Un aforisma al giorno 2

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Un aforisma al giorno 2
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Rassegna Stampa del giorno 4 FEBBRAIO 2011
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
puoi anche confutare
un’
intera relazione,
ma neanche un attimo di silenzio!
”
(Alfred dè Vigny)
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Lavorare meglio guadagnare di più
Competitività e aspirazioni sociali Se in azienda torna il sogno americano
La vertenza Mirafiori ha sollevato comprensibili preoccupazioni sul rapporto fra competitività delle
imprese e condizioni di lavoro. All’interno del mondo sindacale è stato evocato il rischio di una «americanizzazione» dei modelli contrattuali e produttivi del nostro Paese: stipendi milionari e «benefits» ai
manager, bassi salari agli operai, regresso verso modalità di prestazione che si consideravano superate,
ma che oggi vengono riproposte per «competere con la Cina»
Le preoccupazioni non sono prive di fondamento. Come attestato da numerose inchieste, la globalizzazione ha realmente condotto negli Usa ad un peggioramento delle condizioni lavorative in alcuni settori e tipologie di imprese. L’esempio canonico è il colosso della distribuzione Walmart, che paga salari
più bassi della soglia ufficiale di povertà senza peraltro offrire alcuna tutela sociale. Se
nell’immaginario collettivo il punto di riferimento diventa Walmart come possiamo stupirci se il contratto nazionale e i diritti acquisiti diventano una sorta di linea del Piave per molti lavoratori e le loro
famiglie? La sfida è trovare altri punti di riferimento, esperienze concrete di conciliazione virtuosa fra
le esigenze di competitività delle imprese e le aspirazioni economiche e sociali dei lavoratori. Una ricerca appena pubblicata negli Stati Uniti fornisce preziose indicazioni proprio in questa direzione (J.
Heymann e M. Barbera, Profit at the bottom of the ladder, Harvard University Press, 2010). Frutto di
sei anni di studio, il libro illustra una gran quantità di «buone pratiche» , osservate in nove Paesi in diversi settori produttivi. Qualche esempio, fra i tanti. Costco, diretto rivale di Walmart nella distribuzione all’ingrosso, ha introdotto qualche anno fa uno schema innovativo di formazione e carriera dei
propri addetti. Vi è stato subito un salto di qualità nei servizi alla clientela. I dipendenti Costco guadagnano ora quasi il doppio di quelli di Walmart. American Apparel, grande impresa tessile, ha puntato
su incentivi retributivi, ma anche sulla salute e prevenzione sanitaria di chi lavora ai telai (clinica di
stabilimento, pause periodiche con esercizi di fisioterapia): l’approccio esplicitamente sweatshop free
(privo di regole o pratiche «sfruttatrici» ) ha consentito a questa azienda di reggere senza problemi la
concorrenza cinese. Anche alla Novo-Nordisk (farmaceutici) operano macchinari all’avanguardia sotto
il profilo ergonomico. Uno schema di incentivi monetari incoraggia inoltre gli operai a dare suggerimenti su come migliorare il processo produttivo. L’azienda stima che lo schema abbia prodotto un incremento di efficienza pari al 50%. La canadese Great Little Box (imballaggi) ha sperimentato a sua
volta un programma di «rilevazione delle buone idee» che può fruttare a un dipendente un bonus di
2.500 dollari per idea (grande successo, anche in termini di profitti). In linea con le attese della womenomics, molte aziende hanno puntato su pratiche e servizi di conciliazione per le dipendenti con figli.
L’australiana Autoliv (componenti per auto) ha visto crollare i tassi di assenteismo a seguito di una
nuova politica aziendale sui congedi e la flessibilità dei tempi di lavoro, con ricadute virtuose su motivazione e produttività. Molte aziende hanno poi introdotto efficaci sistemi di partecipazione ai profitti
coinvolgendo i sindacati, quasi sempre con effetti economici molto positivi. La ricerca di Heymann e
Barbera insiste su una caratteristica comune di tutti i casi esaminati: le aziende non si sono limitate a
incentivare manager e quadri intermedi. Hanno coinvolto la base larga dei propri dipendenti, a cominciare dagli addetti alle linee di montaggio. Il quadro che emerge è interessante e rassicurante proprio
perché combina competitività e inclusione: più profitti a partire dal fondo della scala, ma anche per tutti quanti si trovano in fondo (e hanno concrete opportunità di salita). Esempi sparsi e disordinati, si dirà, incapaci di sostituirsi a Walmart nell’immaginario di lavoratori sempre più insicuri e di imprenditori sempre più oppressi dal peso dei costi. Come si può imboccare la strada della competitività inclusiva
se i mercati finanziari e le borse non tengono in alcuna considerazione l’investimento in capitale umano e premiano solo i tagli e le ristrutturazioni? Le autrici della ricerca sono ben consapevoli di questi
problemi e propongono alcune soluzioni. Il messaggio finale è però ottimista: esiste una strada sweatshop free per i sistemi produttivi dei Paesi sviluppati. Ma possiamo imboccarla solo se imprenditori e
sindacati ci credono e ci provano seriamente: nel rispetto dei loro ruoli e del loro contrasto d’interessi,
però collaborando su alcuni obiettivi strategici, con inventiva e pragmatismo
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Il «Patto per l’euro»
alla prova di Bruxelles
Critiche al piano di Berlino e Parigi. Juncker (Eurogruppo): non possono decidere da soli
BRUXELLES — La Germania, con l'appoggio della Francia, punta a ridisegnare l'organizzazione dell'Ue a 27 membri imponendo solo ai 17 Stati della zona euro un governo dell'economia fondato su un
«Patto per la competitività» di stampo tedesco e con aperture alla destra sociale francese. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato che anticiperà a grandi linee il suo progetto, concordato con il
