Ddl Mastella Inchiesta Ordine Personaggio
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Ddl Mastella Inchiesta Ordine Personaggio
Tabloid New Ordine dei Giornalisti della Lombardia Anno XXXVIII N.1 Gennaio-Febbraio 2008 Direzione e redazione Via A. da Recanate 1 20124 Milano tel. 026771371 fax 0266716194 http:/www.odg.mi.it e-mail: [email protected] Poste Italiane Spa Sped. abb. post. DIn: 353/2003 (conv.in L27/2/2004 n.46) art.1 (comma 2). Filiale di Milano A sso c i a zi one “Walter Tobagi”- I stit u t o pe r la f orm a z ion e a l G ior n a lis m o “ Ca rlo D e M ar t i n o ” Ddl Mastella Intercettazioni I cronisti raccontano Inchiesta Le tv locali audience e news PRIMA DEL DIGITALE Ordine Il reportage dall’ africa DEI NOSTRI BORSISTI Personaggio Marzio Breda ricorda nascimbeni Pronto... chi ascolta Sommario Primo piano New Tabloid n. 1 gennaio-febbraio 2008 3 editoriale Il futuro è già qui di Letizia Gonzales 4 inchiesta Le televisioni locali nell’era del digitale di Paolo Pozzi 12 iniziative dell’ordine Nairobi, il reportage dei tre vincitori della nostra Borsa di studio di Tiziana Cauli, Guido Romeo, e Giulio Maria Piantadosi La mia Africa di Massimo Alberizzi 20 Sulle orme di Sherlock Holmes: un master di giornalismo investigativo 21 Nasce l’Osservatorio sul precariato di Giuseppe Spatola 23 gli altri enti della categoria Una Casagit 2 per i free lance di Andrea Leone 24 la posta dei lettori Quando la “nera” fa audience 26 La voce delle redazioni Quei due proiettili reciclati e spuntati di Roberto Galullo 28 Rcs Periodici, la vita dei collaboratori in una ricerca del Cdr 30 “Vera” non rende? Via le giornaliste di Paola Manzoni New Tabloid - Periodico ufficiale Consiglio Ordine giornalisti Lombardia Poste Italiane Spa. Sped. Abb. Post. Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 2). Filiale di Milano - Anno XXXVII N. 1/gennaio-febbraio 2008 Direttore responsabile: Letizia Gonzales Redazione: Paolo Pozzi (coordinamento) Antonio Andreini Progetto grafico e realizzazione: Maria Luisa Celotti Studio Grafica & Immagine Crediti fotografici: Photos, NewPress 2 31 La voce dei pubblicisti I primi passi verso la professione di Stefano Gallizzi 32 multimedialita’ Giornalisti ai tempi del Blog di Luciano Paccagnella 34 L’osservatorio sull’estero Usa, un’editoria da flop a cura di Pino Rea (Lsdi) 36 l’angolo della legge Tutti a lezione da Mastella di Alessandro Galimberti 38 Se solo fossimo stati zitti di Peter Gomez 39 Io, cronista in manette di Paolo Colonnello 40 C’era una volta Mani Pulite di Mario Consani 41 Per un’ecologia delle notizie di Luigi Ferrarella 42 I colleghi in libreria Che fine faranno le notizie La TV (ri)vista da ...Norma a cura di Antonio Andreini 45 testmonianze e ricordi L’addio a Nascimbeni signore della Terza pagina di Marzio Breda 46 i numeri del mercato Direzione, redazione e amministrazione: Via Antonio da Recanate 1 20124 Milano Tel: 02/67.71.371 - Fax 02/66.71.61.94 Registrazione n. 213 del 26-05-1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia: Letizia Gonzales: presidente Stefano Gallizzi: vicepresidente Mario Molinari: consigliere segretario Alberto Comuzzi: consigliere tesoriere Consiglieri: Franco Abruzzo, Mario Consani, Laura Hoesch, Laura Mulassano, Paolo Pirovano Collegio dei revisori dei conti: Ezio Chiodini (presidente) Marco Ventimiglia, Angela Battaglia Direttore OgL: Elisabetta Graziani La tiratura di questo numero è di 26.500 copie Chiuso in redazione l’8 febbraio 2008 Stampa: Seregni Grafiche Via Puecher 1 Paderno Dugnano (MI) Concessionaria di pubblicità: IMAGINA di Gabriella Cantù Corso di Porta Romana 128 - 20122 Milano E.mail: [email protected] Tel: 02/58320509 - Fax: 02/58319824 Tabloid 1 / 2008 Editoriale Il futuro è già qui Grazie! A tutti quelli che hanno scritto e apprezzato il nostro nuovo New Tabloid. Mi incoraggiano a fare sempre meglio. Nonostante le poste, che purtroppo hanno tempi di distribuzione biblici, in particolare a Milano dove il giornale è arrivato dopo due mesi! Ma parliamo di questo numero che spero arrivi almeno prima della fine di marzo, prima cioè dell’assemblea generale che, con il Consiglio, abbiamo deciso di tenere il 27 marzo, al Circolo della Stampa di Milano alle ore 15 (arriverà la convocazione nei tempi tecnici previsti). Una bella inchiesta sulle televisioni locali apre il nostro magazine, inchiesta che cerca di radiografare la vivace realtà della Lombardia. È un impegno che ho anticipato nello scorso numero, un modo per dare voce al prezioso lavoro di tanti colleghi in Lombardia autori dell’informazione sul territorio, specchio della creatività, fantasia, impegno di tante realtà altrimenti sconosciute. A seguire, il racconto dell’esperienza a Nairobi dei tre giovani freelance che hanno partecipato, grazie alla nostre borse di studio, ai lavori ed alle commissioni della conferenza sui conflitti africani, ai primi di dicembre, poco prima delle elezioni in Kenia. Accanto alle testimonianze dei nostri giovani inviati, quella di Massimo Alberizzi storico corrispondente del Corriere della Sera in Africa, che spiega come si vive in un Paese tormentato dai conflitti politici e tribali. Luciano Paccagnella, professore di Sociologia della comunicazione e delle reti telematiche a Torino, ci rassicura invece sul futuro del giornalista, nonostante le nuove tecnologie, mentre Pino Rea fa il punto “critico” sull’industria dei giornali negli Stati Uniti. Nella seconda parte del magazine dedichiamo spazio alla testimonianza di un giornalista del Sole 24Ore minacciato dalla ‘ndrangheta, Roberto Galullo, che con passione e sacrificio, come altri colleghi, scrive di malavita, cosche, cupole e affari malavitosi. Quello di Galullo di Amadore e Abbate, soltanto per citarne alcuni è il coraggioso esempio di un rinato giornalismo d’inchiesta, un po’ trascurato in questi ultimi anni. Al disegno di legge Mastella dedichiamo, infine, sei pagine con Alessandro Galimberti, consigliere nazionale dell’Unione cronisti che fa il punto sulla questione (rinviata alla prossima legislatura) e spiega i riflessi che potrebbe avere sulla completezza dell’informazione. Quattro importanti cronisti di giudiziaria, Peter Gomez, Paolo Colonnello, Mario Consani e Luigi Ferrarella provano a immaginare come sarebbero le notizie se la legge fosse già entrata in vigore. Il presidente Letizia Gonzales Tabloid 1 / 2008 3 L’inchiesta l’informazione e il mercato delL’emittenza, alla vigilia dell’era digitale Le televisioni locali nonostante il satellite Poco più di 400 milioni gli investimenti pubblicitari su 580 emittenti in tutt’Italia, mentre 4,7 miliardi vanno ai network nazionali. Sono 85 milioni le sovvenzioni dallo Stato, di cui quasi 12 alle 40 tv della nostra regione di Paolo Pozzi Una palestra per tutti, per chi la fa e per chi la vede. Così è fin dall’inizio. Ma in epoca di forte esplosione della tv satellitare, le televisioni locali stanno vivendo, oggi, una seconda, terza giovinezza. Anzi, una rinascita, dopo una parabola che sembrava ormai in discesa intorno all’anno 2000, quando i grandi network facevano razzia di frequenze, gli introiti pubblicitari erano in calo e i costi di gestione sempre più alti. E con una qualità dei programmi che, spesso, è stata la più varia, con alti e bassi, trasmissioni e palinsesti a volte un po’ artigianali, altre volte, invece, con vette d’indiscussa professionalità. Una nave-scuola, in ogni caso, quella delle televisioni locali, che ha consacrato innumerevoli per- sonaggi ex esordienti e oggi ormai vip. Molti attori, registi, presentatori, giornalisti si sono fatti le ossa nelle emittenti locali, e sono passati anche da tante tv della Lombardia. Il giornalismo nelle tv locali, in ogni caso, soprattutto dagli anni Novanta in poi, è davvero paragonabile, per scuola e palestra, al ruolo che ha avuto, per gli attori, l’avanspettacolo tra le due guerre. Telebiella e Telealtomilanese Lontani i tempi in cui Telebiella (nata il 20 aprile 1971) di Peppo Sacchi sfidava la legge del vecchio Codice postale del 1936 trasmettendo via cavo (dal 15 dicembre 1972), in barba a un codicillo che oggi farebbe sorridere i più sgamati azzeccagarbugli che devono dipanare il bandolo della ma- tassa di una ben più articolata Legge Gasparri. La legge del ’36 proibiva l’utilizzo di cavi per un elenco dettagliatissimo di trasmissioni (telefonia, etc.) senza contemplare la televisione, all’epoca ancora sconosciuta. Ergo l’utilizzo del cavo per la trasmissione tv era ammesso. Lapalissiano a dirsi. Ma solo il pretore di Biella, Giuliano Grizi, arrivò a sentenziare. E fu così che il monopolio televisivo della Rai cominciò a sgretolarsi sotto il peso di quella valanga azzurra che, prima ancora che sulle piste di neve, viaggiava nell’etere di mezz’Italia. Correva l’anno 1970 e ’71. Un vero e proprio Far West dell’etere, da Telebiella in poi. E un centinaio le leggi, decreti e regolamenti di rifereimento (vedi box a fianco). Le prime a segui(continua a pag. 6) Nel triangolo di terra tra Biella, Legnano e Busto Arsizio sono nate le prime emittenti televisive che hanno rotto il monopolio Rai 4 Tabloid 1 / 2008 L’inchiesta NELLA GIUNGLA DELLE LEGGI Quei primi Tiggì di provincia, con i pionieri dell’etere E’ del 6 agosto 1990, ed è siglata con il numero 223, la legge che regolamenta il sistema radiotelevisivo pubblico e privato che va sotto il nome di Legge Mammì (dal nome del ministro delle Poste all’epoca in carica, Oscar Mammì). Ed è questa la legge che istituisce i Telegiornali nelle televisioni. L’articolo 20 delle legge 223/1990 recita infatti: “I soggetti titolari di concessione per la radiodiffusione in ambito nazionale sono tenuti a trasmettere quotidianamente telegiornali o giornali radio”. Tre anni dopo è il primo comma dell’articolo 5 della legge 27 ottobre 1993 n. 422 (già decreto legge 27 agosto 1993, n. 232) a stabilire l’obbligo di istituire il telegiornale anche per le emittenti in ambito locale, a decorrere dal 30 novembre 1993 (ma Telebiella trasmetteva un Tg, dalle 19 alle 19,30, già nel 1973). E al telegiornale – dice sempre l’art. 5 della stessa legge – si applicano Tabloid 6 / 2007 le norme sulla registrazione dei giornali periodici contenute negli articoli 5 e 6 della legge n.47 dell’8 febbraio 1948, cioè la legge sulla stampa. Non solo. In riferimento ai commi 5 e 7 dell’articolo 1 della legge del 27 ottobre 1993 si stabilisce anche che tra i requisiti essenziali per ottenere (e mantenere) la concessioni a trasmettere da parte del Ministero delle Poste c’è anche l’esistenza di un rapporto continuativo di lavoro subordinato in regola per almeno tre dipendenti o tre soci lavoratori, senza il quale viene ritirata la concessione. Ma a dare il via libera alle televisioni locali, si sa, è stata una sentenza della Corte Costituzionale, la n.202 del 28 luglio 1976, che ha “superato” una legge storica promulgata un anno prima, la n.103 del 14 aprile 1975, nota come Riforma della Rai. Altra basilare legge per il sistema radiotelevisivo è la n.172 del 6 giugno 1975, nota come legge sull’editoria, poi aggiornata (n. 416 del 5 agosto 1981 e n.67 del 25 febbraio 1987) fino alla legge n.66 del 30 giugno 2001. Completano il quadro di riferimento le disposizioni urgenti del 23 dicembre 1996, n.650, la n. 488 del 1998 sulle misure di sostegno all’emittenza locale (vedi tabella a pag. 10 e 11), l’istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 31 luglio 1997, n.249 (nota come Legge Maccanico), i diritti di trasmissione televisiva delle società di calcio con la n.78 del 29 marzo 1999, il Regolamento in mat aeria di pubblicità radiotelevisiva e televendite con la delibera Agcom n.538 del 26 luglio 2001, le norme per le trasmissioni analogiche e digitali del 20 marzo 2001, n.66. Fino alla Legge Gasparri, la n.112 del 3 maggio 2004, oggi ancora in vigore. In attesa di una nuova legge Gentiloni. Che non c’è più. 5 L’inchiesta (segue da pag. 4) re le orme dei pionieri, Telealtomilanese di Busto Arsizio, Canale 21 di Napoli e Gbr di Roma, nel 1974. E poi ancora, nel 1976, Telemilanocavo di Giacomo Properzj e Alceo Moretti, la tv che due anni dopo sarà comprata da un Silvio Berlusconi poco più che esordiente. E che dire del 1977, anno d’inizio trasmissioni, a Legnano, di Antenna 3, emittente di proprietà di Renzo Villa ed Enzo Tortora, proprio mentre la Rai è tutta presa a lanciare il colore. Roba quasi da preistoria, a ben vedere. Ma se la programmazione ha fatto passi da gigante rispetto all’era dei pionieri anni Settanta e l’audience ha conquistato una valenza di tutto rispetto sui singoli bacini di utenza, sul territorio locale, gli investimenti pubblicitari su queste tv non hanno ancora sfondato il muro di Berlino. Il 90% sul totale dei 4,7 miliardi di in- troiti pubblicitari sulla televisione registrati da Nielsen nel 2006 è andato, infatti, ai network nazionali e solo una cifra ancora inferiore ai 500 milioni (fonte AgCom) è stata spartita dalle televisioni locali, in tutt’Italia. A 11 milioni e 692mila euro per il 2006 (decreto ministeriale del 31 luglio 2007, vedi tabella di pag. 10-11) ammontano le sovvenzioni annue che arrivano dallo Stato alle televisioni locali della Lombardia che fanno informazione, su un totale nazionale di 85 milioni e 814mila euro da riparti- Le donne in TV L’onda rosa nei Tg e i luoghi comuni dell’advertising È saldamente nelle mani delle donne il timone dell’informazione locale lombarda, anche se protagonisti delle notizie continuano a essere gli uomini. Mentre le televendite, e in generale la pubblicità, alimentano gli stereotipi e “remano contro” l’eguaglianza dei sessi. È quanto rivela una ricerca dell’Osservatorio di Pavia, svolta su un campione di 14 emittenti regionali e provinciali, per indagare l’immagine femminile nelle tv lombarde. Dove le giornaliste rappresentano il 57% dei conduttori e il 50% dei corrispondenti. C’è poi una positiva presenza delle donne (in misura superiore agli uomini) su tematiche economico-politiche, tradizionalmente appannaggio dei maschi, ma anche una loro maggiore concentrazione sulla cronaca locale, piuttosto che sugli eventi nazionali o internazionali, dove, al contrario, primeggia il sesso forte. Cattive notizie arrivano, invece, dal fronte dei soggetti dell’informazione: solo nel 18% dei casi presi in esame le news parlano di donne, che sono protagoniste ancora più raramente (7%). E, nel 21%, non è stato possibile determinare la loro posizione sociale o lavorativa, anche per la tendenza dei giornalisti a intervistare il gentil sesso su tematiche di opinione popolare o di vissuto personale, piuttosto che di competenza professionale, e a preferire gli uomini come interlocutori “esperti”. Riguardo alle televendite c’è un po’ più equilibrio, essendo per il 46% 6 declinate al femminile. La presenza delle donne è perlopiù correlata alla messa in scena della dimensione privata. Non a caso, prevale su quella maschile nei servizi di lotto e cartomanzia e nella vendita di prodotti per il fitness e dimagranti, ambiti nei quali è essenziale instaurare un rapporto di complicità con lo spettatore. Più di un terzo del campione analizzato (35,3%) è risultato portatore di stereotipi di genere, quali la “casalinga di Voghera” (tratteggiata dalle televendite di elettrodomestici per la casa, ma anche di piccoli oggetti d’arredo e di vini da tavola) e “la casalinga di Manhattan” (prodotti per il fitness ed elettrodomestici). Le televendite mostrano, nel complesso, un’ampia apertura nei confronti delle donne, che rappresentano il 54% dei soggetti protagonisti, ma compaiono soprattutto nel ruolo di modelle o testimoni, a conferma della tendenza della tv a privilegiare, per la donna, la dimensione dell’esperienza, contro quella della competenza, che è prevalentemente maschile. Infine, ricopre le diverse funzioni della conduzione solo il 36% delle donne protagoniste di televendite, contro il 52% degli uomini. E alle donne è assegnato il ruolo più personalizzato del presentatore (conduttore che mostra l’uso del prodotto), piuttosto che quelli più impersonali del conduttore “puro” o della voce fuori campo, a prevalenza maschile. Elena Rembado Tabloid 16 / 2008 2007 L’inchiesta re fra le 580 televisioni locali esistenti sul territorio nazionale. Tante, infatti, sono le emittenti che, alla scadenza del 25 luglio 2005, avevano chiesto al Ministero la proroga della concessione per il passaggio al digitale. Quaranta di queste hanno sede e trasmettono in Lombardia, dando occupazione a un migliaio di dipendenti, di cui circa 150 giornalisti. I contributi arrivano in base a una graduatoria stilata dal Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni, vedi box a pag. 9) con un criterio di ripartizione che tiene conto del fatturato, del numero di dipendenti e di professionalità giornalistiche, che dovrebbe garantire, sotto la supervisione dell’Authority, un minimo d’incentivo alle emittenti locali che hanno notiziari e fanno informazione. Passi da giganti, comunque, si diceva, nel campo del giornalismo televisivo locale, almeno rispetto a trent’anni fa. Con redazioni sufficientemente strutturate, anche se piccole, in molti casi. La tv locale che in Lombardia fa più ascolti e che, sul piano nazionale, contende il primato a Telenorba di Bari, è Telelombardia, con 1 milione e 200mila telespettatori. I Tg e le redazioni A bucare lo schermo sull’emittente televisiva più seguita in Lombardia (direttore Raffaele Besso, che può sfoggiare tre prime serate di news e va in onda tutte le sere in diretta) c’è una nutrita redazione (coordinatore Giuseppe Ciulla) formata, tra gli altri, da Stefano Golfari, Laura Costa, Leandro Diana, Giliola Santin, Stefania Sirtori, Cristina Zanetto. E da personaggi come Roberto Poletti che, dal lunedì al venerdì, conduce “Buongiorno Lombardia”, o, per “Prima serata” Stefania Cioce e David Parenzo (che conduce anche “Iceberg”) sempre su Telelombardia e Antenna 3, ora tutt’e due televisioni di proprietà di Sandro Parenzo, uno dei pochi che fa vita autonoma e indipendente, slegata cioè sia da Frt sia da AerantiCorallo. Legata al Gruppo editoriale San Paolo (Famiglia Cristiana, Jesus, Il Giornalino, etc.) è invece Telenova, Tabloid 1 / 2008 I ragazzi in TV La fascia protetta? Una chimera! La fascia protetta delle emittenti lombarde non è uno spazio per bambini. Da un’indagine realizzata dall’Osservatorio di Pavia per il Corecom Lombardia, non emergono segnali confortanti: la programmazione specifica per minori occupa soltanto il 3,7% (a fronte del 9,4% nelle reti nazionali) dei palinsesti pomeridiani (dalle 16 alle 19) e, nel 74% dei casi, si trova all’interno di un programmacontenitore, che consente di aggirare il divieto di interruzioni pubblicitarie nei prodotti per minori di durata inferiore ai 30 minuti. Una sola, tra le reti analizzate, dedica oltre un terzo della fascia protetta (38,5%) all’infanzia. Si tratta di Antenna 3, con il suo quotidiano collegamento a K-2, ampia “striscia” di cartoni e telefilm, a target 2-14 anni, a cura di Jetix (Mondo Sky) e in onda in contemporanea su 16 emittenti locali. Un’altra rete, Bergamo Tv, mostra una discreta attenzione per gli spettatori più piccoli (9,4%), proponendo quotidianamente, escluso il weekend, Terraluna, programma del canale Sat2000, che alterna il bricolage e il racconto di fiabe a momenti musicali e alla trattazione di tematiche culturali, educational e ambientali. Teletutto e Telenova, che evidenziano un’attenzione per il pubblico infantile sporadica e assai ridotta in termini quantitativi (pari o inferiore al 2,5% del loro palinsesto), trasmettono Creartù. Ma il format, acquistato dalla Manticx, ha una forte componente promozionale, poiché guida i telespettatori nella realizzazione di vari oggetti, con strumenti in vendita presso i negozi dello sponsor Cartolaio Amico. Infine, un gruppo maggioritario di reti evidenzia una totale disattenzione per i minori in fascia protetta. E in nessun caso si riscontra un impegno autonomo di produzione della rete. Poco interessata ai bambini, la fascia protetta è diventata il “regno” dell’advertising. Nella settimana analizzata, le 14 reti hanno trasmesso circa 174 ore di televendite, corrispondenti al 60,4% dell’intera programmazione, e 51 ore di spot tradizionali (17,6%), per 225 ore complessive di promozione commerciale rivolta agli adulti. Soprattutto nelle televendite, l’Osservatorio ha riscontrato la presenza di messaggi ingannevoli e il ricorso a stereotipi diseducativi. Il tempo dedicato, da tutte le reti, ai notiziari e all’informazione ammonta a quasi 8 ore, corrispondenti al 2,7% della programmazione settimanale. Tali spazi giornalistici non sono specificamente dedicati ai minori, ma non violano neppure la normativa a loro tutela. L’intrattenimento occupa il 14,5% della fascia protetta (circa 42 ore), di cui solo il 