Ottobre 2001 - Ordine dei Giornalisti
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Ottobre 2001 - Ordine dei Giornalisti
Anno XXXII n. 8, settembre-ottobre 2001 Ordine Direzione e redazione Via Appiani, 2 - 20121 Milano Telefono: 02 63 61 171 Telefax: 02 65 54 307 dei Giornalisti della Lombardia http://www.odg.mi.it e-mail:[email protected] Spedizione in a.p. (45%) Comma 20 (lettera b) dell’art. 2 della legge n. 662/96 Filiale di Milano Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo Il regolamento relativo alla legge 150/2000 sulla comunicazione pubblica (dopo il sì del Consiglio di Stato) approvato dal Consiglio dei ministri Il giornalista entra nella Pa Esonerati Regioni ed Esteri di Franco Abruzzo La legge 150/2000, che disciplina le attività di informazione (con gli uffici stampa) e di comunicazione (con gli Urp) delle pubbliche amministrazioni, diventerà operativa appena il suo regolamento (approvato dal Consiglio dei ministri il 2 agosto) sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il regolamento, escludendo le Regioni, restringe l’area delle pubbliche amministrazioni alle quali si applica la legge 150: l’esclusione è un “omaggio” al principio dell’autogoverno derivante dalla potestà legislativa. L’articolo 3 del regolamento toglie dalla portata della legge 150 anche il ministero degli Esteri, che colloca nel suo ufficio stampa solo diplomatici di carriera. Al rapporto tra amministrazione e organi di informazione sarà incaricato, oltre all’ufficio stampa, anche il portavoce che, per la durata del suo incarico, non potrà esercitare attività professionale nei media. La stessa incompatibilità varrà per il personale degli uffici stampa, che dovrà essere iscritto nell’Albo dei giornalisti (professionisti e pubblicisti), il cui profilo professionale sarà definito attraverso una «speciale area di contrattazione». I giornalisti conseguono dunque il diritto di cittadinanza, in maniera ufficiale, negli uffici stampa della “Pa”. Si avanzano ipotesi mini- mali di 2.500-3mila nuovi posti di lavoro (200 solo in Sicilia). Il dipartimento della Funzione pubblica, invece, ha calcolato in circa 40mila i posti da coprire in tutta Italia tra uffici stampa e Urp. Si presenta, però, problematica l’applicazione dell’articolo 9 della legge 150/2000. La legge 150 non parla di concorsi - via costituzionalmente obbligatoria per l’accesso nell’apparato statale - per l’assegnazione dei posti eventualmente disponibili, ma specifica che «negli uffici stampa l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali sono affidate alla contrattazione collettiva nell’ambito di una speciale area di contrattazione, con l’intervento delle organizzazioni rappresentative della categoria dei giornalisti». Il comma 5, infine, aggiunge che dall’attuazione della legge «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». L’istituzione degli uffici stampa diventa così una scelta discrezionale. Il regolamento ha chiarito: 1 che degli uffici stampa potranno far parte soltanto giornalisti professionisti e pubblicisti; 2 che i giornalisti responsabili degli uffici stampa dovranno possedere un diploma di laurea, mentre i redattori dovranno possedere soltanto il requisito minimo dell’iscrizione nell’Albo dei giornalisti; 3 che il reclutamento dei giornalisti avverrà secondo l’articolo 7, comma 6 del decreto legislativo 29/93 (in sintesi, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa); 4 che il conferimento dell’incarico di responsabile dell’Urp e di capo ufficio stampa a soggetti estranei alla pubblica amministrazione è subordinato al possesso dei requisiti della laurea e dell’iscrizione nell’Albo dei giornalisti (per il capo dell’ufficio stampa); 5 che «le amministrazioni possono confermare l’attribuzione delle funzioni di comunicazione e di informazione al personale dei ruoli organici che già svolgono tali funzioni» anche se il personale è sfornito dei titoli specifici e del requisito professionale; 6 che le lauree previste sono quelle in Scienze della comunicazione, in Relazioni pubbliche e in materie assimilate, mentre i laureati in discipline diverse dovranno aver conseguito il titolo di specializzazione o di perfezionamento post laurea o altri titoli post universitari rilasciati in Scienze della comunicazione o in Relazioni pubbliche e in materie assimilate da istituti universitari pubblici e privati, ovvero dovranno aver conseguito master in Comunicazione presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione se di durata meno equivalente, presso il Formez, la Scuola superiore della pubblica amministrazione locale e altre scuole pubbliche nonché presso strutture private connotate da specifica esperienza e specializzazione nel settore; Alla selezione per il XIII biennio dell’Ifg hanno partecipato 227 neolaureati Milano, 18 luglio 2001. I quadri dirigenti dell’Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo, che gestisce l’Istituto “Carlo De Martino” (la prima scuola di giornalismo voluta dall’Ordine professionale e dalla Regione Lombardia), sono stati confermati all’unanimità per il triennio 2001-2004: alla presidenza Bruno Ambrosi; vicepresidenti Emilio Pozzi (vicario) e Gianluigi Falabrino; consigliere segretario Guido Re e tesoriere-economo Angelo Morandi. Guido Re sostituisce Marco Barbieri (oggi direttore del quotidiano .com). La riunione del Consiglio d’amministrazione dell’Afg si è svolto l’altra sera presieduta dal presidente dell’Ordine della Lombardia, Franco Abruzzo, che ha proposto la riconferma del gruppo dirigente. Il Comitato ristretto dell’Afg sarà composto da Ambrosi, Pozzi, Falabrino, Re, Morandi, Maurizio Vitali e Luca Del Gobbo (rappresentanti nel Consiglio della Regione Lombardia); Gigi Speroni (direttore dell’Ifg). La Scuola di giornalismo affronta ora il XIII biennio (20012003). Alla selezione, attualmente in corso (l’8 settembre si sono svolte le prove scritte, nella foto, presso il Politecnico ORDINE 8 2001 7 che le attività formative del personale in servizio (negli Urp e negli uffici stampa) dovranno essere portate a compimento dalle amministrazioni entro 24 mesi dall’entrata in vigore del regolamento. Sulle mansioni che negli uffici stampa saranno assegnate al personale iscritto all’Albo nazionale dei giornalisti si svolgerà la contrattazione in sede Aran. La contrattazione collettiva punta alla «individuazione e alla regolamentazione dei profili professionali». Va detto che, comunque, del Cnlg 20012005 fa parte la figura del collaboratore coordinato e continuativo. Questa novità fa da interfaccia all’articolo 7 (comma 6) del decreto 29/93, che prevede incarichi individuali a «esperti di provata competenza» (con contratto coordinato e continuativo). L’ordinamento giuridico offre, in alternativa, la possibilità di inquadrare i giornalisti con contratti a tempo indeterminato o determinato (i sindaci e i presidenti delle Province possono assumere i giornalisti, destinati agli uffici stampa, per la durata del loro mandato, in base all’articolo 51, comma 5, della legge 142/1990 sugli enti locali). Le amministrazioni pubbliche potrebbero peraltro assumere a tempo determinato (per un periodo da 2 a 7 anni rinnovabile) il portavoce e i coordinatori degli uffici stampa, avvalendosi dell’articolo 19, comma 2 del decreto 29/93. (da Il Sole 24 Ore dell’11 agosto 2001) SOMMARIO Cronaca e Giustizia Bruno Ambrosi confermato presidente della Scuola di Giornalismo di Milano pag. 2 Giurisprudenza pag. 3 Diritto d’autore pag. 3 Privacy pagg. 4-8 di Milano) partecipano 227 neolaureati su 302 candidati ammessi. Al termine della selezione, solo 40 frequenteranno il corso, che, dopo due anni, si concluderà con l’esame di Stato per acquisire il titolo di giornalista professionista. Presidente della Commissione è Piero Ostellino; vicepresidente vicario Emilio Pozzi (Il servizio alle pagine 22-23). La Scuola di giornalismo dell’Ordine di Milano e della Regione Lombardia nei 24 anni di vita ha creato 474 giornalisti: di questi, 24 sono direttori responsabili; 112 sono vicedirettori o capiredattori; 286 sono redattori ordinari e 9 sono responsabili di uffici stampa, mentre 43 svolgono la libera professione. Questi numeri dicono che le scelte fatte nel 1974/1977 dalla Regione Lombardia e dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia sono state accompagnate da un successo senza eguali e che le finalità (dare occupazione) della legge regionale 95/1980 sulla formazione sono state raggiunte. Si precisa che 21 (12 a tempo indeterminato e 9 a tempo determinato) dei 40 allievi del XII biennio sono stati già assunti prima che il corso si concluda nell’ottobre prossimo. DOSSIER DI OTTO PAGINE AL CENTRO DEL GIORNALE Riflessioni pagg. 10-13 Deontologia pag. 14 I nostri lutti pagg. 15- 21 Cultura pag. 24, 25 e 27 Professione in ultima Usa: manette sulla stampa (il caso Leggett) La pubblicità ingannevole è slealtà del giornalista Diritto d’autore e servizi di fotocopiatura Dati personali e globalizzazione: la relazione del Garante Fenomenologia del G8 a Genova Il giornalista che pubblica il nome del minore ferisce la dignità della professione Addio Montanelli, addio Carlo Bo La libreria di Tabloid Laurea in giornalismo ed esame di giornalista: decisivo il sì di Castelli 1 G I U R I S P R U D E N Z A Usa/Manette sulla stampa (il caso Vanessa Leggett) di Franco Abruzzo Vanessa Leggett. È il nome della giornalista free lance americana, che sta scontando 18 mesi di carcere per essersi rifiutata di consegnare i suoi taccuini a un giudice di Houston che indaga su un delitto avvenuto nel mondo vip del Texas. Vanessa Leggett ha intervistato un testimone eccellente del delitto prima che lo stesso ponesse fine alla sua vita ed ha poi deciso di scrivere un libro sull’assassinio di una signora, vittima probabilmente di un “complotto di famiglia”. Il supertestimone suicida, Roger Angleton, è il fratello di Robert Angleton, marito della donna. Un giudice ha ordinato a Vanessa Leggett di consegnare i suoi taccuini, perché ritiene che in quei taccuini ci sia la “verità sul crimine”. La giornalista free lance ha opposto un netto rifiuto all’ordine, invocando il primo emendamento alla Costituzione federale. Il giudice ha respinto il riferimento al primo emendamento, sostenendo per di più che il free lance “non è un giornalista”. La vicenda di Vanessa Leggett è diventato un caso nazionale dopo il commento del New York Times in cui si sostiene che “difendere i taccuini di Vanessa significa tutelare la libertà di stampa” ed anche il principio che “non può essere un giudice a stabilire che sia giornalista e chi no”. Il NYT teme che, dopo i free lance, la stessa sorte possa toccare ai giornalisti delle testate minori e poi “agli altri”. “Non contrastare questa impostazione significa accettare l’inizio della fine dell’autonomia dei giornalisti”. È certamente vero che il caso di Vanessa Laggett pone almeno tre problemi di natura politico-giuridica: il valore della libertà di stampa in un Paese - gli Usa - ritenuto baluardo di quel principio (non a caso il primo emendamento alla Costituzione afferma che “il Congresso non potrà fare alcuna legge per limitare la libertà di parola o di stampa”); il ruolo del giornalista (free lance o dipendente non importa) di cane da guardia della democrazia; il segreto professionale del giornalista negli Usa, in Europa e in Italia alla luce anche delle convenzioni internazionali firmate dagli Usa e dai Paesi del Vecchio Continente. Il quarto problema riguarda il potere del giudice di ordinare a un giornalista di tenere un certo comportamento. La presenza dei caratteri della subordinazione nel rapporto di lavoro giornalistico, quali la predeterminazione del contenuto delle prestazioni da parte del datore di lavoro, l’organizzazione da parte sua degli strumenti produttivi, il lavoro reso nei suoi locali e l’assenza di rischio economico del lavoratore, non perde il suo valore indicativo per il solo fatto che il lavoro venga reso soltanto per poche ore durante la giornata. Il rapporto di lavoro subordinato (anche giornalistico) può coesistere con altre attività di lavoro o di studio. Questo è in sintesi il contenuto della sentenza n. 9512/2001 della sezione lavoro della Corte di Cassazione. Con ricorso al Pretore di Treviso (27 luglio 1992), una dipendente di un’emittente radiotelevisiva, lamentava di aver lavorato con mansioni di giornalista dal 1984 al 1989 (a tempo parziale) e dal 1989 al 1990 (a tempo pieno). Il rapporto di lavoro era stato illegittimamente qualificato come lavoro autonomo. La ricorrente chiedeva, quindi, che l’emitten- 2 cittadini e che tale diritto influisce di fatto anche sulla trasparenza del processo decisionale”. Il Patto internazionale di New York sui diritti civili e politici (firmato il 19 dicembre 1966 e ratificato negli Usa e nei Paesi della Ue) all’articolo 19 afferma che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo e frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta”. L’esercizio di queste libertà può essere sottoposto a talune restrizioni che, però, devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubblica”. Negli Usa non c’è alcuna legge sulla professione giornalistica e sul segreto professionale dei giornalisti. Le decisioni del giudice del Texas sul caso Leggett sono, quindi, in contrasto con il Patto di New York, che obbliga gli Stati Uniti e che riconosce il diritto di Vanessa Leggett a “cercare, ricevere e diffondere informazioni di ogni genere... attraverso la stampa o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta” (anche un libro). Il Patto di New York vincola anche i Paesi della Ue. I Paesi della Ue, però, sono tenuti ad applicare anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ha un articolo 10 simile all’articolo 19 del Patto di New York. L’articolo 10 della Convenzione tutela espressamente le fonti dei giornalisti. Lo ha stabilito la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con il caso del giornalista inglese William Goodwin. Il Consiglio d’Europa ha emanato la raccomandazione n° R (2000) 7, adottata l’8 marzo 2000, sulla tutela delle fonti dei giornalisti (che in Italia sono garantiti dall’articolo 2 della legge n. 69/1963 sulla professione giornalistica; dall’articolo 13 della legge n. 675/1996 sulla privacy e dall’articolo 200 del Cpp). Diversi punti della raccomandazione hanno come retroterra l’articolo 10 della Convenzione e specifiche sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il Parlamento europeo, – in una risoluzione del 18 gennaio 1994 sulla segretezza delle fonti d’informazione dei giornalisti - ha dichiarato che “il diritto alla segretezza delle fonti di informazioni dei giornalisti contribuisce in modo significativo a una migliore e più completa informazione dei Per quanto riguarda l’Italia, un giudice (mai un Pm) può ordinare a un giornalista professionista, in base all’articolo 200 del Cpp, di “indicare la fonte delle sue informazioni se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia”. I giornalisti sono soliti opporre il segreto professionale, quando i giudici decidono di avvalersi dell’articolo 200. Negli ultimi tempi è prevalso l’orientamento secondo il quale il giudice “potrebbe ordinare al giornalista di indicare la sua fonte, purché sia l’unico strumento investigativo a disposizione”. I giudici appaiono restii a uniformarsi alle sentenze di Strasburgo, che pur sono vincolanti per le autorità italiane (tribunali compresi). Va detto anche che gli articoli della Convenzione operano e incidono unitamente alle interpretazioni che la Corte di Strasburgo ne dà attraverso le sentenze. Le sentenze formano quel diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul modello della giustizia inglese. Non a caso il Consiglio d’Europa, nella raccomandazione R(2000)7 sulla tutela delle fonti dei giornalisti, ha scritto testualmente: “L’articolo 10 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, s’impone a tutti gli Stati contraenti”. Particolarmente interessante è, come riferito, la sentenza nota come il caso “Goodwin”. William Goodwin, giornalista inglese, ricevette da una fonte fidata ed attendibile, alcune informazioni su una società di programmi elettronici (la Tetra Ltd). In particolare il giornalista rivelò che tale società aveva contratto numerosi debiti e vertiginose perdite. La società Tetra per evitare i danni che sarebbero potuti derivarle dalla divulgazione di tali notizie presentò all’alta Corte di Giustizia inglese un ricorso con il quale non solo chiedeva che fosse vietata la pubblicazione dell’articolo in questione, ma chiedeva altresì che il giornalista fosse condannato a rivelare la fonte delle informazioni ricevute al fine di evitare nuove “fughe di notizie”. Le richiesta della Tetra furono accolte sia dall’alta Corte che dalla corte d’Appello, secondo le quali il diritto alla protezione delle fonti gior- La subordinazione compatibile con altra attività lavorativa (e con gli impegni di studio) di Umberto Accomanno te radiotelevisiva fosse condannata a pagare le differenze retributive. La vicenda , dopo i due rituali gradi di giudizio, “approda” avanti la Corte di Cassazione . Secondo la giurisprudenza costante della Corte, il lavoro subordinato alle dipendenze di un’impresa si concretizza anzitutto per l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva e per il conseguente assoggettamento al potere gerarchico dell’imprenditore che assume il rischio economico della gestione ed organizza il lavoro altrui, tra l’altro attraverso la fissazione di un orario di lavoro. Al potere gerarchico è strettamente collegato quello disciplinare. In particolare, il potere di organizzare l’azienda si esplica attraverso la fissazione del contenuto e delle modalità delle prestazioni rese dai lavoratori e nel controllo continuo sulla loro esecuzione. Per tali motivi il rapporto di lavoro subordinato viene di regola eseguito nei locali del datore Una giornalista free-lance di Houston intervista un testimone eccellente di un delitto avvenuto nel mondo Vip del Texas. Il testimone poco dopo si suicida. Un giudice ordina a Vanessa Leggett di consegnare i suoi taccuini. La giornalista invoca il primo emendamento della Costituzione federale nalistiche ben può essere limitato “nell’interesse della giustizia, della sicurezza nazionale nonché a fini di prevenzione di disordini o di delitti”. Il giornalista, tuttavia, non eseguì l’ordine di divulgazione della fonte – posto che in tale modo la stessa si sarebbe “bruciata” – e presentò ricorso alla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, denunciando la violazione dell’articolo 10 della Convenzione. La Corte di Strasburgo, con sentenza in data 27 marzo 1996, muovendo dal principio che ad ogni giornalista deve essere riconosciuto il diritto di ricercare le notizie, ha ritenuto che di tale diritto fosse logico e conseguente corollario anche il diritto alla protezione delle fonti giornalistiche, fondando tale assunto sul presupposto che l’assenza di tale protezione potrebbe dissuadere le fonti non ufficiali dal fornire notizie importanti al giornalista, con la conseguenza che questi correrebbe il rischio di rimanere del tutto ignaro di informazioni che potrebbero rivestire un interesse generale per la collettività. Concludendo, la vicenda Leggett pone a confronto anche i sistemi giuridici dei Paesi anglosassoni e dei Paesi romanistici. I primi fondano le loro decisioni sui precedenti giurisprudenziali, mentre i secondi affidano ai giudici il compito di prendere decisioni sulla base di Codici e di norme scritte. In Italia solo i Consigli dell’Ordine possono dire chi è giornalista e chi no sulla base dell’iscrizione nell’Albo. Il segreto professionale appare meglio tutelato in Italia rispetto agli Usa anche attraverso le sentenze della Corte di Strasburgo, che può correggere eventuali storture nazionali. William Goodwin ha ottenuto dalla Corte di Strasburgo un risarcimento di 128 milioni di lire, che il Governo di Sua Maestà ha dovuto sborsare. In Italia sarebbero stati chiamati i giudici, autori della sentenza, a risarcire lo Stato. L’affermazione che “il Congresso non potrà fare alcuna legge per limitare la libertà di parola o di stampa” è solenne ed austera, ma è anche rischiosa se poi un giudice, in assenza di norme specifiche scritte, è libero di affermare ciò che vuole e di sbattere una persona, che non si “adegua”, per 18 mesi in galera. Il caso Leggett deve far riflettere anche in casa nostra. *(.com del 22 agosto 2001) di lavoro e non comporta alcun rischio economico per il lavoratore . Quando i sopra indicati elementi distintivi sono presenti non importa che l’orario di lavoro reso durante la giornata sia molto limitato, ben potendo il rapporto alle dipendenze di un datore di lavoro coesistere con altro rapporto intercorrente con altra persona. Insomma, la disponibilità del giornalista subordinato non implica necessariamente l’esclusività del vincolo, posto che nessun principio normativo osta alla conduzione simultanea di più rapporti di lavoro, sia subordinato, sia autonomo. Anche nel lavoro giornalistico è configurabile un rapporto di lavoro subordinato che non richieda un impiego totale delle energie e delle capacità lavorative, ma viceversa sia circoscritto a segmenti temporali limitati e compatibili con lo svolgimento di altre attività (studio, altro rapporto di lavoro subordinato). “I caratteri della subordinazione valgono anche se l’attività viene resa per poche ore”. ORDINE 8 2001 hanno avviato un confronto sul nodo delle rassegne stampa. La Siae, la Federazione nazionale della stampa italiana e la Federazione italiana degli editori di giornali (rappresentate rispettivamente dal commissario straordinario della Siae, Mauro Masi, dal segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, e dal direttore generale della Fieg, Sebastiano Sortino) si sono incontrate allo scopo di definire un accordo che dia mandato alla Siae di tutelare il diritto d’autore per la riproduzione degli articoli nelle rassegne stam- pa giornalistiche. Tutto ciò trova fondamento nella normativa vigente, in particolare nella legge sul diritto d’autore del 1941 e successive modificazioni. L’incontro si è concluso dando mandato alla Siae di presentare una bozza di convenzione, che dovrà essere esaminata dalle parti. Sarà, dunque, la Siae a elaborare questo progetto, tenendo conto di quanto già avviene nella maggior parte dei Paesi europei, dove la tutela degli articoli riprodotti nelle rassegne stampa è già attuata da tempo. ROMA, 23 aprile 2001. La Siae e l’Aie (Associazione italiana editori) hanno firmato con Confcommercio l’accordo che estende agli esercizi commerciali - anche a quelli non specializzati nella realizzazione di fotocopie la possibilità di effettuare il servizio di fotocopiatura dei testi nel pieno rispetto del diritto d’autore. L’accordo, che segue quello raggiunto recentemente tra Siae e Aie da un lato e le associazioni dei centri di fotocopiatura (Confartigianato e Cna) dall’altro, rientra nella sfera di applicazione della legge 248/2000, che ha introdotto un compenso per autori ed editori delle opere a stampa fotocopiate, e si pone in linea con quanto già avviene da tempo negli altri Paesi europei. «Il fenomeno delle fotocopie selvagge - si legge in un comunicato - ha prodotto nel nostro Paese effetti negativi per l’intera filiera editoriale». Secondo l’Associazione italiana editori, solo nell’anno scorso gli editori hanno subito danni per oltre 570 miliardi, gli autori per 30, le librerie per 190 e i distributori per 100 miliardi di lire. Intanto, il 19 aprile scorso, Siae, Fieg e Fnsi Nel mirino le rassegne stampa Accordo sul diritto d’autore per i servizi di fotocopiatura La legge sul diritto d’autore, giornali e giornalisti L’art. 38 della legge 633/1941 inquadra l’utilizzazione economica delle opere collettive (giornali e riviste): “Nell’opera collettiva, salvo patto in contrario, il diritto di utilizzazione economica spetta all’editore dell’opera stessa, senza pregiudizio del diritto derivante dall’applicazione dell’art. 7 (“È considerato autore dell’opera collettiva chi organizza e dirige la creazione dell’opera stessa”). Ai singoli collaboratori dell’opera collettiva è riservato il diritto di utilizzare la propria opera separatamente, con l’osservanza dei patti convenuti, e in difetto, delle norme seguenti”. L’utilizzazione libera degli articoli e dei discorsi L’art. 65 della legge n. 633/1941 dice: “Gli articoli di attualità, di carattere economico, politico, religioso, pubblicati nelle riviste o giornali, possono essere liberamente riprodotti in altre riviste o giornali anche radiofonici, se la riproduzione non è stata espressamente riservata, purché si indichino la rivista o il giornale da cui sono tratti, la data e il numero di detta rivista o giornale e il nome dell’autore, se l’articolo è firmato”. L’art. 66 afferma: “I discorsi sopra argomenti di interesse politico od amministrativo, tenuti in pubbliche assemblee o comunque in pubblico, possono essere liberamente riprodotti nelle riviste o giornali anche radiofonici, purché si indichino la fonte, il nome dell’autore e la data e il luogo in cui il discorso fu tenuto”. Confermata la sanzione disciplinare inflitta dall’Ordine della Lombardia a una collaboratrice di “Oggi” Milano, 17 settembre. Chi pubblica articoli, che nella sostanza sono pubblicità ingannevole, tiene un comportamento che “viola quel principio di lealtà nell’informazione cui (ex artt. 2 e 48 della legge professionale n. 69/1963) devono essere improntati i comportamenti del giornalista”. Con questa secca motivazione la quinta sezione del Tribunale civile di Milano ha confermato la decisione del Consiglio nazionale che ha inflitto la sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto alla giornalista professionista Caterina Vezzani, collaboratrice di Oggi. La stessa ha pubblicato sul numero dell’11 ottobre 1995 di Oggi l’articolo “E lavarsi i denti è un gioco” nel quale la giornalista “non si limita a dare consigli per una più corretta igiene orale dei bambini, eventualmente segnalando ai lettori le novità presenti sul mercato dando così un corretto carattere divulgativo all’articolo, ma reclamizza in modo indiretto i prodotti della linea Mentadent. L’articolo è stato corredato da una foto che mette in evidenza in primo piano il dentifricio Mentadent e sullo sfondo tre spazzolini da denti a forma di ometti che stanno in piedi ed un ulteriore tubo di dentifricio, il tutto sempre della Mentadent, pure in posizione verticale”. La decisione del Consiglio nazionale a sua volta aveva confermato quella del Consiglio dell’Ordine della Lombardia. La sentenza (n. 8010/2001) è stata adottata dal tribunale integrato da due giornalisti come giudici ORDINE 8 2001 Fotocopie (art. 68 legge 833/1941) I diritti d’autore dovranno essere pagati anche per le fotocopie. E non si potranno più riprodurre interi volumi o fascicoli di periodici, ma solo parti: fino al 15 per cento, esclusa la pubblicità. Le biblioteche pubbliche pagheranno i diritti d’autore in modo forfettario. Invece i “copy center”, anche quelli che mettono a disposizione gratuitamente le fotocopiatrici all’interno di librerie, biblioteche, centri studi o altro, dovranno pagare i diritti con un esborso che non può essere inferiore per ciascuna pagina copiata al prezzo medio per pagina, salvo accordi diversi con la stessa Siae. Niente royalties invece per le rassegne stampa (definite un “prodotto effimero”). L’articolo 68 della legge 633/1941 stabilisce: È libera la riproduzione di singole opere o brani di opere per uso personale dei lettori, fatta a mano con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell’opera nel pubblico. È libera la fotocopia da opere esistenti nelle biblioteche, fatta per i servizi della biblioteca o, nei limiti e con le modalità di cui ai commi quarto e quinto, per uso personale (13/e). È vietato lo spaccio di dette copie nel pubblico e, in genere ogni utilizzazione di concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore (3/cost). È consentita, conformemente alla convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 20 giugno 1978, n. 399, nei limiti del quindici per cento di ciascun volume o fascicolo di periodico, escluse le pagine di pubblicità, la riproduzione per uso personale di opere dell’ingegno effettuata mediante fotocopia, xerocopia o sistema analogo. I responsabili dei punti o centri di riproduzione, i quali utilizzino nel proprio ambito o mettano a disposizione di terzi, anche gratuitamente, apparecchi per fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione, devono corri- spondere un compenso agli autori ed agli editori delle opere dell’ingegno pubblicate per le stampe che mediante tali apparecchi vengono riprodotte per gli usi previsti nel primo periodo del presente comma. La misura di detto compenso e le modalità per la riscossione e la ripartizione sono determinate secondo i criteri posti all’articolo 181-ter della presente legge. Salvo diverso accordo tra la Siae e le associazioni delle categorie interessate, tale compenso non può essere inferiore per ciascuna pagina riprodotta al prezzo medio a pagina rilevato annualmente dall’Istat per i libri. Gli articoli 1 e 2 della legge 22 maggio 1993, n. 159, sono abrogati (13/f). Le riproduzioni delle opere esistenti nelle biblioteche pubbliche, fatte all’interno delle stesse con i mezzi di cui al quarto comma, possono essere effettuate liberamente, nei limiti stabiliti dal medesimo comma, salvo che si tratti di opera rara fuori dai cataloghi editoriali, con corresponsione di un compenso in forma forfettaria a favore degli aventi diritto, di cui al comma 2 dell’articolo 181-ter, determinato ai sensi del secondo periodo del comma 1 del medesimo articolo 181-ter. Tale compenso è versato direttamente ogni anno dalle biblioteche, nei limiti degli introiti riscossi per il servizio, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato o degli enti dai quali le biblioteche dipendono (13/g). (13/e) Comma così sostituito dall’art. 2, L. 18 agosto 2000, n. 248. (3/cost) La Corte costituzionale, con sentenza 23 marzo-6 aprile 1994, n. 108 (Gazz. Uff. 12 aprile 1995, n. 15, serie speciale), ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 19, 61, 68 e 109, sollevata in riferimento agli artt. 3, 9, 41 e 42 della Costituzione. (13/f) Comma aggiunto dall’art. 2, L. 18 agosto 2000, n. 248. (13/g) Comma aggiunto dall’art. 2, L. 18 agosto 2000, n. 248. (14/a) Comma aggiunto dall’art. 3, L. 18 agosto 2000, n. 248. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza (articolo 70 della legge 633/1941) Dice l’articolo 70 della legge 633/1941: “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera, per scopi di critica, di discussione ed anche di insegnamento, sono liberi nei limiti giustificati da tali finalità e purché non costituiscano concorrenza alla utilizzazione economica dell’opera. Nelle antologie ad uso scolastico la riproduzione non può superare la misura determinata dal regolamento il quale fisserà la modalità per la determinazione dell’equo compenso. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta”. Vietato agire senza consenso quando l’utilizzazione dell’opera non è a scopo di critica, discussione o insegnamento. “L’utilizzazione di parti o brani di opera altrui in un libro che si autodefinisce dedicato ad un artista scomparso è illecita e costituisce violazione del diritto di autore se manca il consenso del titolare del diritto e se la finalità dell’utilizzazione non rientra tra le ipotesi di cui all’art. 70 della legge sul diritto di autore (e, cioè, utilizzazione a scopo di critica, discussione o insegnamento). L’erede dell’autore può agire a difesa dei diritti patrimoniali d’autore e di quelli relativi allo sfruttamento economico dell’immagine” (Trib. Napoli, 18 aprile 1997; Parti in causa Troisi c. Soc. Emme Grafica ind. ed.). Tribunale di Milano: la pubblicità ingannevole è slealtà del giornalista aggregati (Giulio Bianchi presidente; Roberto Portile e Maria Teresa Brena, giudici; Renzo Magosso e Stefano Donarini, giornalisti giudici aggregati). Il Pm, Ada Rizzi, ha chiesto la conferma della sanzione. Il Consiglio della Lombardia è stato difeso dall’avvocato Remo Danovi; il Consiglio nazionale dagli avvocati Antonio Pandiscia e Cesare Lombrassa. Questi i passaggi centrali della sentenza: MOTIVI DELLA DECISIONE A seguito della sentenza della Corte d’Appello di Milano pronunciata in data 20.10.’00 con la quale veniva dichiarata la nullità della sentenza. n. 4031 resa dal Tribunale di Milano in data 23.3.00 per carenza del contradditorio, in quanto nel giudizio di primo grado non avevano partecipato pur essendo litisconsorti necessari il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti che ha adottato la decisione che qui si impugna ed il Consiglio Regionale per la Lombardia, e veniva contestualmente disposta la rimessione della causa al giudice di primo grado, le parti hanno proceduto alla riassunzione nei termini di cui agli artt. 353 e 354 Cpc e si sono reciprocamente costituite nei due giudizi riassunti e poi riuniti, pertanto di nessun pregio sono le osservazioni proposte dalla difesa della Vezzani in ordine alla carenza di legittimazione del Consiglio Regionale dell’Ordine poiché ex art. 156 Cpc terzo comma non può essere mai pronunciata la nullità se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Venendo ora nel merito della decisione e cioè se debba o meno essere confermata la delibera del Consiglio nazionale dell’Ordine che respingendo il ricorso proposto dalla giornalista Caterina Vezzani ha confermato il provvedimento disciplinare dell’avvertimento scritto inflittole dal Consiglio Regionale, questo Collegio ritiene di dover ribadire la decisione già presa in primo grado e annullata per motivi meramente processuali, peraltro confermata invece nei confronti del direttore del giornale Paolo Occhipinti dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano emessa in data 20.09.00 n. 24737/00. Infatti non vi è dubbio che l’articolo redatto dalla Vezzani “E lavarsi i denti è un gioco” integri gli estremi della cosiddetta pubblicità ingannevole ai sensi degli arti. 1, comma 2.2, lettera b), ed in violazione dell’art. 4 comma 1 del Decreto Legislativo 25 gennaio 1992 n. 74 poiché in detto articolo la giornalista non si limita a dare consigli per una più corretta igiene orale dei bambini, eventualmente segnalando ai lettori le novità presenti sul mercato dando così un corretto carattere divulgativo all’articolo, ma reclamizza in modo indiretto i prodotti della linea Mentadent laddove scrive: .. “poi un bel giorno, regalategli il SUO spazzolino, e il SUO dentifricio per esempio della linea Mentadent denti in Crescita studiata per i più piccoli..”. Detto articolo è stato altresì corredato da un foto che mette in evidenza in primo piano il dentifricio Mentadent e sullo sfondo tre spazzolini da denti a forma di ometti che stanno in piedi ed un ulteriore tubo di dentifricio - il tutto sempre della Mentadent-pure in posizione verticale. Con l’articolo in questione dunque si reclamizzano i prodotti della linea Mentadent per bambini, con un aspetto informativo, ingannando il lettore sulla reale portata promozionale del testo che è inserito nell’ambito di una pagina dedicata alla “bellezza”, e graficamente circoscritto da un bordo a pallini che non può essere considerato idoneo ad attribuire natura pubblicitaria a detto inserto, poiché la suddetta connotazione grafica viene utilizzata nella stessa pagina anche per un altro articolo “C’è anche il dentifricio alla propoli”. Tale comportamento viola quel principio di lealtà nell’informazione cui ex artt. 2 e 48 legge n. 69/1963 devono essere improntati i comportamenti del giornalista, va quindi confermata la decisione del Consiglio Nazionale che inflitto la sanzione disciplinare dell’avvertimento scritto. P. Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciando rigetta il ricorso proposto dalla giornalista Caterina Vezzani, accoglie viceversa il ricorso proposto dal Consiglio rgionale dei giornalisti della Lombardia e per l’effetto conferma la decisione del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti emessa in data 3.11.99. 