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Nell’anno 1612 uno tra i più temuti samurai “MAYMOTO MUSASHI” affrontò un altro grande samurai “SASAKI KOJIRO”. I due erano i più grandi dell’epoca e il duello era atteso da tempo. MUSASHI, per affrontare il duello, usò la calma e la forza del suo spirito; KOJIRO invece, ripose fiducia solo nella sua grande forza fisica e nella sua tecnica perfetta, alla fine l’incontro fu vinto da MUSASHI grazie alla sua forza spirituale. Perché iniziare una tesi riportando semplicemente un episodio relativo ad un duello? Vi sono molteplici esempi in cui la forza di volontà e la spiritualità si oppongono con risultati positivi alla mera forza bruta. Tutto nasce intorno al 3730 a.C., in una terra tra il fiume Indo e il fiume Gange, l’attuale India, all’epoca della dinastia SUDA e della BATTAGLIA DEI RE. Che la scienza marziale discenda da esseri divini è ampiamente dimostrato anche dall’iconografia vedica che raffigura le forme divine munite di molteplici braccia che brandiscono altrettante armi. Ad esempio: SRI VISNU ha quattro braccia, regge quattro simboli sacri: il disco, la mazza, la conchiglia e il fiore di loto. Tramite i VEDA (Sacri Testi ) si viene a conoscenza anche della Dea PADMAVATI dalle diciotto braccia che impugnano le originali armi vediche, da cui derivarono le diciotto armi di SHAOLIN; della divinità SRI BALARAMA la quale regge nelle due mani la mazza e la piccozza. Tutto questo è concentrato nell’antica arte marziale “DHANURVEDA” da cui partirono tutte le forme di arti marziali sparse per il mondo. Queste formidabili tecniche marziali erano combinate con i poteri mistici dello YOGA. Ancora oggi gli Indiani del nord si divertono in tornei di lotta chiamati DHANUR YAJNA, molto popolari anche cinquemila anni fa. Al tempo dell’apparizione di BUDDHA (VI Sec. a.C.) la cultura Vedica e le sue nobili arti avevano subito una grave degenerazione nei valori morali e spirituali. Rimasero a tramandare ciò che rimaneva nella disciplina mistica del DHANURVEDA i guerrieri del piccolo regno di MANIPUR, e su larga scala i monaci buddhisti. Sebbene il buddhismo che predica la non violenza fino al vegetarianesimo, e l’arte marziale possono sembrare incompatibili, ogni cosa ha la sua ragione d’essere ed il saggio sa usare tutto appropriatamente. Gli insegnamenti di Buddha ponevano l’accento sull’importanza della forza per la difesa delle leggi spirituali. Per questo alcune divinità buddhiste come i Deva e gli Aditya, sono sempre rappresentati in posizioni marziali. In Cina sorgeva sul monte Song, un tempio chiamato SHAOLIN, in cui vivevano monaci dediti al ritiro spirituale. Avvenne che nel 498 d.C., con l’arrivo del monaco indiano buddhista di nome BUDDHABHADRA, si ebbe una rivoluzione in senso marziale delle arti coltivate in questo monastero. BUDDHABHADRA iniziò dunque l’opera della divulgazione della dottrina buddhista traducendo le sacre dottrine indiane, accanto alle dottrine religiose introdusse anche nozioni marziali. Si formarono quindi monaci dediti alle arti marziali, due dei quali, HUI-GANG e SENGCHOU specializzati rispettivamente nei due stili ROU-QUAN (forza fluida che crea il pugno morbido) e nello stile esterno YING-QUAN (forza rigida che crea il pugno duro). Il discepolo SENG-CHOU fu il primo religioso di SHAOLIN che divenne esperto nelle arti marziali. Succedendo a BUDDHABHADRA, SENG-CHOU permise a tutti i monaci di praticare le arti marziali e stabilì come prima regola la selezione degli studenti, i quali non dovevano abusare delle loro abilità personali per aggredire i deboli e mai ostentare la propria forza. È in questo periodo che risale la creazione di molte tecniche marziali, come la famosa tecnica di bastone denominata “il metodo della doppia pelle di tigre”. Ma fu con l’avvento del monaco indiano buddhista BODHIDHARMA (483) che vi fu il perfezionamento di tutte le tecniche marziali studiate fino ad ora. Si dice che meditando per nove anni di fronte ad una roccia seduto nella posizione del loto ad ascoltare il grido delle formiche BODHIDHARMA detto DAMO, lasciò misticamente impressa sulla roccia, la sua immagine così dettagliata che sono ancora visibili le pieghe del suo vestito. La storia narra che un suo discepolo si amputò un braccio per donaglielo per aver l’iniziazione spirituale alla saggezza. Egli guidò i monaci sulla strada della santità, insegnando loro la disciplina del corpo e della mente, DAMO fu così riconosciuto come il fondatore dell’ordine buddhista. La meditazione seduta, insegnata da DAMO, si protraeva per sei ore al giorno e i suoi discepoli, che non erano abituati a lunghi periodi di immobilità, cadevano spesso vittime dell’intorbidimento fisico e della sonnolenza. Così per rinvigorire i loro corpi, DAMO ideò una serie di movimenti terapeutici basati su precetti dei maestri indiani secondo i quali certi esercizi fisici e respiratori favoriscono la triplice armonia tra la mente ,il respiro ed il corpo, prevengono le malattie e frenano le tendenze aggressive della natura umana. Perciò introdusse la sua conoscenza del DHANURVEDA nel praticare queste discipline, finalizzandole soprattutto allo sviluppo armonico del corpo e della mente, un metodo originale di allenamento, in cui la tecnica marziale è al servizio dello spirito, e la chiamò KUNG-FU. Fu sempre DAMO che iniziò i monaci shaolin all’uso delle armi, ciò ampiamente dimostrato dalla nomenclatura delle sequenze classiche come: DAMO-JIAN (spada di DAMO); DAMO-GUN (bastone di DAMO); DAMO-GUAI (piccozza di DAMO). Fra i discepoli più autorevoli , la figlia dell’imperatore LIANG-WU di nome MING-LIANG che imparò a maneggiare con assoluta maestria la spada e fu la prima monaca guerriera. I monaci shaolin diventarono presto famosi in tutta la Cina per le loro abilità; i contadini imploravano il loro aiuto per combattere i briganti e gli imperatori per proteggere il loro regno, tanto che per gli uomini santi della montagna divenne un grande merito liberare il paese da tiranni e despoti. A DAMO succedettero sei patriarchi che divulgarono la dottrina shaolin fuori dalla Cina. In Giappone, venne portata intorno al milleduecento dal monaco giapponese DOGEN che visse a lungo in Cina apprendendo i segreti ed i dettami del C’HAN (ZEN) . Il buddhismo C’HAN affascinò la classe militare dei samurai, che da C’HAN divenne ZEN (che riprenderemo nella parte finale della tesi). Da qui l’arte della guerra si tramutò nello speciale stile di vita chiamato BUSHIDO (il tao del guerriero). La fama di shaolin era talmente grande che tutti i maestri di arti marziali di rilievo della Cina, desideravano far dono al tempio delle loro tecniche per ottenerne il riconoscimento e la protezione. Su una quantità di duemila monaci, un quarto era dedito alle arti marziali che prosperarono a partire dal 1400 d.C.. Esistevano già a quel tempo diverse scritture relative all’uso delle armi, come il QIANG-SHU (arte della lancia) e sempre in quel periodo, lo shaolin KUN-FU venne introdotto nell’esercito imperiale ed usato in battaglia. Si racconta che l’imperatore SHI-ZONG usufruì dei monaci shaolin per respingere i pirati che infestavano le coste cinesi. Durante la dinastia QING(1644-1911) vennero più volte distrutti i templi shaolin perché coinvolti indirettamente nelle ribellioni delle sette segrete MING. Grazie ai sopravvissuti delle distruzioni dei templi, lo shaolin incominciò ad espandersi inesorabilmente in tutta la Cina, dando vita a molti stili di KUNG-FU, per esempio il TAE-KWON-DO in Corea, il VIETVO-DAO in Vietnam, il KITO-RYU (antenato del Judo), il JU-JUTSU, l’ AIKIDO, lo SHORINJI-KEMPO e il TODE in Giappone che divenne poi il KARATE. Le arti