6,4% è rivolto ai bambini e agli adolescenti. Anche in questo caso, tuttavia, prevale un sostanziale rispetto della loro sensibilità. La fiction, che occupa una quota di palinsesto assai ridotta, pari al 2,8%, è invece il genere più interessato dalla presenza di contenuti violenti, anche se il fenomeno non assume dimensioni preoccupanti. I cartoni animati, infine, programmazione a target kids per eccellenza, occupano soltanto il 2,1% dei palinsesti sottoposti ad analisi. La parte più consistente è rappresentata dalla fantascienza, seguita dai generi comico/brillante, supereroi e sport. In linea generale, i cartoon di tipo aggressivo-competitivo sono prevalenti rispetto a quelli umoristici e affettivi. Mancano completamente, nel campione, cartoni di produzione italiana; la produzione europea copre il 22,7%, mentre il resto del tempo è occupato da creazioni statunitensi e giapponesi. Elena Rembado 7 L’inchiesta Auditel Share e audience: ecco come e per chi Auditel è una s.r.l. nel cui CdA siedono rappresentanti di Rai, Mediaset e delle loro concessionarie di pubblicità, di La7, delle aziende che investono in pubblicità, delle agenzie di pubblicità e dei centri media. E c’è anche la Fieg (con l’1%), che non siede in Consiglio ma nel Comitato tecnico. La misurazione del consumo di televisione, effettuata dalla AgbNielsen per conto di Auditel, si basa su un panel di famiglie campione. Le 5.103 famiglie rappresentano le venti milioni di famiglie italiane e le quattordici mila persone che vivono nelle famiglie campione rappresentano i 55,6 milioni di italiani/e con età superore ai quattro anni. Auditel distribuisce dunque i dati di audience, share ed altro, basandosi sulle scelte del proprio panel. Si prende in esame il consumo televisivo di ogni singolo individuo e se ne calcola il “fattore di espansione”, il moltiplicatore assegnato a quella persona. Il campione è distribuito in 103 province italiane e consente di coprire circa 2.090 degli 8.100 comuni italiani. Le indagini campionarie tanto più sono valide quanto più alto è il numero dei partecipanti al panel e ampio il valore di ciò che si misura. E’ molto probabile che Auditel riesca a monitorare con sufficiente approssimazione i valori d’ascolto delle reti generaliste nazionali; più problematico è considerare affidabili i dati Auditel riferiti a realtà locali. Tanto più piccola è l’area geografica cui i valori si riferiscono, o nella quale un’emittente locale opera, tanto più alta è “la forchetta” di errore possibile. Francesco Siliato (Politecnico di Milano) 8 Auditel gennaio-ottobre 2007. gli ascolti medi EmittentiGennaioFebbraioMarzoAprileM TELELOMBARDIA 1.243.248 1.350.877 1.234.404 1.263.585 7 GOLD TELECITY (Lombardia) 1.139.525 1.177.029 1.162.736 1.170.781 ANTENNATRE 1.149.353 1.162.521 1.051.694 1.051.419 TELENOVA 721.692 789.863 724.056 711.113 TELEREPORTER 549.743 530.953 502.109 483.541 MILANO + 324.320fino a gennaio da aprile 298.388 BERGAMO TV 248.403 251.926 266.894 241.413 PRIMA RETE 162.879 181.532 187.369 190.450 PIU’ BLU LOMBARDIA 196.043 183.530 180.830 187.536 TELETUTTO 182.471 200.392 180.678 168.803 CANALE 6 193.635 167.715 151.635 153.955 RETE 55 119.375 115.357 125.054 130.207 TELECAMPIONE 152.590 187.255 172.117 158.204 STUDIO TV 1 211.606 195.391 164.650 157.813 TELEUNICA 104.117 107.349 106.649 96.602 TELEBOARIO 102.426 100.087 99.555 95.223 TELECAMPIONE 2 107.675 91.460 86.774 85.584 PIU’ VALLI TV 87.828 88.935 88.392 70.623 ESPANSIONE TV 87.609 76.983 64.301 62.797 VIDEOSTAR 37.500 34.733 38.961 41.363 BRESCIA TELENORD 32.666 30.118 36.451 35.034 il cui Tg (diretto da Gianni Visnadi) è condotto da Paolo Pirovano, Paola Blandi, Alberto Carreras e Paolo Giarrusso. Su Telenova vanno poi in onda programmi di approfondimento ormai noti come “Linea d’ombra” condotto da Adriana Santacroce e Pinuccio Delmenico, ma anche “NovaMattina”, con una rassegna stampa e ospiti nello spazio di Daniela Sirtori e Fabio Pizzul. Ma se Telenova è l’esempio più datato e storico (la sua nascita, per volere del Gruppo San Paolo Periodici, è datata 1978) di abbinamento tra emittenza e giornali, esiste, in realtà, una consistente schiera di emittenti locali che sono legate a gruppi editoriali della carta stampata. A cominciare da Teletutto (nata nel 1977), il cui principale azionista, dal 1994, è l’Editoriale Bresciana, proprietaria del quotidiano Il Giornale di Brescia. E direttore di Teletutto è Giacomo Scanzi, lo stesso del Giornale di Brescia. Una dozzina i giornalisti in organico, con corrispondenti dalla Valle Camonica, Valle Trompia e Valle Sabbia. Stesso discorso vale per Bergamo Tv, emittente legata al quotidiano L’Eco di Bergamo, il più diffuso quotidiano di provincia d’Italia. Legata al Corriere di Como (dorso locale del Corriere della Sera) è invece Espansione Tv di Como di proprietà di Maurizio Giunco, presidente dell’associazione tv locali della Frt. Espansione Tv (direttore Mario Rapisarda) condivide la redazione con il quotidiano, ma ha volti noti (Giorgio Bardaglio) e rubriche di approfondimento giornalistico seguite e conosciute sul territorio. In un un’emittente televisiva locale di Varese, Rete 55, ha mosso i suoi primi passi, invece, Antonio Marano, ex sottosegretario per le comunicazioni (uomo fidato di Umberto Bossi), oggi direttore di rete di Raidue. Una copertura capillare sulle informazioni e le news che accadono tra Varese, Gallarate, Busto Arsizio, Tradate e dintorni è assicurata da un’agguerrita redazione di un pugno di giornali- Tabloid 1/ 2008 L’inchiesta Corecom delle emittenti censite in lombardia MaggioGiugnoLuglioAgosto SettembreOttobre 1.183.335 1.078.122 1.107.388 1.046.226 1.293.269 1.298.744 1.088.514 978.595 889.456 820.147 975.529 1.026.942 1.017.777 982.131 884.362 876.958 980.099 994.624 708.006 672.606 660.931 590.091 741.460 765.629 486.679 493.861 468.086 441.806 483.363 474.725 299.902 307.229 302.610 303.706 323.389 276.504 271.086 249.477 253.394 202.214 225.880 230.981 183.215 188.171 191.654 180.258 188.758 178.669 196.955 219.914 190.069 183.363 169.419 178.038 187.644 174.508 176.557 162.619 176.753 174.330 167.305 150.655 156.536 134.333 148.312 161.613 139.676 163.239 153.091 148.956 141.240 143.747 147.133 139.055 149.696 125.338 141.787 124.702 175.824 162.191 149.298 149.893 137.336 121.478 95.468 93.348 94.537 82.718 93.922 98.740 101.422 91.859 85.984 75.407 70.932 87.553 83.214 89.928 102.489 83.558 98.836 86.329 86.018 72.255 74.072 64.537 63.919 77.938 74.558 81.636 62.034 76.933 70.234 75.468 45.005 35.002 30.921 33.390 33.791 41.184 37.002 46.111 40.164 39.369 41.947 37.772 sti guidati da Matteo Inzaghi e Chiara Milani. Competitor locale è Telesettelaghi (direttore Monica Terzaghi), che sfoggia una rubrica settimanale d’opinione condotta da Robertino Ghiringhelli, ordinario di Storia delle dottrine politiche all’Università Cattolica di Milano. Firme soprattutto sportive, della carta stampata, sono poi contemporaneamente volti noti nelle televisioni locali. Fra tutti Xavier Jacobelli (ex direttore di Tuttosport e Corriere dello Sport e poi del Quotidiano sportivo del gruppo Riffeser) che va in onda con Fuori gioco e Telekomando, dagli studi di Assago di Telecity sul circuito di Italia 7 Gold. Numerosi, insomma, i giornalisti sportivi che prestano la loro opera sulle televisioni locali. Una consistente fetta della torta pubblicitaria appannaggio delle tv locali è infatti attirata dai programmi sportivi. Particolarmente seguiti i servizi sportivi su Telelombardia dove il coordinatore della redazione sportiva, Fabio Ravezzani può contare su firme e volti noti come Evaristo Beccalossi o Gino Bacci. Una rampa di lancio inaspettata, invece, le televisioni locali, sono anche per chi, sconosciuto fino a prima di comparire in video, è poi diventato, in men che non si dica, personaggio noto in ambito locale. È il caso di Camelia Liana Jumatate, romena di Bucarest, oggi conduttrice del Tg a Tele Clusone, balzata agli onori della cronaca e della noto- Dei 4,7 miliardi d’investimenti pubblicitari sulle televisioni, in Italia, solo poco più di 400 milioni vanno alle emittenti locali Tabloid 1 / 2008 Da qui passano le sovvenzioni Il Il Corecom (Comitato regionale per le comunicazioni ) è un organo di governo, garanzia e controllo sul sistema delle comunicazioni in ambito regionale. È organo funzionale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ed è organismo di consulenza della Giunta e del Consiglio regionale. Svolge la sua attività in rapporto con il pubblico, gli editori, i gestori di tutti i mezzi di comunicazione e le Istituzioni ed è stato costituito in Lombardia con la legge regionale 28 ottobre 2003, n.20, in attuazione della legge 31 luglio 1997, n.249, istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il Corecom della Lombardia si è insediato ufficialmente il 16 settembre 2004. Di norma si riunisce due volte al mese, ma può essere convocato ogni volta che lo si ritenga necessario. Tra le sue funzioni figura quella di sostenere lo sviluppo del settore radiotelevisivo attraverso la predisposizione di graduatorie delle emittenti televisive locali alle quali attribuire i contributi previsti dalla legge 448/1998 e realizza uno studio annuale sul sistema delle comunicazioni in ambito regionale finalizzato a presentare una relazione al Consiglio iregionale e all’Authority. Vigila in materia di tutela dei minori nelle tv, diritto di rettifca e nella pubblicazione dei sondaggi e interviene nelle controversie tra gestori del servizio in ambito locale. Presidente è Maria Luisa Sangiorgio (nella foto sopra), i vice presidenti sono Maurizio Gussoni e Piero Scaramucci. 9 L’inchiesta Aeranti-Corallo Una bandiera per 313 locali È l’associazione di categoria che ha il maggior numero di televisioni locali associate. Sono infatti 313 le tv locali iscritte ad AerantiCorallo, che associa un totale di 1.048 imprese, tra cui 668 emittenti radiofoniche locali, 6 agenzie di informazione radiotelevisiva, 36 imprese radiotelevisive via satellite, 10 imprese radiotelevisive via Internet, 9 concessionarie di pubblicità del settore radiotelevisivo e 6 syndication di emittenti locali che effettuano trasmissioni in contemporanea sul territorio nazionale. Pur rappresentando la gran parte delle televisioni locali, però, solo 51 delle associate AerantiCorallo sono rilevate da Auditel con 7 milioni e 251.0566 ascolti complessivi relativi al dato netto giornaliero (dati 2005). AerantiCorallo rappresenta, invece, 81 delle 168 imprese televisive locali (pari al 48,2%) complessivamente ammesse alle graduatorie regionali per le misure di sostegno alle tv locali previste dal D.M. 378/99 per l’anno 2005. Nata nel 1998, AerantiCorallo è coordinata dall’avvocato Marco Rossignoli (nella foto) e ha sede nazionale ad Ancona. Le imprese AerantiCorallo danno complessivamente lavoro a oltre 6mila lavoratori dipendenti e a oltre 10mila collaboratori. Il 3 ottobre 2000 AerantiCorallo ha stipulato con la Fnsi il primo contratto collettivo nazionale di lavoro per i giornalisti che lavorano nelle tv locali. Il Ccnl è poi stato prorogato, con modifiche, il 19 dicembre 2005. 10 fatturati e occupazione EmittentiMedia fatturato ’04/’06 in euro Telelombardia 12.609.071 Antennatre 8.359.690 Telenova 8.144.666 Telereporter 5.514.230 Teleradio City 6.328.623 Telecampione 6.856.193 Bergamo TV 2.692.854 Teletutto 3.655.287 Telecolor 1.614.224 Rete 55 1.965.734 Teleunica 1.476.379 Espansione TV 1.409.587 ReteBrescia 1.444.758 Studio TV1 1.328.090 Teleboario 886.449 Telesettelaghi 794.657 Brescia Punto TV 567.668 Più Valli TV 478.588 Telemantova 283.996 Brescia Telenord 357.333 Videobergamo 569.582 Videostar 385.734 Tbne 136.960 Antenna 2 175.973 Primarete Lombardia 1.058.355 Videostar 2 643.827 SuperTv 382.104 La 6 681.959 Trs TV 467.573 Canale 11 54.731 Italia 8 642.701 Telesolregina 64.483 Telelibertà 124.983 Telestar 765.162 Televalassina 149.081 Canale Italia 174.133 Videoblu 28.860 Più Blu Lombardia 394.740 Tele NBC (Tv comunitaria) 0 Tele Stella (Tv comunitaria) 0 rietà, lei di origine extracomunicaria, in quel delle Valli bergamasche, terra leghista, per antonomasia. Un Telegionale multietnico va in onda, dal lunedì a domenica, anche su ReteBrescia, dove Carlos Leonel e Ligeon Ciola (marito e moglie) hanno a disposizione un pool di collaboratori Giornalisti Profess. Pubb.Pratic.Tempo det.T 13,47 4,77 5,84 15,16 1,58 2,24 7 0 0 13,16 4,14 1,03 2,99 9,32 0 4 0 0 10 0 1 5,3 4,24 1,64 4 3,58 1 3,63 2,22 0,58 7,8 0,5 0 3,7 0,93 0 2,09 0 3,3 2,2 0,91 0,08 0 2,39 0 1 3,65 0 2,17 2 3 0 0 0 2,82 0 0 0 0 0 0 1 0 1,45 0,54 0 0 0 0 0 1,56 0 0 1 0 1 0 0 0 0 0 0 0,29 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0,63 0,21 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 che descrivono, con servizi e inchieste, la vita dei numerosi immigrati nel Bresciano e nel mondo. Non sono affatto rari, comunque, casi di giornalismo d’inchiesta nelle piccole televisioni locali. Ne è buon esempio Telecolor di Cremona (direttore Pierluigi Baronio)v, che ha dovu- Tabloid 1 / 2008 L’inchiesta graduatoria per le sovvenzioni statali Personale non giornalistico Tepo indet.. Tempo det. 47 0,49 47,35 0 38,62 2,08 21,97 0,24 28,01 1,12 39,29 2,86 23,82 1,76 20,68 3,81 9,48 39,96 19,26 1 13,91 0,56 16 0 10,56 3,74 7,83 7,09 11,15 0 3,89 11,1 3,71 1 10,48 0,91 2,24 2,84 6,45 0 3,25 4,93 1,49 0 5,11 0 2,7 0 3 0,2 2,59 0,5 4 0 2,27 4,38 3,62 0 3,27 0 2,36 0,83 2,47 0 0,84 0,05 1,5 1,41 1,2 0 1 0 1,05 0 0,57 0 0 0 0 0 Punti totali 2753,75 2614,5 1780,42 1763,68 1607,03 1604,81 1406,93 1255,41 960,35 938,56 934,88 767,22 517,84 472,97 456,71 420,46 376,89 327,71 258,48 199,17 181,27 162,82 155,63 153,99 153,04 150,95 126,06 118,41 116,24 99,25 86,24 75,19 74,74 65,62 38,36 32,76 32,24 23,48 0 0 to far fronte a non poche difficoltà a seguire le partite del Cremona Calcio per aver mandato in onda servizi e inchieste sull’inquinamento ambientale da parte dell’azienda titolare della squadra di calcio locale.Ora, per tutti, si apre un nuovo capitolo. La tecnologia, infatti, consente, ormai Tabloid 1 / 2008 Ecco come si calcolano i contributi Le misure di sostegno alle emittenti locali (legge n.448 del 1998) prevedono un fondo statale che viene ripartito attraverso una graduatoria redatta dal Corecom sulla base della media dei fatturati e dell’occupazione, con un premio particolare alla quota di giornalisti occupati. poco più di 11 milioni di euro in Lombardia. In percentuale i 4/5 del contributo sulla base del 37% delle emittenti in graduatoria arrotondato all’unità superiuore e 1/5 del contributo diviso fra tutte le emittenti indistintamente. In pratica le prime 15 tv locali si dividono l’80% del contributo, le altre le quote fisse rimanenti. La forbice del contributo varia quindi, di fatto, da circa 50mila euro per chi prende di meno a un paio di milioni di euro ciascuna per le prime in graduatoria. anche alle emittenti locali di offrire contenuti a pagamento. L’utilizzo del pay per view, insomma, non è più solo appannaggio dei network come Mediaset o La7. La sfida, oggi, anche per le tv locali, è quella del 2012 sul digitale. [email protected] FRT Ascolti e fatturati: Non solo Mediaset È l’associazione che rappresenta tutte le televisioni nazionali e i grandi network, ma ha anche una divisione dedicata alle televisioni locali. Alla Frt aderiscono infatti le tre reti del Gruppo Mediaset (Canale 5, Italia 1, Rete 4), quelle del gruppo Telecom Italia Media (La7 e Mtv Italia) e Sky Italia, oltre ad alcuni content provider di canali satellitari (tra cui Fox Channel). Ma in Frt c’è anche un’articolazione dell’associazione che raggruppa 135 emittenti televisive locali (quasi tutte le più iomportanti in termini di ascolti, fatturati e di occupazione), 5 radio nazionali (Rtl 102.5, Rms Radio Monte Carlo, Radio 105 Network, Radio Kiss Kiss Networke e Radio Italia Solo Musica Italiana) e 180 radio locali. Le associate Frt (contando i tre canali Mediaset) rappresentano il 95% dell’intero settore televisivo privato (e il 60% del settore radiofonico privato) e danno lavoro (compreso l’indotto) a cerca 20mila persone. La Frt (al contrario di AerantiCorallo che, per i giornalisti, ha firmato un contrato di lavoro con la Fnsi) è firmataria di un contratto con i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil. Costituita nel 1984, la Frt è presieduta da Filippo Rebecchini (nella foto), ma l’articolazione delle televisioni locali è presieduta da Maurizio Giunco di Espansione Tv di Como (vice presidenti Piero Manera di Rete 7 Piemonte e Giorgio Tacchinoi di TeleCity Piemonte). 11 Le iniziative dell’Ordine I nostri tre “inviati speciali” raccontano la conferenza di nairobi Africa al bivio tra guerre e nostalgia del futuro I vincitori della Borsa di studio dell’Ordine della Lombardia hanno seguito i lavori sui conflitti nel Continente nero. E descrivono la sfida più grande della sua storia: far uscire dall’indigenza milioni di persone che vivono negli slums, nella povertà totale Joseph Iwannia è uno fra i personaggi più significativi che si possano incontrare, qui, alla Conferenza sui conflitti africani. Delegato keniano di una missione cattolica, è arrivato a Nairobi per assistere ai lavori, ma la preoccupazione per le sorti dei suoi connazionali lo costringe a tornare a casa in anticipo. La chiesa dove lavora, vicino al confine con l’Uganda, ospita decine di rifugiati etnici, bersaglio di una nuova ondata di odio. In Kenia, il processo di unificazione nazionale ha prodotto risultati apprezzabili dopo l’indipendenza del 1963, ma non ha abolito le recriminazioni dal sapore etnico. Dice Maina Kiai, presidente della Kenya National Commission on Human Rights; “Lo stato ha faticato per darci una storia comune in modo da renderci più forti contro il colonialismo. Come anche i sudafricani, i keniani vogliono essere fieri della loro nazione, ma c’è ancora un grosso sforzo di coscienza da compiere”. Tiziana Cauli, a pag 16 12 C’è un’aria di fatalismo a Nairobi. Tutto surreale. Mondi paralleli che viaggiano senza incontrarsi mai. Da una parte gli slums, le baraccopoli, con le loro contraddizioni, la fame e la disperazione degli ultimi che sopravvivono a fatica. Dall’altra il city center occidentale, con i suoi grattacieli, il filo spinato e i guardiani a mantenere l’ordine. Immutabile, radicato nel tempo e nelle gerarchie tra le diverse etnie. Ma, visti da vicino, anche tra gli slums ci sono molte differenze. Kabiria o Satellite sono considerati “residenziali” rispetto all’inferno di posti come Kibera o Korogocho. Una schizofrenia che a volte colpisce anche i ricchi, che ormai si considerano solamente “classe media”. Ed è come se mancasse sempre qualche tassello per capire fino in fondo le ragioni di queste contraddizioni. A meno di non cercarle in quel mondo popolato di spiriti che noi occidentali bianchi non riusciamo a vedere. Giulio Maria Piantadosi, a pag 17 Terra di contrasti. Nella percezione comune l’Africa è terra di catastrofi umanitarie, emigrazione incontrollata e guerre etniche, oppure è una paradisiaca destinazione turistica. Con la globalizzazione, l’Africa nei prossimi decenni potrebbe far emergere milioni di persone dall’indigenza. Ma il suo export dipende ancora molto da minerali e petrolio e, nonostante gli aiuti internazionali, milioni di persone ancora non hanno accesso a risorse primarie come l’acqua potabile. Ora in virtù di quelle forze che spingono il boom di Cina e India, anche Kenia, Marocco e Uganda cominciano a raccogliere i frutti della diversificazione dell’economia, il Botswana ha tassi di corruzione di gran lunga inferiori all’Italia, la Tanzania garantisce assistenza sanitaria di base al 90% dei cittadini e Mauritius e Sudafrica sono ormai esempi di successo. Raccontare questi cambiamenti, le storie e le persone, significa raccontare la speranza dell’Africa. Per me, significa fare il giornalista. Guido Romeo, a pag 18 Tabloid 1 / 2008 Le iniziative dell’Ordine come e dove lavorano i giornalisti africani Media di frontiera Zimbabwe, Guinea e Eritrea all’ultimo posto nella classifica dei Paesi non liberi. I giornali keniani in “libertà vigilata” di Tiziana Cauli e Guido Romeo Isolati, privi di qualsiasi protezione contro i soprusi violenti di cui sono quotidianamente vittime e spesso costretti all’esilio. La condizione dei giornalisti in alcune zone dell’Africa è una conseguenza diretta del clima di conflitto e violazione dei diritti umani in cui versano molti paesi del continente. Secondo i dati dell’Ong Reporters sans Frontières, la Somalia è seconda nella classifica mondiale dei paesi più pericolosi per i giornalisti, preceduta soltanto dall’Irak. “Più di 50 fra i giornalisti più promettenti del paese sono fuggiti all’estero”, spiega Omar Faruk Osman, segretario generale del sindacato dei giornalisti somali