pelle d’oca”!». Come tutte le belle storie però arrivò, intorno al 2010, la fine del gruppo dovuta alla partenza verso la penisola di alcuni elementi. «Si sarebbe potuto sostituire chi - conclude Andrea - per motivi personali non si trovava più in Sardegna, ma non sarebbe stata la stessa cosa: avevamo tatuato dentro un marchio tutto nostro, nessuno avrebbe potuto echeggiare il verso dell’oca così come ormai ci avevano abituato i partenti». La sorpresa per i tanti fan potrebbe però essere dietro l’angolo: i cinque hanno riniziato con le prove, e molto probabilmente a breve, dopo sei anni di quiescenza, le Oche potrebbero tornare a starnazzare. Nessuna tappa al momento è stata calendarizzata, ma per i nostalgici fan che da anni aspettano con ansia il suono dei loro starnazzi uniti a quelli dei loro amplificatori, ci sarà a breve la comunicazione del tanto atteso ritorno. «Tremate - fanno sapere dalla loro pagina Facebook le terribili Oche stanno per tornare!». Simone Muscas “Lalba”: un gruppo di giovani pabillonesi amanti del pop D opo la scorpacciata degli anni ‘60 con la musica beat, quella del decennio successivo con il rock, il punk e la musica di protesta, gli anni 80 fecero raggiungere al pop la sua massima espansione. Nei primi anni 80, cinque ragazzi di Pabillonis con la passione viscerale per la musica formarono la band “I poker d’assi”, e riscossero da subito curiosità e applausi fin dalle prime esibizioni. Il gruppo qualche anno più tardi modificò il nome e nacque il gruppo pop Lalba. La band era così composta: voce e basso Marcello Baltolu, Dario Lisci e Franco Melis alle chitarre, Giuseppe Atzori alla tastiera e Corrado Collu alla batteria. I cinque amici e talentuosi musicisti cominciarono a suonare nei locali di Pabillonis e in quelli dei paesi limitrofi, parteciparono a diversi festival e manifestazioni canore per ragazzi. Iniziarono da subito a sperimentare canzoni nuove, con testi e musiche proprie. Alla fine degli anni ’80, il gruppo partecipò a diverse selezioni e festival regionali di ogni genere. Nel ‘90 la prima soddisfazione, vinsero con merito “Sanremo giovani Sardegna”. Spinti dall’entusiasmante vittoria e da tanta passione per la musica, suonarono in tantissime piazze isolane. Nel ’92 terminarono il loro primo lavoro musicale “Terra mia”, prodotto dalla Tecno- Records e registrato negli studi dei Salis & Salis. Videro così la luce dieci brani scritti e musicati dalla band, pezzi che rifletterono le loro emozioni, tra amori, attualità e sogni. Successivamente riarrangiarono e cantarono in lingua sarda l’Ave Maria, il brano che, splendidamente eseguito, fu poi inserito in una compilation che riuniva i migliori gruppi musicali di quell’epoca come i Bertas, i Barrittas, i Salis & Salis e la banda della Brigata Sassari con “Dimonius”. Le loro canzoni passarono anche nelle radio locali, il sogno dei cinque ragazzi si era avverato. Nel 1998 parteciparono alla manifestazione canora “Festival di Castrocaro Terme” a Forlì, dove ottennero un buon piazzamento e consensi positivi da parte della giuria e della critica. Ci riprovarono l’anno successivo e infine, nel 2002, riuscirono in tutte le occasioni a farsi apprezzare e far conoscere le loro canzoni. Suonarono ancora assieme per qualche anno, poi per divergenze e per una serie di motivi, dopo quasi un ventennio, il gruppo si sciolse. A Pabillonis è ancora vivo il ricordo del gruppo “Lalba”, nei mesi scorsi trapelarono voci di una loro possibile reunion per festeggiare i trent’anni dalla loro nascita. La musica ha lo straordinario potere di unire e una canzone potrebbe riunire molto presto “Lalba” per la felicità dei loro tantissimi estimatori. Stefano Cruccas PDF Compressor Pro 15 giugno 2016 15 La Scuola va in vacanza Note di fine anno scolastico “Insieme per conoscere Villamar” un progetto didattico - turistico Si è svolto lo scorso 28 e 29 maggio “Insieme per conoscere Villamar”, un progetto didattico al quale hanno partecipato i bambini della quinta elementare e quelli della terza media dell’Istituto Comprensivo di Villamar. L’evento, messo a punto sulla falsariga di “Monumenti Aperti” (a cui il Comune di Villamar non ha aderito), ha coinvolto i ragazzi delle scuole che per due giornate si sono adoperati come guide turistiche per far conoscere ai visitatori le bellezze della comunità. «Abbiamo realizzato questo progetto - commenta la responsabile Paola Murru - in maniera abbastanza “casereccia”, ma abbiamo ottenuto dei risultati che sono andati al di là di ogni più rosea aspettativa. Sono infatti arrivati gruppi di visitatori abbastanza numerosi che hanno potuto ammirare le bellezze del paese, su tutte: le chiese e la casa maiorchina. Considerando che il progetto non era inserito all’interno del circuito Monumenti Aperti, siamo riusciti ad avere una media di circa duecentocinquanta turisti a monumento, numeri che, se si considera il fatto che si sia trattato di un semplice progetto didattico, rappresentano un risultato importante». L’occasione di dare la possibilità ai ragazzi di conoscere le bellezze e la storia del proprio paese ha permesso non soltanto agli studenti stessi, ma anche ai tanti visitatori, di approfondire la storia di Villamar. In tanti hanno preso consapevolezza del fatto che la comunità villamarese potrebbe giocarsi in maniera più decisa, grazie alle grosse potenzialità di cui dispone, le proprie carte anche a livello turistico. «Il risultato raggiunto - conclude l’insegnante Paola Murru - ci soddisfa per quanto fatto. Un ringraziamento particolare va all’amministrazione comunale che ci ha supportato per lo svolgimento di questo progetto; personalmente ci terrei a ringraziare l’assessore Giampiero Mereu che ci ha dato una grossa mano con grande impegno sin dal primo momento. Visto il successo della manifestazione, ci auguriamo di riproporre l’evento anche negli anni a venire». Simone Muscas “ScopriAmo Sardara” per valorizzare le risorse locali Con l’obiettivo di trasmettere agli studenti di Sardara il ricco patrimonio culturale, artistico e sportivo del paese, l’anno scolastico si è concluso con diverse manifestazioni, tra cui visite guidate nei luoghi archeologici del centro, attività ludiche-didattiche, il minivolley con l’associazione “Pallavolo Sardara” e l’incontro con la scuola primaria di Pabillonis per presentare, con esibizioni musicali dei bambini, il progetto di lingua e cultura sarda “Àcua frisca”, dal quale sono nati un opuscolo di storia sarda da utilizzare come strumento didattico e il laboratorio di ceramica, condotto a Casa Pilloni dalla cooperativa Villa Abbas che gestisce i beni culturali locali. «I ragazzi sono stati davvero entusiasmanti - dice Rosanna Onnis - anche nella preparazione dei cartelloni che servono da guida per “ScopriAmo Sardara”, il progetto realizzato dagli alunni della scuola primaria che, in veste di ciceroni, illustrano le ricchezze storiche del paese. Bisognerebbe trovare un metodo per conservare questi lavoretti, anche plastificandoli, in modo che i bambini di oggi possano ritrovarli da adulti come risorsa per la comunità». Straordinaria partecipazione per l’originale iniziativa “Curricolo verticale” che vede lavorare insieme insegnanti e studenti di ogni ordine e grado scolastico. Una collaborazione eterogenea tra le classi delle scuole materne, elementari e medie locali, che si è manifestata anche durante la Giornata dell’Avis, per cui quest’anno i ragazzi della media hanno preparato il logo delle magliette dell’associazione e i bambini della terza elementare cartoncini a forma di cuore appesi al petto, che riportavano la scritta “Dona il tuo cuore”. Coinvolgente il momento ludico nato in modo del tutto improvvisato tra insegnante e alunni e tra gli stessi studenti. «Non avevo il mio cuore di carta - spiega l’insegnante - e ho chiesto ai miei alunni chi di loro in quel momento fosse disposto a donarmelo, o a