3 P R I V A C Y Pubblichiamo il discorso di presentazione della relazione 2000 pronunciato a Roma il 17 luglio scorso dal Garante Stefano Rodotà La protezione dei dati personali nell’era della globalizzazione La relazione di quest’anno coglie il Garante per la protezione dei dati di Stefano personali in un momento singolare e stimolante, sia per quanto riguarda Rodotà la sua vita interna, sia per quel che si riferisce al complessivo contesto culturale e istituzionale in cui dobbiamo muoverci. Si è concluso, infatti, il primo quadrienno della nostra attività, e questa scadenza istituzionale è stata accompagnata da un parziale rinnovamento del collegio. I componenti del passato Collegio, Giuseppe Santaniello ed io stesso, sono oggi affiancati da Mauro Paissan e Gaetano Rasi, con i quali l’intesa è stata immediata ed il cui contributo già incide su materie di particolare rilevanza, come il commercio elettronico e il sistema dei media. Hanno lasciato il Collegio Ugo De Siervo e Claudio Manganelli, con i quali abbiamo condiviso la fase difficile della costruzione di questa nuova istituzione, ed ai quali va un particolarissimo ed affettuoso ringraziamento. Collocati sul crinale tra passato e futuro, dobbiamo qui proporre elementi di bilancio e cimentarci con ipotesi di programmi a più lunga scadenza. Riferiamo sul già fatto, e spingiamo lo sguardo verso il molto che dovremo fare. In tempi di globalizzazione, proprio la questione dei dati personali è stata tra le primissime a scavalcare ogni frontiera, a liberarsi dalle costrizioni del tempo e del luogo attraverso le molteplici opportunità offerte da Internet. Parlando oggi di privacy, frequentiamo una dimensione dove s’intrecciano valori fondativi della persona, precondizioni della democrazia, modalità diverse dell’azione economica. L’Europa e i diritti dei cittadini Intanto, però, il quadro dei principi di riferimento si è rafforzato e consolidato. Questo è avvenuto alla fine dell’anno scorso, quando a Nizza è stata proclamata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che riconosce la tutela dei dati personali come un diritto fondamentale della persona, con una sua specificità ed autonomia, e non soltanto come un aspetto, magari implicito, di una più generale tutela della vita privata. Ai dati personali, infatti, la Carta dedica l’intero articolo 8, anche con un esplicito riferimento alla necessità di una autorità indipendente di controllo, che così si configura come un ineliminabile diritto del cittadino, come un elemento costitutivo del sistema delle garanzie. Giunge così a compimento un modello europeo che - attraverso convenzioni, direttive, legislazioni nazionali - è progressivamente andato oltre un’idea di privacy come puro scudo protettivo contro invasioni esterne. Parliamo ormai di un diritto all’autodeterminazione informativa, del potere di governare il flusso delle proprie informazioni come parte integrante di quella “costituzionalizzazione” della persona che rappresenta uno degli aspetti più significativi delle attuali dinamiche istituzionali. Non intendo qui discutere la portata della Carta dei diritti fondamentali, alla quale non è stato ancora attribuito formal- mente un valore giuridico vincolante, ma che tuttavia già costituisce punto di riferimento per l’azione di corpi politici e amministrativi, di giudici nazionali e sovranazionali. È certo, comunque, che quella Carta ha rinnovato il sistema dei valori fondativi dell’Europa, e che in questo sistema la protezione dei dati occupa ormai una posizione di rilievo. Viene così riaffermata e dilatata la legittimazione delle autorità nazionali di garanzia, si fa più stringente il loro dovere di assicurare una tutela rigorosa ai diritti dei cittadini. I governi e i parlamenti, che a quella Carta hanno dato il loro consenso, devono coerentemente rispettarne i principi e operare bilanciamenti tra gli interessi che non sacrifichino le garanzie della sfera privata. Così facendo l’Europa è forse prigioniera di una illusione? La considerazione della protezione dei dati personali come un diritto fondamentale può sembrare lontanissima da una realtà che il presidente di una grande società americana così brutalmente descrive: “La vostra privacy è zero. Rassegnatevi”. È davvero questo il destino che ci riserva l’incessante innovazione tecnologica, o in affermazioni come questa si riflettono piuttosto le pretese di alcuni settori del mondo imprenditoriale, e i caratteri che differenziano il modello europeo da quello degli Stati Uniti? Un confronto con gli Stati Uniti Proprio l’analisi delle dinamiche reali ci impone di non cedere alle semplificazioni. Esaminerò più avanti gli atteggiamenti che emergono tra le imprese. Intanto, però, è necessaria un’attenzione attiva per quel che sta accadendo negli Stati Uniti. Probabilmente è eccessivo l’ottimismo di chi parla della legislatura appena cominciata come di un “privacy Congress”. È certo, tuttavia, che cresce la pressione per una tutela della privacy non affidata soltanto all’autoregolamentazione ed alle logiche del mercato. Trenta proposte di legge sono già state presentate al Congresso e, tra queste, alcune prevedono l’istituzione di una autorità sul modello europeo; negli stati, il numero delle proposte, nel 2001, è arrivato addirittura a 6918. Lo stesso Presidente Bush ha chiesto una normativa che impedisca l’uso dei dati genetici a fini discriminatori, in particolare ad opera di datori di lavoro e assicuratori, secondo una linea già adottata da un decre- 4 to di Clinton del febbraio dell’anno scorso, che vietava appunto il ricorso ai dati genetici per la valutazione dei dipendenti federali. A queste dinamiche non è estranea l’influenza del modello europeo che, subordinando il trasferimento dei dati personali fuori dall’Unione europea all’esistenza di una protezione adeguata nei paesi di destinazione, comincia ad obbligare le imprese americane a rispettare regole più severe di quelle interne ed offre un punto di riferimento a quanti, negli Stati Uniti, chiedono appunto livelli più elevati di protezione. Tutto questo non avviene senza contrasti e resistenze. L’accusa di violare la sovranità degli Stati Uniti con la pretesa di imporre regole europee, proposta in modo particolarmente tagliente in occasione di un recentissimo intervento della Commissione in tema di concentrazioni, era già stata ripetutamente formulata proprio in relazione alle norme sulla circolazione transnazionale delle informazioni personali. La Dichiarazione di Venezia e l’iniziativa italiana Ho insistito sulle questioni internazionali per una ragione generale e per segnalare subito un problema concreto, che impegnerà dall’inizio dell’autunno tutta quella parte del sistema imprenditoriale che trasferisce dati personali fuori dell’Unione europea. Il Garante italiano è certamente quello che, in Europa, ha maggior consapevolezza della dimensione davvero globale della circolazione delle informazioni, e di ciò abbiamo avuto un palese riconoscimento con la mia elezione quale presidente del Gruppo dei Garanti europei. Organizzando l’anno scorso a Venezia la ventiduesima Conferenza mondiale sulla protezione dei dati personali, avevamo scelto come tema “Un mondo, una privacy” ed avevamo risolutamente operato perché la conferenza si concludesse con una dichiarazione volta ad indicare una via verso regole condivise. La Dichiarazione di Venezia, sottoscritta dai rappresentanti delle autorità di tutto il mondo, ribadisce che la privacy è “un diritto fondamentale della persona” e “un elemento essenziale della libertà dei cittadini”; indica i principi comuni ai quali già ci si ispira nei più diversi paesi; impegna ad operare per garantire a tutti elevati e analoghi livelli di protezione. Segnaliamo questa esperienza a Governo e Parlamento perché, se lo riterranno opportuno, mantengano viva l’iniziativa italiana e si facciano promotori di azioni internazionali che con strumenti diversi e coordinati tra loro - convenzioni, codici di condotta, standard tecnici - costruiscano una rete sempre più larga di riferimenti comuni. Non sarebbe una iniziativa eccessivamente ambiziosa, coglierebbe lo spirito del tempo, sarebbe un buon esempio di quella che ho chiamato “attenzione attiva” per i nuovi problemi e le nuove prospettive di tutela. Il modello europeo di protezione dei dati personali, infatti, ha ormai superato i confini dell’Unione e ispira la legislazione dei paesi più diversi (dal sistema di Hong Kong alle leggi dei paesi dell’Europa centrale e orientale, a quelle recentissime di Cile e Argentina). Una iniziativa italiana rafforzerebbe questa tendenza e favorirebbe cosi la diffusione di principi comuni. Le informazioni fuori dall’Unione europea: no ai paradisi dei dati Proprio la crescente legittimazione internazionale di questo modello conferma la giustezza della scelta del legislatore europeo e di quello italiano di consentire il trasferimento dei dati personali solo in paesi che offrano una protezione adeguata, così evitando la pericolosa nascita di “paradisi dei dati”, assai più agevoli da costruire degli stessi paradisi fiscali. Finora la circolazione internazionale dei dati non è stata sostanzialmente intralciata, per consentire alle imprese di adeguare le prassi alle nuove regole; per cominciare ad identificare i paesi che, fuori dell’Unione europea, già offrono livelli adeguati di protezione; e, soprattutto, per risolvere i difficili problemi dei trasferimenti verso il più grande “mercato” delle informazioni, gli Stati Uniti. Disponiamo ora degli strumenti necessari, e il periodo di “grazia” è terminato, ovunque in Europa. Il Garante indicherà al più tardi a settembre i criteri che dovranno essere seguiti da tutti i soggetti che, localizzati in Italia, trasferiscono o intendono trasferire dati personali fuori dell’Unione europea. Ma è opportuno che fin d’ora tutti prendano buona nota di questa scadenza e facciano le loro scelte: assai semplici se il trasferimento riguarda paesi la cui legislazione va considerata adeguata dall’Unione europea (Canada, Svizzera, Ungheria, Slovenia, Hong Kong) o se si tratta di imprese statunitensi che hanno aderito all’accordo chiamato “Safe Harbor”, “Porto sicuro”; scelte che saranno appena più complesse, se si ricorrerà alle clausole contrattuali uniformi già approvate dalla Commissione europea sulla base del lavoro dei garanti europei; e che diverranno più impegnative se si deciderà di ricorrere per casi speciali alla procedura prevista dall’art. 28 della legge 675, dal momento che si dovrà chiedere per questi una specifica autorizzazione del Garante. Un’opportunità, un valore aggiunto Non vorrei che, a questo punto, venisse riproposto lo schema ingannevole che contrappone alla fluidità dei commerci la rigidità della disciplina dei dati personali. Questa è una tesi insostenibile in via di principio perché, con uno scatto d’insofferenza, non si può semplicisticamente considerare come un intralcio alla competitività quello che, invece, è un ineludibile diritto fondamentale. Ma, soprattutto, insistere su quella contrapposizione rivela arretratezza, incapacità di guardare alle dinamiche più avanzate dello stesso mondo imprenditoriale. Nella Relazione dello scorso anno mettevamo in luce la dipendenza dello sviluppo del commercio elettronico da politiche imprenditoriali capaci di rispondere alle preoccupazioni della quasi totalità dei consumatori, poco propensi ad entrare nel mercato elettronico senza adeguate garanzie per la riservatezza e la sicurezza dei loro dati. Avevamo visto giusto. Nel corso del 2000 il commercio elettronico ha perduto negli Stati Uniti dodici milioni di clienti; pochi giorni fa una inchiesta Gallup ha confermato le preoccupazioni dei consumatori; e già si manifestano o si annunciano politiche imprenditoriali che segnano una radicale modifica degli atteggiamenti verso la protezione dei dati personali. Grandi imprese, in Europa e in America, dichiarano la loro volontà di abbandonare le pratiche di spamming (invio indiscriminato di messaggi pubblicitari), di preferire l’opt in (consenso preventivo) all’opt out (richiesta di cancellazione dalle liste). Fuori dai gerghi, questo vuol dire che tali imprese adottano in pieno la logica (già norma in Italia e altrove) del preventivo consenso dell’interessato al trattamento dei suoi dati personali. La ragione è squisitamente economica: l’invio di messaggi indesiderati può provocare reazioni di rigetto nei confronti del mittente molesto, l’insicurezza sulle modalità di raccolta e ORDINE 8 2001 Garante della privacy: pubblici i nomi degli iscritti negli Albi, ma spetta agli Ordini stabilire le modalità di comunicazione Sono pubblici i nomi dei medici chirurghi iscritti negli Albi, ma spetta a ciascun Ordine provinciale stabilire le modalità di comunicazione a chi ne fa richiesta. È quanto ha ribadito il Garante nella risposta ad un quesito rivolto da un cittadino. Sulla questione l’Autorità era già intervenuta chiarendo che la legge sulla privacy non ha modificato la disciplina legislativa relativa al regime di pubblicità degli Albi e non pone, dunque, alcun ostacolo alla diffusione dei dati personali contenuti negli Albi, purché limitata alle informazioni che devono esservi inserite per legge. L’Autorità ha ricordato che le norme vigenti prevedono che l’Albo di ciascun Ordine dei medici chirurghi sia stampato e pubblicato entro il mese di febbraio di ogni anno, con contestuale trasmissione di una copia ad alcune amministrazioni pubbliche anche allo scopo di una sua affissione nelle prefetture. Tali norme collocano questi Albi tra i documenti pubblici conoscibili da chiunque, consentendo agli Ordini di comunicare e diffondere a privati ed enti pubblici economici i dati personali contenuti negli Albi. di utilizzazione dei dati su Internet allontana dai siti sospetti. Tutto questo contrasta con strategie volte a conquistare la fiducia dei consumatori. In questa prospettiva, la privacy si presenta come un valore aggiunto, addirittura come un efficace strumento di concorrenza tra imprese. I prepotenti della “Zero privacy” cominciano ad essere abbandonati all’interno del loro stesso mondo. to la loro copertura a soggetti poi rivelatisi a dir poco disinvolti nel trattare dati personali. Si pone così il problema dell’affidabilità dei certificatori, delle loro responsabilità, anche patrimoniali, nei confronti del pubblico. Allo stesso modo, la mancata richiesta d’essere inseriti in una “lista Robinson” non può mai essere considerata come un consenso indiretto o presunto a ricevere pubblicità. Si profila così la possibilità di un’alleanza “virtuosa” tra difensori della privacy e settori avanzati del mondo imprenditoriale, con opportunità crescenti anche per i gruppi che operano nell’interesse dei consumatori. Anche in Italia, infatti, cominciano a svilupparsi iniziative tendenti ad offrire alle imprese una “certificazione di qualità” delle loro politiche di privacy, ad offrire ai cittadini la possibilità di essere inseriti in “liste Robinson”, costituite dai nomi delle persone che dichiarano preventivamente di non voler ricevere comunicazioni pubblicitarie. Da parte nostra stiamo completando l’analisi delle politiche dei siti italiani, non fermandoci alla superficie, che può rivelarsi ingannevole, delle modalità di raccolta dei consensi. Si fanno sempre più sottili e sofisticate le forme di trattamento “invisibile” delle informazioni, che sono comunque illegali, come ha ribadito in una sua Raccomandazione il Gruppo dei Garanti europei. Su questo interverremo con modalità concordate con le autorità degli altri paesi, sollecitando anche l’adozione di più puntuali regole deontologiche, sostenendo l’azione di quanti insistono per l’introduzione di più adeguati standard tecnici (l’industria del sofware ha mostrato attenzione per alcuni suggerimenti avanzati dalla comunità di Internet), mettendo in evidenza le relazioni di fiducia indispensabili per attribuire credibilità alle attività di certificazione. Seguiamo con attenzione queste iniziative, consapevoli anche dei problemi che possono porre. Di nuovo può soccorrerci l’esperienza degli Stati Uniti, dove grandi “certificatori” sono incappati in gravi infortuni, avendo offer- I “decaloghi” sulla propaganda elettorale e la videosorveglianza, l’attenzione per gli interessi del cittadino “comune” Nell’ultimo anno le modalità di intervento del Garante si sono articolate, cogliendo le esigenze di una realtà che chiede anche interventi generali e preventivi. Richiamo in particolare l’attenzione sui provvedimenti in materia elettorale e di videosorveglianza, strutturati in modo da offrire a tutti gli interessati prescrizioni chiare, per punti, agevolmente comprensibili ed applicabili. Si tratta di provvedimenti che, da una parte, sintetizzano decisioni già assunte dal Garante e, dall’altra, colgono esigenze variamente manifestate. Così, il “decalogo” elettorale ha consentito di risolvere centinaia di questioni con un semplice rinvio al suo testo, disponibile sul nostro sito web, dove erano e sono anche presenti sintetici schemi per richiedere notizie sulla fonte dei dati utilizzati per l’invio di messaggi elettorali, e per ottenere la cancellazione dagli elenchi predisposti. Si è manifestata, infatti, una vivissima sensibilità dei cittadini, che tendono a rifiutare la propaganda elettorale non gradita. E il “decalogo” sarà presto aggiornato proprio per tener conto di queste preoccupazioni, e per chiarire le modalità di trattamento dei dati raccolti da partiti e singoli politici. Più difficile e controversa si presenta l’applicazione delle indicazioni sulla videosorveglianza, spesso eluse e per le quali è già stato avviato un programma di ispezioni, che in alcuni casi, come per le web camera sulle spiagge, hanno consentito di risolvere immediatamente i problemi. A proposito di videosorveglianza, tuttavia, è bene dire alcune parole chiare, per evitare il perpetuarsi di equivoci interessati o determinati da scarsa conoscenza dei dati reali. Anche qui si tende spesso a prospettare un conflitto, questa volta tra esigenze di sicurezza e tutela della sfera privata. E anche questa volta bisogna ribadire che è inaccettabile la pretesa di sacrificare la tutela dei dati, diritto fondamentale della persona. È possibile, anzitutto, trovare punti di equilibrio tra i diversi interessi in gioco, come dimostra, ad esempio, la collaborazione tra ORDINE 8 2001 ministero dell’Interno e Garante per il programma di videosorveglianza sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Qui il trattamento delle informazioni rispetta i principi di finalità, pertinenza, proporzionalità, in particolare per quanto riguarda il tempo di conservazione dei dati raccolti: questo rispetto dei diritti dei cittadini non ha limitato l’efficacia delle misure di sicurezza: le rapine sono diminuite del 40%. E lo stesso si può dire per i sistemi di videosorveglianza su mezzi pubblici, sui varchi d’accesso ai centri storici, su aree particolarmente a rischio. Ma si racconta spesso che, posti di fronte all’alternativa tra sicurezza e riservatezza, i cittadini scelgono sempre la prima. La nostra esperienza ci dice che non è così. Il bisogno di intimità, ad esempio sulle spiagge, porta a rifiutare ogni occhio indiscreto. L’identificazione, sia pure casuale, dei pazienti che entrano in uno studio medico, in una strada videosorvegliata, provoca forti e giustificate reazioni di rigetto. Potrei proseguire in questa casistica che, comunque, dovrebbe mettere in guardia contro le semplificazioni. Se davvero si vogliono conoscere le opinioni dei cittadini in una materia tanto delicata, bisogna articolare le domande, identificando i reali interessi implicati in situazioni che si presentano assai diverse l’una dall’altra. Proprio questa ricchezza di interessi si riflette nella gran massa dell’attività del Garante, che incontra i bisogni minuti, quotidiani delle persone. I diritti sul luogo di lavoro, nella scuola, nel comune; le questioni della salute; le relazioni con istituti bancari ed assicurativi, con centrali rischi private, con gestori dei servizi telefonici; la qualità dell’informazione commerciale; i rapporti condominiali: qui, e in altre materie, gli interventi del Garante sono intensissimi e confermano la sua collocazione dalla parte dei cittadini. Una linea, questa, lungo la quale si svilupperanno, tra gli altri, gli interventi imminenti sull’uso delle e-mail e di Internet nei luoghi di lavoro, questione sulla quale si pronuncerà all’inizio di settembre il Gruppo dei Garanti europei. Ma una nuova questione si è aperta, legata Tali disposizioni, tuttavia, non disciplinano né le forme di consultazione dell’Albo né l’invio di copia ad altri soggetti pubblici o privati. Spetta a ciascun Ordine valutare l’eventuale praticabilità di alcune specifiche modalità di comunicazione dei dati, diverse dalla messa a disposizione dell’Albo per la sua consultazione, che sempre più vengono sollecitate nella prassi quotidiana. In alcuni casi viene, ad esempio, richiesta la trasposizione su supporto informatico, oppure la selezione di taluni professionisti in base alla specializzazione riportata nell’Albo ecc.. Si tratta di situazioni che, anche su iniziativa degli Ordini interessati, potrebbero essere oggetto di un opportuno aggiornamento normativo che dovrebbe, peraltro, operare una eventuale distinzione tra i casi in cui viene richiesto all’Ordine di un fornire un ausilio per la ricerca dei nominativi (ad esempio, soggetti specializzati in un determinata disciplina) da quelli per i quali si chiede una più articolata attività di suddivisione e classificazione di categorie di specialisti, che comporta un “facere” attualmente non previsto dalla normativa (Newsletter, 23-29 luglio 2001). all’impetuoso sviluppo della ricerca genetica, che tocca nel profondo l’identità stessa delle persone. Le informazioni genetiche si presentano ormai come i più sensibili tra i dati sensibili, per il loro carattere strutturale, per le loro attitudini predittive, per la loro riferibilità a tutti i componenti di un gruppo biologico. Fin dall’inizio della sua attività il Garante ha colto questa novità, adottando regole particolarmente severe per evitare in particolare utilizzazioni discriminatorie dei dati genetici. La recente ratifica, con la legge n. 145 del 2001, della Convenzione europea sulla biomedicina rafforza in maniera decisiva il divieto di utilizzare i dati genetici per finalità diverse da quelle di tutela della salute dell’interessato e di ricerca scientifica, dunque escludendo la possibilità di ricorrere ad essi in relazione ad atti a contenuto economico, come i contratti di lavoro e di assicurazione. Opereremo per il rafforzamento di queste garanzie, vegliando anche sulle modalità delle ricerche svolte sul patrimonio genetico di piccole comunità, per evitarne utilizzazioni lesive della sfera privata dei soggetti ai quali si riferiscono. I nuovi codici deontologici L’articolazione degli strumenti regolativi conosce anche altri modelli. La nostra esperienza ci porta a sottolineare l’importanza dei codici deontologici che possiamo definire “di nuova generazione”, perché non sono il frutto della sola iniziativa dei settori interessati, ma della collaborazione tra questi e l’autorità garante, a livello nazionale ed europeo. In Italia sono già vigenti il codice per l’attività giornalistica e per la ricerca storica; sta per essere pubblicato quello sulla ricerca statistica pubblica, al quale seguiranno quelli sulla statistica e la ricerca scientifica privata, sulle investigazioni private e l’attività forense (particolarmente importante anche per le indagini difensive nel quadro del nuovo processo penale), mentre si lavora al codice dell’attività bancaria. Non neghiamo che ciò ponga problema delicati sul terreno delle fonti del diritto. I codici di comportamento, tuttavia, si stanno diffondendo dappertutto nel mondo e nelle materie più diverse, grazie alla loro flessibilità e adattabilità, che ne fanno strumenti capaci di seguire una realtà in continuo e spesso tumultuoso mutamento, dove le tradizionali forme di disciplina legislativa possono rivelarsi inadeguate. Ed essi costituiscono anche un terreno sperimentale, per saggiare la validità di soluzioni nuove, da trasferire poi eventualmente sul terreno legislativo. Naturalmente, condizione perché questi codici possano avere piena legittimazione è l’esistenza di un chiaro quadro di principi di riferimento, fissato dalla legislazione. La delega al Governo Proprio il chiarimento e il completamento del quadro legislativo è il compito affidato oggi a Governo e Parlamento da una delega che prevede l’emanazione, entro l’anno, di nuovi decreti delegati e, entro il 2001, di un testo unico che riordini complessivamente l’intero settore. Per i tempi, e per l’ampiezza delle materie da trattare, si tratta di un compito assai impegnativo, al quale il Garante è pronto a dare la massima sua collaborazione, anche oltre il compito istituzionale di esprimere specifici pareri. Bisognerà affrontare, infatti, questioni complesse come quelle relative ai dati per finalità di giustizia e di polizia, ad Internet, alle diverse forme di sorveglianza, al direct marketing. Bisognerà risolvere questioni lasciate aperte da inadeguatezze dell’attuale legge, ad esempio nel settore bancario. Bisognerà puntare a garanzie sostanziali, semplifican- do ulteriormente là dove gli adempimenti burocratici non rispondano a nessuna reale funzione di garanzia (come nella materia delle notificazioni). Suggeriamo fin d’ora a Governo e Parlamento di affrontare due questioni. È opportuno rivedere il sistema delle sanzioni penali previsto dalla legge n. 675, per chiarire meglio alcune fattispecie e per sostituire la sanzione penale con una amministrativa o interdittiva, là dove queste ultime si rivelano più adeguate ed efficienti, anche per la loro più rapida applicazione (ad esempio, in relazione alle omesse notificazioni). Inoltre, dopo la conclusione dei lavori della Commissione del Parlamento europeo sul caso Echelon, sono necessarie iniziative concrete per garantire cittadini e imprese italiane contro forme di raccolta delle informazioni che violano tutte le regole dell’Unione europea in materia di dati personali. L’ufficio del Garante: attività e struttura Il Garante sta adeguando la sua struttura alla complessa realtà nella quale lavora. Solo all’inizio di quest’anno è stata possibile la sistemazione in ruolo del personale e la nomina dei dirigenti. Selezioni e concorsi pubblici sono stati avviati per un nuovo reclutamento, indispensabile per assicurare la funzionalità dell’ufficio: l’imponente lavoro di questi anni è stato svolto da un organico ristrettissimo, che oggi comprende solo 51 persone. Una nuova figura organizzativa sarà introdotta per migliorare la gestione e adeguarla alle complesse esigenze della nuova organizzazione dell’ufficio. Valutando il flusso delle richieste rivolte al Garante nel 2000, queste sono state 19.571, confermando la tendenza del periodo precedente e portando il loro numero complessivo nel quadriennio a circa 120.000. Si è confermata anche l’efficienza nella trattazione dei ricorsi, tutti risolti (e sono complessivamente 354) nel brevissimo termine prima di venti e ora di trenta giorni, con un buon esempio di giustizia rapida e quasi per nulla costosa. Le risposte a segnalazioni e reclami sono passate, tra il 1999 e il 2000, da 130 a 687. La qualità di questo lavoro è testimoniata dal bassissimo numero di impugnazioni dei nostri provvedimenti, soltanto otto (2.2% sul totale dei ricorsi decisi), accolte dai giudici ordinari in tre casi soltanto. Merita, invece, d’essere particolarmente sottolineata la prima e recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n° 2783 del 30 giugno 2001 della Prima sezione civile) con la quale, respingendo pericolose interpretazioni 5 P R I V A C Y restrittive, è stata accolta l’impostazione del Garante per quanto riguarda l’identificazione dei dati personali e la nozione di banca dati. Permane un arretrato, già segnalato lo scorso anno: non è stata ancora data specifica risposta a 3454 tra segnalazioni e richieste. Questo problema può essere ora affrontato in modo più adeguato grazie alla costituzione di un apposito ufficio, al quale verrà destinata gran parte del nuovo personale, per rendere possibile l’eliminazione di questo arretrato in tempi brevi. È bene tener presente, ad ogni modo, che si tratta di un arretrato che riguarda l’intero quadriennio passato, sì che la sua incidenza sul numero complessivo di ricorsi, segnalazioni, reclami e richieste ammonta al 2.8%. Un ritardo si è manifestato anche nell’inserimento delle notificazioni nel Registro generale dei trattamenti. Delle 297.500 notificazioni ricevute, 270.000 sono state già inserite nel Registro e sono consultabili. Per quanto riguarda le altre, è stato stipulato un contratto che consentirà di eliminare l’arretrato entro settanta giorni e, quindi, di inserire le nuove notificazioni nel registro dei trattamenti lo stesso giorno in cui verranno ricevute. Dal prossimo autunno cominceranno a funzionare la biblioteca ed il centro di documentazione. Queste strutture, che raccoglieranno il più ricco materiale esistente in Italia per lo studio dei rapporti tra tecnologie e diritti, saranno aperte al pubblico. Alcune questioni aperte Il lavoro complessivamente svolto dal Garante suggerisce anche una serie di valutazioni qualitative, dalle quali trarre indicazioni per l’attività futura, per offrire al Parlamento elementi di valutazione e per segnalare al Governo “l’opportunità di provvedimenti normativi richiesti dall’evoluzione del settore”, come prevede l’art. 31 della legge. Abbiamo in più occasioni segnalato l’omessa consultazione del Garante in casi esplicitamente previsti dalla legge, e lo abbiamo ripetutamente fatto presente alla Presidenza del Consiglio. Ci auguriamo che la Presidenza voglia richiamare i ministeri al rispetto di tale norma, anche per evitare l’invalidità degli atti emanati. Non sottolineiamo questo fatto lamentando la violazione del prestigio del Garante. La nostra consultazione serve ad assicurare che in procedimenti che incidono - lo ripeto - su un diritto fondamentale del cittadino possa trovare espressione il punto di vista dell’organo al quale è istituzionalmente affidata la cura di tale interesse. Peraltro, nella grandissima maggioranza dei casi in cui è stata richiesta, anche informalmente, la collaborazione del Garante, questa si è svolta in un clima che ha consentito un miglioramento, talvolta decisivo, dei provvedimenti in questione. Mi limito a ricordare i casi del “registro nazionale” dello stato civile e della proposta di costituzione di un’anagrafe unica degli italiani, del processo civile telematico, della centrale rischi della Banca d’Italia. In altri casi, l’aver trascurato i suggerimenti del Garante ha provocato conseguenze negative, com’è avvenuto per la tessera elettorale. Segnaliamo al Governo alcune questioni aperte, mantenendo piena, come in passato, la nostra offerta di collaborazione: rimane negativo il quadro delle garanzie per alcune banche dati riguardanti il Welfare, in particolare per quanto riguarda il riccometro, il sanitometro, il Sistema Informativo Lavoro; Diritto di cronaca e diritto alla privacy: gli interventi del Garante nel 2000 Attività giornalistica e risp In diverse circostanze, il Garante ha dovuto ribadire la necessità di applicare la normativa – in ampia parte di carattere speciale – dettata con riguardo ai trattamenti di dati personali svolti nell’ambito dell’attività giornalistica. Così, ad esempio, nel dichiarare infondato un ricorso presentato contro alcune importanti testate nazionali da parte di una testimone all’interno di un procedimento penale per gravi reati (Provv.del 3 luglio 2000), l’Autorità ha chiarito che il trattamento doveva essere valutato alla luce di quanto disposto dall’art. 25 della legge n. 675/1996 e dal codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (Provv. del 29 luglio 1998, in G.U. del 3 agosto 1998). Pertanto, quando gli articoli o i servizi pubblicati costituisco- no una legittima espressione del diritto di cronaca, magari in relazione – come nel caso di specie – a delicate indagini volte ad appurare l’attendibilità di una testimone (l’interessata) e di sue rilevanti dichiarazioni ai fini processuali, e il trattamento è finalizzato ad informare l’opinione pubblica sugli sviluppi di una vicenda che ha richiamato l’attenzione a livello nazionale, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione e della pertinenza dei dati riferiti, lo stesso trattamento deve considerarsi legittimo. In tal caso, quindi, non può invocarsi il mancato conferimento, da parte dell’interessata, del preventivo consenso al trattamento dei dati, essendo questo esplicitamente escluso dalle disposizioni appena richiamate. Ciò, anche quando attraverso gli articoli e le trasmissioni vengano diffusi dati di Sentenza della Cassazione La legge sulla tutela dei dati personali non si applica solo agli archivi elettronici, ma anche all’informazione giornalistica, E, pertanto, il Garante per la protezione dei dati personali può ordinare al direttore di un giornale la rettifica di informazioni lesive dell’identità di una persona. È questo il filo conduttore della sentenza 8889/2001 con la quale la prima sezione civile della Cassazione (presidente Carnevale) ha annullata una sentenza del tribunale di Milano. L’intervento del Garante, avvenuto nell’aprile ‘99, era stato provocato dal ricorso della signora Maria Teresa Valoti, vedova Olcese, la quale aveva chiesto che negli articoli di cronaca pubblicati sul Corriere della Sera la definizione di “signora 6 carattere sensibile, essendo anche in questa ipotesi consentito prescindere dal consenso, naturalmente ove sia rispettato il limite posto al diritto di cronaca dall’essenzialità dell’informazione e si evitino riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti (art. 5 del citato codice deontologico). Argomentazioni analoghe hanno fondato la decisione originata da un ricorso – poi dichiarato infondato – presentato da alcuni consiglieri di amministrazione, dirigenti e giornalisti di una delle principali aziende radiotelevisive nazionali che lamentavano l’avvenuta pubblicazione su un quotidiano di una serie di articoli in cui venivano evidenziate asserite appartenenze politiche degli stessi, nonché rapporti e relazioni personali (amichevoli od ostili) esistenti all’interno dell’a- Rodotà può ordinare a de Bortoli: “Correggi quella notizia sbagliata” Olcese” venisse attribuita a lei e non anche alla prima moglie di Vittorio Olcese, Giuliana De Cesare. Il Garante aveva, successivamente, imposto all’editore e al direttore del Corriere della Sera di cessare il “comportamento illegittimo” rettificando la registrazione o, comunque, la trattazione dei dati personali della ricorrente in modo tale da “individuare correttamente con l’espressione signora Olcese soltanto la ricorrente Maria Teresa Valoti anziché la signora Giuliana De Cesare”, nonché di divulgare la rettifica con la pubblicazione di un comunicato sul quotidiano. Il Tribunale di Milano, con decisione del 14 ottobre 1999, ha accolto l’opposizione, annullando il provvedimento emesso dal Garante. Nella motivazione della decisione il Tribunale, ha osservato, tra l’altro, che la direttiva della Commissione Europea 95/46/CE, in base alla quale è stata approvata dal nostro Parlamento la legge 675/96, circoscrive in modo inequivocabile il proprio ambito di applicazione al trattamento dei dati personali comunque destinati all’archiviazione e pertanto non concerne le informazioni diffuse dai giornali: ciò deve indurre, secondo il Tribunale ad interpretare in senso restrittivo la portata della legge n. 675/96, anche per evitare che la sua applicazione si ponga in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, che tutela la libertà di informazione. Il Tribunale, inoltre, ha ritenuto che la diffusione di tali notizie rientri nell’esercizio del diritto di cronaca e che il provvedimento del Garante si sia posto in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, che “pone alla pubblica autorità il divieto assoluto di adottare provvedimenti diretti ad esercitare controlli o assensi preventivi sul contenuto delle pubblicazioni”. La portata della legge n. 675/1996 – ha affermato la Corte di Cassazione – non è limitata all’archiviazione delle informazioni nelle banche dati; l’attenzione che la legge dedica a tali banche, e dunque a quel particolare trattamento che consiste nella elaborazione ai fini di archiviazione per un successivo uso, si giustifica con la considerazione di comune esperienza della rapidità di tale uso da parte di chi accede all’archivio. “Il van- taggio dell’archiviazione – ha osservato la Corte – è per l’appunto di consentire la disponibilità immediata, all’occorrenza, di un dato da adoperare ai più svariati fini; pertanto l’attenzione della legge all’archiviazione non può essere considerata fine a se stessa, bensì ad impedire la diffusione delle informazioni scorrette. Di conseguenza – ha affermato la Corte – qualunque trattamento, anche quello