Nusoj. Osman ha presentato a Nairobi un programma di formazione per reporter somali in Kenia. Fino alla crisi scatenata dalle ultime elezioni, questo paese era considerato il faro della democrazia in Africa orientale, oltre che il fulcro economico della regione. “Oggi uno dei temi più caldi è l’andamento della Borsa di Nairobi che è diventato un punto di riferimento per le economie della regione”, spiega Karinki Waihenya, caporedattore del Business Daily, gemello finanziario del principale quotidiano keniano, il Daily Nation. Per LE TESTATE in kenia Quotidiani: Daily Nation, East African Standard, People’s Daily, Star Daily, Business Daily, Kenianews, Periodici: Coast Week, Karen’gata Chronicle, Weekly Review, Talking Africa. Stazioni televisive: Kbc Kenia Broadcasting Corporation, Ktn Kenya Television Tabloid 1 / 2008 •Francis Owino e Victor Shamwata, due reporter free lance cresciuti negli slums di Nairobi, oggi dell’équipe di Ndugu Undogo, tra i pochi in grado di filmare nelle baraccopoli. questo, un periodo di formazione nel paese avrebbe potuto rappresentare un’occasione unica, per 40 reporter somali. Secondo Antony Wafula, un giovane radio-giornalista keniano che ha partecipato come insegnante a un programma di formazione per colleghi somali nella regione del Puntland, “Le differenze fra gli standard del giornalismo somalo e quelli keniani sono enormi. Non esistono paragoni”. Network, Metro Tv, Family Tv, East African Television. Stazioni radiofoniche: Kiss Fm, Capital Fm. Nation Radio, Metro Fm, East Fm per saperne di più www.nusoj.org www.nationmedia.com www.chinaview.cn/world/africa.htm www.freedomhouse.org www.rsf.org Come nelle banlieues francesi Secondo un’analisi applicata anche a crisi politico-sociali occidentali, come quella delle banlieues frances, i media keniani e internazionali, sono stati accusati di aver fomentato la violenza, assicurando uno spazio di tutto rilievo a vandali e facinorosi. L’Ong Freedom House assegna ai media keniani un livello di libertà “parziale”, mentre Zimbabwe, Guinea Equatoriale ed Eritrea si contendono l’ultimo posto nella classifica dei paesi non liberi. “La libertà di stampa è un tema delicato nei paesi africani”, spiega Muangi Chege, vice direttore del quotidiano keniano People’s Daily, “ma è migliorata negli ultimi anni, soprattutto avendo accesso a informazioni e documenti governativi”. Cinesi imparziali Il superamento dell’odio legato alle divisioni etniche e il passaggio dalla censura alla libertà sono fra le sfide principali che i media africani si trovano ad affrontare nel processo di stabilizzazione democratica dei loro paesi. Il Sudafrica, traino dell’economia del continente, che precede l’Italia nella classifica di Freedom House e può vantare una fra le carte costituzionali più illuminate al mondo, ha superato la segregazione razziale senza guerre. I suoi media, però, combattono ancora contro la concentrazione bianca del capitale. Le dinamiche di simili processi possono sfuggire alla comprensione degli osservatori occidentali, abituati a definire “libertà” e “censura” secondo i criteri delle democrazie europee, ma vanno seguite da vicino perché in rapida evoluzione e hanno visto recentemente l’arrivo di nuovi attori. Un’agenzia con crescente peso mediatico nel continente è, ad esempio, la cinese Xinhua che, oltre a una radio in lingua inglese, propone servizi da sedi in tutta l’Africa e guadagna seguito tra i professionisti locali. “Xinhua è percepita come molto meno di parte rispetto ai media occidentali, forse perché non dà giudizi politici sul paese - osserva Chege. - Anche se negli anni ’90, le pressioni europee hanno giocato un ruolo fondamentale nella transizione verso il sistema multipartitico”. 13 Le iniziative dell’Ordine Primo piano LA COMUNITA’ INTERNAZIONALE è PIU’ UN PROBLEMA CHE UNA RISORSA Conflitti e compromessi Fino a ieri mediatore del dialogo, un Kenia nel caos paralizzerebbe, oggi, i commerci nell’intera area africana. Nell’ex Congo la più vasta e dispendiosa missione di pace dell’Onu. Ma anche la guerra tra etnie fa strage di civili inermi di Tiziana Cauli Genocidio non è più tabù? Drammatico a dirsi. Quando, all’apice delle violenze che hanno seguito la controversa ri-elezione del presidente keniano Mwai Kibaki, i sostenitori del rivale Raila Odinga sono stati accusati dal governo di aver messo in atto un vero e proprio “genocidio” contro i kikuyu, l’impiego di un termine così palesemente inappropriato non ha stupito più di tanto gran parte del pubblico internazionale. Il paese è infatti circondato da stati la cui autorità centrale è imposta a stento alle popolazioni che convivono all’interno degli stessi confini e la guerriglia dei movimenti ribelli uccide quotidianamente un numero imprecisato di civili inermi. Il Sudan e la Somalia, con la quale il Kenia condivide mille chilometri del suo confine settentrionale, sono gli esempi più significativi e noti in questo senso. Più a ovest, nella regione dei Grandi laghi, la Repubblica democratica del Congo è sede della più vasta e dispendiosa missione di pace dell’Onu, che non riesce a sedare la guerriglia a est del paese, mentre in Burundi il fallimento dei negoziati di pace con i ribelli ha dato inizio a una nuova stagione di violenze. La combinazione di “avidità” da parte di gruppi, governi e attori internazionali nello sfruttamento delle risorse e le “recriminazioni” delle popolazioni, etnie e persone 14 che restano escluse dallo sviluppo economico è individuata dagli studiosi come causa dei conflitti nell’intero continente. In questo panorama di esplosiva instabilità, il Kenia ha conquistato una meritata reputazione di stabilità politica ed economica nell’Africa Orientale e ha rivestito un ruolo fondamentale come base di mediazione e dialogo con le aree di crisi adiacenti. Unione Africana, Onu, Usa e altri paesi e organismi internazionali si sono affrettati a inviare i loro mediatori in loco per il raggiungimento di un compromesso politico che ristabilisse la normalità. Un Kenia nel caos paralizzerebbe, com’è accaduto nei primi giorni dei disordini, il commercio internazionale con i paesi vicini, in particolare l’Uganda, il Ruanda e il Burundi. Un quarto del Pil dei primi due e un terzo di quello burundiano transitano per il porto keniano di Mombasa e, quando le violenze di alcune settimane fa ne hanno bloccato le attività, le loro economie hanno subìto pesanti disagi. L’Uganda, in particolare, ha dovuto sospendere i voli domestici a causa della mancanza di carburante. In questo contesto, anche il Fondo monetario internazionale ha espresso da subito la propria preoccupazione e volontà di sostenere il Kenia nel suo sforzo per uscire dalla crisi. L’attenzione dedicata al paese contrasta con l’indifferenza riservata a crisi politiche e umanitarie ben più gravi in luoghi meno strategici del continente. Secondo Adekunle Amuwo, segretario esecutivo dell’African Association of Political Science “l’atteggiamento delle potenze e delle organizzazioni internazionali nell’Africa post-coloniale è stato finora in gran parte ambivalente”, al punto che “la comunità internazionale è più un problema che una soluzione”. • Sopra, la distribuzione del cibo tra gli abitanti degli slums. A destra, il quartiere-baraccopoli di Kibera, a Nairobi. Tabloid 1 / 2008 Le iniziative dell’Ordine Primo piano tra i ragazzi di padre kizito che cercano il riscatto delle baraccopoli All’inferno con il cellulare Quasi un milione di persone, nelle periferie di Nairobi, paga l’affitto ai landlords per vivere in scatole di lamiera sporche, senza luce elettrica e senza cibo. Un ambulatorio e una piccola attività commerciale per dare un futuro a migliaia di bambini orfani di Giulio Maria Piantadosi Sono più di 200 gli slums che circondano Nairobi. Ogni anno queste baraccopoli diventano sempre più estese, ingrossate da un flusso inarrestabile di persone che arrivano dalle aree rurali in cerca di fortuna. Qui la gente paga un affitto ai landlords, i signori feudali che controllano il territorio, per abitare in scatole di lamiera sporche e senza luce elettrica. Disoccupazione, droga, Aids sono l’unica scuola per migliaia di ragazzini. Eppure è proprio in questa miseria che sta nascendo la speranza di un Kenya diverso. Un bisogno di futuro che le violenze dei mesi scorsi hanno messo a rischio, riaprendo l’antica ostilità tra i kikuyu (la tribù del presidente Kibaki, da sempre al potere) e i luo (sostenitori dell’opposizione di Odinga). Kibera è lo slum più grande dell’Africa Orientale. Si arrampica su una collinetta da cui si vede un campo da golf che sembra un miraggio. La baraccopoli è tagliata a metà dalla ferrovia e per le strade si trova di tutto: immondizia, cibo, cellulari. Qui vivono quasi un milione di persone che nonostante tutto non si sentono sconfitte e che sono riuscite a tra sformare drammi privati in questioni collettive. Come Judith Omuinij, direttrice del Kibera Community Program. «Siamo tutti sieropositivi in cura – spiega – e per prendere le medicine dobbiamo mangiare, ma alcuni di noi non hanno i soldi necessari per fare un pasto tutti i giorni. Così, con i finanziamenti del microcredito, abbiamo iniziato una piccola attività commerciale per sostenerci e dare un futuro ai bambini rimasti orfani». Il 10 dicembre scorso l’associazione di Judith ha festeggiato un anno di attività. Un giorno speciale, perché • A sinistra, padre Kizito e, sopra, un angolo dello slum di Kibera, uno dei quartieri poveri di Nairobi. Tabloid 1 / 2008 coincide con l’anniversario della Carta dei Diritti dell’Uomo. «I diritti vanno praticati, non possiamo aspettare che qualcuno ce li conceda», spiega Padre Kizito, missionario comboniano da trent’anni in Kenya. A Kibera ha appena inaugurato un altro centro della sua comunità, Koinonia, che non si occupa solo di dare un letto, un pasto e un po’ di istruzione ai bambini di strada. «L’ambulatorio di fisioterapia – dice Kizito davanti a una folla di persone – aprirà il mese prossimo. Ditelo anche ai vostri vicini: chiunque ha in casa una persona disabile può venire al centro gratuitamente». Assieme a lui c’è Dan Omulo, 24 anni. Sarà lui a occuparsi dell’organizzazione. «Abbiamo bisogno di educazione e informazione per vincere le discriminazioni, ma siamo sempre in fondo alle priorità del governo. Lo sportello handicap è al quarto piano di un palazzo in centro, come ci arrivamo?». E sorridendo mostra le stampelle. Su queste esperienze gli scontri degli ultimi mesi hanno messo una seria ipoteca. A Kibera la maggioranza di etnia ha votato in massa per l’opposizione di Odinga, ma qui vivono anche migliaia di kikuyu fedeli a Kabaki. Eppure non c’è stata la caccia ll’uomo come nella Rift Valley. La rete di comunità e associazioni ha tenuto e le violenze, più che interetniche, sono state negli scontri di polizia. Per ora la polveriera delle baraccopoli non è esplosa, ma ci vorrà tempo prima che cessino i rancori e la gente, divisa tra Odinga e Kibaki, torni a lavorare insieme. 15 Le iniziative dell’Ordine L’economia cresce del 6%. sud africa, kenia, senegal e maghreb da traino Piccoli imprenditori crescono Telecomunicazioni e beni di consumo come l’alimentare stanno creando nuove opportunità per l’economia. Grande attesa per la cablatura sulla costa vicina a Mombasa. Piccole storie di successo per una nuova classe media emergente di Guido Romeo “E se invece dell’Africa la Francia aves se colonizzato il Giappone?”, chiedeva l’economista JeanLouis Gombeaud per mostrare come il Giappone, privo di risorse naturali e in ginocchio dopo la Seconda Guerra, è oggi una delle economie più avanzate del Pianeta. L’Africa invece, ricchissima di risorse, liberata dal colonialismo da più di 40 anni e sostenuta dagli aiuti internazionali, solo oggi sembra cominciare a trovare la strada di uno sviluppo autonomo. L’Ocse mostra una crescita del 5,5% per l’economia africana nel 2006 e stime superiori al 6% per il 2007 e 2008. Uno slancio non comparabile al 9-11% annuo di India e Cina, ma che si stacca nettamente dalla media del 3,4% al livello globale. Non è solo merito delle risorse naturali – che pure hanno fatto la fortuna del Botswana, – ma anche della crescita interna dei Paesi più avanzati come Sud Africa, Kenya, Senegal e la fascia del Maghreb. “Telecomunicazioni, ma anche beni di consumo come l’alimentare stanno crescendo rapidamente e credo che paesi come il Kenia oggi siano veramente una nuova terra di opportunità” – spiega Raju Bid, 33 anni e manager della Jetlak Foods Limited di Nairobi con un fatturato di 2,6 milioni di dollari nel 2006 e un più 30% previsto per il 2007 e 2008. 16 Poliglotti e manageriali Bid, indiano-keniota nato a Nairobi ma che non ha mai visitato il subcontinente, parla correntemente gujarati e swahili ed è diplomato in management presso le Università di Manchester e Westminster. È il perfetto rappresentante di una nuova generazione di imprenditori africani fiduciosi nello sviluppo dell’economia locale. I problemi tuttavia non mancano. In Darfur e Somalia le cirsi restano ancora irrisolte, Nigeria e Congo sono instabili e molti Paesi dovrebbero aumentare di 35 milioni l’anno il numero di persone con accesso all’acqua potabile per rispettare i “Millennium development goals” fissati per il 2015. “Anche in Kenia il terreno di gioco non è uguale per tutte le imprese, a causa di corruzione e lobby locali – osserva Hansol P. Shah, direttore di SokoSweety, uno dei maggiori distributori di dolciumi con 1,2 milioni di dollari di fatturato nel 2006 .– Ma una classe media sta emergendo”. Il Kenia, fino a prima delle elezioni considerato un esempio di buon governo, gode di un hub commerciale e libero scambio con l’Egitto. Molti guardano con grande attesa alla cablatura sulla costa vicino a Mombasa, al suo sistema educativo il lingua inglese, alle Tlc e ai call center sull’esempio della crescita indiana. Non mancano storie di successo come quella di Safari.com, il primo gestore mobile keniota controllato da Vodafone e destinato a quotarsi quest’anno. “Oggi l’Africa è fatta – osservava alla vigilia delle elezioni Maina Kiai, presidente delle commissione keniota per i diritti umani - ma bisogna fare gli africani, dandogli identità, valori moderni e leader all’altezza delle riforme che devono affrontare”. I mesi di violenze che hanno infiammato il Paese in seguito alla contestata rielezione di Kibaki, sono costate centinaia di vite, ma per alcuni, non sono solo l’effetto dell’odio etnico che ha provocato tragedie come quelle del Ruanda. “Venti anni fa la rielezione del presidente uscente con l’85% dei voti era considerata di rigore – ha sottolineato sul Wall Street Journal Andrea Bohnstedt – oggi le regole sono più stringenti, più kenioti conoscono i loro diritt, i media digitali e la telefonia cellulare hanno accelerato la diffusione delle notizie. Il Paese è cambiato e rubare un’elezione non è più così facile”. • Una scuola negli slums. Ma tanti vanno a studiare a Manchester. Tabloid 1 / 2008 Le iniziative dell’Ordine la testimonianza dell’inviato del “corriere della sera” La mia Africa Vent’anni fa si lavorava con il telefax e mezzi di fortuna, oggi ci sono i satellitari. Dall’albergo si può controllare tutto, ma le notizie si trovano in strada e con una buona agenda di Massimo A. Alberizzi* Quando ho cominciato a viaggiare per l’Africa, alla fine degli anni ‘80, portavo una piccola valigetta e la mitica Olivetti Lettera 22. Per mandare gli articoli la fatica era grande: dovevo andare alla posta centrale delle varie capitali o delle città più importanti, consegnare il mio pezzo all’impiegato che si occupava dei telex il quale, senza capire una parola, copiava ciò che c’era scritto e lo inviava in via Solferino. Altro mezzo, più veloce, dettare al telefono l’articolo. Già, ma allora le linee erano pessime, e si rischiava di aspettare ore. In quegli anni mi aiutò in modo eccezionale la signora Turco e tutto lo staff di Italcable, che gestiva i collegamenti tra Italia e resto del mondo. Ero venuto in contatto con questa deliziosa centralinista durante un viaggio a Khartoum, in Sudan, dove ero passato per entrare clandestino in Etiopia con i guerriglieri di allora. La signora Turco - era il 1987 - mi agevolò alla grande durante la guerra Libia-Ciad. L’esercito ciadiano portò una trentina di giornalisti in visita nei campi di battaglia nel nord del Paese. Alla partenza non ci dissero né qual era la destinazione, né quanto tempo sarebbe durato il viaggio. Lasciammo tutti N’Djamena, senza cibo, senza acqua e senza neppure una camicia di ricambio. La sera prima di abbandonare l’albergo chiesi alla signora Turco: “Per favore mi telefoni ogni sera alle 6 e alle 8”. Visitammo le zone dove erano infuriati i combattimenti e tornammo nella capitale del Ciad una domenica sera. Avevo scritto il mio articolo la notte precedente, sulle dune candide attorno a Faya Largeau, Tabloid 1 / 2008 un’oasi spettacolare del Sahara. Ero arrivato in albergo da qualche minuto e, puntuale come un orologio, squilla il telefono. Dall’altra parte la signora Turco. “Mi passi i dimafonisti prima che cada la linea”, le dissi. Dettai concitato e fui l’unico. Gli altri colleghi non riuscirono a mettersi in contatto con i loro uffici. I loro pezzi furono pubblicati solo martedì. In quel viaggio ero il solo italiano, ma i miei concorrenti erano i colleghi delle grandi agenzie internazionali, che l’Ansa avrebbe tradotto per l’Italia. Dai dimafoni ai cellulari Oggi tutto è cambiato. Al posto della Lettera 22 c’è un piccolo computer, un apparato satellitare per collegarsi a Internet, un telefono satellitare che negli anni è diventato sempre più piccolo e portatile, un mucchio di fili, caricatori, antennine, due telefoni cellulari. Tutto può stare in una valigetta abbastanza compatta. La signora Turco (che non ho mai incontrato personalmente ma che ricordo sempre) e i suoi colleghi sono andati in pensione e io posso controllare se chi È Massimo Alberizzi, professionista dal 1978. Primo giornalista occidentale a entrare nelle zone della Cambogia controllate dai Khmer rossi, ha seguito i maggiori eventi bellici africani (Ciad e Libia, Etiopia-Eritrea). Ha raccontato i sanguinosi disordini prima dal Kenia, quindi dal Ciad, dove si trova attualmente. c’è stato un colpo di stato a un paio di chilometri dal mio albergo. Ma tutto questo è sufficiente per scrivere in buon articolo o un reportage aderante alle realtà? Credo di no. Purtroppo in Italia i grandi media non si preoccupano della formazione degli inviati. Molti addirittura non parlano inglese o la loro padronanza è misera. Eppure vengono impiegati in lungo e in largo in giro per il mondo. Ricordo Howard French, corrispondente del New York Times da Abidjan, in Costa d’Avorio. Fu trasferito a Tokyo, ma prima il suo giornale lo spedì sei mesi alla Hawaii per un corso intensivo di giapponese! Stupefacente se si pensa che in Italia si passa dall’Iraq alla Germania o dall’omicidio di Cogne all’Afghanistan. Troppo pochi gli inviati che restano! Colleghi del Corriere della Sera, Repubblica, Rai, Panorama, Avvenire, La Stampa.... Avrò scordato certamente qualcuno. Ma dove sono finiti i reporter del Giornale, Resto del Carlino, Giorno, Mattino di Napoli, Gazzettino di Venezia, Messaggero, TG5 ...? Con grande dispiacere non li incontro più. I loro giornali si sono sbarazzati del difficile compito di informare i lettori e hanno assunto sempre più la fisionomia di organi il cui unico interesse è partecipare alla lotta politica. Un contesto desolante. Occorre reagire con professionalità, competenze e specializzazioni. Bisogna tornare a ricordare ai colleghi che il patrimonio più importante di un giornalista è l’agenda telefonica. E va rimpolpata ogni giorno. *Inviato del Corriere della Sera 17 Le iniziative dell’Ordine Ecco un breve Portfolio dei tre borsisti dell’Ordine della Lombardia in Africa. In centro pagina la sede Rai nel cuore finanziario di Nairobi. Nelle altre immagini la vita quotidiana nelle baraccopoli. Il servizio fotografico è di Guido Romeo e di Giulio Maria Piantadosi Foto da Nairobi La nuova sede Rai Il continente nero da Nairobi al Tg La Tv pubblica italiana è tornata con le sue telecamere nel continente nero, aprendo una sede a Nairobi. E’ dal 1995, quando vennero uccisi Ilaria Alpi, Marcello Palmisano e Miran Hrovatin, che i cronisti della nostra tv non mettevano piede nel Paese. A raccontare l’Africa c’è Enzo Nucci (foto a sinistra, l’operatore Antony Wafula, a destra), una vita nella cronaca nera prima di Nairobi. Rai Africa è nata un anno fa grazie alla sua cocciutaggine. Ha convinto viale Mazzini ad aprire una sede di corrispondenza a Nairobi e poi ha superato gli ostacoli tecnici e la burocrazia africana. «Nairobi è un 18 Tabloid 1 / 2008 osservatorio privilegiato sul continente», spiega Nucci. «Da qui seguo le vicende