presidente francese Nicholas Sarkozy, nel Consiglio dei capi di Stato e di governo in programma oggi
a Bruxelles, che aveva in agenda solo l'energia e l'innovazione. Ma la Commissione europea e vari Stati membri si sono sentiti scavalcati dal dirigismo franco-tedesco. «Non è che uno decide e tutti gli altri
seguono — ha protestato il presidente dell’Eurogruppo e premier lussemburghese Jean-Claude Juncker
— . La buona politica europea è quella in cui prima ci sono le proposte della Commissione; poi il Parlamento e il Consiglio, nell'ambito del processo di codecisione, giudicano quelle proposte» . A Berlino
hanno già deciso come superare l’eventuale scontro istituzionale con i governi schierati con la Commissione europea. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha ventilato il ricorso alla
«cooperazione rafforzata» . In pratica i Paesi favorevol i a l «P a t t o p e r l a competitività» aderirebbero da soli lasciando fuori quelli contrari. «Durante il pranzo parleremo della situazione dell'euro e
discuteremo del meccanismo di rafforzamento del fondo anticrisi e di questo patto per la competitività
— ha annunciato la Merkel incontrando il premier spagnolo José Luis Zapatero a Madrid — . Bisogna
rafforzare l a competitività per garantire il benessere dell'Europa» . La cancelliera concederebbe ai Paesi con difficoltà di bilancio l'aumento della dotazione del Fondo salva-Stati purché accettino un governo dell'Eurozona di fatto guidato da Berlino e da Parigi, impostato sul rigore finanziario e sugli
standard di competitività voluti dalla Germania. Merkel e Sarkozy, al di là del contenuto specifico di
questo nuovo Patto a 17 (conti pubblici in ordine, debito verso il 60%del Pil, età pensionabile a 67 anni
come in Germania, abbandono delle indicizzazioni salariali automatiche, ecc.), intendono privilegiare
il metodo «intergovernativo» a matrice franco-tedesca per le decisioni relative all’euro, marginalizzando quello «comunitario» della Commissione europea. Germania e Francia consoliderebbero questa trasformazione proponendo un summit annuale dei capi di Stato e di governo dell'Eurogruppo, lanciato
da Sarkozy come iniziativa d'emergenza anticrisi, per integrare le riunioni mensili dei ministri finanziari della zona euro. Il premier Silvio Berlusconi, in vista del vertice di oggi, aveva scritto al presidente stabile del Consiglio dei capi di governo, il belga Herman Van Rompuy, sostenendo la posizione italiana sull’energia («strategica» la collaborazione con la Russia, anche per la «diversificazione» delle
rotte di approvvigionamento) e sull’innovazione (aiuti soprattutto alle «piccole e medie industrie» ).
Ieri Berlusconi è stato aggiornato telefonicamente da Van Rompuy, ma intenderebbe esprimersi sulle
conseguenze per l’Italia del «Patto per la competitività» dopo aver ascoltato la Merkel.
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Prima frenata della cassa integrazione
A gennaio calo del 25%. Sacconi: la ripresa c’è, le risorse basteranno
ROMA— Calano le richieste di cassa integrazione a gennaio 2011 rispetto a un anno fa (-25,5%) ma
anche in confronto a un mese prima (-30,3%). Dati Inps che, secondo il ministro del Lavoro, Maurizio
Sacconi, «confermano la ripresa della produzione, anche se selettiva» , ma che i sindacati valutano con
più prudenza. Intanto l’indicatore dei consumi di Confcommercio segnala, a dicembre scorso, una diminuzione dello 0,5%in termini tendenziali, a fronte di un -0,9%rispetto a un mese prima, a conferma
di «una sostanziale stagnazione della domanda» . Il comparto più dinamico si conferma quello delle
comunicazioni e Ict domestico (+2,7%nel 2010 e +2,4%a dicembre). In netta diminuzione invece la
mobilità (-8,7%nell’anno e -14,1%a dicembre) a causa dei settori auto e moto. Segnali contrastanti,
dunque, sulla tenuta del Paese. Ritornando agli ammortizzatori sociali, a gennaio sono state chieste all'Inps 60,3 milioni di ore. Più in particolare si registra, rispetto a dicembre 2010, un calo del 14,6%per
la cassa integrazione ordinaria (cigo), una diminuzione del 44,9%per la cassa integrazione straordinaria (cigs) e una flessione del 16,8%per quella in deroga (cigd). Quanto ai settori, il calo più significativo riguarda l'industria e l'artigianato (-31,6%rispetto a dicembre 2010) e il commercio (-36%). Si conferma anche la flessione delle domande di disoccupazione e mobilità. «È un segnale importante —
commenta il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua — . Da 3 mesi anche le richieste della cigd
mostrano una decisa flessione» . Più cauti i sindacati. «C'è una parte dell'economia, soprattutto quella
legata alle grandi imprese, che riprende, ma il problema resta la disoccupazione» rileva il leader della
Cgil Susanna Camusso. Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl, va nel dettaglio: «Sul
calo del 44,9%delle richieste di cigs incide probabilmente il raggiungimento, da parte di molte aziende, dei limiti di utilizzo» . E ancora: «Sono centinaia di migliaia i lavoratori ancora in cig e, considerando il livello raggiunto dalla cigs, solo una parte di essi potrà rientrare nelle aziende» . Guardando ai
dati tendenziali, in valore assoluto, si riscontra che il calo, un dimezzamento, riguarda la cassa ordinaria, mentre per le altre due forme di ammortizzatori il calo è meno percepibile, soprattutto per la cassa
in deroga, cui ricorrono molte aziende che hanno esaurito la cigs. Sacconi è ottimista: «Le risorse disponibili per gli ammortizzatori sociali, tarate peraltro sulle ipotesi peggiori, risultano ancor più sufficienti a garantire la protezione del reddito nell'anno in corso. Gli allarmismi risultano così del tutto ingiustificati» .