giornalistico, dell’informazione, e non soltanto quello diretto alla conservazione in archivio, deve avvenire nel rispetto dei principi stabiliti dall’articolo 1 della legge n. 675 del 1996, che tutela i diritti fondamentali e la dignità delle persone, con particolare riferimento alla riservatezza ed all’identità personale”. Il potere, attribuito dalla legge al Garante, di disporre la rettifica di informazioni giornalistiche – ha affermato la Corte – non si pone in contrasto con l’articolo 21 della Costituzione, “che vieta ogni intervento censorio”: altro è, infatti, un ordine o un potere di inibitoria alla pubblicazione, da ritenersi contrario alla Costituzione, altro è un ordine di rettifica. “L’attività giornalistica – ha osservato la Corte – legittima di per sé al trattamento dei dati, anche personali, ma ciò deve avvenire nei limiti di cui all’articolo 1 della legge: pertanto neppure l’essenziale esercizio dell’informazione può sovrapporre al dato esclusivo di una persona fisica (quale il nome) l’eventuale uso di tale dato da parte di terzi”. (Fr. Ab.) ORDINE 8 2001 permangono ritardi gravi nei decreti attuativi riguardanti la materia delicatissima del trattamento dei dati sensibili, sì che risultano illeciti i comportamenti di numerose amministrazioni pubbliche; le moltissime lamentele dei cittadini sollecitano l’intervento del ministro della Sanità in materia di ricette mediche; ai ministri dell’Interno e della Sanità chiediamo interventi per uniformare le diverse prassi presso comuni ed aziende sanitarie locali, spesso inutilmente burocratiche e che non tutelano, invece, la privacy dei pazienti; chiediamo al ministro dell’Interno di coinvolgere il Garante nelle sperimentazioni della carta d’identità elettronica e dei servizi ai cittadini attraverso le reti civiche, come già era stato assicurato; segnaliamo alla Presidenza del Consiglio la necessità di dare risposte alle nostre segnalazioni riguardanti i servizi di sicurezza e di polizia; al ministro della Giustizia segnaliamo le questioni, da noi ripetutamente sollevate, delle diverse garanzie di riservatezza nei giudizi civili e penali, nonchè delle modalità delle notificazioni degli atti giudiziari, spesso effettuate in forme che ledono, prima ancora che la riservatezza, la dignità stessa delle persone alle quali sono indirizzate. al ministro per l’Innovazione e le Tecnologie chiediamo di considerare con particolare attenzione i problemi derivanti dall’interconnessione tra le diverse banche dati pubbliche. Diritti e nuove tecnologie Ma la crescente disponibiltà di una gamma sempre più estesa di tecnologie determina problemi qualitativi sui quali, in conclusione, vogliamo richiamare l’attenzione, perché siamo di fronte a possibili, radicali mutamenti delle nostre organizzazioni sociali. In uno dei primi provvedimenti del Governo, ad esempio, si è opportunamente stabilito che il regime di conoscibilità delle aliquote dell’addizionale Irpef non sia più affidato alla pubblicazione nell’albo pretorio, ma sul web. Ma non in tutti i casi il passaggio dai tradizionali regimi di pubblicità a quelli elettronici appare accettabile. Il Garante ha dovuto affrontare un caso in cui un ufficio giudiziario, dovendo effettuare le notificazioni alle molte parti di un processo, aveva appunto deciso di farlo attraverso un sito web. Ma questo ha comportato la conoscibilità da parte di una platea indeterminata di soggetti del fatto che le parti lese, indicate con tutte le generalità, erano state contagiate ed erano ammalate di epatire virale o di Aids, violando la dignità di queste persone. Abbiamo ritenuto questo “slittamento” dalle vecchie alle nuove forme di notificazione una violazione delle norme sul trattamento dei dati, scorgendo in ciò anche una violazione del diritto costituzionale a far valere in giudizio i propri diritti. Chi, infatti, ricorrerà al giudice se questo avrà come contropartita un inammissibile obbligo di denudarsi davanti all’intera collettività? Il rischio di derive tecnologiche è nelle cose, e nelle cifre che rappresentano la realtà in turbinoso cambiamento. In Italia si inviano 30 milioni di messaggi Sms al giorno. I dati di traffico conservati dalle società telefoniche sono ben oltre i cento miliardi, e consentono di ricostruire l’intera rete delle relazioni perso- nali, sociali, economiche di ciascuno di noi nei passati cinque anni. Si stanno sperimentando software che consentiranno entro breve tempo di inviare cento milioni di e-mail al giorno, con il rischio che ciascuno di noi ne riceva da trenta a cinquanta in una giornata, con conseguenti costi in termini di tempo e di connessione alla rete. Centinaia di migliaia di sistemi di controllo a distanza sono già operanti. Cresce in maniera esponenziale il ricorso ai test genetici, e crescono le pretese di assicuratori e datori di lavoro per utilizzarli nel valutare chi chiede un’assicurazione o un’assunzione: negli Stati Uniti sono già stati censiti centinaia di casi di discriminazione su questa base, e questa è la ragione dell’intervento di Bush ricordato all’inizio. Questo non è allarmismo, è realismo. Se non si prenderà coscienza del significato complessivo di questo fenomeno, e si sacrificherà tutto sull’altare di una efficienza tutta delegata alla tecnologia, non si produrrà soltanto uno scarto tra proclamazione del diritto fondamentale alla protezione dei dati e realtà delle sue quotidiane violazioni. Si restringeranno gli spazi vitali delle persone, continuamente esposte a sguardi e messaggi indesiderati, ormai incapaci di godere di intimità, obbligate a modellare la loro stessa personalità da questo obbligo di vivere continuamente “in pubblico”, sottoposti ad una implacabile registrazione d’ogni atto anche quando si fa una passeggiata o si fa un acquisto in un supermercato. Si dice che questa non è più soltanto una condizione tecnologicamente determinata, ma socialmente gradita. Si invoca l’autorità delle mille trasmissioni televisive dove volontariamente si espone la propria intimità all’occhio di milioni di spettatori. Si ridefisce lo stesso concetto di base della nostra materia ricorrendo ad un ossimoro: la privacy “condivisa”. Un aspetto della cittadinanza democratica Ma noi dobbiamo qui ripetere la testimonianza già proposta negli anni passati, fondata su una esperienza che fa riferimento ad una sterminata serie di casi in cui la richiesta di una forte tutela della sfera privata esprime, insieme, un bisogno di intimità, il rifiuto d’ogni possibile discriminazione, l’esigenza di compiere le proprie scelte personali, sociali, politiche fuori d’ogni rischio di stigmatizzazione sociale. La privacy rompe gli angusti steccati nei quali ancora vorrebbe chiuderla una sua arcaica lettura. La protezione dei dati personali è ormai componente essenziale della cittadinanza democratica nella società dell’informazione. E pure del diritto di ciascuno di costruire liberamente la propria personalità, anche manifestando un io diviso in cui convivono esibizionismo e riservatezza. Su questo sfondo si muove l’azione del Garante, che ha come bussola quel riferimento alla dignità della persona che oggi apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma che, con significativa anticipazione, compare nell’art. 1 della nostra legge. Ma, proprio perché siamo di fronte a mutamenti della società che coinvolgono il destino medesimo delle persone e della democrazia, ripetiamo qui che non può bastare l’impegno volonteroso di un’autorità. Spetta al Parlamento, luogo massimo della rappresentanza, discutere e decidere del ruolo delle tecnologie nelle nostre società. Lo diciamo non per omaggio al luogo che ci ospita, ma per comune e convinta convinzione democratica. Stefano Rodotà etto dei principi della legge n. 675/1996 zienda televisiva medesima (Provv. del 31 maggio 2000). Anche in tal caso l’Autorità, applicando la disciplina sopra richiamata, ha ritenuto che gli articoli fossero espressione di una legittima modalità di esercizio del diritto di cronaca – per quanto opinabili potessero essere i toni utilizzati – con riferimento alla personalità, alle esperienze professionali ed agli incarichi ricoperti dalle persone su indicate, le quali occupavano appunto posti di rilievo in un’azienda di primaria rilevanza sociale. Nel caso di specie, non sussistevano gli estremi per censurare il diritto dei mezzi di informazione di esprimere valutazioni, anche critiche, riferite alle singole persone, atteso che, peraltro, le notizie riportate potevano essere acquisite correttamente dai giornalisti attraverso la consultazione di giornali, interviste, colloqui, dichiarazioni o attingendo alle consuete fonti lecitamente utilizzate nella cronaca giornalistica. Tale pronuncia del Garante, come altre analoghe, non era ovviamente preclusiva per gli interessati della possibilità di adire il giudice ordinario per rivolgere eventuali diverse istanze in sede civile o penale che esulano dall’ambito di competenza del Garante. In questo contesto, merita infine di essere ricordata la decisione con la quale l’Autorità ha dichiarato non fondato un ricorso presentato dal titolare di una ditta artigiana. Questi aveva infatti lamentato l’avvenuta pubblicazione su un quotidiano locale della notizia secondo la quale alcuni consiglieri comunali avevano segnalato alla Corte dei conti il comportamento di un comune concernente una transazione con il ricorrente, relativamente al versamento di una penale contrattuale legata a “gravi motivi di salute” del ricorrente medesimo (Provv. del 22 gennaio 2001, in Bollettino n. 16, p. 8). In tale circostanza il Garante ha constatato che l’articolo riguardava una contestata vicenda amministrativo-erariale che traeva spunto da atti e documenti accessibili al pubblico. La vicenda era quindi riferita ad un fatto di interesse generale relativo al corretto svolgimento dell’attività amministrativa comunale e, nel caso di specie, non era stata descritta ricorrendo a particolari o dettagli non pertinenti; il generico riferimento ai “motivi di salute” del ricorrente (origine della controversa riduzione della penale, contestata dai consiglieri comunali) non è stato reputato, proprio in ragione della sua genericità, tale da recare lesione alla dignità dell’interessato: in virtù di ciò l’Autorità ha considerato lecita la pubblicazione dell’articolo, dichiarando pertanto infondato il ricorso. L’applicazione della normativa ai trattamenti svolti in ambito giornalistico, alle fotografie pubblicate dai giornali ed alle riprese televisive. In altre circostanze l’Autorità ha applicato la normativa a trattamenti di dati personali, realizzati nell’ambito della professione giornalistica, sotto forma di fotografie o di immagini diffuse attraverso i mezzi di informazione. Anche in tali eventualità all’autore delle fotografie (o delle riprese) si applica la previsione dell’art. 25, comma 4, della legge n. 675/1996; quest’ultima disposizione, infatti, estende le norme relative all’esercizio della professione di giornalista ai “trattamenti temporanei finalizzati esclusivamente alla ORDINE 8 2001 pubblicazione di articoli, saggi o altre manifestazioni del pensiero” e fra queste, possono essere appunto inserite anche le attività dirette a realizzare un servizio fotografico, atteso che anche le fotografie che ritraggono persone sono trattate dalla legge alla stregua di documenti contenenti dati personali (art. 1, comma 2, lett. c), l. n. 675/1996). Per tale ragione, colui che scatta fotografie, al pari di chi raccoglie notizie, è tenuto a rendere note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, senza ricorrere ad “artifici o pressioni indebite” (art. 2 del codice deontologico dei giornalisti). Al riguardo, con particolare riferimento all’informativa semplificata prevista per i trattamenti svolti nell’ambito dell’attività giornalistica, il Garante ha chiarito che questa trova applicazione anche nelle ipotesi in cui i dati sono raccolti presso un soggetto diverso dall’interessato (Provv. del 21 febbraio 2000). Nel caso di specie, il Garante era stato investito dell’esame di una vicenda che aveva visto la pubblicazione, da parte di un organo di stampa, delle copie di alcune fotografie relative ad un noto personaggio dello spettacolo conservate presso l’abitazione dei genitori di questo. Poiché, dunque, le fotografie ritraevano una persona diversa rispetto a coloro che vivevano nella casa in cui erano conservate, esse non potevano considerarsi raccolte presso l’interessato, con conseguente inoperatività dell’obbligo di informativa ai sensi dell’art. 10, comma 1, della legge n. 675/1996. La disciplina sulla riservatezza per i personaggi pubblici e le persone note Analogamente a quanto accade in altri ordinamenti, anche nel nostro la sfera privata delle persone che ricoprono determinate cariche pubbliche o che hanno acquisito una particolare notorietà risulta essere per certi aspetti più ridotta rispetto a quella delle persone la cui vita privata è protetta maggiormente. Tenendo conto di tale principio, il codice deontologico dei giornalisti ha però previsto che la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se la notizia o di dati non hanno alcun rilievo sul ruolo o sulla loro vita pubblica (art. 6). Nel corso del 2000 il Garante si è trovato più volte ad applicare tale disposizione, a fronte di reclami presentati da alcuni personaggi pubblici che denunciavano una lesione della propria vita privata. È questo, ad esempio, il caso di un quesito sottoposto all’Autorità da un noto parlamentare che aveva preso parte ad una cerimonia in cui erano presenti altri personaggi pubblici, e che aveva visto il suo nome riprodotto, insieme a quello di altri, in un articolo di giornale che riferiva della cerimonia medesima. In tale occasione, il Garante ha constatato che non vi era stata alcuna violazione delle disposizioni del codice deontologico appena richiamate e che una parte dell’articolo sembrava anzi scaturire da una precisazione fornita direttamente dall’interessato. Più in generale, l’Autorità ha ricordato che, con riguardo al principio dell’essenzialità dell’informazione, può considerarsi lecita anche un’informazione molto dettagliata, qualora ricorrano determinati presupposti, tra i quali rileva la qualificazione dei protagonisti come personaggi pubblici (Provv. del 21 febbraio 2000 e, per un caso analogo, Provv. del 20 ottobre 2000). Fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso i loro comportamenti in pubblico Con riguardo alla diffusione operata dai mezzi di informazione, nell’ipotesi in cui gli stessi interessati abbiano in qualche modo reso pubbliche le notizie che li riguardano, viene precluso in alcuni casi un intervento dell’Autorità diretto a ridurre la diffusione delle informazioni medesime (v., in proposito, il comunicato n. 5 del 17 gennaio 2000, in Bollettino n. 11-12, p. 83). La legge n. 675/1996, mentre ha previsto in generale che i giornalisti devono rispettare i limiti del diritto di cronaca, con particolare riferimento a quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse generale, ha lasciato ferma la possibilità di trattare i dati relativi a circostanze e fatti resi noti direttamente dall’interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico (art. 25, comma 1). Tale ipotesi ha trovato anche riscontro nel codice di deontologia dei giornalisti che ha fatto salvo il diritto di addurre successivamente motivi legittimi di tutela, ma non ha ribadito il limite dell’essenzialità dell’informazione, richiamato invece con particolare pregnanza per quanto attiene ai dati sensibili (art. 5 del codice di deontologia). A questo riguardo, si può ricordare un ricorso riguardante le dichiarazioni fatte dal padre naturale di un minore durante alcuni programmi televisivi. Chiarito che in tale ipotesi non sarebbe stato in ogni caso applicabile l’art. 3 della legge n. 675/1996 (in tema di trattamento di dati per fini esclusivamente personali), l’Autorità ha constatato che la vicenda alla quale era stata fatta menzione durante la trasmissione era notoria, in quanto già oggetto di cronaca giornalistica, anche a seguito di dichiarazioni dei relativi protagonisti (v. Provv. del 28 febbraio 2000). Di qui l’impossibilità di accogliere la richiesta di opposizione al trattamento formulata dalla ricorrente (in quanto trovava applicazione il già citato art. 5, comma 2, del codice deontologico), che lascia però impregiudicata l’esigenza che giornalisti e conduttori delle trasmissioni televisive operino in modo da evitare o ridurre il rischio di trattare i dati riferiti ai minori in modo da non incidere sul corretto sviluppo della personalità degli stessi (ciò, in particolare, con riferimento all’art. 7 del codice dei giornalisti, sul quale si tornerà fra breve). Un altro caso che merita di essere menzionato è quello in cui il Garante è stato chiamato a decidere sul ricorso presentato da una madre nei confronti di una televisione a diffusione nazionale, in relazione ad un servizio relativo al rimpatrio in Italia della propria figlia minore a seguito della decisione di una Corte distrettuale statunitense. Anche in tale frangente l’Autorità ha dichiarato infondato il ricorso in quanto, sebbene 7 LA TUTELA DEI MINORI P R I V A C Y I minori restano tra i soggetti più esposti e indifesi rispetto al rischio di lesione dei propri diritti fondamentali (ed in particolare del diritto alla riservatezza) da parte dei mezzi di informazione le fotografie riprodotte nel filmato trasmesso riguardassero un minore, erano state mostrate da uno dei genitori, per di più in un contesto di sentita prospettazione di una complessa vicenda familiare che aveva destato in più occasioni il pubblico interesse (Provv. del 23 novembre 2000). Pubblicazione a mezzo stampa dei provvedimenti disciplinari assunti dagli Ordini professionali Come il Garante ha avuto modo di chiarire altre volte, non sempre l’applicazione della normativa sulla tutela dei dati personali porta ad una minore conoscibilità delle informazioni. In alcune circostanze, infatti, quando devono essere tutelati altri diritti e valori, la disciplina sulla riservatezza può farsi veicolo di una maggiore trasparenza. E ciò può riguardare Indebite ingerenze nella vita privata dei minori possono comportare danni irreparabili nella relativa vita di relazione e nello sviluppo della personalità, derivanti a volte dalla tendenza a spettacolarizzare vicende che meriterebbero invece maggiori cautele da parte dei media. Per tale ragione, anche nel corso del 2000 il Garante si è visto più volte obbligato a richiamare al rispetto dei precisi limiti alla diffusione dei dati personali sui minori (si veda, in particolare, il Provv. del 22 aprile 2000). Come è noto, infatti, al fine di tutelarne la personalità, i giornalisti non devono pubblicare i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornire particolari in grado di condurre alla loro identificazione. Questo, nella consapevolezza che la tutela della personalità del minore si estende anche ai fatti che Attività giornalistica e rispetto dei principi della legge n. 675/1996 anche trattamenti particolarmente delicati per la protezione dei dati, quali la diffusione attraverso i mezzi di informazione. Al riguardo, si può ricordare il caso in cui l’Autorità è stata chiamata a decidere sul ricorso presentato da un avvocato per lamentare l’avvenuta pubblicazione – su una rivista dell’ordine di appartenenza – del provvedimento di sospensione dalla professione adottato nei suoi confronti. In tale occasione, il Garante ha avuto modo di ribadire che la legge n. 675/1996 non ha modificato la disciplina legislativa relativa al regime di pubblicità degli albi professionali ed alla conoscibilità degli atti connessi. Per tale ragione, deve ancora ritenersi che tali Albi siano destinati per loro natura e funzione ad un regime di piena pubblicità, anche della tutela dei diritti di coloro che a vario titolo hanno rapporti con gli iscritti agli albi (Provv. del 29 marzo 2001). Molte delle disposizioni che regolano tale forma di pubblicità sono spesso risalenti nel tempo e necessitano pertanto di essere aggiornate anche al fine di individuare in modo più preciso le diverse forme di diffusione consentite, secondo la logica sottesa alla legislazione in materia di riservatezza (art. 27, comma 3, l. n. 675/1996). Ciò, tuttavia, non fa venir meno la qualificazione degli Albi professionali come atti pubblici non solamente conoscibili da chiunque, ma anche oggetto di doverosa pubblicità. Più specificamente, il Garante ha chiarito che la ratio sottesa alla pubblicità degli Albi e dei periodici aggiornamenti relativi a nuove iscrizioni e cancellazioni ricorre anche per i provvedimenti che comportano la sospensione o l’interruzione dell’esercizio della professione. Sebbene l’ordinamento preveda al riguardo specifiche forme di pubblicità (es. comunicazione a tutti i consigli dell’Ordine degli avvocati ed alle autorità giudiziarie del distretto al quale il professionista appartiene: art. 46, commi 1 e 3, r.d.l. n. 1578/1933), è chiaro che le stesse consentono a chiunque di venire lecitamente a conoscenza di determinati provvedimenti e di darne legittimamente ulteriore notizia. Il Garante ha potuto così affermare che i provvedimenti disciplinari dei consigli dell’Ordine e del Consiglio nazionale forense devono essere considerati quali atti pubblici soggetti ad un regime di conoscibilità. Ciò, pur in assenza di disposizioni più analitiche di legge o di regolamento in cui siano previste particolari modalità di diffusione a favore di determinati soggetti, ulteriori rispetto a quelli specificamente indicati come destinatari dalle norme vigenti. L’interesse alla riservatezza del professionista destinatario di una misura disciplinare non può ritenersi quindi prevalente rispetto all’interesse generale alla conoscenza del provvedimento medesimo ed è pertanto lecita la divulgazione della notizia del provvedimento stesso attraverso riviste, notiziario altre pubblicazioni curate anche dagli ordini interessati. Ciò, ovviamente, nel presupposto che la diffusione del provvedimento avvenga in modo corretto ed in termini esatti e completi, secondo quanto disposto dall’art. 9 della legge n. 675/1996. Pubblicazione a mezzo stampa dei dati relativi ai redditi dichiarati Nel corso del 2000 (nonché nei primi mesi del 2001), il Garante è stato chiamato ad occuparsi della diffusione, ad opera dell’Amministrazione finanziaria, dei dati relativi al reddito delle persone fisiche anche con riguardo alla loro pubblicazione da parte degli organi di informazione. Tale tema è stato già affrontato dall’Autorità in diverse occasioni, chiarendo che la disciplina vigente prevede espressamente la pubblicazione di determinati elenchi di taluni contribuenti e del relativo reddito. La stessa normativa dispone inoltre la formazione, da parte di ciascun comune, degli elenchi nominativi di tutti i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei redditi o che esercitano imprese commerciali, arti e professioni (v. par. 13 della presente Relazione), elenchi, questi, che devono essere depositati per un anno presso gli uffici delle imposte e i comuni interessati ai fini della consultazione da parte di chiunque (art. 69 d.P.R. n. 600/1973 come successivamente modificato in particolare dall’art. 19 l. n. 413/1991). 8 L’esistenza di siffatte disposizioni – espressione di una scelta normativa volta ad un’ampia conoscibilità di determinati datiintegra gli estremi richiesti dall’art. 27, comma 3, della legge n. 675/1996 e rende quindi allo stato lecita, salve eventuali modifiche normative, la comunicazione degli elenchi da parte dell’amministrazione finanziaria, anche dal punto di vista della normativa in materia di riservatezza (v. lettera del 13 ottobre 2000, in Bollettino, n. 14-15, p. 9). Sulla base di tali presupposti, l’Autorità ha pertanto dichiarato infondato un ricorso presentato da un imprenditore che aveva chiesto il blocco dei dati relativi al proprio reddito diffusi da un quotidiano locale sulla base di quanto pubblicato dall’amministrazione finanziaria (Provv. 17 gennaio 2001, in Bollettino n. 16, p. 5). Il Garante ha infatti affermato che, essendo le informazioni rese accessibili dall’amministrazione finanziaria destinate ad un’ampia pubblicità, la successiva pubblicazione di dati estratti lecitamente da elenchi accessibili a chiunque è da ritenersi lecita anche senza il consenso degli interessati e senza che sia necessario per la testata che li riproduce dimostrare la sussistenza del requisito dell’essenzialità dell’informazione rispetto a fatti di interesse pubblico (art. 20, comma 1, lett. d), l. n. 675/1996). Decisioni di carattere procedurale e limiti alle competenze del Garante Non di rado il Garante è stato investito di istanze di tutela che eccedevano le proprie specifiche competenze: si pensi alle ipotesi in cui il suo intervento è stato invocato in relazione alla diffusione di informazioni denigratorie o diffamatorie, oppure al fine di ottenere dall’Autorità il risarcimento di un danno subito in ragione della diffusione di dati personali attraverso i mezzi di informazione (si veda, per tutti, il Provv. del 20 ottobre 2000). In questi casi l’Autorità ha chiarito ancora una volta l’ambito delle proprie competenze e della tutela amministrativa accordata in relazione al trattamento dei dati personali, ricordando comunque la possibilità di far valere i propri diritti di fronte ad altre autorità (nella specie il giudice ordinario). non sono specificamente reati, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti. Inoltre, per espressa previsione normativa, il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca. Quando, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermi restando i limiti di legge, il giornalista decide di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, deve farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi ed i limiti stabiliti anche dalla cosiddetta “Carta di Treviso” (art. 7 del codice di deontologia sul trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica). In applicazione di questi principi, l’Autorità ha disposto il blocco dei dati relativi alle molestie subite da una minore ad opera dei suoi rapitori nei confronti di una serie di testate giornalistiche (Provv. 20 giugno 2000). Alcuni organi di stampa a diffusione nazionale avevano reso note, nei titoli e nel corpo degli articoli, talune circostanze relative alle molestie sessuali che apparivano perpetrate dai rapitori di una minore. Il Garante ha disposto il blocco muovendo dalla considerazione che la possibile ed ulteriore divulgazione dei dati relativi alle molestie, a prescindere dalla loro eventuale rilevanza sotto il profilo penale (profilo per il quale è stata investita la competente autorità giudiziaria in relazione all’art. 734-bis c.p.),avrebbe comportato il concreto rischio di un pregiudizio rilevante per l’interessata. Un provvedimento, dunque, da cui derivava per gli editori titolari del trattamento e per i responsabili del medesimo, un preciso obbligo di sospendere ogni ulteriore operazione di trattamento diversa dalla mera conservazione delle informazioni già raccolte e, in particolare, di astenersi dal diffondere ulteriormente i medesimi dati anche in modo indiretto, attraverso la pubblicazione delle corrispondenti parti dello stesso provvedimento del Garante. In questo contesto merita di essere infine ricordata an-che una decisione assunta dall’Autorità nell’agosto 2000, con riguardo all’av-venuta pubblicazione su taluni organi di informazione di liste di soggetti responsabili di gravi atti di violenza a danno di minori. In merito a tali vicende, il Garante era intervenuto con un comunicato stampa per ricordare che la diffusione indiscriminata di informazioni non trova fondamento nel nostro ordinamento. Tali notizie, infatti, a prescindere dalla loro reale efficacia sul piano della prevenzione e dalla circostanza che i dati possano essere desunti anche da fonti accessibili (quali, ad es. pronunce giudiziarie), sono suscettibili di valutazione critica e fonte di contenzioso potendo anche, a seconda dei casi, oltre che determinare danni agli stessi minori indirettamente identificabili, com-portare responsabilità per eventuali inesattezze dei dati, oppure per giudizi indifferenziati su situazioni in realtà difformi o per la lesione del diritto all’oblio di persone interessate rispetto a fatti talvolta assai risalenti nel tempo (comunicato stampa del 23 agosto 2000). In altre circostanze, sono giunte all’Autorità richieste di provvedimenti (ad esempio di blocco della diffusione di talune informazioni) che non potevano essere emanati a causa della mancanza di presupposti procedurali a tal fine necessari (si possono vedere, per tutti, i Provv. adottati il 5, il 22 aprile e il 21 settembre 2000; nel terzo di questi casi, l’interessato lamentava di essere stato ripreso durante una trasmissione televisiva a sua insaputa; un altro ricorso è stato dichiarato inammissibile il 30 ottobre 2000, relativamente ad un’intervista dell’ex moglie del ricorrente, mandata in onda durante una nota trasmissione televisiva, nella quale l’intervistata faceva menzione di fatti e circostanze tali da permettere l’identificazione del ricorrente stesso e di suo figlio). Altre volte, invece, sono risultati insufficienti gli elementi di valutazione forniti (Provv. 21 febbraio 2000). In molte di tali ipotesi il Garante, oltre ad indicare le procedure di volta in volta necessarie per ottenere il provvedimento richiesto, ha cercato, ove le circostanze lo consentivano e la questione sottoposta lo richiedeva, di offrire comunque una tutela agli interessati, ad esempio considerando anche alla stregua di segnalazioni i ricorsi proposti in maniera non conforme all’art. 29 della legge e al d.P.R. n. 501/1998. In ogni caso, quando ciò era possibile, il Garante ha sempre tenuto a chiarire che il pronunciamento dell’Autorità, magari riferito ad un particolare aspetto della vicenda, non precludeva a coloro che avessero avuto interesse di instaurare, anche dinanzi alla competente autorità giudiziaria, specifiche controversie dirette ad ottenere giudizi di cui il Garante non poteva farsi carico anche a causa dell’insufficienza degli elementi di valutazione sottoposti al suo vaglio (si veda, per tutti, il Provv. del 21 febbraio 2000). In alcuni casi, infine, l’Autorità ha avviato autonomamente procedimenti distinti da quello aperto su istanza degli interessati, al fine di accertare il rispetto della normativa sulla riservatezza con riguardo a profili in parte diversi da quelli segnalati o che comunque richiedevano di essere autonomamente valutati (si veda, per tutti, la decisione adottata il 27 agosto 2000 su un ricorso presentato dai genitori di una minore, in relazione ad alcuni articoli dedicati ad un procedimento giudiziario, pubblicati da un quotidiano locale). ORDINE 8 2001 DOPO L’INCARICO DI CURARE LA RUBRICA DELLE LETTERE DEL “CORRIERE DELLA SERA” Mieli successore di Indro Montanelli si autosospende da direttore editoriale ABRUZZO: “GIUDICE SULLE INCOMPATIBILITÀ È SOLTANTO IL CONSIGLIO DELL’ORDINE” Milano, 11 settembre. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha ricevuto il comunicato che il Cdr del “Corriere della Sera” ha diffuso ieri sera alle 20.15 all’interno della redazione. Questo il testo: Oggetto: MIELI SI AUTOSOSPENDE. Paolo Mieli si è autosospeso da direttore editoriale del Corriere della Sera a far data da oggi. Questa decisione è stata presa in relazione all’incarico ricevuto da Mieli di rispondere ogni giorno a una lettera dei lettori. La notizia dell’autosospensione è stata comunicata al Cdr dal direttore Ferruccio de Bortoli nel corso di un incontro avvenuto oggi alle 17. Nei giorni scorsi gli Ordini dei giornalisti di Milano e Roma e la Fnsi, sollecitati dal Cdr, avevano espresso un giudizio di non compatibilità tra l’incarico affidato a Paolo Mieli come successore di Indro Montanelli nel rispondere ai lettori e la sua carica di manager (come direttore editoriale risponde all’editore Rcs). Commento di Franco Abruzzo Ecco il testo completo della comunicazione del direttore: «Fatte salve tutte le prerogative della redazione, Paolo Mieli risponde da oggi ogni giorno a una lettera. Mieli si è autosospeso da direttore editoriale del Corriere da far data da oggi. L’editore si è riservato di accettare la decisione di Mieli investendo la Fieg del quesito se esista o no incompatibilità tra la carica di direttore editoriale e l’incarico giornalistico che gli è stato affidato». È un primo, parziale risultato dell’azione voluta dal Cdr fin dall’inizio della vicenda. Tuttavia Mieli mantiene l’incarico di direttore editoriale della Rcs (Corriere della Sera escluso) e quindi l’autosospensione lascia irrisolta la sostanza del problema: un manager aziendale risponderà ai lettori del Corriere della Sera. Tengo a sottolineare che il giudice esclusivo delle compatibilità professionali è soltanto il Consiglio dell’Ordine. Non certamente la Fieg o la Fnsi. Il Cdr all’interno delle aziende deva far rispettare anche la legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalista. È un compito fissato nell’articolo 34 del Cnlg. Non spetta, credo, ai direttori responsabili accettare o meno le dimissioni di chicchessia da incarichi manageriali. Sulla vicenda ho espresso, su richiesta del Cdr del Corriere della Sera, un parere non vincolante. Il testo del parere Il direttore del giornale. L’articolo 3 della legge 633/1941 sul diritto d’autore enumera tra le opere collettive dell’ingegno anche le riviste e i giornali (e alle riviste e ai giornali è poi dedicato la sezione II del Capo IV della legge). Il successivo articolo 7 afferma che “è considerato autore dell’opera collettiva chi organizza e dirige la creazione dell’opera stessa”. Il direttore responsabile - alla luce anche dell’articolo 6 del Cnlg e dell’articolo 57 del Cp - è pertanto l’autore dell’opera collettiva dell’ingegno denominata “giornale” o “rivista”. I poteri del direttore fissati dal contratto. Dice l’articolo 6 del Contratto: “La nomina del direttore di un quotidiano, periodico o agenzia di informazioni per la stampa è comunicata dall’editore al comitato o fiduciario di redazione con priorità rispetto a qualunque comunicazione a terzi, almeno 48 ore prima che il nuovo direttore assuma la carica. Le facoltà del direttore sono determinate da accordi da stipularsi tra editore e direttore, tali, in ogni caso, da non risultare in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica e con quanto stabilito dal presente contratto. Questi accordi, con particolare riguardo alla linea politica, all’organizzazione e allo sviluppo del giornale, del periodico o dell’agenzia di informazioni per la stampa sono integralmente comunicati dall’editore al corpo redazionale tramite il comitato o fiduciario di redazione, contemporaneamente alla comunicazione della nomina del direttore. Quale primo atto del suo insediamento il direttore illustra all’assemblea dei redattori gli accordi di cui al comma precedente e il programma politico-editoriale concordato con l’editore. È il direttore che propone le assunzioni e, per motivi tecnico-professionali i licenziamenti dei giornalisti. Tenute presenti le norme dell’art. 34, è competenza specifica ed esclusiva del direttore fissare ed impartire le direttive politiche e tecnico-professionali del lavoro redazionale, stabilire le mansioni di ogni giornalista, adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata, nei contenuti del giornale e di quanto può essere diffuso con il medesimo, dare le disposizioni necessarie al regolare andamento del servizio e stabilire gli orari secondo quanto disposto dal successivo articolo 7. Accordo con il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Osservazioni Dall’insieme delle norme citate e alla lettura dell’articolo 6 del Contratto emerge l’anomalia italiana per quanto riguarda il ruolo del direttore: gli organi societari non possono mettere il dito nella struttura della redazione e nella fattura del giornale una volta concordati con il direttore linea politica, organizzazione e sviluppo del quotidiano. Gli accordi editore-direttore devono essere “tali, in ogni caso, da non risultare in contrasto con le norme dell’ordinamento della professione giornalistica e con quanto stabilito dal Contratto”. Negli accordi editoredirettore evidentemente non possono essere contenute clausole in contrasto con tali princìpi. Il direttore in conclusione attua la linea politica concordata con l’editore, garantisce l’autonomia della testata (e dei redattori) e anche la qualità dell’informazione (articolo 44 del Cnlg). Una volta che l’editore ha provveduto a nominare