di 49 paesi: questo vuol dire dare più spazio ai reportage che alla notizia di un minuto per il tiggì». A accompagnarlo nel suo lavoro c’è solo Edwin. «L’occhio di un cameraman locale è un modo diverso di entrare in questo mondo», aggiunge Nucci, che l’anno scorso - quando nessun giornalista riusciva a entrare a Mogadiscio - ha girato un documentario sulla Somalia delle Corti Islamiche. Ora, nella sede Rai di Nairobi, c’è una targa che ricorda Marcello Palmisano, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Hanno pagato con la vita il coraggio di raccontare l’Africa. Bisogna non dimenticare. Tabloid 1 / 2008 19 Le iniziative dell’Ordine L’ordine dei giornalisti della lombardia istituisce sei borse di studio Seguendo le orme di Sherlock Holmes Una nuova opportunità per i free lance che vogliono partecipare a un Master in analisi investigativa. Perché giornalisti d’inchiesta si diventa, con coraggio e intelligenza, ma anche con un’adeguata preparazione professionale L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha istituito 6 Borse di studio di 1.200 euro ciascuna per un Master di analisi delle fonti documentarie e giornalismo investigativo. Possono partecipare alla selezione i free lance che sono in possesso dei seguenti requisiti: 1) iscrizione a uno degli Albi della Lombardia 2) età compresa tra i 25 e i 40 anni 3) laureati o non laureati in possesso di ottimo curriculum professionale 4) conoscenza di almeno una lingua dell’Unione Europea, preferibilmente l’inglese. L’assegnazione delle Borse di studio è a insindacabile giudizio del Consiglio dell’Ordine della Lombardia, al quale vanno presentate, entro il 23 marzo 2008, le domande di ammissione tramite posta elettronica a [email protected] o a [email protected] oppure tramite raccomandata con ricevuta di ritorno in via Antonio da Recanate 1, 20124 Milano, all’attenzione della presidenza dell’Ordine della Lombardia. La Borsa di studio si riferisce al corso di “Analisi investigativa” della durata di 90 ore (vedi box con il dettaglio delle materie). Da lungo tempo negli Stati Uniti e negli altri Paesi in cui il giornalismo investigativo si è sviluppato, è noto che la qualità del lavoro giornalistico d’inchiesta non è solamente il frutto del coraggio, del valore intellettuale e della capacità di analisi del singolo giornalista, ma è direttamente correlato alla presenza di una ben definita “cassetta degli attrezzi” e di una adeguata competenza nell’individuazione, nell’analisi e nella verifica delle fonti documentarie. Preziosi strumenti che l’Ordine, con questa iniziati- analisi investigativa: il programma del corso Docente Insegnamento Ore Roberta Bruzzone Teoria e tecnica dell’investigazione 12 Massimiliano Boccardi Teoria e tecnica dell’investigazione informatica 12 Fabio Mini Sistemi criminali 1 (mafia-CO ) Scenari esteri 6 Enzo Ciconte Sistemi criminali 1 (mafia-CO ) 6 Leonida Reitano Analisi delle fonti aperte su internet 6 Guido Salvini Lorenzo Striul Sistemi criminali 2 (terrorismo nazionale e internazionale ) 18 Mauro Falesiedi Economia dei sistemi criminali 22 Francesco Truglia Workshop di Analisi georeferenziata per il giornalismo di inchiesta 18 20 va, vuole mettere a disposizione di chi ha da poco avuto accesso alla professione, in risposta alla ritrovata passione per il giornalismo d’inchiesta. Il Master, che si terrà a Milano presso l’Istituto Don Bosco (via Tonale 19, zona Stazione Centrale), è patrocinato dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Istituto per i beni archivistici e librari dell’Università di Urbino, Diario della settimana, Internazionale, Affari Italiani, Quaderni Radicali e McLuhan Program University of Toronto. Le altre lezioni del Master Oltre a quello di “Analisi investigativa”, il Master prevede ulteriori corsi di “Insegnamenti propedeutici”, “Metodi e strumenti per la ricerca e l’analisi delle fonti documentarie”, “Giornalismo scritto e online”, “Giornalismo televisivo”, per la durata totale di 291 ore. Chi, invece, è interessato alla frequenza totale del Master (coordinato e diretto da Nicoletta Napoleoni), che avrà inizio il prossimo 28 marzo, indipendentemente dalla selezione e dall’avvenuta assegnazione di una delle Borse di studio, potrà partecipare versando una quota di iscrizione di 4.500 euro, contattando il coordinatore Leonida Reitano, cell. 348.9155506, oppure scrivendo una mail a info@ giornalismoinvestigativo.org o, ancora, consultando il sito www.giornalismoinvestigativo.org Tabloid 1 / 2008 Gli enti della categoria PRECARIATO / ISTITUITO UN OSSERVATORIO NAZIONALE CON SEDE A MILANO Quando la notizia vale 1 kg d’insalata Con Barzini e Montanelli abbiamo in comune la passione per il nostro “mestiere”, ma il lavoro del giornalista è sempre più insicuro, pagato quando capita e sommerso di Giuseppe Spatola* “Il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi, ma è sempre meglio che lavorare…”. Chissà se oggi il pensiero di Luigi Barzini, firma storica del giornalismo italiano, sarebbe lo stesso. Sì, perché di questi tempi si fa presto a dire giornalista, ma si fa prima a pensare al precariato. Oggi fare il giornalista non è certo meglio che lavorare, ma è forse il modo più difficile per “lavorare e guadagnare”. Così, dimenticando l’idea dello storico inviato del Corriere, nelle redazioni del xxI secolo una notizia vale poco meno di un chilo di insalata fresca comperata al mercato: 2 euro lordi... Insomma, altro che “call center” e neolaureati che fanno i camerieri – simbolo della precarietà del nuovo millennio. I nuovi giornalisti, che nulla hanno in comune con i Barzini o i Montanelli se non la passione per un mestiere diventato per antonomasia “sempre più insicuro, incostante e capriccioso” (citazione da una delle ultime interviste a Enzo Biagi), si riconoscono in quelli “pagati quando (e se) capita da padroni che non assumono mai”. Per essere brutale, perché la schiettezza paga ancora anche in questo mestiere, siamo diventati un esercito di lavoratori in nero che ha superato il punto del non ritorno. Basta leggere con attenzione il libro bianco sul lavoro nero, pubblicato due anni fa dalla Fnsi, per scoprire (se mai ce ne fosse bisogno) storie di violazioni, soprusi Tabloid 1 / 2008 nel mondo dell’informazione, e la dittatura dei pezzi pagati sempre meno o dei contratti a tempo determinato che diventano prassi in tutte le redazioni. Purtroppo i numeri non mentono: sono soltanto 12.500 i lavoratori dipendenti delle redazioni italiane(dalla stampa a Internet, dalla tv alla radio), a fronte di circa 30 mila lavoratori precari. I primi sono i dati ufficiali dell’Ordine dei giornalisti, i secondi vengono da una stima sugli iscritti alla cosiddetta «gestione separata» dell’Inpgi (Inpgi 2), l’istituto di previdenza dove versano i contributi tutti i redattori parasubordinati e collaboratori in diverse forme. Gli iscitti alla cosiddetta «Inpgi 2» alla fine del 2005 sono risultati 21.171, ma tra questi la vera «fascia a rischio» è composta da 10 mila lavoratori che non raggiungono i 700 euro lordi di compenso al mese. Inoltre, i soli dati Inpgi non sono sufficienti a inquadrare il fenomeno: ci sarebbero infatti altre diverse migliaia di giornalisti che lavorano senza versare contributi di A chi rivolgersi Il gruppo di lavoro dell’Ordine nazionale è formato da Massimiliano Saggese (coordinatore, massimiliano@ saggese.it, cell 339/71.75.304), Nicoletta Morabito (segretario), Pasquale Barranca, Filippo Poletti, Giuseppe Spatola, Fabrizio Di Benedetto. alcun tipo perché inquadrati come “collaboratori occasionali a regime di ritenuta d’acconto”. Per non parlare poi di quel mondo del lavoro nero e del pagamento a pezzo, ancora più sfruttato (se possibile) rispetto a chi ha almeno un contratto da cococo o cocopro. Bisogna infine aggiungere 2500 disoccupati che aspettano in grazia una sostituzione o un contratto a termine per poter riscoprire di essere veri giornalisti professionisti. Come poter condividere, quindi, Barzini e il suo pensiero in un’epoca storica in cui il lavoro è diventato una chimera, in un mondo in cui i pubblicisti sono usati come professionisti e i disoccupati valgono quanto la frutta venduta sui banchi del mercato? Per questa ragione l’Ordine Nazionale dei Giornalisti ha dato vita a un gruppo di lavoro sui precari. Uno studio che dovrà dare un volto, una forma e soprattutto una vera identità al “precario giornalista” per trovare soluzioni in grado di risolvere, o quanto meno attenuare, i malanni della professione. Il gruppo di lavoro, che ha scelto Milano (capitale indiscussa dell’editoria nazionale) e il suo ordine come sede, è composto da pubblicisti e professionisti. L’obiettivo? Fare luce sul sommerso e capire come si è costretti a lavorare da giornalisti (pubblicisti o professionisti non c’è differenza) non avendo garanzie né contratti regolari. Come dire che fare il giornalista è sempre meglio che lavorare… a cottimo e in nero. *Consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti 21 Gli enti della categoria DA MAGGIO NUOVE NORME PER GLI ISCRITTI ALL’INPGI 2 Una Casagit 2 per i free lance Novità anche per i figli, fino a 35 anni, con reddito proprio: versando un contributo diretto godranno di assistenza sanitaria completa come “soci aggregati” di Andrea Leone* Il Consiglio di amministrazione della Casagit ha dato il via libera a due importanti provvedimenti, volti ad allargare la base degli iscritti: la Casagit 2 e l’estensione di alcuni servizi ai figli di giornalisti. Il contenuto dettagliato delle novità è stato recentemente illustrato all’assemblea dei delegati della Cassa. La prima misura è la riforma della Casagit 2, la linea di assistenza riservata a coloro che non possono permettersi di pagare il contributo pieno, che oggi è di 2.544 euro l’anno. I soci della nuova Casagit 2 potranno scegliere se versare il 30% o il 60% del contributo annuale, e in cambio avranno il rimborso del 30% o del 60% di quanto previsto per i soci a titolo pieno. In compenso potranno accedere alle condizioni di maggior favore previste dalle convenzioni che Casagit ha stipulato con medici e strutture sanitarie. Quando questi soci avranno una capacità contributiva maggiore potranno decidere di passare a Casagit 1. Con questa misura pensiamo di aver offerto a tutti coloro che iniziano la professione una corsia d’ingresso all’assistenza sanitaria a costi ragionevoli, salvaguardando il loro diritto a passare all’assistenza piena. Sinora, infatti, il regolamento prevedeva che, trascorso un anno dalla propria iscrizione all’Ordine, il giornalista perdesse la facoltà di associarsi. La nuova Casagit 2, riservata a tutti coloro che sono iscritti alla gestione Tabloid 1 / 2008 separata dell’Inpgi, verrà illustrata in una serie di assemblee regionali che si terranno nei primi mesi del 2008, ed entrerà in vigore all’inizio del secondo quadrimestre. I soci della vecchia Casagit 2, poco più di 140 giornalisti, avranno la possibilità di scegliere se iscriversi alla nuova assistenza ridotta o passare a Casagit 1. La seconda decisione, sempre volta ad allargare la platea degli iscritti, riguarda i figli dei giornalisti. Oggi la Cassa assiste i figli dei soci, se a carico dei genitori, sino al compimento del ventiseiesimo anno di età a titolo gratuito. Fino a 35 anni, poi, se permane la condizione di mancanza di reddito proprio, i figli possono essere assistiti con il pagamento di un contributo. In futuro, invece, i figli di giornalisti che cesseranno di essere a carico dei genitori potranno iscriversi a titolo proprio come soci aggregati, quindi senza diritto di voto ma con diritto all’assistenza completa in cambio del pagamento della quota prevista per i soci non contrattualizzati, con le stesse regole. Si rimedia in questo modo ad una ingiustizia, che prevedeva tale possibilità per i figli di soci deceduti. Quali titolari di una pensio- ne di reversibilità Inpgi infatti costoro possono al termine del trattamento di pensione scegliere di mantenere l’assistenza con la formula del socio aggregato. Perché non dare dunque questa possibilità anche ai figli di giornalisti viventi? Due misure volte a salvaguardare i conti della Cassa aumentando il numero dei soci ma mantenendo quella caratteristica di cassa di categoria che, attraverso l’applicazione del principio di solidarietà mutualistica, ha consentito sinora di tutelare efficacemente la salute dei giornalisti. Con il 2008 partirà anche il nuovo programma di prevenzione. Gli obiettivi sono per il momento contenuti per mancanza di risorse, ma c’è comunque una novità importante. Riguarderà la prevenzione oncologica femminile e maschile (utero, mammella e prostata) secondo lo schema già sperimentato, e in aggiunta cominceremo ad affrontare il tema delle malattie professionali con la prevenzione oculistica, riservata ai giornalisti in attività, quindi solo ai soci e non ai familiari. Sul sito www. casagit.it trovate tutte le caratteristiche e le modalità del programma di prevenzione. * presidente Casagit Anziché il contributo pieno, i collaboratori potranno pagare il 30% o il 60% e ricevere poi rimborsi equivalenti 23 La posta dei lettori Se la “nera” fa audience Il martello del delitto di Cogne o la bicicletta dell’omicidio di Garlasco sono i veri protagonisti di programmi televisivi come “Porta a porta” e “Matrix” Emanuele Rossi Dal ‘vaffa’ di Grillo al ‘va a fare’ di Lena C’è un Albo dei giornalisti anche per Vespa e Mentana? Sono stufo di vedere colleghi che gettano discredito su tutta la categoria con programmi televisivi che inseguono solamente l’audience, senza alcun rispetto per l’informazione e, quel che è peggio, senza nessun rispetto per la dignità delle persone. Grazie a Dio guardo la televisione solo occasionalmente, ma quel poco tempo che passo davanti allo schermo basta a farmi inorridire. Mi riferiscono (non ho visto con i miei occhi, per fortuna) che Bruno Vespa in una puntata di Porta a Porta sul delitto di Cogne ha esibito un corpo contundente (credo un martello) ponendo la terrificante domanda: sarà stato un oggetto come questo ad ammazzare il povero bambino? Non pago di questa performance, il geniale Vespa in una puntata sul delitto di Garlasco ha portato in studio una bicicletta nera “come quella dell’assassino”. Una sera mi è bastato dare uno sguardo all’anteprima di Matrix per provare un vago (ma neppure tanto vago) senso di nausea. Enrico Mentana ha annunciato trionfalmente una puntata sulla tragedia di Torino presentando la vedova di uno degli operai scomparsi e un collega di lavoro con tanto di ustioni in primo piano. Insomma, tutti pronti a buttrasi sugli operai morti pur di alzare l’audience. Insomma, vogliamo darci una mossa e dire una volta per tutte che questi signori e i loro colleghi non sono giornalisti, ma conduttori televisivi, e che se continuano a fare programnmi che sono solo salotti di vip o sedicenti tali, che non hanno nulla a che vedere con l’informazione, non abbiamo motivo per tenerli in un albo che non li rappresenta. Riccardo Perrone 24 Caro presidente, propongo a Grillo un va, impegnativo e positivo. Va a fare qualcosa di buono, va a lavorare per il bene comune, va a impegnarti per i più deboli, va a prenderti qualche responsabilità per migliorare questa società. Va dentro la nostra società: nelle associazioni di volontariato, dove si può fare qualcosa di utile per gli ammalati, per gli anziani non autosufficienti, handicappati, disabili, per aiutarli nel soddisfare i loro bisogni, e per alleviare le loro sofferenze. Va nelle comunità di ricupero dei tossicodipendenti per essere di aiuto a tanti giovani e meno giovani. Va a dare un contributo per salvaguardare l’ambiente e il territorio italiano. Va e partecipa al movimento sindacale, dei lavoratori e dei pensionati, là dove ci si può impegnare per avere più sicurezza per la salute per la vita, più stabilità, più diritti per tutti i lavoratori e per i pensionati. Va a impegnarti per risolvere i problemi della povertà, della fame, e per combattere le malattie e per la pace nel mondo. Va a dare il tuo contributo a chi si impegna con grandi rischi, per battere la malavita organizzata, la mafia, il mal affare. Va nelle istituzioni da protagonista concreto, da quelle locali, a quelle nazionali. Va nei partiti per portare il tuo contributo d’idee, di proposte, d’impegno. Va a prenderti qualche responsabilità per costruire progetti che aiutino a risolvere i tanti problemi della società, per contribuire a migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini italiani, e in particolare dei più deboli, dei più bisognosi. Va nell’informazione e formazione, per fare crescere la cultura dell’onestà, del rispetto delle leggi, della trasparenza, della solidarietà, del rispetto della persona. Va in ogni parte dell’Italia o del mondo per prenderti carico dei problemi reali della gente, per far si che la società diventi più giusta, migliore per tutti i cittadini. Va a fare tutto questo perché la storia la costruiamo noi. La storia siamo noi. La buona e bella politica si fa con impegno concreto, con passione, con intelligenza, con umiltà, con meno parolacce, con più rispetto dell’altro. Chiedo rispetto anche per tantissime persone che fanno politica con grande serietà, con grande impegno, con grande onestà, con grande trasparenza e che hanno a cuore il bene comune dei cittadini. Anche del tuo. Francesco Lena Tabloid 1 / 2008 La posta dei lettori Non dimenticate i free lance La newletter “Orgoglio”, inviata a tutti gli iscritti sottintende una autentica voglia di cambiare. L’orgoglio di avere sostenuto una buona causa, inorgoglisce. Di buone cause da sostenere però ce ne sono davvero moltissime. Si potrebbe vivere quasi di solo orgoglio. La prima riguarda la nostra dignità di giornalisti. Ma bisogna aprire gli occhi sulla situazione disperata della categoria, senza nascondersi dietro la parola ‘giornalista’. Da dove cominciare allora? Certamente interrogandosi sulle condizioni di lavoro dei moltissimi free lance che scrivono ogni mese per numerose testate, senza alcuna garanzia, ma soprattutto senza che l’Ordine dei Giornalisti si sia mai interessato alla loro condizione. Non mi sembra più sostenibile immaginare una categoria così frammentata e fragile. Facendo appello al nostro orgoglio sarebbe bene pensare cosa fare. Sono certa che una svolta all’interno della nostra rispettata categoria, diventerebbe un monito per altri orgogliosi cambiamenti. Di cui sentiamo fortemente il bisogno. Riccarda Mandrini Su questo numero parliamo diffusamente dei freelance, che stanno a cuore non soltanto all’Ordine ma a tutta la categoria dei giornalisti, tanto è vero che gli scioperi di questi due anni per il mancato rinnovo del contratto di lavoro sono stati indetti anche per tutelare la dignità dei tanti collaboratori dei mezzi di comunicazione. L’Ordine, per quello che è di sua competenza (la difesa del contratto appartiene al sindacato) ha cercato di sanare le posizioni illegittime all’interno delle redazioni, riconoscendo il praticantato d’ufficio a tutti quei colleghi con postazioni di lavoro, incarichi redazionali, responsabilità di servizio. In questi ultimi anni anche molti freelance con collaborazioni continuative ed un tetto di guadagno annuo minimo di 15.000 euro hanno potuto accedere all’esame di stato e diventare professionisti. Ma essere giornalisti professionisti non garantisce ahimé il posto fisso di lavoro! Che fare dunque a favore dei tanti giovani che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, che vivono in famiglia perché non si possono permettere un’autonomia di vita o costruire una famiglia e navigano a vista fra contratti e contrattini? Soltanto il rinnovo del contratto che prevede di valorizzare l’attività dei collaboratori rispettando retribuzioni decorose e tempi non eterni di pagamento può incominciare a dare rilievo al contributo del libero professionista. Per intanto, nel nostro piccolo, con i colleghi consiglieri abbiamo messo a disposizione dei freelance sei borse di studio, per frequentare un corso Tabloid 1 / 2008 di 90 ore di giornalismo investigativo ed abbiamo inviato tre freelance alla conferenza internazionale di Nairobi ( i servizi dei nostri inviati su questo numero). Non è molto, direte voi. E’ vero. Ma è un modo per incoraggiare e sostenere giovani di talento attraverso iniziative “culturali” che possono arricchire la loro esperienza e dare modo di allargare le loro relazioni. L’Ordine è già un punto di riferimento in Lombardia per tutti coloro che accedono alla professione. Vogliamo diventare anche un laboratorio di riflessione sui tanti problemi che investono la nostra categoria. (L.G.) Periodici free press Ho letto con interesse l’articolo “La free press sveglia l’editoria” e concordo con il suo contenuto. Mi permetto di aggiungere che a Milano esistono anche