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Fisco più leggero per le famiglie,
la lezione del “modello Parma”
MILANO — Sono il motore del Paese, ma per la prima volta dal 1995 sono più povere. Rappresentano
il capitale umano per eccellenza, ma troppo spesso vengono lasciate sole. Hanno un piccolo tesoro da
parte, ma sono state costrette a intaccarlo. E gli aiuti previsti — assegni, bonus bebè, patti per la casa,
agevolazioni fiscali per l’asilo nido, sostegno alle mamme lavoratrici — «non sono sufficienti» , sostengono gli economisti. Per capirlo, basta un confronto: la spesa pubblica nazionale per le famiglie —
perché di loro stiamo parlando— è ferma all’1,43%contro il 2,21 della Ue. «Serve una svolta» .
L’appello arriva da Parma, la città del «quoziente» , tariffe e servizi comunali scontati in base ai componenti della famiglia. Con un’ambizione: estendere questo modello a tutta l’Italia. Costruire
un’Europa Family friendly. Se ne discute nella conferenza internazionale del «Network europeo città
per la famiglia» , oggi e domani proprio a Parma. I dati: secondo i risultati del Family database
dell’Ocse, la spesa pubblica per la famiglia incide mediamente sul 2,21 per cento del Pil. In testa alla
classifica, Danimarca (3,67%), Francia (3,66%) e Regno Unito (3,55%). L’Italia, con l’1,43 per cento,
è alla ventunesima posizione. Come se non bastasse, la percentuale delle madri italiche lavoratrici (con
figli da 0 a 15 anni) è undici punti sotto il tasso di occupazione femminile tout court (50%contro 61),
al terzultimo posto nell’Europa dei 27. Nulla di incoraggiante. Luigi Campiglio, prorettore della Cattolica di Milano (interverrà questa mattina al forum parmigiano), spiega: «Chi paga per la crisi economica in Italia? La classe media e i bambini. E le famiglie dai due figli in su» . La ricetta: «Puntare sulla
qualità. Dei servizi e delle persone. Il capitale umano è un patrimonio che si costruisce nel tempo e si
traduce in sviluppo sostenibile. Un buon esempio è la Francia. L’Italia? È senza modello» . Qualche
modello, in realtà, c’è. A 1,43%la spesa pubblica dell’Italia per le famiglie: è alla ventunesima posizione tra i Paesi della Ue 2,21%del Pil: la media europea (Ue a 27) degli investimenti statali per le famiglie 47,9%il tasso di occupazione delle donne con figli di età inferiore ai tre anni. La media europea
è del 50,17% partire proprio da Parma, con il suo quoziente (maggiore è il peso che il nucleo familiare
deve sostenere, dal numero di figli a quello di anziani, disabili o cassintegrati, maggiore è il sistema di
detrazioni tributarie). E poi c'è Roma, che ha appena approvato una serie di sconti per le famiglie. E il
fondo anticrisi di Milano, 5 milioni di euro. Cecilia Maria Greci, delegata del sindaco di Parma
all’Agenzia della famiglia, commenta: «Condividere il nostro percorso è un’opportunità per crescere.
La famiglia tiene, ma è responsabilità di tutti sostenerla» . Tanto più, dicono le statistiche, che con
l’arrivo di un figlio il taglio di reddito familiare si aggira intorno al 30 per cento. L’idea: «Promuovere
un fisco più a misura di famiglia impegnandosi a conciliare i tempi di cura e di lavoro. Potrebbe essere
un bel modo per festeggiare 150 anni dell’Unità d’Italia» . Aggiunge il sindaco Pietro Vignali: «È necessario agire sul sistema fiscale tenendo conto dei componenti della famiglia. Noi abbiamo il nostro
quoziente. È arrivato il momento di estenderlo a tutta Italia» . Dibattiti, forum, tavoli istituzionali.
Qualcosa si muove. Anche a Roma. Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio
con delega al Welfare (sarà domani alla conferenza internazionale), conferma: «Le buone pratiche dei
Comuni si integrano con quelle delle Regioni e dello Stato» . Annuncio: «Il piano per la famiglia—
con figli — dovrebbe essere pronto per aprile, quello per l’infanzia è stato approvato. Ci sono anche
gli stanziamenti: pensiamo a 60 milioni di euro» .
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Trichet non frena sui prestiti
La Bce lascia fermi i tassi. «Per ora prezzi sotto controllo»
FRANCOFORTE — La Banca centrale europea frena sulle aspettative di imminenti rialzi dei tassi,
segnalando che il costo del denaro, è a un livello «ancora» appropriato alla situazione. Peraltro, la recente impennata dei prezzi al consumo al 2,4%di gennaio, dovuta al rialzo dei prezzi energetici, era
largamente attesa dalla Bce. La Banca centrale prevede che il ritmo d’incremento dei prezzi rimarrà
sopra al 2%per la gran parte del 2011, prima di tornare a scendere. Per il numero uno della Bce, JeanClaude Trichet, si tratta dunque di un fenomeno temporaneo, mentre «l’inflazione che conta è quella
del medio termine» , che per ora rimane «ben ancorata» alle aspettative. Trichet ieri ha aggiunto tuttavia che la Bce rimane «molto vigile» sugli ulteriori sviluppi, pronta a intervenire, perché «i rischi di
inflazione potrebbero aumentare» , e per questo è importante che non si inneschi la spirale prezzisalari. Nel frattempo la Bce monitora «con grande attenzione» anche la situazione in Egitto, e di un
possibile effetto domino su altri Paesi del Nord Africa, per coglierne le conseguenze sull’economia e
sui mercati finanziari. Ma il tono usato da Trichet, meno rialzista di quanto fosse apparso in gennaio,
ha deluso i mercati. Nel giro di pochi minuti l’euro è calato dell’1%nei confronti del dollaro, a quota
1,3653. E le parole del banchiere centrale francese hanno pesato anche sulle Borse, già in tensione per
la crisi egiziana: Milano ha perso lo 0,93%Londra lo 0,28%, Parigi lo 0,74%e Francoforte ha tenuto,
riducendo le perdite allo 0,14%. Su Wall Street, nonostante dati statunitensi migliori del previsto sul
mercato del lavoro, sui servizi e sugli ordinativi all’industria, hanno pesato le parole di Ben Bernanke.