il direttore gli rimane in tasca soltanto la lettera di licenziamento. IIl direttore editoriale. È una figura non disciplinata dalla legge o dal Contratto. Si può dire che esercita i poteri dell’imprenditore, che ne è lo stratega e che ne controlla i “prodotti”, suggerisce le decisioni sia per quanto riguarda gli uomini-guida delle testate e sia i programmi operativi. Conclusioni Direttore responsabile e direttore editoriale sono figure antitetiche nel corpo dell’impresa. L’uno, il direttore, è come gli ammiragli in mare (hanno solo Dio sopra di loro); l’altro, il direttore editoriale, è l’azienda editrice del “prodotto” pensato e realizzato dal direttore responsabile. Non ci può essere subordinazione dell’uno all’altro o viceversa. Il direttore responsabile, alla luce dell’articolo 57 del Cp, risponde penalmente di tutto quello che viene pubblicato sul giornale, quindi non solo gli articoli, ma anche la rubrica delle lettere, le inserzioni e i testi pubblicitari. L’articolo 57 (letto in maniera coordinata con l’articolo 7 della legge 633/1941 e con l’articolo 6 del Cnlg), quindi, dà al direttore il potere di controllare articoli, rubrica delle lettere, inserzioni e testi pubblicitari e dall’altro lato obbliga gli articolisti, i curatori delle lettere, delle inserzioni e dei testi pubblicitari a ubbidire. L’ultima parola spetta sempre al direttore responsabile (anche nei riguardi del rappresentante dell’editore). È indubbio che la presenza dell’uomo dell’editore in redazione crea squilibri e potenziali “diarchie”, che non giovano alla serenità della vita redazionale e al rispetto del ruolo del direttore”. Franco Abruzzo, presidente OgL Presidenti degli Ordini regionali dei giornalisti riuniti nella Consulta Paolo Panerai ha rinunciato “Irrituale alle cariche di amministratore la richiesta delle società del Gruppo Class di danni tra colleghi” Prevale il principio dell’esclusiva professionale fissato dalla legge 69/1963 ORDINE 8 2001 Milano, 10 settembre. Su richiesta del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, istituzionalmente impegnato nella tutela dell’integrità e della dignità della professione, il giornalista professionista dott. Paolo Panerai ha concordato con lo stesso Consiglio sul dovere che i giornalisti, in base alla legge professionale e a tutte le regolamentazioni volontarie assunte, non abbiano a essere o ad apparire mai in posizione tale che l’esclusività dell’attività giornalistica possa essere confusa con altre attività, inclusa quella della responsabilità gestionale societaria, se non per le attività editoriali. Per questo Panerai ha volontariamente rinunciato a tutte le cariche di Amministratore unico che ricopriva nelle varie società del gruppo Class Editori, passando ad altri l’incarico e assumendo la presidenza delle stesse. Ha ribadito in tal modo il primato dell’attività giornalistica come garanzia dell’autonomia e della trasparenza dell’informazione. ------Conseguentemente Paolo Panerai rimane iscritto nell’elenco professionisti dell’Albo di Milano e mantiene la direzione responsabile dei quotidiani e dei settimanali del Gruppo Class. Roma, 14 settembre. È irrituale che un giornalista chieda un risarcimento danni ad un altro giornalista “con gli stessi sistemi che si contestano a livello di categoria’’. Così la Consulta dei Presidenti e Vice Presidenti dell’Ordini dei giornalisti si è espressa in relazione alla citazione in giudizio civile con la richiesta di un miliardo avanzata da un collega di Repubblica ai danni del Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sicilia. “La Consulta dei Presidenti e dei Vice Presidenti riunita a Roma il 13 settembre 2001 - spiega una nota dell’Ordine - sottolinea che, nel momento in cui gli organismi rappresentativi della categoria, Ordini in prima li- nea, sono impegnati nel tentativo di porre un argine alle innumerevoli richieste di risarcimento danni nei confronti di colleghi colpiti nell’esercizio della loro attività professionale, appare irrituale che un giornalista colpisca un altro giornalista con gli stessi sistemi che si contestano a livello di categoria. La Consulta ritiene che altre possano essere le procedure per far valere le proprie ragioni, al di là del merito del giudizio’’. La pronuncia della consulta degli Ordini è stata adottata in relazione alla richiesta di un miliardo di lire avanzata dall’inviato di Repubblica, Attilio Bolzoni, nei confronti del presidente dell’ Ordine dei giornalisti di Sicilia Bent Parodi. La prima udienza è stata fissata davanti al Tribunale Civile di Agrigento per il prossimo 26 novembre. Ad un convegno sull’ abusivismo nella Valle dei Templi, Parodi aveva definito Bolzoni ed altri due colleghi, uno della Rai, l’ altro dell’Espresso “colleghi che dimenticano la sacralità della professione e accettano il ruolo di killer su commissione’’. Successivamente aveva aggiunto: “Sono sempre i soliti noti, che fanno informazione pilotata e spregiudicante, sono urtanti, antipatici, prevaricatori e camorristi’’. Secondo l’atto di citazione le parole di Parodi, oltre a ledere l’onorabilità di Bolzoni, che lavorava ad Agrigento sotto scorta della Digos, lo hanno ulteriormente esposto alla rappresaglia degli abusivi che lo individuarono “come uno degli avversari da combattere con ogni mezzo, soltanto per essersi schierato in difesa della legalità, mettendone a rischio l’incolumità personale’’. (ANSA) 9 di Paola Pastacaldi consigliere dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Questo intervento è stato letto il 13 luglio a Genova, alla Berc, Biennale delle riviste europee, all’interno della giornata “Sistemi informativi e comunicazioni di massa” e poi aggiornato con i drammatici avvenimenti delle settimane successive sino alla morte di Carlo Giuliani. I media sono la globalità. La globalizzazione senza i media non sarebbe esistita o sarebbe stata tutt’altra cosa. È la parola stessa, diffusa in chiave globale, che rende globali oggetti, atti e pensieri. E non è un concetto tautologico. Il meccanismo mediatico è una sorta di arcana creatrice e insieme di icona della globalizzazione. Assistiamo stupefatti al suo affermarsi. Cercando di non diventare vittime delle sue illusioni. Nell’offrire il tema della riflessione su media e globalizzazione, desideravo mettere in luce le modalità con cui è stato presentato il G8 al cittadino comune, a colui che per informarsi legge i giornali. Fenomenologia del G8 a Genova Non comprende dunque le inchieste successive, e in particolare quella sui media, della polizia Cosa raccontano i giornali? I media sono idealmente la struttura nervosa di una società, anzi il suo riflettere civile. Dunque al di là delle posizioni dei partiti, delle correnti di pensiero, delle sue frange estreme, pacifiste e non, cattoliche e laiche, analizzare i media, la carta stampa a cui è affidato il compito di informare, significa andare a vedere quale “realtà G8” i media hanno creato per i cittadini, per la società civile. Spettacolarizzare ad ogni costo Il tragico gioco della spettacolarizzazione che affligge l’informazione da quando la tv ha raggiunto l’età adulta ha inghiottito anche la questione G8. La massa di articoli, che ha riempito i giornali, si è trasformata sin dai primi giorni in una guerriglia in modo lento e inesorabile. La guerriglia informativa è stata intrapresa dal potere globale dei media, da tempo disinteressati a raccogliere e a trasmettere il sapere nella sua interezza, dunque nella sua positiva globalità. Disinteressato a indagare e a farsi testimone di ciò che accade. È per questo che non c’è vera libertà di stampa senza che vi sia una sapiente lettura. È importante, cioè, che chi legge capisca, riconosca i moralismi, le spaccature, le adulazioni interessate. Le bugie, i giochi. Ma apriamo i giornali. E leggiamo alcuni titoli. “G8 a difesa dell’aeroporto, batterie terra aria contro eventuali attentati a Genova. Allarme irriducibili, pronti a tutto, l’ultimo rapporto del Viminale. L’ira delle tute bianche: il governo ci provoca. I boicottatori made in Italy. Da un podere in Toscana la sfida alle multinazionali”. I titoli che dovrebbero fare da battistrada ai contenuti sono essi stessi il contenuto: contengono l’allarme, la paura, l’insicurezza. Sin dall’inizio il messaggio è: andare a Genova è pericoloso. Oppure, aggiungiamo noi a posteriori, andare a Genova è diventato l’eterno gioco delle parti. “L’armata dei sognatori e le ragioni dei Grandi”. Raramente siamo in presenza di titoli non inneggianti al conflitto. Ma quando ci sono, introducono ad una visione fortemente moralistica e pietistica del mondo. Eccone alcuni. “La miseria, l’esercito dei poveri, i paesi dell’abbondanza. Il grido di chi soffre, arriverà ai potenti? Ascoltate il grido dei più deboli”. Sino al lacrimoso appello “Io suora durante il vertice marcerò e digiunerò per i poveri”. Anche i titoli che hanno come pretesto gli interventi di Ciampi rimangono prigionieri di una visione basata sul pietismo emotivo: “Iniziativa per i paesi in via di sviluppo. Il nostro impegno per i poveri.” E l’occhiello involontariamente cade in un paradosso: “A difesa dei Grandi 2700 soldati”. La foto è la notizia Decine di foto di poliziotti schierati e armati di scudi ed elmetti accompagnano gli articoli come fossero il logo dell’informazione stessa. La spettacolarizzazione dell’antiglobale Giornalisti a confronto prima del vertice di Genova La globalizzazione e le contraddizioni dell’informazione di Fausta Speranza Un esame di coscienza sulla comunicazione in relazione al G8 prima ancora che il summit si tenesse. È stato anche questo il senso dell’incontro che ha riunito studiosi della comunicazione e giornalisti, a Genova, la settimana prima del fatidico vertice. L’incontro si inseriva nel ciclo di conferenze, dedicate ai vari aspetti della globalizzazione, promosse nell’ambito della Biennale Europea delle Riviste Culturali, che dal ‘99 offre l’occasione di un confronto sulle diverse proposte culturali, perché l’Europa unita non sia solo economica. Nelle varie giornate si è parlato di globalizzazione e cooperazione con i paesi poveri del mondo, di frontiere nazionali e conflitti, di diritti alla cultura e modelli di sviluppo. Un’intera giornata, poi, è stata dedicata ai sistemi informativi e di comunicazione di massa. L’esame di coscienza ha riguardato il clima di 10 alta tensione che si era creato alla vigilia dell’appuntamento, prima ancora dell’inizio delle manifestazioni e del triste epilogo della prima giornata, chiusasi con la morte del giovane Carlo Giuliani. Diversi i contributi alla riflessione. Il professor Anthony Delano, che è stato inviato di importanti quotidiani anglosassoni e che ora è ricercatore e insegnante della School of Media di Londra, ha parlato di un’esasperazione dei toni che tradisce i principi di oggettività e professionalità del buon giornalismo, mentre giornalisti sul campo come Paola Pastacaldi, Gianni Minà e chi scrive hanno denunciato soprattutto il rischio che si perdessero di vista i contenuti. Allargando lo sguardo oltre l’evento, Delano ha messo in luce alcuni rischi dell’informazione globalizzata, che fa rima con digitalizzata. È innegabile che la tecnologia abbia rivoluzionato il modo di fare giornalismo, basta pensare alla quantità di siti web a disposizione che fa impallidire la rosa dei quotidiani esistenti al mondo. Fin qui pochi rischi. Il punto – ha spiegato Delano – è che la globalizzazione delle agenzie di informazione fa sì che sempre meno giornalisti “producano” la notizia e sempre di più la “lavorino” semplicemente. Da autorevole veterano, Delano avverte la necessità di raccomandare ai giovani di conservare la curiosità e la grinta per andare a caccia di notizie, ma si rende anche ben conto che la necessità di cercare un lavoro, in un campo che non offre neanche in Gran Bretagna larghi spazi, catalizza le energie dei novelli giornalisti. L’obiettivo diventa un posto al desk che faccia guadagnare qualche cosa e che inserisca in una struttura. Con buona pace delle notizie da andare a scovare, ci si dedica a quelle già a disposizione sullo schermo, ricco di lanci di agenzie e di tutto il ben di Dio offerto da Internet. Ma – sottolinea provocatoriamente Delano – si trova non ciò che si cerca ma quello che c’è. Su questo ha voluto esprimere il suo punto di vista Michele Mezza, giornalista Rai che ha curato l’avvio di Rainews24, esperimento pilota della Rai in tema di nuovi media. “Non era sempre verde la mia valle” ha tenuto a ribadire, perché “la concentrazione nella produzione di notizie non è cosa di oggi”. Secondo Mezza non si ricorda abbastanza che trent’anni fa il 93 per cento delle news passava attraverso la caporedazione della Reuters, autorevole e più antica agenzia di stampa. Mezza ha poi contribuito alla riflessione, e direi anche ai momenti più accesi di dibattito, rispondendo idealmente ad alcune affermazioni attribuite al cosiddetto popolo di Seattle. Naturalmente, anche di loro si è parlato o meglio di quello che avevano comu- nicato fino alla vigilia del vertice: molta confusione e inesattezze ma sicuramente la voglia di “disturbare” il lavoro dei compunti rappresentanti delle potenze più industrializzate. Il G8 – ha spiegato Mezza – non è la celebrazione del potere assoluto dell’economia, che sicuramente produce anche situazioni più che discutibili nel mondo, ma al contrario è una sorta di democratica pubblicizzazione di quanto avviene nelle stanze dei bottoni. L’ipotesi alternativa – fa presente Mezza - è che le decisioni vengano prese “al 124esimo piano di un grattacielo finanziario”. Sicuramente senza foto di gruppo. È chiaro il messaggio: il potere della finanza e dell’economia non si può demolire impedendo un vertice, che nel regno delle decisioni resta il momento forse più democratico di “partecipazione” ai popoli. Sono le decisioni cui non “assistiamo”, di cui l’informazione non rende conto, come per gli appuntamenti ufficiali, quelle che dovrebbero inquietarci e, semmai, far scendere in piazza. Mantenendo forte il senso dell’autocritica, si dovrebbe dire, però, che si avverte quantomeno il rischio che questa democratica pubblicizzazione dei contenuti diventi il resoconto del menu, delle aree shopping frequentate più o meno dalle varie lady, quando non si debba discutere sull’eventuale assenza della consorte proprio del primo ministro del paese ospitante. D’altra parte, non si sta parlando di globalizzazione? E allora il discorso non può che essere sempre allargato a trecentosessanta gradi sui vari livelli della società e spalmato a livello mondiale. È l’ottica che, seriamente, ha ispirato la relazione del professor Jo Groebel, direttore dell’European Institute for the Media, ORDINE 8 2001 Tutte le foto di questo servizio sono dell’agenzia Olympia. richiede un sofisticato restyling dell’idea stessa. L’antiglobalizzazione ha un guardaroba che merita anche tre quattro colonne e che va dai guanti al casco, al giubbotto sino al modaiolissimo kit del manifestante. La guerriglia è un gioco. Le richieste di Berlusconi per il summit occupano quasi una pagina e si riassumono in un favoloso riquadro illustrato su addobbi verdi degli spazi dedicati ai potenti del G8, sull’illuminazione, sul decoro più frivolo. Di questa fatua descrizione del contesto (estetico ambientale) è arduo immaginare l’interesse, l’utilità. Se non quella di fare bella figura, rappezzare le magagne un po’ come si faceva in Africa, quando in occasione delle visite di personalità internazionali ad Addis Abeba Menelik faceva tirare su strade e palazzi nel giro di pochi giorni, ordinando ai miserabili della città di non farsi vedere durante le parate. A Genova i palazzi e la piazza del G8 erano lustrati, sapevano di pittura fresca, mentre nei budelli a pochi metri correvano i topi e i rifiuti si accumulavano malsani. I media hanno perduto anche un’altra grande occasione per fare divulgazione scientifica. I lettori che non hanno voluto rinunciare a “saperne di più” sono stati costretti a fare un generoso affondo nelle librerie o nelle biblioteche . I più tecnologici hanno navigato in Internet dove c’era tutto e di tutto. Vero o falso che fosse, certo molto di più che sulla carta stampata. L’informazione ha girato alla larga dai giornali già dalle prime battute del famigerato incontro. Nella miriade di copertine che ci sbattono in faccia le figlie di Chaplin, le Ferilli urlanti per la vittoria della Roma, i servizi “veri” sul G8 erano quasi inesistenti e quando c’erano avevano un taglio da avanspettacolo, dove i protagonisti diventano soubrette. Vista la tendenza maniacale della stampa di perso- nalizzare qualsiasi fenomeno anche i più atroci. Ricordo che durante la guerra in Bosnia persino la notizia dei primi stupri aveva trovato spazio in prima pagina grazie ad un fondo che raccontava la storia di una singola stuprata, aprendo la porta a tutte le altre migliaia di donne violate. Come ben sanno i giornalisti i media sanno operare il miracolo: anche il singolo sconosciuto può essere trasformato in personaggio. Manu Chao era in un certo senso l’unico vero personaggio giudicato dai media raccontabile nel contesto mediatico del G8. Con folclore e consueta bonomia. Eccolo comparire come un guru. Uno dei maggiori magazine italiani lo proponeva in copertina (“Il ritorno del clandestino”). Ma con quali contenuti, quale storia? Il linguaggio e le modalità di esposizione, le foto stesse lasciavano intravedere un personaggio che appartiene al fenomeno labile delle mode. Chi amava Manu Chao era meglio si comperasse un disco e stesse a casa. Questa società della comunicazione ama la banalità (cito il sociologo Jean Baudrillard). La comunicazione è la più grande superstizione della nostra era (cito Ignatio Ramonet, direttore di Le Monde Diplomatique). E il giornalismo si fa ambiguo. Gioca su più piani. Manu Chao è una bandiera. Ma che bandiera? La bandiera del so già tutto, la bandiera della banalità, la bandiera del circolo vizioso del ripetere sempre gli stessi concetti, così Manu Chao diventa ciò che la stampa decide che lui sia. Il suo nome viaggia a fianco della parola droga, Seattle, Marcos e G8, un trionfo di Logo. Un altro settimanale si prende la briga di descrivere “quelli del G8” come una nuova razza. I ragazzi del no-global sarebbero quelli con le Nike, contro i Mc Donald’s, con il preservativo in tasca e il matrimonio in chiesa (ma è così strano avere una fede?) e che sognano figli (il numero di figli è ritornato ad essere patrimonio dei partiti e degli opinionisti?). Erba, birra e Internet, idee e look di una generazione. Pensare che tutti fossero così era un tentativo evidente di manipolazione mass mediatica. del fatto che non c’è energia elettrica. Ma è sbagliato pensare che resti l’Africa il fanalino di coda perché situazioni altrettanto difficili si trovano nelle regioni più povere d’Europa, della Russia, delle zone dell’ex Unione sovietica. Per non parlare, poi degli squilibri di casa nostra: in Italia Internet ha raddoppiato negli ultimi due anni il numero di utenti, ha conquistato un italiano su quattro raggiungendo quasi i progrediti livelli della Francia, ma se si individua l’identikit del 95% degli internauti si scopre che ha meno di quarantaquattro anni, è giovane, maschio e del nord. A uno sguardo globale, inoltre, non sfugge che l’88% degli utenti Internet vive nei paesi industrializzati che rappresentano, però, solo il 17% della popolazione mondiale. Non si tratta di mettere in dubbio la positività di Internet, che rappresenta la chiave di accesso al terzo millennio. Resta da chiarire, però, che la magia attraverso la quale lo spazio si restringe, il tempo si contrae, le frontiere scompaiono è affidata a una rete che connette sempre di più chi è connesso ma rischia di escludere sempre di più chi è escluso. Rischia di diventare una conversazione dai toni alti che tacita chi ha poca voce, un discorso compattato che fa a meno di tutti gli spazi per inserirsi, proprio come il sistema digitale che compatta i dati. Tutto ciò va tenuto presente insieme con la consapevolezza che le forze del mercato da sole non correggeranno squilibri e disuguaglianze. L’illusione che il processo di globalizzazione potesse funzionare secondo il principio dei vasi comunicanti, livellando miracolosamente le differenze nella qualità di vita dei popoli, è ormai superata. All’inizio del secolo scorso la proporzione della ricchezza tra Nord e Sud del mondo era in rapporto di 8 :1, oggi è di 70-80 : 1. D’altra parte, è ormai un concetto acquisito quello per cui si deve seguire e gestire la globalizzazione e non lasciarla a se stessa. Proprio in occasione del G8 questo è stato ribadito da autorevoli pulpiti. Resta un esame di coscienza sempre valido: l’informazione dà conto abbastanza di questi dati e soprattutto delle possibili vie di fuga da un mondo sempre più sbilanciato tra chi ha il problema di come mantenere la linea, dosando o dissolvendo calorie, e chi ha ancora l’incubo di come riempire la pancia? È sempre difficile raccontarli nelle stesse pagine. Infine, visto che ci permettiamo un esame di coscienza, ci concediamo anche una raccomandazione: lasciamo aperta la comunicazione e vigile l’informazione sulle ragioni, anche confuse o mescolate, del cosiddetto popolo di Seattle, nonchè popolo di Genova. E questo sia che i vertici si tengano in Italia sia che siano ospitati in altri paesi con spazi più o meno aperti. Ci dovremmo chiedere cosa avrebbe fatto Carlo Giuliani, nel dopo Genova, se la scena dell’estintore non fosse stata girata, cosa fanno o non fanno tanti suoi compagni di piazza all’interno o ai margini della società civile. E c’è ancora da domandarsi chi organizza in vista degli eventi i black block, o da indagare le ragioni dei missionari che, come suor Patrizia Pasini o Frei Betto, non hanno esitato ad esserci a Genova, nonostante il tam tam informativo sui rischi del vertice, sul rischio annunciato che tutto venisse comunicato in secondo piano rispetto alla voce della violenza. I personaggi tollerati: Manu Chao istituto di ricerca no profit fondato dall’ex direttore del Corriere della Sera, Alberto Cavallari. Jo Groebel ha voluto mettere in luce importanti potenzialità dell’informazione nel villaggio globale e digitale in relazione al singolo cittadino. La prospettiva più significativa sarà quella di personalizzare sempre di più il suo sempre più attivo rapporto con tutti i mezzi di comunicazione, che, peraltro, vanno verso la convergenza in un unico medium, annunciata da tempo da Negroponte. Significa, ad esempio, che con la televisione on the demand potrà scegliere programma e orario, con il proprio telefonino potrà navigare in rete e seguire la Borsa. Inoltre, la realtà del singolo utente si fa metafora di una condizione soggettiva da salvaguardare in uno scenario sempre più virtuale. La scommessa – afferma Groebel – resta quella, se vogliamo antica, di rispettare l’umanesimo e la cultura. Una scommessa che in particolare deve vivere l’Europa Unita. Altrimenti la logica del profitto, che regna nel mondo dell’economia, avrà campo di azione in qualunque ambito del villaggio della comunicazione globale in tempo reale. Più umanesimo – pensiamo significa allora, senza tante implicazioni filosofiche, vita reale dei popoli: affetti e sentimenti, dignità e lavoro. Certamente qualcuno all’interno del popolo di Seattle approverebbe ma non è detto che ci si metta d’accordo sul come mettere in pratica tutto questo. Anche al convegno l’atmosfera si è scaldata quando Gianni Minà, giornalista ben noto che ha assunto recentemente la direzione di una rivista che si chiama Latinoamerica, ha parlato di “lobby economiche”, “poteri più o meno occulti”, “dittature moderne” che affamano ORDINE 8 2001 interi popoli “con l’autorizzazione della comunità internazionale e di un’informazione a caccia di tette famose”. È tornato il problema spettacolarizzazione, davanti al quale non ci tiriamo mai indietro se l’ambito di discussione gira intorno ai sistemi informativi perché, altrimenti, certi temi invocano analisi geopolitiche ben più complesse. Resta il fatto che di informazione si è parlato non solo come comunicazione di notizie ma anche come trasmissione di dati, in relazione all’informatica che non a caso condivide la stessa radice linguistica. Internet, dunque, può essere considerata non solo come uno dei media ma anche come metafora della comunicazione di oggi: globale e in tempo reale. La globalizzazione è anche copertura globale dell’informazione. E qui, conservando la lezione sui rischi di un eccesso di tecnologia ma anche sulle potenzialità nuove, vale la pena di chiedersi quale sia la reale diffusione della World Wide Web nel mondo. Va detto che rappresenta lo strumento di comunicazione a crescita più rapida della storia: il telefono per raggiungere il 30% della popolazione ha impiegato trentotto anni e la televisione diciassette, mentre internet lo ha fatto in soli sette anni. Si può trionfalmente affermare che ha cambiato il concetto di spazio e di tempo ma non si può dimenticare che il mondo resta diviso tra ricchi e poveri, tra istruiti e analfabeti, tra informatizzati e non. Nel concreto, un computer costa all’abitante medio del Bangladesh una cifra pari a otto anni del suo reddito, mentre l’americano medio lo acquista con lo stipendio di un mese. In Kenya occorrerebbero dodici anni e in Sud Sudan non si riesce a calcolare perché c’è ancora il baratto, per non parlare 11 Fenomenologia del G8 a Genova Sfogliamo ancora i giornali. “Una volta c’erano le vacanze intelligenti, oggi c’è il G8. Turismo militante, i pellegrini della politica. La sera andavamo alla Sorbona. Rassegna su chi andava da turista nella Parigi del ‘68. Il porto delle spie, chi offre soldi per avere i nomi dei contestatori”. Dentro la poltiglia mediatica che sono stati gli articoli sul G8 è finito triturato per l’ennesima volta anche il rivoluzionario Che Guevara. Negli ultimi anni il Che è stato vampirizzato dai più svariati fenomeni nazional popolari. Nelle foto delle perquisizioni di Matteo Jade, leader genovese del popolo di Seattle, salta fuori anche un manifesto del Che. Il rivoluzionario cubano è stato ucciso da tempo dai media e non da quelli sul G8 dalle vacanze a Cuba e dalle magliette sulla rivoluzione. Un delitto annunciato da Andy Wharol che ne riprodusse il volto come fosse una lattina di Coca Cola. E la divulgazione che fine ha fatto? Il titolo “Il libro nero dell’ambiente” che compare in uno dei maggiori magazine apre qualche speranza. Ma sono solo illusioni. Il libro nero abbraccia tristemente la via dell’allarmismo, fratello di primo letto della spettacolarizzazione. Cosa c’è di meglio per allontanare i lettori dall’argomento che dirgli che saranno sommersi dalle inondazioni e dai maremoti. Che Venezia non ci sarà più. Che le steppe si divorerranno tutto. Che uragani e tifoni, inquinamento atmosferico, temeprature record, malaria e malattie tropicali ci distruggeranno. È vero che sono gli stessi rapporti mondiali sull’ambiente a denunciare una realtà asso- lutamente estrema e drammatica. Ma noi aggiungiamo che l’impatto di queste notizie, come di ogni altra notizia, può essere alzato o abbassato anche solo con diminuendo o aumentando i centimetri di una foto. Anche solo estrapolando concetti limiti e facendone dei titoli come se rappresentassero tutto il contenuto dell’articolo. Anche usando foto di vecchi avvenimenti per rappresentare una realtà che non è ancora accaduta, ma che i media suggeriscono a chi legge, sinuando la paura che potrebbe accadere. La comunicazione è la nuova superstizione Come dice Ignatio Ramonet la comunicazione è la principale superstizione di questa era. Si offre come ultima panacea per risolvere i conflitti dentro la famiglia, la scuola, lo stato, l’ambiente. Ma c’è il sospetto che questa stragrande e variegata abbondanza stia portando nuove forme di alienazione. Anziché liberare gli spiriti i suoi eccessi li imprigionino. Credo che i lettori che possiamo definire sapienti si sentano globalmente rassegnati. Tutto quello che è accaduto nel mondo è stato documentato. Forse non tutto, tutto. Ma quello che conta e che più penalizza i lettori è che questo tutto non viene più contestua- Il ritrovato orgoglio dei giornalisti durante i tragici fatti di Genova Indagare per informare di Marina Cosi vicesegretario nazionale Fnsi All’improvviso, Genova. E l’imporsi dei fatti e del dovere d’informare spazza via le beghe di categoria o almeno ne dimostra tutta la strumentalità, facendo vedere, anche a chi se l’era scordato, il senso vero di questo nostro mestiere. Come un richiamo della foresta per ogni giornalista. Chi ha fatto cronaca, chi ha raccolto testimonianze, chi ha investigato, chi ha selezionato fra l’enorme messe di materiale rovesciata in rete e nelle redazioni dalle telecamerine amatoriali, chi infine senza lavorarci direttamente ha però condiviso il principio deontologico di cercare la verità dei fatti senza pregiudizi e senza timori. Praticamente tutti i professionisti dell’informazione si sono riconosciuti nell’anonimo collega che alla conferenza stampa di domenica mattina, 22 luglio, in questura, urlava: “Siamo al di là delle parti, noi, e abbiamo il diritto, il di-rit-to!, di ottenere delle risposte”. 12 precari) di radio, televisioni minori, testate web, pubblicazioni del volontariato sociale. Loro sono la prova provata di come il mestiere sia vivo pur nel ricambio generazionale e le sue regole deontologiche fortemente condivise e di come, quindi, a noi sindacato tocchi solo di portare a tutti i costi, sotto il tetto del riconoscimento ordinistico e contrattuale, queste migliaia di giornalisti di fatto. (Parentesi: ciò, nel sindacato, alla maggioranza di noi era già chiaro, sin dalle priorità nella strategia contrattuale: non lo è stato nè sembra ancora esserlo per chi più o meno strumentalmente ha preferito inseguire vecchi tromboni o nuovi equilibristi trasversali in nome di polemicuzze precongressuali. Chiusa parentesi). Due cose però sono apparse subito chiarissime, due cose con cui bisognerà fare i conti se si è seri. La seconda cosa è il recuperato rapporto con la società. L’orgoglio di mestiere che ha condotto istintivamente i giornalisti a “fare la cosa giusta” - a cercare, rischiare, indagare per informare - è stata un’iniezione di fiducia ed autorevolezza, non intaccata nella sostanza dalle fisiologiche polemiche e critiche sia interne sia dei lettori/utenti. Eppoi per la prima volta in maniera massiccia è stata sperimentata, per lo meno in Italia, la capienza, la tempestività e la capillarità delle Reti. Con la dimostrazione che le opportunità e le quantità di materiali prodotti dalla diffusione tecnologica di massa (telefoni e computer portatili, apparecchi digitali tele-fotografici, internet, il tutto usato da cittadini e associazioni durante e dopo Genova) non si sostituiscono all’informazione fornita dagli operatori professionisti, ossia da noi, come certuni sostengono, ma le si aggiungono, fungendo da enorme archivio della memoria e da tessuto comunicativo, insomma da superipertesto d’un lavoro giornalistico compiuto nel rispetto delle regole qualitative e deontologiche. Una, il determinante e coraggioso contributo di cronaca fornito dai freelance e dalla moltitudine di giovani colleghi (in maggioranza Regole che alla fin fine hanno presieduto anche alla stesura del pezzo che state leggendo, se avete la compiacenza di Anche per chi, giornalista, ha la delega pro tempore di rappresentare i diritti del lavoro dei colleghi, il senso del proprio impegno sindacale è apparso immediatamente chiaro. Tutelare l’agibilità e l’incolumità dei colleghi al lavoro in piazza, per cominciare (di fronte ai dinieghi degli accrediti, ai discrimini verso le testate e al sospetto verso i freelance), quindi intervenire per ottenerne scarcerazione e referti medici, infine raccogliere tutta la documentazione sulle violazioni alla libertà di stampa e organizzare la denuncia. Il sindacato territoriale e quello nazionale (l’Associazione stampa ligure, assieme all’Ordine ligure, e la Fnsi) si sono mobilitati, ma ancora prima che partisse l’appello ai colleghi a fornire indicazioni, una gran mole di documentazioni scritte e per immagini è cominciata ad arrivare (www.fnsi.it). leggermi, del che vi ringrazio. Nel senso che intendevo raccontare alcuni risultati sindacali, in questo articolo, ma la gerarchia degli eventi, com’è giusto, è stata decisa dalla cronaca e Genova è balzata in apertura. Connessa con un altro evento, la morte di Indro Montanelli, il Grande Cronista, che molti di noi hanno sentito, oltre che come un lutto doloroso, anche come una simbolica concomitanza. È significativo che tutto si sia tenuto anche sul piano degli eventi. Mi spiego (e così intanto rendo conto di che uso faccio del mandato che mi avete conferito delegandomi alla vicesegreteria federale): dopo un paio di settimane di vertenze, peraltro fortunatamente riuscite - come la conclusione del piano tecnologico in Rcs e le corrette reimpostazioni dei piani di Famiglia Cristiana e di Quadratum, l’accordo col liquidatore del quotidiano on line E-Day, la ratificazione dei contratti trasformati in Mediaset da tempo determinato a tempo indeterminato -, nonché dopo un certo numero di riunioni, direttivi e giunte, più lo sbroglio-matasse (definizione casalinga in cui metto sia la gestione tecnica dei problemi diciamo nazionali, dal diritto d’autore agli uffici stampa, sia la consulenza operativa su questioni statutarie, contrattuali o d’accordi a cdr e singoli colleghi), insomma dopo di ciò, era in programma una settimana di fine luglio imperniata su tre eventi. Prima la consegna del Libro bianco sul lavoro nero, messo assieme dalla Fnsi, alla categoria e alle presidenze di Camera e Senato, poi la presentazione del libro di Orlando Fucilate Montanelli!, infine l’incontro col nuovo presidente Fieg. L’avvicinarsi del G-8 ci aveva già dato del filo da torcere, per il rifiuto di alcuni pass e la vicenda delle pettorine Fnsi clonate, ma una serie di iniziative e di dichiarazioni del segretario nazionale, Paolo Serventi Longhi, e del presidente della Ligure, Marcello Zinola, nonché della magistratura genovese (che ha dato d’autorità a un collega il pass negato) facevano ritenere la situazione sotto controllo. ORDINE 8 2001 A N A L I S I Dal convegno di Stresa è emersa l’urgenza di adeguare il diritto all’economia digitale Una battaglia a colpi di copyright lizzato. Il contesto della questione globalizzazione non può essere quello rappresentato dai quotidiani nazionali: la megafoto a due colonne e mezza pagina del militare del battaglione San Marco, armato sino ai denti compreso il cellulare e gli occhiali scuri apparso su un quotidiano. Né il volto che spia dal buco di uno dei blocchi di ferro della zona rossa. Né il passamontagna nero del blocco nero trionfante sull’auto incenerita. Né l’artificiere che smonta la bici dinamitarda. Né la zona rossa zeppa di divise che pare la cittadella del milite. Perché il contesto è divenuto la metafora di una desertificazione ideologica e morale, in cui la verità di una rivoluzione si avvia alla definitiva sconfitta a vantaggio di un potere mostruoso che mette tutto e tutti insieme. Intesse tutto. Assimila tutto. Anche l’opposizione, anche la contestazione. Dapprima la città blindata ha prodotto un terrore virtuale. Poi il terrore virtuale si è materializzato con pacchi bomba. E poi anche un morto, ripreso e visto dalle tv e dalle migliaia di foto. Un morto - e questo è un segno mediatico agghiacciante - quasi in diretta. Un trionfo dei media, una sconfitta per tutti. Quel corpo adagiato a terra nel sangue e inquadrato da un operatore ha incendiato definitivamente la guerra delle parti. Come ha visto Le Monde in una magistrale vignetta - il quotidiano francese che ha scelto di non usare le foto è stato alla fine il più chiaro - faceva vedere come su di lui fioccassero decine di flash per le prime pagine. Dietro un muro i potenti banchettavano avidi e gli ossi del loro pasto volavano alti sino a raggiunge- re i poveri, assiepati dietro il filo spinato. E i contenuti del G8, gli argomenti dell’incontro finivano in coda ai servizi. C’è un modo di dire popolare che Sofri ha ricordato in una delle sue opinioni da prima pagina, prima che il fatto accadesse, “si respira la paura che ci scappi il morto a Genova”, aggiungiamo noi nella città “meticciata dalla globalizzazione antiglobale” e da un’operazione di ordine pubblico tra le più grandi del secolo. Percorrendo, ora che il G8 è concluso, un cammino a ritroso dentro la stampa, dentro le prime pagine, i titoli, le foto, le immagini, i passamontagna, i volti, i militari, le parole utilizzate, le