numerosi altri periodici di informazione gratuiti, a diversa cadenza, mensile o quindicinale, dalle 5.000 alle 30.000 copie, e più orientati alla vita dei diversi quartieri con attenzione alle situazioni del territorio, alle attività dei Consigli di zona. Hanno la capacità di dare voce ai disagi e alle esigenze reali dei cittadini, e fare da amplificatore ai comitati spontanei che sorgono a fronte di problemi di igiene, viabilità, ordine pubblico, verde, ecc. Anche queste pubblicazioni esistono grazie alla pubblicità e al contributo, poco più che volontario, dei diversi collaboratori che vi partecipano. Tra le numerose testate, mi piace citare quelle pluridecennali, pubblicate da Bine editore e dirette da Enzo de Bernardis, “La Zona Milano” che esce in sette edizioni diverse, il quindicinale “la Piazza” e il recentissimo “Il Mirino”, mensile di informazione della zona 8 di Milano, nato lo scorso mese di dicembre. Ugo Perugini Non solo Milano Sono contento dell’azione dell’Ordine. Mi piacerebbe che l’attenzione venisse rivolta non solo ai grandi Comuni, ma anche alle piccole realtà, i piccoli Comuni, in cui la Legge 150 è totalmente disapplicata e il lavoro del “giornalista” non viene riconosciuto o viene svolto da chiunque, a prescindere dal possesso dei requisiti previsti dalla normativa. Io rientro in questa casistica, e spero che prima o poi si affrontino anche le nostre situazioni. Magari prima di andare il pensione (fra 20 anni). Un cordiale augurio per un anno carico di ogni soddisfazione, personale e professionale. Massimo Cornacchiari Comune di Bagnolo Mella (Bs) 25 La voce delle redazioni L’intimidazione a un collega e al suo giornale Quei due proiettili riciclati e spuntati La testimonianza dell’inviato speciale del “Sole 24 Ore” che ha denunciato le attività “legali” della ‘ndrangheta nelle società quotate sulle piazze finanziarie di Milano e Tokio di Roberto Gallullo Una busta, due proiettili, decine di inchieste contro le mafie: questione di numeri che si sposano con un grande giornale, come il Sole-24 Ore, che tutti i giorni cerca di spiegare cifre e dati (visibili e invisibili) della finanza e dell’economia. Un giornale che, da alcuni anni, spiega, con inchieste di validi colleghi, dati e cifre della criminalità organizzata che – dalla Sicilia al Piemonte – fa correre sui binari legali e illegali dell’economia e della finanza risorse da capogiro accumulate alla luce del sole o con la copertura di società e professionisti prestanome. Questo velo ipocrita, ho contribuito negli anni – come caporedattore prima e come inviato poi – a rompere con le inchieste in particolare sulla ‘ndrangheta, la più potente organizzazione criminale in Europa e tra le più forti al mondo anche grazie all’asse con il cartello dei narcos colombiani. Ogni anno le ‘ndrine calabresi – sono 155 solo nella provincia di Reggio Calabria – hanno la possibilità di investire circa 40 miliardi di euro. Il loro problema non è investire, ma come investire. Riciclaggio sì, ma anche migliaia di attività legali in tutta Italia e migliaia di azioni nelle società quotate nelle piazze finanziarie di tutto il mondo: da Milano a Tokio. Due proiettili al direttore Ferruccio de Bortoli – un grande giornalista al quale va il mio ringraziamento per 26 il pieno sostegno che ha dato fin dal 2005 alle mie inchieste – non sono sufficienti a far arretrare lui e il giornale. Due proiettili non bastano per fermare i servizi di un giornalista sgradito alle cosche. Due proiettili, dieci o mille non fermano la coscienza, il rigore morale e la deontologia di un giornale e di un cronista. Per questo motivo – con il sostegno della direzione e della redazione continuerò a trattare di economia criminale e di criminalità economica che sta divorando parti sane di questo Paese. Senza paure, anche perché le peggiori intimidazioni non sono contenute in una busta anonima ma nei silenzi o nelle parole dei politici, degli imprenditori, della classe dirigente o degli uomini della strada. Tante volte negli ultimi anni – non solo in Calabria, ma anche in Sicilia, Campania e Puglia dove ho svolto decine di inchieste sui traffici sporchi della criminalità – è bastata un’occhiata, un silenzio o un invito diretto a lasciare perdere quei nomi o quei dati, per farmi capire che le mie domande non erano gradite. E che, a maggior ragione, non lo sarebbero state le mie inchieste. Figuriamoci se politici collusi, imprenditori sporchi, dirigenti o funzionari pubblici corrotti e liberi professionisti prestanome dei criminali potranno gradire il fatto che da un anno una voce libera va in onda anche su Radio 24 con due programmi – “Un abuso al giorno”, trasmissione quotidiana alle 6.45 e “Guardie o ladri”, il sabato alle 19.30, fortemente voluti da un giornalista libero come Giancarlo Santalmassi – che mettono a nudo il cancro della criminalità. Ma niente paure - e mi rivolgo ai giovani che stanno iniziando ora il cammino in questa professione o lo hanno iniziato da poco - perché, senza accorgercene, noi giornalisti indossiamo una divisa che è più forte di una corazza o di un giubbotto antiproiettile, che neppure una granata può scalfire: la fiducia dei lettori. Senza quella, sì che siamo condannati a morte. La morte dell’anima: la peggiore per la dignità di un uomo. E di un Giornalista. Chi è Roberto Galullo, nato a Roma il 10 aprile 1963, è laureato in Giurisprudenza alla Sapienza e inviato speciale del Sole-24 Ore (dal 2001 al 2005 coordinatore dei dorsi regionali e dal 2005 caporedattore). Ideatore e conduttore a Radio 24 di “Un abuso al giorno” e “Guardie o ladri”. E’ utore di libri per il Sole-24 Ore e Il Mulino. Tabloid 1 / 2008 La voce delle redazioni la nostra categoria è sempre più in prima linea Giornalisti coraggiosi Con i casi di Roberto Galullo e Nino Amadore del “Sole 24 Ore”, si allunga l’elenco dei colleghi presi di mira dalle organizzazioni criminali. Da Graziella Proto a Lirio Abbate: a tutti la solidarietà dell’Ordine della Lombardia C’erano una volta Mauro De Mauro, Mario Francese, Giancarlo Siani. Tre giornalisti, tre vittime (tra tanti) della mafia tra gli anni Settanta e Ottanta. Se è vero che oggi il giornalismo d’inchiesta ha ritrovato la necessaria grinta, è altrettanto vero che, agguerriti, lo sono anche i padrini dei clan, che non esitano a mostrare segni di fastidio (per usare un eufemismo) nei confronti di giornalisti “impiccioni”. Segni che arrivano, chiari e forti, sotto varie forme ai cronisti “chiacchieroni”: c’è chi è destinatario di lettere dai messaggi (e spesso dai contenuti) inequivocabili, chi le minacce le riceve via telefono, chi, ancora, è vittima di atti intimidatori veri e propri. Sentirsi minacciare telefonicamente da voci ignote oppure veder saltare in aria la propria automobile, per alcuni colleghi è diventata quasi una sgradevolissima routine. Tant’è. Loro resistono. Seduti al computer o fermi davanti a una telecamera, a seconda dei casi, continuano il lavoro d’inchiesta. Il prezzo? Paura? Forse. Di certo una gran rabbia e una forte voglia di ribellarsi ai poteri occulti, con il sostegno dei lettori e la forza della democrazia. La realtà è quella di vivere una vita sotto scorta. Dalla Campania alla Sicilia, dalla Lombardia alla Calabria per i giornalisti d’inchiesta poco cambia. Al massimo, a cambiare, sono i rituali con i quali mafia, camorra e ‘ndrangheta cercano di fermarli. Tabloid 1 / 2008 Oltre ai recenti casi di Roberto Galullo (vedi pagina a fianco) e Nino Amadore del Sole 24 Ore, ecco, di seguito, chi sono i nuovi protagonisti di un giornalismo… scomodo, per i quali l’Ordine della Lombardia esprime la propria solidarietà. Salvatore Minieri: lavora alla Gazzetta di Caserta ed è l’ultimo, in ordine di tempo, finito nel mirino della camorra. Lo scorso 21 gennaio, ignoti hanno esploso colpi di fucile contro la sua abitazione a Pignataro Maggiore. Lirio Abbate: cronista della sede dell’Ansa a Palermo e corrispondente de La Stampa, 36 anni, vive sotto scorta da diversi mesi, dopo le lettere minatorie arrivate in seguito alla pubblicazione del suo libro I complici -Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento. Ad Abbate, autore dello scoop sull’arresto del boss Provenzano, nello scorso settembre ignoti hanno cercato di far saltare in aria l’automobile. Carlo Pascarella: responsabile della cronaca nera del Giornale di Caserta, 33 anni, vive sotto scorta dall’estate 2007 a causa di minacce e atti intimidatori rivolti a tutta la sua famiglia. Enzo Palmesano: sempre del Giornale di Caserta, ha 49 anni e per i suoi articoli poco graditi è destinatario da anni di minacce. Luigi Guido: giornalista di Calabria Ora, a Cosenza. Ha 38 anni e nell’agosto scorso è stato destinatario di telefonate minatorie da parte di parenti di mafiosi arrestati. Oltre a una anonima, la più esplicita. Federico Orlando: direttore della Tv7 di Partitico (PA), 43 anni. Il 26 luglio 2007, a finire nel mirino, la sua auto: devastata. Vincenzo Brunelli: 37 anni, della Gazzetta del Sud a Cosenza. Da quando gli hanno incendiato l’auto, la scorsa primavera, la sua casa è sotto vigilanza. Riccardo Orioles e Graziella Proto: ex cronisti de I Siciliani, ora direttori del mensile Casablanca di Catania. Vittime, a marzo 2007, di un misterioso furto di materiale editoriale in redazione. Dino Paternostro: corrispondente del quotidiano La Sicilia, ha 55 anni. Nel gennaio 2006, poco dopo l’uscita del suo libro I corleonesi, gli incendiarono l’auto. Cosmo Di Carlo: corrispondente del Giornale di Sicilia, ha 53 anni. Nel settembre 2002 gli hanno bruciato il portone di casa. Ruggero Cristallo: giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno a Bari, ha 34 anni. A casa gli è stata recapitata una testa di coniglio. Arnaldo Capezzuto: ex giornalista di Napolipiù, ora a Il Napoli, ha 36 anni ed è stato destinatario di una lettera “illustrata”: un messaggio scritto e due teste mozzate. Pino Maniaci: giornalista di Telejato, a Partitico (PA), ha collezionato 257 querele e un pestaggio per le sue inchieste sull’ambiente. 27 La voce delle redazioni rcs periodici / i risultati di un studio DEL CDr Vita da free lance tra luci e ombre Si guadagna meno, ma si è più liberi. Si lavora di più, ma con meno sicurezze. Pur con qualche pregio, la condizione (precaria) dei collaboratori è davvero una strada obbligata, nell’era selvaggia della flessibilità? Flessibilità. Precarietà. Termini ormai sempre più in uso nelle redazioni. Con un fiorire di contratti atipici. Partendo dal presupposto che la Lombardia è la regione con il più elevato livello di questi contratti di parasubordinazione, tra co.co.pro e collaborazioni coordinate e continuative, il Comitato di Redazione della Rcs Periodici ha realizzato, tra luglio e dicembre 2006, una ricerca su collaboratori, free lance, lavoratori autonomi per cercare di fotografare la realtà nelle testate del gruppo. Una ricerca che dà la misura del lavoro dei free lance. Al momento della ricerca, i collaboratori in Rcs Periodici erano circa 600, su 250 colleghi regolarmente assunti. Il questionario è stato indirizzato al 50% dei collaboratori, ovvero ai 300 che avevano da almeno un anno un rapporto di collaborazione strutturato con una redazione. Si è arrivati a raccogliere 80 questionari non completi e 50 completi, che significa che il 16,6% dei collaboratori ha… collaborato alla ricerca. All’interno di questo, le donne rappresentano il 58%, in linea con quanto avviene a livello generale soprattutto nel terziario. Il 31% ha un’età compresa tra i 25 e i 35 anni, mentre i maschi nella stessa fascia d’età sono il 38%. Un altro 31% è tra i 35 e 45 anni (sempre il 38% per i maschi). Non è una sorpresa: la fascia d’età che si confronta più da vicino con il fenomeno della precarizzazione è quella dei trenta/quarantenni (si scende al 20,6% tra i 45-55 anni e al 10,3% dopo i 55 anni). Quanto al livello di istruzione, il 62% delle donne ha una laurea e il 20,6% un titolo post laurea. Le percentuali si riducono drasticamente per gli uomini, rispettivamente al 47% e al 14%, confermando il dato nazionale di un più alto livello di istruzione delle donne rispetto agli uomini. L’86,5% del campione che presta la sua opera più o meno occasionalmente per le testate Rcs ha mansioni di scrivente, mentre gli stylist raggiungono un 7,6%, i grafici l’1,9%, stessa percentuale dei fotografi. Dalla ricerca emerge che l’80,9% dei colleghi free lance della Periodici a luglio 2006 (momento in cui è fissata la raccolta dei dati) è concentrato nell’area “autonomi”, ovvero coloro che lavorano con partita Iva, chi offre collaborazioni spot, chi è soggetto al diritto d’autore e i free lance a borderò. Non solo: all’interno retribuzione media mensile 10% 18% 20% 22% 12% 18% ■ meno di 600 euro ■ 600/1200 euro ■ 1200/1800 euro ■ 1800/2500 euro ■ 2500/3000 euro ■ oltre 3000 euro di questa si nota un prevalere della categoria free lance (36,5%). C’è, invece, un 11,1% che si piazza nell’area “parasubordinati” (co.co.co; co.co.pro) e un 7,9% di cosiddetti “subordina-ti”, ovvero i contratti a termine e gli interinali. Perfettamente in linea con la tendenza generale: il lavoro atipi-co, lungi dal rappresentare una congiuntura, un episodio, un passaggio all’interno della vita lavorativa dell’individuo, si fa strutturale. E si allarga, si approfondisce: la progressiva amplificazione del numero delle figure flessibili ammesse dalla legge consente oggi al datore di lavoro una discrezionalità ancora più ampia di quella presente anche solo cinque anni fa. Per quanto concerne il livello salariale, il 22% del campione dichiarava di guadagnare tra i 600 e i 1.200 euro lordi al mese. Al di sotto di questo dato, che rappresenta la maggioran-za relativa delle risposte, c’è una co-spicua fetta di colleghi free lance che incassa meno di 600 euro lordi al mese (18%), e appena al di sopra altrettanti (18%) arrivano a uno stipendio mensile tra 1.200 e i 1.800 euro lordi. In fascia media il 12% (1.800-2.500 euro lordi) e poi un 20% in fascia più alta (2.500-3.000). Con un rapido calcolo si nota che tra meno di 600 e 1.800 euro lordi si concentra il 58% delle risposte, confermando, anche tra i colleghi che lavorano nei periodici e all’interno di una grande casa editrice, stipendi ben al di sotto del decoro. Vale la pena, al riguardo, ricordare che in Italia la soglia di povertà è stabilita dal rapporto Istat 2005 in 542 euro netti al mese per individuo. Eppure le sorprese non mancano. E la scomposizione dei dati sui salari per genere lo conferma. Il 10,3% delle donne del campione guadagna meno di 600 euro lordi al mese, il 24,1% tra 600 e 1.200, il 20,6% tra 1.200 e 1.800. Se osserviamo il campione maschile, notiamo che la quota di uomini che guadagnano meno di 600 euro sale al 28%. È probabile che il maggior guadagno relativo delle donne sia soprattutto imputabile al processo di degenerizzazione dell’attività giornalistica nei periodici, in seguito alla maggior presenza femminile. Se è vero, come è vero, che contano i flussi di relazione grafico 4 28 Tabloid 1 / 2008 La voce delle redazioni Distribuzione dei free-lance a seconda dei motivi di ... Soddisfazione Insoddisfazione ■ autonomia 7,1% ■ relazioni 37% ■ mancanza 14,8% di monotonia ■ orari 3,7% 7,4% 14% 16% ■ assenza di 11,8% ■ precarietà 10,9% ■ tempi dei pagamenti 6,7% ■ poca considerazione 11,8% rapporti gerarchici 17,6% ■ autonomia e superiori ■ orari e altro ■ mancanza 10,1% ■ dinamicità 12,6% di fidelizzazione ■ ricattabilità ■ altro e i canali di fidelizzazione, possiamo dedurre che, forse, le giornaliste sono più abili nel “tessere reti” rispetto agli uomini. Questo dato dimostra come il settore della carta stampata venga oggi maggiormente percorso dalle donne, ma potrebbe essere valutato, al contrario, anche come un minor interesse degli uomini a presidiare aree ritenute meno appetibili per retribuzione e/o considerazione sociale. Il 37% degli intervistati individua nell’autonomia l’aspetto più positivo del proprio status, il 16% sottolinea con piacere la mancanza di monotonia, il 14% la possibilità di gestire i propri orari, il 14,8% la dinamicità. Viceversa, preoccupa la labilità del rapporto di lavoro (18,4%) e un 41% si dice insoddisfatto dei guadagni, dei tempi di pagamento e della scarsa conside- ■ guadagni inadeguati 18,5% garanzia di una contemporanea maggior qualità, anzi. Il 42,8% delle intervistate ha già figli, mentre il 57,1% non ne ha e, di queste, il 43,7% ritiene che una condizione di lavoro non stabile influisca tra abbastanza e molto in tale “mancanza”. Da sottolineare come questo limite sembra essere ancora più avvertito dagli uomini del campione, secondo i quali l’essere precari influisce “molto” sulle scelte riproduttive nel 23% dei casi e “abbastanza” nel 53,8%. E se il 14,8% dei maschi si trasformerebbe in un lavoratore dipendente, perché spinto dall’idea di più ampi introiti economici, un 6,3% non ci ha mai pensato. È possibile che in futuro l’assenza di fidelizzazione portata con sé dalla assenza di stabilità si trasformi in un vistoso limite per l’impresa stessa. razione di cui si gode nei giornali. Chi vive una condizione di precarietà da almeno cinque-sette anni sottolinea come siano progressivamente peggiorati gli stipendi (18,4%), il tempo di lavoro aumentato (15,7%), la qualità scaduta (13,1%), la competizione esplosa (10,5%). Il 38,7% di coloro che vivono da meno tempo una condizione di lavoro atipica (1-3 anni) mantiene salda la speranza di potersi inserire in una redazione, il 22,5% ritiene che guadagnerà meglio, il 12,9% che gli sarà consentito, se non altro, di governare meglio il proprio tempo. La ricerca svolta tra le lavoratrici free lance della Rcs Periodici conferma un percorso a cui hanno assistito anche altri settori in precedenza: i media si aprono vistosamente alle donne, ma questa maggiore occupabilità non è tipologia contrattuale 2006 7,9% 2005 2003 2001 2,1% 11,1% ■ Subordinati ■ Autonomi 19,1% ■ Parasubordinati ■ Altro 81% 12,8% ■ Subordinati 66% 14% 23,3% 10,5% ■ Subordinati ■ Autonomi ■ Parasubordinati ■ Altro Tabloid 1 / 2008 75,5% ■ Autonomi ■ Parasubordinati ■ Altro 55,8% ■ Subordinati 20,9% ■ Autonomi ■ Parasubordinati ■ Altro 29 La voce delle redazioni Quadratum chiude lo storico femminile, a due anni e mezzo dall’acquisto “Vera” non rende? Via le giornaliste Scarsa pubblicità e discutibili operazioni di marketing per il mensile nato in Gruner und Jahr-Mondadori nel 1990. E per i dipendenti scatta la cassa integrazione di Paola Manzoni* tà… Tant’era: immediata partiva la 12 settembre 2007, ore 11: ci ritrorichiesta di cassa integrazione per viamo tutte nell’ufficio del direttore l’intera redazione: 13 persone, di per una riunione di redazione. Oggetcui due segretarie, un direttore e tre to: programmazione dei primi numeri professionalità grafiche reintegrate del 2008. (non senza problemi) nelle altre testa12 settembre 2007, ore 16: di nuovo te della Quadratum. Il sindacato (dal tutte insieme, di nuovo nell’ufficio del nostro Cdr alla Lombarda, alla FNSI) direttore. Oggetto: comunicazione da quel 12 settembre ci sostiene e ci della chiusura del giornale. Vera Maappoggia, anche legalmente, senza gazine, il nostro giornale, finisce qui. tregua, con tanto di ordine del giorCosì, nel giro di poche ore, è camno all’ultimo Congresso della FNSI e biata la nostra vita (professionale, interpellanza parlamentare dell’onoma non solo…). Improvvisamente e revole De Biasi. Ma, nonostante due inaspettatamente (almeno per noi) mesi infuocati di trattativa sindacale, l’editore aveva deciso, a soli due con la quale chiedevamo, sopra a anni e mezzo dalla sua acquisizione ogni altra cosa, garanzie scritte di (l’editrice Quadratum acquistò Vera reintegro per tutte, dal 26 novembre Magazine, mensile nato nel 1990, scorso la Quadratum ha messo noi dalla Gruner und Jahr-Mondadori giornaliste di Vera Magazine in cassa nel marzo 2005, ndr), di chiudere un integrazione, senza accordo sindafemminile storico, a causa, ufficialcale, unilateralmente, a zero ore, per mente, di scarsi introiti pubblicitari 24 mesi. Siamo sette e siamo donne. e di altrettanto scarsi introiti nella Donne cariche di professionalità e vendita con collaterali (i gadget, per intenderci). Salta all’occhio, dalla tabella a fianMENSILI FEMMINILI Ads co, il calo di diffusione Testata Diffusione Variazione rispetto alla media moSilhouette Donna 329.264 1,1 bile dell’anno precedente, quando Vera Glamour 289.190 -1,9 era in edicola in abbinaCosmopolitan 230.029 -6,3 mento ad altre testate. Elle 174.475 7,7 Nulla poi è stato fatto. Neppure per cambiare. Amica 171.929 -9,1 L’editore, al contrario, Marie Claire 168.764 2,3 nulla aveva da ridire sui Flair 166.267 0,1 contenuti del giornale, Vera Magazine 57.937 -48,8 sul nostro lavoro, sulla nostra professionaliFonte: Ads media mobile novembre 2006 - ottobre 2007 30 •L’ultimo numero di Vera Magazine che è andato in edicola a fine 2007 ricche di umanità. Donne che credevano nel loro giornale, attraverso il quale parlavano ad altre donne che avevano voglia (e forse anche bisogno) di ascoltare. Donne che sapevano lavorare bene e in armonia con altre donne. Donne che, dopo pianti e urla (non sapete quanti!), si sono leccate le ferite, hanno rialzato la testa e si sono rimesse in gioco. Donne, però, che troppo spesso ai colloqui di lavoro vedono messa in dubbio la loro professionalità (e questa forse è una prassi che non ha sesso) e, in più, si sentono porre domande sulla loro vita privata. Perché essere donne piene di vita, nel pieno della vita (come noi) viene vissuto come un limite da chi può offrirti un lavoro. Altro che pari opportunità. Negli Stati Uniti, mi raccontava un’amica che là ha lavorato, una trentenne o over che a un colloquio si dichiari single pare sia svantaggiata rispetto a una divorziata: come dire che, se a una certa età nessuno ancora ti si è pigliato, forse è perché celi qualche problemino caratteriale. Tutto il mondo è paese. Ma questo, intendiamoci, non ci conforta affatto. Perché noi ex di Vera Magazine siamo donne forti e vogliamo andare avanti, senza però smettere di lottare contro quella che sappiamo essere stata un’ingiustizia. (*) vice direttore di Vera Magazine Tabloid 1 / 2008 La voce dei pubblicisti ECCO L’ELENCO DEI REQUISITI RICHIESTI PER L’ISCRIZIONE ALL’ALBO Un primo passo verso la professione Ma l’Ordine dei giornalisti non può riconoscere il lavoro nelle redazioni di editoria libraria e nelle riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico il cui direttore responsabile è iscritto all’elenco speciale di Stefano Gallizzi Quali sono i requisiti per diventare pubblicista? È questa la domanda che sempre più spesso viene rivolta all’Ordine dalle tantissime persone che aspirano a compiere questo primo passo ufficiale nel giornalismo. Le regole sono pochissime. Ecco, in sintesi, i requisiti richiesti: 1 Gli ultimi due anni di attività giornalistica continuativa, non occasionale, e retribuita regolarmente. La Finanziaria 2007 (legge 296/2006) ha stabilito nuove tempistiche per l’entrata in vigore dei limiti al di sotto dei quali i compensi potranno ancora essere incassati in contanti. In particolare: • Fino al 30.06.2008 il limite degli incassi in contanti è fissato in 1.000 (mille) euro; • Dal 01.07.2008 al 30.06.2009 viene stabilito in 500 (cinquecento) euro; • Dall’01.07.2009, non si potranno incassare contanti per importi superiori a 100 euro. 2 La dichiarazione dei direttori responsabili (delle pubblicazioni) devono comprovare l’attività pubblicistica, regolarmente retribuita da almeno due anni. Per gli articoli non firmati, o firmati con pseudonimo, il direttore responsabile della testata deve porre la controfirma. 