marziali in Giappone si sono sviluppate e consolidate a partire dal IX sec.d.c. e presentano oggi una notevole quantità di metodi e varianti. Ciascun metodo e arma costituisce una specialità (JUTSU) che significa appunto arte, tecnica, che regola il modo di utilizzare un’arma o una parte del corpo come arma. Ma le arti marziali giapponesi non sono semplicemente tecniche di guerra e per comprenderle più a fondo è necessario conoscerne l’etimologia. Fondamentale in tutte queste arti è il DO, letteralmente sentiero, via che indica la disciplina di vita che chi pratica un’arte marziale deve seguire. Inoltre, DO compare anche in diverse parole connesse alle arti marziali: DOJO è la palestra, BUDO indica tutte le arti marziali giapponesi ed infine BUSHUDO , la via del samurai, il codice di regole e principi che i samurai dovevano rispettare in età feudale e che vige ancora adesso. I samurai erano tenuti ad imparare una serie di BUDO: il BA-JUTSU, l’arte equestre; il BOJUTSU, lotta con le aste; l’HOJO-JUTSU, metodo per immobilizzare gli avversari e molte altre che prevedevano l’uso di lance, coltelli, spade. Le più note arti marziali giapponesi son il KARATE, il JUDO, il JU-JITSU e l’AIKIDO. Il KARATE nato in tempi abbastanza recenti, consisteva in origine in una tecnica di autodifesa disarmata contro un avversario armato mentre ora prevede la possibilità della lesione all’avversario. Il JUDO costituiva per i samurai una rigida disciplina morale oltre che una tecnica di difesa da nemico armato effettuata senza armi; esso raggiunse il massimo perfezionamento e la più larga diffusione nel diciottesimo secolo. Il JU-JITSU è una tra le più antiche arti, fondata soprattutto su una rigorosa disciplina e sull’esercizio: non necessita di vigore fisico, ma di agilità, insegna a difendersi da attacchi, anche molteplici e ad individuare i punti deboli dell’avversario. Questa arte contempla anche l’uso delle armi per difesa ed attacco. L’ AIKIDO è un’arte molto poco aggressiva fondata sull’atterramento e sullo sfruttamento dell’energia (KI) avversaria a proprio vantaggio: AIKIDO significa infatti “via dell’unine degli spiriti”. Senza dubbio si tratta di tecniche di combattimento, ma in molti casi le arti marziali tendono ad una certa elevazione morale e spirituale, alla ricerca di un rapporto armonico con la natura e con il mondo. Sinora abbiamo scritto riguardo la religione buddhista rappresentata dai monaci shaolin i quali ne fecero anche una dottrina marziale, dedita però a soluzioni difensive o per aiutare bisognosi e oppressi. Tutte quindi le dottrine derivate dal confucianesimo devono adempire queste prerogative. Scrivendo a riguardo allo ZEN, al TAOISMO, al MAZDAEISMO ed al CONFUCIANESIMO, si intende dottrine essenzialmente passive cioè non dedite al protagonismo od alla bellicosità od alla soverchia. Infatti nelle dottrine religiose occidentali, si può notare a volte un’aggressività in nome della stessa religione che in oriente non si evince. Costatiamo anni e anni di lotte tra cristiani ed islamici, tra protestanti e cattolici, tra protestanti e ortodossi, eccetera. Di contro nelle dottrine orientali la marzialità viene coltivata anche per il solo sviluppo del corpo del guerriero, molti samurai perseguivano la vita da monaci dopo aver passato una intera vita tra guerre e duelli. Nella arti marziali vi è soprattutto la devozione verso il carisma del maestro (SIFU) che non è solo depositario nell’arte della guerra, ma soprattutto nella ricerca del DO e apportatore di verità, situazione che in occidente era impensabile. In occidente il maestro d’armi era quello e tale rimaneva. Costui insegnava solamente ad utilizzare le armi (spada, lancia, mazza, ascia, arco), ma spiritualmente non era in grado di trasmettere nulla. Infatti se noi ricordiamo ciò che antecedentemente ho scritto, constatiamo