studio della variabilità genetica adattativa in specie forestali

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studio della variabilità genetica adattativa in specie forestali
Contributo di ricerca / Research Paper
ANDREA PIOTTI (*) (°) - MARCO BORGHETTI (**) - ALDO SCHETTINO (***)
GIOVANNI GIUSEPPE VENDRAMIN (*)
STUDIO DELLA VARIABILITÀ GENETICA ADATTATIVA
IN SPECIE FORESTALI: UN APPROCCIO GENOMICO
PER LA DEFINIZIONE DI STRATEGIE DI CONSERVAZIONE
PER IL PINO LORICATO NEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO
(*) Istituto di Bioscienze e BioRisorse, Consiglio Nazionale delle Ricerche, IBBR-CNR, via Madonna del Piano 10, 50019
Sesto Fiorentino (FI).
(**) Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e dell’Ambiente, Università della Basilicata, viale dell’Ateneo Lucano
10, 85100 Potenza.
(***) Ente Parco Nazionale del Pollino, Complesso Monumentale Santa Maria della Consolazione, Rotonda (PZ).
(°) Autore corrispondente; [email protected].
Gli effetti del cambiamento climatico sono chiaramente riscontrabili nella regione mediterranea, uno tra gli
hotspot di biodiversità vegetale più rilevanti a livello mondiale. Le foreste mediterranee sono ecosistemi
fragili, già compromessi da pascolo, incendi e sfruttamento del legname. Il cambiamento climatico sta
interagendo con questi fattori di disturbo determinando una crescente frammentazione e perdita di servizi
ecosistemici in quest’area.
Come possono le specie forestali fronteggiare i rischi collegati al cambiamento climatico? Tre sono le
principali strategie: migrare, adattarsi alle mutate condizioni locali oppure far leva sul plasticità fenotipica.
Si stima però che per fronteggiare l’attuale cambiamento climatico sia richiesta una velocità di migrazione
di un ordine di grandezza superiore a quella necessaria durante i passati cicli glaciali. Inoltre, nonostante
l’elevata diversità genetica tipica delle specie forestali e la loro capacità di adattamento potenzialmente
rapida, non ci sono solide evidenze che gli alberi possano adattarsi geneticamente ai cambiamenti climatici
in atto in poche generazioni.
Nell’immediato futuro dovranno venire predisposti strumenti conoscitivi che consentano di
comprendere i processi evolutivi coinvolti nelle risposte delle specie forestali al cambiamento climatico,
strumenti basati su un approccio multi-disciplinare che permetteranno di disegnare efficaci strategie di
gestione delle risorse forestali. Ciò che ci si attende dallo sforzo congiunto degli scienziati che si occupano
a vario titolo di risorse forestali è quello di fornire dati e risultati che permettano di capire quali processi
sono in atto e quale sia la loro relativa importanza.
In questo lavoro viene presentato un progetto di ricerca volto ad indagare le risposte adattative del
pino loricato (Pinus leucodermis). Il progetto è basato sullo studio congiunto di caratteri genetici e
ecofisiologici individuali misurati nei nuclei frammentati presenti nel territorio del Parco Nazionale
del Pollino. I risultati di questa indagine sulla distribuzione della variabilità genetica e fenotipica lungo
gradienti ecologici fornirà importanti strumenti gestionali agli enti preposti alla conservazione di questa
preziosa risorsa genetica forestale.
Parole chiave: cambiamento climatico globale; flusso genico; frammentazione; genetica di popolazioni;
migrazione; Parco Nazionale del Pollino; Pinus leucodermis; risposte adattative; specie forestali.
Key words: global climatic change; gene flow; fragmentation; population genetics; migration; Pollino
National Park; Pinus leucodermis; adaptive responses, forest trees.