didascalie, appare come in un racconto già scritta la tragica conclusione, il sangue, le botte senza motivo, le aggressioni, la violenza dei pestaggi, anche il morto. La stampa ha raccontato consapevole o meno una trama già scritta. Bisogna saper leggere i giornali, cambiare la nostra relazione con l’informazione. Capire che questo è il potere della mediatizzazione. Questa è la nuova realtà della globalizzazione che nasce dai media. Chiudo dicendo che è necessario avere sempre presente un fatto positivo: un giornale è un’astrazione. Ci sono diversi giornali e ogni giornale è fatto da mille firme, mille teste che cambiano ogni giorno. Un giornale è un sondaggio al giorno, un tentativo al giorno, un ballon d’essai al giorno e una scommessa. Perché la stampa non sia cialtrona e non generi mostri reali o virtuali è necessario imparare e insegnare ai giovani la sapienza della lettura. Paola Pastacaldi Poi è successo quel che è successo e l’ordinata processione degli eventi previsti è saltata. Venerdì son cominciate a piovere telefonate di denuncia dai colleghi impegnati a seguire le manifestazioni, in un crescendo affannoso sabato e poi domenica, per cercare i giornalisti non solo italiani feriti, arrestati, “scomparsi”. L’alba della nuova settimana, che sarebbe dovuta essere l’ultima prima della breve interruzione festiva federale, s’è aperta con le polemiche internazionali sul crescendo di violenze a Genova, con la camera ardente di Montanelli a Milano, con l’esigenza di allestire con basi a Roma (Fnsi) e Bruxelles (Ifj) una raccolta di testimonianze e documenti visivi sulle lesioni alla libertà di stampa. È il bello della diretta, anche nel lavoro sindacale. ad esprimere anche collettivamente le proprie opinioni. A qualcuno la nostra iniziativa non è piaciuta, ma anche questo è un diritto rispettabile. Arriviamo così a mercoledì 25 luglio, giornata densissima perché prima della presentazione del libro bianco ed in qualche modo intrecciando gli argomenti, si trasforma volutamente l’affollatissima assemblea in un dibattito su Genova e i diritti dell’informazione. Parlano i colleghi che per tre giorni e per tre notti hanno seguito gli eventi, che hanno filmato chilometri di pellicola, scritto decine di pezzi, ma anche preso manganellate, che hanno avuto le macchine rotte ed i rullini sequestrati, che molto spesso si sono posti coraggiosamente come “forze d’interposizione” fra manifestanti e polizia e fra manifestanti pacifici e frange violente, che hanno collaborato con la magistratura, che vogliono che la verità o almeno quanta più verità possibile sia ristabilita. In aula ci sono anche diversi parlamentari e lo stesso ministro della comunicazione Gasparri, intervenuto per discutere di precariato, ma che non si sottrae alla discussione su Genova. Nel pomeriggio la presentazione del libro su Montanelli è un’importante occasione per riflettere, anche questa volta a sala piena, sia pure d’un pubblico differente, sul senso della nostra professione, sul dovere di essere prima di tutto e in maniera prevalente cronisti. Genova entra di prepotenza anche in questa discussione, soprattutto per ricordare che i giudizi, scrivendo, lo diceva Indro, debbono venire dopo che sulla carta sono stati scritti fatti e poi fatti e poi ancora fatti. L’indomani, venerdì, la settimana si chiude con l’incontro fra la segreteria Fnsi ed il vertice Fieg guidato da Luca Cordero di Montezemolo: si stende un elenco di argomenti da trattare e se ne discute subito uno, la normativa sulla diffamazione, cercando e trovando una linea comune. Linea che un’ora dopo il presidente Fieg avanzerà nell’incontro, anch’esso già previsto da tempo, al ministero. Il lavoro sindacale continua. Mentre una delegazione di Giunta Fnsi rendeva omaggio alla salma di Indro, come segreteria federale lunedì siamo andati dal presidente della Camera per denunciare il lavoro nero nel giornalismo e consegnare la documentazione raccolta nel “libro bianco”, com’era preordinato, ma ovviamente siamo intervenuti con Pierferdinando Casini anche sui fatti di Genova. L’indomani si sono tenute nelle città dimostrazioni pacifiche contro le violenze, ed il segretario ed io abbiamo partecipato al corteo di Roma, peraltro assieme a molti colleghi italiani e stranieri che erano lì sia per lavoro sia per testimoniare l’intangibilità del diritto costituzionale Invito i colleghi ad inviare materiale su “libertà di stampa e Genova” al sito federale già citato (www.fnsi.it), come pure alla Federazione internazionale (www.ifj.org) e all’Associazione ligure dei giornalisti (via Fieschi 3/26 -16121 Genova). ORDINE 8 2001 di Laura Turini Le imprese, ormai da tempo, hanno preso coscienza di quanto Internet sia un potente mezzo di comunicazione sul quale possono svilupparsi importanti relazioni commerciali internazionali e che consente, a chi fornisce prodotti o servizi, di disporre di un mercato sconfinato e in continua e rapida espansione. Questo aspetto, di indiscusso interesse economico, ha determinato l’insorgere non solo di liti per l’acquisto di importanti spazi di visibilità in Rete, legate principalmente all’utilizzo di nomi a dominio significativi, ma anche l’acuirsi di rivalse legali per impedire a terzi di utilizzare tecniche e contenuti fino a oggi monopolio di pochi. Una tale prospettiva è particolarmente preoccupante in una società come la nostra, in cui si tende alla “standardizzazione” dei prodotti, che se da un lato consente una maggiore interazione tra culture di tutto il mondo, dall’altro conferisce a chi produce gli standard un potere eccessivo e ingiustificato. Se chi possiede materialmente i cavi telefonici potesse decidere anche cosa possono dirsi le persone che li utilizzano, sarebbe davvero drammatico, così come c’è da augurarsi che non si avveri la previsione di Lawrence Lessig che vede nell’introduzione delle trasmissioni su banda larga un pericolo concreto per la libertà di parola. In questa importante fase della storia dell’umanità il giurista è chiamato a conoscere la tecnica per comprenderne le conseguenze non evidenti, ma al tempo stesso è chiamato a ponderare le proprie decisioni, con lo sguardo diretto al futuro. Valori fondamentali quali la libertà di parola, la libertà di impresa e la concorrenza paritaria tra le imprese non possono venire meno, neanche online. Questo è quanto è emerso anche recentemente al convegno tenutosi a Stresa il 4 e 5 maggio, organizzato dal Centro nazionale di Prevenzione e difesa sociale, nel corso del quale si è discusso del rapporto tra diritto ed economia, evidenziando come spesso l’utilizzo di certi strumenti giuridici giuochi un ruolo fondamentale nell’evoluzione della vita sociale. Diritto d’autore Il caso Napster ne è un esempio. La legge sul copyright, varata per ricompensare gli artisti dello sforzo creativo, consente ai produttori di guadagnare rilevanti somme dal pagamento dei diritti da parte dei consumatori, dei quali solo una minima parte va poi materialmente a finire nelle tasche degli autori. Napster, al di là della violazione o meno del diritto di copyright, ha dimostrato come sia possibile diffondere, e anche vendere, musica in un modo nuovo, eventualmente anche facendo a meno dei produttori e dei distributori tradizionali, consentendo agli autori di guadagnare di più e ai consumatori di ottenere lo stesso prodotto a un prezzo più basso. Una tale possibilità non può non fare paura e per questo le major, che attualmente detengono l’80% del mercato, sono intenzionate più a fare chiudere i siti scambia-files che a crearne di propri e concorrenziali, proprio per evitare che si diffonda la consapevolezza di un mercato che potrebbe gravemente nuocere i propri interessi. “Cosa impossibile - ha ribadito David Boies, avvocato del governo degli Stati Uniti nel caso Microsoft e difensore di Napster e di altre società del settore della musica online - per quanto si tenti di fermare sistemi come Napster, ormai si tratta di un processo irreversibile con il quale le società della old economy devono inevitabilmente fare i conti”. A conferma di questa affermazione basti pensare che in questi giorni MP3.com ha iniziato a vendere Cd “compressi”, che gli utenti possono scaricare direttamente tramite Internet sul proprio computer. Vecchio contro nuovo Utilizzare gli strumenti tradizionali, quali la legge sul copyright, per impedire il diffondersi di nuove forme di comunicazione e di mercato è indubbiamente un errore. Ciò non significa, e ormai è indiscutibile, che su Internet tutto sia permesso, ma solo che occorre ridimensionare certe posizioni estremistiche. La proprietà intellettuale è destinata a giocare un ruolo fondamentale, ma deve essere reinterpretata. Non a caso a Stresa si è parlato della teoria degli “Essential Facilities”, presentata da Gustavo Ghidini, professore di diritto industriale alla Luiss di Roma, in base alla quale è importante che i mezzi essenziali per fornire beni o servizi siano a disposizione di tutti, mentre non è ragionevole che, attraverso il copyright o altri diritti di proprietà intellettuale, si possa impedire a qualcuno, ingiustificatamente, di utilizzare qualcosa che non potrebbe procurarsi altrimenti. Se così fosse si determinerebbero posizioni di monopolio gravi e insostenibili. La proprietà intellettuale deve essere salvaguardata e remunerata, ma non può essere uno strumento per tagliare la strada al progresso. È un sentimento collettivo, che si avverte sia tra i consumatori sia tra i giuristi, che non si possa continuare solo a reprimere e che in certi casi lo si stia facendo in modo eccessivo. La tecnologia consente di ostacolare il diffondersi dei dati ben oltre quanto sia concesso. Basti solo considerare che i filtri o i meccanismi che impediscono il downloading di certi file, crea un monopolio di fatto, indipendentemente dal fatto che quei contenuti siano coperti o meno da diritto d’autore. Ripensare il copyright In questo clima di ripensamento della legge sul diritto d’autore è intervenuta la Danimarca nella persona del ministro della Cultura Elsebeth Nielsen, che ha varato una proposta di legge in base alla quale sarà consentito non solo duplicare i cd, ma anche scaricare musica e copiarla sul proprio computer per uso personale. Si tratta di una presa di posizione che ha suscitato le ire delle società musicali e della quale è difficile prevedere gli sviluppi ma che dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che la società reclama una svolta che il diritto, e chi lo applica, non può evitare che avvenga. da Il Sole 24 Ore del 18 maggio 2001 I gruppi Usa temono Internet “Il diritto d’autore scomparirà” Fra le aziende multimediali americane è ormai allarme per il diffondersi dei sistemi peer to peer, che permettono lo scambio di dati tra computer via Internet. A descrivere i timori dell’industria Usa è stato ieri l’economista del Mit, Lester Thurow. Il fenomeno è iniziato con Napster, il sito utilizzato fino a poco fa da milioni di appassionati per scambiarsi i brani musicali gratuitamente. E con la “banda larga”, entro breve, potranno essere scambiati anche i film. In violazione del copyright. Senza che le imprese abbiano trovato una soluzione. dal Corriere della Sera dell’8 settembre 2001 13 D Il Tribunale civile di Milano conferma la sanzione inflitta dal Consiglio della Lombardia al direttore e a un inviato di “Oggi” E O N T O L Milano, 18 settembre. “Con la pubblicazione delle generalità e dell’immagine di un minore, il comportamento in concreto tenuto dal giornalista estensore dell’articolo e dal giornalista direttore della testata è idoneo a violare le norme di legge dettate a tutela della personalità altrui (sub specie di lesione della normativa a tutela dei minori, come approvata dalla Convenzione di New York e recepita nel nostro ordinamento con legge 176/1991) nonché ad essere valutato come non conforme al decoro ed alla dignità professionali così da compromettere anche la dignità dell’Ordine (sub specie di violazione di precisi intendimenti fatti propri dalla categoria con la sottoscrizione delle Carte di Treviso e dei doveri)”. È questo il filo conduttore della sentenza n. 8009/2001 con la quale la quinta sezione civile del Tribunale di Milano (Francesco Malaspina, presidente; Maria Iole Fontanella e Caterina Apostolati, giudici; Renzo Magosso e Maria Grazia Marzatico, giornalisti giudici aggregati) ha ritenuto “meritevole di conferma il provvedimento del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti O G I A e ciò anche in relazione alla diversità di sanzioni inflitte ai ricorrenti medesimi (censura al direttore della testata e avvertimento all’estensore dell’articolo) stante la diversità di ruolo degli stessi, adeguatamente valorizzata nel citato provvedimento”. I ricorrenti sono Paolo Occhipinti e Massimo Laganà (nelle rispettive qualità di direttore del settimanale Oggi e di autore dell’articolo). Il Consiglio nazionale aveva confermato la decisione del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Il Pm ha chiesto la conferma delle delibere sanzionatorie del Consiglio nazionale e del Consiglio dell’Ordine di Milano. Il procedimento riguarda la pubblicazione di un articolo relativo alla vicenda della minore Serena Cruz, della quale veniva pubblicato su Oggi del 14 giugno 1995 il nuovo nome e cognome nonché il luogo di abitazione della famiglia adottiva unitamente ad immagini fotografiche riproducenti la minore stessa. Il giornalista che pubblica il nome del minore ferisce la dignità della professione MOTIVI DELLA DECISIONE. Deve, preliminarmente, osservarsi come il dott. Occhipinti ed il dott. Laganà non contestino le circostanze di fatto poste alla base dell’irrogazione delle rispettive sanzioni disciplinari (quanto all’avvenuta pubblicazione dei dati anagrafici della minore nonché delle riproduzioni fotografiche della stessa) bensì la qualificazione e l’incidenza dal punto di vista deontologico dei fatti stessi, così come riportati dai Consigli regionale e nazionale nei rispettivi provvedimenti. In particolare, i ricorrenti sottolineano come l’articolo avesse lo scopo di rendere edotta l’opinione pubblica dell’esito di una vicenda che alcuni anni prima aveva formato oggetto di ampio dibattito anche giornalistico, come la stesura dell’articolo non avesse in concreto comportato alcun effetto pregiudizievole per la minore stessa, come la pubblicazione fosse avvenuta con il consenso dei genitori e come, infine, la redazione dell’articolo dovesse essere ritenuta quale legittima estrinsecazione del diritto di cronaca. Detti rilievi, peraltro, non appaiono - a parere del Collegio meritevoli di positiva considerazione, onde deve farsi luogo alla conferma della impugnata decisione, siccome esente da censure e congruamente motivata. Ed infatti, l’articolo oggetto di contestazione si incentra sulle dichiarazioni rese nel corso di un’intervista dai genitori adottivi di una bambina che - conosciuta con il nome di fantasia di Serena Cruz - era diventata protagonista di un fatto di cronaca circa cinque anni prima della pubblicazione dell’articolo per cui è causa, per essere stata allontanata - con provvedimento del Tribunale per i minorenni di Torino - dalla propria famiglia adottiva e per essere stata affidata ad una diversa famiglia (che è quella con la quale tuttora vive ed in favore della quale si è perfezionato il procedimento di adozione definitiva). Su questa vicenda, quindi, si era aperto agli inizi degli anni ‘90 un acceso dibattito che aveva coinvolto tutta l’opinione pubblica, anche in relazione alle scelte effettuate dal legislatore nella regolamentazione delle adozioni nazionali ed internazionali. Proprio in connessione con questa ed altre vicende che nel medesimo periodo avevano avuto come protagonisti dei minori, l’Ordine dei giornalisti aveva avvertito la necessità di regolamentare in modo più puntuale i limiti e le modalità di intervento dei propri iscritti nella presentazione al pubblico di tali casi, onde erano state assunte delle precise indicazioni in materia sia nell’ambito della cosiddetta Carta di Treviso sia nella Carta dei Doveri del Giornalista. In particolare, la carta di Treviso - sin dalla sua prima formulazione del 5.10.90 ed in modo ancora più evidente nella sua nuova formulazione del novembre 1995 - prevede espressamente “il rispetto per la persona del minore, sia come soggetto agente, sia come vittima di un reato, richiede il mantenimento dell’anonimato nei suoi confronti, il che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione; la tutela della personalità del minore si estende a fatti che non siano specificamente reati”. Ed ancora, la Carta dei Doveri del Giornalista prevede che il giornalista: “non pubblica il nome o qualsiasi elemento che possa condurre all’identificazione dei minori coinvolti in casi di cronaca; evita possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti portati a rappresentare e a far prevalere esclusivamente il proprio interesse; valuta, comunque, se la diffusione della notizia relativa al minore giovi effettivamente all’interesse del minore stesso”. La richiamata Carta dei Doveri, poi, prevede espressamente che la violazione delle summenzionate disposizioni costituisce violazione dell’art. 2 L. 69/63 e comporta l’applicazione delle conseguenti sanzioni disciplinari. Tutte le prescrizioni sopra richiamate, quindi, devono essere ritenute idonee a costituire una esemplificazione del contenuto “in bianco” delle norme regolamentari di cui al citato art. 2 nonché all’art. 48 della legge 69/1963. Ed infatti, recita l’art. 2 della legge 69/1963: “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”; ed ancora recita l’art. 48 della legge citata: “Gli iscritti nell’albo, negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare”. Orbene, letto l’articolo per cui è contestazione, non può non ritenersi - conformemente a quanto sul punto assunto dai Consigli regionale e nazionale - che il comportamento in concreto tenuto dal giornalista estensore dell’articolo e dal giornalista direttore della testata sia idoneo a violare le norme di legge dettate a tutela della personalità altrui (sub specie di lesione della normativa a tutela dei minori, come approvata dalla Convenzione di New York e recepita nel nostro ordinamento con L. 176/91) nonché ad essere valutato come non conforme al decoro ed alla dignità professionali così da compromettere anche la dignità dell’Ordine (sub specie di violazione di precisi intendimenti fatti propri dalla categoria con la sottoscrizione delle richiamate Carte di autoregolamentazione). Ciò in quanto l’articolo in esame si apre con il titolo principale del seguente testuale tenore: “Ora Serena si chiama Camilla Nigro ed è felice”, prosegue con l’espressa enunciazione dei dati anagrafici completi dei genitori e delle sorelle della minore (precedentemente nota al pubblico solo con un nome di fantasia), indica il luogo di residenza e si correda di fotografie della minore da sola ed unitamente al proprio nucleo familiare. Non può, dunque, esservi dubbio sul fatto che il citato articolo sia idoneo ad integrare tutti gli estremi oggettivi della contestazione effettuata mentre la gravità di tale comportamento, contrario ai dettami deontologici, non risulta neppure, attenuata da una concreta esigenza connessa al diritto di cronaca, posto che - al momento in cui l’articolo è apparso la vicenda non costituiva più oggetto di interesse attuale e concreto (risalendo le vicende dei provvedimenti giudiziari di modifica dell’affidamento a ben cinque anni prima e non essendo intervenuto, nelle more, alcun avvenimento concreto, ulteriore e nuovo, nella vicenda medesima). A maggior gravità dell’addebito contestato, poi, deve ulteriormente rilevarsi come la pubblicazione dell’articolo - anche di analogo tenore - ben avrebbe potuto avere luogo omettendo la pubblicazione delle fotografie e dei dati anagrafici della minore, che poteva agevolmente essere individuata con il nome di fantasia di “Serena Cruz” (nome con cui, tra l’altro, era nota al pubblico). Né, infine, tali oggettive considerazioni possono essere contraddette dal tenore delle difese di parte ricorrente (in base alle quali la pubblicazione dell’articolo sarebbe avvenuto con il consenso dei genitori e senza che la minore ne subisse alcun pregiudizio psicologico). Ed infatti, l’allegata circostanza della mancanza di conseguenze pregiudizievoli per la minore all’esito della pubblicazione (su cui i ricorrenti hanno chiesto darsi ingresso a prova testimoniale) appare del tutto ultronea, posto che l’evitare il pericolo di tali danni psichici per i minori costituiva la ratio dell’adozione della norma comportamentale cui hanno aderito i giornalisti, ma non costituisce certo elemento costitutivo dell’illecito contestato. Parimenti risulta irrilevante l’assenso espresso dai genitori alla pubblicazione, posto che tutte le norme come sopra riportate vengono dettate nell’esclusivo interesse del minore stesso e ciò anche contro possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti (conf. Carta di Treviso sopra citata) E che nella fattispecie i genitori della minore, nel consentire e rilasciare l’intervista, avessero avuto di mira più il loro interesse personale che quello della minore si ricava proprio dal tenore delle dichiarazioni riportate nell’articolo in oggetto laddove gli stessi testualmente dichiarano: “Abbiamo ascoltato in silenzio ogni genere di sciocchezze, senza mai reagire, perché nostro dovere primario era quello di proteggere la privacy della bambina e, dunque, non volevamo alimentare ulteriori polemiche. Adesso, pero, è giunta l’ora di liberare i nostri sentimenti”. Orbene, proprio dal tenore di tali dichiarazioni si evince come le motivazioni che hanno indotto i genitori della minore a rilasciare l’intervista fossero state esclusivamente di carattere personale e non certo finalizzate alla realizzazione uno specifico interesse della minore, né i ricorrenti hanno spinto le proprie difese fino ad allegare che la pubblicazione dell’articolo in questione fosse stata realizzata, appunto, nell’interesse della minore stessa (conf. Carta dei Doveri sopra citata). Da tutto quanto sopra consegue, quindi, la valutazione di fondatezza dell’addebito disciplinare contestato agli odierni ricorrenti, ritenendosi, pertanto, meritevole di conferma il censurato provvedimento del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti e ciò anche in relazione alla diversità di sanzioni inflitte ai ricorrenti medesimi (censura al direttore della testata e avvertimento all’estensore dell’articolo) stante la diversità di ruolo degli stessi, adeguatamente valorizzata nel citato provvedimento. P.Q.M.Il Tribunale, pronunciando in camera di consiglio, così provvede: rigetta il ricorso ex art. 63 L. 69/63 proposto dai ricorrenti avverso il provvedimento assunto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti in data 12.12.2000. Corte d’Appello La Rai dovrà reintegrare Furio Focolari 14 Roma, 21 luglio 2001. La Rai dovrà reintegrare nel suo posto di lavoro il giornalista Furio Focolari, licenziato nell’ottobre del ‘96 con l’accusa di aver commesso irregolarità relative alla fornitura di capi di abbigliamento ai giornalisti dell’ azienda per le Olimpiadi di Atlanta. Lo ha reso noto l’avvocato del giornalista Domenico D’Amati secondo il quale la sezione lavoro e previdenza della Corte d’Appello di Roma ha anche condannato l’azienda di viale Mazzini a versare a Focolari gli stipendi arretrati. I giudici di primo grado avevano dichiarato illegittimo il licenziamento, ma non avevano accolto la richiesta di reintegro nel posto di lavoro. La Corte, presieduta da Silvio Sorace, ha infine disposto che la causa prosegua per l’esame della domanda di risarcimento danni, alla salute e all’immagine avanzata nei confronti della Rai. Nel ‘96 Focolari fu incaricato dall’azienda di trattare con una società di abbigliamento l’acquisto delle divise Rai per le Olimpiadi. Il giornalista fu accusato di aver consentito alla ditta di apporre sulla divisa anche il proprio marchio in modo che fosse ripreso dalle telecamere durante le Olimpiadi. ‘’I giudici - ha detto l’avvocato D’Amati - hanno visionato ore di filmati televisivi e non hanno mai visto quel marchio constatando che si è trattato di una montatura indegna e indecorosa nei suoi confronti’’. (ANSA) ORDINE 8 2001 I N O S T R I L U T T I Pam, un “cuciniere” di talento che lavorava con rigore (ma senza ansia) di Sandro Rizzi Alla fine del 1993, prima di andare a Cremona per fare nascere un nuovo quotidiano, Pier Augusto Macchi mi lasciò un foglietto con una ventina di righe: “Così - aggiunse sorridendo - non dovrai fare fatica in archivio se un giorno dovrai ricordarti del Pam...”. Lo presi in giro per l’auto-coccodrillo. C’era tutto “il Pam” (la sua sigla era divenuta il suo soprannome) in quel gesto da giornalista previdente: l’ironia anche su se stesso, il gusto per la battuta e il paradosso, la capacità di sdrammatizzare, di sciogliere le tensioni, di lavorare con rigore ma senza ansia. Ho ritrovato quella biografia domenica 2 settembre, quando la figlia Adriana chiamò dall’ospedale di Belluno per dirmi che papà era morto. A 73 anni (e ha voluto rimanere tra le montagne, nel piccolo cimitero di Vinigo di Cadore, poco distante da Cortina, dove s’era innamorato d’una vecchia osteria dell’800 e l’aveva trasformata facendone la sua casa delle vacanze). Scriveva il Pam: “Quarant’anni nei giornali, quasi tutti nei quotidiani, quasi sempre in “cucina”, in quasi tutti i ruoli. Comincia nel 1950 a Torino, alla Gazzetta del Popolo. Poi al Corriere della Sera, dieci anni di cui gli ultimi come segretario di redazione: direttori Missiroli, Russo, Spadolini. Due anni a Genova, redattore capo, per rivoluzionare con Piero Ottone il vecchio Secolo XIX. Da lì a Roma, redattore capo “in prima” al Messaggero di Sandro Perrone. Una parentesi di 2 anni, sempre a Roma, come direttore dell’Aga, agenzia di servizi per i quotidiani locali. Nel ‘77 Caracciolo lo incarica di far rivivere Il Tirreno di Livorno, innovativo “tabloid” di provincia che diventerà capofila di una solida catena. Nel ‘78 torna a Milano, responsabile del progetto quotidiani locali del gruppo Rizzoli. Dirige il Corriere d’Informazione puntando sul “giornale di servizio”. Dirige anche L’Occhio, con un disperato ma vano tentativo di salvare il primo popolare italiano dagli errori di origine. Poi due anni alla Mondadori, come redattore capo centrale di Panorama. Infine ancora al Corriere per occuparsi dell’introduzione delle nuove tecnologie. Nel 1993 gli è affidata la direzione del nuovo quotidiano di Cremona Cronaca Padana che esce il...”. Si chiudono con i puntini gli appunti di Macchi. Posso andare avanti io, un po’ colpevole di averlo indotto a tuffarsi in quella che doveva essere la sua ultima avventura al timone d’un nuovo giornale di provincia, in con- Pier Augusto Macchi in una foto conservata nell’archivio dell’Ordine. ro. Macchi vi trasfuse le esperienze di Livorno, dove aveva introdotto la fotocomposizione, e di Padova (L’Eco di Padova): qualche redattore gli sarà certo ancora grato per gli insegnamenti. Al Corriere i più vecchi lo ricordano come l’esempio di segretario di redazione, regista attento e sicuro della macchina logistica: dai corrispondenti all’archivio ai fotografi agli stenografi agli autisti. Alberto Cavallari ne magnificava le capacità organizzative, i tabelloni con le “posizioni” degli inviati (ora quel ruolo ha subìto una profonda evoluzione). Era sempre pronto a sperimentare le novità tecnologiche, intuendo che avrebbero facilitato molti compiti della redazione. Incapace di staccare, alla fine degli anni ‘80 quando arrivarono i primi videoterminali del sistema Atex, lui tornò come consulente e ci aiutò a dimenticare la macchina per scrivere “meccanica”, insegnandoci a ripetere sul video le manovre che eravamo abituati a fare sulla carta. Bell’uomo, tre figli da due mogli, un po’ bohémien, come sapevano esserlo quelli della sua generazione, ma sempre in “stile Corriere”, pensò soprattutto al lavoro, la vera grande passione, più che al resto. Non meritava le ultime amarezze, perché ha sempre creduto nei giornali che ha fatto. Forse più di certi editori. correnza con lo storico quotidiano cittadino: una sfida che gli era congeniale. Se fossi stato preveggente avrei dovuto suggerirgli di godersi la pensione tra le montagne che amava. Lui aveva accettato con il solito entusiasmo. S’era messo a disegnare menabò, a studiare la foliazione e la diffusione, aveva scelto una buona squadra, puntando anche su una pattuglia di ragazzi della Scuola di giornalismo della Rizzoli, di cui era stato insegnante severo e nel contempo paterno. Ma con un gruppo editoriale improvvisato e raccogliticcio, in un ambiente dai complessi equilibri di potere, la navigazione fu subito tempestosa per un direttore abituato a dare sempre le notizie chiunque ne fosse il protagonista. Dopo pochi mesi Macchi si rifiutò di decimare la redazione e fu estromesso senza tanti complimenti. Presto seguì il fallimento e un gruppetto di giornalisti superstiti riuscì ad ottenere la testata per dare vita a un bisettimanale che, dalla fine del 2000, è ridiventato quotidiano. Nonostante una sentenza favorevole, Pam non ebbe una lira e Cremona per lui rimase soltanto un cattivo ricordo, reso ancor più amaro dai suoi malanni che si acuirono. Al di là dell’epilogo, Cronaca Padana fu un esempio di giornale locale vivace e battaglie- Con Antonio Terzi finisce il grande artigianato del giornalismo colto Chi ha avuto la fortuna e il privilegio di lavorare con lui, di averlo come direttore (di ABC, di Gente, della Domenica del Corriere, di Club 3) o come vicedirettore (del Corriere della Sera), ha potuto concepire il giornalismo - quantomeno negli anni trascorsi accanto a lui - come una delle professioni più belle, più gratificanti, più nobili del mondo. Poi le cose passano. Si smette di sognare. Si torna con i piedi per terra. Si torna a capire che il giornalismo è una professione. E basta. Non ci si illude più. Il tempo delle crociate è finito. Forse è finito con lui, con Antonio Terzi, giornalista, nato a Bergamo, vissuto e morto a Milano l’8 settembre 2001. Otto settembre: data della morte di qualcosa. Antonio Terzi aveva 76 anni, una moglie, due figli, un nipotino, un grande amore: la penna. Intendo la penna stilografica, ma anche quella con il pennino che s’intinge nell'inchiostro. Con quel tipo di strumento scrisse cinque romanzi che chi li ha letti non riuscirà a dimenticare mai. Ricordiamoli: La sedia scomoda, Morte di un cattolico, La fuga delle api, L’assoluto sentimentale, La moglie estatica. Hanno vinto premi importanti, uno è arrivato in finale al Campiello. Sono romanzi, ma anche cronache. Terzi lavorava sulle storie, sulle persone, sulla loro psicologia, gli veniva bene studiare l’uomo e i suoi sentimenti, le sue stranezze e i suoi moventi, e poi descriverli con quella stupefacente semplicità che è dei grandi scrittori. Marisa Fumagalli ha scritto un bellissimo ricordo di lui sul Corriere della Sera. «Il direttore Terzi», ha scritto, «con una punta di cinismo e di vanto, diceva: “Solo i giornalisti colti sono in grado di confezionare un buon popolare”. Detestava i gadget, convinto che i lettori si conquistassero con le copertine azzeccate e i buoni articoli. Terzi era un autentico maestro di giornalismo, aveva un gusto tutto artigianale del mestiere». Difficile, impossibile dire meglio. Dobbiamo tutti ringraziare Marisa Fumagalli. Terzi, negli anni Settanta, seppe trasformare un settimanale popolare in uno dei settimanali più incisivi e autorevoli anche dal punto di vista politico, pur non perdendo un solo lettore tradizionale, anzi acquisendone di continuo, fino a superare il mezzo milione di copie vendute. I terroristi se ne accorsero. www.ecostampa.it RASSEGNA STAM PA AncheHTML atostra in foprm er la vo net Intra ORDINE 8 2001 L’ECO della STAMPA è tra i più importanti operatori europei nell’industria del MEDIA MONITORING. Essere un partner affidabile per chi - in qualsiasi struttura pubblica o privata - operi nell’area della comunicazione o del marketing è, ormai da 100 anni, la nostra mission. Anche grazie ai servizi di ECOSTAMPA Media Monitor SpA (media monitoring, software, web press release, media analysis, directories…) ogni giorno migliaia di nostri Clienti accrescono l’efficacia delle loro Direzioni Marketing e Comunicazione, disponendo di maggiori risorse interne da dedicare alle attività con più alto valore aggiunto. Un giorno il generale Dalla Chiesa lo mandò a chiamare. «Vuole la scorta?». «Non ci penso nemmeno». Come vicedirettore aveva voluto Gilberto Forti, un altro cervello prestato al giornalismo: parlava sette lingue; aveva tradotto in italiano i romanzi di Karen Blixen; aveva scritto, in endecasillabi rimati, Il piccolo almanacco di Radetzky. Che coppia! Che giornalismo! Chi ha avuto il privilegio di lavorare con quei due ha conosciuto qualcosa che non si può descrivere: la felicità della professione. Chiusa la Domenica del Corriere, Piero Ostellino chiamò Antonio Terzi al Corriere come suo vice. I «vecchi», e anche quelli che allora erano ragazzini e adesso sono di mezza età, lo amano ancora. Non ha lasciato nemici. Solo rimpianto. Se desiderate saperne di più …o fare una prova, contattateci! Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444 E-mail [email protected] ® L’ informazione ritagliata su misura. Nominativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Azienda ...................................................... Indirizzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cap/Città .................................................... Telefono/Fax E-mail ................................................ ................................................ OG di Luciano Garibaldi ECOSTAMPA MEDIA MONITOR SpA 15 (23) I N O S T R I L U T T I Le avventure, i reportages, i commenti, i libri: la lunga “cavalcata del secolo” di un maestro del giornalismo internazionale Dal nostro di Pilade del Buono “È un incontro con me stesso. Mi immagino in viaggio verso la mia casa in Toscana, lì dove c’è il mio passato, quel mondo che sento di avere in qualche modo tradito. Non è cambiato nulla. Suono, grido il mio nome, ma nessuno mi apre. Dietro il cancello chiuso c’è l’altro me stesso, quello fedele a un mondo lontano: non mi lascia entrare. Non ho mai trovato il coraggio di farla fino in fondo questa confessione. Non ho mai trovato il tempo di scriverlo questo racconto. Che muoia con me”. Ora Indro è tornato a casa, e i due Montanelli rivelati tanti anni fa a Bruno Manfellotto, riappacificati, riposano insieme. La storia di Montanelli, - “un carattere felicemente insopportabile”, chioserà qualcuno -, è un libro già scritto, riversato in cento titoli e in migliaia di articoli, frutto dell’attaccamento al lettore, sentimento prioritario a ogni ambizione, e della conseguente curiosità di chi, di generazione in generazione, con pari sentimento l’ha ripagato, pretendendo esclusiva attenzione dal proprio campione. La perfetta simbiosi è consacrata dal suo ultimo atto pubblico, il necrologio che comparirà sul Corriere del 23 luglio (scompare, Indro, mentre viene celebrata una messa in suffraggio di sua madre), dettato alla nipote Letizia Moizzi all’1.40 del mattino del 18 luglio, presenti la compagna Marisa Rivolta e il factotum Enzo Maimone, qualche ora prima di entrare in camera operatoria: “Giunto al termine della sua lunga e tormentata esistenza Indro Montanelli - giornalista, Fucecchio 1909, Milano 2001 - prende congedo dai suoi lettori ringraziandoli dell’affetto e della fedeltà con cui lo hanno seguito...”