donarlo a chi in sala non lo avesse. Un gesto significativo che ha rappresentato il rinunciare a qualcosa di sé per donarlo a chi invece non ce l’ha». Nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa (Pof), a Sardara inoltre in questi giorni si sta svolgendo la seconda edizione di “ScopriAmo Sardara”. Nel prossimo numero del giornale sarà pubblicato il resoconto con le foto. Marisa Putzolu Sanluri: un orto biologico creato dai bimbi della scuola primaria L e classi 1a e 2a A della scuola primaria dell’istituto comprensivo di Sanluri hanno messo su un laboratorio dal titolo “Un piccolo orto ma biologico”. I bambini, con l’aiuto delle insegnanti, hanno in questo modo dato vita alla riqualificazione del cortile del plesso scolastico con l’opportunità di vedere da vicino ed essere protagonisti di un processo innanzitutto educativo ed ecologico. «Per noi insegnanti - spiega Silvana Marras - è stato un forte stimolo per affrontare con gli alunni una tematica di grande attualità». È infatti palpabile l’entusiasmo, non solo delle maestre ma anche dei bambini stessi, per aver portato avanti un progetto che ha fatto loro conoscere meglio piante ed ortaggi osservando da vicino la nascita e la crescita di molti cibi che finiscono sulle nostre tavole ogni giorno. Un’esperienza utile per imparare come si coltiva, perché è sano mangiare più verdure, per capire che si può coltivare in maniera biologica i vegetali di cui ci nutriamo e infine per comprendere che non siamo solo consumatori, ma possiamo essere anche produttori di alcuni cibi che mangiamo. I bimbi hanno risposto in maniera molto positiva, tanto che si sono dedicati a scrivere qualche pensierino sulla realizzazione dell’orto biologico: «L’otto aprile abbiamo fatto l’orto. E gli abbiamo donato l’amore. Quando abbiamo piantato è stata l’emozione più grande», oppure: «Il momento più bello è stato quando abbiamo assaggiato le fragole e abbiamo scoperto quanto erano buone le fragole del nostro orto», qualcun altro scrive ancora: «Noi l’orto l’abbiamo iniziato l’otto aprile, ma la cosa che mi rattrista di più è che è quasi finita la scuola». I bambini hanno poi portato a casa i prodotti dell’orto biologico, a turno, affinché le loro mamme potessero preparare pietanze prelibate con il frutto del loro impegno. Un’attività importante per i bambini, soprattutto educativa, che li ha portati a comprendere cosa vuol dire coltivare nel rispetto dell’ambiente e prendersi cura dello stesso. Lorenzo Argiolas PDF Compressor Pro 16 15 giugno 2016 La Scuola va in vacanza Note di fine anno scolastico VILLACIDRO Grande festa all’Agrario con l’ambasciatore dell’Uruguay Quella del 4 giugno è stata una giornata indimenticabile: una mattinata storica che rimarrà scritta negli annali dell’Istituto Agrario di Villacidro… impressa nella memoria di studenti, docenti e autorità civili e militari. Sì, perché al progetto “Uruguay” hanno partecipato l’intero corpo docente; gli educatori; gli oltre 100 alunni dell’Istituto; il personale ATA; e i dipendenti dell’azienda agricola annessa alla scuola. Tutti, direttamente o indirettamente, sono stati coinvolti in questo progetto. Trepidanti, tutti hanno accolto l’ambasciatore dell’Uruguay in Italia, Gastón Lasarte, - accompagnato dal console dell’Uruguay a Cagliari, Martino Contu, e dal Presidente di Confagricoltura Sardegna, Luca Sanna - nel piazzale antistante la scuola, addobbato per l’occasione con le piante tipiche della macchia mediterranea e con il ceibo, la pianta simbolo del paese latinoamericano. L’ambasciatore è giunto appositamente nella località villacidrese di Turrighedda per conoscere e per congratularsi personalmente con gli allievi e i docenti che, nel corso dell’anno scolastico 2015-2016, hanno studiato e approfondito l’Uruguay, a cominciare dalla sua ricca e sviluppata agricoltura, realizzando il volume Uruguay e Italia. Nella terra le radici comuni di due Paesi lontani, scritto e curato da 39 studenti e 20 docenti. AGRICOLTURA. «L’agricoltura è stata - ha dichiarato Ignazio Cau, responsabile dell’Agrario - il punto di partenza, ma, appena gli studenti hanno iniziato il loro percorso di ricerca, hanno trovato innumerevoli spunti di approfondimento e tante similitudini con l’Uruguay, che spaziano dalla geografia all’economia, dall’ambiente alle tradizioni popolari, dalla letteratura alla satira, passando per lo sport, la matematica e la religione. Anche la lingua straniera, spesso elemento di frattura per gli ostacoli nella comunicazione, è stata invece motivo di aggregazione». All’iniziativa erano presenti, oltre gli studenti e i docenti che hanno presentato il libro insieme all’ambasciatore, i sindaci e gli assessori delegati con fascia tricolore di Villacidro, Arbus, San Gavino, San Sperate, Sanluri e Tuili, e l’Arma dei Carabinieri della Compagnia di Villacidro. IL DIRIGENTE SCOLASTICO REGIONALE FELIZIANI. Tra gli ospiti, a sorpresa, è giunto il direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, Francesco Feliziani, il quale, rivolgendosi in un eccellente spagnolo all’ambasciatore Lasarte, ha esaltato il lavoro di studenti e docenti proponendo, insieme al dirigente scolastico Giancarlo Vinci, di proseguire il percorso iniziato con un gemellaggio e uno scambio di studenti e docenti tra l’Agrario di Villacidro e un Istituto Professionale agricolo dell’Uruguay. Le piante del mate e del ceibo. Gli allievi, insieme ai loro docenti, conclude il dirigente Vinci, ricorderanno “tale esperienza come momento di fatica, certamente, ma anche come momento di confronto e di crescita personale nelle conoscenze agricole di un’altra importante realtà umana. La yerba mate non sarà più un’illustre sconosciuta. Gli allievi riconosceranno in essa una pianta dell’Uruguay e dell’area del Plata, dalle cui foglie essiccate si produce un infuso, il mate appunto, la nota bevanda nazionale. Così come nel ceibo dal fiore bianco che cresce solo in una piccola area dell’Uruguay, individueranno il fiore simbolo di un piccolo paese che, forse, non avrebbero mai avuto la possibilità di conoscere e di apprezzare”. Manuela Garau Gli autori e i curatori del libro La pianta del ceibo All’ambasciatore ... i piatti della tradizione mediterranea Sotto l’abile direzione del dirigente scolastico Giancarlo Vinci, studenti e docenti dell’Agrario, unitamente ad un gruppo di studenti dell’Istituto Alberghiero di Arbus, hanno preparato numerosi piatti tipici della cucina sarda, compresi i maialetti abilmente arrostiti da Andrea Pitzanti e Giacomo Fadda, allievi dell’Agrario, ma anche primizie della nostra primavera, dalle succulente albicocche alle gustose fragole biologiche prodotte dall’azienda agricola annessa all’Istituto. E non mancavano neppure i “gueffus” tricolori e a strisce bianche e celesti dell’Uruguay e la torta, anch’essa tricolore e con il bianco, il celeste e il giallo del sole ridente del vessillo uruguaiano. Tra malloreddus, maialetto, cuscus, dolci tipici e un ottimo vino rosso della casa, si è rotto maggiormente il ghiaccio, l’ambasciatore si è spogliato di ogni formalismo e si è intrattenuto con studenti e docenti… firmando e dedicando a tutti il libro Uruguay e Italia. (m. g.) I docenti: Giuseppe Ancora, Sergio Arbus, Ignazio Cau, Martino Contu, Luigi Deidda, Elisabetta Favarolo, Maria Angela Fois, Manuela Garau, Cristina Gritti, Vincenzo Ibba, Manuela Manca, Maria Francesca Massa, Anna Paola Melis, Ottavia Moi, Vilma Mossa, Antonella Porru, Loredana Porcu, Marco Spingola, Daniela Urpi, Giancarlo Vinci Gli studenti: Bruno Aresti, Juri Antonio Avaro, William Avaro, Lorenzo Bandinu, William Cabiddu, Michael Cancedda, Aurora Carboni, Simone Floris, Gabriele Melis, Manuel Melis, Samuele Melis, Matteo Mocci, Luca Montis, Matteo Pintori, Ilaria Soddu, Luca Sogus, Patrick Sollai, Fabio Tatti, Andrea Virdis (1aA) Giulia Atzeni, Matteo Fois, Francesca Matta, Pier Giovanni Pinna (2a