Citazione - Piotti A., Borghetti M., Schettino A., Vendramin G.G., 2014 – Studio della variabilità
genetica adattativa in specie forestali: un approccio genomico per la definizione di strategie di
conservazione per il pino loricato nel Parco Nazionale del Pollino. L’Italia Forestale e Montana, 69
(2): 115-124. http://dx.doi.org/10.4129/ifm.2014.2.06
– L’Italia Forestale e Montana / Italian Journal of Forest and Mountain Environments
© 2014 Accademia Italiana di Scienze Forestali
69 (2): 115-124, 2014
doi: 10.4129/ifm.2014.2.06
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a. piotti et al.
Effetti del cambiamento climatico
nell’area mediterranea
Gli effetti del cambiamento climatico sono
ormai chiaramente riscontrabili nella regione
mediterranea, e stanno sommandosi agli effetti causati dalla pressione antropica che,
localmente, continua a manifestarsi in modo
intenso. Il cambiamento climatico ha subito
una decisa accelerazione dagli anni ’70, con
un innalzamento medio delle temperature che
raggiunge i 2 °C nella penisola Iberica e sulle
coste francesi, e con una riduzione delle precipitazioni anche del 20% sulla costa mediterranea del Medio Oriente. Le proiezioni dei trend
in atto nella regione mediterranea mostrano
come, durante il XXI secolo, si assisterà a un
ulteriore innalzamento delle temperature, a una
diminuzione delle precipitazioni, a periodi di
siccità più prolungati, oltre ad un aumento sia
in frequenza che in intensità di ‘eventi meteoclimatici estremi’, come le ondate di calore e
altre manifestazioni atmosferiche violente. A
tali eventi è strettamente collegata l’incidenza
di incendi e inondazioni. Ma oltre a eventi
puntiformi e impredicibili, estati più calde e
asciutte significano minori risorse idriche e un
incremento nel processo di desertificazione,
minor attrattività turistica, maggior incidenza
di patologie legate alle alte temperature. Tra
le conseguenze del cambiamento climatico, lo
stress idrico a scala ecosistemica sarà probabilmente tra le più rilevanti sia per l’uomo che per
tutte le altre risorse naturali. Le foreste mediterranee sono ecosistemi fragili, già compromessi
da pascolo, incendi e sfruttamento del legname.
Il cambiamento climatico sta interagendo con
questi fattori di disturbo determinando una
crescente frammentazione degli habitat, e una
conseguente marcata perdita di servizi ecosistemici (Schröter et al., 2005; FAO, 2013).
Rilevanza delle risorse genetiche
forestali nell’area mediterranea
La regione mediterranea è uno degli hotspot
di biodiversità vegetale più rilevanti a livello
mondiale. Inoltre, l’Europa meridionale (in
particolare, le tre penisole maggiori: Iberica,
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Italiana e Balcanica) ha sicuramente svolto un
ruolo fondamentale, durante i cicli di glaciazione avvenuti durante il Pleistocene, come area
rifugio per la flora europea. Il risultato di queste
dinamiche di contrazione-espansione degli areali collegate al cambiamento climatico globale
è che attualmente nell’Europa meridionale si
trova la maggior parte della variabilità genetica
di molte specie vegetali a diffusione europea, e
a ciò non fanno eccezione le specie forestali (e.g.
Magri et al., 2006; Liepelt et al., 2009).
Proprio i cicli glaciali del Pleistocene sono ritenuti i maggiori responsabili dell’attuale distribuzione delle risorse genetiche forestali. Ovviamente, essendo esistite numerose aree rifugio,
anche le migrazioni successive al ritiro dei ghiacciai e l’adattamento alle nuove condizioni locali
hanno contribuito a modellare le caratteristiche
genetiche attuali delle specie forestali (Petit et
al., 2003). Un altro fattore che ha sicuramente
inciso sulle risorse genetiche forestali durante
la loro storia evolutiva nell’area mediterranea
è la deriva genetica, una forza evolutiva che
può determinare rapidi cambiamenti genetici
tanto più le popolazioni sono isolate e di piccole dimensioni. La geografia stessa dell’area
circum-mediterranea e il cambiamento climatico hanno sicuramente favorito l’azione della
deriva genetica. La rilevanza di tale processo è
probabilmente ancora maggiore in quest’ultimo
periodo storico (spesso definito come ‘Antropocene’, per la rilevanza degli effetti antropici
sulle risorse naturali). Infatti, la frammentazione
dell’habitat, fenomeno diffusissimo nella regione mediterranea sia per questioni climatiche
che per aspetti legati all’azione dell’uomo, tende
ad esacerbare gli effetti della deriva genetica.
