Settembre-Ottobre 2006 - Ordine dei Giornalisti
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Settembre-Ottobre 2006 - Ordine dei Giornalisti
Ordine Anno XXXV n. 9-10 Settembre/Ottobre 2006 Direzione e redazione Via A. da Recanate, 1 20124 Milano Telefono: 02 67 71 37 1 Telefax: 02 66 71 61 94 http://www.odg.mi.it e-mail:[email protected] Poste Italiane SpA Sped.abb.post. Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 2). Filiale di Milano dei giornalisti della Lombardia Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo PREVIDENZA E FREE LANCE Con l’avallo del ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Cesare Damiano SANZIONI PER LA STAMPA Le intercettazioni illegali non potranno essere utilizzate ai fini processuali e vanno distrutte Controriforma all’Inpgi2: Cinquanta centesimi a copia per chi pubblica chi guadagna fino a 1.500 euro all’anno e ha più di 5 anni di Albo verserà un acconto di 270 euro In precedenza pagava solo un contributo di 120 euro! In Italia - ma non per i giornalisti - il lavoro fino a 5mila euro è occasionale ed è privo dell’obbligo d’iscrizione alla gestione separata dell’Inps (ex articoli 61 della legge 276/2003 e 44 della legge 326/2003). Perché l’Inpgi non si adegua all’Inps? I giornalisti sono cittadini di serie B? Il prelievo è una tassa sulla povertà: somiglia alla “tassa del macinato”, che ha consentito allo Stato risorgimentale di ottenere il pareggio del bilancio. Franco Abruzzo: “Questa falsa riforma è una mossa per far crescere tra i giornalisti un clima di odio contro l’Ordine e per favorire i piani di abolizione dell’ente. Il gioco è scoperto. È evidente che chi non è iscritto all’Albo non ha questi balzelli sulla testa”. IL SERVIZIO A PAGINA 2 Roma, 22 settembre 2006. Cinque articoli in tutto per impedire qualsiasi utilizzazione delle intercettazioni illegali e punire i responsabili. È strutturato così il decreto legge approvato dal Consigli dei ministri e che entra in vigore “dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale”, probabilmente dunque da domani. È il primo articolo a stabilire che “l’autorità giudiziaria dispone l’immediata distruzione dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti dati e contenuti di conversazioni e comunicazioni, relativo al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti”. E allo stesso modo si provvede per i documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. È vietato pure farne copia, ma soprattutto, stabilisce la norma, “il loro contenuto non costituisce in alcun modo notizia di reato, ne può essere utilizzato a fini processuali o investigativi”. Delle operazioni di distruzione è redatto un apposito verbale. La lettura del verbale che dà atto dell’avvenuta distruzione, stabilisce l’articolo 2, deve essere sempre consentita. Il decreto punisce anche la semplice detenzione delle intercettazioni illegali con la reclusione da sei mesi a quattro anni; pena che aumenta da uno a cinque anni se il responsabile è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Mentre è l’articolo 4 a stabilire le sanzioni pecuniarie a carico dei giornalisti: a titolo di riparazione ogni interessato può chiedere all’autore della divulgazione degli atti, al direttore o vicedirettore responsabile e all’editore in solido tra loro “una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da cinquantamila euro a un milione, secondo l’entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico”. In ogni caso “l’entità della riparazione non può essere inferiore a ventimila euro”. L’azione di risarcimento “va proposta entro un anno dalla divulgazione”, tranne che la vittima della intercettazione illegale “non dimostri di averne avuta conoscenza successivamente. (ANSA) ABRUZZO: “LE INTERCETTAZIONI ILLEGALI NON SONO COPERTE DAL DIRITTO DI CRONACA” Milano, 22 settembre 2006. Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, ha così commentato il provvedimento del governo: “Le intercettazioni illegali non sono coperte dal diritto di cronaca e non possono trovare cittadinanza nelle pagine dei giornali. Diverso è il discorso sulle intercettazioni disposte dall’autorità giudiziarie: quelle si possono pubblicare, ma salvaguardando la dignità delle persone coinvolte. Il rispetto della persona e della dignità umana è il limite interno all’esercizio del diritto di cronaca, principio questo figlio dell’articolo 2 della Costituzione e dell’articolo 2 della legge professionale dei giornalisti”. Abruzzo a Capezzone: 5 ragioni a favore dell’Ordine dei giornalisti A PAGINA 6 Fabio Mussi ritira “il Dpr Siliquini”. Ma annuncia alla Camera la laurea triennale per l’accesso A PAGINA 14 Promosso e organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Via al IX concorso tesi di laurea sul giornalismo Sette sezioni: a ogni vincitore 2.500 euro. I candidati dovranno consegnare le tesi entro dicembre. Ammessi al concorso coloro che hanno riportato un voto non inferiore a 99/110. Milano, 12 luglio 2006. Promosso e organizzato dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia (nel contesto dell’articolo 20/bis del Dpr 115/1965 e con l’approvazione dall’assemblea 2006 degli iscritti), prende il via il IX “concorso” destinato a valorizzare le tesi di laurea dedicate al giornalismo e alle istituzioni della professione. L’obiettivo è