B) Francesco Abis, Alessandro Ecca, Giuseppe Sisinnio Piras, (3a A) Mattia Addis, Omar Cocco, Manuel Dessì, Alessandro Masala, Mattia Mocci, Veronica Mocci, Roberto Muntoni, Kevin Muru, Samuele Pili, Giuseppe Piras, Martino Scanu, Nicola Scanu, Kristian Spada (5a A) L’INDICE DEL LIBRO - Geografia fisica e umana dell’Uruguay - Piante e arbusti della macchia mediterranea e del “Mediterraneo Rioplatense” - Lezione d’inglese: le schede del leccio e del mate tradotte nella lingua di Shakespeare - Il Ceibo: l’albero del corallo - La Yerba Mate e la cultura del mate - Antologia di scritti, racconti e poesie di autori uruguaiani, italo-uruguaiani e italiani - Lo sport in Uruguay e la grande passione per il calcio - Il difficile cammino della religione cattolica in un paese laico - L’insegnamento della matematica nella Banda Orientale PDF Compressor Pro 15 giugno 2016 La Scuola va in vacanza 17 Note di fine anno scolastico SERRAMANNA GUSPINI. ISTITUTO ALESSANDRO VOLTA I volti della violenza 3.0 I volti della violenza 3.0 è la sintesi di un lavoro e di una riflessione corale fatta dagli alunni dell’Istituto Professionale per Servizi Socio-Sanitari e quelli dell’Industria e Artigianato del comune di Guspini guidata dai docenti Giannina Usai, Alessandro Pinna, Laura Paderi e Maria Pina Marras. 3.0 perché è il terzo anno che, dopo aver preparato e approfondito l’argomento, con una manifestazione finale, aperta al territorio e agli studenti, nell’Istituto si riflette su violenza di genere, bullismo, ciberbullismo e su ogni altra forma di sopruso che si manifesta in molti ambienti e a qualsiasi età. Gli studi di Radio Area Ipsia, l’emittente attiva nell’I.I.S. “A. Volta”, da alcuni anni sono il laboratorio dove alunni e docenti si confrontano, si sono scambiati idee e dove è nata quella che è stata l’attività presentata nei mesi di aprile e maggio. I frutti di tanto impegno sono stati raccolti in una mostra fotografica preparata dagli alunni, guidati dai docenti e da alcuni professionisti, truccatori, fotografi, registi che gratuitamente si sono messi in gioco per insegnare, donare la loro arte e contribuire al progetto. Il 22 aprile, durante un convegno svoltosi nell’aula magna dell’Istituto, è stata presentata la mostra. I molti volti della violenza hanno preso forma in immagini di grande effetto. Un cortometraggio realizzato dagli alunni, guidati dal regista Mikael Saba, ha messo in risalto, con il gesto e la parola, i molti volti che essa può assumere. Gli studenti hanno occupato la scena e prestato le loro facce a una finzione teatrale molto rappresentativa di una realtà, purtroppo, possibile. Un flash-mobe e il brano ‘Brividi nel cuore’ scritto per l’occasione dal gruppo rep Nervo and Kikkoz, gruppo musicale nato all’ombra di Radio Area Ipsia, sono stati un altro contributo alla riflessione in un’aula magna stracolma di studenti, insegnanti e alla presenza di alcuni rappresentanti delle istituzioni e specialisti invitati a dare il loro contributo e la loro testimonianza qualificata. Il saluto della professoressa Mariarosa Maiorana, rappresentante dell’Ufficio Scolastico Regionale, è stato indirizzato agli studenti, ai docenti e quanti hanno contribuito a una riflessione di grande valore didattico, educativo e civile sulla violenza in tutte le sue forme. Centrale elettrica Prima della proiezione del video “I volti della violenza” dai docenti è stato presentato il progetto, definito “Di grande valore artistico, educativo e sociale” dall’ispettore capo della Polizia Postale e delle Comunicazioni Roberto Manca, esperto di ciberbullismo e violenza mediatica. Lo stesso ispettore ha consigliato ai ragazzi di proteggere il video con copyright. Organizzata sapientemente, la giornata è andata avanti con l’intervento della coordinatrice del Centro Antiviolenza del Medio Campidano dottoressa Cinzia Neri che dopo essersi congratulata per l’iniziativa ne ha evidenziato il valore educativo e l’impegno civile che scaturisce dal coinvolgimento dei giovani in queste attività. Il video di Christian Castangia “Il bullo” ha chiuso la giornata. Si potrebbe dire che I volti della violenza 3.0 abbia esaurito la sua funzione se, con sorpresa di docenti e studenti, il Comune di Sanluri, venuto a conoscenza dell’iniziativa, non avesse chiesto di ospitare nel proprio Comune, per qualche tempo, la mostra e di ripetere la giornata svoltasi nell’aula magna dell’I.I.S. “A. Volta”. Doveva essere un’attività di sensibilizzazione, riflessione e impegno civile sui volti della violenza. Questo è stato! Un segnale che cambiare si può se ci si impegna a cambiare se stessi e si rispettano i compagni di viaggio. Sandro Renato Garau Sala macchine manovre di sbarco “Sport di Classe 2016”, una giornata dedicata allo sport L’istituto comprensivo di Serramanna sabato 4 giugno scorso ha organizzato, fra le varie manifestazioni di fine anno scolastico, una giornata interamente dedicata allo sport. Tutti gli alunni della scuola primaria sono stati coinvolti nell’iniziativa “Sport di classe 2016”. Gli alunni, muniti di magliette colorate, zainetto, merenda, acqua e cappellino, accompagnati dai genitori, sono stati accolti di primo mattino dai docenti nel campo di atletica di via Nuraminis. Le classi coinvolte hanno sfilato lungo la pista con in prima fila i bambini delle classi prime e seconda, ed a seguire le classi terze, quarte e quinte per poi raggiungere i diversi campi allestiti nel manto erboso. In una calda giornata di primavera, quasi estiva, i bambini hanno corso, saltato, giocato davanti al pubblico dei genitori tifosi. Sempre presenti durante l’intera manifestazione i volontari della Croce Verde di Serramanna, con mezzo di soccorso ed equipaggio al seguito: «la curiosità dei bambini non è mai troppa» amano sottolineare i volontari, che hanno accolto tutti i bambini che hanno voluto visitare l’ambulanza. La mattinata spensierata si è conclusa con le premiazioni per le attività dei giochi di fine anno, con tutti i bambini atleti vincitori nello sport. Elena Fadda Accanto ai motori Guspini: nove studenti dell’Istituto Volta a bordo delle navi Tirrenia Alla seconda edizione del Progetto ForMare, organizzato da Tirrenia Compagnia Italiana di Navigazione in collaborazione con il Miur e la Direzione scolastica regionale, finalizzato alla preparazione degli studenti sardi al loro percorso professionale e all’ingresso nel mondo del lavoro, sono stati coinvolti venti istituti in tutta la Sardegna, fra cui il Volta di Guspini. Nove studenti sono stati imbarcati a bordo delle navi con iscrizione a ruolo per uno stage dal 9 al 13 maggio, nella linea di navigazione Olbia Livorno. Gli studenti, tutti mag- giorenni, delle classi quarta A e B Michele Murgia, Michael Ogno, Mattia Pala, Simone Saiu, Simone Vaccargiu, Giovanni Mocci, Mauro Martis, Davide Orrù, Luca Sollai accompagnati dall’insegnante tutor, hanno partecipato alle lezioni teoriche e pratiche, svolgendo mansioni di macchina, sempre accompagnati da un “tutor” Tirrenia. A due studenti ,che hanno preso parte allo stage con particolare profitto, sarà riconosciuta l’opportunità di imbarcarsi con un contratto a tempo determinato della durata di due mesi Manutenzione bronzine Un motore della nave per la prossima stagione estiva, con la qualifica di assistente ufficio, mozzo o giovanotto di macchina. La compagnia si ripropone tramite questa iniziativa “di investire sulla formazione dei giovani sardi, stringendo un rapporto di collaborazione con gli istituti scolastici isolani per promuovere la cultura marittima, per rafforzare i contenuti e i metodi dell’apprendimento e incoraggiare l’orientamento professionale per le carriere rivolte al mare e alla logistica portuale”. Mauro Serra PDF Compressor Pro 18 15 giugno 2016 La Scuola va in vacanza Note di fine anno scolastico Gonnosfanadiga. Intervista alla dirigente scolastica Romina Di Nardi “Il tempo