Proprio le attività umane legate alla millenaria
presenza della nostra specie nell’area mediterranea (conversione degli ambienti forestali in
ambienti agricoli, sfruttamento delle risorse
forestali, urbanizzazione, incendi) hanno determinato un crescente isolamento genetico delle
popolazioni, con conseguente limitazione del
flusso genico (scambio di semi e polline), oltre a
una marcata riduzione delle loro dimensioni. In
conseguenza di ciò, molte popolazioni di specie
forestali sono caratterizzate da una elevata marginalità, sia in termini ecologici che puramente
studio della variabilità genetica adattiva in specie forestali
geografici (e.g. Jump e Penuelas, 2006; Scalfi
et al., 2009; Piovani et al., 2010; Leonardi et
al., 2012; de Lafontaine et al., 2013).
L’erosione genetica può essere fortemente
accelerata dalla frammentazione dell’habitat
e dalla posizione marginale nell’areale della
specie, due condizioni spesso accoppiate. Solitamente infatti, più una popolazione si trova
in posizione periferica rispetto al centro dell’areale, più è probabile che sia frammentata.
Il ruolo delle popolazioni periferiche per la
conservazione della biodiversità è considerato
molto rilevante poiché solitamente queste popolazioni hanno caratteristiche genetiche peculiari
e poiché è probabile che abbiano subito differenti pressioni selettive rispetto a quelle al centro dell’areale. Inoltre, recenti studi filogeografici su specie forestali europee hanno mostrato
come popolazioni periferiche che si trovano al
confine meridionale dell’areale spesso rappresentino una riserva di biodiversità (Petit et al.,
2003; Magri et al., 2006; Liepelt et al., 2009).
Come sopra argomentato, questo dipende dal
fatto che alcune di queste popolazioni, nelle
quali gli aspetti demografici legati all’attuale posizione periferica non hanno determinando un
processo irreversibile di impoverimento genetico, conservano la variabilità genetica ‘accumulatasi’ nelle aree rifugio durante le glaciazioni.
Nonostante questa possibile resilienza spesso legata alle peculiari caratteristiche del ciclo vitale
delle specie forestali, è stato osservato per talune
conifere europee come i cambiamenti climatici
stiano determinando un netto calo di sopravvivenza e crescita al limite inferiore dell’areale,
processo che probabilmente accelererà la perdita prevista di variabilità genetica (Rubiales et
al., 2008; Reich e Oleksyn, 2008).
Risposte delle specie forestali
al cambiamento climatico globale
Come possono le specie forestali fronteggiare
e rispondere ai rischi collegati al cambiamento
climatico globale? Le principali strategie sono
tre: migrare, adattarsi alle mutate condizioni
locali oppure far leva sulla plasticità fenotipica
(Aitken et al., 2008). Al contrario di quanto si
pensava in seguito ai primi studi sulle capacità
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di migrare delle specie forestali, da recenti lavori è emerso che, soprattutto mediante il polline, le popolazioni di specie forestali sono in
grado di condividere la loro variabilità genetica
a scale geografiche notevoli (102-103 km, Williams, 2010; Robledo-Arnuncio, 2011). Ma
il cambiamento climatico impone migrazioni
e spostamenti di areale che rendono necessari
lunghi spostamenti anche tramite la dispersione
via seme, e questa potenzialità è spazialmente
molto più limitata. Sulla base di dati paleobotanici è stato stimato che le specie forestali siano
state in grado di migrare durante i passati cicli
glaciali ad una velocità nell’ordine di grandezza
delle centinaia di metri all’anno, che di per se
è una velocità notevole, ma almeno un ordine
di grandezza inferiore a quella necessaria per
fronteggiare l’attuale cambiamento nelle condizioni ambientali (Petit et al., 2008). Tuttavia, il
potenziale adattativo delle specie forestali può
essere molto elevato. Oltre a migrare (senza
adattarsi), gli alberi possono adattarsi rapidamente attraverso risposte legate alla loro plasticità fenotipica, oppure attraverso risposte evolutive a livello genetico alla pressione selettiva
indotta da eventi legati al clima (Savolainen et
al., 2007). Prove realizzate in campo (in esperimenti in cui progenie da provenienze diverse