che il patriarca DAMO intraprese un lungo e pericoloso viaggio dall’India alla Cina con la sola missione di illuminare le masse , inserendo la pratica delle discipline marziali, come ausilio alla vita spirituale. Nella pura coscienza spirituale, di norma, un guerriero poteva agire come un monaco e viceversa poiché a questo livello le distinzioni d’ordine materiale, non esistono più. Sarà per il monaco guerriero una continua ricerca del BUSHIDO (la via del guerriero). Due massime proverbiali ZEN danno l’idea di maestro “Un cavallo può avere la forza per percorrere mille chilometri ma senza le redini non saprà mai dove andare” , così “Senza uno specchio pulito una donna non sa in che situazione è il suo viso”. Uno dei più prestigiosi maestri shaolin (LAO-ZE) disse: Un uomo viene al mondo tenero e duttile, quando muore è rigido e duro; Le piante giovani sono morbide e piene di linfa vitale, quando muoiono sono appassite e secche. Ciò significa che la rigidità e la durezza sono discepoli della morte mentre la morbidezza e la malleabilità sono le basi della vita. Per un ulteriore avvallamento della nostra tesi leggendo i primi diciassette principi ZEN sull’etica che l’allievo, deve rispettare, riscontriamo una profonda analogia con i cinque dettami del DOJOKUN del KARATE, per esempio “esercitati costantemente nel seguire il cammino”, nel DOJO-KUN si legge “rafforza instancabilmente lo spirito” , nello ZEN “non coltivare mai i pensieri malvagi”, nel DOJOKUN troveremo “percorri la via della sincerità” e così via. Come cardine della religione Buddhista vi è la filosofia delle due forze opposte ma convergenti “YIN e YANG”, nonostante siano opposte, il bene ed il male, la donna e l’uomo, il bianco ed il nero, coesistono in un’orbita perfetta. Lo spirito non va esercitato solo verso l’esterno, ma soprattutto per vincere i sei nemici interiori, la lussuria, la collera, l’avidità, l’invidia, la pazzia e l’illusione. Con l’apporto della dottrina ZEN per esempio, dovendo combattere un aggressore lo si farà liberando la mente da pensieri come il desiderio di vincere a tutti i costi o la paura della propria incolumità. Si riuscirà così ad intuire in anticipo il momento dell’attacco dell’avversario e delle sue ansie. Con il corpo e la mente rilassata le nostre azioni diverranno più fluide. Dobbiamo al monaco Buddhista BODHIDHARMA la creazione di una nuova dottrina che staccandosi del Buddhismo ne rileva gli aspetti migliori smorzandone i contenuti più pragmatici, si ebbe così la nascita dello ZEN (forma giapponese derivata del cinese C’HAN) attorno all’anno 540 d.c. Secondo lo ZEN la comprensione è possibile solo ignorando l’intelletto, prestando ascolto agli istinti e alle intuizioni. In Giappone venne assimilata come unica dottrina da tutti i Samurai. In campo militare l’influenza ZEN si manifestò inizialmente come approccio all’arte di brandire la spada od a tirare con l’arco pervenendo ad un disciplinato disprezzo della morte, ben maggiore di quello ispirato da ogni altra religione. Dice un famoso proverbio passato ad uso dei samurai, alla domanda “Come si fa a vedere le cose così chiaramente”, la risposta è “basta chiudere gli occhi”. Per quanto sorprendente possa sembrare un simile dottrina; per i razionali occidentali; ha dato vita a fenomeni tipicamente giapponesi quali i samurai e i kamikaze, accomunati dal disprezzo della morte, i quali secondo un’espressione nipponica, vivono come se fossero già morti. Ricordiamoci infatti che lo ZEN si assicurò la prerogativa di religione nipponica dopo varie peripezie e molte persecuzioni superando dottrine come AMIDISMO e NIKIREN. Oltre ad aggiudicarsi nel secolo dodicesimo la supremazia religiosa, lo ZEN si assicurò l’appoggio governativo, divenendo religione di stato. Durante l’anno 1191 d.c., il monaco EISAI, di formazione ZEN, si recò in