Il presidente della Fed ha infatti avvertito che il debito può «pesare gravemente sull’economia» , che
sta crescendo «più rapida nel 2011, sostenuta dal settore privato» , ma non in misura sufficiente per ridurre la disoccupazione in modo significativo (sotto il 9%). Per Bernanke ci vorranno «vari anni» prima che il tasso di disoccupazione torni normale. La Fed proseguirà pertanto con il programma di acquisto di titoli di Stato, per sostenere l’economia, mentre giudica l’inflazione globale «molto bassa» ,
nonostante i recenti rialzi di alcuni prezzi energetici e delle materie prime. Anche Trichet ieri è tornato
a chiedere «piani di risanamento credibili» per Eurolandia, perché la crescita prosegue, ma è ancora
gravata da elevate incertezze. I mercati monetari sono in miglioramento, nota la Bce, ma alcuni segmenti ancora non funzionano normalmente e rendono difficile la prosecuzione del ritiro dalle misure
straordinarie. L’Eurotower si auspica anche una riduzione della dipendenza delle banche dai suoi prestiti straordinari, per preparare meglio i mercati a un aumento dei tassi di interesse, che secondo gli operatori potrebbe avvenire a partire dalla metà del 2011. Da qui, secondo Trichet, l’urgenza di aumentare l’efficacia e l’ampiezza dei provvedimenti del fondo salva-Stati Efsf, in discussione oggi al vertice
della Ue a Bruxelles.
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La grande battaglia Bpm,
la Cgil si spacca
Megale: basta con gli interessi personali. Cinquecento iscritti verso la Cisl
MILANO — «Il giorno in cui qualcuno uscirà non sarà per ragioni politiche, ma perché questo sindacato ha avviato un processo di trasparenza e rinnovamento generazionale. Quel qualcuno non vuole
mollare il potere e ha messo il suo ruolo al servizio di interessi personali» . Dura presa di posizione
Agostino Megale, segretario nazionale dei bancari della Cgil, raccolti nella Fisac, sullo strappo che si
sta consumando in queste ore a Milano, nella Bpm. Dove buona parte della componente socialista della stessa Fisac sarebbe pronta a far le valigie per passare alla Fiba-Cisl. Tra chi guida il dissenso, lascia
intendere Megale, c’è chi ha ricevuto promozioni e prebende dopo aver sostenuto il cambio al vertice e
l’arrivo di Massimo Ponzellini al posto di Roberto Mazzotta. Una vicenda, quella dei forti aumenti e
dei bonus ricevuti da alcuni esponenti dell’Associazione Amici della Bpm che ha colpito trasversalmente tutti i sindacati la scorsa primavera. Da quel momento sono partite le campagne moralizzatrici e
oggi la posizione della Fisac è condivisa sia dal sindacato autonomo dei bancari e prima formazione
per dimensioni in Bpm, la Fabi, sia dalla Uilca. Quest’ultima organizzazione era stata protagonista tre
anni fa di un massiccio ingresso di 700 lavoratori soci provenienti dalla Fabi. Nella Cgil, dove forse da
troppo tempo è alta la tensione tra la sinistra e i socialisti, la resa dei conti è attesa la prossima settimana, martedì. Quando in piazza Meda si svolgerà l’assemblea della Fisac alla presenza di Megale.
All’ordine del giorno c’è il rischio scissione. «Il mio è un appello all’unità, chi vuole dividerci si assume responsabilità enormi. Chi vuole dividerci è contro la banca e contro l’interesse dei lavoratori»
ha insistito Megale. Tra i possibili dissidenti qualcuno parla di rottura «drammatica che rischia, però,
di essere inevitabile» . La principale critica alla Fisac è quella di «non aver capito o aver capito troppo
tardi» la necessità di fare le riforme. Nei prossimi giorni la Fiba-Cisl dovrebbe presentare un documento di proposta di modifica della i al modello della cooperativa e alla figura del lavoro-socio. Sono queste alcuni dei passaggi fondamentali del documento di proposta di modifica dello Statuto della banca
tutta ispirata alla valorizzazione della natura cooperativa della Bpm. Potrebbe essere questo il calumet
della pace? Dentro ci sono paletti anti-ribaltone e nuovi e più alti argini di difesa contro gli attacchi alla Popolare. Si punta a estendere tutele, diritti e oneri ai dipendenti delle controllate strategiche, compresa la Banca di Legnano che è una Spa. E si vuole eliminare ogni possibile spazio di formazione di
maggioranze alternative a quelle democraticamente elette nella convinzione che, «superata la crisi economica, rinvigorite spinte capitalistiche potranno avanzare istanze che palesano l’annacquamento
dell’interesse sociale proprio della Banca, per dare luogo a un ulteriore "scardinamento"della cooperativa» .
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Della Valle: sistema vecchio,
il problema non è Bazoli
MILANO— «In realtà non c’è un asse. È solo un vecchio sistema oramai al tramonto e il problema
come si è poi visto non era Bazoli» . È quanto ha sostenuto ieri Diego Della Valle rispondendo con una
dichiarazione all’Ansa sulle ipotesi che, con le sue recenti affermazioni, abbia nel mirino il presidente
di Generali, Cesare Geronzi e quello di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, e una loro linea comune su
Rcs MediaGroup, editore del Corriere della Sera. E sempre secondo Della Valle, che nel board Generali ha chiesto che il Leone venda la quota n Rcs, non ci saranno ripercussioni sulle altre partecipazioni
del Leone come Mediobanca e Telecom. Al quotidiano online Lettera43 il proprietario della Tod’s ha
detto: «Non succede niente, in fondo ho chiesto a Generali di liberarsi di una piccola partecipazione.
La strada è quella, non penso che ciò provocherà terremoti. Ma quel che conta è che la si faccia finita
con certi metodi» . E sempre ieri l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha detto
che «le società finanziarie dovrebbero focalizzarsi sul core business, lo facciamo anche noi» . Ghizzoni
ha precisato che «non è un discorso su Generali, ma in generale» .
