Mercoledì 20 Luglio 2011

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Mercoledì 20 Luglio 2011
Federazione italiana bancari e assicurativi
via Modena, 5 – 00184 Roma – tel. 06-4746351 / fax 06-4746136
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RASSEGNA STAMPA
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Fondo E le Borse tirano il fiato................................3
 Prove di accordo per il bilancio Usa .............................................................4
 C’è chi studia il ritorno al marco e alla lira Ma sarebbe un disastro...........5
 Il duello (e l’equivoco) tra la Cancelliera e Trichet......................................7
 Le «spine» di Ligresti dopo l’alleanza a tempo con il socio Unicredit ........9
 Un miliardo in cedole nel nuovo piano Bpm ..............................................11
 Del Vecchio sale nelle Generali ....................................................................12
 Boccata
di ossigeno sui mercati
Fmi: la Ue si muova o sarà contagio...........................................................13
 Prelievo sulle pensioni d’oro
auto blu, affitti e ristorante le Camere studiano i tagli ............................14
 L’Ue processa l’Italia “Tlc, troppi diritti negati”...........................................15
 Fiom pronta a sostenere le cause individuali ..............................................16
 Doccia gelata sui conti di Bank of America ..................................................17
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Rassegna Stampa del giorno 20 Luglio 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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UN AFORISMA AL GIORNO
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Grecia, ultimatum del Fondo
E le Borse tirano il fiato
Milano recupera dopo il tonfo. Sarkò a sorpresa da Merkel
BRUXELLES— Agite in fretta, dice all’Europa il Fondo monetario internazionale, o l’esito della crisi
potrà essere «imprevedibile» . Quanto in fretta? Mancano 24 ore al vertice straordinario dei capi di
Stato e di governo della zona euro, da cui si attende una parola netta. Eppure quel vertice, frena da
Berlino Angela Merkel, «non porterà a una soluzione spettacolare» , come un’intesa sulla ristrutturazione del debito di Atene o sugli eurobond: anche se combattere la crisi del debito «è un compito storico» , e l’Europa «non può essere concepita senza l’euro» . Pillole di realismo, o mezza doccia fredda,
proprio mentre i negoziati fra gli «sherpa» , gli esperti del Comitato economico finanziario di Bruxelles, sono entrati nella fase più convulsa. Ma potrebbe anche essere normale pre-tattica, quella della
cancelliera che oggi riceverà in un prevertice inatteso a Berlino Nicolas Sarkozy. Anche perché l’Fmi,
da pochi giorni sotto il comando di Christine Lagarde dopo l’epoca Strauss-Kahn, insiste nel suonare
l’allerta, nel suo rapporto 2011 sulla zona dell’euro: il rischio di un contagio è «alto» , le tensioni legate al debito sovrano «potrebbero estendersi alle economie principali, attraverso il sistema finanziario»
con «implicazioni globali» . Perciò «sarebbe molto costoso non solo per l’Eurozona ma per l’economia
globale un rinvio nell’affrontare la crisi» . C’è un’altra possibile interpretazione di questo discorso:
l’Fmi è stufo di metter mano al portafoglio per questo o quel Paese dell’Eurozona in mancanza di un
piano coerente. Il Fondo potrebbe voler ridurre la propria partecipazione a nuovi aiuti. La nuova gestione Lagarde potrebbe aver coinciso con questa correzione di rotta, ma per capire se è così bisognerà
aspettare ancora qualche mese, o qualche settimana. Nell’attesa, e in vista del vertice di domani, sui
mercati è stata una giornata di cauti riposizionamenti. Borse tutte in ripresa, con Milano e Stoccolma in
testa che guadagnano circa il 2%. Euro pure in risalita, verso quota 1,42 nei confronti del dollaro. E
tensioni sui titoli di Stato in attenuazione: lo spread, la differenza di rendimento fra i titoli decennali
italiani e quelli omologhi tedeschi, è scesa da 330 punti base verso quota 300. Tutti questi segnali influiscono sulle trattative a Bruxelles. Cos ì come l’ultimo «no» di Jean-Claude Trichet, presidente della
Bce, a ogni ipotesi di default più o meno «selettivo» per la Grecia; o le sue parole di incoraggiamento
verso l’Italia: «Ho piena fiducia nella sua capacità di rafforzare la sua credibilità» . Tutto entra in gioco, in vista del vertice. Ma il primo nodo da sciogliere è naturalmente quello di Atene. L’ipotesi su cui
si starebbe profilando un abbozzo di compromesso è ancora quella del parziale «buy-back» : l’Efsf, il
fondo salva-Stati, fornirebbe ad Atene i soldi per ricomprare il proprio debito. E bloccare il contagio.
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Prove di accordo per il bilancio Usa
NEW YORK — Con i negoziati per il taglio delle spese e l'aumento del tetto del debito pubblico Usa
impantanati da giorni e lo spettro dell'insolvenza sempre più concreto man mano che si avvicina la scadenza del 2 agosto, ieri la «gang dei sei» , un gruppo informale al quale aderiscono tre senatori democratici e tre repubblicani, ha tirato fuori, a sorpresa, un coniglio dal cilindro: una proposta per ridurre il
debito pubblico americano di 3.700 miliardi di dollari in dieci anni che sembra poter ottenere una
maggioranza abbastanza ampia al Senato. Ieri alla sua presentazione hanno assistito 47 senatori (per
metà repubblicani) che si sono detti entusiasti dell'approccio: una manovra fatta per tre quarti di riduzione delle spese, comprese sanità e previdenza, mentre il restante 26%dovrebbe venire da un aumento
delle entrate. Questo è il punto più delicato, visto che alla Camera i tentativi d’accordo con la Casa
Bianca si sono arenati sul «no» dei conservatori a qualunque intervento fiscale. La proposta della
«gang» , tuttavia, cerca di evitare veti sulle tasse ricalcando lo schema della commissione tecnica bipartisan presieduta dai «saggi» Erskine Bowles (democratico) e Alan Simpson (repubblicano) che a
dicembre aveva presentato la sua proposta a Casa Bianca e Congresso. Obama non ha perso tempo: ieri ha subito dato la sua adesione al piano della «gang» . Si è, però, lasciato la via d'uscita del compromesso «minimalista» negoziato nei giorni scorsi dai due leader del Senato, Reid e McConnell.