Giappone fondando un tempio ZEN e provocandone una ferma reazione da parte dei monaci TENDAI. Fu per una genialità che si decise la supremazia della dottrina ZEN su tutte le altre. Mentre le altre concorrenti avevano come punto base l’erudizione ,lo ZEN ne metteva in dubbio l’utilità. Sostanzialmente illetterati i samurai si sentivano in stato di inferiorità intellettuale nei confronti dell’acculturata aristocrazia, inoltre l’importanza che lo ZEN attribuiva alla risposte pronte s’accordava con il loro atteggiamento verso lo scontro armato. EISAI ebbe l’intuizione di scrivere un trattato sulla diffusione dello ZEN per la difesa della nazione per cui si accattivò di tutto l’estabilishment giapponese. La svolta che diede un’impronta più marziale allo ZEN Giapponese la diede lo stesso EISAI, dichiarando che, nelle forme di azione e di disciplina, nello ZEN non c’è confusione tra giusto ed ingiusto. Esteriormente potrebbe sembrare un vantaggio della disciplina a scapito della dottrina, interiormente invece esso porta alla saggezza interiore, cioè anche se pratichiamo più l’esteriorità che lo studio dell’ego, egualmente avremo l’accrescimento in noi della saggezza. Sir GEORGE SANSOM (Studioso di storia e cultura nipponica) asseriva che per un guerriero, capace di riflessioni, la cui vita fosse sempre in pericolo di morte, la verità era il balenare di una spada che trancia la problematica dell’esistenza ed in cui i momenti più supremi erano quelli in cui la morte era più vicina. Vorrei inserire una piccola parentesi: non tutte le forme di ZEN nate in Giappone erano favorevoli alle arti marziali, vi fu in particolare lo ZEN SOTA che rimase sempre estraneo alla casta dei guerrieri. EDWIN REISCHAUER scrisse che lo ZEN contribuì in larga scala allo sviluppo di una durezza interiore e di una forza caratteriale tipici del guerriero giapponese feudale. Prima dell’avvento dello ZEN, i guerrieri nipponici si scontravano in battaglie piene di brutalità e senza un codice deontologico. Con l’avvento dello stesso i duelli e gli scontri bellici vennero leggermente modificati. Con lo ZEN si svilupparono le arti marziali, soprattutto l’arte della spada e dell’arco, dopo il periodo di stabilità (HEIAN) iniziando dal periodo KAMAKURA (capitale orientale). Per poter capire tutto ciò, è necessario dare brevi accenni del periodo sopracitato. Dopo il periodo HEIAN, in cui si ebbero per circa duecento anni una stabilità ed un periodo di pace conclamata , anche perché la custodia di tale situazione fu possibile grazie al demandatario sistema voluto dalla classe dominante che delegò il rispetto della pace a due principali clan di samurai, i TAIRA e i MINAMOTO. I TAIRA in occidente, i MINAMOTO nel Giappone orientale, dove nascerà la bellicosa capitale KAMAKURA. Come sempre, avvenne anche qui in Giappone che i subalterni resosi conto del loro potere si insidiarono al posto dei loro mandatari. Si avvenne così ad una faida tra i due clan dei samurai che portò ad una guerra civile detta “GEMPEI” che durò cinque anni. La faida provocò una carneficina senza precedenti. La guerra civile terminò con l’insediamento del vincitore MINAMOTO-YORIMOTO alla giuda del Giappone, il quale si fece incoronare come SHOGUN, la cui prima iniziativa fu di spostare la sede del governo da KYOTO a KAMAKURA, che per quasi settecento anni avrebbe avuto il predominio della casta dei guerrieri (tipo di feudalesimo). Si generò una nuova casta di baroni detta “Guerrieri Equestri”. Furono i più feroci combattenti che si fossero mai visti fino ad allora “ I SAMURAI” . Il loro maneggio delle spade ubbidiva solo ad un comandamento, “Il principio ZEN”. I duelli iniziavano con il lancio delle frecce a disposizione dei due contendenti, ne seguiva la carica a cavallo annunciando preventivamente il nome delle rispettive casate nella speranza di