quello di capire, attraverso le tesi, i reali problemi del mondo multimediale e conseguentemente di elaborare i migliori criteri di una formazione moderna dei giovani, che si avviano alla professione, e di quanti operano già “dentro” la professione. La collaborazione OrdineUniversità è prefigurata dal comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999 (che vuole l’esame di Stato agganciato alle lauree della riforma) e dal Dlgs 300/1999 (che assegna alle Università il compito di preparare i nuovi professionisti): il concorso, lanciato dall’Ordine dei giornalisti di Milano, è un momento di questa collaborazione strategica per i giornalisti. L’articolo 20/bis del Dpr 115/1965 impegna il Consiglio nazionale a “collaborare, direttamente o di concerto con i Consigli regionali, con università, facoltà o scuole nazionali universitarie di giornalismo ai fini della organizzazione dei programmi e degli esami per la migliore formazione e specializzazione professionale dei giornalisti”. Giudice insindacabile del Premio è lo stesso Consiglio dell’Ordine. Le tesi (in unica copia e anche su dischetto in programma word oppure rtf) dovranno pervenire alla segreteria dell’Ordine (via Antonio da Recanate 1- 20124 Milano) entro il 31 dicembre 2006. Le tesi, comunque, non verranno restituite. Ogni candidato dovrà presentare la domanda in carta semplice corredata dai dati anagrafici comprensivi del codice fiscale, dei recapiti telefonici e della residenza nonché dal certificato di laurea in carta semplice (sono ammessi al concorso coloro che hanno riportato un voto non inferiore a 99/110). Potranno concorre- ORDINE 9-10 2006 re le tesi discusse nelle Università italiane (pubbliche e private) nel periodo gennaio-dicembre 2006 a conclusione dei corsi quadriennali e quinquennali nonché dei corsi biennali specialistici post laurea triennale (laurea magistrale). Le sezioni del Premio (al quale ogni candidato dovrà far riferimento) sono sette e ogni vincitore di sezione riceverà 2.500 euro. L’impegno finanziario dell’Ordine è, pertanto, di 17.500 euro complessivi. La cerimonia della consegna avverrà in occasione dell’assemblea degli iscritti all’Albo dell’Ordine della Lombardia. La cerimonia, quindi, è prevista per il marzo 2007 al Circolo della Stampa. Estratti (di 400 righe) delle tesi premiate (e segnalate) verranno pubblicati su Tabloid, organo bimestrale dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Per la valutazione delle tesi il Consiglio si avvarrà, come lo scorso anno, dell’opera di consulenti (giornalisti e professori universitari). Queste le sezioni: 1) Storia del giornalismo italiano, dei suoi interessi e dei suoi protagonisti, anche attraverso le vicende storiche e di costume che lo hanno impegnato. 2) Storia del giornalismo occidentale. 3) Istituzioni della professione giornalistica. La deontologia e l’inquadramento contrattuale dei giornalisti in Italia, in Europa e nel resto del mondo occidentale. 4) Giornalismo radiotelevisivo. 5) Giornalismo telematico. 6) Giornalismo economico e finanziario. 7) Giornalismo culturale, sociale, scientifico, sportivo e di costume. Con l’avallo del ministro del Lavoro e della Previdenza sociale Cesare Damiano PROFESSIONE Controriforma all’Inpgi2: chi guadagna fino a 1.500 euro all’anno e ha più di 5 anni di Albo verserà un acconto di 270 euro. In precedenza pagava soltanto un contributo di 120 euro! Roma, 8 settembre 2006. Gabriele Cescutti, presidente dell’Inpgi, ha diramato il 5 marzo una lettera, che riportiamo qui di seguito. La lettera annuncia una riforma del sistema di pagamento dei contributi minimi all’Inpgi2. Si tratta di prelievi iniqui, che per di più assicurano pensioni di fame ai giornalisti free lance, che vivono di collaborazioni. Finora coloro che guadagnavano fino a 1.500 euro all’anno versavano all’ente un contributo ridotto di 120 euro. Da oggi esiste un unico contributo minimo annuo per tutti coloro che abbiano un’anzianità di iscrizione all’Albo professionale superiore a 5 anni a prescindere dal reddito: la misura di tale contributo/anticipo è pari a complessivi 270,11 euro. Chi, invece, ha meno di 5 anni di Albo dovrà versare un contributo/anticipo (ridotto) di 122,72 euro (contro i 120,43 euro di prima). Procediamo con un esempio: chi guadagna 10.000 euro, versa l’anticipo di 270 euro, che poi scalerà in sede di saldo dai 1.200 euro somma equivalente al 12% di 10.000 euro. In effetti la riforma favorisce chi guadagna molto e penalizza chi guadagna poco, perché a chi guadagna poco la riforma non consente il rimborso della differenza tra l’acconto e la somma pari al 12% dei compensi percepiti. In sostanza gli acconti (270 o 122 euro) non sono rimborsabili in quanto rappresentano quel contributo minimo destinato anche a far funzionare l’Inpgi2. Da oggi in avanti non verrà accordato alcun trattamento di favore a chi guadagna meno di 1.500 euro. Ancora una volta l’Inpgi/2 perde l’occasione di accogliere le richieste che vengono dal mondo giornalistico giovanile e non so- lo giovanile. In Italia - tranne per i giornalisti - il lavoro fino a 5.000 euro è occasionale ed è privo dell’obbligo d’iscrizione alla gestione separata Inps (ex articoli 61 della legge 276/2003 e 44 della legge 326/2003). Questo principio vale anche per l’Inpgi2 in virtù del principio costituzionale