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C’è chi studia il ritorno
al marco e alla lira
Ma sarebbe un disastro
Dalla Bmw alle banche, il futuro a rischio
Scommettiamo che è solo questione di tempo? Ancora qualche insipido vertice a Bruxelles, uno spettacolare sciopero al Pireo proprio mentre sbarca una colonia di bambini bavaresi, un’altra serie di scosse elettriche sulla curva dei Btp, e qualcuno si farà venire un’idea geniale. Poi la enuncerà ad alta voce,
fieramente, in modo da metterci sopra il suo copyright: «Si stava meglio quando si stava peggio!» .
Scommettiamo che finisce così? In fondo noi europei -tutti, gli iberici come gli ex sovietici, i venditori
come i compratori del Colosseo -saremo sì un po’in declino, ma competitivi in alcune delle arti più
antiche del mondo: andare avanti guardando indietro, cacciare la testa nella sabbia e chiamare il panorama che si osserva da là sotto una veduta d’insieme. Nel caso di specie, ciò significherebbe pensare a
un ritorno alle monete nazionali o a qualche loro più o meno fedele surrogato. Come se questa fosse la
soluzione che può portarci fuori da questo labirinto dove l’ostinazione degli uni e la riluttanza degli altri ci hanno cacciato. «Basta con l’euro, ridateci il franco, il fiorino, il marco, due o tre lire e qualche
corona» . Diciassette idee geniali. Nel Capodanno del ’99 a Bruxelles, all’atto di nascita della nuova
valuta, un telegiornale spagnolo si divertì a far pronunciare la parola euro con gli accenti di decine di
lingue del continente: oiro, erò, evro, eeeuro. Fu divertente e per la verità neanche tanto facile. Ma sillabare con un accento europeo i nomi di decine di monete diverse sarebbe un esercizio prossimo a
quello di un fachiro. Scommettiamo? O meglio, proviamo a immaginare che aria avrebbe
quell’esperimento? Partirebbe con molta retorica, su questo si può star sicuri. Ma non solo con quella,
forse prevedibile, sulla virilità del buon vecchio Deutschemark: giochi di parole del genere possono
funzionare in una birreria di provincia della Pomerania, ma già ad Amburgo o a Colonia suonerebbero
meno credibili. No, vulnerabile ai retori da spaghetti e mandolino sarebbe anche una parte della platea
italiana. E giù sviolinate su come si stava bene ai tempi dell’austerity, com’era bello andare al mare
con la Fiat 127 color crema e prosperare scaricando 1.900 miliardi di euro (pardon!) sulle generazioni
successive. Si continuerebbe poi lasciando la parola ai pifferai magici un po’più ferrati nella tecnica:
ci diranno che una bella svalutazione tornerebbe a fare della piccola, agile Italia una navicella pirata
dell’export attorno alla lenta Germania, e altri luoghi comuni. Meno rilevanti risulterebbero invece i
fatti. Uno di questi è per esempio che l’export del «made in Italy» è sceso di 3,2 miliardi dal 2008 al
2010 anche verso la Germania, un Paese in pieno boom verso il quale pure non abbiamo rivalutato: il
problema è dunque la scarsa competitività nazionale, non la forza eccessiva della moneta. Altro fatto
trascurabile è poi che se si tornasse alla lira, o se la moneta unica si spezzasse in due fra Nord e Sud, la
Repubblica italiana si troverebbe di colpo con 1.900 miliardi di euro denominati in valuta estera. I debiti in euro infatti restano tali. E più quella valuta si dovesse rafforzare sulla nuova divisa italiana, più
l’onere del debito salirebbe a livelli insopportabili. I recenti «stress test» europei sulle banche hanno
rivelato che il debito pubblico italiano pesa per il 200%del «core tier 1» (cioè il capitale «buono» ) degli istituti nazionali: un incidente sul debito dovuto al ritorno alla lira o adozione dell’euro B rischia di
spazzare via il patrimonio del sistema finanziario nazionale. «As always, good luck» (come sempre,
buona fortuna): è la formula di saluto di Goldman Sachs nelle sue note agli investitori e andrebbe rivolta anche ai protagonisti della politica dello struzzo anche dall’altra parte delle Alpi. L’industria tedesca per esempio, che non reagisce mentre la cancelliera tedesca lotta per far fallire la Grecia e così
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allargare in Europa in contagio che mette a repentaglio la moneta. Dopotutto perché preoccuparsi? La
Cina— non la Francia o l’Italia— è il primo mercato mondiale per Volkswagen e tra poco potrebbe
diventarlo anche per Mercedes e Bmw. L’export tedesco verso la Repubblica popolare è cresciuto del
44%solo nel 2010, a 54 miliardi, per non parlare di quello verso la Russia o il Brasile. Dunque che bisogno ha ormai la Repubblica federale tedesca dell’Europa e della sua improbabile moneta? Nessuno
ovviamente, se non fosse per un dettaglio: senza il «peso» dell’insieme europeo, un eventuale nuovo
marco tedesco (o un «euro del Nord» ) si sarebbe probabilmente comportato in questi anni più o meno
come il franco svizzero. Dal 2009 si sarebbe rivalutato di circa il 50%sia sul dollaro che sullo yuan cinese. Siamo sicuri che senza la zavorra dell’euro l’export tedesco verso la Cina o gli Stati Uniti, i due
grandi mercati globali, andrebbe così bene? Può darsi. Tutto può darsi: persino che se l’euro si spezza
in due, l’Olanda annunci con sdegno che ovviamente lei starà con la moneta forte del Nord, ma che
Philips sposti la sede da Amsterdam a Barcellona dopo il «profit warning» che ha già fatto crollare il
titolo in Borsa il mese scorso. Può darsi anche che la Slovacchia, in questi giorni allineata a Berlino
contro Atene per dimostrare la sua solidità mitteleuropea, decida di schierarsi con l’euro del Nord. Poi
però magari Peugeot annuncerà che chiude le sue fabbriche in Slovacchia per spostarle in Bulgaria e
allora Bratislava potrebbe fare un giro di valzer e candidarsi come sede della banca centrale «sudeuropea» . Tutto può darsi. Del resto molti responsabili del sistema politico europeo stanno agendo in questi giorni con fantasia e ostinazione da bambini rissosi in un parco giochi. Da Roma a Berlino, passando per Francoforte, è tempo che dimostrino invece che sono degli adulti. Adesso. Domani può essere
tardi.
