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n° 354 - marzo 2012 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Jacopo della Fonte Massimo esponente della scultura senese nel Quattrocento, Jacopo della Quercia legò il proprio nome a quello della monumentale fonte per la Piazza del Campo A Siena, l’epoca medievale vide la nascita e lo sviluppo di un acquedotto sotterraneo che permetteva di captare le acque e convogliarle verso le varie fonti: oltre 25 chilometri di gallerie, il cui nome di “bottini”, documentato già nel Duecento, deriva probabilmente dal fatto che le gallerie erano coperte da una volta a botte. Le fonti senesi vennero costruite secondo criteri di razionalità e praticità che ne fecero un modello esemplare: erano infatti suddivise in tre vasche di raccolta, su diversi livelli. La prima vasca riceveva la cosiddetta “acqua nova” (l’acqua sorgiva) che sgorgava direttamente dal muro, e che veniva utilizzata per bere e per gli usi di cucina; l’acqua passava poi nella seconda vasca, più in basso, alla quale si abbeveravano gli animali, infine l’ultima vasca, la più bassa, serviva da lavatoio. L’acqua che fuoriusciva da quest’ultima vasca veniva utilizzata nei lavori artigianali e per annaffiare gli orti. La più nota e monumentale fontana di Siena è certamente la Fonte Gaia, opera di Jacopo della Quercia, che sorge al culmine dell’ampia “conchiglia” di Piazza del Campo, e che venne realizzata fra il 1414 e il 1419. La fonte, che rimane uno dei massimi esempi di scultura toscana del Quattrocento, prese nome dai festeggiamenti indetti quando l’acqua giunse sulla piazza dopo otto anni di lavori, grazie a un’imponente opera idraulica: quanta importanza il Governo della città attribuisse a questa realizzazione, lo testimonia la scelta del più importante scultore senese per la decorazione della monumentale vasca. Jacopo di Pietro d’Agnolo di Guarnieri, detto Jacopo della Quercia, era nato nei pressi di Siena tra il 1371 e il 1375. Non conosciamo molto della Monumento funebre di Ilaria del Carretto - Lucca, Duomo Siena, Veduta dall’alto della Fonte Gaia in Piazza del Campo sua formazione: sicuramente vi contribuirono gli influssi tardogotici della grande tradizione dei Pisano, ai quali Siena aveva affidato la realizzazione del pergamo per il duomo; è noto inoltre che Jacopo partecipò nel 1401 al concorso per la seconda porta del Battistero di Firenze, ma la formella da pag. 2 La Sapienza - Siena, Santa Maria della Scala lui realizzata in questa occasione è andata perduta. La prima opera documentata dell’artista è la Madonna della melagrana, commissionatagli nel 1403 per il duomo di Ferrara, ma quella che lo rese celebre è la Tomba di Ilaria del Carretto, oggi nella sagrestia del duomo di Lucca, eseguita su incarico di Paolo Guinigi, signore della città, per le spoglie della sua seconda moglie, morta nel 1405. L’opera, realizzata poco tempo dopo, raffigura la giovane donna distesa su un’arca decorata da festoni e puttini, con un chiaro riferimento ai sarcofagi funerari ellenistici e romani; la testa poggia su un cuscino e ai piedi è rappresentato un cagnolino, simbolo di fedeltà nell’amore coniugale. La composta e remota bellezza di Ilaria fu più volte celebrata dai poeti: tra questi, Gabriele D’Annunzio la ricorda nella lirica dedicata a Lucca, «la città dall’arborato cerchio, / ove dorme la donna del Guinigi. / Ora dorme la bianca fior- daligi / chiusa ne’ panni, stesa in sul coperchio / del bel sepolcro...» mentre Salvatore Quasimodo le dedicò nel 1942 i versi Davanti al simulacro d’Ilaria Del Carretto. L’opera presenta quell’interpretazione ancora goticheggiante delle innovazioni in senso classico che provenivano da Firenze - e in particolare dalla bottega di Donatello - tipica dell’arte senese nei primi decenni del Quattrocento: la veste è disposta lungo il corpo con un elegante