3 La domanda deve essere corredata dai giornali e dai periodici che riportano i servizi, gli articoli e le corrispondenze. Per numero, devono essere almeno 65 nel biennio per i Tabloid 1 / 2008 quotidiani e 40/50 per i periodici. Le notizie brevi non possono essere conteggiate. Gli aspiranti pubblicisti, qualora guadagnino più di 5mila euro all’anno, devono essere assicurati con la gestione separata dell’Inps. Non sono assicurati con l’Inps coloro che hanno accordi scritti di data certa (e con anticipo rispetto all’inizio delle collaborazioni) con gli editori, accordi scritti che prevedono la cessione dei diritti d’autore. Va anche ribadito che il Consiglio non accetta pagamenti unici al termine del biennio di attività giornalistica. 4 Retribuzione adeguata: è giudicata tale, per ognuna delle previste prestazioni giornalistiche, quando almeno non sia inferiore al 25% della somma prevista dal Tariffario stabilito ogni anno per le prestazioni professionali autonome dei giorna- listi (così il Consiglio nazionale con delibera 30 ottobre 1995). Purtroppo, però, il proliferare di tante piccole testate e la crisi dei giornali fa sì che, sempre più spesso, i guadagni presentati dagli aspiranti pubblicisti siano davvero irrisori. Quello dei compensi bassi è, comunque, un problema che può interessare anche le testate nazionali. In questo senso l’Ordine, di fronte a compensi indiscutibilmente bassissimi, cerca di andare incontro alle attese degli aspiranti colleghi che altrimenti, dopo essere sfruttati dagli editori, subirebbero anche la beffa di non vedersi riconosciuto il lavoro svolto. Infine una precisazione. Dal lavoro giornalistico sono esclusi i libri e le collaborazioni svolte presso pubblicazioni a carattere tecnico, professionale o scientifico (dirette da iscritti all’Elenco Speciale). 31 Multimedialità nuovi attori e metodi della comunicazione Il giornalista ai tempi del blog Con l’avvento delle nuove tecnologie la nostra professione non perde, ma acquista importanza. Per verificare le fonti, selezionare le notizie e raccontare la verità “non virtuale” dei fatti di Luciano Paccagnella* L’amore (per il giornalismo) ai tempi del colera (del blog). Per continuare ad esercitare con l’indispensabile dedizione questa professione, ci vuole oggi tutto l’amore, paziente e infinito, cantato da Gabriel Garcia Marquez nel suo straordinario romanzo. Un amore incrollabile che, di fronte alle continue, crescenti difficoltà non può arrendersi. Anzi, deve rinvigorire di fronte agli attacchi sconsiderati, come quelli di chi ha definito i giornalisti “vera casta” di pennivendoli. Sarà per il senso di onnipotenza che può aver colto il comico Grillo dopo i V-Day; sarà che Internet in America, dove nascono 175mila blog al giorno, è diventato, per certi versi, terra di reclutamento dei crociati che pretenderebbero di combattere, loro, contro i santuari della stampa e le commistioni tra notizie e pubblicità, ma ora più che mai per il giornalismo è necessario non disarmare. Viviamo in una società dell’informazione in cui, come afferma il professor Luciano Paccagnella (foto sopra) nell’articolo qui di seguito, “i blog offrono filtri più o meno personali e autorevoli ai fatti che accadono nel mondo”. Oltre ai blog, “altri intermediari si affiancano al giornalismo tradizionale nella selezione e nella presentazione delle notizie al grande pubblico. Ma questo non significa affatto che la figura del giornalista è destinata a scomparire”, continua il professor Paccagnella. Che, anzi, nel resto dell’articolo sottolinea come il ruolo del giornalista possa acquistare, proprio grazie ai new media, una rinnovata importanza. (A. A.) La nuova professione “Società dell’informazione”: significa che l’informazione diventa la principale risorsa attorno alla quale si accentrano interessi economici, politici e culturali. Contrariamente ad alcuni slogan molto diffusi in anni recenti, il possesso di molte informazioni non rappresenta di per sé una nuova forma di potere. Basti pensare a come oggi ogni cittadino (almeno nei paesi industrializzati) abbia accesso a una quantità enorme di informazioni, di cui difficilmente può fare un utilizzo 32 reale: trasmissioni televisive digitali e via satellite, telefoni cellulari e altri dispositivi di comunicazione personale mobile, banche dati su supporti fisici (CD-ROM, DVD) e on line, stampa periodica tradizionale, free press e molto altro, compresi naturalmente i cosiddetti “nuovi media”, Internet in primo luogo. In uno scenario come questo, non è tanto il reperimento o lo stoccaggio delle informazioni ad assumere particolare rilevanza, quanto piuttosto le competenze individuali necessarie per gestire ed elaborare in modo critico questo oceano di dati e di notizie. Filtri necessari È proprio la sovrabbondanza informativa ad aver fatto emergere in questi ultimi anni nuove particolari figure che potremmo definire di “intermediazione e filtraggio”, come ad esempio i motori di ricerca sul web, strumenti indispensabili per districarsi su una ragnatela ormai infinitamente complessa. Oppure i blog, che nel loro complesso (in quella particolare dimensione della rete chiamata “blogosfera”) offrono commenti, recensioni, filtri più o meno personali e autorevoli ai fatti che accadono nel mondo. O ancora fenomeni come Wikipedia, l’enciclopedia libera online a cui tutti possono partecipare scrivendo o modificando le varie voci, in un gigantesco esperimento di gestione collettiva della conoscenza. Questi nuovi intermediari si affiancano al giornalismo tradizionale, A volte, sui giornali, si spaccia per fresca una notizia che è in rete da settimane. Ma non sempre le news sul web sono vere Tabloid 1 / 2008 Multimedialità che per molti anni ha goduto di una sorta di monopolio nell’accesso, nella selezione e nella presentazione delle notizie al grande pubblico. Questo non significa affatto che la figura del giornalista è destinata a scomparire. Al contrario, essa acquista una rinnovata importanza, a patto di non lasciarsi coinvolgere in fuorvianti “competizioni” con i nuovi intermediari cui si è accennato sopra e a patto di avere il coraggio di intraprendere una poderosa opera di rinnovamento professionale. Questo significa in primo luogo formazione: non è pensabile che un professionista non sappia usare gli strumenti del web 2.0 almeno altrettanto bene di quanto li sappiano usare i suoi lettori. Il rischio è quello di spacciare per fresca una notizia già in circolo da settimane nei blog specializzati. Aggiornamento continuo In secondo luogo, il giornalismo nel suo complesso deve sapersi aprire all’esterno accettando le sfide dei nuovi media con serenità. Non è semplice, come ben sa chi, fino a ieri, ha dovuto rovistare la cantina alla ricerca di una macchina per scrivere con cui sostenere l’esame di stato. Ma questo comporta anche, più in generale, sapersi fare parte attiva nel dibattito pubblico e nelle azioni legislative a proposito di Internet e nuovi media, accantonando i corporativismi che talvolta affiorano in alcune proposte (ha senso chiedere, come periodicamente accade, l’obbligo di registrazioni varie per blog e siti web?). Infine, il nuovo giornalista deve saper fare tesoro di ciò che la gente si aspetta da lui: non tanto e non solo la diffusione di notizie inedite, quanto piuttosto l’offerta di chiavi di lettura autorevoli, di sintesi critiche, di riflessioni non scontate. Non è un compito facile, ma è proprio questo ciò che è Tabloid 1 / 2008 • Alcuni siti di grande consultazione. Spesso gli utenti possono intervenire a modificare i contenuti. Ma le fonti e le news vanno verificate. Da giornalisti. raro trovare sui blog o sul web, perché richiede professionalità specifiche. Oggi qualunque professionista deve fare i conti con lo studio, l’aggiornamento e la formazione continui. Il giornalista, per il fatto di lavorare con l’informazione all’interno di una società che fa dell’informazione la sua risorsa più importante, deve rassegnarsi a studiare un po’ più degli altri. (*) professore di Sociologia della comunicazione e delle reti telematiche all’università di Torino. Per saperne di più La guida fondamentale ai new media Capire i new media: culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali è il titolo dell’edizione italiana dell’approfondito ed esauriente volume Handbook of New Media, della Sage Publications di Londra. In esso, a cura delle due ricercatrici Leah A. Lievrouw e Sonia Livingstone, sono raccolti i saggi di una quindicina dei più noti studiosi mondiali di new media. Per affrontare appropriatamente la complessità e la specificità della materia trattata, l’editore Hoepli ha, a sua volta, affidato la cura delle parti in cui è suddivisa l’edizione italiana a tre specialisti nostrani: “New media, comunicazione e cultura” alla professoressa Francesca Pasquali, dell’università di Bergamo; “New media e innovazione tecnologica” al professor Giovanni Boccia Artieri, dell’Università di Urbino; “New media e istituzioni sociali” al professor Luciano Paccagnella, dell’università di Torino. Nella sua presentazione della terza parte, quest’ultimo scrive significativamente: “Sul piano delle loro relazioni con il sistema istituzionale, i new media (e Internet in particolare) si presentano come fortemente ambivalenti, sostenendo al tempo stesso libertà e controllo, democrazia e fondamentalismi, dialoghi e monologhi. I contenuti digitali, che da un lato si prestano a esperienze di costruzione dal basso e di condivisione orizzontale (per esempio, attraverso gli strumenti del cosiddetto web2.0: wiki, blog, reti peer to peer e così via), dall’altro lato richiedono l’intervento di nuove figure di mediazione“. Leah A. Lievrouw-Sonia Livingstone (a cura di): Capire i new media: culture, comunicazione, innovazione tecnologica e istituzioni sociali, edizione italiana a cura di Giovanni Boccia Artieri, Luciano Paccagnella, Francesca Pasquali, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 2007, pagg. 415, 28,50 e 33 L’osservatorio sull’estero dati, analisi, anticipazioni e frammenti dal futuro Usa, un’editoria da flop In un anno l’industria dei giornali americani è calata del 26%, in tre anni (dal 2004 a oggi) del 42%. La spesa pubblicitaria, nel suo complesso, crescerà del 4,2% nel 2008, soprattutto grazie ai Giochi olimpici e al diluvio di dollari elettorali, ma non toccherà i giornali: scende, infatti, dell’1% sui quotidiani e sale del 14,2% solo sulle testate online a cura di Pino Rea per Lsdi* In tre anni l’industria editoriale americana ha perso 11 miliardi di dollari di capitalizzazione (uniche eccezioni Washington Post e Dow Jones). La pubblicità cala dell’1% sui quotidiani cartacei, mentre sale del 14,2% sull’online. Il valore dell’industria dei giornali negli Usa è calato del 42% dal 2004 a oggi, per un ammontare di perdite per complessivi di 11 miliardi di dollari. Rispetto all’anno scorso il calo è stato del 26%. Le stime sono di Alan Mutter, un analista dei media e creatore di un interessante blog, “Reflections of a Newsosaur” (riflessioni di un newsosauro, ndr). Qualcuno parla di una sorta di “debolezza ciclica” del settore, come rileva Henry Blodget su Sylicon Valley Insider, ma la notizia ha fatto parecchio rumore in questi giorni negli Stati Uniti, dove si è sviluppata una fortissima sensibilità per l’ andamento della stampa e in particolare dei quotidiani. Come mostra la tabella qui a fianco, alcune aziende hanno perso in percentuali allarmanti. La Journal Register Co., ad esempio, ha perso il 91% con un ammontare di 68.9 milioni di dollari. Il Sun-Times Media Group ha registrato un calo dell’86% (176.7 milioni di dollari) e McClatchy è al -82% (1.03 miliardi di dollari). Il declino va poi inquadrato, secondo Henry Blodget, nell’ incremento generale della capitalizzazione di borsa negli ultimi 3 anni, pari rispettivamente al 17% e al 15.6% degli indici di Standard and Poor’s e Dow Jones. 34 Internet conquista share La spesa pubblicitaria negli Stati Uniti crescerà del 4,2% nel 2008, grazie ai Giochi Olimpici e al diluvio di dollari elettorali, ma la crescita non toccherà i giornali, che anzi perderanno quasi un punto in percentuale in termini di ricavi pubblicitari. Lo prevedono le nuove proiezioni della TNS Media Intelligence. Jon Swallen, senior vice presidente del settore ricerche alla TNS, spiega che la crescita sarà mitigata dalla debolezza dell’economia che avrà degli effetti anche sul settore pubblicitario. Gli investimenti, secondo le anticipazioni, dovrebbero crescere del 3,6% nel primo semestre del 2008 e del 4,7% nella seconda metà. Fra tutti i media analizzati da TNS, i giornali dovrebbero registrare un anno ruvido, con una diminuzione dei ricavi pubblicitari di circa lo 0,9% rispetto al 2007. La pubblicità online invece dovrebbe crescere del 14.4%. “Internet continuerà a conquistare share, soprattutto a spese dei giornali”, spiega Swallen. Nel biennio 2007-2008 i giornali dovrebbero perdere una percentuale dello share pubblicitario di circa il 18.2% per il primo anno e di circa il 17.2% per il secondo anno. Wall Street weak Percentuale del valore dei giornali dal 2004 •In 3 anni l’industria editoriale americana ha perso il 42% della capitalizzazione. Uniche eccezioni Washington Post (+3%) e Dow Jones (+65%). Tabloid 1 / 2008 L’osservatorio sull’estero UK, -19% di lettori in 15 anni Il numero di adulti che in Gran Bretgna leggono quotidiani è crollato del 19% dal 1992 a oggi. È uno dei dati di una ricerca - il National Readership Survey - commissionata dalla Camera dei Lord. I dati, secondo Jessica Hodgson, del Dow Jones Newswires, sottolineano un lungo trend di declino graduale, che continuerà a crescere se si considera il numero dei più giovani che hanno abbandonato i giornali. La ricerca suggerisce anche, comunque, che i giornali tabloid, tradizionalmente associati con le fasce di lettori della classe lavoratrice, stanno inaspettatamente riscuotendo l’interesse di nuovi lettori, forse in base alla crescita del numero di britannici che entrano nelle classi professionali. Le categoria utilizzate dalla NRS sono basate sulla professione, non sul reddito. Il numero presunto di adulti che leggono uno o più giornali in una giornata “media” (da lunedì a sabato) è calato a 21,7 milioni, rispetto ai 27,7 milioni del 1992, rileva la ricerca. La proporzione sul totale della popolazione scende quindi al 45%, rispetto al 59% del 1992. Due quotidiani nazionali, il Times - pubblicato da News International, una sezione di News Corporation (NWS) - e il Daily Mail - edito dal Daily Mail & General Trust PLC (DMGT.LN) vanno in controtendenza, registrando un aumento dei lettori. La readership generale del Times è aumentata del 69.4% in questo stesso periodo, mentre quella del Daily Mail è cresciuta del 18.4%. Tutti gli altri giornali hanno invece visto la loro readership declinare. Tre giornali della domenica - Sunday Times, Sunday Telegraph e Mail on Sunday - hanno visto crescere I lettori in questo periodo, mentre per gli altri sono diminuiti. I dati del NRS mostrano poi che il lettorato dei gior- nali è diminuito in tutte le fasce di età tranne in quella fra i 55 e i 64 anni. I lettori nella fascia 25-34 anni hanno registrato il calo più sensibile, intorno al 40%, più intenso che fra i giovani fra i 15 e i 24 anni. Il declino di lungo periodo del numero dei lettori è stato accompagnato negli anni recenti da un declino ancora più acuto nei ricavi pubblicitari. Comunque, rispetto al calo a due cifre per alcuni giornali nel 2006, il 2007 ha visto una tendenza al miglioramento nei ricavi dalla pubblicità. Molti analisti ritengono che questa tendenza cambierà nel 2008 in relazione al peggioramento delle condizioni economiche. Il totale dei quotidiani venduti in UK è calato del 2,7% nel 2007, contro il 3% di calo del 2006 (secondo stime di Citigroup). Come catturare giovani lettori Secondo un recente rapporto della World Association of Newspapers dal titolo “Engaging young readers’’, editori e direttori di giornali sarebbero ottimisti sulle possibilità di attirare In Gran Bretagna solo due quotidiani guadagnano lettori: il Times aumenta del 69,4%, il Daily Mail cresce del 18,4% Tabloid 1 / 2008 e trattenere una nuova generazione di lettori. Un sondaggio che riguarda 227 aziende editoriali. Gli editori di giornali sono ottimisti sulla loro capacità di catturare il tempo e gli interessi di una nuova generazione di lettori, secondo una ricerca della World Association of Newspapers. Il Report realizzato dal progetto SFN (“Shaping the Future of the Newspaper”) esamina le abitudini mediatiche delle giovani generazioni e offre una serie di esempi di come i quotidiani stiano usando strategie editoriali, campagne di costruzione dei marchi e uso dei giornali nei programmi educativi per attrarre e mantenere i lettori giovani. Il Rapporto, basato sull’analisi delle politiche di 227 aziende editoriali di tutto il mondo, rileva che gran parte dei giornali sono ottimisti sulle possibilità di attrazione nei confronti dei giovani lettori. Più di sei su dieci esperti interpellati dicono che i bambini delle scuole primarie possono essere attratti congiuntamente attraverso la piattaforma online e quella a stampa. Metà degli interpellati ritengono che gli adolescenti usino i cellulari come fonte primaria di informazione, offrendo nuove opportunità di distribuzione dei contenuti dei giornali. *libertà di stampa diritto all’informazione 35 L’angolo della legge CHE COSA SI NASCONDE DIETRO AL DDL CHE METTE TUTTI A TACERE Mastella detta legge come ai tempi delle veline Ci provano da tempo. Mettere un bavaglio alla stampa, facendo credere che è per il bene degli italiani. Per tutelarne la privacy. In realtà, secretando le indagini si va a inceppare un delicato ingranaggio della democrazia: la trasparenza del processo di Alessandro Galimberti * Abbiamo provato a immaginare come sarebbero i giornali se il disegno di legge Mastella (qui spiegato da Galimberti) fosse già in vigore. Abbiamo chiesto, allora, ad alcuni colleghi che hanno seguito importanti cronache giudiziarie, come sarebbero le notizie se la “legge bavaglio alla stampa” fosse stata già in vigore, vietando la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. Così Peter Gomez (a pag. 38) racconta quale sarebbe, oggi, la mappa del potere senza gli scoop su Ricucci-Corsera, Consorte-Bnl, Fazio-Bankitalia. Paolo Colonnello (pag. 39) ci scrive una lettera (di fantasia, s’intende!) dal carcere, per aver pubblicatoo un articolo “vero”, Mario Consani (pag. 40) “rilegge” Mani Pulite e Luigi Ferrarella (pag. 41) fa alcune proposte. Di buon senso. 