di uguaglianza tra i cittadini e dell’articolo 76 (punto 4) della legge 388/2000: “Le forme previdenziali gestite dall’Inpgi devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”. Perché i giornalisti sono discriminati rispetto ai cittadini assicurati con l’Inps? Con il parere n. 881 (17 giugno 1998) emesso su richiesta del ministro del Lavoro e del ministro del Tesoro, il Consiglio di Stato ha affermato: “Non sussiste obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza per i soggetti iscritti nell’Albo che esercitano un’attività professionale in maniera occasionale” I due ministri e l’Inpgi hanno disatteso il parere. Può l’Inpgi/2 marciare in direzione opposta agli interessi dei suoi iscritti? Che ne pensa la Fnsi? Questa la lettera di Cescutti: “Lo scorso 31 agosto il ministero del Lavoro ha comunicato l’approvazione definitiva di un’importante delibera assunta dal Comitato amministratore della Gestione separata nel mese di maggio. Il provvedimento prevede una semplificazione del sistema di pagamento dei contributi minimi che, come è noto, devono essere versati ogni anno entro il 30 settembre, in acconto sulla contribuzione dovuta per il medesimo anno. Biancheri: “Non ci sono indicazioni per la ripresa del negoziato sul contratto” Roma, 5 giugno 2006. “Non ci sono indicazioni che mi facciano pensare che vi siano condizioni per cui la ripresa di un negoziato possa portare a risultati costruttivi e realistici”. Così il presidente della Fieg, Boris Biancheri, fa il punto sulla vertenza per il rinnovo del contratto giornalistico, a margine di una conferenza stampa presso la sede della Federazione degli editori. Nel ripercorrere le fasi salienti del negoziato, Biancheri ha ricordato che “da parte della Fieg era stata fatta una proposta di proroga della normativa vigente per affrontare solo la parte economica, ma la proposta è stata respinta e questo credo sia stato un errore”. (Adnkronos) Il ministro Damiano assicura: “Continuerò a cercare il dialogo tra Fnsi e Fieg” Roma, 14 luglio 2006. Nella trattativa per il rinnovo del contratto dei giornalisti il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, continuerà a cercare elementi di dialogo tra le controparti, nonostante la recente presa di posizione, in negativo, manifestata dalla Fieg, l'associazione degli editori. Lo ha detto, a margine di un incontro su concertazione e politica del reddito, il ministro del Lavoro Cesare Damiano. “Il ministro - ha osservato riferendosi alle contrapposizioni tra giornalisti ed editori in merito al rinnovo del contratto dei primi - continuerà a cercare opportunità per il dialogo. I giornalisti - ha concluso - hanno dato la loro disponibilità”. (ANSA) 2 Sono attualmente in corso di spedizione al domicilio di tutti i colleghi iscritti all’Inpgi2 i bollettini di pagamento prestampati e personalizzati. Nel caso in cui qualcuno non dovesse ricevere il bollettino potrà effettuare il pagamento specificando la causale del versamento “contributi minimi anno 2006”: o a mezzo c/c postale intestato a: Inpgi Gestione separata D. Lgs. 103/96 - n. 94425006; oppure a mezzo bonifico bancario intestato: a Inpgi Gestione separata D.Lgs. 103/96 - Banca Popolare di Sondrio Agenzia 11 Roma - CIN W ABI 05696 CAB 03200 c/c 000020000X28 Il sistema di acconti oggi abrogato Gli acconti da oggi in vigore Finora il meccanismo in vigore prevedeva tre casi distinti: ● gli iscritti all’Ordine da più di 5 anni dovevano pagare un contributo minimo complessivo di 338,90 euro (di cui 258,23 a titolo di contributo soggettivo, 51,64 euro a titolo di contributo integrativo e 29,03 euro per contributo di maternità); Per questi motivi il Comitato amministratore, nella riunione del 10 maggio scorso, ha approvato una modifica al Regolamento (ora ratificata dal ministero del Lavoro) fissando un unico contributo minimo annuo per tutti coloro che abbiano un’anzianità di iscrizione all’Ordine professionale superiore a 5 anni, a prescindere dal reddito. La misura di tale contributo è pari a complessivi 270,11 euro di cui 200 euro dovuti a titolo di contributo soggettivo, 40 euro dovuti a titolo di contributo integrativo e 30,11 euro per contributo maternità (tale ultimo importo varia di anno in anno in relazione all’andamento degli indici Istat). ● coloro che invece erano iscritti all’Ordine da meno di 5 anni dovevano versare un contributo minimo ridotto pari a 120,43 euro (di cui 71,40 euro a titolo di contributo soggettivo, 20 euro a titolo di contributo integrativo e 29,03 euro per contributo di maternità); inoltre, era previsto che dovessero versare soltanto il contributo ridotto di 120,43 euro anche coloro che, pur essendo iscritti all’Ordine da più di 5 anni, prevedessero di conseguire nell’anno un reddito non superiore a 1.500 euro. Per potersi avvalere correttamente di questa possibilità il collega doveva però comunicare per iscritto che il proprio reddito (presumibilmente) non avrebbe superato nell’anno la soglia dei 1.500 euro, salvo eventuale conguaglio in caso di superamento del limite. Quest’ultima previsione aveva però ingenerato confusione tra vari colleghi, con la conseguenza che i numerosi errati pagamenti avevano comportato la necessità di frequenti rettifiche di posizioni, con notevoli carichi di lavoro aggiuntivo per gli uffici dell’Inpgi. ● Riepilogando, quindi, entro