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Il duello (e l’equivoco)
tra la Cancelliera e Trichet
Domani si svolgerà a Bruxelles un importante vertice tra i capi di Stato europei per definire i termini
dell’aiuto alla Grecia. Questo vertice potrebbe essere inconcludente e alimentare ulteriormente la sfiducia dei mercati verso l’euro. Una delle ragioni è la differenza tra il punto di vista della Bce e quello
del governo tedesco. La Germania sostiene con forza che i costi dell’aiuto ad Atene devono essere pagati non solo con le tasse dei cittadini europei ma anche dalle banche e cioè dai privati; la Bce è contraria a un loro coinvolgimento in quella che, tecnicamente, viene chiamata ristrutturazione del debito
greco. Perche la Bce è contraria al coinvolgimento dei privati nella ristrutturazione del debito greco? Il
punto di vista della banca centrale va capito, perché dietro tale atteggiamento si colloca una concezione precisa dell’architettura dell’euro e la discussione che implicitamente coinvolge. Qualora i privati
venissero coinvolti nella ristrutturazione del debito e accettassero delle perdite, per la Grecia si tratterebbe di una bancarotta di fatto. La Bce per assolvere ai suoi compiti di finanziamento delle banche,
non potrebbe accettare titoli pubblici greci come garanzia perché questi avrebbero valore zero. E se li
accettasse significherebbe sussidiare implicitamente chi possiede debito greco. I costi dell’operazione
sarebbero perciò sostenuti dalla Bce e non dai governi europei. La Banca centrale europea, rifiutandosi
di accettare titoli greci in caso di «default» , cioè di bancarotta di fatto, difende un principio importante: quello della separazione tra politica di liquidità e politica di bilancio. Secondo questo principio, una
banca centrale ha la responsabilità di mantenere la liquidità necessaria al funzionamento dei mercati
finanziari offrendola senza limiti alle istituzioni che ne hanno bisogno, ma in cambio di titoli di garanzia di qualità. Se invece una banca o uno Stato hanno problemi di solvibilità sui loro debiti, il compito
di risolverli deve essere affidato allo Stato sovrano stesso che ha vari strumenti a sua disposizione per
affrontarlo. Confondere le responsabilità può creare gravi problemi di governo dell’economia con conseguenze potenzialmente pericolose per la stabilità finanziaria e dei prezzi. Questa è la logica della Bce
e il principio che sta dietro alla posizione di Jean-Claude Trichet nella discussione con Angela Merkel.
Il problema però è che questo principio è chiaro in economie dove autorità monetaria e di bilancio rispondono, pur nella loro autonomia, alla stessa giurisdizione. Non lo è in una situazione come quella
delle economie dell’euro dove l’autorità di bilancio risponde ai singoli governi e l’autorità monetaria al
Parlamento europeo. Nella prima situazione ognuno fa la sua parte. L’indipendenza della banca centrale garantisce che l’inflazione rimanga sotto controllo senza cedere alla pressione da parte del Tesoro
per la monetizzazione del debito pubblico, ma nel caso estremo di crisi sovrana o bancaria la banca
centrale è il cosiddetto prestatore di ultima istanza sia verso le banche che verso il governo. Se gli Stati
Uniti fossero vicini alla bancarotta, la Federal Reserve comprerebbe titoli pubblici. Il rischio sarebbe
l’inflazione ma il default verrebbe evitato e questo i mercati lo sanno. Le economie dell’euro non hanno questa possibilità. La Bce non può comprare debito greco, cosa peraltro impedita dal Trattato
dell’Unione europea concepito così proprio per evitare che la Banca centrale fosse costretta a cedere
alle pressioni di governi in difficoltà esponendo tutti i Paesi al rischio di inflazione. Il problema è che
questo principio, in assenza di un meccanismo che permetta un trasferimento fiscale alla Grecia, ci espone a speculazioni dei mercati sulla possibilità del «default» dei vari governi. L’architettura della
zona euro è quindi incompleta. Se vogliamo preservare la moneta unica e il suo governo dobbiamo
mettere la questione dell’integrazione fiscale europea al centro del dibattito. Implicitamente la Bce
spinge in questa direzione sperando che a quello si arrivi per passi progressivi sull’onda della necessità. Si crede che sia, infatti, politicamente irrealistico porre questa questione apertamente di fronte ai
cittadini. Soprattutto nel clima sempre piu xenofobo del Nord Europa, preferendo soluzioni tecniche la
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cui coerenza non è immediatamente chiara. Tuttavia i fatti recenti mostrano che, senza uno strumento
fiscale e di bilancio dell’Unione, i Paesi dell’euro sono soggetti a un continuo pericolo di instabilità finanziaria, a un alto costo del finanziamento del debito pubblico e alla necessità di politiche di austerità
eccessivamente severe che strozzano la crescita. Una minima unione fiscale e di bilancio europea
comporterà certamente dei costi in termini di tassazione, ma anche dei vantaggi. Questo dibattito si
deve fare apertamente e non solo dentro i comitati tecnici dell’Europa. E la Bce dovrebbe prendere la
leadership di questa discussione.