aggregazione da parte di altre famiglie. Dopo lo scontro a cavallo si giungeva al duello appiedati non solo con le spade (Katana), ma anche con corte lame. Al termine del duello avveniva la decapitazione del vinto. Con breve accenno storico voglio spiegare come avvenne il cambiamento delle loro tecniche marziali. Nel 1268 d.c., il KUBLAJKAN iniziò il tentativo di invasione del Giappone e così sei anni di alterne vicende venne definitivamente sconfitto. Questo conflitto servì ai samurai per comprendere che il metodo di battaglia, che fino ad ora avevano usato, nelle nuove forme belliche non avrebbe più avuto efficacia. Furono i monaci ZEN a formalizzare e migliorare l’ arte della spada e del tiro con l’arco. Nel 1281 d.c., si verificò l’ultimo tentativo di invasione da parte dei mongoli sulle coste giapponesi nei di KYUSHU, dove i samurai sbaragliarono sia in mare che sulle coste i centomila mongoli. I giapponesi furono aiutati durante la battaglia navale dall’arrivo di un tifone che ribaltò la totalità delle navi mongole. Tale vento venne chiamato KAMIKAZE (vento divino). Come simboli dei samurai, la spada e l’arco erano ritenuti i corpi animati da uno spirito ((KAMI). Gli stessi fabbri costruttori di spade erano figure sacerdotali e si accingevano al loro compito solo dopo una purificazione spirituale e sempre indossando vesti bianche. Per la cronaca solo nel secolo scorso in occidente si è riusciti a produrre acciai paragonabili a quelli giapponesi. I samurai tenevano talmente alta la considerazione ed il rispetto verso la propria arma che avrebbero preferito perdere la vita che l’arma stessa. Per affinare l’allievo all’arte della spada, il maestro praticava contro lo stesso nel periodo dell’addestramento attacchi improvvisi e simultanei in modo che l’allievo reagisse automaticamente, senza essere influenzato da dubbi, desideri o ansie; insomma un vero automa. Nel guerriero ZEN la spada ed il braccio si fondono insieme come se fosse un solo strumento bellico. Oltre all’insegnamento dell’arte della spada, nello ZEN si curava inoltre quella del tiro con l’arco. Mentre il maneggio della spada richiede l’unificazione tra braccio e spada oltre a non aver la consapevolezza dell’avversario sino al momento critico, l’uso dell’arco richiede il distacco totale dall’arma, per potersi concentrare interamente sul bersaglio. Anche qui sussiste una differenza tra le tecniche del tiro all’arco in forma ZEN e quelle occidentali. Il guerriero zen non presta direttamente attenzione all’obbiettivo da colpire, non si preoccupa dell’accuratezza, ma lascia invece che questa sorga come risultato dell’intuitività e di una forma collaudata e perfetta. Questa tesi si può chiarire analizzando le differenze tra l’arco zen e l’occidentale. La differenza più evidente è nell’impugnatura, che nell’arco zen è situata a circa un terzo dalla distanza della punta inferiore, anziché al centro delle due punte nell’arco occidentale. Ciò permette all’arciere che stia in piedi od inginocchiato, di servirsi di un arco più lungo della sua statura (circa mt.2,5) e richiede in oltre che la tensione della corda sia oltre la linea dell’orecchio. Inoltre l’arco giapponese risponde ai requisiti di costruzione molto più complicati e superiori tecnologicamente a quelli occidentali, infatti è composto di laminati di bambù che gli donano una elevata elasticità e dal duro legno anacardio che gli dona una sicura precisione. Il cuore dell’arco consiste di tre rettangoli di bambù racchiusi tra due sezioni semilunate anche queste di bambù che ne compongono il ventre e la schiena; così come l’arco, anche le frecce sono di bambù, la corda viene tesa dal solo pollice anziché dal pollice e indice come usato in occidente. È chiaro che a quei tempi, il materiale usato in tutte le cose, doveva provenire dall’ambiente in cui si viveva (materiale