il prossimo 30 settembre, i colleghi iscritti dovranno provvedere ad eseguire il versamento di uno soltanto dei due seguenti importi di acconto: Euro 122,72 (di cui 72,61 euro di contributo soggettivo, 20 euro di contributo integrativo e 30,11 euro per contributo maternità). Tale importo dovrà essere versato in acconto da coloro che sono iscritti all’Ordine professionale da meno di 5 anni. ● ● Euro 270,11 (di cui 200 euro di contributo soggettivo, 40 euro di contributo integrativo e 30,11 per contributo maternità). Questo importo, invece, dovrà essere versato in acconto da coloro che vantano un’anzianità di iscrizione all’Ordine superiore a 5 anni. Fnsi: quattro giornate di sciopero per riavviare la trattativa contrattuale Roma, 7 settembre 2006. La Giunta della Federazione nazionale della stampa italiana riunita con le Associazioni regionali di stampa, ha proclamato quattro giornate di sciopero nazionale dei giornalisti italiani per rivendicare la riapertura della trattativa contrattuale con la Federazione italiana editori giornali (Fieg). I giornalisti dei quotidiani, delle agenzie di stampa, dell’emittenza radiotelevisiva pubblica e privata si asterranno dal lavoro venerdì 29 e sabato 30 settembre; i giornalisti dei quotidiani e delle agenzie di stampa attueranno altre due giornate di sciopero nazionale giovedì 5 e venerdì 6 ottobre alle quali parteciperanno anche i colleghi dei quotidiani free press; i giornalisti della Rai e di tutta l’emittenza radiotelevisiva nazionale attueranno le altre due giornate di sciopero lunedì 16 e martedì 17 ottobre. Le modalità dello sciopero dei giornalisti dei periodici saranno decise dal Coordinamento nazionale dei cdr del settore convocato nei prossimi giorni in videoconferenza a Milano e a Roma. (www.fnsi.it) ORDINE 9-10 2006 ORDINE 9-10 2006 3 La nuova legge si riferisce ai professionisti iscritti nei vari Ordini e Collegi PROFESSIONE Il “decreto legge Bersani-Visco” colpisce la piattaforma della Fnsi: si allontana per i free lance il tariffario delle prestazioni, ma resta in piedi quello indicativo e non vincolante dell’Ordine di Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Milano, 2 luglio-11 agosto 2006. Il “fuoco amico” del governo Prodi ha affondato quella parte della piattaforma contrattuale della Fnsi, che prevede un tariffario per le prestazioni autonome (dei giornalisti free lance) con queste precise parole: “Si chiede, inoltre, la definizione di un tariffario delle prestazioni autonome rapportato alla specificità della prestazione (notizia, articolo, inchiesta) e al mezzo di diffusione (quotidiani, periodici, giornali elettronici). I compensi dovranno essere maggiorati quando si riferiscano ad avvenimenti che richiedano la presenza del giornalista nei giorni domenicali e festivi infrasettimanali”. Il decreto legge, varato il 30 giugno dal Consiglio dei ministri, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 2 luglio e poi dell'11 agosto come legge n. 248, stabilisce che “sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”. È evidente che l’abrogazione riguarda le tariffe obbligatorie fisse o minime in vigore, ma è evidente anche che non se ne possano fissare di nuove, soprattutto tenendo conto che il Contratto dei giornalisti, con il Dpr 153/1961, ha assunto forza di legge. Può sopravvivere il Tariffario dell’Ordine dei giornalisti, - varato ogni anno dal Consiglio nazionale con riferimento agli articoli 2, 11 e 35 delle legge professionale n. 69/1963 nonché agli articoli 2230, 2231 e 2233 del Codice civile -, che ha carattere indicativo e non vincolante. Il tariffario in sostanza è una “tabella dei compensi minimi inderogabili, al netto delle contribuzioni previdenziali, per le prestazioni professionali autonome dei giornalisti (locatio operis) non regolate dal contratto collettivo di lavoro perché non comportanti subordinazione anche se costituenti cessioni di diritto d’autore”. I minimi del Tariffario sono valorizzati dai presidenti regionali dell’Ordine quando rilasciano il parere di congruità (ex artt. 2233 Cc nonché 636 Cpc) ai giornalisti, che hanno deciso di citare in giudizio gli editori, che hanno omesso il pagamento delle collaborazioni. Recita l’articolo 636 Cc: “Il parere non occorre se l’ammontare delle spese e delle prestazioni è determinato in base a tariffe obbligatorie (che oggi sono state cancellate, ndr). Il giudice, se non rigetta il ricorso, deve attenersi al parere nei limiti della somma domandata, salva la correzione degli errori materiali”. Questo articolo dovrebbe voler dire che il parere riguarda prestazioni non regolate da tariffe obbligatorie (come sono quelle dei giornalisti). Se così fosse, rimarrebbero in piedi il tariffario dell’Ordine nazionale e i pareri di congruità dei presidenti degli Ordini regionali. Secondo gli articoli articoli 2225 e 2233 del Cc, “il corrispettivo (o compenso), se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”. Questi articoli conferiscono una supplenza ai giudici, che dovrebbero determinare in via autonoma l’entità dei compensi spettanti ai giornalisti liberi professionisti vittime dei “tempi lunghi” o delle dimenticanze degli editori. La legge Bersani-Visco, però, fa saltare l’articolo 633 del Cc in base al quale “il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento… se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata”. Come dire: Previsto il taglio ai contributi a favore dei giornali organi di partito e/o di movimenti “fantasma”. Collaborazioni pagate solo via banca se non c’è più la tariffa legalmente approvata non c’è più il decreto di ingiunzione di pagamento. Un bel rebus, che rafforza la pretesa degli editori di pagare le collaborazioni secondo i loro comodi. “I compensi in denaro per l’esercizio di arti e professioni sono riscossi - dice l’articolo 35 della legge - esclusivamente mediante assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro”. Anche i giornalisti free lance “sono obbligati a tenere uno o più conti correnti bancari o postali ai quali affluiscono, obbligatoriamente, le somme riscosse nell’esercizio dell’attività e dai quali sono effettuati i prelevamenti per il pagamento delle spese”. L’articolo 20 del dl prevede un taglio ai contributi a favore dei giornali organi di partito e/o di movimenti politici “fantasma”. Anche per i giornalisti professionisti, quindi, decade a) il divieto, anche parziale, di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni. b) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità. Concludendo, l’articolo 2 del dl parla delle tariffe proprie di coloro che svolgono “attività libero professionali e intellettuali”, cioè di coloro che hanno sostenuto (ex art. 33, V comma, della Costituzione) “un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio professionale”. In una parola la nuova legge si riferisce ai professionisti iscritti nei vari Ordini e Collegi. SCUOLE DI GIORNALISMO Consulta dei presiden Roma, 4 luglio 2006. A Roma, nella sede dell’Ordine nazionale dei giornalisti, si è riunita la Consulta dei presidenti e dei vicepresidenti degli organismi regionali. Un solo tema all’ordine del giorno: le Scuole di giornalismo autorizzate. Un quesito su tutti: l’attività di controllo (e verifica) deve essere svolta solo dall’Ordine nazionale? Sì, secondo l’orientamento della quasi totalità dei convenuti. Anche se non è stata esclusa la possibilità di intervento da parte degli Ordini regionali, che potrebbero essere rappresentati sia negli esecutivi delle Scuole sia nel Comitato tecnico scientifico dell’organismo nazionale. Fermo questo punto, Vittorio Roidi, segretario dell’Ordine nazionale, dopo una lunga e complessa discussione, ha annunciato l’inizio di un lavoro per giungere a modifiche del “Quadro di indirizzi” sulle Scuole di giornalismo, anche sulla base di contributi futuri. Una modifica sostanzialmente di contenuti, ma anche di numeri. Numeri, perché Roidi già nel suo intervento di apertura, ricordando le proposte sindacali di chiusura a tempo delle Scuole (18 in tutto, 16 operative) per limitare il numero di disoccupati postpraticantato - non ha escluso una possibile “misura politica” di riduzione dei praticanti ammessi to Coordinamento delle Scuole, ha tra gli obiettivi principali proprio lo studio delle modalità di insegnamento, nonché dei contenuti basilari. Lo stesso Coordinamento potrebbe partecipare alle riunioni del Comitato tecnico scientifico, così come gli Ordini regionali potrebbero essere coinvolti negli incontri delle Scuole. Sugli stage dei praticanti (delle Scuole) posizione quasi unica: sono colleghi, praticanti, non devono sostituire i professionisti in ferie o altro (sottraendo lavoro ai disoccupati), ma neppure stare con le mani nelle mani. Richiesto un utilizzo reale e costruttivo nel rispetto delle norme sindacali. Casomai, dovrebbero essere diversamente gestiti gli stagisti provenienti dalle Università. Comunque, un tavolo di lavoro ampio ma condiviso su più punti. Tra questi, la difesa e la valorizzazione del percorso universitario - in grado di garantire professionisti adeguatamente preparati e multimediali (nonostante i molti stop alla riforma dell’accesso alla professione) - e l’invito al Sindacato a rientrare nei propri compiti istituzionali. E veniamo ai singoli interventi registrati nel corso della Consulta. Bruno Tucci, presidente dell’Ordine del Lazio, ha affrontato più 4 dalle strutture autorizzate dall’Ordine (ipotizzata una percentuale del 10 per cento). Il segretario ha però ribadito un concetto: “Se si è bravi e preparati il mercato c’è”. Un’affermazione fondata ancora sui numeri: 9 professionisti su dieci (formati nelle Scuole) lavorano, anche se con diverse tipologie contrattuali. Inoltre, Roidi, nel corso dell’introduzione dei lavori, aveva sottolineato come, su base annuale, il numero di praticanti delle Scuole che sostengono l’esame di stato rappresentano il 12 (massimo 15) per cento dei circa 1200 candidati totali. E ora i contenuti. Contenuti che si reggono sul complesso equilibrio tra insegnamenti universitari e giornalistici. Sorvolando sugli accordi raggiunti nelle singole realtà, chi decide, relativamente ai giornalisti, se deve insegnare il professionista Bianchi o Rossi. E, soprattutto, chi decide cosa insegnare. E come. Al di là delle direttive del “Quadro di indirizzi”, c’è stata la proposta di istituire un “Albo dei formatori”. Insomma, chi è capace, secondo certificato, insegna. Su questo punto, il segretario ha espresso una certa perplessità: “È una idea molto difficile da realizzare. E, poi, i formatori devono essere autonomi. È indispensabile”. Tra l’altro, il