36 Se tre governi in successione alternata lo pongono tra le priorità assolute, e se il Parlamento nell’unica votazione espressa (alla Camera, nella primavera del 2007) approva con una maggioranza altro che bulgara (98%), sorge il dubbio di trovarsi di fronte davvero a qualcosa di ineluttabilmente grande per le sorti del Paese. Invece la revisione del codice di procedura penale nascosta nel ddl Mastella - presentato come limitativo delle intercettazioni - è qualcosa di più e di peggio: è la destrutturazione dell’indagine preliminare nella sua prerogativa costituzionale: la trasparenza. Tutto, come si sa, inizia nel 2005 con la pubblicazione dei primi verbali su Bancopoli - i baci telefonici ricevuti dall’ex governatore della cassaforte d’Italia, - continua l’anno dopo con la Vallettopoli di Potenza – tra re mancati, politici viveur e ballerine, - cui segue Calciopoli con i telefoni di Moggi. E ogni volta la solita reazione della classe dirigente: basta con l’intrusione nella privacy, stop al voyeurismo nell’esistenza di stimate persone e di (qualche) estraneo all’indagine. Il tutto culmina nell’iniziativa del ministro Clemente Mastella, che a fine 2006 presenta al Parlamento quel disegno di legge promesso l’estate precedente, per la verità come decreto urgentissimo, dall’ex premier Berlusconi. Per inquadrare la gravità della partita in atto, bisogna rimettere in ordine alcuni valori che il dibattito politico/ giornalistico degli ultimi anni ha ribaltato, spesso in malafede. L’indagine preliminare, o istruttoria che dir si voglia, è <trasparente> dal 1989 Tabloid 1 / 2008 L’angolo della legge in pillole Cosa dice il ddl e cosa si rischia •La revisione del codice di procedura penale nascosta nel Ddl dell’ex ministro Clemente Mastella (in foto) “censura” la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. (riforma del codice di procedura ) per un semplice motivo: garantire i diritti dell’indagato, e permettere al <popolo italiano> nel cui nome la <giustizia è amministrata> (Costituzione) di esercitare il controllo sull’attività della magistratura (proprio così!), attraverso la mediazione dell’attività giornalistica. Tutto il codice è articolato su questo perno, stabilendo che gli atti depositati (art. 114 cpp) non sono più segreti e sono nella piena disponibilità delle parti, che possono farne ciò che vogliono, compreso fornirli ai giornalisti come è prassi consolidata. Di più: se il pubblico ministero volesse prolungare il periodo del segreto, deve <chiederlo> all’indagato e trovarvi adeguata motivazione (art 329). Chiara l’equazione? Processo segreto = pericolo per l’indagato, altro che privacy e finto garantismo alla rovescia. La Storia ha insegnato che l’inquisizione è la deriva più terribile del terzo potere, quindi il Legislatore contemporaneo ha agito di conseguenza, sgombrando il processo dall’ombra e dal rischio delle zone buie. Eppure il dibattito di questi anni vuole far credere all’opinione pubblica che il <segreto> è un valore inviolabile dell’istruttoria e che la pubblicazione, pur legittima, di atti è una lesione della privacy dell’indagato; quindi il Governo ha fatto calare il sipario su tutta l’attività del pm: divieto assoluto di pubblicare qualsiasi intercettazione, divieto di pubblicazione del contenuto degli atti di indagine preliminare fino al II grado di processo (quindi fino a 5/7 anni dopo i fatti!). Piccolo inciso: tutto ciò che abbiamo letto e sentito in questi anni sulle grandi inchieste non è mai stata una <fuga di notizie> né tantomeno una <violazione di segreto>: i giornalisti hanno solo divulgato il contenuto di atti depositati, non più segreti, nella piena disponibilità degli indagati e dei loro difensori. Anzi, quasi sempre atti emessi da un Giudice preliminare al termine di un’indagine. Il peccato originale del ddl Mastella è tutto qui: secretare l’indagine facendo credere che lo si fa per il bene degli italiani. Invece è per nascondere le vergogne di qualche pezzo grosso. Ma così si rischia davvero di stravolgere l’ingranaggio più importante della democrazia: la trasparenza del processo. *consigliere nazionale Unci con delega all’informazione giudiziaria Il Governo ha fatto calare il sipario sull’attività del pm. Stabilendo divieti che, sotto sotto, ledono la libertà di tutti Tabloid 1/ 2008 • È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico minisgtero o delle investigazioni difensive, anche se non coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari. • È vietata la pubblicazione di conversazioni telefoniche o flussi di informazioni informatiche o telematiche e dati riguardanti il traffico telefonico, anche se non coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. • I documenti d’indagine devono essere chiusi in cassaforte e la carte e/o tracce di conversazioni telefoniche o telematiche acquisiti in modo illecito non possono essere utilizzati in nesun modo, tranne che come corpo del reato. • Il giudice dispone che i nominativi o i riferimenti indicativi dei soggetti estranei alle indagini siano espunti dalle trascrizioni delle registrazioni. • Chiunque rivela notizie sugli atti del procedimento coperti da segreto o ne agevola la conoscenza è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se il fatto è commesso per colpa o per agevolazione colposa, la pena è della reclusione fino a un anno. Reclusione da 1 a 3 anni, invece, per chi in modo illecito viene a conoscenza del procedimento penale coperti da segreto. • Per i giornalisti che pubblicano atti del procedimento o intercettazioni telefoniche coperte da segreto scatta l’ammenda da 10mila a 100mila euro, in alternativa alla reclusione fino a 30 giorni. 37 L’angolo della legge ddl mastella 1 / come sarebbe Oggi la mappa del potere politico-economico Se solo fossimo stati zitti Stefano Ricucci sarebbe il padrone del “Corriere della Sera”, Giovanni Consorte della Banca Nazionale del Lavoro, Giampiero Fiorani della Banca Antonveneta e Antonio Fazio sarebbe ancora, tranquillamente, il governatore della Banca d’Italia di Peter Gomez* Stefano Ricucci e i suoi mandanti di centrodestra padroni del Corriere della Sera. Il manager rosso Giovanni Consorte alla testa della Banca Nazionale del Lavoro per la gioia di Massimo D’Alema e Piero Fassino, liberi di ripetere che in quella scalata loro avevano fatto solo da spettatori. La Banca Antoveneta saldamente in mano a Giampiero Fiorani. Antonio Fazio tranquillo e immarcescibile governatore di Bankitalia. E poi ancora: gli arbitri e i dirigenti del calcio tutti al loro posto nonostante che falsassero il campionato per volere di Luciano Moggi. Quel che sarebbe accaduto se la “legge bavaglio alla stampa” fosse già entrata in vigore qualche anno fa spiega meglio di ogni altro esempio perché alla Camera, il 17 aprile del 2007, tutti i partiti, con 447 sì e solo 9 astenuti, abbiano approvato le norme proposte dall’ex Guardasigilli, Clemente Mastella. Dopo essere riusciti a azzoppare le inchieste penali, con la promulgazione di una serie di norme che nei fatti rendono quasi impossibile le condanne per i colletti bianchi, buona parte del ceto politico è passato alla fase due dell’operazione impunità duratura: ora vuole semplicemente bloccare le inchieste giornalistiche. Il ragionamento è semplice: visto che la Casta, come la chiamano Stella e Rizzo, è malata e non pare intenzionata a curarsi, si interviene sul termometro (la 38 stampa) che segnala la febbre. Come? Eliminando il termometro. Da qui la scelta di punire in nome di una privacy - che in qualche caso può forse essere invocata dai semplici cittadini, ma non certo da chi si sottopone al giudizio degli elettori - la pubblicazione non solo delle intercettazioni telefoniche non più coperte da segreto, ma anche di tutta un’altra lunga serie di atti processuali finora assolutamente pubblici. La nuova legge, che il candidato premier in pectore Silvio Berlusconi ha già annunciato di voler promulgare subito dopo le eventuali elezioni peggiorandola ulteriormente, prevede per il cronista che la infrange multe pesantissime: da 10mila a 100mila euro (e oblazione a 50mila) o, in alternativa, la reclusione fino a 30 giorni. E va letta in parallelo a quanto sta accadendo nelle tv e nei giornali. Non a caso un servizio delle Iene sul clan Mastella, che non conteneva nulla di giudiziario, ma solo un gran lavoro giornalistico, è stato censu- •La sede del Corriere della Sera e, a destra, il gran-patron delle partite di calcio, Luciano Moggi. rato dai vertici di Mediaset e il suo autore, il bravo collega Alessandro Sortino, per protesta si è deciso a dare le dimissioni. Il problema, come diceva Enzo Biagi, è la realtà, non lo specchio che la riflette. *chi è Peter Gomez, cronista giudiziario de L’Espresso e collaboratore di Micromega. Ha denunciato i rapporti tra politica, alta finanza, corruzione e mafia. Ha scritto: L’Intoccabile. Berlusconi e Cosa Nostra (con Leo Sisti), Mani Pulite e Mani sporche (con Barbacetto e Travaglio), La Repubblica delle banane e Lo chiamavano Impunità (con Travaglio). Tabloid 1 / 2008 L’angolo della legge ddl mastella 2 / cosa succederebbe a un giornalista che rivelasse i nomi Io, cronista in manette Finta lettera di un collega finito dietro le sbarre per aver scritto, sul suo giornale, un articolo “vero”. Omissis dopo omissis, dalla sua cella scriverebbe una bella fiaba di Paolo Colonnello* (dal carcere) Cari colleghi, vi ringrazio per aver ospitato questa mia lettera. Una ventata di libertà, visto che ormai da alcuni mesi mi trovo rinchiuso qui. Purtroppo, quando la legge Mastella è stata approvata a maggioranza assoluta, un mio pezzo era già in pagina e non ho potuto bloccarlo. Provo a riportarvelo anche se ho dovuto necessariamente riscriverlo dopo una lunga trattativa con il maresciallo di sezione. In sostanza spiegavo che, con il famoso “bacio in fronte” di Giampiero … omissis… all’ex governatore della Banca d’Italia …omissis.., i magistrati avevano scoperchiato una spartizione del potere bancario in Italia, che avrebbe premiato i soliti noti lasciando i cittadini nell’idea che si sarebbe così salvata “l’italianità delle banche” e non invece l’onorevole della Lega (omissis…) e l’onorevole di Forza Italia (omissis…) che nella banca di …omissis…avevano ricevuto lauti fidi senza presentare il becco di una garanzia oppure minacciando di boicottare i progetti di illecite scalate bancarie. Avevo poi proseguito illustrando la scalata Bnl da parte dell’ex presidente di (omissis…) ingegner (omissis…) che, secondo le accuse, aveva proceduto senza informare il mercato ma telefonicamente gli onorevoli diessini (omissis…) e (omissis) nonché il senatore e braccio destro di (omissis…) onorevole (omissis…). In fondo, si trattava di carte che il gip (anzi, l’ex gip) Clementina Forleo aveva trasmesso alle Camere e che almeno un centinaio di parlamentari nonché due o trecento avvocati avevano potuto già leggere. Inoltre, sapendo che una mia vecchia zia stava acquistando con i risparmi di una vita una cospicua dose di “bond spazzatura”, e non potendo Tabloid 1 / 2008 quindi aspettare che alcuni processi di cui mi stavo occupando terminassero anche in Appello, ho spiegato come il cav…omissis…ex titolare della Parmalat, avesse perfino truccato delle carte bancarie con uno scanner per far risultare fondi che non esistevano coprendo fino all’ultimo quello che è stato definito il più grosso crac della storia finanziaria italiana e soprattutto dando tempo alle banche di rientrare dalle loro gigantesche esposizioni. Una truffa degna di Totò e Peppino. Quindi mi sono gettato a capofitto su alcuni verbali. Ho preso l’elenco delle persone spiate dalla Security Telecom e ho raccontato come migliaia di lavoratori, di manager, di giornalisti, di imprenditori e perfino di calciatori e soubrette, venissero spiati in banca e sui terminali delle Finanze (caspita, c’era anche …omississ…) nonché “dossierati” da gente dei servizi di mezzo mondo per mai chiarite guerre commerciali e di potere. Poi mi sono ricordato degli archivi segreti del…omississ…dove un certo…omissis…raccoglieva informazioni riservate e illegali su magistrati, giornalisti e politici (dell’opposizione soprattutto) per “disarticolarli” insieme a un ex collega…omissis... che veniva pagato per spiare dei giudici e raccontare fandonie su governi sgraditi e lotta al terrorismo. Infine ho dato uno sguardo alla vicenda dei fondi neri … omissis…per la compravendita dei diritti televisivi e alla presunta corruzione di … omissis…da parte del Cav….omissis… Quando il mattino dopo Mastella lo ha letto, ha avuto una crisi di pianto. Con questa nuova legge i nuovi omissis, omissis, omissis e …omissis…omissis… omissis, continueranno a rimanere indisturbati ai loro posti, a rifilare bond spazzatura o derivati farlocchi, ad ingras- sare conti all’estero, a nominare direttori sanitari, delle municipalità e dei ministeri come e quando gli farà comodo. E con la memoria corta di questo Paese, se mai un giorno lo potrete scrivere, sarà sempre troppo tardi. Per conto mio, qui in carcere ho trovato grande umanità, coltivo con passione alcune pianticelle e Luigi Ferrarella, che sta nella cella accanto, si occupa d’innaffiare l’orto. Ho scritto una lettera a una rivista di giardinaggio chiedendo se quando uscirò tra 3 anni e 4 mesi mi faranno un contratto di collaborazione. Ferrarella vorrebbe andare in una rivista concorrente per darmi “buchi” sulla vita segreta delle piante. Potete mica farci una raccomandazione? Cordiali saluti *chi è Paolo Colonnello, nato a Milano, 47 anni, è sposato con Chiara e ha due figli. Ha iniziato nelle radio private, poi a Il Giorno si è occupato per 10 anni di cronaca giudiziaria. Oggi inviato de La Stampa, si occupa sempre di problemi di cronaca giudiziaria. E’ un appassionato sassofonista e cultore del tango argentino. 39 L’angolo della legge ddl mastella 3 / quando il segreto istruttorio era quasi sconosciuto C’era una volta Mani Pulite Domani non ci sarebbe più Per la “madre” di tutte le indagini sulla corruzione e delle inchieste giornalistiche non c’erano ancora le intercettazioni telefoniche. E non c’erano neppure i cellulari (o almeno erano rarissimi). Ma, pur d’informare i cittadini, valeva (quasi) tutto. Forse troppo? di Mario Consani* In principio fu Mario Chiesa, l’ingegnere socialista che dominava al Pio Albergo Trivulzio, il “mariuolo” (parola di Craxi) preso con le mani nel sacco dallo sconosciuto pm Antonio Di Pietro. Era il 17 febbraio 1992 e cominciava l’inchiesta Mani pulite, destinata a scoperchiare Tangentopoli e a determinare nel bene e nel male le sorti della Prima Repubblica. La “madre” di tutte le indagini sulla corruzione non si fondò sulle intercettazioni, anche perché i cellulari ce li avevano in pochissimi allora e non c’era il rischio che imbarazzanti dialoghi telefonici potessero finire sulle pagine dei giornali. Eppure, a guardarla oggi che è passato un secolo, certo per quell’inchiesta il segreto investigativo fu quasi uno sconosciuto. Le parole degli indagati, le confessioni degli arrestati, i racconti dei testimoni, finivano in cronaca quasi in tempo reale, al massimo entro un giorno o due, in barba ai termini già previsti dal Codice penale. Volendo, ogni giornalista che si occupava di Mani pulite avrebbe potuto collezionare una denuncia al giorno, oblazionabile sì, però, con l’abbonamento… Ma tutto era diverso, allora, nel clima di Palazzo di giustizia e soprattutto fuori. 40 •Una foto passata ormai alla storia: l’ex pm Antonio Di Pietro mentre si toglie la toga, in aula, alla fine del processo di Tangentopoli. Direttori di giornali (oggi molto molto garantisti) che, un giorno sì e l’altro pure, invocavano punizioni esemplari per i politici solo indagati; manager arrestati da Di Pietro che in preda alla sindrome di Stoccolma riapparivano in tribunale con T-shirt inneggianti a Mani pulite; l’attesa quasi messianica da parte dell’opinione pubblica per le gesta dei magistrati. Tutto è cambiato oggi, per certi aspetti fortunatamente, diremmo. Ma sarebbe stata possibile, Mani pulite, senza quella forzatura mediatica dei tempi, che garantì comunque all’inchiesta l’unica chance di proseguire? Con il silenzio dei giornali fino al termine delle indagini preliminari - come si vorrebbe ora – si sarebbe potuto impedire il “silenziamento” di quelle indagini tanto scomode? La rinuncia di fatto al formale rispetto della norma che tutela le indagini preliminari garantì il diritto di cronaca: fu un prezzo giusto da pagare? Una cosa si può dire: anche le tivu’ di chi oggi si erge a paladino tout court del diritto alla privacy (e annuncia pene detentive per chi lo violerà) allora non si fecero particolari scrupoli. Resta alla storia come il caso forse più clamoroso di violazione del segreto di indagine, quello di un collega del TG5 che, in diretta, annunciò i nomi di alcuni manager Fininvest nei confronti dei quali il giudice stava per firmare un ordine di custodia cautelare. Gli indagati (tra i quali Marcello Dell’Utri) si precipitarono dal gip ed evitarono l’arresto. Il collega, tra mille polemiche indagato per favoreggiamento, venne infine assolto: in fondo aveva fatto il suo mestiere dando una notizia. Aveva violato il segreto di indagine, è vero: certo non da solo, però, visto che da qualcuno doveva pur aver saputo quei nomi. Se la cavò pagando – solo lui un’oblazione da 250 mila lire. *chi è Mario Consani è nato ad Asolo, nel trevigiano, e vive a Milano. Laureato in giurisprudenza, lavora a Il Giorno, dove si occupa di cronaca giudiziaria. Ha seguito i processi delle stragi milanesi a cavallo degli anni Settanta e ha scritto il libro Foto di gruppo da Piazza Fontana, per Melampo editore. Tabloid 16 / 2008 2007 L’angolo della legge ddl mastella 4 / tra diritto di cronaca e diritto alla privacy Ecologia delle notizie o Far West nei Tribunali La trasparenza non si risolve con leggi sempre più proibizioniste. Un accesso diretto e regolato agli atti giudiziari può evitare che vinca, sempre e comunque, il più scorretto: il magistrato più ambizioso, l’avvocato più disinvolto o il giornalista più spregiudicato di Luigi Ferrarella* Ai nuovi giri di vite che, per legge, intendono somministrare sempre maggiori dosi di segreto (ai cittadini) e di sanzioni (ai giornalisti), non si può rispondere con la difesa del Far West della notizia; e neppure solo con il pomposo proclama del “giornalistasacerdote” che, a prescindere da qualunque altra valutazione dell’impatto su persone e procedimenti, scrive tutto quello che viene a sapere perché è suo diritto-dovere e basta! Non si può per decenza, perché simili proclami sono talvolta la maschera di un’ipocrisia, un sipario strappato da ben altre spinte (spietata concorrenza, strategie commerciali, collocazione politica e proprietà dei media). E non si può anche per convenienza, giacché la questione di una ecologia giornalistica ormai non è un lusso, ma una questione di sopravvivenza rispetto a falsificatori, inventori e agli Attila della notizia. Ma il paradosso di leggi sempre più proibizioniste è proprio il porre le basi perché nel “processo mediatico” continui a vincere comunque e sempre il più scorretto: il magistrato più ambizioso, ma anche l’avvocato più aggressivo e disinvolto; l’imputato (se mi si passa l’errore) più “eccellente”, e il politico più in mala fede; l’inquirente meglio introdotto nel circuito mediatico ai fini della sua progressione in carriera o della sua logica di cordata interna; e il giornalista più spregiudicato. L’unica vera soluzione sarebbe una Tabloid 1 / 2008 •Il dibattimento in un’aula giudiziaria: momento delicato per i giornalisti. legge che, al contrario, in occasione delle scadenze temporali e procedurali che già oggi mettono a disposizione di tutte le parti processuali gli atti delle varie tappe di una inchiesta, ammetta i giornalisti a essere equiparati alle parti nell’accesso diretto, trasparente e regolato agli atti. “Sbiancando”, così, quella circolazione che già oggi avviene, ma in maniera semiclandestina e quindi in maniera pericolosamente incompleta e imprecisa, attraverso le insidie del rapporto personale tra il giornalista “nobile accattone” e la moltitudine di fonti tutte per definizione non disinteressate. Così si spezzerebbero i tanto temuti “rapporti incestuosi” fonte-giornalista; si prosciugherebbe l’acqua nella quale nuotano gli inventori, punendoli “in diretta” con la peggior sanzione per un giornalista, cioè la lesione della propria reputazione. E si stroncherebbero anche le strumentali “campagne” pro o contro che oggi si nutrono proprio della non conoscenza dei veri dati di fatto; e si ridurrebbero, nelle redazioni più deboli, i margini di invadenza delle proprietà. Questo sistema non getterebbe affatto nuova benzina sul fuoco della cronaca giudiziaria, ma userebbe la stessa benzina di oggi in una caldaia però di sicurezza, trasparente, “garantita” (per così dire) anche nella manutenzione delle regole. Oggi, invece, il medesimo magma ribolle in una stufa sprovvista di qualunque valvola di sicurezza che non sia la coscienza personale e lo scrupolo professionale del singolo giornalista. *chi è Luigi Ferrarella è inviato del Corriere della Sera. Ex Ifg, professionista dal 1987, si occupa di cronaca giudiziaria dal 1991fino al 1999 per Il Giorno, poi per il Corriere. Sulla storia di Tangentopoli e Antonio Di Pietro ha pubblicato L’intruso (Limina, 1997); con Pino Corrias e Renato Pezzini ha realizzato l’inchiesta tv “Mani pulite” in onda su RaiDue. 