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Tra gli azionisti Parmalat
Rockefeller, Ford e Gm
La lista dei 409 soci all’ultima assemblea: 407 sono esteri
MILANO— Chissà se i prossimi 12-13-14 aprile all’assemblea della Parmalat per il rinnovo del board
ci saranno gli insegnanti della Louisiana con le loro 100 azioni, la Rockefeller Company con le sue
121.535, i pensionati della svizzera Ubs (291.024), dell’Ibm (203.444), della Jaguar (2.603), dello Stato dell’Indiana (72.268), dell’Honeywell (356.400) piuttosto che i minatori americani (41.087). La lista
è lunghissima: 409 tra fondi pensione — per qualche ragione il titolo di Collecchio piace moltissimo
agli ex dipendenti delle case automobilistiche, con General Motors, Rolls Royce, Land Rover e Ford in
prima linea — , investimenti governativi — c’è il Giappone oltre a molte amministrazioni cittadine
come Los Angeles — e addirittura i fondi dell’Unione Europea per i rifugiati palestinesi. Certo, per la
maggior parte si tratta di pacchetti da poche decine o centinaia di migliaia di azioni, frazioni di un interesse che raggiunge i quattro angoli del mondo, dall’Alaska a Hong Kong. Ma che in ogni caso mostrano il dna (per ora) fortemente public della company Parmalat. E che fanno comprendere meglio
l’interesse globale certificato dai molti articoli usciti sulla stampa estera la scorsa settimana, dal San
Francisco Chronicle a Newsweek, sulla battaglia scatenata per il dopo Bondi da Mackenzie, Skagen e
Zenit. Sono infatti tutti azionisti «attivi» che si sono presentati a votare all’ultima assemblea del 1 aprile 2010. Quello che colpisce ulteriormente è che su 409 soci attivi ben 407 sono esteri (tranne Mediobanca e Intesa Sanpaolo). La presenza della Public School della Pennsylvania, del Trinity College, di
Abu Dhabi, della 3M, di Motorola o della Caisse de Depot du Quebec si giustifica anche con
l’importanza che la multinazionale Parmalat aveva all’era di Calisto Tanzi, prima del crac del 2003. Al
di là delle truffe contabili, dei bilanci rielaborati con il copia e incolla di Microsoft Word e delle lettere
di credito finte, il latte Uht e i prodotti Parmalat erano sugli scaffali di mezzo mondo. Il marchio era
globale. Eppure tra questi soci «fantasma» , che, restando sotto il 2%, non appaiono sui radar della
Consob ma solo sul libro soci dell’azienda collecchiese, ce n’è qualcuno che potrebbe dare il proprio
apporto e che in caso di battaglia converrebbe avere dalla propria parte. Per esempio il fondo Arbor
European Equity ha quasi lo 0,6%. Cundill lo 0,25%. Axa altrettanto. Barclays Global Investors per gli
impiegati si muove poco sotto il 2%. Tutte quote da aggiornare. Ma che, se confermate anche solo in
parte, potrebbero contare in un eventuale scontro tra due liste: quella dei fondi con presidente Rainer
Masera. E, chissà, quella per difendere lo status quo bondiano che per ora non c’è ma che potrebbe
puntare a ottenere l’appoggio del 6,8%di Blackrock e il 2 di Norges Bank. Il termine per le liste è il 18
marzo. Ma in realtà quella da tenere d’occhio sarà la regola del «settimo giorno» . Sulla base delle
nuove norme per il voto saranno valide— come si evince anche da un passaggio del patto parasociale
tra i fondi— le azioni detenute il settimo giorno prima dell’assemblea (anche se paradossalmente verranno vendute il giorno dopo, magari prima del 12 aprile). Un particolare che permetterà di rastrellare
titoli e voti fino all’ultimo momento.
Rassegna Stampa del giorno 4 FEBBRAIO 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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Cassa integrazione in calo del 25,5%
Sacconi: “Confermata la ripresa”. I sindacati: “Resta il problema della disoccupazione”
Il presidente dell’
Inps: è un´inversione di tendenza non episodica
ROMA - La cassa integrazione scende complessivamente del 25,5 per cento a gennaio 2011 rispetto
allo stesso mese del 2010. Un calo che riguarda, sia pure in modo ineguale, i tre diversi tipi di cassa:
quella ordinaria che crolla dai 35,8 milioni di ore del gennaio 2010 ai 18,3 del mese scorso; quella
straordinaria che diminuisce passando dai 26,2 milioni di un anno fa ai 23,8 del gennaio 2011; quella
in deroga che scende leggermente passando da 18,8 a 18,1 milioni di ore. In totale le ore di cassa
sono passate da 80,9 milioni a 60,3. La diminuzione è più marcata se si confrontano i dati di gennaio
con il mese precedente: meno 30,3 per cento. Ma in questo caso il calcolo è poco significativo perché
tradizionalmente il ricorso alla cassa è minore in dicembre quando il fermo produttivo è anche legato
alle festività di fine anno. Sostanzialmente stabili le domande di disoccupazione (che sono scese dello 0,23 per cento), in deciso calo quelle di mobilità che sono scese del 20 per cento.
Dati commentati positivamente dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: «I dati forniti dall´Inps confermano la ripresa della produzione - dice il ministro - anche se si tratta di una ripresa ancora selettiva, e dimostrano che gli ammortizzatori sociali hanno consentito di mantenere molte persone collegate alle imprese durante la crisi. Le risorse disponibili erano state preparate per situazioni anche peggiori. Dunque gli allarmismi risultano del tutto ingiustificati». Di «un segnale importante che viene dalle
imprese italiane», parla anche il presidente dell´Inps, Antonio Mastrapasqua che sottolinea: «Da sei
mesi a questa parte le imprese ci chiedono sempre meno cassa e da tre mesi anche le richieste di
cassa in deroga mostrano una decisa flessione: è un´inversione di tendenza non episodica che non
può che farci ben sperare per il futuro».