pieno, un indispensabile servizio per le famiglie” R omina Di Nardi, laureata in Lettere ad indirizzo classico, inizia la sua carriera scolastica come docente di scuola primaria nel Lazio, sua terra d’origine. Ha insegnato poi nella scuola secondaria di I e II grado acquisendo vasta esperienza pedagogica. Nell’anno 2004, a soli 33 anni, vince il concorso per dirigente scolastico e prende servizio in Sardegna, prima nella provincia di Sassari, quindi ad Arbus. Dal 2011 guida l’Istituto Comprensivo di Gonnosfanadiga. Come trova l’ambiente scolastico a Gon-nosfanadiga? Una scuola dal contesto socio-culturale potenzialmente elevato. Qual è, in generale, il livello di preparazione degli studenti anche alla luce delle prove Invalsi? Discreto, comunque c’è sempre da migliorare. La partecipazione dei genitori agli organi collegiali è soddisfacente? Buona. La “buona scuola”, come viene chiamata l’ultima riforma, ha avuto i suoi effetti qui a Gonnosfanadiga? Ha modificato qualcosa? Certo! L’Istituto scolastico nei suoi tre ordini ha lavorato per predisporre il Piano Triennale dell’Offerta Formativa così come previsto dal decreto legge sulla Buona Scuola, redatto per i prossimi anni scolastici, in sinergia con tutte le componenti sociali del territorio: rappresentanti dei genitori degli organi collegiali, Comune, associazioni culturali, sportive, musicali. Già a partire da quest’anno sono in corso diverse iniziative volte al miglioramento dei processi di apprendimento degli alunni al fine di facilitare il conseguimento delle competenze di base (italiano, matematica). La scuola si caratterizza inoltre attraverso la realizzazione dei diversi progetti, alcuni dei quali sono svolti anche in orario extrascolastico, con la scuola aperta al pomeriggio che diventa presidio culturale e sociale, e strumento per contrastare la dispersione scolastica, togliendo i ragazzi dalle strade, nonché mezzo per combattere fenomeni come il bullismo, con la sperimentazione di momenti di condivisione di valori etici e sociali, durante i quali i ragazzi imparano a convivere e a rispettare gli altri. Dai libri alle dotazioni informatiche: com’è la situazione? La scuola sta cercando di implementare le dotazioni informatiche attraverso la partecipazione a finanziamenti di progetti europei, chiamati Pon linea 2014-20, che sono risultati in posizione utile ad ottenere il relativo finanziamento. Questi ultimi consentiranno di ampliare la rete Lan in tutti e tre i plessi scolastici dell’Istituto, di migliorare il funzionamento delle reti interne ed esterne e soprattutto di allestire nuovi ambienti scolastici digitali. Esistono fenomeni di abbandono scolastico? E la scuola è attenta a rimuoverne le cause e con quali strumenti? Pochissimi, limitati a 1-2% annui. La scuola lavora sull’opera di prevenzione dell’abbandono scolastico mediante una serie di attività progettuali di carattere teatrale, musicale, sportivo, motorio; una di queste, in particolare, Unplugged, aiuta i ragazzi della scuola Secondaria a prendere maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità e ad avere maggiore fiducia in se stessi, contribuendo così a far prendere le distanze dai fenomeni di abbandono. Il pianeta scuola è attraversato dalle problematiche della società attuale: inserimento degli alunni diversamente abili, extracomunitari, provenienza da ambienti familiari in difficoltà e allo stesso tempo valorizzare le eccellenze. Come risponde la scuola? L’Istituzione scolastica tenta di dare risposte adeguate alle diverse esigenze formative degli alunni cercando di valorizzare le eccellenze e di compensare le carenze anche attraverso la collaborazione con i Servizi Sociali del territorio, la Asl, il Comune, nonché altre agenzie formative. La scuola è l’istituzione dove è fondamentale la collaborazione tra amministrazione comunale e dirigenza scolastica. Come sono questi rapporti? Abbastanza positivi; stiamo lavorando affinché siano maggiormente ascoltate le esigenze degli alunni e della scuola circa la collaborazione per rendere ancora più efficace il diritto allo studio. Dal punto di vista logistico, come giudica la situazione dei tre caseggiati scolastici? Un po’ dispersiva. Avrei preferito che fossero più vicini anche per migliorare i rapporti di continuità tra i diversi ordini di scuola che nel nostro Istituto stanno diventando un perno centrale dell’attività di tutta la scuola. Si stanno consolidando negli ultimi anni attività di continuità che vedono il coinvolgimento dei bambini e ragazzi delle classi ponte; la partecipazione a progetti comuni è utile per far sperimentare il valore della continuità tra le diverse scuole che pur nelle loro specificità formative tengono conto del percorso formativo unitario dell’alunno. Ha qualche proposta per migliorare la scuola a Gonnosfanadiga? Ne ho tantissime e spero di realizzarle tutte per il bene della comunità scolastica. Già lo scorso anno ho avviato il tempo pieno nella scuola primaria: una novità storica per il paese, un indispensabile servizio per le famiglie, nonché per gli alunni; l’indirizzo musicale per la scuola secondaria di I Grado ha segnato una svolta per la scuola, in quanto ha dato la giusta voce agli alunni in un paese particolarmente ricettivo nei confronti dell’attività musicale: vedasi la presenza della scuola civica, della banda musicale, la più antica in tutto il circondario. Mi auguro che nel prossimo futuro ogni classe ad ogni livello possa avvalersi della possibilità di sperimentare nuove esperienze scolastiche che le aiutino a migliorare i risultati. Può spiegare la differenza fra apprendimento frontale e apprendimento circolare? La differenza tra l’apprendimento circolare e quello frontale è piuttosto complessa e può essere così esemplificata: essa attiene ad una serie di strategie didattiche che nel primo caso prevedono un processo di insegnamento-apprendimento che privilegia la tecnica di cooperazione delle attività, ossia un apprendimento di conoscenze mediante attività di gruppo nelle diverse discipline di studio, attività che sono molto efficaci in quanto consentono agli alunni di socializzare le informazioni apprese. Allo stesso modo si fissano meglio anche le competenze di carattere sociale in quanto ciascuno collabora nelle attività per un fine comune, si impara anche dai propri coetanei e si costruiscono insieme le conoscenze. L’apprendimento frontale è una modalità oggi un po’ superata nella scuola, anche se ancora praticata; in tal caso l’apprendimento diventa meno stimolante in quanto più passivo perché l’insegnante “ex cattedra” trasmette agli alunni le conoscenze. Sono del parere che tutte le strategie di insegnamento-apprendimento vadano sperimentate e che i migliori insegnanti siano coloro che le alternano tutte nelle attività della classe. Gli alunni della scuola secondaria già dallo scorso anno, e da quest’anno anche nella scuola primaria, stanno lavorando a un progetto di “Cooperative Learning” (Apprendimento Cooperativo) con l’ausilio di uno psicologo che vede la sperimentazione di tecniche di apprendimento cooperativo, ma anche di alta formazione per i docenti. Al termine dello scorso anno scolastico nella scuola secondaria si sono registrati progressi degli alunni negli apprendimenti. Gli stessi hanno raggiunto esiti formativi più elevati in quasi tutte le discipline. Vorrei concludere con quella che è la premessa al nostro Piano triennale dell’Offerta Formativa, primo perché ne è la carta di identità, secondo perché sia una promessa di intenti per il futuro di questa comunità scolastica. Una delle finalità ultime che il nostro istituto si prefigge di raggiungere è quella di promuovere le relazioni esistenti tra i vari contesti di vita del bambino: realtà che, tra loro, devono interagire al fine di creare le migliori occasioni di crescita all’interno di un percorso formativo continuo, ma soprattutto unitario, il