41 Colleghi in libreria AmARA RIFLESSIONE DI FURIO COLOMBO SUL GIORNALISMO ITALIANO Che fine faranno le notizie Il noto giornalista-scrittore disserta sulllo stato del “post giornalismo” nazionale, troppo condizionato dalle interferenze politiche e dalle imprese editoriali, sempre più coinvolte o spinte in progetti e interessi estranei all’informazione a cura di Antonio Andreini Che fine fanno le notizie? Quelle vere, che contano. Se lo chiede Furio Colombo nel suo Post giornalismo. È un puntuale, amaro saggio, in cui il noto giornalista ci dà “Notizie sulla fine delle notizie”, come recita il sottotitolo. Scrive l’autore: “Teconologie efficienti e straordinarie rendono il flusso [delle notizie] più vasto ma non più sicuro, mescolano scorie e prodotto autentico… Ci confrontano con l’immensa difficoltà della verifica e ci confortano con un senso di onniscienza, di informazione totale”. Ma come orientarsi in tanta confusione? Se manca la possibilità della verifica, anche il giornalista perde un suo ruolo specifico, fondamentale: essere testimone diretto dei fatti e verificare l’attendibilità di quelli di cui altri riferiscono. Nel mare magnum delle notizie si potrebbe anche sostenere che dei giornalisti non c’è più bisogno. E così si passa, si è passati, al post giornalismo. Sulla fine del buon giornalismo Colombo non si limita a scrivere un allarmante pamphlet, ma evidenzia una serie di problemi: 1) la L’AUTORE Furio Colombo, ex direttore dell’Unità, già inviato della Rai e di Espresso, La Stampa, Panorama, la Repubblica, e professore di giornalismo alla Columbia University di New York e alla Luiss di Roma, ha scritto Ultime notizie sul giornalismo e il Manuale di giornalismo 42 cattiva informazione è il risultato di una cattiva politica e di condizionamenti economico-finanziari, o viceversa; 2) la notizia trattata come “prodotto” -risultato dell’organizzazione dell’informazione come “magazine”, che tutto appiattisce anche all’interno dei grandi quotidiani- è mistificatoria. Come può il giornalista salvaguardare la propria libertà di giudizio, il non coinvolgimento negli interessi dell’editore e dei gruppi di potere economici e politici, se oggi, “… le notizie non nascono nei fatti. Nascono in zone di potere, a volte definibili, a volte del tutto sommerse…. Muoiono e scompaiono o rimangono congelate per ragioni il più delle volte ignote, che coincidono con interessi forti, potenti e non dichiarati” ? Molto opportunamente la Costituzione italiana (Articolo 21) statuisce il diritto della libertà di stampa. Non per conferire ai giornalisti un potere speciale, ma per difendere il diritto dei cittadini di essere informati. Rivendicare tale libertà è allora un impegno sacrosanto e un dovere professionale per i giornalisti. E quando essi difendono il proprio lavoro non stanno rivendicando l’autonomia di una corporazione, ma difendono diritti che non devono essere violati. Ma questa libertà di stampa che i giornalisti devono difendere, ritenuta il cuore della democrazia, come si mantiene in Italia? I talk show e i telegiornali, con un’overdose di parole, di annunci, di falsi problemi, di mistificazioni che oscurano i fatti, sono una delle grandi cause del distacco dei cittadini dalla politica e hanno distolto la politica stessa dalla responsabilità di interpretare e rappresentare e analizzare i veri problemi della società. Il più arrogante dei privilegi, quello dei politici di occupare quasi tutti gli spazi dell’informazione, va dunque ridimensionato, rinegoziato, e restituito all’opinione pubblica e agli interpreti professionali dell’informazione. Nel caos attuale non ci resta che auspicare un nuovo impegno, “alcune grandi iniziative nel mondo dell’informazione giornalistica che si assumano …il compito di mettere ordine nelle sequenze, senza toccare i fatti e la loro natura”. Per impedire il dominio degli interessi politici ed economici. Furio Colombo: Post giornalismo, Rizzoli, Milano, 2007, pagg.142 Tabloid 1 / 2008 Colleghi in libreria Norma Rangeri: Chi l’ha vista? – Tutto il peggio della TV da Berlusconi a Prodi (o viceversa), Rizzoli Editore, Milano, 2007, pagg. 315, 17€ La TV (ri)vista dalla ...Norma Norma Rangeri, critica televisiva, per lavoro passa ore e ore, dalle 20 all’una tutte le sere, davanti alla televisione. E poi anche di più, perché vuole vedere che cosa offrono di bello le trasmissioni del mattino, quanti ammazzati e squartati ci sono il pomeriggio, quanti “amori” in diretta vanno in onda quando c’è la De Filippi. Rangeri è nota per la severità con cui, dal 1992, tratta dei programmi della televisione italiana nella rubrica “Vespri”, scritta quotidianamente per i lettori del manifesto. Per tutti i telespettatori, poi, Rangeri ha scritto un libro, Chi l’ha vista? - Tutto il peggio della TV da Berlusconi a Prodi (o viceversa). È un racconto critico degli ultimi 15 anni di televisione, frutto di un lungo viaggio nell’anomalia tutta italiana con cui viene gestita. Non il solito saggio di critica televisiva, pieno di tabelle e tabelline per specialisti, ma una puntuale e pungente storia dell’informazione televisiva, che descrive come i governi, sia di destra sia di sinistra, dal ’92 a oggi, hanno perpetuato gli stessi meccanismi di lottizzazione e manipolazione. Un libro agile, che incuriosisce, coinvolge e trascina. Ma nello stesso tempo contiene una critica inflessibile a personaggi di tutti i livelli della televisione. Nella terza parte, tutta dedicata all’informazione, racconta in particolarle le diverse stagioni dei TG -da Vespa a Riotta-, e ripercorre la tumultuosa vicenda politica che, da tangentopoli Tabloid 1 / 2008 al berlusconismo, ai governi di centrosinistra, ha segnato il Paese. Si “sente” che Chi l’ha vista? è scritto da una giornalista che tratta di informazione televisiva mettendosi nei panni dello spettatore. E che, di suo, non risparmia giudizi, spesso feroci, a tanti personaggi, anche famosi. Senza mai subire una querela, perché Norma Rangeri scrive ciò che vede e le sue valutazioni sono sotto tutela della libertà di critica. Testimonianze di 34 cronisti Trentaquattro cronisti, con diversi anni di bagaglio giornalistico sulle spalle, hanno raccolto l’invito del Sindacato cronisti romani di raccontare le loro esperienze di cronaca vissuta, viste da dietro le quinte e riviste con un occhio al retrobottega del gran circo mediatico. Con l’entusiasmo e la passione di sempre per il mestiere, essi hanno scavato negli ultimi decenni: 1) ricostruendo fatti e misfatti che hanno “fatto epoca”; 2) narrando le tante avventure della loro professione; 3) rievocando scoop e gesta di protagonisti e comprimari della ribalta di giornali e radiotv; 4) ridisegnando gli scenari giornalistici dei tempi andati. Ricordando piccole e grandi storie, i 34 offrono un contributo/ testimonianza della cronaca com’era e si faceva una volta e com’è cambiata sotto gli effetti della rivoluzione tecnologica. (di Romano Bartoloni, presidente del Sindacato Cronisti Romani) I cronisti raccontano la cronaca… I segreti del mestiere, Sindacato cronisti romani Editore, Roma, 2007, pagg. 186, 15€ La nuova maffia Tutti i soci del boss I I complici - Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento, è un reportage di Lirio Abbate e Peter Gomez su Provenzano, la nuova mafia e i suoi rapporti con la politica (Fazi Editore, Roma, 2007, pagg. 356, 15€). Abbate, giornalista dell’ANSA di Palermo, è stato il primo a dare, quasi in diretta, la notizia dell’arresto di Provenzano. Gomez è uno dei maggiori giornalisti d’inchiesta italiani. In un saggio che si legge, strabiliati e increduli, tutto d’un fiato, essi ricostruiscono la vita dell’ultimo “capo dei capi”, rivelandone le tragiche imprese e le impressionanti alleanze, non solo politiche ed economiche, che gli hanno permesso di rendersi “latitante”, quindi introvabile per la giustizia, vivendo per oltre quarant’anni a pochi chilometri dalla moglie e dai due figli. Insieme con quelli dei malavitosi, Abbate e Gomez svelano tutti i nomi degli esponenti della vita sociale -economica, politica e culturale; locale, regionale e nazionale- più o meno complici dell’organizzazione criminale. Leggere per credere. Dopo la pubblicazione del libro, Lirio Abbate ha iniziato a subire pesanti intimidazioni dalla mafia. Dai colleghi giornalisti e da una parte del mondo politico si è levato un coro di voci solidali, tra cui quella del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: Il Consiglio dell’Ordine della Lombardia, su proposta della presidente Letizia Gonzales, ha promosso una raccolta di firme di solidarietà a Lirio Abbate. 43 Colleghi in libreria Mariuccia Teroni: Manuale di redazione, Apogeo Editore, Milano, 2007, pagg. 392+16, 35€ Visto si stampi in digitale L’avvento dell’informatica nell’editoria non solo ha reso obsolete le tecniche tradizionali di preparazione e di stampa, ma ha anche “costretto” tutti gli operatori, a ogni livello -dai responsabili della grafica a quelli dei contenuti, dai grafici ai redattori ordinari-, a un adeguamento alle esigenze di un nuovo, sofisticato strumento, il computer. Così, redattori, o aspiranti tali, giornalisti, scrittori, blogger, ricercatori, docenti e studenti, per svolgere al meglio ogni processo legato all’attività redazionale, devono oggi conoscere ogni aspetto del lavoro di “redattore digitale”. Chi ha la possibilità di frequentare una scuola di giornalismo può imparare qui tutto ciò che gli servirà per operare nel mondo dell’editoria, avendo comunque bisogno di “testi” su cui studiare. Chi già lavora, avrà comunque bisogno di un “manuale” per aggiornare le conoscenze obsolete e impadronirsi di tutte le novità operative. Per gli uni e per gli altri, ecco uno strumento prezioso, il Manuale di redazione di Mariuccia Teroni, docente di Laboratorio di editoria multimediale presso l’Università degli Studi di Milano. Realizzato con una veste tipografica gradevole e invitante, ricco di schemi, tabelle, disegni e illustrzioni, il saggio offre, infatti, una rassegna completa e metodica di ogni aspetto del lavoro di redazione, trattato con chiarezza e sistematicità. In un compendio 44 estremamente vario, esso offre tutte le norme, le codifiche, le procedure, le consuetudini ormai standardizzate e consolidate nel tempo e quelle che appartengono al mestiere di oggi, fortemente condizionato dall’introduzione e diffusione delle tecnologie digitali, per molti aspetti ancora fluttuanti e mutevoli. Da Gutenberg a Internet Considerando le infinite potenzialità dei nuovi media, come Internet, si può pensare a un continuo miglioramento. O, al contrario, che tutto è peggiorato. In particolare, per Internet e le sue potenzialità di “democratizzazione”, non si può sostenere con certezza che questa inesauribile fonte di informazioni saprà effettivamente svolgere tale ruolo grazie all’ampliamento dell’accesso e alla sua trasformazione “dal basso”. E, comunque sia, non sarà proprio Internet a decretare la fine dei mezzi di comunicazione tradizionale, cartacei e non? Con la loro scomparsa, potrebbe dirsi esaurito anche il ruolo informativo del giornalismo. Non c’è già chi sostiene che …in Internet c’è tutto? Per capire come andrà dipanandosi la matassa della comunicazione, non c’è che da seguire il metodo classico della conoscenza del passato, per interpretare il presente e intravvedere il futuro. Così hanno fatto due eminenti studiosi inglesi, Asa Briggs e Peter Burke. Con la loro Storia sociale dei media – Da Gutemberg a Internet, essi ci offrono esaurienti risposte a questi nostri interrogativi. Asa Briggs-Peter Burke: Storia sociale dei media - Da Gutenberg a Internet, Il Mulino Editore, Bologna, 2007, pagg. 450, 25€ Arrivati in redazione Andrea AccorsiDaniela Ferro: Milano criminale, Newton Compton Editori, Roma, 2007, pagg. 341, 14,90€ Misteri e pallottole all’ombra della Madonnina, dal caso classico di Alberto Olivo nel 1903 al delitto Ambrosioli, a ... Armando Torno: Il gioco di Dio, Mondadori Editore, Milano, 2007, pagg. 108, 15€ Dodici storie della Bibbia, per dimostrare che il gioco di Dio è un atto d’amore che si perde nella storia, ma che continua ogni giorno. Camilla Ghedini: Io cattiva? No, io precaria, Edimond Editore, Città di Castello, 2007, pagg. 46, 8€ Il viaggio di una lavoratrice “flessibile” da una scrivania all’altra per affrancarsi dalla sua condizione di precarietà. Franco Tettamanti: L’ultima nuvola a sinistra, Macchione Edit, Varese, 2007, pagg. 146, 16€ Storie di uomini e donne, protagonisti e comparse in scena per sconfiggere le intemperanze del destino. Camillo Albanese: Le curiosità di Napoli, Newton Compton Editori, Roma, 2007, pagg. 328, 20€ Una Napoli riservata, misteriosa, dischiude i suoi segreti, come una donna dalla seducente bellezza. Tabloid 1 / 2008 Testimonianze Primo piano e ricordi la sua casa era il “corriere della sera” L’addio a Nascimbeni parón della Terza Pagina Da Buzzati a Piovene, da Montale a Pasolini, gran parte della letteratura italiana è passata dalle sue mani. Amava ripetere: “Il giornalista? È un intermediario” Quando parlava della propria stagione al Corriere, Giulio Nascimbeni evocava spesso l’amato Montale: “Lì dentro ho vissuto anni corti come giorni”. Era così che spiegava quanto fosse stata intensa e carica di cambiamenti la sua lunga (e insieme, appunto, cortissima, date le rivoluzioni professionali attraversate) esperienza in via Solferino. Esperienza durata quasi cinquant’anni. La metà dei quali spesi a guidare la Terza Pagina, istituzione leggendaria di quello che è, per antonomasia, il giornale istituzione. Nascimbeni non era uno di quei colleghi malati di ipertrofia dell’ego che citano di continuo la propria storia, magari enfatizzandone certi passaggi o rimpiangendo con frustrazione “i bei tempi andati”. A trattenerlo c’era una sorta di disincanto applicato a se stesso, oltre a una salda educazione alla sobrietà. Ma se lo si interrogava senza riverenze, semplicemente, allora superava ogni ritrosia e consegnava all’interlocutore un prezioso spaccato di mezzo secolo di giornalismo culturale. Infatti, da Buzzati a Piovene, Moravia, Pasolini, Soldati, Macchia, Calvino, Citati, Fortini, Sciascia, Manganelli, Zanzotto, larga parte della letteratura italiana (e non solo italiana, basti pensare a Burgess) è “passata” – letteralmente – nelle sue mani. Con una discontinuità non troppo traumatica, e dunque tale da non sconcertare i lettori, innovò una sezione che appariva tra le più immutabili e polverose del giornale. Reclutò sociologi, filosofi, storici, scienziati, osservatori di costume, critici più o meno borderline, e in questo lavoro da talent scout ha cercato sempre una fusione tra cultura e società. Impegnò le firme di cui disponeva su fronti diversi dall’”ozioso elzevirismo” nel quale si erano rifugiate fino ad allora. Il “Danubio” di Magris nacque da un’inchiesta sul campo coordinata da Giulio. Ma anche il “Sillabario” di Parise crebbe, una riga dopo l’altra, dalle sue incitazioni. Agli inviati e ai corrispondenti chiedeva rigore nel raccogliere le notizie. E soprattutto un linguaggio chiaro e non banale al momento di stendere il reportage o l’intervista o l’analisi. Mettendo al bando qualsiasi stucchevole neoconformismo o cenno autoreferenziale perché – ripeteva, con Tabloid 1 / 2008 chi era Nato a Sanguinetto, in provincia di Verona, il 27 ottobre 1923. Su un tema delle elementari scrisse come e perché, da grande, avrebbe fatto il giornalista del Corriere. Il suo primo elzeviro a 16 anni fu per l’Arena di Verona. Professionista dal 1° ottobre 1959, iscritto prima all’Albo di Venezia, quindi a quello di Milano quando, alla fine del 1960, viene chiamato al Corriere d’Informazione guidato da Gaetano Afeltra. È stato direttore di Storia Illustrata nel 1967, direttore della Domenica del Corriere nei primi anni Settanta, non ha mai abbandonato il “suo” Corriere della Sera. L’amore di Nascimbeni per i libri gli regalò, ci regalò, anche un primato: dal 1967 al 1975 fu lui a condurre sulle reti Rai “Tuttilibri”, la prima trasmissione televisiva dedicata alla letteratura. l’aria di dare un consiglio da amico e mai salendo in cattedra – “il giornalista non è un protagonista ma un intermediario”. Le stesse regole che imponeva a se stesso quando si metteva davanti alla “Lettera 22” e, con il conforto di una sigaretta, cominciava a costruire i suoi pezzi, ancora oggi esemplari per solidità d’impianto, densità di riferimenti, precisione filologica e leggerezza di scrittura. Testi raccolti in un volume, “Il calcolo dei dadi”, che resta un manuale del buon giornalismo. Amava i classici di ogni tempo, Giulio Nascimbeni. Quelli le cui opere aveva insegnato negli anni in cui fu insegnante di liceo e quelli novecenteschi, consacrati tali proprio da lui, sulla Terza Pagina. Negli ultimi tempi si era ritirato nella casa di famiglia, a Sanguinetto, nella Bassa Veronese. Da dove continuava a seguire con fresca curiosità il lavoro dei colleghi, ormai ex giovani, che aveva “allevato” e che continuavano a chiamarlo affettuosamente “paròn”. Là è morto, a 84 anni, il 28 gennaio, carezzando con lo sguardo i suoi libri d’infanzia. Marzio Breda 45 I numeri 181 in quest’ultima pagina la nostra realtà “fotografata” in cifre professionisti praticanti tirature e vendite quotidiani medie giornaliere 1980-2007 Anno Tiratura m. %* Vendita m. %* 1980 7.427.213 5.341.970 1981 7.475.266 0,6 5.368.815 0,5 1982 7.571.807 1,3 5.409.975 0,8 1983 7.708.165 1,8 5.580.394 3,2 1984 8.135.157 5,5 5.860.691 5 1985 8.378.753 3 6.068.407 3,5 1986 8.992.407 7,3 6.365.661 4,9 1987 9.337.653 3,8 6.618.481 4 1988 9.562.563 2,4 6.721.098 1,5 1989 9.651.225 0,9 6.765.715 0,7 1990 9.763.197 1,1 6.808.501 0,6 1991 9.492.087 -2,8 6.505.426 -4,5 1992 9.429.250 -0,7 6.525.529 0,3 1993 9.245.797 -1,9 6.358.997 -2,6 1994 9.030.007 -2,3 6.208.188 -2,4 1995 8.599.394 -4,8 5.976.847 -3,7 1996 8.503.177 -1,1 5.881.350 -1,6 1997 8.143.897 -4,2 5.869.602 -0,2 1998 8.156.405 0,2 5.881.421 0,2 1999 8.204.477 0,6 5.913.514 0,5 2000 8.469.856 3,2 6.073.158 2,7 2001 8.310.582 -1,9 6.017.564 -0,9 2002 8.144.451 -2 5.830.523 -3,1 2003 8.062.838 -1 5.710.860 -2,1 2004 7.921.414 -1,8 5.617.620 -1,6 2005 7.831.730 -1,1 5.466.271 -2,7 2006 7.978.967 1,9 5.569.037 1,9 2007** 7.979.355 0,1 5.570.867 0,1 Fonte: Fieg su dati forniti dalle testate associate. * Percentuale di variazione rispetto all’anno precedente. **Stima previsionale 46 182 617 pubblicisti Sono le nuove iscrizioni all’Ordine dei giornalisti della Lombardia dal 1/1/2007 al 31/12/2007 quotidiani di provincia della Lombardia certificati Ads Testata Diffusione *Variazione L’Eco di Bergamo 55.795 -1,1 Il Giornale di Brescia 49.796 -0,3 La Provincia di Como (Lc-So-Va) 45.079 Gazzetta di Mantova 34.275 2,6 -1,9 La Provincia di Cremona 23.157 0,5 La Provincia Pavese 22.656 1 Fonte: Ads (Accertamento diffusione stampa) media mobile novembre 2006-ottobre 2007. *Variazione percentuale rispetto alla media mobile dei 12 mesi dell’anno precedente 8 miliardi 50 milioni È il totale degli investimeni pubblicitari netti nel periodo gennaio-novembre 2007 (+5,7% rispetto al periodo omogeneo dell’anno precedente) suddivisi tra: televisione: 4,2 miliardi (+0,7%) stampa: 2,8 miliardi (+3,1%) di cui 1,6 mld (+3,5%) sui quotidiani e 1,2 mld (+2,7%) sui periodici radio: 436,4 milioni (+7,8%) Internet: 248,9 milioni (+43,4) affissioni: 183,9 (+2%) cinema 53,3 milioni (-9,3%) Fonte: Nielsen Media Research Tabloid 1 / 2008
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