vengono cresciute alle stesse condizioni) hanno
dimostrato che la maggior parte delle popolazioni di specie forestali posseggono un’elevata
diversità genetica associata alla risposta a fattori
di stress, e che tale diversità è organizzata lungo
gradienti ambientali (Alberto et al., 2013). È
interessante notare il fatto che gli estremi, piuttosto che le medie, dei parametri climatici sembrano determinare la distribuzione della diversità adattativa. La capacità di adattamento delle
popolazioni di alberi è testimoniata dall’attuale
distribuzione della variabilità genetica adattativa, per lo più rigeneratasi rapidamente durante i processi di ricolonizzazione nel periodo
post-glaciale. L’adattamento locale può essere
inoltre favorito dall’elevata diversità genetica
generalmente presente entro le singole popolazioni, dalle grandi dimensioni stesse delle
popolazioni, oltre che dall’intenso flusso genico via polline. D’altra parte il flusso genico
può generare effetti contrastanti. La teoria
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sulle dinamiche evolutive ai margini dell’areale predice che il flusso genico dalle popolazioni centrali a quelle marginali possa, da un
lato, determinare l’introgressione in queste
ultime di geni con effetti “maladattativi”, diminuendone l’adattabilità e le possibilità di
espansione, mentre dall’altro, potrebbe aumentare le dimensioni effettive e la loro variabilità genetica, accrescendone il potenziale
adattativo (Savolainen et al., 2007; Kremer
et al., 2012).
Ad oggi, comunque, non ci sono solide evidenze che gli alberi possano adattarsi geneticamente ai cambiamenti climatici nel giro di
poche generazioni. Quando le condizioni ambientali sono tali da generare un riduzione demografica (come spesso accade ai margini meridionali dell’areale di distribuzione), allora la
capacità di adattamento di queste popolazioni
è significativamente diversa da quella manifestata in una fase di espansione demografica
(situazione attualmente comune al margine settentrionale dell’areale di distribuzione). L’adattamento, quindi, è una delicata competizione
tra declino demografico e cambiamenti evolutivi: se l’introduzione di nuova variabilità genetica è lenta, allora le popolazioni potrebbero
estinguersi prima di adattarsi alle nuove condizioni ambientali. Solo quando i cambiamenti
climatici non sono troppo rapidi ed intensi, le
popolazioni sono di dimensioni ampie, e il potenziale evolutivo è elevato, le popolazioni possono essere mantenute grazie ai meccanismi di
adattamento genetico.
Tra le specie europee studiate per quanto
riguarda le possibili risposte al cambiamento
climatico globale, sicuramente i pini mediterranei (principalmente il pino d’Aleppo, Pinus
halepensis, il pino marittimo, Pinus pinaster, e
il pino domestico, Pinus pinea), rappresentano
uno tra i gruppi in cui sono state eseguite le
analisi più approfondite e gli esperimenti più
articolati (Vendramin et al., 2008; Grivet et
al., 2013; Budde et al., 2014). Ciò ha permesso
di ricostruirne accuratamente le dinamiche a
livello biogeografico (soprattutto in relazione
agli ultimi cicli di ricolonizzazione post-glaciale) avanzando ipotesi ben fondate sulla localizzazione delle aree rifugio, sui percorsi se-
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guiti durante i periodi di espansione dell’areale,
sulle possibili zone di incontro di diverse rotte
di ricolonizzazione. Ad esempio, è ormai dimostrato che il pino marittimo è sopravvissuto alle
ultime glaciazioni in diversi rifugi occidentali,
sulle coste sud-orientali spagnole, sulle coste
atlantiche del Portogallo e nella zona del Maghreb; al contrario, ci sono numerose evidenze
che il pino d’Aleppo abbia colonizzato le coste
occidentali del Mediterraneo in seguito a eventi
di colonizzazione a lunga distanza da antiche
popolazioni situate in Grecia (Grivet et al.,
2011). Tali informazioni rappresentano la base
fondamentale per organizzare studi sull’attuale
livello di adattamento locale delle popolazioni,
in quanto essenziali per comprendere il ruolo
relativo della demografia e della selezione nel
determinare la distribuzione della diversità genetica.