autoctono). Quindi in Giappone il bambù era più facilmente reperibile che nelle zone Europee. Oltre all’attrezzatura divergeva e di molto l’addestramento all’arte marziale. La prima lezione ZEN relativa alle arti marziali consisteva nel controllo della respirazione , pervenendo a ciò con la pura meditazione (ZAZEN). Il controllo del respiro è essenziale sia per la tensione dell’arco, sia nel maneggio della spada. Nell’arco ,in quanto la freccia è discosta dal corpo e ciò richiede meno muscoli sviluppati di quanto ne occorrono nell’arco occidentale. Il tramonto di questa cultura iniziò nel 1542 d.c., quando una nave portoghese attraccò sulle coste nipponiche, la nave era carica di fucili e cannoni. Continuando la nostra ricerca nell’assimilare l’avvento dello ZEN e dei monaci saholin alle arti marziali, si intuisce che l’arte bellica sia subordinata a una rigorosa autodisciplina e al superamento delle funzioni manifeste della mente. Nella evoluzione delle arti marziali abbiamo come madre di tutte il KUNFU, che ne originò la maggior parte tra cui il TO-DE che pone le basi per il futuro KARA-TE. Ci si pone una domanda ora; come mai le religioni orientali producevano oltre le arti figurative, l’agricoltura, ecc., anche arti marziali; mentre in Occidente le religioni coltivavano sì arti come l’agricoltura, la zootecnia, arti figurative, ma si appoggiava per le guerre a re e feudatari, dichiarando le guerre religiose solamente per imporre il proprio credo. Secondo il mio modesto parere avvicinandosi alle arti marziali, supportate da degni maestri, non solo si avrà un beneficio corporeo ma anche un miglioramento per ciò che riguarda l’etica e il giudizio su tutto ciò che ci circonda (Tipo rispettare i nostri avversari) e gestendo ogni nostro problema con una mera semplicità. Nel 1853 il Comodoro COLBRAITH PERRY con la sua flotta approdò in Giappone portando con sé nuove religioni, nuove metodologie di governo e l’industria, tra cui quella bellica. Si pervenne così a un mutamento di forma bellica, oltretutto a una persecuzione a tutte le forme di Buddismo sia da parte dell’imperatore che dei scintoisti che ne presero le distanze e prendendone il loro posto. Dopo aver analizzato le dottrine in simbiosi con le arti marziali che si sono evolute ad est dell’India e da essa provenienti, analizziamo ora, quello che successe ad ovest del Gange e dell’Indo. Anche in questo caso vi fu un profeta che ispirandosi alla fonte indica, promosse una nuove religione nei paesi situati tra il Tigri e l’Eufrate, attorno al 588 a.c. La religione venne chiamata MAZDEISMO ed il suo profeta ZOROASTRO (ZARATHUSTRA). Tra le prime cose che fece, oltre che ad assicurarsi l’appoggio dei potenti (Ciro il Grande), fu quella di istituire un corpo di monaci-frati dediti anche alle arti marziali. Questi monaci chiamati MAGI furono una setta per metà religiosi e per metà guerrieri. ZOROASTRO intuì che, per aver l’appoggio delle popolazioni e quindi sviluppare la sua religione, occorreva venir loro incontro, quindi dopo aver abolito i sacrifici umani ed animali (quest’ultimi necessari alla sopravvivenza di allevatori ed agricoltori), insegnò loro, tramite i MAGI, che divennero la prima forma di polizia, l’arte della difesa e del combattimento. Sempre ai MAGI era demandato il dover insegnare al popolino la costruzione di muri e abitazioni a difesa di predoni. Lo sviluppo maggiore del MAZDEISMO si ebbe sotto l’impero di Ciro il Grande, il quale dopo la conquista di tutte le terre degli Assiri ne obbligò la diffusione. Indicativa è la frase di ZOROASTRO per cui,” il potere bellico senza quello religioso e viceversa” avrebbe avuto vita breve. Anche in questa civiltà si creò un ceto nobile (KSATRJA) che aveva il privilegio di condurre carri o bighe in guerra a discapito del soldato (EXERTENCATI) di estrazione popolare. Questi