quale garantisca il raggiungimento di un equilibrio emotivo, affettivo e intellettivo dell’individuo che apprende, nel rispetto della propria identità sociale e culturale. La scuola, però, non può da sola assolvere a tale funzione educativa, pertanto si rende necessario l’apporto di tutte le agenzie formative presenti sul territorio, prime fra tutte la famiglia, al fine di creare quanto più possibile un “sistema formativo integrato”, laddove gli apprendimenti formali si uniscono a quelli informali e ai non formali. L’azione educativa della nostra scuola, pertanto, si concentra particolarmente su attività progettuali che si sviluppano attraverso due grandi linee: la continuità orizzontale (continuum tra servizio, scuola, contesto sociale, familiare e territoriale) e la continuità verticale (passaggio tra le diverse istituzioni educative e scolastiche), particolarmente curata nel nostro istituto mediante progetti trasversali che vedono il coinvolgimento pieno di tutti gli alunni delle classi ponte. La continuità verticale, inoltre, è pratica educativa fondamentale nel nostro Istituto in quanto prerogativa indispensabile al passaggio costruttivo e graduale di un alunno da un settore scolastico all’altro, proprio nel rispetto dei processi formativi dell’individuo che apprende. Si auspica un proficuo lavoro di tutti gli operatori della scuola, delle famiglie, di tutto il mondo dell’extrascuola, per il vantaggio degli alunni, veri protagonisti del loro sapere. Ciò induce a mirare all’obiettivo contemplato dalla celebre nonché attuale frase di Nelson Mandela: “L’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione. Non ciò che ci viene dato, ma la capacità di valorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingue una persona dall’altra.” Francesco Zurru PDF Compressor Pro 15 giugno 2016 19 SERRAMANNA “I Cabilli” diVico Mossa al Salone internazionale del libro diTorino Può un vecchio libro pubblicato nel 1965 e sconosciuto ai più giovani, togliersi di dosso la polvere del tempo e ringiovanire, diventando una lettura attuale e partecipare a presentazioni, saloni e mostre? Certo che può. Può se è “I Cabilli” di Vico Mossa. La riedizione del libro, promossa e finanziata dall’amministrazione comunale di Serramanna e affidata alla casa editrice “Ilisso Edizioni” di Nuoro, ha dato il via ad una reazione a catena che ha portato all’inserimento dell’opera nella prestigiosa collana “Scrittori di Sardegna”, alla sua presentazione al Salone Internazionale del Libro di Torino ed alla mostra del libro in Sardegna di Macomer. Il libro, di cui il Comune di Serramanna ha acquistato 3.000 copie personalizzate che saranno distribuite gratuitamente ai cittadini serramannesi, sarà commercializzato dalla “Ilisso Edizioni”, disponibile per chiunque volesse possedere la nuova copia di un vecchio libro. «Con la certezza che promuovere un romanzo come “I Cabilli” sia in realtà promuovere tutta la comunità serramannese, essendo contenuto in esso uno straordinario spaccato della sua storia, delle sue tradizioni e della sua cultura, l’amministrazione si è subito attivata affinché la riedizione dell’opera avesse adeguata pubblicità e suscitasse il giusto in- teresse nei confronti della critica e del popolo dei lettori», dichiara il consigliere Guido Carcangiu «La partecipazione al Salone Internazionale del libro di Torino, resa possibile anche grazie alla collaborazione della Regione Autonoma della Sardegna, dell’Associazione Editori Sardi, dell’Associazione Nazionale “Città della Terra Cruda” e della medesima “Ilisso Edizioni”, ha fatto si che il Comune di Serramanna fosse l’unico Comune sardo ad essere inserito nel programma degli eventi proposti dal padiglione della Regione Sardegna, permettendo ai “Cabilli”, alla figura di Vico Mossa e a tutta la comunità serramannese di avere una vetrina straordinaria.» La presentazione ufficiale di “I Cabilli” a Torino ha avuto luogo nel padiglione della Regione Sardegna, venerdì 13 maggio. La delegazione incaricata dall’Amministrazione Comunale, composta dall’archivista Alessandra Mocci, dal giornalista Enrico Pinna, dall’architetto Alceo Vado e dal rappresentante del Comune Guido Carcangiu, ha fornito una panoramica non solo dell’opera riedita, ma anche della fi- SAMASSI PABILLONIS Beppe Chierici ospite del centro di aggregazione sociale. È questa l’eccezionale serata di particolare spessore culturale che si è tenuta lunedì 23 maggio nella struttura comunale di via Su Rieddu. Dopo i saluti del sindaco Riccardo Sanna e di Igor Lampis, musicista, scrittore nonchè neo editore, la scena è stata tutta di Beppe Chierici. Ospite di alcuni amici in Sardegna, il famoso artista di Cuneo ha voluto regalare al pubblico presente una spettacolare esibizione mettendo in mostra la sua consistenza culturale con la presentazione del libro La cattiva erba e cantando diverse canzoni del grande chansonnier francese Georges Brassens. Sono proprio le ballate del grande cantautore francese il filo conduttore della sua opera. Presentato il libro La cattiva erba di Beppe Chierici La cattiva erba è infatti un libro di canzoni con allegati due Cd frutto delle cinquantennale fatica di Beppe Chierici, che si presenta, fin dalla rilegatura ad anelli, come un lavoro di ottima fattura, dove la cura grafica (dalle belle illustrazioni a colori di Dario Faggella ai materiali fotografici d’archivio, fin alla qualità della stampa), è di primissimo livello. Aprirlo è entrare in un mondo particolare. Nelle quasi 200 pagine di grande formato si può trovare un’ampia parte introduttiva ad opera di Margherita Zorzi e dello stesso autore, ricca di aspetti “tecnici” e di gustosi aneddoti. E poi 86 testi di Brassens, riprodotti con a fianco la traduzione di Chierici: un lavoro certosino degno di grande ammirazione. Accompagnandosi con un particolare strumento musicale, ha cantato e recitato,da grande cantautore, le opere del suo repertorio. Tanti gli applausi e gli interventi, a fine esecuzione, che hanno caratterizzato l’indimenticabile serata con la partecipazione ,tra gli gli ospiti anche degli scrittori di Guspini Tarcisio Agus ed Iride Peis. Dario Frau Francesco Mani, opera prima di Luigi Lilliu Domenica 29 maggio alle 18.30, nella sala consiliare Grazia Deledda di Samassi. si è svolta la presentazione del libro “Francesco Mani” di Luigi Lilliu.Evento da inquadrare fra quelli organizzati per il Maggio Culturale Samassese che ormai da un paio d’anni arricchisce l’ambito culturale del paese. La serata è stata aperta dai saluti del Sindaco Enrico Pusceddu e una breve introduzione dell’Assessore alla Cultura Giulia Setzu che hanno presentato l’autore Luigi Lilliu. Luigi ha vissuto tanti anni in Svizzera ed è tornato nel paese dove è nato, nella sua amata Sardegna, da pensionato per godersi un meritato riposo. È dalla facile parlantina e Lunamatrona. 2a rassegna di cori polifonici “In…Canto” Si è svolta, presso la chiesa di parrocchiale di Lunamatrona, la seconda edizione di “In…Canto”, una rassegna di cori polifonici che ha visto come protagonisti, oltre al coro locale “Boxis de Luna”, anche quelli di “Santu Pedru” di Villamar e “Montanaru” di Desulo. Dinanzi ad una buona cornice di pubblico, con la presentazione della presidente del coro di casa Brunella Garau, si sono esibiti nell’ordine il coro di Lunamatrona, poi quello villamarese ed infine di Desulo. Grande l’apprezzamento per lo spettacolo fra i presenti che hanno potuto ascoltare con piacere le musiche molto diverse nel genere dei tre gruppi partecipanti. gura di Vico Mossa a tutto tondo.