Studi approfonditi sulla storia evolutiva dei
pini mediterranei a livello dell’intero areale di
distribuzione hanno permesso di ottenere risultati incoraggianti riguardo alle porzioni del
genoma coinvolte nelle risposte delle specie
forestali a condizioni ambientali che rappresentano e, soprattutto, rappresenteranno negli
anni a venire, forti pressioni selettive (come periodi di siccità prolungata, incendi frequenti e
di grande intensità, gelate tardive oltre l’inizio
della stagione vegetativa) (Grivet et al., 2013).
Tali conoscenze avranno un ruolo cruciale per
lo sviluppo di corrette strategie di conservazione delle risorse genetiche forestali, ma dovranno essere necessariamente integrate con
risultati di esperimenti su scala locale (opportunamente replicati) per sviluppare e organizzare azioni di conservazione a una risoluzione
spaziale adeguata.
Il contributo della genomica forestale
alla comprensione delle dinamiche
evolutive delle risorse forestali in
risposta al cambiamento climatico globale
Lo scopo di studi che combinano dati a livello di intero areale e esperimenti su scala
locale dovrà necessariamente essere quello
di comprendere, mediante approcci innova-
studio della variabilità genetica adattiva in specie forestali
tivi e multi-disciplinari, l’importanza relativa
di ciascuno dei meccanismi di risposta delle
specie forestali al cambiamento climatico
globale, con un particolare focus sull’adattamento locale, che dovrà essere analizzato i) su
scala macro-geografica, tramite studi di associazione tra dati ambientali e genomici (marcatori SNP) in un elevato numero di popolazioni che coprano in modo esaustivo l’areale
della specie, e ii) su scala micro-geografica, a
livello di popolazione, concentrandosi sull’associazione tra dati fenotipici e genomici lungo
transetti caratterizzati da condizioni molto
contrastanti per quanto riguarda, ad esempio, la disponibilità idrica (quelli che vengono comunemente chiamati local gradient
experiment). Una volta determinata l’intensità
dell’adattamento locale, la caratterizzazione
genetica delle popolazioni sull’intero areale
e i risultati di esperimenti di flusso genico
condotti negli esperimenti a scala locale produrranno un quadro esaustivo della distribuzione della variabilità genetica adattativa
e delle dinamiche, in termini di migrazione,
che la interessano. Il flusso genico adattativo,
cioè l’immigrazione di varianti genetiche in
qualche modo ‘pre-adattate’ alle nuove condizioni locali in un contesto di cambiamento
climatico, viene solitamente considerato come
il fattore determinante nel promuovere adattamento locale qualora cambino rapidamente le
condizioni ambientali (Davis e Shaw, 2001).
La sua stima mediante marcatori genomici
appropriati è cruciale per capire se, e a che
ritmo, le caratteristiche genetiche delle popolazioni riescano a modificarsi in seguito allo
shift delle condizioni ecologiche per contrastare l’erosione del loro potenziale adattativo.
Nell’immediato futuro dobbiamo predisporre gli strumenti conoscitivi che ci consentano di comprendere i processi evolutivi
coinvolti nelle risposte delle specie forestali
al cambiamento climatico globale, oltre a fornire una solida base multi-disciplinare su cui
disegnare strategie di gestione efficaci delle
risorse forestali mediterranee (Borghetti et
al., 2012; Lefevre et al., 2012; Grivet et al.,
2013). Un obbiettivo fondamentale di tale ricerca è capire e predire le risposte a uno dei
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cambiamenti climatici globali più drammatici.