Commenti meno positivi vengono dai sindacati. «Il vero indicatore dell´andamento dell´economia è il
tasso di disoccupazione e quello, purtroppo, è in crescita», sostiene la leader della Cgil, Susanna
Camusso. «Ci sono alcuni settori che hanno iniziato a riprendersi - ammette Camusso - ma non sempre alla ripresa del fatturato corrisponde una stabile ripresa degli ordini». Preoccupato per il tasso di
disoccupazione è il segretario generale aggiunto della Cisl, Giorgio Santini: «Il calo della cassa a
gennaio è consistente - osserva - ma non possiamo dimenticare che, dopo mesi di continua crescita,
sono centinaia di migliaia i lavoratori ancora in cig. Né possiamo dimenticare i 200 mila posti di lavoro
a rischio nelle 170 vertenze aperte al ministero e i 250 mila posti a rischio nelle costruzioni». «Sarebbe inaccettabile - sostiene Fulvio Fammoni della Cgil nazionale - dedurre da questi dati che non sono
necessari interventi adeguati. Molte aziende non chiederanno più la cassa straordinaria nei prossimi
mesi solo perché l´hanno terminata e si apprestano a chiedere la cassa in deroga, uno strumento che
appare destinato a crescere. Anche noi speriamo e lavoriamo per diminuire il numero di coloro che si
trovano senza lavoro ma un po´ meno di propaganda, in questi commenti, farebbe bene».
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Salgono i conti grazie alle partecipate estere, che hanno venduto più energia, e al taglio di costi e investimenti
Enel ringrazia Russia e Sudamerica
ricavi record e debito sotto i 45 miliardi
MILANO - Nonostante in molti non abbiamo ancora gradito l´operazione che ha portato Enel a conquistare Endesa - diventando così l´utility più indebitata d´Europa - i fondi di investimento dovranno
almeno riconoscere ai manager del gruppo di aver rispettato gli impegni per il 2010: fatturato e margini in aumento e livello del debito sceso a quota 45 miliardi, così come garantito alle agenzie di rating.
Grazie al contributo delle controllate estere in Sudamerica e in Russia, al piano di dismissioni, al taglio dei costi e al rallentamento degli investimenti causa crisi in Italia e Spagna, l´amministratore delegato Fulvio conti è riuscito a presentarsi al termine del suo secondo mandato con i fondamentali in
crescita. Secondo i preliminari al bilancio dello scorso anno comunicati ieri, il fatturato di Enel è salito
del 14% sfiorando 74 miliardi di euro, cifra mai raggiunta in precedenza dall´ex monopolista elettrico
italiano e più alta del consensus degli analisti. In crescita anche i margini a 17,5 miliardi (+6,7%) e
anche in questo caso sono state battute anche se di poco le stime degli analisti. Il dato dell´utile ieri
non è stato dato, ma secondo fonti finanziarie dovrebbe essere leggermente superiore ai 4 miliardi
del 2009, anche al netto delle dismissioni.
Ma l´attenzione del mercato era rivolta, in particolare, alla casella dell´indebitamento netto. Le agenzie di rating chiedevano il rientro sotto quota 45 miliardi per non abbassare il giudizio sulla società (il
che avrebbe avuto onerose conseguenze sul ricorso al credito). Il risultato è stato ottenuto: il debito
ora è sceso a 44,9 miliardi (il calo dell´11,8% rispetto al 31 dicembre 2009), ma se si tiene conto
dell´effetto cambio (per le obbligazioni in dollari e sterline) e delle relative coperture il debito scende a
43,7 miliardi.
Come è stato ottenuto tale risultato? Risparmi, vendita delle reti elettriche e del gas in Italia e Spagna,
quotazione del 30% di Enel Green Power dal punto di vista delle operazioni finanziaria. L´apporto industriale è venuto soprattutto dall´aumento della vendita di energia elettrica in Sudamerica (dove Enel
è leader in Argentina, Cile, Perù e Colombia) e in Russia, dove ha rilevato un pacchetto di centrali elettriche. Non solo: come già annunciato a inizio 2010, gli investimenti sono stati ridotti, sfruttando la
crisi di domanda di energia che ha colpito Spagna e Italia i tempi di realizzazione di alcuni impianti
possono esser ritardati, come il nuovo rigassificatore di Porto Empedocle e il rinovamento centrale a
carbone di Porto Torres. Infine, sui conti ha impattato positivamente anche il consolidamento totale di
Endesa a partire dalla fine di giugno 2009.
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Il dossier
Auto, abbigliamento, computer e tv
nel 2010 le famiglie hanno risparmiato così
Analisi della Confcommercio sull´andamento dei consumi degli italiani
ROMA - Di cambiare l´auto non se n´è proprio parlato, molto spesso - lo scorso anno - anche il computer di casa è rimasto quello vecchio. Siamo stati più attenti alla spesa alimentare e prima di infilare
pacchi e pacchetti nel carrello ci siamo fermati un attimo a pensare se avevamo davvero bisogno di
quell´acquisto oppure no. Nell´armadio dei vestiti e nella scarpiere le new entry sono state molto limitate. Il risultato è stato che nel 2010 le famiglie italiane hanno consumato di meno: lo 0,4 per cento in
meno rispetto al 2009 che già era stato - per i commercianti - un periodo nero (meno 0,6 per cento).
Neanche il Natale è andato bene visto che il dicembre 2010 su dicembre 2009 ha segnato una perdita dello 0,5 per cento. Andamento stagnante con cedimenti particolari in alcuni settori di spesa (quella
destinata alla mobilità, alimentari, abbigliamento e calzature): questo è il quadro che emerge
dall´ultimo Icc, l´indicatore dei consumi della Confcommercio. Un´analisi che l´associazione guidata
da Carlo Sangalli legge assieme «al peggioramento registrato a gennaio 2011 del clima di fiducia rilevato dall´Istat» e «alle dinamiche produttive troppo contenute». In altre parole ciò vuol dire i negozianti non vedono comparire la svolta all´orizzonte, anche se nel mondo degli acquisti non tutto è immutato o peggiorato.