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Le «spine» di Ligresti
dopo l’alleanza a tempo
con il socio Unicredit
Domani l’ingegnere in Procura da Orsi
MILANO — L’agenda di domani un po’fotografa lo «stato dell’arte» di Salvatore Ligresti e del suo
gruppo: lui viene sentito in Procura da Luigi Orsi che indaga sull’ipotesi di reato di ostacolo alla Consob; il consiglio di Fonsai si riunisce per rispondere ai rilievi dell’Isvap; è possibile emergano le prime
indicazioni su nuovi soci della compagnia di assicurazioni, oltre al già noto Amber Capital, entrati in
occasione dell’aumento di capitale che si è concluso con il «tutto esaurito» . Il dossier sul tavolo del
pm riguarda la «fase uno» del cammino piuttosto lungo che ha portato il gruppo a vedere la possibilità
di un risanamento dopo che è scattato il segnale di allarme del margine di solvibilità, sceso sotto la soglia di sicurezza. Una fase cominciata nell’ottobre 2010 con la miniscalata di Vincent Bolloré, entrato
e salito al 5%in Premafin, la holding dei Ligresti, solo pochi giorni prima dell’accordo fra l’ingegnere
e la compagnia d’oltralpe Groupama. La Consob, che vuole vederci chiaro su alcuni passaggi di titoli,
ha sentito Ligresti ma evidentemente è rimasta poco soddisfatta delle sue spiegazioni. La fase due è
invece iniziata nella primavera di quest’anno quando Groupama si è ritirata dopo che l’authority ha
stabilito l’obbligo di Opa a cascata su Premafin e Fonsai. A quel punto Ligresti ha «stretto» con Unicredit, uno dei suoi principali creditori, fino all’accordo che ha portato Piazza Cordusio a essere il secondo socio di Fonsai con il 6,6%. L ’ingresso è avvenuto in occasione degli aumenti di capitale portati a termine da Fondiaria Sai per 450 milioni e dalla controllata Milano assicurazioni per 350. Operazioni che, con un risultato dato tutt’altro che per scontato dal mercato, non ha avuto bisogno di un intervento del consorzio di garanzia guidato da Crédit Suisse (che si era impegnato fin nella fase uno) e
da Unicredit. A questo punto, in virtù del patto parasociale tra Premafin e l’istituto guidato da Federico
Ghizzoni, il prossimo passo è previsto per il 2 agosto con l’ingresso nel consiglio Fonsai di tre rappresentanti Unicredit. Successivamente il nuovo team di manager costituito dall’amministratore delegato
Emanuele Erbetta e dal direttore generale con ampie deleghe Piergiorgio Peluso, proveniente da Unicredit, presenterà il piano industriale caratterizzato da elementi di discontinuità, focalizzando l’attività
sul core business assicurativo con dismissioni nei settori non strategici come l’immobiliare e
l’alberghiero. Tutto risolto, dunque? Accordo e ricapitalizzazione, che ha visto Unicredit impegnarsi
con 170 milioni, rimettono potenzialmente in sicurezza la solidità patrimoniale e fanno intravedere la
possibilità di un effettivo turnaround della compagnia. L’operazione con Piazza Cordusio è stata poi
accompagnata anche da una serie di intese con le banche che hanno fatto slittare i tempi di rimborso
dei debiti. Che tuttavia restano, e sono pesanti, in tutti i «piani» del gruppo: Sinergia, cioè la galassia
familiare non quotata dei Ligresti, ha un indebitamento di 291 milioni con una moratoria per due anni
e diverse scadenze a partire dal secondo semestre 2013; per Premafin il primo rimborso dei 325 milioni di debiti è previsto a fine 2013 con maxi rata finale a fine 2014; infine Fonsai è indebitata per 1,47
miliardi: per una parte dei debiti, circa 400 milioni, le principali scadenze sono nel 2012 e nel 2014,
mentre per il prestito subordinato da circa un miliardo (Mediobanca) i rimborsi sono distribuiti fra il
2018 e il 2027. La serie di accordi che ha scandito l’ultima parte del 2010 e la prima di quest’anno ha
costruito dunque una specie di «cordone sanitario» intorno al gruppo Ligresti, indebitato per oltre 2
miliardi, e ha portato a una svolta manageriale che in teoria dovrebbe interrompere alcuni «fili» che in
passato si sono manifestati soprattutto con operazioni infragruppo sull’immobiliare fra la galassia faRassegna Stampa del giorno 20 Luglio 2011
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miliare e non quotata e il gruppo assicurativo quotato. Passaggi di terreni ed edifici che in qualche caso
sono finiti nel mirino delle autorità di vigilanza. Il patto parasociale con Unicredit si configura però
come un’alleanza, a salvaguardia dei creditori, temporanea. Poi si vedrà: i Ligresti dovranno decidere
se conservare il controllo e impegnarsi sotto il profilo della conduzione manageriale, oppure se restare
solo soci o, ancora, se vendere. Non mancano compagnie in Francia, Germania, Svizzera o Austria che
possono aspirare a conquistare il secondo (più o meno alla pari con Allianz) gruppo assicurativo italiano. Auspicabilmente risanato.