. “Sono nato nel 1909, il 22 aprile, a Fucecchio, 20mila abitanti tra Firenze e Pisa aveva scritto -. La mia prima avvertenza è stata scegliermi bene i genitori. Tutti e due hanno superato i novant’anni in buonissimo stato, lucidissimi fino in fondo. La cosa bella è che non sono mai morti: si sono estinti”. Famiglia fucecchiese del 1200, un bisnonno che costruiva navicelle per i renaioli, un nonno, Emilio, vecchio liberale e massone a dominare il nucleo familiare; un padre, interventista alla stregua dei fratelli, babbo Sestilio, ateo come Indro e preside di liceo che lo rimandava a ottobre, ufficialmente per la condotta ma sotto sotto per ragioni di principio; e una madre, Maddalena, buona e pia che, al momento giusto, avrebbe dimostrato la veridicità del vecchio detto sull’unicità del genere. I tempi erano i tempi, e in contemporanea 16 (24) con quella di Roma, il tredicenne Indro Montanelli escogitò, insieme a un amico, una personalissima marcia mignon, la marcia su Rieti, dove il padre al tempo era stato trasferito. Se l’obiettivo era la cattura dei genitori, narrano le cronache familiari, l’esito non fu particolarmente brillante. I tempi volevano dire anche divisa da balilla, tamburo e fucilino, tendopoli al mare e in montagna, e una overdose di patriottismo, patriottismo che lo avrebbe portato al cospetto del duce (d maiuscola allora strettamente di rigore) quale baby-redattore o giù di lì dell’ Universale, un giornaletto fascista che al fascismo si prendeva talvolta il lusso di fare la fronda. E il Mussolini seduttore di consensi venne catalogato con una parola, datata, che dice tutto, “affascinante”, mai rinnegata. Della laurea in Legge e Scienze sociali Montanelli si ricorda solo per ribadire il suo unico interesse verso la Storia, e questa volta la maiuscola non è sprecata (al suo attivo, con diversi partner, da Gervaso a Cervi, sarebbero state catalogate una quarantina di opere, regolarmente in classifica). Inizia la sua avventura di curioso giramondo, i corsi di Grenoble e Parigi, il viaggio in Canada, amministratore di una fattoria, non essendo sufficienti i magri proventi di Paris Soir, la prima testata, per soddisfare le quotidiane necessità. E poi l’Abissinia, 1935, volontario prima che giornalista, con la vicenda della quasi-moglie, una ragazza di nome Destà che gli costò decenni dopo una denuncia per pedofilia e stupro (“da parte di un imbecille, laggiù, a 14 anni, una donna non sposata è una zitella). Quel che seguì, il trovarsi là dove puntualmente accadeva qualcosa di molto, molto caldo, Montanelli lo ascrive pudicamente al caso. Come nell’amatissima Spagna per il Messaggero, dov’era scoppiata la guerra civile, una serie di corrispondenze controcorrente che gli costarono la sospensione dall’Albo e dal partito, quest’ultimo congedo per lui definitivo e al tempo stesso liberatorio. O in Germania, da collaboratore per il Corriere diretto da Aldo Borelli, con il divieto di trattare argomenti politici. Il suo grande sponsor Ugo Ojetti, che aveva apprezzato Ventesimo battaglione eritreo, un libretto sull’esperienza abissina, gli avrebbe proposto di stendere a quattro mani una traduzione riveduta dei nostri Codici. Già, ma quel giorno d’agosto a Berlino venne firmato il patto Ribbentrop-Molotov, nessuno ne sapeva nulla e i corrispondenti stranieri latitavano per ferie. I servizi sull’invasione della Polonia non entu- Indro Montanelli in una delle ultime fotografie (foto Olympia). La foto piccola in alto è quella che Montanelli consegnò al momento dell’iscrizione nell’Albo. ORDINE 8 2001 Indro Montanelli 1909 - 2001 La prima pagina del Corriere della Sera del 23 luglio 2001 con il necrologio dettato dallo stesso Montanelli poche ore prima della morte. inviato nel Novecento siasmarono i tedeschi e il fucecchiese invitato a trovarsi sedi di corrispondenza più paciose. Tappa successiva la Lituania, appena in tempo per riferire l’annessione alla Russia delle tre repubbliche baltiche, con la rituale coda personale: il non gradimento dei padroni. E sempre il caso, c’è da giurarlo, lo indirizzò in Finlandia, per godersi la guerra con la Russia, e a Oslo, meta delle truppe aviotrasportate d’occupazione tedesche, trasferta scandita dalla classica espulsione finale. Morale: “In dieci mesi di ‘ferie’ avevo assistito in presa diretta al crollo della vecchia Europa”. Mentre Mussolini, dallo storico balcone, si apprestava ad annunziare l’intervento. L’8 settembre del ‘43, espulso dal partito e radiato dall’Albo, se pure formalmente ufficiale in servizio di inviato di guerra per il Corriere della Sera, Montanelli era ricercato dai fascisti, incavolatissimi per un articolo non firmato sugli amori extra-coniugali di Mussolini, scritto da altri e a lui attribuito, e quasi non bastasse, dai tedeschi, non meno pericolosi. Aveva simpatizzato per il partito d’Azione di La Malfa, Parri e Valiani, e si era fatto crescere la barba. Inutilmente. I tedeschi lo catturarono in Val d’Ossola e il tribunale di guerra, riunito a Gallarate, lo condannò a morte. Accusa principale: aver criticato il fascismo, a Milano, negli incontri con la principessa Maria Josè di Savoia, secondo i rapporti di zelanti camerieri-spia. Con lui era stata arrestata la prima moglie Maggie de Colins de Tarsienne, sposata un anno prima, celebrante l’arcivescovo di Milano. Apparteneva a un’antica casata asburgica. Non ebbe tentennamenti, dalla sua bocca non uscì l’abiura. Trasferito a San Vittore, apprezzò i comportamenti di un giovane scopino, figlio di un’americana, che faceva di tutto per essere d’aiuto: Michael Montanelli con l’inseparabile Lettera 22. La foto è di Roby Schirer (dal Corriere della Sera del 23 luglio). ORDINE 8 2001 Nicolas Bongiorno, l’invitto Mike. Se la condanna fu, prima rinviata, e poi non eseguita per la materiale irreperibilità del maggiore protagonista, lo si deve all’intervento di diverse persone: il cardinale Schuster, al quale era riuscito a far pervenire un Sos, il maresciallo Mannerheim eroe della guerra finlandese, la madre, l’ingegner Greco Naccarato; e di un personaggio misterioso, Luca Osteria, agente del servizio informazioni militari che lo fece evadere sfruttando un falso ordine di trasferimento. Rientrato dalla Svizzera dove s’era rifugiato alla fine dell’estate ‘44, si trovava in piazza San Babila, a Milano, quando venne travolto “da uno sciame di persone in bicicletta che, agitando la bandiera rossa, gridavano: ‘L’hanno preso! È a piazza Loreto!’. Lo scempio di quei corpi, e fra quelli di un compagno d’armi in Abissinia fedele a Mussolini sino al tragico epilogo, lo avrebbe indotto a sottolineare: “Quello spettacolo, che mi ha lasciato addosso un vago senso di vergogna, m’insegnò cos’è la piazza, quando si ubriaca di qualche passione, e mi ispirò un odio profondo verso tutti coloro che cercano di ubriacarla”. E ancora: “La Resistenza, fenomeno che diventò ‘di massa’ soltanto gli ultimi giorni, quando i tedeschi se n’erano andati o se ne stavano andando dall’Italia, ha avuto degli episodi luminosi che avrebbero potuto diventare materia di una saga popolare se i suoi esaltatori non avessero posto il veto a qualunque ricostruzione veramente storica”. Vita di tutti i giorni che riprese, mentre le rotative del Corriere, in quei primi mesi del ‘45, restavano silenziose. Angelo Rizzoli senior, piazza Carlo Erba, gli prestò 100mila lire sulla parola, cercando di coinvolgerlo in un grande progetto che si sarebbe chiamato Oggi. Ma al richiamo del Corriere, direzione Emanuel, come il cummenda ben immaginava, Indro non poteva resistere. Accreditato, fra i pochissimi giornalisti italiani, al Tribunale di Norimberga, avrebbe sottolineato che “se Norimberga non raggiunse l’effetto che si proponeva - quello di suscitare una esecrazione adeguata agli orrori che rivelava - fu perché venne recepita non come Giustizia ma come castigo del vincitore sul vinto”. Nel ‘46 voterà monarchia e due anni dopo per il partito di De Gasperi. “Guardavo il nascere della repubblica antifascista con scetticismo”. Sempre e solo nel lavoro, che era genuina passione e hobby insieme (“non capisco perché mai mi pagano...”), si sarebbe sentito realizzato. Il 23 ottobre del ‘56, sull’avvisaglia dei primi disordini, eccolo in viaggio (senza visto) da Vienna a Budapest “per assistere a una rivolta comunista, contro il comunismo reale”, interpretazione della verità disattesa dai 17 (25) Indro Montanelli fotografato nel 1999 con un gruppo di giornalisti della redazione del Corriere della Sera all’interno della Sala Albertini. La foto è stata scattata in occasione dei festeggiamenti per i novant’anni del giornalista. Indro Montanelli era tornato in via Solferino nel 1995, un ritorno fortemente voluto e ottenuto dall’allora direttore del Corriere, Paolo Mieli “L’intervista filmata” Presentazione a Roma “Un ricordo di Indro Montanelli” è il titolo della serata organizzata a Roma dal ministero per i Beni e le Attività culturali e presieduta dal ministro Giuliano Urbani, alla presenza del Presidente della Repubblica, per rendere omaggio al grande giornalista (Biblioteca Nazionale Centrale, via Castro Pretorio 105, mercoledì 3 ottobre, ore 18,30). In programma la presentazione di Ferruccio de Bortoli del video “L’intervista filmata” e l’intervento di Arrigo Levi “Ritratto di Montanelli”. “L’Intervista filmata” è una produzione Rai Sat in collaborazione con il Comune di Milano. “borghesi benpensanti”: “Questa è la storia della battaglia di Budapest e il lettore ci perdoni se la riferiamo con tanto ritardo...”. Legge Merlin del ‘58, chiudevano le “case” “delle quali ho un ottimo ricordo”, “atmosfere di volti, di arredamenti, di discorsi e sensazioni”, e incombeva il Sessantotto, “con una borghesia radical-chic che, comodamente adagiata su eleganti divani, vezzeggiava l’eversione”. Lo stesso Corriere avrebbe respirato quell’atmosfera, irrimediabilmente tramontati i tempi di Aldo Borelli che, prima di ogni decisione importante, soleva consultare il suo king maker o direttore-ombra che dir si voglia. Gli interventi da padrona di Giulia Maria Crespi, il licenziamento di Spadolini preannunciato alla redazione e il sentirsi isolato con altri colleghi, lo indussero al doloroso distacco. Le interviste al Mondo e a Panorama fornirono il pretesto al licenziamento. Non era più il suo Corriere, il Corriere fondato da Eugenio Torelli-Viollier divenuto carismatico con Luigi Albertini, direttore e comproprietario disarcionato per l’essersi pronunciato contro il regime dopo il delitto Matteotti. La nascita del Giornale, giugno ‘74, con “l’argenteria del Corriere, come avrebbe felicemente tratteggiato più tardi un eccellente direttore di via Solferino, Franco Di Bella, fece clamore e non solo clamore. Il solo acquistare all’edicola la nuova testata rappresentava un atto di coraggio e un rischio, perché chi vi lavorava era da tanti considerato un pericoloso reazionario (il solo sfogliare la raccolta dei giornali, di numerosi giornali almeno, è sufficiente per fissare il clima che si respirava). Poco o nulla contava il fatto che Montanelli, Bettiza e Piovene, nella sua facoltà di presidente della società dei redattori, fossero andati a pescare (fra le altre) intelligenze purissime calibro Aron, Fejto, Furet, Ionesco, Revel, e, a casa nostra, Matteucci, Renato Mieli, De Felice, Romeo e Settembrini. Montanelli rammenterà il silenzio e il gelo di certi incontri, colleghi che al suo passare si voltavano, amicizie rinnegate, sino alla “gambizzazione” del 1977, ai giardini meta di quotidiane, ben note passeggiate. “Bisogna che resti in piedi, che non gli dia la soddisfazione di morire per terra”, e in quel suo aggrapparsi alla cancellata c’è la salvezza “perché l’ultimo colpo, mentre mi giravo e stavo per cadere, mi è arrivato proprio all’altezza dell’inguine”. Nei titoli della Stampa e del Corriere diretto da Piero Ottone, il nome di Montanelli non compare. Compare invece, nel registro delle firme in suo ricordo, il nome di Franco Bonisoli: “Grazie Indro, Grazie di cuore, di tutto. Con affetto”. Bonisoli è il br che lo gambizzò e che nell’87 Montanelli aveva perdonato: “Il mio conto con loro è chiuso. Li rispetto perché oggi rifiutano il loro passato». Il ‘74 è un anno importante: a Cortina sposa in seconde nozze la giornalista Colette Rosselli, la deliziosa Donna Letizia che scomparirà nel ‘96. La sua battaglia è ormai vinta, il Controcorrente (di poche righe e talvolta di poche parole) suggeritogli da Bettiza è la rubrica-cult più gettonata d’Italia, come lo era stata sull’ Unità quella di Fortebraccio-Melloni ex Popolo, lo slogan “votare Dc turandosi il naso” passerà ai posteri: buona parte dei media concordano ormai con le tesi montanelliane e forse per questo le tirature del Giornale in un qualche modo ne risentiranno. Il Giornale è ufficialmente dei giornalisti, ma i giornalisti, si sa, non navigano nell’oro, con le debite, rarissime eccezioni del caso: benedetto dunque Silvio Berlusconi che rilancia la nave corsara garantendo la tranquillità economica e scucendo preziosi milioncini alla redazione, assai più ai fondatori. “Non posso dimenticare - si può leggere in una intervista - che fu lui a salvare me e il Giornale. Due anni dopo l’inizio della mia avven- 18 (26) tura non sapevo nemmeno come pagare gli stipendi, avevo bisogno di soldi. Milano mi aveva chiuso tutte le porte in faccia”. Nel 1991 prendono consistenza le voci di un Montanelli senatore a vita ma Indro una volta di più gioca d’anticipo, ringrazia il presidente della Repubblica Cossiga e rinuncia, “perché allergico alla politica, e non per fare la mammoletta”. Nessuno, nemmeno gli avversari più ostinati, oseranno malignarci sopra (ma ne aveva ancora?). Detestava feste e celebrazioni, medaglie e onori, ed era allergico, per la verità, anche ai premi, pur collezionandone un’infinità: ne ricorderà con piacere soprattutto due, quello di “Eroe della Libertà di Stampa” conferitogli prima da World Press e poi da Press International, e quello delle “Asturie” che, per la prima volta, veniva assegnato a uno scrittore non di estrazione e lingua ispanica. Un terzo, gradito, sarà consegnato in Spagna in sua vece al giovane direttore del Corriere Ferruccio de Bortoli quando ormai il declino fisico lo obbligava a risparmiare quel poco di energia che ancora gli restava. Cronaca e politica si aggiornano. L’entrata di Berlusconi, “perché da quando è scomparso Craxi - parole a lui rivolte dall’imprenditore di Segrate - io non ho più nessuno che mi difenda”, lo porrà in rotta di collisione con l’editore sino all’inevitabile divorzio, dopo l’infelice tentativo di catturare la simpatia dei giornalisti senza l’avallo del direttore: un contrasto sempre più acuto, dalle iniziali intenzioni di riserbo, in vista delle elezioni degli anni ‘90 e del 2001, che lo spingerà a votare centrosinistra, indurrà Scalfari a cercare di traghettarlo a Repubblica e lo renderà oggetto di convinti applausi alla festa dell’ Unità. L’ultimo capoverso di un fondo pubblicato dal Corriere il 15 febbraio di quest’anno, è a dir poco al vetriolo: “Eppoi perché dobbiamo avere la modestia di rico- Sempre con la mitica Olivetti Lettera 22 (foto Olympia). noscere che noi, come venditori, non leghiamo nemmeno le scarpe a un piazzista che se un giorno si mettesse a produrre vasi da notte, farebbe scappare la voglia di urinare a tutta l’Italia..”. Un contrasto neppure mitigato dal fatto che direttore del Giornale, e dunque sull’altra sponda, sia proprio quel Mario Cervi suo fedelissimo partner nella costruzione di tanti libri capaci di raccontare la storia con parole comprensibili, “e non come fanno troppi storici”. L’ultimo giorno di maggio, a larga vittoria elettorale del centrodestra consumata, comunque noterà: “Mi aspettavo una esplosione di trionfalismo, con annessi e connessi annunci di “immancabili destini”. E invece ci sono stati, sì, dei compiacimenti d’altronde legittimi perché la vittoria, piaccia o non piaccia, c’è stata, ma espressi con una sobrietà di linguaggio che, dato il tipo e il suo abituale stile, mi ha gradevolmente sorpreso...”. Da Berlusconi, mai, nessuna parola vagamente ostile e il rimpianto per l’amico di un tempo. La nascita della Voce - omaggio a Prezzolini, costante punto di riferimento - creerà speranze, ma sarà una voce fievole, dopo l’iniziale fiammata e la ristampa del primo numero, e priva di mezzi, che si spengerà dopo una breve stagione lasciando in difficoltà più di un collega al suo seguito. “Il mio disinganno? Quando fondai La Voce ero convinto di portarmi dietro i tre quarti dei miei lettori. Invece mi seguì un terzo di loro. Di 150mila che erano i veri acquirenti del Giornale me ne tirai 50mila. Allora capii che la destra italiana è fatta di una piccola frangia di liberali veri che vanno da Giolitti a Gobetti. Il grosso è fondato dai Salandra e dai Sonnino che non sono liberali ma forcaioli. Non per niente furono accanto a Mussolini”. Non è stagione di illusioni: “Il muro di Berlino non è stato una tragedia soltanto per i comunisti ma anche per noi. Prima avevamo un nemico. Sapevamo chi era. Ora chi è il nostro avversario? Non conoscendolo non riusciamo a identificare neanche l’amico”. E ancora, ribattendo sul tasto oggetto di tante riflessioni: “L’italiano è un animale flessibile. S’adatta a tutto. Diciamolo fra noi. Qual è la spinta freudiana (non confessata) che spinge a tutti i costi a volere entrare in Europa? È la speranza che l’Europa venga a governarci. Che avremo dei vigili urbani tedeschi i quali, a calci in culo, ci facciano fare quello che da soli non sappiamo eseguire. Che l’Europa ci affranchi dal retaggio di secoli di servitù». Italiani ieri e oggi nel suo mirino: “Ma tutti ci dimentichiamo che i buffoni, in questo Paese, sono una larga maggioranza”. E chissà se, in cuor suo, sotto sotto, Indro condivideva al centouno per cento simile catastrofico, più che pessimistico identikit. Inevitabile il “ritorno a casa” in via Solferino dopo che Paolo Mieli gli aveva generosamente offerto (e non già di facciata) lo scranno direttoriale, e la ripresa del dialogo con la sua gente e con chi, pur avversandolo, a volte fieramente, non può fare a meno di leggere quelle righe, nel privatissimo spazio de La Stanza, già suo feudo per anni e anni nell’amata Domenica del Corriere, assistito da Iside Frigerio che l’ha seguito dal Giornale, e dalla sua mai in disuso Lettera 22, allergici tutti e due alle lusinghe di pc, Internet e diavolerie del genere. Per il Corriere il rientro della sua più illustre firma rappresenta il fiore all’occhiello. C’è il Montanelli privato e il Montanelli, che, pur aborrendo la politica, è perentoriamente invitato a dire la sua sui maggiori temi d’attualità e sui grandi personaggi. Se il dialogo con il lettore, nel Giornale talvolta assumeva i connotati di un “mattinale”, cose di bottega che dovevano essere recepite all’esterno, e non infrequentemente dallo stesso redattore (esempio tipico: le ragioni per cui un giornalista famoso come Enzo Bettiza, suo secondo di bordo, se ne era polemicamente andato da via Negri - un gelo che sbollirà fatalmente ORDINE 8 2001 2 luglio 2001, l’ultima “Stanza” Sopra, Montanelli mentre lascia la sede del Corriere. (dal Corriere della Sera del 23 luglio). A fianco, l’ultima “stanza” sul giornalismo, 2 luglio 2001. dopo due lustri ricomponendo una fraterna amicizia -, o perché era stata assunta una certa posizione a prima vista contraddittoria), sul Corriere - trecento lettere al giorno - lievita a navigazione a mare aperto. “Dal nostro inviato speciale nel Novecento”, titola felicemente la Stampa: Indro è davvero l’autentico testimone del secolo che viene sollecitato ad esprimersi sui temi epocali, e dovrà per forza di cose violentare la sfera personale di riserbo per concedersi a chi lo ha adottato. La fede: “Io non ce l’ho. Riconosco che lo stoicismo è il rifugio dei disperati, ma non ammetto interferenze di estranei, anche i meglio intenzionati, in questa mia disperazione”. La famiglia: “La mia fortuna è di non avere figli, sono convinto che non sarei stato un buon padre, anzitutto a causa del mio mestiere”. Le vicende sentimentali: “Non me ne sono mancate ma sono sempre state condizionate da questa mia vocazione alla vita randagia”, oppure: “Rimpiango l’interesse che portavo verso l’altro sesso. Lo guardo con compiacimento ma non mi sento felice di dovervi rinunciare...”). Il diritto, in casi precisi e delimitati - accettando il contraddittorio della Chiesa ma rifiutando ogni compromesso - all’eutanasia (“ciò che non feci con Donna Letizia”), che non è la paura della morte ma di un certo modo di morire (“È possibile che a un certo momento ti debbano accompagnare al cesso?”). Il poter cambiare opinione a ragion veduta, e la depressione, un nemico subdolo sempre in agguato. Ogni giorno uno spunto: l’epitaffio del “mio amico Fortebraccio”, Curzio Malaparte insofferente di non potergli sopravvivere, l’ostinata difesa della memoria di Ignazio Silone checché dibattano gli storici, le esperienze cinematografiche, I sogni muoiono all’alba e la vera storia del generale Della Rovere alias Giovanni Bertone, traditore ed eroe (paternità del film amaramente disconosciuta per ORDINE 8 2001 talune omissioni), o le ragioni per cui, nei primi 37 anni di Corriere, non firmò un fondo che fosse uno. Alla curiosità pubblica deve persino aprire il portafoglio d’antan firmato Cartier, Paris. Contenuto: la tessera dell’Ordine regionale dei giornalisti datata 1 giugno ‘41, un biglietto da visita di Henry Kamm del New Yok Times, un biglietto scritto in ideogrammi cinesi, un biglietto da visita del Giornale, tessere Alitalia e Ferrovie dello Stato. Il suo lettore, che nessuno si meraviglierà di veder assurgere a ruolo di protagonista sul settimanale allegato ogni giovedì, Sette, costantemente lo incalza: c’è il fan incavolatissimo, che ha fatto l’esperimento, inviandogli inutilmente sette lettere in un sol giorno, nessuna delle quali onorata dalla pubblicazione, c’è chi lo consiglia a strutturare altrimenti La Stanza (“Grazie, ma continuo così”), e c’è chi lo contesta (risposta cordiale nella prima parte, postilla fulminante: “Lei sarà anche un bravissimo ingegnere. Come interlocutore è solo un gran villano”), o, in alternativa, “che tristezza scrivere per lettori come lei”; e c’è chi cerca una parola consolatoria di fronte ai classici vizi italici, automobilisti incivili, treni anticipo del Purgatorio, burocrazia nefasta, ecc. ecc. Affiora, non poteva essere altrimenti, la presenza del misterioso “arredatore” della Stanza, il collega che, quotidianamente, legge in anteprima la risposta premiata e la stilizza con arguzia, in un piccolissimo, garbato quadrato di spazio. Chi è mai?, “...ma dopo due anni che lavoriamo insieme - darà conto nel ‘97 al curioso di turno - non solo nello stesso giornale ma nella stessa pagina, e lui come illustratore di ciò che io scrivo ancora non so, e ormai dispero di saperlo un giorno, com’è fatto fisicamente, Guarino: se è alto o basso, se è bruno o biondo, se è giovane o vecchio. Sono due anni che gli mando, per interposta persona, dei messaggi d’invito almeno a mostrarsi e darmi così il destro di ringraziarlo per la preziosa collaborazione che mi fornisce. Nulla...”. Non mancano le civetterie delle “doverose rettifiche”, l’ammissione di “una scena di gelosia” nei confronti di Anthony Burgess che si era allontanato dal Giornale per vil danaro dopo avergli giurato eterna fedeltà, e la categorica, ammiccante precisazione: “No, caro amico, proprio no. Lei può dubitare di me come giornalista, come storico, come scrittore, come contribuente. Ma come balbuziente sono genuino, a 18 carati, anche se di carattere intermittente”. Non renderà mai pubblica la piccola vicenda di quel giovane giornalista del Giornale che, avendo imprudentemente prestato una bella sommetta a un anziano collega, non vedendosela restituire cominciò a blaterare nei corridoi. “Quanto recrimini? gli intimò nel suo ufficio il burbero Indro staccando un assegno di un paio di milioni -, vuol dire che mi farai lo sconto almeno delle migliaia di lire eccedenti. E adesso fuori di qui e non provarti a fare ancora casino...”. La galleria dei personaggi, in parte retaggio dei celebri Incontri sollecitati decenni prima da Gaetanino Afeltra, è imponente: all’appello mancheranno in definitiva solo Stalin e Mao, e se talvolta è costretto a precisare che non può soddisfare la curiosità perché quello statista, quel politicante, quel grand’uomo o quella larva di individuo non ha fatto in tempo a conoscerlo o è defunto anzitempo, però, però è pur in grado di riferire che... Qualche lettore di primissima fascia resta perplesso, se non allarmato, dalla lunghezza delle ferie estive 2001 che Montanelli ha l’arbitrio di prendersi, così privando il popolo degli Indro-dipendenti della lettura preferita, quella destinata a sovvertire l’ordine cronologico delle pagine: “Arrivederci al primo settembre, cari lettori...”. È il 4 luglio, per l’ultima volta in calce a un pezzo d’attualità compare la sua firma sul Corrierone, anche se, nella rubrica delle lettere al giornale, de Bortoli continuerà ad alimentare - non ci sovvengono precedenti - la staffetta della solidarietà di chi desidera testimoniargli affetto. Nel Corriere del 23 luglio compare il riquadro, bianco, della Stanza. L’omaggio della grande stampa internazionale è unanime: “La sua penna fieramente indipendente era coraggiosa e diretta”, Financial Times; “Caparbiamente indipendente, polemico, intrepido e incorruttibile”, The Indipendent; “Scagliava le sue frecce ironiche contro molte icone del presente e del passato”, The Guardian; “Estate horribilis. Era membro di quella ridotte stirpe di giganti ormai estinta”, El Mundo. Sul Corriere undici colonne di partecipazioni solo il primo giorno, in appena tre giorni approdano sul sito di via Solferino 11mila e-mail. “Ho avuto per anni Indro davanti ai miei occhi. Osservandolo mi accorgevo che scrivere, per lui, equivaleva a una funzione terapeutica. Scrivere significa esistere, fuggire le angosce che lo incalzavano, ritrovare nella veglia operosa la vitalità e la salute che l’inerte insonnia notturna gli sottraeva. Il successo, il plauso non lo interessavano in quanto tali: erano, più che altro, terapie di vita, di radicamento nella realtà, da cui i mostri atoni e melanconici della ciclotimia minacciavano continuamente di estraniarlo...”. Rispondendo a un lettore della sua rubrica, Montanelli annoterà: “Non immaginavo che, seduto all’altro capo della stanza direttoriale del Giornale, Bettiza [il brano riportato è tratto da La cavalcata del secolo, Mondadori] mi tenesse sotto un controllo così assiduo e spietato... Come abbia fatto lui a scoprire che la mia ansia di lavoro e il furioso impegno che ci mettevo erano soltanto una fuga dalle mie notti insonni e dai fantasmi che le turbavano (e le turbano), non lo so. Ma fatto sta che alla sua diagnosi non ho nulla da eccepire”. 19 (27) I N O S T R I Carlo Bo 1911 - 2001 L U T T I Carlo Bo giornalista, di Emilio Pozzi Carlo Bo giornalista: ecco un aspetto marginale ma non minore della sua personalità. È in questo contesto che lo voglio ricordare, sul filo della memoria mia e di quella di Enrico Mascilli Migliorini, che ha vissuto, accanto al Duca di Montefeltro, un bel gruzzolo di anni. Su questo tema, accantonando quelli specificamente legati alla letteratura e all’Università, i nostri ricordi si sono incrociati, sovrapposti, completati, in una lunga conversazione telefonica fra Milano e Napoli, costruendo, tra fatti, impressioni, battute, sensazioni, un ritratto, in dimensione giornalistica, di uno tra i più significativi personaggi della società italiana degli ultimi sessant’anni. Carlo Bo era iscritto all’Albo professionale, come pubblicista dal 1° ottobre 1946. Con Mascilli ci siamo trovati d’accordo subito su una premessa deontologica: la tolleranza. Concettualmente era un cattolico liberale, diceva di sé “sono un aspirante cristiano”. E subito dopo la tolleranza, l’umiltà, per quanto riguardava gli articoli per i giornali. Peculiarità che consideriamo sempre, oltre la curiosità, il senso dell’attualità e l’attenzione per l’individuo, tra le doti principali di un buon giornalista. Era anche un divoratore di giornali. La mattina per Bo, a Urbino, cominciava con il barbiere e la mazzetta dei giornali che il buon Paolo Bigonzi, per anni, non gli ha mai fatto mancare. Ovviamente al giornalismo, come professione, preferiva l’Università. Ricorda Mascilli: “Quando dalla direzione della Sede Rai di Ancona fui trasferito a quella di Firenze, andai a trovarlo per comunicargli che ritenevo di dover lasciare l’incarico universitario al quale ero stato chiamato tre anni prima. Mi guardò con severità e, puntandomi minacciosamente il sigaro diritto addosso, sentenziò: ‘Un incarico universitario non si lascia mai’. E così fu che, qualche anno dopo lasciai la Rai e misi solide radici a Urbino”. E a tal proposito Mascilli Migliorini tiene a sottolineare come nei lunghi anni durante i quali ebbe la ventura di collaborare con Carlo Bo, anche nelle specifiche funzioni di preside della facoltà di Sociologia e di direttore delle Scuole di giornalismo ‘non ebbi mai da lui un minimo accenno di richiesta volto a conoscere quale fosse l’orientamento politico di un qualsiasi candidato per l’insegnamento a Urbino bensì soltanto domande precise e rigorose che esigevano altrettanto precise, rigorose e documentate risposte sulle effettive capacità culturali, professionali e didattiche. Per me che provenivo dalla Rai, fu come vivere un’esperienza viva e vitale che si configurò tra i motivi che mi legarono, per oltre trent’anni all’Uomo, alla sua eccezionale personalità e di conseguenza alla istituzione universitaria urbinate. Bo non aveva però una visione corporativa del mondo universitario. Chi volesse ripercorrere in modo analitico la storia del giornalismo italiano in due iniziative significative lo troverà protagonista. La prima: la nascita del primo Istituto superiore di studi giornalistici, nell’ambito degli indirizzi professionali attivati nella sede universitaria. Dell’idea erano appassionati promotori il professor Aldo Testa, autorevole docente a Urbino, il segretario del sindacato giornalisti interregionale Emilia-Romagna Marche Angiolo Berti, il generosissimo collega Giuseppe Zeccaroni e l’allora presidente della Federazione della Stampa Leonardo Azzarita. Il progetto era ambizioso: creare un corso regolare di studi superiori rivolto a chi volesse intraprendere la professione giornalistica. Sulla formazione culturale e professionale dei giornalisti si era discusso animatamente anche in sede di Commissione per la stesura della nuova legge sulla stampa, il dibattito era rimbalzato nell’aula di Montecitorio, in sede di Costituente, quando si era affrontato 20 (28) l’articolo 21 della Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Il dibattito era poi proseguito, anche in campo sindacale o sulle pagine dei giornali, nel confronto degli opinionisti. C’era chi era contrario alle scuole, perché sosteneva l’idea che giornalisti si diventa sul campo, con la pratica, allevati nei giornali dai colleghi più anziani, altri temevano il ripetersi dell’infelice esperimento della scuola di Giornalismo, realizzata a Perugia, per breve tempo attorno agli anni Trenta, in pieno fascismo da Ermanno Amicucci (e che ebbe come motore un eccellente professionista come Carlo Barbieri), con la nascita di ‘fabbriche’ di giornalisti indottrinati, tutta teoria e niente pratica; altri ancora ritenevano che avrebbero messo in pericolo un libero mercato. Erano momenti difficili per la professione. Soffiavano venti da ogni punto cardinale. Quella scuola con percorso parauniversitario però si fece, la Convenzione fra Università e Carlo Bo è morto in una clinica di Genova il 21 luglio scorso. Era nato a Sestri Levante il 2 gennaio 1911. (Foto Olympia di Giovanni Giovannetti) Federazione della stampa fu firmata nel 1949, e rimase in piedi (e lo è tuttora, frequentata, in particolare da studenti greci) ma senza sbocchi ufficiali. Con la nascita dell’Ordine dei giornalisti nel 1963 e con la creazione delle Scuole biennali, a numero chiuso, riconosciute dall’Ordine, ed una è proprio a Urbino - e anche in questo caso anticipando i tempi della attuale riforma, l’università fu tra gli enti promotori, con la possibilità dell’accesso dopo il praticantato all’esame di Stato, quell’Istituto rimane come un fiore all’occhiello, testimonianza di una felice intuizione. La seconda. Sul piano delle iniziative giornalistiche, tuttavia, Carlo Bo, diede ancora una volta il segno di intelligente conoscenza dei problemi professionali, allorché alla fine degli anni Settanta, accolse di buon grado la promozione di stages, brevi ma intensi, per i giovani colleghi che stavano per affrontare l’esame a Roma. Avevano sì completato ORDINE 8 2001 Un ricordo nel segno della didattica anche A 40 giorni dalla morte, giovedì 30 agosto, alla facoltà di Sociologia di Urbino, durante il corso estivo tenuto dal professor Vittorio Paolucci (docente di storia del giornalismo) si è tenuto un affollatissimo seminario durante il quale è stata passata in rassegna la stampa italiana dei giorni immediatamente successivi alla scomparsa di Carlo Bo per esaminare che cosa, quanto e come era stato scritto su di lui. Il seminario è diventato così una utile esercitazione didattica. La verità della letteratura di Matteo Collura formalmente i rituali diciotto mesi di pratica nei giornali, ma, quasi sempre, senza la rotazione nei previsti tre settori di lavoro e senza un minimo di preparazione in alcune materie previste dall’esame. All’idea lavorammo sul piano progettuale e organizzativo, il Presidente dell’Ordine Barbati e il direttore Viali, il professor Mascilli Migliorini e il direttore amministrativo dell’Università Rossi e io. Al primo stage, svoltosi nelle aule universitarie per una settimana, con prova finale simulata, parteciparono aspiranti professionisti in parecchie centinaia: erano ospiti nei collegi universitari, in periodi meno occupati dagli studenti, in una cornice ambientale e paesaggistica, almeno serena. L’esperienza fu altamente positiva e servì da esempio per iniziative simili, oggi, a vent’anni, entrate nella routine e gestite sia direttamente dall’Ordine nazionale che da taluni Ordini interregionali e regionali. Come collaboratore di quotidiani (La Stampa prima e il Corriere della Sera poi) i suoi articoli sia quelli destinati alle pagine letterarie (ah, la nostalgia per gli elzeviri della terza pagina) sia quelli a commento di fatti di bruciante attualità, di solito in corsivo, in prima pagina, erano esemplari. Nell’umiltà artigianale. Lo posso testimoniare in prima persona. Un grande avvenimento, tra i più palpitanti della società, suggerisce alla direzione del Corriere di chiedergli un commento. Bo accetta. Deposta la cornetta del telefono, tira qualche boccata di sigaro e si mette a scrivere. A mano, su quei blocchi che una volta venivano usati dagli stenografi. Una grafia minuscola, ma chiara. Poche le cancellature, pochissime le correzioni. Riecco il telefono. Dall’altra parte c’è il dimafonista. Carlo Bo detta personalmente, la voce è meno esile del solito, rigoroso nella punteggiatura, improvvisando, del caso, qualche piccola correzione al manoscritto, una parola, un aggettivo. Il testo è appoggiato sulle ginocchia perché in una mano c’è la cornetta, nell’altra l’inseparabile sigaro. Mormora un saluto, impercettibile, alla fine. E riprende la conversazione con l’interlocutore che ha di fronte, scusandosi per l’interruzione. La parentesi giornalistica è chiusa. L’indomani le sue riflessioni, sempre limpide, illuminanti e coraggiose, faranno discutere. Gli altri. Così come negli anni furono gli scritti corsari di Pierpaolo Pasolini, di Giovanni Testori. Fino a poche ore prima della morte Bo ha seguito, guardando la tv, nella stanza della clinica genovese, quello che stava succedendo, a pochi passi da lui. Il suo commento su Genova non ci sarà nel volume che raccoglierà i suoi articoli di prima pagina. Ecco, quasi un’idea, per ricordarlo come giornalista, al di là di tutte le iniziative che saranno prese per onorarlo a Urbino, a Milano, a Sestri Levante, a Genova, a Roma, e dei volumi, già pubblicati (Sergio Pautasso è stato il curatore di una Antologia critica preziosa) o in progetto. Una volta, mentre lo intervistavo nel decimo anniversario della morte di un caro amico, suo e mio, Diego Fabbri, per una pubblicazione che si stava preparando per l’occasione, mi disse: “Solo se di una persona, scrittore o no, ci si ricorda dieci anni dopo la morte, vuol dire che ha contato qualcosa”. Sono convinto che, nel 2011, Carlo Bo sarà ricordato per almeno uno dei suoi meriti. Ad esempio essere stato, in pieno fascismo, il primo traduttore in italiano di Federico Garcia Lorca, “voce eterna che si spegne al di là dei nostri confini”. P.S. - Ogni volta che ripenso a Bo non riesco ad immaginarlo senza il suo sigaro. Non sembri irriverente questo piccolo, affettuoso pensiero: prima di entrare in Paradiso si sarà garantito che l’avrebbero lasciato fumare, per ricompensarlo di tutte le volte che, in certe circostanze umane, era stato costretto a spegnerlo? ORDINE 8 2001 “Letteratura come vita”: così Carlo Bo, allora ventisettenne, nel 1938 definì la sua idea di letteratura; un’idea alla quale sarebbe rimasto sempre fedele. E dunque: non una sorta di slogan per lanciare, allora, la nuova poetica dell’ermetismo, ma l’affermazione di una condizione, di un modo di essere scrittore nella società. Non è soltanto una questione di etica, che in uno studioso dalla religiosità dichiarata e conclamata come Bo è persino ovvia; è un modo di intendere la scrittura, l’atto