«L’iniziativa», spiega ancora Guido Carcangiu, «è stata accolta con sincero interesse da parte dei partecipanti, colpiti soprattutto dalla ricchezza e dalla particolarità dell’Archivio di Architettura “Vico Mossa”, custodito a Serramanna presso la Biblioteca Comunale “Giovanni Solinas”». A tale iniziativa ha fatto seguito, sabato 21 maggio, la partecipazione della medesima delegazione serramannese alla Mostra del Libro in Sardegna di Macomer, all’interno della quale si è proseguito il cammino di promozione e di valorizzazione della figura dell’illustre architetto serramannese. Francesca Murgia «Siamo molto soddisfatti -c ommenta Brunella Garau - per questa seconda edizione dell’evento. Il nostro coro, nato appena quattro anni fa, sta lentamente crescendo e tessendo rapporti con altri cori polifonici della zona e non. La nostra comunità può finalmente vantare di avere un proprio coro polifonico, più volte si è tentato in passato di costituirlo, ma mai prima d’ora si era riusciti a far decollare questo progetto. Ci auguriamo di poter continuare migliorandoci ulteriormente in tutti gli aspetti, sia tecnico che organizzativo. Ringraziamo, infine, i due cori ospiti che hanno partecipato a questa bella rassegna». Simone Muscas senza grandi inviti incomincia a narrare frammenti della sua vita, aneddoti divertenti che sciolgono il ghiaccio in pochi minuti e riescono ad accattivare l’attenzione dei presenti. Si continua con una lettura tratta dalla sua prima opera “Francesco Mani” che traccia abilmente uno spaccato della fine degli anni 20, in piena epoca fascista, in una Sardegna funestata dalla povertà, dai malviventi e dagli abusi di potere. Ci tiene a ricordare in più riprese che il suo romanzo è una storia quasi vera, verosimile per ambientazione e fatti narrati, ma di fantasia per alcuni aspetti. Il protagonista: Francesco Mani è un uomo realmente vissuto in quegli anni, che per uno scherzo del destino Luigi ha avuto la possibilità di conoscere e di cui ha sentito l’esigenza di scrivere la storia, per rendergli onore e far in modo che il suo ricordo non vada perduto. Nel momento in cui ha deciso di mettersi a battere al computer tale storia, l’ispirazione ha preso il sopravvento ed il risultato è stato un interessante romanzo, denso di azione, ma, anche d’amore. Questa è la sua prima opera edita, ma, ci promette che ne seguiranno tante altre perché ha nel cassetto già altri racconti ben custoditi che attendono solo noi per essere letti e apprezzati. Carola Onnis PDF Compressor Pro 20 15 giugno 2016 Su sadru chi seus pedrendu Su Grifõi O i in dì, poburu o arricu, chi prus e chi mancu, ma totus téint in domu onnia comodidadi. Imou in terra est arregiobau, arregioba cumuna, bella, de marmu… u tempus fut a apomentau. Prima de mundai depiant arrusciài po no pesai pruíu. A is tempus di oi chi ua femia no oit mundai atacat a sa currenti sa machina de pinnicai su pruíu e su giogu est fàtu. In coxía e in s’aposent’e si sciacuai ddoi est s’acua chi cabat de su grifõi passendu me in is cannas de ferru o arramini, ma u tempus no fut aici. Chini tenìat sa funtana in domu piscàt s’acua e acuàt arresis, froris, sciacuàt s’arroba e sa pressona. Chi no tenìat funtana andat a s’arriu a fai sa lissia, o a dom’e tzia Anna Arrù ca ddoi tenìat u làcu mannu mannu e ddoi capiant mancai dexi femias sciacuendu arroba, paganta cuncu soddu e torrant a domu insòru cun s’arroba sciacuàda, e cuncuna sciugàda puru poita ca dda spraxiant in d’ua cresura de arrù chi ddoi fudi. Po s’acua bella, de bufai, tocàt a bandai a is mitzas: de tzia Anna Arrù, paghendu, o de una chi ddoi fut a su costau, a sa funtana de su seddaiu, a sa stiddiadroxa, a sa mitza de sa pixiédda, lutzifuru e a atras mitzas spaíadas in su sàtu. U annu su cumunu iat fàtu u depositu ampiosu, po s’acua, in su monti mannu e nde dd’iant cabada a bidda cun sa tubatziõi, chini tenìat dinai si nce dda ponìat in domu, po is atrus poburus su cumunu iat postu grifõis in dogna ingruxeri. A su nòti s’acua fut serrada, po donài tempus de préi su depositu, e dd’aberrìant a pat’e chitzi a s’orbexidroxu. Sa genti, po cuetai a préi nci potat sa marighedda de sa nòti innantis e dda ponìat anant’e su grifõi. Sutzedìat ca medas acotzant su strexu atzatz’e muru e bessìat ua fillera longa longa de marigheddas. In atrus bixiãus custumant a ddas põi arrogli’arrogliu de su grifõi e, aici, ndi pinnicat giai totu su ngruxeri e chi prim’e orbexi passat cuncu carru andend’a su sàtu ndi strecàt u fasci mannu. Chi sa mariga no fut segada mèda, dd’arrangiàt s’aconciacossu, candu passàda, chi nou fut marighedda noba! Tzia Gesusetamaria Papasantus, femia cresiastica mèda, ma prus de issa sa mama, biu su nomini chi dd’iat postu, cicàt di essi sa prima poita ca acou depìat andai a cresia a primu missa. Custumàt a põi sa marighedda in su grifõi prim’e cenài, de merì mannu, e fut sa prima o segunda, o a totu mabi andai fiat sa de tresi o sa de cuaturu. Cussu merì iat tentu strobu, fiat torrada a scurigadroxu de dom’e sa mama mobadia e, arribada a domu sua, iat agatau su pobiddu setziu in su scannu, màturu: cabendindi de cuaddu s’iat scolliau u pei. «Faimì luegus s’impriast’e s’ou ca m’increscit mèda. » «Imou dep’andai a nci ponni sa marighedda in su grifõi.» «Cussu ddu fais apustis cenau.» «No fait ca insaras agatu medas marigas e cras’a mangiãu mi sonat mesudì prim’e torrai a domu.» «Brava! Insaras ti fais sa ruxi e torras a domu.» «Sì e sa missa? Deu dep’andai a primu missa.» «Po uota chi no andas no ddi fait nudda, sa missa su predi dda fait mancai no ddoi sias tui…» «Ma deu oll’andai…» «Apatami s’acausiõi e movidì. Anzis, bai primas a tzerriai a tzia Maria Trassera ca m’arrangiat sa scolliadura e cun su scèti imbriagu o s’impriast’e s’ou, cras’a mangiãu su pei est giài sanau… Movidì, ancora ingúi sesi?» Olli o no bolli a tzia Papasantus ddi fut tocau a nci ‘essì e de pressi puru. Iat acinnau a pigài sa marighedda, ma su tzerriu de su pobiddu dd’iat fata tremi paris: «Lassa sa marighedda chi nou ti dda segu in conca!» In d’u patir’e fillu fiat torrada cun tzia Maria Trassera, issa dd’iat tocau su pei e arrangiau sa scolliadura: «Fadiddi luegus su scèti imbriagu – iat nau a Gesusetasegas ua pariga de tirias de lenzou e si ddu trogas a istrintu. As a bì ca cras’a mangiãu sa scolliadura at’essi u narregodu.» Mancai de maba gana tzia Gesuseta iat depiu fai su scèti imbriagu e ddu fasciai in su pei de su pobiddu, cun is murrungius de issu: «Pecau de bíu ghetau a peis.» «E it’iast a bolli a ti ddu ghetai a buca?» Apustis iat depiu aprontai sa xena e cenai. Pois iat pigàu is duas marigheddas e fiat andada a nce ddas potai a su grifõi. Ddoi fut ua fillera de marigheddas cantu fiat longa sa ia. Non si biat nemus in giru e issa nc’iat stichiu is marigas suas in mes’e is primas, cad’e sa de cincui, acostendindi prus apari ua pariga. «Tantis - iat penzau- indromiscadas cument’ant’essi no s’ant arregodai in calli tretu ddas anti postas.» S’incrasi, de primu chitzi, issa fiat andada a su grifõi e si fut posta acant’e is matigheddas suas, ascutendu is cristiõis de is atras femias. Ecus ca arribat Onorada Mãulongas, a su nomini no dd’assimbillàt e su nominigiu fut ca, anca passàt cussa, no lassàt né bidri e né sicàu, totus dda timìant a bentu. Onorada ddoi acostat acanta e ddi narat: «Nara tui Papasantus, poita ses acant’e sa marighedda mia?» «Mai Deus ddu ollat a põi is marigheddas mias acant’e is tuas.» «Castia ca deu no mi seu crocada imbriaga e candu seu benida fia sa de cincui, imou m’agatu sa de sesi, est a nai ca tui, totu santa Maria mama de Deus, ses arribada tradu e po coitai a bandai a fragai sa unnedda de su predi, as spostau is mias po nci ponni is tuas.» «Tui ti sbaglias, candu mi ndi seu andada t’apu biu arribendu de cussa ia.» «Gei t’as’a isbagliài, bruta corruda, deu no seu passada ingúi e cun mimi nci fut gomai puru e marigas nci nd’iat cuaturu.» «Ita as nau? Corruda a mei? corruda ses tui, ca ddu scint totus.» E de ingúi, u fueddu tirat s’aturu e si fiant pigada a trogus de pius, cuncuna iat cicau de ddas scrobai, cuncuantra, in sa cunfusiõi, prenìat sa mariga e si nd’andada. Balla Gesuseta iat fatu bì ca no fut bona scéti a nai avimarias e, candu ddas iant