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Un miliardo in cedole
nel nuovo piano Bpm
MILANO — Meno impieghi ai grandi gruppi e all’industria del mattone e più attenzione al territorio,
alle famiglie e alle piccole imprese. È un netto cambio di rotta quello deciso ieri dal consiglio della
Bpm con il nuovo piano industriale 2011-2015. Piano che ridisegna la strategia di Piazza Meda dopo i
rilievi mossi dalla Banca d’Italia. E che pone degli obiettivi ambiziosi: una crescita dell’utile dagli attuali 106 milioni a 394 nel 2015, con 1 miliardo di dividendi distribuiti, oltre due miliardi di proventi
operativi dagli 1,4 del 2010, una riduzione di 17 punti del costo del credito in tre anni e un Core Tier 1
del 9,9%. Per arrivarci il direttore generale di Bpm, Enzo Chiesa, ha disegnato un percorso che si snoda sostanzialmente lungo tre direttrici: redditività, territorio, efficienza. La prima è quella che sulla carta si presenta come la più impegnativa. Per migliorare la redditività e ridurre i rischi Bpm dovrà tagliare del 40%i crediti al «large corporate» e alle istituzioni finanziarie, e del 10%quelli al settore immobiliare. Le risorse verranno deviate verso le piccole e medie imprese e la clientela retail. È previsto anche
un deciso ritorno sul territorio per aumentare la raccolta diretta e indiretta. Il target indica 16 miliardi
in più, che arriveranno attraverso una nuova pianificazione commerciale, un nuovo modello organizzativo e lo sviluppo dei prodotti di risparmio gestito e bancassicurazione. Infine, per aumentare
l’efficienza Bpm fonderà le controllate Cassa di risparmio di Alessandria e Banca di Legnano creando
la «Banca del territorio» , che genererà risparmi di costo per 13 milioni. Adesso la parola alla Borsa.
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Del Vecchio sale nelle Generali
MILANO — Sorpresa: Leonardo Del Vecchio sale in Generali sopra il 2%. L’imprenditore di Luxottica, che a fine febbraio si è dimesso dal consiglio del Leone, è tornato a investire nella compagnia triestina. Socio da tempo con l’1,9%, Del Vecchio ha partecipato all’assemblea di fine aprile delle Generali con l’1,87. E il 13 luglio ha arrotondato la partecipazione sopra la soglia di visibilità del 2%. Evidentemente l’imprenditore, che in febbraio aveva comunque indicato di voler mantenere la propria
quota in Generali «sperando» in una ripresa del titolo, e che ha commentato l’uscita di Cesare Geronzi
come «una mossa che tutti gli azionisti aspettavano» , ora ha deciso di riprendere a investire anche per
diminuire i valori di carico dei titoli in portafoglio: ieri la quotazione del Leone ha guadagnato l’
1,75%a 12,8 euro. E sempre ieri a Trieste si è riunito il comitato di controllo interno, che ha aggiornato
la discussione al 4 agosto, vigilia del consiglio di amministrazione sulla semestrale. Il comitato, presieduto da Alessandro Pedersoli, ha preso in esame la valutazione della partecipazione in Telco, la
holding che ha il 22,4%di Telecom. Il consiglio di Telco il 6 luglio ha deciso per una svalutazione della quota detenuta da 2,2 a 1,8 euro (rispetto a prezzi che oscillano da tempo fra 1 e 0,9 euro, ieri ha
chiuso con un rialzo dell’1,4%a 0,85 euro) ed è probabile che Generali faccia altrettanto nella semestrale. Il 5 agosto inoltre il group ceo Giovanni Perissinotto potrebbe illustrare al consiglio i progressi
relativi all’alleanza con la russa Vtb. Si sta lavorando per un accordo quadro entro l’estate.
S. Bo.
Rassegna Stampa del giorno 20 Luglio 2011
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Boccata di ossigeno sui mercati
Fmi: la Ue si muova o sarà contagio
Milano recupera l’1,9%. Trichet: l’Italia ce la farà da sola
Su Atene non c’
è ancora accordo. Telefonata Merkel-Obama: sosteniamo la ripresa
Banca d’
Italia, slitta a dopo l’
estate la nomina del nuovo governatore
ROMA - Un rimbalzo tecnico. Così gli esperti spiegano il giorno roseo dei mercati. Dopo aver toccato
il fondo la Borsa recupera, i titoli bancari respirano e si allentano le tensioni sugli spread (differenziale
dei rendimenti) tra i titoli pubblici e il bund tedesco. Vale per l´Italia come per il resto di Eurolandia. Ma
i problemi di fondo rimangono: da noi la manovra e il maxi-debito, insieme all´incertezza politica; fuori
dai confini, il caso Grecia e le sue conseguenze. Per questo dal Fmi arriva un monito: «Un contagio è
possibile; serve un´azione più decisa per arrestarlo. I problemi del debito minacciano la ripresa globale». Preoccupato, il presidente Usa Barack Obama telefona al Cancelliere Angela Merkel: «La crisi va
gestita in modo efficace per sostenere l´economia».
E dunque: la speculazione concede una tregua e l´Italia riprende fiato. La Borsa di Milano guadagna
l´1,92%, la migliore performance d´Europa insieme a Stoccolma, grazie ai titoli bancari che risalgono.
Lo spread si riduce, ma resta sopra quota 300, segno che permangono tensioni latenti. Il governatore
uscente della Bce, Jean-Claude Trichet, si dice convinto che «l´Italia è in grado di superare la crisi da
sola, senza aiuto esterno». Di nuovo ribadisce il suo no al default anche selettivo di Atene. Altri esperti, a cominciare appunto dal Fmi, guardano al pericolo-contagio, dicono sì agli eurobond e avvertono:
un ritardo nella soluzione della crisi greca può «essere costoso per tutti».
Il monito non è casuale. Giusto domani, a Bruxelles, si riuniscono in via straordinaria i capi di stato e
di governo per trovare una via d´uscita alle vicissitudini di Atene, il vero detonatore delle turbolenze.