A fronte di un vero crollo nella spesa per la mobilità (male le auto, non bene le moto e i viaggi aerei,
ma il prezzo della benzina non ha certo aiutato) che ha visto scendere i consumi in quantità dell´8,7
per cento, vi è stata - per esempio - una sostanziale tenuta dell´acquisto di beni e servizi per la casa.
La voce che mette assieme la scelta di una nuova tivù (trainata dal passaggio al digitale) con il cambio dei mobili e gli affitti ha segnato uno 0,7 per cento. Non è molto, ma è l´unico settore - assieme a
quello per comunicazioni, telefonia e informatica in aumento del 2,7 per cento - che ha superato
l´analisi della Confcommercio con un segno più.
Anche gli alimentari non hanno retto: meno 0,6 per cento. Il Codacons si allarma concludendo che «le
famiglie italiane mangiano l´8,8 per cento in meno rispetto a prima» e che se è vero che ridurre un po´
la spesa dove c´è l´abbondanza non fa male bisogna «considerare che si tratta di un dato medio» e
quindi dimostra «che ormai un terzo delle famiglie italiane non arriva a fine mese».
Anche qui però vanno fatte delle distinzioni: perché se diminuisce la spesa alimentare fatta attraverso
i circuiti tradizionali (negozi e supermercati), è in aumento quella che segue strade alternative. Coldiretti, ad esempio, sottolinea il boom dei farmer market, i mercati nati due anni fa che mettono in contatto diretto produttori e consumatori. Nel 2010, vi hanno fatto ricorso 8,3 milioni di italiani e le strutture attive sono aumentate del 28 per cento. «Danno risposta al desiderio di un nuovo stile di vita e di
un modello di consumo più sostenibile» ha spiegato Sergio Marini, presidente della Coldiretti .
La stessa Confcommercio fa notare che se scende la domanda di consumi di beni (meno 1,3 per cento), sale quella di servizi (più 1) e che le cose vanno meglio per le aziende che vendono all´estero. E il
caso, per esempio, delle aziende di cosmetici: la bellezza made in Italy, nel 2010, ha visto aumentare
il fatturato del 4,7 per cento, spinto soprattutto dal valore record delle esportazioni (più 15 per cento).
Il fatto è che senza l´aiuto della domanda interna non c´è ripresa e che il resto dell´Europa ricomincia
a dare segnali di vita: la Germania, dove la spesa per consumi del 2010 ha segnato un più 0,5 per
quest´anno prevede un aumento dell´1,5 per cento.
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Nuovo patto per l’Eurozona, scontro
Merkel-Ue
L’asse franco-tedesco presenta la riforma, ma Bruxelles non ci sta: “No a 27 Germanie”
Bce, tassi fermi Ok del Parlamento europeo alle nomine per le authority
BRUXELLES - La Germania vuole lanciare un "Patto di competitività", sul modello del Patto di Stabilità già in vigore sulle finanze pubbliche, per costringere i governi europei ad una maggiore convergenza delle politiche economiche. La proposta verrà formalizzata oggi dalla Cancelliera Angela Merkel
durante il vertice dei capi di governo che si ritrovano a Bruxelles. Non sono attese decisioni immediate. Ma l´obiettivo dell´accoppiata franco-tedesca è di far approvare l´idea al vertice di marzo, quando
si dovrà anche decidere sul potenziamento del Meccanismo di Stabilizzazione permanente, il fondo
salva-stati varato dopo la crisi dei debiti sovrani l´estate scorsa.
Anche se non si conoscono i dettagli del piano tedesco, alcune delle idee generali sono note. La Merkel vorrebbe affermare alcuni principi che tutti i governi sarebbero tenuti a seguire: riforma dei sistemi
pensionistici con innalzamento dell´età in relazione all´andamento demografico in ciascun Paese; eliminazione del legame tra salari e inflazione (che è ancora in vigore in alcuni Paesi, come in Francia);
approvazione di una norma costituzionale che vincoli ciascun Parlamento a non superare un determinato livello di indebitamento. La Francia inoltre insiste per inserire nel pacchetto una armonizzazione
della fiscalità sulle imprese per evitare fenomeni di dumping fiscale come avviene in Irlanda e in alcuni Paesi dell´Est europeo.
L´idea dei tedeschi, illustrata ieri dal ministro delle Finanze Schauble, è che queste riforme, destinate
a chiudere il cerchio della governance europea, dovrebbero applicarsi almeno ai Paesi della zona euro, attraverso una forma di cooperazione rafforzata che verrebbe formalizzata anche da un vertice
annuale dei capi governo dell´Eurogruppo. Per far passare l´idea, ieri la Merkel è volata a Madrid ottenendo un consenso di massima. «Condividiamo con la Germania l´idea di una governance economica europea», ha detto il premier spagnolo Zapatero.
Tuttavia, più che nel merito, l´iniziativa franco-tedesca si scontra con una serie di riserve sul metodo.
La Commissione è dura di fronte al crescente accento messo sulla cooperazione intergovernativa.
«Non è necessario reinventare la ruota», ha detto ieri il portavoce di Bruxelles, ricordando che «nella
sostanza molti elementi del pacchetto si trovano già nelle nostre proposte». Secondo la Commissione
«il sistema migliore per affrontare queste questioni è il metodo comunitario». Posizione altrettanto critica è stata espressa ieri dal presidente dell´Eurogruppo, il premier lussemburghese Juncker. «Mi dà
fastidio che sempre più si punti a strumenti intergovernativi. Non è che uno fa una cosa e gli altri lo
devono seguire. Prima se ne discute insieme e poi si cerca di coordinarsi». La discussione, al vertice
di oggi, si preannuncia accesa.
Ieri intanto la Bce ha mantenuto invariati il tasso base all´1%, nonostante la crescita dell´inflazione.