Ciò che ci si attende dallo sforzo congiunto
degli scienziati che si occupano a vario titolo
di risorse forestali, siano essi ecofisiologi, ecologi, genetisti, è quello di fornire dati e risultati che permettano di capire quali tra questi
processi sono in atto e con quale intensità. Se
si sarà in grado di agire più tempestivamente
dei cambiamenti climatici ed ambientali in
corso, questo sforzo congiunto permetterà di
comprendere quale sia il miglior approccio e
la reale urgenza di strategie di conservazione
per la biodiversità delle foreste mediterranee.
Il caso del pino loricato
nel Parco Nazionale del Pollino
Tra le specie forestali più emblematiche, il
pino loricato (Pinus leucodermis o P. heldreichii var. leucodermis) riveste una grande importanza sia da un punto di vista evoluzionistico che conservazionistico. Di particolare
interesse sono i popolamenti disgiunti presenti
nella parte occidentale della sua distribuzione,
per la maggior parte compresi nel territorio
del Parco Nazionale del Pollino. Questi nuclei
sono caratterizzati da una distribuzione frammentata, una marcata distribuzione altitudinale e un significativo isolamento dall’areale
principale localizzato nei Balcani (Boscherini
et al., 1994; Todaro et al., 2007; Guerrieri
et al., 2008). I popolamenti presenti possono
essere ricondotti a quattro distinti gruppi
naturali di vegetazione localizzati nel piano
montano e sub-montano: 1) il gruppo settentrionale lucano (M. Alpi, M. La Spina, M. Zàccana), 2) il gruppo centro-orientale calabrolucano (Serra di Crispo, Serra delle Ciavole,
Serra Dolcedorme, M. Pollino), 3) il gruppo
centrale calabro (M. Palanuda, M. Caramolo,
Cozzo del Pellegrino), e 4) il gruppo costiero
meridionale (Massiccio della Montea).
Il pino loricato è una specie montana che vegeta sia in stazioni rupestri assai scoscese che
nei pianori dei valloni d’alta quota più protetti
dal vento, con predilezione per le esposizioni
calde dei quadranti ovest e sud-ovest, su suoli,
litosuoli e rocce calcaree e/o dolomitiche di ere
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a. piotti et al.
geologiche diverse, in una fascia altitudinale
assai ampia compresa tra i 530 m s.l.m. in località Golfo della Serra nella Valle del Fiume
Argentino, e i 2240 m s.l.m. sull’Anticima Nord
di Serra Dolcedorme. La specie caratterizza il
paesaggio delle alte vette e dei costoni rocciosi
con esemplari pluricentenari e monumentali, di
forma e portamento che suggeriscono l’estrema
adattabilità all’aridità del suolo ed alle difficili
condizioni climatiche. I popolamenti d’alta
quota sono spesso costituiti da individui di età
superiore ai 300 anni, sono privi di classi di età
intermedie, a densità rada, con alta percentuale
di piante morte (Fig. 1). La scarsa rinnovazione
tende ad insediarsi a piccoli gruppi al margine dei popolamenti adulti, al riparo vicino a
gruppi di rocce, con incrementi longitudinali
ridotti a causa delle difficili condizioni ambientali (Fig. 2).