«Non ci sarà però nessuna soluzione spettacolare», avverte Merkel, preannunciando la proposta del
suo governo: «Un processo controllato di misure» che «dovranno susseguirsi nel tempo» per risolvere i problemi della Grecia «alla radice». Senza bacchetta magica. Pragmatica e determinata, la signora ribadisce che è «un nostro compito storico difendere l´euro», che una Europa senza la moneta unica è «impensabile» perché l´euro è «un bene per tutti».
Così, mentre gli sherpa sono impegnati in una maratona di incontri anche notturni per trovare
un´intesa (ieri anche una teleconferenza tra i vari Tesori) capace di salvare Atene e pure l´euro, la
speculazione si mette in attesa. Oltre all´Italia, respira pure la Spagna che colloca titoli per 4, 5 miliardi con tassi in rialzo e una buona domanda. Perfino la Grecia piazza i suoi bond con rendimenti in lieve calo. Ma la corsa ai beni rifugio continua: l´oro supera i 1610,70 dollari l´oncia, un nuovo record.
L´euro resta intorno a quota 1,42 sul dollaro. Wall Street guadagna: il Dow Jones sale dell´1,63%, il
Nasdaq del 2,22%.
In Italia, pare destinata a slittare la nomina del successore di Mario Draghi a via Nazionale. La pausa
è auspicata dal Quirinale che ritiene opportuno preservare una scelta così delicata dalle tensioni del
momento. Il presidente Giorgio Napolitano ne ha parlato con il premier Silvio Berlusconi nel recente
faccia a faccia. Anche per questa sollecitazione il consiglio superiore della Banca d´Italia, che ha un
ruolo-chiave nel processo di nomina, si è riunito ieri in via ordinaria e solo per sbrigare la normale
amministrazione. Il prossimo appuntamento è dopo l´estate.
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Prelievo sulle pensioni d’oro
auto blu, affitti e ristorante
le Camere studiano i tagli
Piano di Fini. Tremonti: sui vitalizi fate presto
Schifani risponde al ministro del Tesoro: “Agiremo in tempi immediati con la nostra autonomia”
ROMA - Fine della pacchia dei voli gratis per tutta Italia: il deputato volerà senza pagare solo tra Roma e la sua residenza o il suo collegio (uno dei due, dovrà scegliere). Le pensioni d´oro di onorevoli e
dirigenti dell´amministrazione saranno sottoposte al contributo di solidarietà. Chiuso un ristorante e
turni ridotti per la cena low cost del deputato. Taglio (piccolo) anche alle autoblu di Montecitorio. Gianfranco Fini cerca di mettere una pezza ai guai combinati dai colleghi durante la votazione della manovra. Anche la politica deve dare l´esempio. Allora il presidente della Camera sforbicia, riduce, ottimizza. Con l´obiettivo di ridurre privilegi e costi per 48 milioni nel biennio 2012-2013. E non è detto che ci
riesca. Perché il voto decisivo su queste proposte arriverà la prima settimana di agosto quando l´aula
sarà chiamata ad approvare il bilancio triennale.
Ieri Fini ha fatto avere le sue tabelle ai tre deputati questori, i tesorieri di Montecitorio. Oggi l´ufficio di
presidenza dovrà dare la sua risposta definitiva. Bisogna mandare un segnale tanto più in una giornata delicata per la credibilità delle istituzioni: si vota sull´arresto di Papa. Lo sa bene Fini, lo sa Tremonti che ieri ha richiamato le Camere a tagliare i vitalizi secondo le procedure della manovra appena approvata, lo sanno gli uffici di Montecitorio che con una lunga nota hanno risposto alle accuse diffuse
su Facebook da SpiderTruman, il precario vendicatore che denuncia gli sprechi. La Camera risponde
smontandone alcuni: i barbieri guadagnano in media 2400 euro e non 11 mila, il fenomeno dei pianisti
è stato già stroncato con la misura delle impronte, l´assistenza sanitaria viene pagata con contributi
mensili. Ma promette interventi per altri ammettendo che il problema c´è: sulle Millemiglia Alitalia ad
esempio.
Che le giornate siano difficili lo sa anche il presidente del Senato Renato Schifani. Al richiamo del ministro dell´Economia risponde che Palazzo Madama si adeguerà al taglio dei vitalizi d´oro e delle
pensioni super dei dipendenti con il contributo di solidarietà del 5 per cento per gli assegni sopra 95
mila euro e del 10 per cento per quelli sopra 150 mila. Alla Camera significa soldi che restano allo
Stato per 16,5 milioni. Ma Avvenire e Famiglia Cristiana insistono e avvertono: decidete subito non
rimandate.
Adesso Montecitorio e Palazzo Madama dovranno muoversi all´unisono. La piattaforma è quella delineata da Fini. Che però rimanda a dopo l´estate interventi sulle indennità («dobbiamo adeguarle agli
standard europei») e sulla riforma strutturale dei vitalizi. Ci vogliono infatti leggi e modifiche dei regolamenti. Per tutto il resto c´è la sessione d´inizio agosto. Lì, se vuole, la politica può fare qualcosa. Le
limitazioni ai viaggi aerei porteranno nelle casse dello Stato (o meglio non faranno uscire) 2 milioni di
euro nel biennio 2012-2013. La solidarietà delle pensioni maggiori frutterà 2 milioni e 100 quest´anno,
7,5 milioni nel 2012, 7 milioni nel 2013. Montecitorio straccerà i contratti di affitto per un pezzo di Palazzo Marini, per Palazzo Fiano Almagià, San Lorenzo in Lucina e via dei Lavaggi. In due anni risparmierà 29 milioni. La diaria, che rappresenta una voce importante dello stipendio, sarà agganciata
all´effettiva partecipazione ai lavori dell´aula. I portaborse non potranno più essere pagati direttamente dal deputato (altra voce dello stipendio per chi voleva fare la cresta) ma verranno retribuiti dalla
Camera. Sul modello del Parlamento europeo. L´altro taglio significativo colpirà la mensa. Fini annuncia la chiusura di uno dei molti ristoranti di Montecitorio. E nuovi turni della cena per risparmiare sugli
straordinari. Per un totale di 3 milioni risparmiati. Eppoi blocco dell´adeguamento dell´indennità e dei
vitalizi (10 milioni) e blocco del turn over del personale (1,7 milioni). È una cura dimagrante vera anche se non completa. Ma per il momento resta sulla carta. Manca il voto finale. Con tutte le sorprese
del caso.