scobadas, sa ia fut peus de candu passàt su carru de tziu Arrichetu: marigheddas sanas nd’iat barrau pagus. Onorada iat castiau cun ogus de fogu a Gesuseta e dd’iat nau: «Castia, no ddu credìa ca fust’aici, tui Gesusetamaria potas a Deus in buca e su tiau in cropus!» A si ‘ntendi mellus. tziu Arremundicu. Scracàlius di Gigi Tatti Ci funt momentus chi unu contixeddu allirgu fai beni gana bella e fai praxeri. Po cussu, custus “scracàlius” serbint po ci fai passai calincunu minutu chene pensai a is tempus lègius chi seus passendi in custus annus tristus e prenus de crisi. Aici, apu pensau de si fai scaresci calincunu pensamentu, ligendi e arriendi cun custus contixeddus sardus chi funt innoi. Sciu puru, ca cussus chi faint arrì de prus, funt cussus “grassus” e unu pagu scòncius, ma apu circau de poni scèti cussus prus pagu malandrinus, sciaquendiddus cun dd’unu pagheddu de aqua lìmpia. Bonu spassiu. Est bellu puru, poita calincunu, circhendu de ddus ligi imparat prus a lestru a ligi in sa lingua nostra. E custa, est sa cosa chi m’interessat de prus. Gigliosu est fueddendi ananti de campusantu cun s’amigu Corbeliu Corbeliu: Dd’as biu chi est intrau a campusantu? Gigliosu: Eja. No fiat Bertucciu cun totu is fillus? Corbeliu: Sì, fiat cussu. Ma ddu scis poita arregolli totus is fillus impari? Gigliosu: Poita ddu fait? Corbeliu: Ddu fait po arresparmiai is froris de poni in sa tumba de sa pobidda. Gigliosu: No cumprendu ita bolis intzirai. Corbeliu: Bollu intzirai ca portat totus is fillus impari, po ddus poni acanta de sa tumba, poita de nòmini si tzèrriant, Narcisu, Margherita, Rosa, Ortensia e Gigliu e aici no spendit comporendi froris. ................................................................................................................................................................ Sigismondu incontrat sa filla Nutilla chi est po ci bessì in giru Sigismondu: Nara, aundi depis andai? Nutilla: Seu andendi in discoteca a baddai. Sigismondu: Ma biu ca ci ses bessendi chene mudandinas. Si bit craru craru. Nutilla: Poita fostei babbu, candu andàt a unu concertu, ita si poniàt unu tapu ne is origas? ................................................................................................................................................... Repettu incontart s’amigu Amuigi in carrozzella Repettu: Ma ita t’est sucèdiu? Ti biu in carrotzella. Amuigi: Apu tentu un incidenti stradali. Repettu: Ma ita ses abarrau paralizau? Amuigi: Ma cali paralizau, seu fadendi fintas e aici m’ant pagau s’assicuratzioni. Repettu: Ma ita ses scemu? Imoi ti tocat a fai finta po sempri de essi paralitìcu. Amuigi: No ti dda cretas chi siat a ici. Cida ch’intrat depu andai a Lourdes. E ndi torru miraculau e in peis! ................................................................................................................................................................ Borlotta est in dd’unu ristoranti candu arribat su camerieri Su camerieri: Mi dica, cosa le porto? Borlotta: Ita cosa mi consillat. Portimì calincuna cosa chene glùtine. Su camerieri: Poita chene glùtine? Borlotta: Poita seu celìaca. Su camerieri: No dd’ia p’essi crètiu mai ca fostei fiat cèliaca. Borlotta: Po cali motivu no nci creit? Su camerieri: Poita de comenti fueddat mi parrit chi fostei siat sarda! ..................................................................................................................................................... Tzia Rosmella est in sa firmada de sa corriera in sa statzioni de Oristanis e domandat a s’autista Tzia Rosmella: Scusimidda signor autista, mi podit donai una informatzioni? S’autista: Certu sa tzia, domandit puru. Tzia Rosmella: Ia boli sciri si custa corriera andat a Abbasanta. S’autista: Nossi sa tzia, custa corriera po imoi andat a gasoliu! ................................................................................................................................................... Corolla est in giru candu incontrat a sa sorresta Fasolina Fasolina: Ciau sorresta, ita dimòniu tenis totu sciancada? Corolla: Est po culpa de pobiddu miu chi seu totu lumbada. Fasolina: Ita cosa? Ita ti fait? Corolla: Est candu fadeus s’amori. Sa bella est ca nanca su pobiddu est la “dolce metà” e inveci pobiddu miu pesat centu killus atru che metadi! …………………………………………………………………………………………………………………………………………………. Tzia Corolla est in s’ambulatòriu Tzia Corolla: Su dotori, ddi depu nai ca pobiddu miu sunfrit “di pene”. Su dotori: Ita tipu “di pene”dell’inferno”? Tzia Corolla: Nossi, su dotori, di quello di “dentro le mutande!” .................................................................................................................................................... Roncaliu est bufendi in su bar cun s’amigu Antellu Antellu: Nara, o Roncaliu, t’iat a praxi a fai s’amori in tres? Roncaliu: Ti depu cunfessai, ca est una cosa chi apu sempri disigiau. Antellu: Insaras curri in pressi, ca apu biu s’amanti de pobidda tua intrendi a domu tua! .................................................................................................................................................. Duranti sa missa su predi est fadendi sa predica Su predi: Comenti si narat: “Chi tra di voi non ha mai peccato scagli la prima pietra!” Oci, oci oci sa conca! .................................................................................................................................................... Marieddu cun su babbu Sebastianu Marieddu: Babbu, ti potzu fai una domanda? Sebastianu: Certu fillu miu, ita mi depis pedì? Marieddu: Ia boli sciri candu est sa festa de nonna, sa mamma de mamma? Sebastianu: Se festa de nonna tua, est candu si ndi andat a domu sua! Marieddu: O babbu, e candu est sa festa tua? Sebastianu: Candu mamma tua non est in domu! ....................................................................................................................................... Gerundiu est in tribunali interrogau de su giudici Su Giudici: Mi depit spiegai po cali motivu at tzacau una puntada de pei a sa brenti de sa sroga. Gerundiu: Est culpa sua. Su Giudici: Poita culpa de sa sroga? Spieghimidda sa cosa. Gerundiu: Poita sroga mia s’est girada totu a una borta! PDF Compressor Pro 15 giugno 2016 LA SARDEGNA NEL CUORE 21 di Sergio Portas In mostra i quaderni di Gramsci salvati dalla sorella Tatiana E finalmente ho potuto vederli i quaderni di Gramsci. Sono esposti qui, a Milano, sbucando dalla Galleria Vittorio Emanuele, che se ti volti si scorge ancora il Duomo, ancora più bianco del solito per tutta l’acqua che sta venendo giù questi giorni, la fila lunghissima e sospetto oramai perenne di turisti che cercano di entrarci, a destra palazzo Marino che espone lo striscione giallo per Giulio Regeni, a sinistra la Scala, davanti quella che fino a poco tempo fa era la Comit, la banca commerciale italiana. Il palazzone che l’architetto Beltrami tirò su a inizio novecento per dare uniformità a tutta la piazza con al centro la statua di Leonardo. Per edificarlo fu demolita la chiesa barocca di San Giovanni decollato, da sempre luogo di sepoltura dei nobili condannati a morte. Insieme a palazzo Brentani e l’Anguissola Antona Traversi è diventato un grande e sfarzoso spazio espositivo in cui sono esposti i tesori artistici, centinaia, che la fondazione Cariplo e la banca Intesa hanno collezionato nel corso del loro operare. Magari Bertolt Brecht esagerava un po’ nel far dire ai suoi personaggi che rapinare una banca era cosa da nulla a confronto di fondarla, e le migliaia di correntisti di banca Etruria e di Veneto banca che si sono visti scippare i risparmi sono persino più drastici di lui, comunque sia questo restituire alla collettività tutta una serie di ricchezze accumulate col risparmio popolare di anni e anni, è una sorta di compensazione meritoria. Tra i Caravaggio, i