Secondo il presidente della Banca Centrale, Trichet, la situazione migliora: «Si conferma il momento
positivo dell´Eurozona, le esportazioni beneficano della ripresa e di un commercio mondiale che cresce più del previsto».
Infine, nel quadro dei nuovi strumenti di governance economica, ieri il Parlamento europeo ha dato il
via libera alle nomine dei presidenti delle tre Authority europee che dovranno controllare banche, assicurazioni e borse. L´italiano Andrea Enria è stato confermato a capo dell´autorità bancaria; un olandese guiderà l´authority per i mercati finanziari e un portoghese quella su assicurazioni e fondi pensione.
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Su pressione di Dublino fu ritirato il rapporto di un analista
Censura sul crac delle banche irlandesi Merrill Lynch cancellò le prove
La banca d’
affari si fece pagare 7 milioni di euro per dire che tutto andava bene
LONDRA - La crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l´Irlanda ha sempre di più le caratteristiche
di un intrigo, di un giallo o di un imbroglio. L´inchiesta di un giornale ha rivelato che la grande banca
d´investimenti americana Merrill Lynch ha avuto un ruolo fondamentale nel collasso delle banche di
Dublino e ha censurato il rapporto di uno dei suoi analisti che predisse il crollo già all´inizio del 2008.
Nel marzo 2008 la banca ritirò un rapporto negativo sull´Isola di Smeraldo, scritto da uno dei suoi
analisti, perché le banche irlandesi chiamarono la Merrill Lynch e minacciarono di spostare i loro soldi
e i loro affari altrove, se il rapporto non fosse stato modificato o cancellato. La Merrill Lynch cambiò il
rapporto, attenuandone fortemente i giudizi, e alcuni mesi dopo l´autore del rapporto, un analista di
nome Philip Ingram, lasciò, o forse fu costretto a lasciare, la banca.
A fare queste rivelazioni è un lungo articolo sull´edizione britannica della rivista Vanity Fair, opera di
Michael Lewis, lo scrittore di affari finanziari diventato famoso raccontando le proprie esperienze negli
anni ´80-´90 in un´altra grande banca d´investimenti Usa, la Solomon Brothers, in un libro intitolato
"Liar´s Poker" che diventò un best-seller internazionale. L´articolo include interviste con il ministro delle Finanze irlandese Brian Lenihan e con ex-dirigenti della Merrill Lynch. Lewis scrive che il rapporto
di Ingram fu inviato ai mercati finanziari nel marzo 2008, ma venne ritirato dopo appena poche ore.
«Attimi dopo che Ingram aveva premuto il pulsante dell´invio sul suo computer, il rapporto era il documento che tutta la City stava avidamente leggendo», scrive Lewis. «Ma quasi immediatamente le
banche irlandesi telefonarono ai banchieri della Merrill Lynch e minacciarono di portare il loro business ad altre banche. I superiori di Ingram lo convocarono, lo fecero incontrare con i legali della Merrill, che purgarono il rapporto delle sue valutazioni negative sullo stato delle banche irlandesi. Da allora, tutto quello che Ingram scrisse sull´Irlanda fu riesaminato e corretto».
Sei mesi dopo, su richiesta del governo irlandese, continua l´articolo, la Merrill Lynch scrisse un rapporto di sette pagine in cui affermava che tutte le banche irlandesi facevano profitti e avevano una
buona capitalizzazione. La Merrill Lynch si fece pagare 7 milioni di euro per il rapporto, che contribuì
a convincere il ministro delle Finanze irlandese Lenihan a introdurre nel settembre 2008 la controversa decisione di una garanzia in bianco per tutte le banche del suo paese. Salvata in extrimis
dall´intervento dell´Fmi e Unione Europea, l´Irlanda ora attende l´esito delle elezioni anticipate indette
per il 25 febbraio per capire chi la guiderà, e come, fuori dalle acque pericolose della bancarotta nazionale.
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Della Valle si corregge sulla vicenda
Rcs “Il problema non è Bazoli ma è
un sistema vecchio”
MILANO - Diego Della Valle, dopo le invettive dei giorni scorsi e la richiesta al cda Generali di vendere la quota Rcs in portafoglio alla compagnia, corregge parzialmente il tiro. «In realtà non c´è un asse
- ha detto ieri l´imprenditore marchigiano -. È solo un vecchio sistema oramai al tramonto e il problema come si è poi visto non era Bazoli». Il presidente di Intesa Sanpaolo si era molto risentito per le
parole di Della Valle e fin dalla settimana scorsa ha sollecitato la convocazione di un patto di sindacato della Rcs per fare chiarezza. Ma ieri una telefonata chiarificatrice intercorsa tra i due sembra aver
smorzato le tensioni. Anzi, stando ad alcune ricostruzioni, il rappresentante di Intesa nel cda Generali,
Alessandro Pedersoli, potrebbe anche votare a favore della cessione della quota Rcs. Della Valle pare infatti deciso ad andare avanti con decisione nella sua richiesta, nonostante il presidente Cesare
Geronzi voglia prendere tempo per valutare meglio una scelta che di fatto lo estrometterebbe da tutti
gli organi di amministrazione della Rcs. Ma che vi sia una sorta di consenso generalizzato alla proposta di Della Valle è confermato dal fatto che nel cda di mercoledì nessuno dei consiglieri ha chiesto la
parola per obiettare alla proposta di Della Valle. Solo Vincent Bollorè, a cda concluso, ha detto che la
decisione del rinvio era stata quella giusta. Tuttavia, per sapere come andrà a finire, basta aspettare il
23 febbraio, quando l´argomento verrà messo all´ordine del giorno, mentre la riunione del 16 del patto
Rcs, alla luce del chiarimento Della Valle-Bazoli, perde di incisività. A meno che non si parli
dell´ingresso di Giuseppe Rotelli come suggerito da Massimo Pini.
(g.po.)
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La Fiba-Cisl
Vi augura
una giornata serena!!
Arrivederci a lunedì7
per una nuova
rassegna stampa!
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