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L’Ue processa l’Italia
“Tlc, troppi diritti negati”
Ignorate le norme anti-abusi su telefonia e Web
Le regole sono state approvate in sede europea nel 2009, ma in larga parte ignorate
ROMA - A Natale 2009, la Commissione europea ha precisato i diritti del cittadino che utilizza il telefono oppure Internet. Ma gli Stati e le Autorità nazionali di garanzia, che avrebbero dovuto trasferire
questi diritti nelle nostre vite e attuarli, non lo hanno ancora fatto. Per distrazione, per inefficienza.
Ora l´Europa si è stancata di aspettare e solleva adesso un "cartellino giallo". Venti Paesi ritardatari –
tra cui l´Italia, ovvio –ricevono una lettera di messa in mora. Hanno due mesi di tempo per giustificare
la loro pigrizia. Allo scadere di questo ultimatum, e in assenza di risposte concrete, subiranno un vero
e proprio processo europeo che si chiama "procedura di infrazione". Le Nazioni inadempienti rischiano, alla fine di questo percorso, una severa sanzione economica ed anche una cattiva figura.
Natale 2009, dunque. La Commissione europea approva un pacchetto di "leggi europee" (regolamenti
e direttive) che vuole aiutare i cittadini alle prese con le compagnie del telefono. Le 72 pagine di nuove regole, una specie di bignami, indicano i nuovi diritti a volte in termini generali, altre volte con precisione. Chi vuole cambiare operatore mobile, e conservare il proprio numero di telefono, dovrebbe
avere tempi di attesa di un solo giorno lavorativo e senza che il cellulare cessi di funzionare un istante. Altro esempio. Qualsiasi contratto può essere stracciato nel caso la società di telefonia cambi le
condizioni del servizio di sua iniziativa. E ancora. Il tele-utente deve avere diritto a contratti di durata
annuale che non si rinnovano in modo automatico: il rapporto, anzi, si prolunga se il cittadino lo vuole.
Direttive e regolamenti europei chiedono anche che le cabine telefoniche siano mantenute in funzione
e semmai aumentate nel numero e nella qualità del servizio (l´esatto contrario di quello che capita in
Italia). Le persone colpite da handicap, poi, hanno diritto a chiamare, chattare, navigare in condizioni
di «piena uguaglianza» con tutti gli altri cittadini. La nostra privacy - messa a rischio dai "vampiri" che
frequentano i social network come Facebook - deve essere blindata soprattutto quando il navigatore è
un «soggetto debole» perché minorenne.
Tutti gli strumenti che utilizziamo - ennesimo esempio - dovrebbero avere come una "segnaletica" che
ci aiuti e ci informi. Supponiamo che una Sim sia utilizzabile con un determinato operatore perché
bloccata e con nessun altro. Sul dorso, dovrebbe avere stampata la scritta "lock" (blocco) in modo
che il consumatore ne conosca, al volo, le caratteristiche.
L´elenco dei diritti potrebbe continuare. Il problema è che si tratta di possibilità solo teoriche fino a
quando i nostri governi e le Autorità li vorranno ignorare. Al momento, solo sette Nazioni hanno recepito per davvero queste norme, e le applicano. Sono la Danimarca, la Finlandia patria dei telefonini,
Irlanda e Regno Unito, la civile Svezia. Ma anche Paesi più piccoli come Estonia o Malta. Piccoli nelle
dimensioni o nel Pil, forse. Ma grandi a volte nel rispetto dei diritti.
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Fiat, Landini rilancia la battaglia per Pomigliano
Fiom pronta a sostenere
le cause individuali
TORINO - Lo aveva già accennato sabato, dopo la sentenza. E ora il leader della Fiom, Maurizio
Landini, torna alla carica: «Siamo pronti a sostenere tutti i lavoratori di Pomigliano che vogliono difendere i loro diritti aprendo cause individuali contro la Fiat».
Il tribunale ha dichiarato legittimi gli accordi siglati dal Lingotto e dalle altre sigle metalmeccaniche,
però ha anche stabilito che la Fiom deve essere riammessa in fabbrica. Ma ai metalmeccanici della
Cgil non basta: «Sosterremo le cause individuali di chi nel passaggio alla newco di Pomigliano non
vuol perdere i diritti che aveva», annuncia Landini. E spiega che quello messo in atto da Fiat è «un
aggiramento delle norme sul mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento
d´azienda». Non solo. Il legale del sindacato, Nanni Alleva, aggiunge che per ora nessuna delle 137
assunzioni fatte dalla newco riguarda iscritti della Fiom, quindi se emergeranno «una prova statistica»
o «un ritardo poco spiegabile» l´organizzazione farà ancora ricorso per condotta antisindacale.
Dopo la sentenza la Fiat ha congelato gli investimenti in attesa di leggere le motivazioni e per Landini
è un fatto «inquietante». Ma per il leader sindacale il vero problema è «un´azienda che non accetta di
rispettare la legge, che non spiega se non per il 5% dove e come vuole investire gli annunciati 20 miliardi e intanto chiude stabilimenti a Imola, Termini Imerese e Avellino».