Rubens, i Perugino e i Lotto (“La bellezza ritrovata e altri 140 capolavori restaurati), in una sala riservata a destra dell’entrata due teche centrali raccolgono una quindicina dei trenta quaderni che Antonio, Nino Gramsci, scrisse nel carcere dove il tribunale Speciale (speciale perché composto da: un presidente scelto fra i generali della milizia fascista, cinque membri scelti fra i “consoli” fascisti, il pubblico ministero magistrato dell’esercito) lo aveva condannato a più di vent’anni. Di poca salute com’era il regime carcerario avrebbe agito lentamente da boia. A fare da quinta alle teche centrali due grandi tele di Guttuso, dove il colore rosso per bandiere e camicie di garibaldini occupa la maggior parte dei dipinti, uno racconta degli scontri per prendere Palermo, l’eroe dei due mondi a cavallo con sciabola sguainata, l’altro è il celeberrimo sui funerali di Togliatti, tra la folla almeno cinque facce di Lenin ma anche una di Gramsci in primo piano, tanti pugni chiusi a saluto. I quaderni sono quaderni di scuola che i bimbi italiani usavano nel ’25 per aste e addizioni. C’è naturalmente quello a copertina nera classica, i bordi delle pagine rossi, gli altri picchettati come piastrelle di cucina sono di colori vari, mai sgargianti, sobri verrebbe da dire. Riempiti tutti da una grafia regolare, estremamente curata, con scarsissime correzioni, leggibilissima seppure a caratteri piccoli. Trattano di intellettuali, di Machiavelli, di Umanesimo e Rinascimento. Di letteratura popolare. Il ruolo di Cavour e dei democratici mazziniani nel Risorgimento italiano. Ma ci sono anche le traduzioni delle favole dei fratelli Grimm (forse per i figli della sorella Teresina, quella con cui andava più d’accordo). Il quinto scrive dei cattolici, del ruolo dei gesuiti nella Chiesa , con particolare interesse per l’Azione cattolica nel Risorgimento e la posizione del Vaticano nei confronti dello Stato italiano. L’immancabile ormai ma assai comodo nella sua fruibilità formato digitale consente di sfogliarli uno per uno. Che siano tornati nella banca che fu di Raffaele Mattioli è solo uno di quegli scherzi che il destino si diverte a mettere in scena. Ne avrebbe sorriso sicuramente Piero Sraffa, suo grande amico, come grande amico e “compagno” fu di Nino, e che ebbe grande parte nella intrigata storia che salvò gli scritti gramsciani dalla censura fascista. Sraffa, ebreo era figlio di Angelo, rettore dell’Università Cattolica di Milano, dove Mattioli era bibliotecario, ambedue avevano “fatto la guerra” e maturato la convinzione che si dovesse almeno tentare di colmare il fossato che separava le classi proletarie che avevano combattuto nelle trincee da quelle dirigenti che lì le avevano gettate. Piero incontrò Gramsci a Torino, Nino fondava L’Ordine Nuovo, Sraffa si laureava in economia con Einaudi, il destino lo avrebbe fatto presidente di Repubblica. Solo ultimamente, da quando cioè agli storici sono stati aperti archivi segreti che l’unione sovietica aveva tenuti gelosamente custoditi, la figura di Pietro Sraffa nella complessa vicenda della carcerazione di Antonio Gramsci ha preso a ingigantire, fino ad essere paragonata a quella di Tatiana Schucht, laTanja destinataria di tante lettere che Nino scrisse dal carcere, sorella della moglie Giulia e quindi sua cognata. Nel suo “Vita e pensieri di Antonio Gramsci”, Einaudi 2012, Giuseppe Vacca filtra la corrispondenza che Tatiana Schucht intraprese e con Gramsci e con Sraffa, mettendone in risalto il ruolo di vero e proprio “agente segreto” che lui ebbe nell’informazione puntuale che fornì ai capi del comunismo italiano in esilio a Mosca, segnatamente a Palmiro Togliatti. Poteva muoversi con un certo agio in Europa Sraffa, era finito a Cambridge dove erano allora le massime scuole di economia, si incontrò e ebbe esperienze di lavoro con John Maynard Keynes, di filosofia: fu per decenni amico intimo di Wittgenstein. Con lui ruppe i rapporti alquanto bruscamente ma ebbero insieme frequentazioni plurisettimanali, da qui le polemiche giornalistiche di questi giorni che si riferiscono a tratti specifici della filosofia di Wittgenstein , che seppur in maniera semplicistica dirò filosofo del linguaggio. Gramsci quando grazie a una borsa di studio riuscì ad iscriversi all’università di Torino, da quel grande cervello che era, si fece notare anche da Matteo Bartoli, docente di linguistica, che lo voleva come assistente (Cfr. Giancarlo Schirru: “Antonio Gramsci studente di linguistica”) e per anni ne seguì i corsi. E ne scrisse nei suoi famosi quaderni, segnatamente il numero 29, uno di quelli che vergò quando nel ’36 era oramai a fine vita, e Mussolini si risolse a consentirgli il ricovero nella clinica “Quisisana”. Come spesso gli accade qui Gramsci getta dei semi di pensiero prima inesplorato, dice in sostanza che il linguaggio come oggetto teorico autonomo, regolato dalla grammatica, non è soggetto autonomo, non si può scindere dalla coppia lingua-parlanti (insomma da due che comunica- no nella loro lingua). I quali non sono meri esecutori di regole, ma parti costitutive delle medesime, in quanto le trasformano in norme, e così facendo diventano il motore della grammatica. È possibile che Sraffa abbia potuto avere accesso alle 10 pagine del quaderno, lui era “solo” un grande economista, ed è altrettanto possibile che ne abbia parlato col suo amico filosofo. Fatto sta che termini come “gioco linguistico” e “forme di vita” sono alla base delle “Ricerche filosofiche” che Wittgenstein va elaborando in quegli anni, e queste definizioni risultano in perfetta sintonia con l’idea di Gramsci della non autonomia e della non strumentalità dell’universo delle parole. Franco Lo Piparo ci ha scritto un libro: “Il professor Gramsci e Wittgenstein”, il linguaggio e il potere, Saggine ed. 2014, e del resto nella prima edizione del ’38 delle Ricerche il filosofo scrive della “gratitudine che devo alla critica che P. Sraffa ha incessantemente esercitato sul mio pensiero”. Poi i due hanno litigato, e alla fine della sua vita Wittgenstein va ad insegnare in una scuola elementare in Scozia. Sraffa è rimasto vicino a Gramsci sempre, gli ha fornito ogni libro lui avesse richiesto, ha pagato i conti delle cliniche in cui è stato ricoverato. Tramite Tatiana e la fitta corrispondenza con lei che gli mandava le lettere del carcerato ha fatto da tramite tra Antonio e il partito comunista esule in Russia. Ha agito da perfetto “compagno”. Morirà nel 1983, dopo una vita tutta dedicata alla ricerca accademica, nel 1961 ebbe la medaglia Soderstrom della Reale Accademia di Svezia, un premio che di fatto anticipava il Nobel per l’economia, istituito solo nel 1969. Lauree “honoris causa” alla Sorbona e all’università di Madrid. Quando Gramsci muore è a lui che si rivolge Tatiana per poter salvare gli scritti dei Quaderni. E veniamo alle polemiche che vi dicevo, mi sono imbattuto anche io nell’articolo che Franco Lo Pipero ha scritto il 30 maggio sul “Corriere della sera”, in cui adombra l’idea che Mussolini lo abbia in realtà “trattato bene”: cella singola, possibilità di leggere e scrivere, che gli sia stato concesso di finire la sua vita, prima a Formia, poi “nella costosa clinica romana Quisisana”. “Frequentata dalla buona borghesia romana” (sic). Lo Pipero si appassiona a questi particolari al punto da considerarli “capitolo fondamentale della storia d’Italia”. Faccio mie, integralmente, le parole di Silvano Tagliagambe che non gliele manda a dire: «...continuo a pensare che la storia d’Italia debba fare i conti soprattutto con la crescente sottrazione degli spazi della politica, della democrazia e della cultura, dimostrata anche dal fatto che ci appassioniamo di quisquilie...anziché dai tanti e ben più gravi problemi che rischiano di minare alla base i principi della nostra convivenza sociale».
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