stesso dello scrivere, come atto morale. Per questo, all’indomani della sua morte, Carlo Bo può apparire un reperto, ancorché illustre e autorevole, di un’epoca lontanissima e alle nuove generazioni assolutamente estraneo. Del resto, lui ne aveva piena consapevolezza. “La letteratura è diventata una sorta di spettacolo, come la politica”, aveva detto in una delle sue ultime confessioni in pubblico. E non aveva perso l’occasione per criticare ancora una volta la superficialità del dibattito culturale cui gli era dato assistere nella fase conclusiva della sua vita; un dibattito in cui le idee – l’espressione non è sua, ma credo egli l’avrebbe condivisa – vengono usate come si fa per i trasferibili o nella compilazione degli slogan. “Siamo ormai abituati a dire tutto subito. Il diario potrebbe essere un rifugio, un deposito per lo scrittore. È un’ipotesi, una speranza”, aveva aggiunto, per poi spiegare: “Il diario come antidoto alla dissipazione, per dare un maggior risalto di verità a ciò che uno è e pensa, per opporsi a questo andazzo di pubblicizzare tutto e immediatamente e alla fine insensatamente, perché non resta nulla”. Proprio per questo, per combattere contro la superficialità del pensiero e contro la dissipazione delle intelligenze, Carlo Bo, da giovane, tenne un diario che pubblicò nel 1945. Diario aperto e chiuso, s’intitola ed è lì a testimoniare della “dissipazione” cui neanche lui umanamente seppe sottrarsi; è lì, a dare conto del suo contraddittorio (essendo egli un intellettuale cattolico) scetticismo, del suo credere sempre meno nella “religione delle lettere” e tuttavia restarne legato come all’unico nutrimento possibile. Umano, troppo umano, verrebbe da dire, ripercorrendo la sua straordinaria opera di critico letterario, la quale, nella sua interezza, si può considerare un’opera letteraria di per sé, autonoma e sotto l’aspetto creativo, originale, rappresentativa di un’epoca, chiarificatrice dal punto di vista culturale e anche politico (per il ruolo che, nella società, gli intellettuali hanno avuto nell’arco di tempo compreso tra gli anni Trenta del secolo scorso e quelli immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale). Tanta attenzione per l’uomo, inteso nella sua spiritualità, colto nella sua panica ricerca di un segno divino (da qui la sua ammirata adesione al pensiero di Blaise Pascal, considerato il suo maestro assieme a Sainte-Beuve), in pieno Novecento ne aveva fatto un pensatore già superato, “vecchio”, anche se monumentalizzato mentre era ancora in vita. E se ne può approfittare per dire che questo costruire monumenti anzitempo è pratica diffusa nel mondo delle lettere per tenere a distanza coloro i quali con le loro opere, la loro presenza, il loro esempio rappresentano un modello difficilmente raggiungibile, ma con il quale inevitabilmente confrontarsi. (Per la verità, con Bo la monumentalizzazione in vita riuscì a metà, e per il semplice fatto che l’uomo, intelligente come pochi altri in una terra di furbi tutto sommato sprovveduti, palesemente servendosi del monumento, tolse ad esso gran parte della sacralità, sottraendosi alla mummificazione). Circondato da uno spesso alone di “ufficialità” tanto da apparire una sorta di istituzione nazionale (Magnifico Rettore dell’Università di Urbino, senatore a vita per i suoi alti meriti culturali, presidente onorario, o a tutti gli effetti, di una serie di fondazioni e premi…), egli tuttavia se ne stava appartato, centellinando i suoi interventi spontanei miranti a illuminare i punti oscuri del vivere civile, ad orientare il pensiero di coloro i quali riteneva non avessero del tutto smarrito la capacità di agire da creature umane. Tutto questo è testimoniato dalla sua vasta produzione giornalistica che Giovanni Raboni sul Corriere della Sera, ha definito di “un’agilità espressiva prodigiosa, capace di ospitare abissi di allusività e suggestione dentro formulari ritmico-lessicali di quasi provocatoria nonchalance”. E a questo va aggiunto tutto quello che Carlo Bo ha, di fatto, suggerito ai giornalisti nelle innumerevoli interviste. Burbero, austero, di poche parole, tuttavia egli non ha mai negato di “partecipare” al lavoro del più giovane dei cronisti culturali. Avendo avuto l’opportunità di intervistarlo più volte, posso qui dire che Bo era uno di quegli interlocutori che ai giornalisti fanno fare buona figura. Interrogato su un determinato aspetto della letteratura italiana contemporanea o del passato, o di quella francese o spagnola o di qualsivoglia altra area geografico-culturale, dettava (letteralmente dettava) le risposte, complete della punteggiatura. E mai che consultasse un libro, un appunto. Del resto, chi lo ha conosciuto, chi ha avuto modo di ascoltarlo in alcune delle sue tante apparizioni in pubblico, sa bene che Bo era capace di tenere una conferenza – gli occhi bassi, il mozzicone di sigaro spento in un angolo della bocca – senza mai servirsi di una scaletta, di una qualsiasi annotazione. Questa dimestichezza con i temi della cultura e della letteratura in particolare, gli veniva da un apprendistato che possiamo definire straordinario. Uno “scrutatore di libri”, Bo, un metodico e affamato frequentatore di biblioteche (anche se spesso e soprattutto nell’ultima fase della sua vita, tutto quanto delle biblioteche poteva servirgli gli giungeva in casa). “L’ultimo testimone della letteratura” è stato definito dopo la sua morte. E sono stati in tanti, disorientati dalla sua scomparsa, a domandarsi cosa rimane, cosa rimarrà del critico letterario, cattolico liberale, Carlo Bo. Per scrivere questa nota ho radunato alcuni suoi scritti da – andando a ritroso – Solitudine e carità del 1985 allo Scandalo della speranza del 1957; da Letteratura come vita del 1938 (con questo titolo, nel 1994, la Rizzoli ha pubblicato un’antologia critica dell’opera di Carlo Bo, a cura di Sergio Pautasso e con testi di Jean Starobinski e Giancarlo Vigorelli) al saggio d’esordio su Jacques Rivière. E già da questi titoli si può comprendere quali siano stati i temi e le emozioni umane e intellettuali alla base del suo vasto lavoro critico. In tutta la sua vita, Bo sviluppò un incessante esercizio di lettura e di rilettura sui testi classici e moderni di autori italiani, francesi, spagnoli, rintracciandone ed esaltandone le diverse radici e ragioni, ma anche le loro comuni aspirazioni ed ispirazioni europee. Da questo lavoro nacque la sua importante riflessione critica e spirituale, condotta con arte di scrittore, sotto forma di saggi di ampio respiro, recensioni e interventi occasionali, note diaristiche, scritti, questi ultimi, che testimoniano la sua affinità con la letteratura francese di cui fu uno dei massimi conoscitori. Alludendo alla sterminata produzione critica di Bo, Giancarlo Vigorelli, uno dei suoi più convinti sostenitori (e qui aggiungiamo dei suoi amici più cari) ha scritto (e ci sembra sia questo un modo degno per ricordarlo): “…Non è ad ogni modo la quantità, ma è la totalità dei libri letti a fare di Bo, direbbe oggi un cronista letterario da rotocalco, il ‘fenomeno Bo’. È la qualità delle sue letture, ed è più ancora quel suo incessante invito alla lettura di libri di qualità che fa di lui, direttamente o indirettamente, l’anticipatore e il promotore della ‘nuova critica’ italiana. Non per assegnare titoli, primati e primogeniture, ma con quella sua idea elitaria di lettura e il suo esempio, è incontestabile che Bo abbia determinato un sommovimento di terre e di cieli nell’orbita obbligata della critica. No, non ha dato vita ad un metodo, ad un sistema di critica; al contrario ha violato parecchie metodologie correnti, dimostrando al vivo che non esistono tecniche prefabbricate di indagine e, peggio, di giudizio. La critica non è che un atto di conoscenza, di doppia conoscenza disvelata tra chi ha scritto il libro e chi leggendolo ne individua e condivide le verità, l’assoluta verità…”. La verità della letteratura, quella che illumina le opere di Manzoni, di Borges, di Sciascia. E di Bo. E voglio ricordarlo in quella fredda giornata di gennaio in cui andai a trovarlo nella sua casa di Urbino, in occasione del suo novantesimo compleanno. “Non è un merito arrivare a questa età”, mi disse. E indicandomi una ordinata pila di scatole di sigari, aggiunse: “Quelle sono le uniche cose che restano della mia vita. Tutto quello che avevo da dire l’ho detto in un arco di tempo che arriva al 1945. Quel che è venuto dopo è stanchezza, delusione, erosione della fede nella letteratura”. Feci il calcolo. Nel 1945, Bo aveva trentaquattro anni, e dato che per sua stessa ammissione il periodo più fertile e più bello della sua vita era stato quello tra il 1934 e il 1938, ne ricavai che la gran parte di coloro che avrebbero letto il mio articolo sui novant’anni di Carlo Bo, quando egli viveva i suoi anni più intensi, non erano ancora venuti al mondo. E allora, mi sono detto, se si riflette su questo dato, tutto apparirà più naturale e lo scetticismo di Bo si scioglierà in buon senso, e si comprenderà appieno l’umiltà del suo rammarico estremo: “Non ho studiato abbastanza”. In quelle ore che per lui dovevano essere di festa, mentre a Urbino, a Roma, a Milano, nella sua Sestri Levante, gli amici e le autorità si preparavano a rendergli omaggio, lui aveva trovato per sé questa formula, sconcertante e per certi versi inquietante: “Sono un aspirante cattolico”. 21 (29) TEMI SORTEGGIATI (busta C) Si sono svolte l’8 settembre le prove scritte di selezione per l’ammissione XIII biennio dell’Ifg POLITICA INTERNAZIONALE Israele-Palestina: perché il conflitto dura ancora oggi? POLITICA INTERNA Come i media hanno raccontato i fatti di Genova CRONACA Novità in farmacia: i farmaci generici ECONOMIA Borsa: ascesa e crollo dei mercati negli anni della new economy CULTURA A Mantova per la cultura si fa la coda e si paga per partecipare agli incontri con gli scrittori. Le sorprese del Festivaletteratura COSTUME Miss Italia: un sogno che non tramonta SPETTACOLI Bilancio dell’anno verdiano per il centenario: in Italia e nel mondo SPORT Di fronte al calcio miliardario in Italia si prospettano nuovi scenari: il miracolo Chievo, la decadenza delle squadre meridionali, la preponderanza di calciatori stranieri La carica dei 227 QUESTIONARIO SORTEGGIATO (busta C) Un momento della prova scritta di selezione per l’ammissione al XIII biennio dell’Ifg, svoltasi l’8 settembre al Politecnico di Milano. Sabato 8 settembre, presso la sede del Politecnico si sono tenute le prove scritte di selezione per l’ammissione al XIII biennio dell’Ifg. Dei 302 candidati ammessi – per questa tornata uno dei requisiti era la laurea - se ne sono presentati 227, 130 femmine e 97 maschi. Rappresentano tutte le Regioni, eccetto Valle d’Aosta, Molise e Basilicata. I candidati più numerosi provengono dalle facoltà di Lettere, Scienze politiche e Giurisprudenza, ma non mancano i laureti in medicina, ingegneria, chimica e biotecnologie. Le operazioni di registrazione sono iniziate alle 9 e si sono concluse attorno alle 10. Un breve intervento del presidente dell’Ordine della Lombardia, Franco Abruzzo (“da questa selezione devono uscire 40 numeri uno”) e subito dopo il vicepresidente vicario della Commissione, Emilio Pozzi (il presidente è Piero Ostellino) ha fatto scegliere ad una 22 (30) 1) Chi presiede il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM)? a) il Presidente della Repubblica b) Il Presidente del Consiglio c) Il ministro di Grazia e Giustizia 2) Le cronache riparlano di Pacciani, dei compagni di a) 1968 merenda e degli omicidi avvenuti nella zona di Firenze. b) 1975 In che anno il primo dei 17 omicidi? c) 1980 candidata una delle tre buste contenenti le tracce degli elaborati, la fotocopia degli articoli pubblicati su giornali dell’8 settembre, dai quali ricavare un riassunto di 20 righe e un questionario con 20 quiz su argomenti di attualità e cultura - che pubblichiamo qui accanto. Il “via” è stato dato alle 11,10, tempo massimo per la consegna, sei ore. La correzione degli elaborati, tutti rigorosamente anonimi, è cominciata l’11 settembre e si protrarrà fino al 19. Vengono selezionati 90 candidati che dall’11 al 22 ottobre sosterranno la prova orale. La proclamazione dei vincitori avverrà il 23 ottobre. I punteggi massimi per le prove sono espressi in sessantesimi (il tema) e in ventesimi (sintesi e quiz). I primi 40 classificati vengono ammessi all’Ifg, dove svolgeranno il praticantato. L’inizio delle lezioni è previsto per il 5 novembre. La frequenza è obbligatoria e a tempo pieno. 3) Il Governo Berlusconi ha istituito la carica di vice-ministro. Quanti sono? a) 4 b) 6 c) 8 4) In quale città italiana è stato denunciato il primo caso di morte causata dalla medicina anticolesterolo prodotta dalla Bayer? a) Napoli b) Firenze c) Bologna 5) Come si chiama il cardinale presidente della CEI? a) Camillo Ruini b) Angelo Sodano c) Joseph Ratzinger 6) Quale tipo di arma è stata messa al bando dopo il trattato di Ottawa del 1° marzo 1999? a) mine antiuomo b) euromissili c) armi strategiche 7) Quando è entrata in vigore la Costituzione italiana? a) 2 giugno 1946 b) 22 dicembre 1947 c) 1° gennaio 1948 8) Quale organo è competente a giudicare il Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento? a) Corte Costituzionale b) Corte d’Assiste d’Appello c) Tribunale speciale 9) Quale uomo politico pronunciò il discorso di Fulton nel 1946 usando per la prima volta l’espressione “cortina di ferro”? a) Eden b) De Gaulle c) Churchill 10) Da chi è stata fondata la CNN, rete televisiva che trasmette 24 ore su 24? c) Churchill b) Bill Gates c) Steve Case 11) Un grande giornalista polacco, Ryszard Kapuscinski ha scritto uno dei più acuti libri sull’Africa. Qual è il titolo? a) Oro nero b) Ebano c) Equatore 12) Chi è l’autore della beat generation divenuto famoso nel 1957 con il libro On the road? a) Allan Ginsberg b) Jack Keruac c) William Burroughs 13) Il Vernacolo è: a) arredo sacro b) dialetto c) animale 14) Il famoso quadro “Olympia” che ritrae una donna nuda sdraiata è di: a) Goya b) Manet c) Modigliani 15) Teo Teocoli ha abbandonato all’improvviso il programma di Canale 5 “Italiani” condotto da Paolo Bonolis. Motivazione? a) “torno alla Rai” b) “mi pagano troppo poco” c) “non sono ancora pronto” 16) Nel film Eden dell’israeliano Gitai recita lo scrittore autore della storia. Chi è? a) John Le Carrè b) Ismail Kadarè c) Arthur Miller 17) Qual è il fiume italiano più lungo dopo il Po? a) Tevere b) Arno c) Adige 18) Con quale parola inglese fu definita la politica economica neoliberista applicata negli anni Ottanta da Reagan e dalla Thatcher? a) devolution b) deregulation c) dumping 19) In quale specialità Fiona May ha vinto la medaglia d’oro agli ultimi campionati del mondo? a) salto in alto b) salto in lungo c) salto triplo 20) Dove si svolgeranno le Olimpiadi invernali del 2002? a) Italia (Piemonte) b) Stati Uniti (Salt Lake) c) Svizzera (Vallese) ORDINE 8 2001 TEMI NON SORTEGGIATI (busta A) POLITICA INTERNAZIONALE Tutti dicono di essere contro il razzismo: allora, perché a Durban il mondo si è diviso? POLITICA INTERNA Il federalismo nelle diverse anime del Governo ECONOMIA Si prospetta un autunno molto caldo. Il candidato illustri i punti di contrasto tra le parti sociali CRONACA Cenerentola con bambino a Palazzo reale. Le nozze fra il principe di Norvegia Haakon e la signorina Mette-Marit CULTURA No logo di Naomi Klein: il libro cult degli anti global COSTUME Miss Italia: un sogno che non tramonta SPETTACOLI Manu Chao: mito vero o falso? SPORT Il doping è ormai un fenomeno trasversale a tutti gli sport. Che cosa si è fatto e che cosa si può fare per contrastarlo QUESTIONARIO NON SORTEGGIATO (busta A) TEMI NON SORTEGGIATI (busta B) POLITICA INTERNAZIONALE Luci e ombre della politica estera di Bush POLITICA INTERNA Polemiche e commenti sulle diverse candidature alla segreteria dei Democratici di sinistra CRONACA Mostro di Firenze: perché Pacciani è di nuovo in prima pagina ECONOMIA Arriva l’Euro: opportunità, timori, rischi, problemi pratici CULTURA Paolo Coelho e Carlos Castaneda due scrittori che hanno venduto milioni di copie. Che cosa li accomuna? COSTUME Gli abiti sottoveste, di chiffon, trasparenti, vengono proposti per 365 giorni all’anno. Per assecondare nuove voglie di seduzione o per semplificare i costi e aumentare i profitti? SPETTACOLI Si parla tanto del giovane cinema italiano. Tendenze, titoli, autori, interpreti SPORT Calcio: cosa manca alla Nazionale di Trapattoni per arrivare competitiva ai mondiali del 2002? QUESTIONARIO NON SORTEGGIATO (busta B) 1) In quale palazzo romano ha sede il ministero degli Interni? a) Farnesina b) Viminale c) Palazzo Chigi 1) In una sola regione italiana c’è una minoranza linguistica croata. Quale? a) Marche b) Molise c) Puglia 2) Christian Barnard, padre dei trapianti di cuore è morto a Cipro. Quale la causa? a) Leucemia b) Incidente d’auto c) Infarto 2) Vent’anni fa a New York, il 12 agosto 1981 veniva presentato il primo personal computer. Fu chiamato con un numero. Quale? a) 420 b) 5150 c) 9001 3) Quanti milioni sono gli infetti da Hiv nel mondo? a) fra i 30 e i 40 milioni b) fra i 40 e i 50 milioni c) fra i 50 e i 60 milioni 3) Chi presiede la giuria di Miss Italia 2001? a) Gina Lollobrigida b) Ornella Muti c) Sofia Loren 4) In quale anno sono cominciate le trasmissioni regolari della Tv in Italia? a) 1952 b) 1954 c) 1957 4) Marshall McLuhan divideva i media in caldi e freddi. Uno solo di questi è freddo. Quale? b) Radio c) Tv d) Cinema 5) Quale di questi Paesi non fa parte dell’Unione Europea? a) Portogallo b) Irlanda c) Svizzera 5) In quale anno è stata fondata la Fao (organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura)? a) 1945 b) 1950 c) 1955 6) Cosa significa letteralmente la parola “intifada”? a) lancio di sassi b) assalto c) funerale 6) Nel 1972 un commando palestinese compì un sanguinoso raid in un villaggio olimpico. Dove? a) a Barcellona b) a Città del Messico c) a Monaco di Baviera 7) In quale città ha sede la Corte Internazionale di Giustizia? a) Strasburgo b) L’Aja c) Bruxelles 7) Quale organo decide in primo grado sulle controversie a) Tar tra cittadini e pubblica amministrazione? b) Consiglio di Stato c) Corte dei Conti 8) Quante sono in Italia le regioni a statuto ordinario? a) 12 b) 15 c) 18 8) Con quale provvedimento del Presidente della Repubblica su delega delle due Camere, lo Stato rinuncia a punire determinati reati? a) amnistia b) condono c) indulto 9) Quale di questi tre personaggi succedette a Mussolini nel luglio 1943 alla guida del Governo? a) Pietro Badoglio b) Ivanoe Bonomi c) Ferruccio Parri 9) Chi fu nel 1988 la prima donna diventata primo ministro in un Paese islamico? a) Benazir Bhutto b) Indira Gandhi c) Golda Meir 10) Chi, fra questi giornalisti non è stato direttore del Corriere della Sera a) Indro Montanelli b) Giovanni Spadolini c) Mario Missiroli 10) In media quanti quotidiani sono venduti ogni giorno in Italia? a) fra 4 e 5 milioni b) fra 5 e 6 milioni c) fra 6 e 7 milioni 11) Chi è il reponsabile dei servizi giornalistici di La7? a) Sandro Curzi b) Giuliano Ferrara c) Gad Lerner 11) Nel gennaio 2002 ricorre il 30° anniversario della morte di a) Europeo Dino Buzzati. Il grande scrittore ha avuto un ruolo fondamentale b) Epoca per molti anni in un settimanale di Milano. Quale? c) Domenica del Corriere 12) Di che nazionalità è il premio Nobel per la letteratura (anno 2000) Gao Xinjian? a) giapponese b) coreana c) cinese 12) Di che nazionalità era il famoso scrittore Jorge Amado? a) Argentina b) Colombiana c) Brasiliana 13) Quale termine indica l’accostamento nella medesima a) Ossimoro locuzione di parole che esprimono concetti contrari? b) Sineddoche c) Metafora 13) Qual è la parola corretta? a) Metereologico b) Meterologico c) Meteorologico 14) Quale di questi attori americani non è stato doppiato da Ferruccio Amendola? a) Al Pacino b) Robert De Niro c) Robert Redford 14) Uno dei più importanti restauri degli ultimi anni ha riguardato La leggenda della vera Croce di Piero della Francesca. In quale città si trova l’importante dipinto? a) Firenze b) Siena c) Arezzo 15) Il Divisionismo è a) Una ideologia politica b) Un comportamento delle cellule c) Un movimento artistico 15) Di che nazionalità è il cantautore Manu Chao? a) Ecuadoregna b) Spagnola c) Francese 16) Quanti sono i registi che si sono impegnati a Genova a filmare le giornate del G8? a) 11 b) 18 c) 33 16) Al Festival di Locarno il Pardo d’oro è stato vinto dal film italiano Alla a) Stefania Sandrelli rivoluzione su due cavalli regista Maurizio Sciarra.Un’attrice italiana b) Laura Morante che faceva parte della giuria ha contestato in pubblico la scelta. Chi? c) Laura Betti 17) Come si chiama oggi lo stato africano che fino al 1960 si chiamava Alto Volta? a) Dahomey b) Burkina Faso c) Burundi 17) In quale sezione delle Alpi si trova il Monte Bianco? a) Graie b) Pennine c) Retiche 18) Che cosa è il Pil? a) Partita iva locale b) Prodotto interno lordo c) Partito italiano liberale 18) Come viene chiamato l’indice dei titoli azionari tecnologici? a) Nasdaq b) Napster c) Seat 19) In quale città si svolgeranno le Olimpiadi del 2008? a) Tokyo b) Pechino c) Oslo 19) Quante volte l’Italia ha vinto i mondiali di calcio? a) due b) tre c) cinque 20) Quale di queste tre squadre di calcio non si è qualificata per i mondiali del 2002? a) Olanda b) Spagna c) Argentina 20) Quale squadra ha eliminato l’Italia dai campionati europei di basket? a) Russia b) Croazia c) Grecia ORDINE 8 2001 23 (31) “Corriere della Sera” dell’8 settembre 2001 L I B R E R I A La Resistenza di Murialdi Mario Costa Cardol Ultimo zar – primo olocausto di Gigi Speroni La prima guerra mondiale ci ha lasciato saggi, ricordi, memoriali di generali (ognuno a difendere la propria verità) testimonianze di scrittori, come Lussu, Hemingway, Remarque. A questa pubblicistica enorme che racconta e analizza l’insensato sacrificio di una intera generazione sui vari fronti di battaglia s’aggiunge, ora, questo libro di Mario Costa Cardol dedicato a uno sterminio avvenuto nelle retrovie, e dimenticato: tra il 1914 e il 1916 circa due milioni di ebrei trovarono la morte durante le deportazioni volute dallo stato maggiore russo col pretesto che i villaggi giudei erano centrali spionistiche a favore del nemico tedesco. Due milioni! E i più deboli: donne, vecchi, bambini, perché gli uomini validi erano al fronte o disertori. Il titolo del libro, Ultimo zar – primo olocausto, ne sintetizza il contenuto. L’ultimo zar era Nicola II, che il 17 luglio 1918 verrà ucciso, con tutta la famiglia, dai bolscevichi, per ordine del Soviet degli Urali, a Ekaterin-burg, in Siberia, e la tragedia del popolo della diaspora può essere ben definita come il “primo olocausto”. Oltretutto a opera di una Russia che accusava le vittime di essere al servizio proprio dei futuri nazisti che, in modo più scientifico, programmeranno la soluzione finale del popolo d’Israele. Nel 1916, mentre i soldati dello zar perseguitavano gli ebrei, un giovanotto di 27 anni, Adolf Hitler, in un ospedale da campo tedesco, per via degli occhi ustionati dall’iprite. maturava i suoi folli propositi di distruzione. E Mario Costa Cardol cita come “prezioso e importantissimo punto di riferimento”, Jacob L. Talmon, professore di storia moderna alla Università di Gerusalemme, che, di fronte alla strage russa, si era accorto “con sgomento di trovarsi di fronte a una sorta di prefigurazione dell’ecatombe attuata dai nazisti”. L’autore cerca di inquadrare la tragedia in campo largo, ovvero in un ampio scenario geopolitico, con veloci pennellate sui protagonisti dell’epoca, nell’intento di comporre un quadro d’insieme. Compito non facile. Il suo vero merito rimane quello di aver riportato alla luce un dramma, e che dramma, rimosso dalla memoria e dalla coscienza degli uomini. E rivissuto con una partecipazione personale: “Grazie all’intelligenza e alla sensibilità di mia moglie Doris Sarina, ho avuto dell’animo e del mondo ebraici la comprensione necessaria per scrivere questo libro, che dedico alla memoria di Lei e alla vita di nostro nipote Carlo Yehuda”. Mario Costa Cardol, Ultimo zar – primo olocausto, Lulav editrice, Milano 2001, pagine 269, lire 29.800 (euro 15,39) di Corrado Stajano Deve aver forzato la propria natura riservata, Paolo Murialdi, per scrivere, più di 50 anni dopo, una cronaca della sua guerra partigiana in una brigata garibaldina dell’Oltrepò pavese. Il libretto, pubblicato da Il Mulino, si intitola La traversata. Settembre 1943-dicembre 1945. È una memoria secca, priva di retorica e di compiacimenti, dove l’emozione ha poco spazio. Si svela soltanto, ma con misura, nella pagina dove Murialdi racconta l’arrivo a Milano, il 27 aprile ‘45, dei partigiani dell’Oltrepò, i primi che giunsero in città: “Le vie dell’ingresso sono quelle abituali di quando non c’era l’autostrada: Conchetta, san Gottardo. Tra le case incontriamo il tripudio. Dai marciapiedi e dalle macerie uomini e donne applaudono e urlano evviva. Qualcuno grida welcome, welcome e noi rispondiamo che siamo italiani, non americani o inglesi. Ricordo una donna che si sbracciava tanto che un seno le uscì dallo scollo del vestito”. (Una bella soddisfazione, indimenticabile, per un giovane di 25 anni, liberare Milano dal nazifascismo. Capace di ripagare di tante fatiche, ansie, dolori, ricordi di morte). In cima al suo libro, Murialdi ha posto due citazioni, la prima di Josif Brodskij, “L’animo precede la penna e non permette alla penna di tradirlo”. La seconda di Italo Calvino: “Siamo tutti uguali davanti alla morte, non davanti alla storia”. Questa di Murialdi, storico del giornalismo, giornalista per tanti anni, è una memoria nel segno indicato da Claudio Pavone, l’autore di Una guerra civile, fondamentale saggio storico sulla moralità della Resistenza. Murialdi è ritornato nei posti della sua giovinezza partigiana, ha rivisto i paesi di pianura, i villaggi di collina a ridosso della via Emilia, Voghera, Stradella, la terra lombarda sotto il Po, i prati e i boschi dei rastrellamenti, le strade degli agguati, i luoghi della guerriglia, le cascine Quando vestivamo alla garibaldina dell’ospitalità contadina. È andato, inutilmente, alla ricerca della buca lunga un po’ più di tre metri, larga quasi due, di terra e di tavole di legno, dove con tre compagni visse per 35 giorni dopo il feroce rastrellamento dei mongoli del novembre ‘44. Murialdi non ha reticenze, racconta tutto quel che ricorda, è salito in montagna con un impermeabile stinto, i calzoni alla zuava, un sacco in spalla. La Resistenza, allora e oggi, è per lui portatrice di libertà. È un duro tirocinio, il suo, impara la politica, impara a conoscere gli uomini. Spesso non sono facili i rapporti tra i partigiani delle diverse formazioni, i comunisti, i socialisti, gli autonomi, i Garibaldini, i Matteottini, quelli di Giustizia e libertà, Mario Arduino e Oscar Di Prata Fu breve la giornata di Massimo Cobelli Mario Arduino, classe 1939, sindaco di Sirmione del Garda per una decina d’anni, dal 1990, e autore di libri di poesia e di saggi sul suo illustre concittadino di duemila anni fa, Catullo; Oscar Di Prata, nato a Brescia nel 1910, pittore, critico e docente, per molti anni collabo- 24 (32) ratore di giornali e riviste: due esperienze diverse, due diverse generazioni, ma un unico modo di “sentire” l’avventura umana, con le sue gioie e i suoi dolori, con il fardello del passato e con le speranze del futuro. La giornata è appena cominciata e già volge al tramonto, ma nonostante la “stagione” sia perduta per sempre ri- mane la gioia di aver vissuto e di vivere alla ricerca di una libertà interiore che è poi il segreto della vita. È la gioia dei semplici, dei puri di cuore, che non si lasciano mai abbattere dalla disperazione. Dal sodalizio tra il poeta e il pittore è nato il volume Fu breve la giornata, parole ed immagini sulla stagione per- duta, raccolta di poesie di Arduino e di disegni di Di Prata, dalla quale affiora un duplice e personalissimo percorso umano e spirituale, intrapreso alla ricerca di un rigore morale che non ha nulla a che fare con il circo delle vanità impostoci da una società alla deriva. Arduino e Di Prata, poeti di strada innamorati della vita, allora tenuti in sospetto dai comunisti, adesso da chi vede i comunisti in ogni cantone. Il libro di Murialdi, garibaldino non comunista, come tanti altri, è familiare, spiega con naturalezza, fuori del mito, la quotidianità della vita partigiana. Spiega anche gli orrori e la pietà. Non tace le atrocità della guerra civile, non nasconde la violenza partigiana. Ma il seme della vendetta, commenta, l’avevano seminato i neri. Nell’ultimo periodo del fascismo poi, quello di Salò, poi normali persone di fede fascista si trasformarono in efferati torturatori, come gli uomini che operarono nell’Oltrepò, italiani feroci di una formazione che si chiamava “Sicherheits Abteilung”. I compagni del partigiano Paolo sono l’Americano, intercalano disegni e poesie come in un libro di filastrocche per bambini, confondendo le une con gli altri. “Entrambi ‘giocano’ con se stessi e con il mondo, ebbri di gioia orgogliosa e conscia”, osserva nella presentazione del volume Amanzio Possenti: “ambedue raccontano che la vita è un dono senza pari, anche se fu breve la giornata. Tra parole e immagini, là avanti si profila un guado da superare, per loro, per tutti: è dolce che al di là attenda un Dio pieno di misericordia, che abbraccia il Poeta, si emoziona ai colori del Pittore e avvolge tutti nel segreto dell’eternità”. E quando sarà il momento, Piero, Toni, Ciro, Primula Rossa. Ma anche Nerone, Sceriffo, Caino, Usignolo, Togliatti, Badoglio, Audace, Indietro, Portos, Tigre, Stalin, Macario. Nomi fantasiosi, pittoreschi, ironici. Ma sono due i protagonisti della cronaca di Murialdi: Edoardo e Maino. Edoardo è Italo Pietra. È lui - il futuro direttore del Giorno - il comandante che l’aveva arruolato in un campo di meliga: “Indossa un insieme che ricorda un po’ gli alpini e un po’ i campi di sci: giacca a vento lunga e gialla, fuori ordinanza, calzoni grigioverdi da ufficiale, calzettoni bianchi, scarpe Vibram. Non porta armi”. Maino è Luchino dal Verme che i partigiani-contadini chiamavano al cònt, il conte. Ufficiale delle batterie a cavallo in Russia, nel partigianato è stato uguale tra gli uguali, ossessivo bersaglio dei nazifascisti. Pietra ha scritto di lui bellissime pagine nel suo libro I grandi e i grossi (Mondadori, 1973). C’è, nella cronaca di Murialdi, un episodio che rivela l’intelligenza politica, lo stile e il nero umore burlesco di Pietra. Il 29 aprile 1945, il crudele capo della Sicherheits, Felice Fiorentini, viene catturato e portato nelle scuole di viale Romagna, caserma partigiana di Milano: “Alto, magro, pallido, disfatto. Edoardo ed io temiamo il linciaggio o una raffica di mitra. Edoardo, allora, pensa di mostrarlo ai partigiani ammassati nell’atrio e urlanti, con noi due ai suoi fianchi, quasi a contatto di gomito. Ottenuto il silenzio Edoardo dice che bisogna dargli una lezione: farlo giudicare da un tribunale straordinario a Voghera ma, intanto, cantargli una canzone partigiana. Così accade. Una scena emozionante e anche teatrale; ma i partigiani cantano e non sparano”. Paolo Murialdi, La traversata. Settembre 1943-dicembre 1945, Il Mulino 2001, pagine 137, lire 18.000 (euro 9,26) dice Arduino, “concedimi la morte improvvisa, Signore. / Abbattimi come una quercia montana / colpita dalla folgore celeste. / Evitami la degradante agonia / dell’erba sotto la ferza estiva. / Conservami dignità umana / fino all’ultimo istante. / Ed accoglimi quindi / nelle tue braccia amiche”. Mario Arduino e Oscar Di Prata, Fu breve la giornata. Parole ed immagini sulla stagione perduta, con prefazione di Amanzio Possenti, Tipolitografia Editrice Angelo Lumini,Travagliato (Bs), pagine 140, s.i.p. ORDINE 8 2001 L I B R E R I A D I T A B L O I D Luigi Gestra e Lucia Purisiol L. Benedini e C.Martignoni Una voce mi chiamò: Marino Moretti a Giuseppe Primo! Ravegnani. Lettere di Gigi Speroni Spiega Lucia Purisiol: “Mi convinse a scrivere questa testimonianza del suo cammino di conversione, chiedendomi: «Perché credi che il Signore ci abbia fatto incontrare?». Non ebbi dubbi nel rispondere: «Per scrivere un libro». Ed eccolo, dunque, il libro, nato dall’incontro di una cronista d’esperienza con Luigi Gestra, che, a quarant’anni, si è lasciato alle spalle una vita brillante e mondana, come titolare di un negozio di abbigliamento nel centro di Milano, per diventare terziario francescano. Non per un’improvvisa folgorazione, ma dopo un cammino dai sofferti interrogativi mentre veniva fornito di doti paranormali da una presenza invisibile che lo “sollecitava a fare”. A esercitare fenomeni razionalmente inspiegabili che lo dilaniavano nel cercare di comprendere che cosa gli stava succedendo, chi lo andava trasformando in sensitivo, a volte, addirittura, in una specie di guru. Lo aiuterà in questa ricerca interiore un sacerdote, definito “Padre Illuminato”, che, passo passo, lo avvierà verso la vocazione. Sin quando “all’improvviso una voce interiore mi disse: «… tu sei venuto al mondo per convertire le anime». E in quell’istante ebbi questa visione: il mio feto (compresi subito che ero io) e l’anima che entrava in esso nella forma di una particola bordata d’oro”. Prima di questa rivelazione (siamo ormai verso le ultime pagine del racconto), Gestra, verrà indotto dalla sua “voce guida” a compiere una serie di stupefacenti atti per la meraviglia di amici e conoscenti: grandi e piccole buone azioni: dall’avvertimento di non affidarsi più a un commercialista disonesto, alla diagnosi per far uscire un padre di famiglia dal coma; dai consigli all’amico musulmano su quando giocare una schedina vincente, al lungo, commosso, colloquio con un’amica nell’aldilà… e via così. Episodi raccolti dalla Purisiol con diligenza partecipante visto che anche lei è stata coinvolta dalla personalità del Gestra: “Quando ho cominciato a frequentare Luigi, gli amici si sono accorti subito che c’era qualcosa di nuovo in me, in genere chiusa, diffidente, pessimista. Naturalmente mi hanno chiesto come andava l’amore e se avevo un nuovo fidanzato. Io rispondevo che avevo conosciuto una persona che mi faceva pregare. Conoscendo i miei trascorsi, allarmati, insistevano nel saperne di più e io rispondevo regolarmente che quando andavo da lui mi sentivo tranquilla, serena, e che «pregare non fa male».” Il libro è di buona scrittura, e qui mi fermo. Perché il contenuto va preso per quello che vuole essere: una testimonianza di Fede. Che donerà ulteriori certezze a chi crede e potrà offrire spunti di riflessione a chi dubita. Come sempre, d’altronde, quando si entra nel mistero del trascendente. Così, più che addentrarmi in un’analisi critica, penso che sia più interessante proporre al lettore due profezie di Luigi Gestra. Sta parlando, nei boschi della Verna, “della grandezza di San Francesco” con alcuni amici, quando li zittisce «perché mi stanno comunicando un messaggio»”. “Sentii questa voce del Signore che mi diceva:«Il tempo che verrà è molto duro. Dal 2001 al 2003 mancherà il pane, ma chi è vicino a me non deve temere perché non gli mancherà. Chi invece sarà lontano da me cadrà nelle tenebre. Vedrai ci saranno molti suicidi perché non credono in me e nella mia salvezza». Poi mi disse per la Chiesa: «Il vostro Papa è un grande Papa… Parlerà alle potenze ma non lo crederanno. La sua grande missione è quella di spianare la strada al prossimo Papa che verrà e avrà un carattere molto duro. Dirà basta a tutte le filosofie. La verità è il Vangelo. Molti sacerdoti verranno spretati perché usano filosofie non coerenti con il Vangelo. E ci vorranno cinquant’anni per ricostruire la Chiesa». I riscontri a un futuro. E neppure molto lontano. Luigi Gestra, Lucia Purisiol, Una voce mi chiamò: Primo!, una vita, una speranza, una conversione, Piemme, Religione, pagine 208, lire 24.000 (euro12,39) di Gian Luigi Falabrino Se si mette a confronto un poeta e narratore con un critico di giornali e direttore di collana, un operatore culturale come si diceva anni fa, scatta facilmente nel lettore, soprattutto se letterato anch’egli, un pregiudizio: il pregiudizio romantico del poeta baciato dall’ispirazione e dalla gloria, di fronte al quale l’operatore culturale sembra molto meno importante. C’è del vero, naturalmente, in questa specie di classifica, perché la creatività artistica è ciò che conta, e ciò che si giudica è l’opera. Ma sul piano delle personalità, della cultura, della stessa autorità che si può esercitare nei giornali e nelle case editrici, il confronto non va sempre a favore dei poeti e dei narratori. In parte, è anche il caso del confronto fra Marino Moretti e Giuseppe Ravegnani, che emerge dalle lettere che il primo ha indirizzato al secondo, in due periodi, 1914-1921 e 1952-1964, pubblicate dalla Biblioteca Civica di Pavia, col titolo Marino Moretti a Giuseppe Ravegnani. Lettere. Questo volume è lo sviluppo di una tesi di laurea di Lucia Benedini, arricchita di note e di una biografia di Ravegnani, in collaborazione con la professoressa Clelia Martignoni, che ha anche scritto l’introduzione. Ci sono soltanto le lettere di Moretti a Ravegnani, ma da ciò che scrive il poeta e dai chiarimenti delle note, molto precise, si intuiscono gli argomenti e il tono del critico. Quando i due letterati comin- ciarono a scriversi, Moretti sfiorava i trent’anni ma era già celebre, Ravegnani aveva dieci anni di meno e stava facendo le prime prove con qualche libretto di versi, con una rivistina letteraria fatta con Italo Balbo (allora repubblicano poi fascistissimo) che non passò i due numeri, e poi con un’altra rivista durata due anni, fino al 1915. Come dice la Martignoni nell’introduzione, la conoscenza fra i due è superficiale: Moretti è affermato e già esperto, Ravegnani impacciato e subordinato. Le lettere del periodo 1914-1921 rivelano un tipo di rapporto molto frequente fra i letterati: l’esordiente manda poesie per la pubblicazione, e l’affermato risponde “lei può fare di meglio”; oppure l’esordiente scrive soffietti benevoli per l’arrivato, e questi si degna di rispondere con brevi cartoline, dal tono molto formale, che si fanno più lunghe e cordiali soltanto dal 1921. Poi ci sono trent’anni di silenzio: nel 1952 i due letterati s’incontrano nella giuria del premio “Grazia Deledda”, diventano amici e la corrispondenza riprende da quell’anno al ‘64: sono ambedue romagnoli, lavorano in modo diverso per la Mondadori, e Ravegnani ha mantenuto un’attenzione critica verso le opere di Moretti. A proposito di Mondadori: Moretti era divenuto un autore della casa, e Ravegnani, come scrive Lucia Benedini nella scheda biografica, dopo i trascorsi fascisti (fra l’altro, nel ‘43 fu anche direttore per pochi mesi del Gazzettino e della Gazzetta di Venezia) e dopo la direzione della Biblioteca Ariostea di Ferrara, nel ‘44 riparò a Milano. Qui dal 1950 al ‘59 fu redattore capo e critico letterario di Epoca e direttore della celebre collana di poesia Lo Specchio. Questi incarichi, uniti alla capacità critica, gli diedero una posizione di “potere” fra gli autori, che non scomparve del tutto neppure dopo la rottura con i Mondadori e il passaggio al Giornale d’Italia. Le molte lettere del secondo periodo sono rivelazioni e conferme di beghe editoriali, ambizioni di autori, delusioni e persino pettegolezzi. Nel raccoglierle in questo promettente lavoro, Lucia Benedini ha sostenuto le lettere e i loro contenuti con note numerose e approfondite, che costituiscono il merito maggiore di questa giovane studiosa. Si tratta di vere biografie, precise e dettagliate, di tanti autori del Novecento. Se si mettessero insieme le brevi, ma ricche biografie di Panzini, Rea, Govoni, Cecchi, Giuseppe A. Borgese e tantissimi altri (e anche molti “minori”:Guido Lopez, Mas-simo Grillandi, Cesare Bran-duani, per esempio), si otterrebbe non soltanto una descrizione dell’ambiente letterario del secolo, ma anche un compendio di storia della letteratura che, in certe parti, è storia dell’editoria e del giornalismo. Lucia Benedini e Clelia Martignoni, Marino Moretti a Giuseppe Ravegnani. Lettere, Biblioteca Civica di Pavia, Edizioni N.T.P. 2000 Romano Bracalini L’Italia prima dell’Unità (1815-1860) di Gigi Speroni Per chi ama la storia, Romano Bracalini è un autore DOC, garanzia di documentazioni d’origine controllata. Come nella sua ultima fatica dedicata all’Italia prima dell’Unità, agli anni che vanno dal 1815 al 1860: dalla caduta definitiva di Napoleone, sconfitto a Waterloo, alla vigilia della proclamazione del regno d’Italia. Con i popoli “spartiti” dal Congresso di Vienna “come greggi, comprati e venduti come al mercato” e l’Italia “divisa in cinque grandi Stati (Piemonte, Lombardo-Veneto, Toscana, Roma, Napoli), più due piccoli (Parma e Modena) che aggregano, rispettivamente Lucca e Massa-Carrara)”. Ognuno con usi ed econoORDINE 8 2001 mie diverse, le proprie leggi, la sua moneta. Ho usato il termine “fatica” nel senso che questo libro è, chiaramente, il risultato di un accurato, paziente, lavoro di ricarca; tradotto in un testo accattivante, diviso in tre parti per raccontare la vita pubblica, privata, sociale degli italiani quando erano uniti unicamente dalla lingua, peraltro parlata soltanto da un’élite di intellettuali. In trecento pagine ricche di dati, fatti, aneddoti, l’autore mette a confronto le mentalità, i personaggi, le consuetudini in una penisola dove ...