neona- problemi: “Gli stagisti delle Scuole hanno poco spazio anche per la presenza in redazione di universitari che poi diventano abusivi” (ipotizzata una trattativa con la Fieg sulle modalità di accesso in redazione degli stagisti). Confermata la bontà del percorso universitario contro i ciucci: “Sulle Scuole l’ultima parola spetta all’Ordine nazionale”. Sull’ammissione agli esami, per Tucci sono necessarie regole uniche e uniformità di giudizio. E, più in generale, maggiore rigidità anche in sede nazionale: sotto accusa il “buonismo della Commissione ricorsi”. Sulla necessità di uniformità di giudizio sull’ammissione agli esami (praticantati d’ufficio, ma anche freelance) si è espresso anche Maurizio Paglialunga, presidente dell’Ordine del Veneto. E ancora: “Gli stagisti spesso sono forza lavoro a costo zero”; sull’argomento numero di allievi (e relative polemiche sindacali), Paglialunga ha proposto di approfondire la capacità di assorbimento del mercato. Infine, la richiesta di nuove regole nel segno della chiarezza e della trasparenza (anche finanziaria) nel rapporto con le Scuole in convenzione: dal legame (“scarso”) con gli Ordini regionali alle rette sborsate dagli allievi (“Scuole solo per ricchi?”). Silvano Rizza, ORDINE 9-10 2006 Liste di “Autonomia e Solidarietà”, componente degli organismi di categoria dei giornalisti italiani Coordinamento nazionale “Autonomia e Solidarietà”: contratti, etica, accesso alla professione, le priorità della categoria CONTRATTI L’assemblea sottolinea la gravità della situazione che si è determinata per responsabilità degli editori della Fieg. La pervicace volontà degli editori di colpire a morte la contrattazione nazionale della categoria, di stravolgerne le regole, di indebolire fortemente il sindacato e attraverso questo obiettivo colpire l’autonomia professionale dei giornalisti ha avuto fin qui una risposta ferma ed unitaria, testimoniata dal successo delle otto giornate di sciopero finora programmate. Il giornalismo italiano non può accettare che l’attuale blocco della trattativa contrattuale si protragga ancora a lungo. Occorre, come ha chiesto la Fnsi, che il governo ponga gli editori di fronte alle loro responsabilità sociali. La Fieg ha presentato al governo un pacchetto di richieste, alcune delle quali sono anche condivisibili. Tuttavia, gli editori italiani non possono chiedere che un fiume di denaro prenda la strada delle loro aziende e intanto operare una surrettizia riduzione del costo del lavoro attraverso il blocco del contratto, l’uso dei lavoratori precari e un trattamento risibile al lavoro autonomo per di più lasciato senza regole e tutele certe. La trattativa deve avviarsi senza pregiudiziali e produrre ragionevoli compromessi. Per quanto riguarda la definizione del profilo professionale dei giornalisti addetti stampa pubblici urge aprire la trattativa sull’ipotesi di testo che la Fnsi, d’intesa con un numero significativo di sindacati autonomi, ha già presentato all’Agenzia per la negozia- RIFORMA DELL’ACCESSO Nel fine settimana di metà giugno, si è tenuta, a Ferrara, la tradizionale Assemblea nazionale della componente di “Autonomia e Solidarietà”, la principale forza di maggioranza della Fnsi e parte importante del governo di tutti gli organismi di categoria. Il dibattito ha affrontato tutti i temi più importanti che stanno di fronte alla categoria dei giornalisti. Nel corso della discussione sono intervenuti 36 colleghi e tra questi tutti i principali esponenti degli enti di categoria che fanno riferimento alla componente. zione contrattuale nel pubblico impiego (Aran). In questo caso la responsabilità del governo è diretta e decisiva per indurre l’Aran a convocare i necessari incontri. Il permanere di una posizione di indisponibilità da parte di Cgil, Cisl e Uil non può impedire la realizzazione di quanto previsto da una legge dello Stato che ormai risale a 6 anni fa, ma le cui previsioni restano pienamente valide. Le grandi Confederazioni sindacali debbono comprendere che la loro è una posizione sterile che occorre superare nell’interesse più generale dei lavoratori. Del resto la disponibilità del sindacato dei giornalisti al confronto con le Confederazioni per individuare una strada comune su questo tema è sempre stata totale. Testo del decreto-legge 4 luglio 2006 Testo del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, coordinato con la legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”. Art. 2. Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali 1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti; b) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall’Ordine; c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve es- DEONTOLGIA I giornalisti italiani si trovano di fronte a vicende che ne mettono fortemente in discussione la credibilità. È necessario che tutti gli organismi della categoria facciano la loro parte. È necessario che ciò che in queste vicende - scaturite da varie intercettazioni telefoniche che è stato giusto pubblicare - è deontologicamente rilevante venga esaminato dall’Ordine professione in tutte le sue articolazioni. È così, con la trasparenza dei procedimenti, che si opera in modo effettivamente garantista verso i colleghi e la pubblica opinione. Su questo tema occorrerà intensificare l’attenzione ed operare un approfondimento per rendere più efficaci le regole deontologiche che la stessa categoria si è data. sere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità. 2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle professioni reso nell’ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonché le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali. 2-bis. All’articolo 2233 del codice civile, il terzo comma è sostituito dal seguente: “Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”. 