Il pino loricato, considerato una specie relitta
delle foreste oro-mediterranee del terziario, è
stato relativamente poco studiato, tanto da
rappresentare tutt’oggi un’entità tassonomica
incerta. Pochi sono i lavori a scala biogeogra-
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fica e scarse le informazioni sulle dinamiche
entro popolazione (Borghetti et al., 1989;
Boscherini et al., 1994; Bucci et al., 1997;
Todaro et al., 2007), informazioni basilari per
progettare corrette strategie di conservazione
al fine di contrastare la riduzione dell’areale
determinata dall’impatto antropico e per valutare l’impatto delle migrazioni indotta da
cambiamenti climatici particolarmente intensi
nell’area mediterranea (Borghetti et al.,
2012). In studi basati su un numero limitato
di popolazioni situate nel Parco Nazionale del
Pollino, è emerso come tali nuclei mostrino segnali marcati dell’azione della deriva genetica,
probabilmente legati al loro elevato isolamento
e ad uno scarso flusso genico tra di esse. A
tal proposito, è importante segnalare la completa assenza di dati sulle capacità di dispersione della specie, in quanto il flusso genico
tra ed entro popolazioni può rappresentare la
principale strategia delle specie forestali per
contrastare l’erosione della variabilità genetica
adattativa, fondamentale per evolvere risposte
ai cambiamenti ambientali. Dalla capacità di
Figura 1 – Popolamento cacuminale di pino loricato sulla Serra delle Ciavole (2130 m s.l.m.).
– Pinus leucordermis stand on the top of Mt. Serra delle Ciavole (2130 m a.s.l.).
studio della variabilità genetica adattiva in specie forestali
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Figura 2 – Rinnovazione di pino loricato insediata in praterie d’alta quota sul versante ovest-nord-ovest
della Serra Dolcedorme, ad una quota di 2150 m s.l.m.
– Pinus leucordermis regeneration at high altitude pastures on the west-northwest slope of Mt. Serra
Dolcedorme (2150 m a.s.l.).
movimento via seme e via polline dipende,
ovviamente, anche la potenzialità della specie
di colonizzare nuovi habitat, caratteristica che
diviene cruciale in un contesto di cambiamenti
climatici. Interessante notare come studi più
generali sul sistema riproduttivo della specie
hanno mostrato come essa sembri tollerare
tassi di auto-impollinazione elevati nei primi
stadi di sviluppo, una possibile strategia di
significato adattativo per una specie pioniera
(Morgante et al., 1991, 1993).
Il progetto di recente approvazione “Studio della variabilità genetica adattativa lungo
transetti altitudinali di pino loricato nel Parco
Nazionale del Pollino: un approccio genomico
per disegnare adeguate strategie di conservazione”, che sancisce la collaborazione tra
il Parco Nazionale del Pollino, l’Istituto di
Bioscienze e Biorisorse del CNR e la Scuola
di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari
(SAFE) dell’Università della Basilicata è proprio finalizzato a indagare le caratteristiche
genetiche dei popolamenti presenti nel Parco
Nazionale del Pollino, per raccogliere dati e
risultati fondamentali per l’ideazione di stra-
tegie di conservazione adeguate al mantenimento del potenziale adattativo della specie.
Il progetto si articolerà in tre fasi operative
in cui saranno indagate: A) la distribuzione
della variabilità genetica nei nuclei presenti
nel parco, B) le caratteristiche genetiche ed
eco-fisiologiche legate all’adattamento locale
lungo transetti altitudinali, e C) le capacità di
dispersione della specie lungo tali gradienti
ecologici, con un focus particolare sulla capacità di migrazione di varianti genetiche con
particolare valore adattativo.
Verranno a tal fine censiti e caratterizzati
geneticamente tutti i nuclei presenti nel Parco
Nazionale del Pollino, istituiti due transetti altitudinali (fondamentali per avere almeno una
replica dei risultati) costituiti ciascuno da tre
aree di studio (alta quota, quota intermedia,
bassa quota), massimizzando così la probabilità di individuare segnali genetici di adattamenti locali che, a livello fenotipico, sono
stati già ipotizzati, per tratti importanti come
la dormienza dei semi, per questa specie (Borghetti et al., 1989). In ciascun’area di studio
verranno scelte almeno 50 piante adulte e 50
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a. piotti et al.
piante giovani che verranno caratterizzate con
marcatori molecolari e per diversi tratti fenotipici. Tutti gli individui campionato verranno
marcati e georeferenziate allo scopo di sviluppare attorno a questi nuclei delle aree di studio
permanenti. Per quanto riguarda la genetica,
le piante verranno genotipizzate con marcatori
microsatellite neutrali e marcatori SNP (Single
Nucleotide Polymorphism) mediante il risequenziamento di geni candidati, da scegliere in
base al loro coinvolgimento in processi legati
all’adattamento (in particolare, alla resistenza
alla siccità e al freddo). Alla caratterizzazione
genetica verranno accoppianti dati ecofisiologici (principalmente dati dendroecologici e misure fenologiche).