nobili in poco tempo si procurarono dei vantaggi per cui nell’impero Babilonese avvennero i primi Motti Popolari. Per contrastare questo mal contento , ZOROASTRO , tramite la sua religione predicò che l’uomo nasceva diviso in tre livelli: il guerriero, il sacerdote ed il contadino, importanti tutti allo stesso livello ed intercambiabili. Anche in questa religione, come nelle religioni politeistiche, vi è un Dio guerriero chiamato MITHRA, rappresentato con un bastone (BO) o con l’ascia mentre guida un carro trainato da cavalli. Il Dio MITRHA era già esistente prima dell’avvento del MAZEISMO dal quale non venne mai ben accettato dallo stesso profeta che lo catalogò “Menzogna”. Il quale sosteneva che solo un Dio aveva un potere di vita o di morte, il Dio ancora oggi venerato dai MAZDEISTI “HAURA MAZDA”. Circa ottocento anni dopo l’avvento di ZOROASTRO e la diffusione della sua dottrina all’ovest stava sorgendo una nuova potenza militare “I MACEDONI” condotti da ALESSANDRO MAGNO. Questi apportarono un nuovo tipo di belligeranza e di armi, tipiche le lunghe PICCHE. ALESSANDRO MAGNO sconfisse attorno all’anno 327 a.c. l’impero di DARIO III°, appianarono quindi la questione religiosa con un metodico e continuo contrasto per cui i seguaci di ZOROASTRO furono costretti a professare la loro religione segretamente. Oltre la loro religione i Greci portarono un nuovo tipo di combattimento, derivante dalle loro olimpiadi, nelle quali si svolgeva già l’attività della lotta corpo a corpo e conosciuta in tutte le terre a loro confinanti. Ma quello che di nuovo esportarono fu il Pugilato. Si parla già del quinto secolo a.c.. Descrizioni di combattimenti di pugilato si trovano nelle cronache degli antichi giochi olimpici celebrate dai Greci, le quali parlano di uomini che si battevano con i pugni fasciati da un guanto chiamato “Cesto”. Presso i romani il pugilato prese il nome di “Pancratium” e venne esercitato dai gladiatori i quali si battevano nelle arene per il divertimento degli spettatori. I combattimenti di Pancratium erano però di una rara e crudele violenza e il più delle volte si concludevano con la morte dei due contendenti, i quali usavano fasciarsi le mani con strisce di cuoio su cui erano applicate borchie o punte di metallo. Tornando al nostro impero Persiano e all’avvicendamento con la supremazia macedone attorno all’anno 656 d.c.si ebbe l’annientamento della religione MAZDEISTICA e di tutte le forme pseudo militari, tipo i MAGI. Per concludere, passando da Oriente a Occidente, abbiamo constatato che prima dell’avvento di CRISTO, avendo come fulcro la zona tra i fiumi il Gange e l’Indo, tutto quello concernente le religioni, le dottrine marziali da lì si propagarono. Abbiamo quindi come patria di tutto ciò l’ INDIA, la quale è tuttora più conosciuta come esportatrice di moralità, etica e religione. Si è constatato che tutti i paesi a lei limitrofi erano dediti ad altre occupazioni tipo azioni belliche o conquiste di altri territori. I popoli indiani non sono famosi come orde di conquistatori ma risoluti apportatori di pace, di saggezza e di religiosità. È chiaro che anch’essi ebbero i loro travagli, ma di lotte intestine fino al 185 a.c. , sino che il buddista ACOKA PRIYADARCIN portò l’impero alla sua massima estensione. Contrastando efficacemente l’esercito macedone riuscì a portare avanti il spirito unitario fino all’invasione Mongola del 400 d.c. ELENCO TESTI CONSULTATI -LA CULTURA ZEN THOMAS HOOVER -LO ZEN NELL’ARTE DEL TIRARE DI SPADA KAMMEN REINHARD -GRANDE MENTE GRANDE CUORE DENNIS GENPO MERZEL -ZEN MICHEL BOVAY -LO ZEN ALDO TOLLINI - LO SHAOLIN (mistero e magia dei monaci guerrieri)-SRI ROHININANDANA -ENCICLOPEDIA “STORIA DELLE RELIGIONI” BIBL.DE “la repubblica -ZOROASTRO E LA FANTASIA RELIGIOSA SAGGIATORE IL
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