3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle. Art. 20. Presidenza del Consiglio dei ministri 1. L’autorizzazione di spesa di cui alla legge 25 febbraio 1987, n. 67, come determinata dalla tabella C della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è ridotta di 1 milione di euro per l’anno 2006 e di 50 milioni di euro a decorrere dall’anno 2007. 2. In relazione a quanto disposto dal comma 1, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono ri- L’assemblea di “Autonomia e Solidarietà” ritiene il tema della definizione di meccanismi certi ed univoci per l’accesso alla professione giornalistica una delle priorità a cui è di fronte la categoria. La riforma della legge istitutiva dell’Ordine è ormai ineludibile: gravi sono le responsabilità della classe politica che da anni non affronta un problema che riguarda un settore importante per la qualità della democrazia come è quello dell’informazione. L’assemblea di “Autonomia e Solidarietà” ribadisce la validità della scelta, compiuta anni fa, di praticare vie che consentissero contemporaneamente di elevare la preparazione culturale dei nuovi colleghi e nel contempo di sottrarre la scelta stessa di poter praticare la professione giornalistica alla totale discrezionalità degli editori. Alla luce delle enormi difficoltà che caratterizzano il mercato del lavoro giornalistico, sul quale preme una quota rilevante di inoccupazione intellettuale oltre ad un numero altrettanto rilevante di disoccupati e precari, “Autonomia e Solidarietà” ritiene urgente un confronto approfondito tra tutti gli organismi di categoria dei giornalisti italiani, confronto dal quale devono scaturire scelte in grado di attenuare quanto più possibile l’attuale confusione e disagio. I temi della deontologia e dell’accesso alla professione dovranno essere gli elementi dominanti della campagna elettorale delle elezioni per il rinnovo degli organi di governo dell’Ordine dei giornalisti che si svolgeranno tra un anno circa. determinati i contributi e le provvidenze per l’editoria di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250. 3. La dotazione relativa all’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, come determinata dalla tabella C della legge 23 dicembre 2005, n. 266, è ridotta di 39 milioni di euro per l’anno 2006. 3-bis. All’articolo 3, comma 2-ter, secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, le parole: “Gli stessi contributi” sono sostituite dalle seguenti: “A decorrere dal 1° gennaio 2002 i contributi di cui ai commi 8 e 11”. 3-ter. Il requisito della rappresentanza parlamentare indicato nell’alinea dell’articolo 3, comma 10, della legge 7 agosto 1990, n. 250, e successive modificazioni, non è richiesto per le imprese editrici di quotidiani o periodici che risultano essere giornali o organi di partiti o movimenti politici che alla data del 31 dicembre 2005 abbiano già maturato il diritto ai contributi di cui al medesimo comma 10. Art. 35. Misure di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale 12. All’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, dopo il secondo comma sono inseriti i seguenti: “soggetti di cui al primo comma sono obbligati a tenere uno o più conti correnti bancari o postali ai quali affluiscono, obbligatoriamente, le somme riscosse nell’esercizio dell’attività e dai quali sono effettuati i prelevamenti per il pagamento delle spese. I compensi in denaro per l’esercizio di arti e professioni sono riscossi esclusivamente mediante assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro”. nti: “Va modificato il Quadro di indirizzi” del Comitato tecnico scientifico dell’Ordine e tra i fondatori dell’idea Scuole, è andato via diritto: “Mi occupo solo di Scuole da circa venti anni e l’esperienza mi dice che solo due o tre sono buone”. Gli stage? “Sono l’essenza del percorso formativo”. Sui ventilati squilibri occupazionali, Rizza ha aggiunto: “Bisogna impedire che ne nascano altre o quantomeno autorizzare nuove strutture tenendo conto delle condizioni di mercato”. “L’opzione universitaria è irreversibile”, secco l’esordio di Ermanno Corsi, presidente dell’Ordine della Campania. Sul potere di controllo da esercitare nei confronti delle Scuole, Corsi ha affermato: “Non si può escludere l’assegnazione di alcune funzioni agli Ordini regionali”, tra cui la determinazione del numero di allievi da ammettere nella struttura di competenza. Per Michele Partipilo, presidente dell’Ordine della Puglia, più che chiudere o stoppare le Scuole, è necessario intervenire sui praticanti fuori controllo (d’ufficio e freelance). “Le Scuole sono l’unica strada per avere giornalisti sempre più preparati, ma si devono anche individuare gli strumenti per farle funzionare”. Poi, due proposte: l’istituzione dell’Albo dei formatori e il voto degli