“anche le abitudini quotidiane non potevano essere più diverse a seconda del rigore o della mitezza del clima, della qualità dei governi, della floridezza dell’economia o della povertà delle terre: ed era naturale che ciò influisse sul temperamento, sull’umore e sulle disposizioni dell’uomo”. È “L’Italia prima dell’Unità”: un mondo misconosciuto, un vuoto che Bracalini ha riempito in un Paese che già poco ricorda del suo passato di Nazione, figurarsi dei 45 anni che precedettero il Risorgimento! E l’ha riempito a mo’ di racconto: godibilissimo, spesso arguto. “A Venezia il turismo aveva salvato la città dalla completa rovina, dopo la crisi economica degli anni ‘20. Solo nel 1843 erano arrivati 112.644 forestieri, più degli stessi abitanti, e la città era diventata una grande locanda, l’Austria aveva favorito questa nuova «industria del forestiero».”… “Certe locande erano prive di servizi igie- nici. In una Heine aveva chiesto dove fosse la toilette. «Là fuori» rispose il locandiere indicandogli l’aperta campagna. Le strade erano piene di ladri; e non era piacevole dover dividere per parecchi giorni la medesima stanza priva di ogni comodo con persone sospette e sconosciute”… “Per recarsi da Milano a Recanati, Giacomo Leopardi dovette procurarsi il passaporto necessario all’ambasciata austriaca «per andare, stare, tornare», come diceva la formula d’uso. Impiegò tre giorni per andare da Bologna a Milano… Lungo i 60 chilometri circa che dividevano Mantova da Parma c’erano sette barriere doganali; e lungo il Po, malgrado la libera circolazione prevista dal trattato del 1815, cinque; e più di ottanta erano i posti di blocco in cui le barche potevano essere ispezionate. Tra Milano e Bologna c’erano sei frontiere doganali, ognuna delle quali imponeva al traffico due ore di sosta”… “Nel Regno di Napoli su 1848 comuni ben 1621 mancavano totalmente di strade”… “Non solo non se ne costruivano di nuove, ma nessuno riparava quelle vecchie. I briganti erano talvolta meno pericolosi dei gendarmi che taglieggiavano i viaggiatori col pretesto di aver violato i regolamenti. Quali regolamenti, se non ne esistevano?” “A proposito dell’indolenza degli impiegati pontifici, Giuseppe Verdi raccontava un divertente episodio. Venuto a Roma nel 1853 per assistere alla prima del Trovatore si recava ogni mattina alla posta, che aveva sede nel palazzo Madama, attuale sede del Senato. Vi arrivava puntualmente alle nove, orario di apertura, ma lo sportello era chiuso; il maestro sbuffa per il ritardo. Alle nove e mezzo un impiegato sonnolento apre lo sportello. Verdi s’avvicina, dice il suo nome, e cacciandogli l’orologio sotto il naso, gli ringhia: «Ma non vedete che sono le nove e mezzo?». E quello, con flemma romana: «E nun ringrazia il cielo che ce semo arivati?» Romano Bracalini, L’Italia prima dell’Unità (1815 – 1860), RCS Libri, Milano, 2001, pagine 318, lire 16.900 (euro 8,73) 25 (33) Intervista a Lucia Mari, quarant’anni di esperienza professionale nel settore La Divina Moda di Paola Pastacaldi Mandare gli stilisti all’inferno? Perché no! Anche se è soltanto l’inferno dell’ironia. Perché la moda, dopo aver conquistato il mondo sull’onda di un made in Italy straordinario, sta spopolando il cuore delle città, assediandole di boutique e show room, perché infine e non ultimo il mondo del giornalismo di moda ha riempito le pagine dei settimanali e i muri delle città di una pubblicità invasiva e qualche volta anche di dubbio gusto. L’idea diremmo “dantesca” è di Lucia Mari, da quarant’anni impegnata in questo segmento del giornalismo, che sta raccogliendo le sue memorie su passato e presente della moda per farne un libro. “Ripenso alle mie esperienze con ironia, ora me lo posso permettere, dopo una vita trascorsa dietro le quinte delle passerelle allora non li chiamavamo back stage -. Ho immaginato di raccontare la storia della moda come se fosse una Divina Commedia, da cui un titolo probabile La Divina Moda, con i protagonisti trattati alla maniera di Dante. C’è chi finisce nei gironi dell’inferno e chi in quelli del purgatorio”. E il paradiso? “Quello, parafrasando un film storico, può attendere. Cercherò di svelare il vero volto degli stilisti, le loro debolezze e le vanità, i loro peccati”. Con nomi e cognomi? La risposta di Lucia Mari è puntuale anche se breve. “Sì, con nome e cognome. Valentino andrà all’inferno, Armani in Purgatorio e gli altri vedremo!”. Lucia Mari è stata inviato per la moda di Stasera e di Paese Sera dal 1961 al 1987, è poi passata al Giorno, dove come collaboratrice fissa seguiva le sfilate e teneva la rubrica “Agenda Donna” sino al ‘97. Ha collaborato anche a Gente. E nel ‘69 ha avuto l’idea di vestire i cantanti del “Festivalbar”, proponendo tra gli altri grandi nomi come quelli di Litrico e di Biki, che riscosse un enorme successo in abbinata con una celebre canzone Acqua azzurra, acqua chiara di Lucio Battisti. Nell’81 prese il premio della Camera Nazionale dell’Alta Moda Italiana per gli articoli su Paese Sera. È sua la voce sulla moda italiana e francese dal 1900 al 1960 per il Dizionario Enciclopedico Moderno, edito da Labor, e ha collaborato al Dizionario della moda curato da Guido Vergani, edito da Baldini e Castoldi. E, dopo una vita dedicata alla carta, si è riciclata con entusiasmo - come dice lei - come responsabile della moda per il canale tv satellitare “Leonardo” e, in più, sta lavoran- do alacremente a due romanzi. Continua anche a portare avanti la sua attività sociale a favore dei bambini, per la quale ha avuto riconoscimenti sia dall’Onu nel ‘95 sia dal Comune di Milano, nell’ambito dell’Ambrogino d’oro. “Quando sono entrata nel giornalismo, le sfilate si facevano a porte chiuse e solo per le clienti, non c’erano uffici stampa, ma le sarte che dirigevano gli atelier ad organizzare tutto. Erano invitate quasi solo le colleghe dei settimanali. Noi dei quotidiani potevamo vedere le toilettes solo nei foyer del Teatro della Scala in defilet a porte chiuse. La moda si è affermata a Firenze, che era la città delle passerelle e di Palazzo Pitti: eravamo negli Anni Cinquanta. Solo dopo, negli anni Settanta, quando è arrivata nella città degli affari, si è trasformata in un business, promuovendo Milano a capitale della moda. Ma prima di allora era tutto diverso. Non molti sanno che Dino Buzzati era un appassionato e talvolta scrivesse di abiti e modelle. Ero con lui a Parigi al debutto di Yves Saint Laurent, che aveva appena lasciato il grande Dior. Coco Chanel, prima di ogni sfilata, allineava le indossatrici e diceva loro: ‘Ora si comincia. Ma non scordate che protagonisti saranno solo e sempre gli abiti, se per caso ve ne scorderete sarete licenziate’. Lucia Mari Oggi è esattamente il contrario. Con l’arrivo delle firme, tutto si è modificato. “C’è spesso il dominio della pubblicità che impedisce di parlare liberamente di questo mondo e se lo si fa, se ne subiscono le conseguenze. Le grandi aziende possono arrivare a ritirare la pubblicità dai giornali. La moda è governata dall’arroganza”. La moda, aggiungiamo, è diventata spettacolo, come del resto anche altri settori. E le modelle vivono la tragica era della magrezza anoressica. Una sorta di modello, di ideale sociale che viene proposto ai giovani. Ma essere magri è diventato troppo bello. Di anoressia molti giovani muoiono. Il vestire per i giovani rappresenta un modo di essere, è per alcune età l’appartenenza alla tribù. Quindi le pagine dei giornali, le pubblicità influenzano la formazione delle giovani generazioni. Che ne pensa delle modelle di oggi? “La moda è certamente bella, ma è diventata anche crudele. Molto spesso sono le donne a identificarsi nelle modelle in modo passivo o eccessivo. Per non parlare delle modelle adolescenti. Dico una sola parola. Non va fatto. Non si devono proporre modelle giovani, magrissime. Non si devono proporre modelli volgari. Non si può presentare la donna come se il suo corpo fosse una credenziale pronta per l’uso”. Ferpi raccoglie la sfida culturale e formativa in alleanza con Maggioli Editore “Nuova stagione per le rp in Italia” Pubblichiamo il comunicato della Ferpi (Federazione italiana relazioni pubbliche): “Giovedì 2 agosto, in tarda serata, il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva il regolamento di attuazione della 150. A quindici mesi dalla sua approvazione parlamentare, dopo prese di posizione e aspre polemiche pubbliche e private, la decisione delle Regioni di chiamarsi fuori e la dura critica espressa dall’Autorità Antitrust, la 150 è, a tutti gli effetti, legge dello Stato. La Ferpi, dopo avere attivamente contribuito al regolamento di attuazione elaborato dal Dipartimento della Funzione Pubblica, ha deciso di creare, tramite Ferpi Servizi srl, una associazione di impresa con Maggioli Editore per sviluppare una offerta formativa rivolta ai colleghi degli uffici stampa e degli urp del settore pubblico. Questo, al fine di contribuire a trasferire nell’amministrazione pubblica una cultura innovativa delle relazioni pubbliche. In questa direzione, la Ferpi ha inviato a tutti i suoi soci una lettera per informarli del progetto offrendo loro, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, la possibilità di avanzare candidature per svolgere un ruolo di docenza nei corsi Ferpi-Maggioli. Il progetto è ora operativo. Nel frattempo, l’associazione Comunicazione Pubblica - nata nel 1990 in accordo con la Ferpi…come opportunamente sottolinea Attilio Consonni correggendo un errore nella relazione di Bologna del Presidente - ha elaborato una nuova “linea politica”, assai apprezzabile nei contenuti e nelle intenzioni. Il prossimo 20 settembre al Compa, le due associazioni realizzano un convegno comune e potrebbe essere un utile appuntamento di confronto, un appuntamento al quale la Ferpi si presenta con le migliori intenzioni, proprio come, in assoluta buona fede, aveva fatto l’anno scorso. L’augurio è che questa volta l’esito sia positivo”. (da www.ferpi.it) 26 (34) ORDINE 8 2001 L I B R E R I A Josef K. Byte, Nello Cozzolino Papere e papaveri di Gianni de Felice Sembra giusto che di Papere e papaveri, gustosa e abbastanza imparziale raccolta di infortuni, scivoloni, distrazioni, incertezze e presunzioni di Tv, giornali e giornalisti a Napoli nel 2000, tratta dal settimanale on line Iustitia, debba occuparmi io che – sebbene mascherato dal greve accento lombardo preso in quarantadue anni di vita milanese – sono nato, come tardivamente confesso ad amici, colleghi e lettori che non l’avessero ancora capito, nel pieno centro di Napoli. Sembra logico che di questo divertente florilegio dell’informazione partenopea si parli sul mensile dei giornalisti lombardi. Non soltanto perché la Lombardia è, come sapete, la più settentrionale delle regioni meridionali, ma anche e soprattutto perché le insidie – chiamiamole così – del nostro mestiere non hanno patria. A qualsiasi latitudine sono in agguato, sotto la scrivania o nella tastiera del computer, la gaffe e l’anacoluto, la ridondanza e magari l’invidia. Scagli la prima penna chi, avendo bucato una notizia, non ha tentato all’indomani di sostenere che i concorrenti, esagerando, avevano fatto di una sciocchezza uno scoop. I colleghi Byte e Cozzolino credono di allibirci con la citazione di questo bizzarro incipit, pubblicato da una gloriosa testata napoletana il 6 maggio 2000: “Sarà pure vero che l’asino non troppo si rivela soggetto docile quando s’innervosisce”. Illusi. Da Milano rispondo citando l’incipit del primo fondo della neonata pagina dell’agricoltura del Corriere della Sera, stampata nell’autunno del 1962: “Il malcontento serpeggia viscido nel mondo del pomodoro”. E siamo 1-1. Fanno gli spiritosi, i due maestrini dalla penna grossa (o dal randello sottile, che fa lo stesso), perché in un tiggì regionale si ascolta la notizia di “Napoli soà, una mostra per non dimenticare”. E immaginano di avere invitato il collega a vedere un memorabile film di Steven Spielberg sul doloroso argo- mento: “Ma ci ha risposto che Sindler’s List lo aveva già visto, e ne approfittava per andare a fare un po’ di sopping”. Chiaro che l’emittente non era la BBC. Ma come faccio a non reagire, ricordando il tiggì nazionale in cui venne data la notizia – da microfoni non napoletani – che “il sàmmit di Belfast è stato rinviato sàin dài”: cioè, “sine die”? L’inglese, ragazzi, è così: o ti manca o ti cresce. E siamo 2-2. Il genere DDT, cioè fare le pulci ai colleghi, sta prendendo piede. In varie forme. Quella condita con lazzi e cachinni di Striscia la notizia, che insieme con le Jene pratica il vero giornalismo di ricerca, inchiesta e denuncia: perciò, quando capita, manda anche giornali e telegiornali dietro la lavagna. Oppure la forma minuetto, stile rondò veronese, flautata da Giulio Nascimbeni con un occhio rivolto alla tutela D I T A B L O I D della grammatica e un altro alla custodia delle date storiche e dei film d’epoca. Oppure quella tutta frizzi, trombette e clacson della Gialappa’s, che per la verità scortica viva più la sintassi degli allenatori che quella dei giornalisti: forse perché uno dei tre ex-ragazzacci (ormai son padri di famiglia) è figlio di un grande giornalista sportivo e, come si sa, l’arte di tata va rispettata. Quindi questo Papere e Papaveri – che, confesso, più d’una risata me l’ha strappata – si aggiunge all’opera di altri maestri e maestroni per suggerire a tutti noi giornalisti umiltà, attenzione, un pensierino alla consecutio temporum, un sospiro alla grammatica, un collirio contro la “congiuntivite”, una sciacquata di panni nel Tamigi e, perché no?, anche nel Reno e nella Senna. A tutti: senza distinzione di età, sesso, latitudini, longitudini, regioni e media. Così è stato ritrovato il cadavere di Giancarlo Siani il 23 settembre 1985. Antonio Franchini L’abusivo di Ettore Colombo Antonio Franchini fa lo scrittore, Giancarlo Siani faceva il giornalista, o meglio “l’abusivo”, al Mattino di Napoli. Antonio e Giancarlo erano amici: avevano iniziato insieme. Poi Franchini se n’è andato ed è andato a vivere a Milano. Siani a Napoli è rimasto, ma presto è anche morto. E già, perché questo è il punto: Franchini è vivo e oggi ha quarant’anni. Siani invece è morto, ucciso dalla camorra il 23 settembre 1985 quando di anni ne aveva 26. Franchini ha scritto un libro bellissimo, L’abusivo, che – si direbbe – parla del “caso Siani”. Di come è stato ammazzato, di chi l’ha ucciso, delle indagini mille volte iniziate e mille volte interrotte, dell’ambiente del Mattino e, più in generale del giornalismo “alla napoletana” (una sottospecie tutta particolare di una professione già squinternata, quella del giornalismo “all’italiana”) fatto di abusivi (e di abusi, dei direttori come dei caposervizi, dei colleghi come della concorrenza), di raccomandazioni (dei politici, naturalmente, ma a volte anche dello zio prete e simili) e d’ignavia, certo, nei confronti del potere vero che spadroneggia, nel regno di Napoli, quello della criminalità. Ma fatto anche di tanti giornalisti sconosciuti e coraggiosi, che indagano e stanno alle costole dei corrotti come dei piccoli e grandi boss locali, di amicizie e solidarietà anche tra chi era già praticante o professionista (e quindi poteva esibire il famoso “tesserino”) e chi invece non lo era e faceva, appunto, uno ORDINE 8 2001 pseudo mestiere, “l’abusivo”, termine che – scrive Franchini – a Napoli acquista tutto un altro suono. Eppure, questo libro non parla – o meglio, non parla “solo” – del caso Siani e di come è potuto maturare “il contesto” che ha portato alla sua morte: le inchieste di Siani a Castellammare di Stabia e il fastidio che dava al clan Gionta, le indagini che stentano, il Mattino che si vergogna, almeno all’inizio, di difendere la memoria del suo cronista (in quanto, appunto, “abusivo”...), e poi la santificazione e i premi dati in suo nome, che passa da quello di un giovane e brillante cronista di provincia a quello di simbolo. No, il libro di Franchini parla, per fortuna dei suoi lettori e di chi voglia capire tante cose, della città di Napoli, con tutto il contorno vociante e improbabile di personaggi e culture, alle follie sociali e mentali di cui può rendersi protagonista solo quella piccola borghesia meridionale dalla quale lo stesso autore proviene, fino alla generazione di quei trenta/quarantenni che hanno fatto in tempo a vivere gli scampoli degli anni Settanta (sì, persino a Napoli) ma che sono stati troppo presto sommersi dal disincanto e dalla cupidigia degli anni Ottanta e oggi, affermati socialmente o meno che siano, si sentono dolorosamente in debito con la Storia prima ancora che con le loro stesse vite. Infine, Franchini opera – all’interno del testo, tutto costruito su lunghe e fedelissime sbobinature dei colloqui che ha avuto nel corso degli anni, mentre accatastava i materiali e svolgeva le ricerche Dunque, anche a Nello Cozzolino e Josef K. Byte (ma come si fa a chiamare Peppeniéllo uno che ci ha questi prenome, nome e cognome?). Ai quali paternamente, o ziescamente, suggerisco di non cominciare mai più un libro sulle gaffes dei colleghi infilandone una nella nota di prefazione. “La palla entrò in porta come un carro armato a vele spiegate” – frase che non ha mai scalfito la tradizione di cultura e prestigio del giornalismo sportivo napoletano – non fu scritta negli anni Ottanta come allegramente si fantastica, ma apparve in un resoconto del 1959. Ho l’età per averla letta e orripilato, come dire?, dal vivo. Josef K. Byte, Papere e papaveri (Tv, giornali e giornalisti a Napoli nel 2000), a cura di Nello Cozzolino, Edizioni Magmata, pagine 196, lire 20.000 per il libro, con i vari amici, colleghi e protagonisti della vicenda Siani – delle interpolazioni narrative dall’esito felice e imprevedibile. Per pagine e pagine, infatti, la storia di Giancarlo e della sua morte viene intervallata da quella della famiglia di Franchini e in particolare da tre figure, due femminili e una maschile: la nonna, soprannominata “Il Locusto”, vecchissima eppure loquace e perfidamente saggia, la madre dell’autore, esasperata e invelenita dalla presenza di sua madre e dall’assenza del marito, che si esprime con una volgarità feroce e cinica, ma contemporaneamente in un dialetto e con ragionamenti di un’ilarità contagiosa, e infine lo zio Rino, ex (forse) generale dei Carabinieri, silenzioso e magrissimo, che in tempo di guerra dovette giudicare un suo attentatore e gli evitò la condanna a morte. Franchini si può permettere di tratteggiare un ritratto vero e impietoso, ai limiti della cattiveria, del suo più ristretto clan familiare solo perché si mette in gioco in prima persona e consente a chi lo legge di riflettere su concetti dolorosi e insieme cruciali. Innanzitutto, che – come gli disse un triste Walter Chiari in una delle sue prime prove da giornalista – “ad un certo punto della vita ci si abitua a tutto. A perdere gli amici, agli addii delle donne...”. Ecco perché solo ora Franchini ha potuto scrivere di Siani. Poi che “andarsene congela gli affetti e forse li preserva”, come Franchini ha fatto con questa storia, seguita e insieme messa da parte per tanti anni, ma anche con Napoli e probabilmente anche con la sua famiglia. Infine, che “catalogare - posti, esperienze, amori, è già un gesto che dovrebbe togliere il diritto di vivere”. Perché, sostiene, se siamo saturi, anche solo di andare ogni giorno al mare nella stessa bellissima spiaggia, dovremmo pensare ai nostri coetanei morti, a chi questa possibilità non viene più data. E, dunque, conclude Franchini, per chi, come Siani e altri della sua generazione, ha lottato tanto per diventare giornalista, per raccontare quello che vedeva, per conquistare una dignità (professionale, sociale, umana) è un insulto vedere o pensare a chi snobba con sufficienza conquiste e responsabilità che, ad altri, in posti più crudeli, sono costati la gioia e la vita. Come a Siani. O la fuga e il dolore. Come a Franchini. Antonio Franchini, L’abusivo, Edizioni Marsilio 2001, pagine 249, lire 28.000 CORPORATE WEB TV PRIMARIO GRUPPO ITALIANO per un progetto di Corporate Web Tv ricerca le seguenti figure professionali 1 capo redattore (RIF 140) 4 redattori ordinari (RIF 141) 3 giornalisti di prima nomina (RIF 142) 1 segretaria di redazione (RIF 143) Per tutti i candidati costituiscono elementi preferenziali: esperienza in redazioni radio televisive, livello culturale ottimo con particolare riferimento ai settori economico e finanziario. In particolare, per la posizione di Redattori ordinari sarà un requisito distintivo l’esperienza diretta nella conduzione di telegiornali. La sede di lavoro è Milano. Le persone interessate possono visitare il sito www.executivesurf.com alla sezione ”ricerche in corso”. 27 (35) Promosso e organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Via al 4° Concorso tesi di laurea sul giornalismo A ogni vincitore 5 milioni. I candidati dovranno consegnare le tesi entro dicembre Milano, 5 luglio 2001. Promosso dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, prende il via la quarta edizione del Concorso destinato a valorizzare le tesi di laurea dedicate al giornalismo e alle istituzioni della professione. Giudice insindacabile del premio è lo stesso Consiglio dell’Ordine. Le tesi (in duplice copia e anche su dischetto in programma word oppure rtf) dovranno pervenire alla segreteria dell’Ordine (via Appiani 2 - 20121 Milano) entro il 31 dicembre 2001. Potranno concorrere le tesi discusse nelle Università italiane (pubbliche e private) nel periodo gennaio-dicembre 2001. Le sezioni del premio sono sei e ogni vincitore di sezione riceverà 5 milioni di lire. L’impegno finanziario dell’Ordine è, pertanto, di 30 milioni complessivi. La cerimonia della consegna avverrà in occasione dell’assemblea degli iscritti all’Albo dell’Ordine della Lombardia. La cerimonia, quindi, è prevista per il marzo 2002 al Circolo della Stampa. Estratti (di 400 righe) delle tesi premiate (e segnalate) verranno pubblicati su Tabloid, organo mensile dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Per la valutazione delle tesi il Consiglio si avvarrà, come lo scorso anno, dell’opera di consulenti (giornalisti e professori universitari). Queste le sezioni: 1) Storia del giornalismo italiano (testate e personaggi). 2) Storia del giornalismo europeo e nordamericano (testate, deontologia e personaggi). 3) Istituzioni della professione giornalistica. La deontologia e l’inquadramento contrattuale dei giornalisti in Italia, Europa e Nord America. 4) Professione giornalistica e sue specializzazioni anche telematiche e radiotelevisive. 5) Giornalismo economico e finanziario. 6) Giornalismo culturale, sociale, scientifico. Decisione interlocutoria della seconda sezione consultiva del Consiglio di Stato Laurea in giornalismo ed esame di giornalista: decisivo il sì di Castelli Milano, 30 luglio 2001. La II sezione consultiva del Consiglio di Stato, chiamata ad esprimersi con un parere sul raccordo tra la laurea specialistica in giornalismo e l’esame di giornalista, ha sospeso il giudizio, ritenendo prioritario acquisire il punto di vista del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, competente in materia di Ordini professionali., e i verbali della “Commissione Rossi”, “limitatamente alle riunioni in cui si è dibattuto il problema della (non) riforma dell’Ordine dei giornalisti”. Al Consiglio di Stato è apparso “congruo assegnare all’ amministrazione il termine di quaranta giorni decorso inutilmente il quale si provvederà a rendere comunque il richiesto parere”. In sostanza sarà il Consiglio di Stato, in sede consultiva, a dirimere il contrasto tra l’Ordine dei giornalisti e il ministero dell’Università sul raccordo tra la laurea specialistica in giornalismo con l’ordinamento professionale. La Commissione Rossi non ha provveduto a scrivere il decreto sul nuovo esame di Stato dei giornalisti, sostenendo che l’attuale “prova di idoneità», che i praticanti giornalisti sostengono per diventare professionisti, «non presenta i caratteri dell’esame di Stato”. Secondo i giornalisti, l’articolo 1 (comma 18) della legge 4/99 obbliga il ministero dell’Università (Murst, oggi Miur) a «integrare e modificare» gli ordinamenti vigenti della professione giornalistica, stabilendo che quella universitaria sia l’unica via di accesso alla professione e che questa via richieda un esame di Stato rinnovato, il quale tenga conto della laurea specialistica (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2001). I giornalisti hanno rimproverato alla Commissione Rossi di non aver considerato gli atti parlamentari relativi alla legge 69/1963, che ha istituito l’Ordine dei giornalisti, e alla legge 4/1999, che dà al Murst (oggi Miur), di concerto con la Giustizia, il potere di cambiare gli accessi alle professioni regolamentate. La posizione di Rossi nasconderebbe così una banale questione nominalistica, ben potendo il Parlamento denominare, come crede, un esame di Stato. Appello anche al ministro dell’Istruzione e dell’Università, Letizia Moratti: “La laurea in giornalismo ha senso se diventa l’unica via di accesso alla professione Nel caso dei giornalisti, il legislatore, a salvaguardia dell’autonomia della professione, ha deciso di affidare l’organizzazione degli esami all’Ordine nazionale “in cooperazione” con la Corte d’Appello di Roma, che designa due magistrati di cui uno assume la presidenza della commissione esaminatrice, come garanzia di imparzialità e uguaglianza di trattamento. Nella memoria scritta da Franco Abruzzo e ora all’esame del Consiglio di Stato, si sostiene che la prova di idoneità professionale dei praticanti giornalisti è del tutto assimilabile alle prove attitudinali prescritte dal Decreto legislativo 27 gennaio 1992 n 115, con il quale, in attuazione della direttiva n. 89/48 CEE, sono state disposte norme per il riconoscimento dei titoli accademico-professionali conseguiti in ambito europeo ai fini dell’esercizio in Italia delle corrispondenti professioni. Il 23 luglio precedente Franco Abruzzo ha rivolto un appello ai ministri dell’IstruzioneUniversità-Ricerca (Miur) e della Giustizia, Letizia Moratti e Roberti Castelli sul tema Non chiediamo sconti: vogliamo accedere alla professione per via universitaria esattamente come gli altri professionisti italiani” dell’accesso alla professione giornalistica: “Cari Ministri, la laurea in giornalismo ha senso se diventa l’unica via di accesso alla professione. Vi chiedo di essere severi con noi e di scrivere in fretta il decreto del nuovo esame di Stato. Non chiediamo sconti: vogliamo accedere alla professione per via universitaria esattamente come gli altri professionisti italiani”. Franco Abruzzo si è rivolto anche al neopresidente del Consiglio di Stato, Alberto de Roberto: “I giornalisti – ha scritto Abruzzo – vogliono legare il loro futuro all’Università e attendono con ansia un parere, che faccia fare un salto di qualità alla categoria e all’informazione italiana sul piano della preparazione e della responsabilità”. Nel frattempo il presidente del Cup (Comitato unitario delle professioni), avv. Nicola Buccico, ha deciso di iscrivere il problema all’odg della prossima seduta del Comitato (che rappresenta tutte le professioni intellettuali) e di sostenere le ragioni dei giornalisti. Buccico è anche presidente del Cnf (Consiglio nazionale forense). Ordine/Tabloid Un’indagine del Censis Giornalisti, la paura dei new media Segnali di crisi per una professione “forte” Roma, 13 luglio. I segnali di crisi ci sono, ineludibili, a cominciare dalla sensazione diffusa che per i giovani ci siano ben poche prospettive, fino alla convinzione, piuttosto sentita, che le aziende editoriali abbiano investito e stiano investendo poco o secondo strategie poco riconoscibili. Ma quella del giornalista, rileva un’indagine del Censis, è ancora “una professione, solida, forte, autocentrata e autoconsistente’’. Lo dimostra il fatto che ben il 68,1% dei giornalisti consultati è convinto di svolgere “una professione importante per la società’’. E che per il 50,4% del campione, giornalisti si diventa “per vocazione’’. Non solo, visto che per il 42,8% la testata per la quale lavora è apprezzata in primo luogo per la correttezza delle informazioni e che per moltissimi (57%) l’obiettività non è affatto un’utopia, bensì “uno scopo da raggiungere’’. Giornalisti fieri del proprio ruolo, dunque, e ancora gratificati da una professione sentita come nevralgica nella società. Non immuni però, rilevano i ricercatori, da un’ansia piuttosto diffusa del futuro e dalla paura indotta dai cambiamenti. Anzi, dalla profonda e articolata trasformazione ed evoluzione alla quale il mestiere di giornalista sta andando incontro in questi anni. In molti ad esempio, si dicono sicuri che nelle aziende editoriali crescerà in futuro il ricorso ai service esterni (64,8%) e ai liberi professionisti (51,6%) e che una ‘’figura più ampia di comunicatore’’ prenderà il posto del giornalista. 28 (36) Tanti (34,7%) denunciano un lavoro ormai “fatto di troppa scrivania’’ e di troppa routine (33,9%) e persino “con troppa attenzione a ciò che accade dentro la televisione (23,7%) piuttosto che a ciò che accade fuori di essa’’. In agguato, secondo il 43,9%, c’è anche ‘’la minaccia dei new media alla propria professionalità. Anche perché, sottolineano i ricercatori, qualche problema emerge nel campo della formazione, con una denuncia massiccia (71,8%) di carenze nella conoscenza delle lingue, accompagnata da un’incertezza generalizzata verso le nuove tecnologie. Quella che invece è certa per tutti, è l’importanza dei fattori economici. Il potere economico, riconosce il 73,2% dei giornalisti, limita in parte l’autonomia della professione, e più del potere politico (57,7%). Ma anche la pubblicità, ritenuta “fonte insostituibile di finanziamento’’ dal 67,8% degli intervistati, è sentita dall’ 89,3% del campione come un potere fortemente condizionante, perché diminuisce l’autonomia del giornalista (67%) o addirittura “gli impedisce di essere obiettivo (22,3%). Quanto alle doti del buon giornalista, in testa rimane la curiosità (53,9%), seguita a buona distanza dall’equilibrio (28,6%) e dalla passione (16,8%). Mentre per essere veramente bravi, l’attributo piu’ importante risulta essere il fiuto (39,5%), seguito da “un maestro che insegni il mestiere’’ (29,9%). Già, perché in barba alla diffusione delle scuole, il 75,3% degli intervistati, per diventare giornalista, ha fatto la gavetta. (ANSA) ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Mensile / Spedizione in a. p. (45%) Comma 20 (lettera B) art. 2 legge n. 662/96 Filiale di Milano - Anno XXXII Numero 8, settembre-ottobre 2001 Direttore responsabile Condirettore FRANCO ABRUZZO BRUNO AMBROSI Direzione, redazione, amministrazione Via Appiani, 2 - 20121 Milano Tel. 02/ 63.61.171 - Telefax 02/ 65.54.307 Direttore dell’OgL Elisabetta Graziani Segretaria di redazione Teresa Risé Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo presidente; Brunello Tanzi vicepresidente; Letizia Gonzales consigliere segretario; Davide Colombo consigliere tesoriere. Consiglieri: Bruno Ambrosi, Sergio D’Asnasch, Liviana Nemes Fezzi, Cosma Damiano Nigro, Paola Pastacaldi. Collegio dei revisori dei conti Alberto Comuzzi, Maurizio Michelini e Giacinto Sarubbi Coordinamento grafico di Ordine - Tabloid Franco Malaguti Marco Micci Disegni Valeria Mutschlechner Stampa Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 20063 Cernusco sul Naviglio (Mi) Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano. Iscritto al n. 983/ 1983 del Registro nazionale della Stampa Comunicazione e Pubblicità Comunicazioni giornalistiche Advercoop Via G.C.Venini, 46 - 20127 Milano Tel. 02/ 261.49.005 - Fax 02/ 289.34.08 La tiratura di questo numero è stata di 21.500 copie Chiuso in redazione il 16 settembre 2001 ORDINE 8 2001
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