Piccate le repliche degli altri sindacati. Per Roberto Di Maulo (Fismic) alla Fiom «gli insuccessi danno
alla testa». Secondo Rocco Palombella (Uilm-Uil) quella della sigla della Cgil è «una strategia della
disperazione, sintomo che la Fiom ha bisogno di ritrovare una linea politica». Giuseppe Farina (FimCisl) taglia corto: «È un comportamento irragionevole, che non porterà a nulla visto che i giudici hanno già bocciato il loro ricorso».
(ste. par.)
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Doccia gelata sui conti
di Bank of America
Quasi 9 miliardi di perdite in tre mesi. Euforia per Ibm, Cisco e Coca-Cola
Obama ottimista: è più vicino il compromesso sull´innalzamento del tetto del debito
NEW YORK - Quasi 9 miliardi di perdite trimestrali per la Bank of America che continua a pagare la
crisi dei mutui. Meno utili per Goldman Sachs che scopre le virtù della prudenza in una fase di acuta
incertezza sui mercati. Euforìa invece per Ibm, Cisco, Coca-Cola: è l´economia reale che risolleva i
risultati delle grande imprese Usa, ma anche lì non sono tutte rose e fiori, vuoi perché i profitti vengono dall´estero più che dal mercato americano, vuoi perché frutto di operazioni di ristrutturazione che
scaricano costi sociali pesanti sul mercato del lavoro (i 6.500 licenziamenti di Cisco). Una giornata di
risultati trimestrali offre una sintesi realistica e severa della «ripresa malata» che affligge gli Stati Uniti.
Mentre i mercati festeggiano qualche segnale di schiarita nella battaglia tra Barack Obama e i repubblicani sul deficit (le probabilità di un compromesso bipartisan sembrano in risalita), la botta più pesante viene da Bank of America. Quello che è tornato ad essere il più grosso istituto di credito Usa
per volume di attivi e depositi, deve segnare 8,8 miliardi di rosso in soli tre mesi. In larga parte si tratta
del conto da pagare per chiudere le cause giudiziarie con un gruppo di importanti clienti istituzionali,
che hanno trascinato Bank of America davanti alla giustizia per i danni subiti col collocamento di «titoli
strutturati» legati ai mutui subprime. Tra i 20 grandi investitori con cui Bank of America ha raggiunto
una transazione, pagando 8,5 miliardi di danni, figura anche la filiale più importante della banca centrale (Federal Reserve Bank of New York), gli istituti pubblici del credito immobiliare Fannie Mae e
Freddie Mac, nonché il colosso della gestione di fondi BlackRock. Questo accordo non chiude però la
lunga lista di cause giudiziarie che Bank of America deve risolvere prima di poter mettere la parola fine al disastro dei mutui. L´onere è particolarmente pesante a causa della sciagurata decisione presa
all´apice della crisi di acquistare Countrywide Financial, istituto specializzato nei prestiti immobiliari
subprime. Pagato all´epoca 4 miliardi, un prezzo che parve sul momento come una «svendita»,
Countrywide è diventato un buco nero nel bilancio di Bank of America che continua a generare perdite.
Tanto più che il mercato immobiliare negli Stati Uniti è uno dei punti più deboli della situazione economica: nella maggioranza delle aree del paese i prezzi continuano a scendere, come se non ci fossero limiti ai ribassi. La situazione è diversa per Goldman Sachs che nella trimestrale indica un profitto di oltre un miliardo, e tuttavia ha deluso le aspettative dei mercati. Goldman Sachs ha denunciato
un calo del 53% nei ricavi del settore «reddito fisso» che include obbligazioni, valute e materie prime.
Una spiegazione sta nell´insolita prudenza (i rischi assunti sono calati del 26% dall´anno prima), imposta a Goldman Sachs da due ordini di incognite: da una parte l´incertezza che avvolge la ripresa
americana e mondiale; dall´altra i limiti alle attività finanziarie posti dall´insieme di nuove regole entrate in vigore sui mercati con la riforma Obama (in realtà battezzata Dodd-Frank dal nome dei due principali firmatari al Congresso). Dunque anche per Goldman, che in passato aveva fama di essere tra
gli attori più audaci del mercato, ha adottato un profilo più basso a costo di sacrificare opportunità di
profitto (ha anche deciso di tagliare mille posti). In fatto di utili la giornata è stata più generosa sul
fronte delle imprese industriali. A rafforzare l´euforìa di Wall Street, oltre alle speranze di schiarita sui
tagli al deficit federale, sono giunti tre colossi dell´economia reale. Ibm il giorno prima aveva presentato risultati ben più floridi delle aspettative, il che ha spinto le sue azioni a raggiungere un massimo
storico. Un altro colosso hi-tech, la Cisco, è balzata al rialzo dopo l´aggiunto che alleggerirà i suoi organici sfoltendo di quasi un decimo il numero dei dipendenti. Coca-Cola ha messo a segno un miglioramento del 18% nei risultati del secondo trimestre, ma a tirare la volata sono le vendite sui mercati
esteri: anche quando le notizie sono buone, come in questo caso, confermano la disarmante debolezza del mercato interno.
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La Fiba-Cisl
augura a tutti voi
una giornata serena!!
Salta il piano Farina-Palenzona per
il salvataggio della Norman
La società verso il fallimento. Ex amministratori nel
mirino
Il tribunale respinge la proposta di concordato di Concilium
ETTORE LIVINI
EMILIO RANDACIO
MILANO –Salta il salvataggio della Norman ´95 e per la ex-società
della famiglia Cimatti di cui Fabrizio Palenzona è stato a lungo vicepresidente si spalancano le porte del fallimento. Il tribunale di Milano ha
respinto ieri l´istanza di concordato preventivo proposta da Concilium,
una società controllata da Vittorio Farina – patron della Ilte e alter ego di
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