panneggio che segue i canoni dei monumenti funebri trecenteschi, mentre la caratterizzazione del volto si avvicina al gusto naturalistico proprio dell’ambiente artistico fiorentino. Lo stile che impronta il monumento funebre di Ilaria si evolve ulteriormente in quello delle sculture che Jacopo realizzò per la la Fonte Gaia, tanto ammirata e famosa da far attribuire all’artista l’appellativo, spesso citato dagli antichi scrittori, di “Jacopo della Acca Larentia - Siena, Santa Maria della Scala pag. 3 Fonte”. La vasca rettangolare scoperta (un’innovazione rispetto alla struttura a volte delle fonti trecentesche senesi) è circondata per tre lati da un parapetto ornato da rilievi: sul lato maggiore la Madonna col Bambino è affiancata dalle Virtù e da Angeli, mentre nei lati minori figurano la Creazione di Adamo e la Cacciata dal Paradiso terrestre. I due pilastri che chiudono il parapetto erano in origine sormontati dalle statue a tutto tondo di Rea Silvia, la madre di Romolo e Remo, e Acca Larentia, che dei due gemelli fu la nutrice - un riferimento alla leggenda secondo la quale Siena venne fondata dai figli di Remo, Senio e Ascanio, in fuga da Roma perché perseguitati dallo zio Romolo. Esemplare della mirabile sintesi tra la sinuosità della linea gotica e il plasticismo rinascimentale, è la figura della Sapienza, con i panneggi della veste che disegnano un ampio semicerchio, mentre la struttura piramidale della figura culmina nell’aggraziata torsione della testa, rivolta verso la Madonna. Purtroppo, la scarsa qualità del marmo impiegato e il continuo utilizzo della fonte per tutte le necessità quotidiane, portarono ben presto al degrado del monumento, culminato con i danni inferti nel 1743 da un contradaiolo, che per vedere meglio il palio salì sulla statua di Rea Silvia, mandandola in pezzi e restandone ucciso. Ormai irrimediabilmente compromessa, l’opera di Jacopo della Quercia fu sostituita a metà dell’Ottocento con una copia, realizzata dello scultore Tito Sarrocchi; i marmi originali, dopo un restauro durato quasi venti anni e conclusosi nel 2011, sono ora esposti all’interno del complesso museale di Santa Maria della Scala in piazza del Duomo a Siena. Nel 1417 Jacopo ricevette la commissione per due delle formelle in ottone dorato destinate a ornare il fonte battesimale di S. Giovanni a Siena, ma eseguì soltanto quella con l’Apparizione dell’angelo a Zaccaria - consegnata con grande ritardo nel 1430; Jacopo ideò anche il tabernacolo marmoreo che sovrasta la vasca battesi- male: qui, le figure dei Profeti collocati all’interno di nicchie, appaiono sprigionare una grande energia plastica, la stessa che caratterizza l’ultima opera nella parabola artistica ed esistenziale di Jacopo: la decorazione del portale centrale della basilica di S. Petronio a Bologna, che gli era stata commissionata nel 1425. Sui pilastri laterali sono rappresentate Storie della Genesi, mentre l’architrave è istoriato coi fatti dell’Infanzia di Cristo; nella sovrastante lunetta figurano le statue della Madonna seduta col Bambino, San Petronio e Sant’Ambrogio, quest’ultima rimasta incompiuta per la morte dell’artista, avvenuta a Siena nel 1438, e completata poi agli inizi del Cinquecento. Nelle formelle, la rappresentazione è ridotta all’essenziale, e l’eliminazione dei particolari decorativi rende ancora più possenti le figure: nell’Adamo ed Eva i due personaggi appaiono dominare completamente la scena con i loro nudi dalle forme imponenti, che preannunciano quelle dei personaggi michelangioleschi. Non a caso, perché è noto che il giovane Michelangelo studiò e apprezzò proprio questi rilievi nel tempo in cui visse e operò a Bologna tra il 1494 e il 1495. federico poletti Adamo ed Eva - Bologna, San Petronio a lato Fonte Battesimale - Siena, San Giovanni Battista
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