Una volta individuate caratteristiche genetiche potenzialmente soggette a pressione selettiva, verrà eseguita un’analisi del flusso genico
per valutare l’efficacia (oltre all’eventuale direzionalità) della dispersione tra ed entro i popolamenti analizzati. Per questi esperimenti verrà
esteso il campionamento a tutti gli adulti e a
un campione della rinnovazione presenti nei
popolamenti ai limiti altitudinali del transetto,
al fine di stabilire le relazioni di parentela tra
le due coorti campionate, quale sia il tasso di
immigrazione verso la popolazione esaminata,
e gli eventuali scambi genetici lungo il transetto
analizzato.
Gli obbiettivi del progetto sono molteplici,
data l’ingente quantità di risultati ricavabili
dalla combinazione di dati genetici e fenotipici.
Tra quelli di valore generale i principali saranno
la comprensione della componente genetica
dell’adattamento locale lungo transetti estesi
(tra 530 e 2240 m s.l.m.), la relazione tra i geni
studiati e la risposta fisiologica che generano,
la quantificazione della variabilità genetica potenzialmente adattativa in una specie con distribuzione locale estremamente limitata. Oltre a
queste informazioni, verranno certamente fornite indicazioni di carattere conservazionistico
di grande interesse per il Parco Nazionale del
Pollino e degli altri enti interessati alla conservazione e corretta gestione della specie. Tra
gli altri, si potrà rispondere a quesiti quali: il
flusso genico è efficace nel mantenere la variabilità genetica tra i popolamenti frammentati
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di pino loricato? La connettività genetica tra
i nuclei è sufficiente a garantire lo scambio di
varianti con potenziale valore adattativo? I popolamenti esaminati hanno subito colli di bottiglia a causa dell’impatto antropico nell’area
studiata? Quali sono le dimensioni effettive dei
popolamenti studiati? Sono necessari interventi
di migrazione assistita per mantenere il potenziale adattativo della specie?
SUMMARY
Investigating adaptive genetic variation in forest trees:
a genomic approach to define conservation strategies
for Pinus leucodermis in the Pollino National Park
The effects of climate change are easily recognizable
in the Mediterranean region, one of the most important
hotspots of plant biodiversity worldwide. Mediterranean
forests are fragile ecosystems threatened by grazing,
fires and intensive forest cuttings. Interacting with
such disturbances, climate change is fuelling an everincreasing fragmentation process and the loss of
ecosystem services.
What can trees do to cope with climate change?
The main strategies are to migrate, to adapt to new
environmental conditions or to rely on phenotypic
plasticity. However, it has been estimated that spread
rates that allowed a successful escape from past
glaciations are far below what would be necessary for
species migration to track future climatic warming.
In addition, notwithstanding large genetic variation
and potentially fast adaptation, there is only anecdotal
evidence that forest trees can genetically adapt to
contemporary environmental change over a limited
number of generations.
In the near future, a deep knowledge of evolutionary
processes involved in forest tree responses to climate
change is required. This must rely on a sound multidisciplinary approach upon which effective strategies for
the conservation of forest genetic resources should be
based. Only through a joined multi-disciplinary effort,
high quality data can be generated to understand the
biological processes coming along with ongoing climate
change and what is their relative relevance.
In the present work, we outline a research project
on adaptive responses of Pinus leucordermis. The
project is based on the joined evaluation of genetic and
ecophysiological characteristics at the individual level
from the fragmented populations present in the Pollino
National Park. Results on the distribution of genotypic
and phenotypic variation along ecological gradients
will provide local managers with effective tools for
maintaining invaluable forest genetic resources.
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