allievi sugli insegnanti (da taORDINE 9-10 2006 gliare se non adatti), che alcune scuole già adottano. Oreste Lopomo, presidente dell’Ordine della Basilicata, ha diviso il suo intervento in più punti: “Sulla formazione, è indispensabile un compromesso tra Università e Ordine per ottenere giusti risultati”; “Lo stage deve essere costruttivo e operativo”; “Il sindacato sta distruggendo il ruolo dell’Ordine”. E infine: “Gli Ordini regionali devono essere rappresentati nel Coordinamento delle Scuole”. Per Fabrizio Franchi, presidente dell’Ordine del Trentino AltoAdige, le Scuole garantiscono la formazione, ma bisogna porsi “il problema del numero totale dei praticanti provenienti dalla strutture convenzionate, perché contemporaneamente diminuisce il potere contrattuale, indebolito anche dai ricatti cui devono sottostare abusivi e precari”. Franchi ha, poi, adombrato possibili situazioni a rischio, relativamente ai finanziamenti percepiti da alcune Scuole. Francesco De Vito, del Comitato esecutivo dell’Ordine nazionale, contrario al blocco per due anni dei corsi autorizzati (“una posizione sindacale meno minoritaria di un tempo”), ha spostato il problema sul riconoscimento dei praticantati d’ufficio (“spesso molto improbabili”). Sulla questione delle ammissioni agli esami, negate dagli Ordini regionali, ma poi approvate in sede nazionale, ha precisato: “Sono pochi episodi. Ineliminabili. Per quanto riguarda il resto, bisogna dare atto alla Commissione ricorsi dello sforzo massimo prodotto nell’applicazione dei criteri interpretativi dell’articolo 34”. Ezio Ercole, vicepresidente dell’Ordine del Piemonte, invece si è soffermato soprattutto sulla preparazione: “Perché non studiamo qualcosa per favorire la crescita culturale dei pubblicisti? La risposta potrebbe essere un master, in convenzione universitaria (per laureati), finalizzato all’approfondimento delle conoscenze professionali”. Per Elio Pezzi, vicepresidente dell’Ordine dell’Emilia-Romagna, l’organismo nazionale deve mantenere i poteri di controllo e verifica sulle Scuole, anche se va rinnovato il quadro normativo. Comunque, “non possiamo rinunciare alle scelta universitaria”. Sul blocco dei corsi delle strutture in convenzione, una proposta all’insegna del turn over tra le Scuole. Giannetto Sabbatini Rossetti, presidente dell’Ordine delle Marche, ha insistito sulla diversità di giudizio dei singoli organismi regionali nel trattare i riconoscimenti d’ufficio e le richieste dei freelance: “Ci vogliono deli- bere quadro per stabilire i criteri”. E poi: “Gli stagisti praticanti devono lavorare non guardare, altrimenti non ha senso. Fermiamo quelli provenienti dalle Università”. Infine: “Il sindacato facesse la contrattazione, non possiamo bloccare il mondo. I disoccupati si qualifichino”.Maria Pia Farinella, consigliere dell’Ordine nazionale, si è soffermata sull’avanzamento da parte delle donne nel mondo del giornalismo, da attribuirsi alla diffusione delle Scuole di giornalismo, perché, nei processi di formazione, le donne non sono mai seconde. Giulio Mastroianni, consigliere dell’Ordine nazionale, invece, ha proposto tre punti specifici su cui lavorare nel prossimo futuro: criteri unici (da parte degli Ordini regionali) relativamente all’iscrizione al registro dei praticanti; utilizzo di soli disoccupati e stagisti (provenienti dalla Scuole autorizzate) per le sostituzioni nelle redazioni; infine, la presenza degli Ordini regionali sia negli esecutivi delle Scuole sia nel Comitato tecnico scientifico dell’organismo nazionale. Alla Consulta sono intervenuti il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, che ha definito la riunione “proficua”, e il direttore dell’ente, Ennio Bartolotta. (g.c.) 5 Minaccia indiretta ai 2 milioni di professionisti italiani iscritti negli Ordini e nei Collegi PROFESSIONE Giornalisti: 5 ragioni a favore dell’Ordine Non vogliamo tornare al vecchio “mestiere” Risposta di Franco Abruzzo a Daniele Capezzone (Rnp) che propone l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti Milano, 11 agosto 2006. Pubblichiamo la lettera aperta che Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, ha indirizzato all’onorevole rosapugnista Daniele Capezzone, che oggi ha proposto l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, accogliendo i suggerimenti degli editori e in generale dei padroni delle ferriere: Ho letto con interesse le tue dichiarazioni solitarie all’interno della maggioranza di governo e contrastate dall’opposizione. Mi permetto sommessamente di ricordare che la parola Ordine significa riconoscimento giuridico di una professione, nel caso particolare della professione giornalistica. L’Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le “regole” fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini sono per legge i giudici disciplinari e in questo campo fanno la loro parte, certamente con alti e bassi. Sottolineo l’importanza strategica per una società democratica del nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione (“corretta e completa”), costruito dalla Corte costituzionale sulla base dell’articolo 21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che è legge “italiana” dal 1955). Questo nuovo diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33 della Costituzione. Le considerazioni sopra esposte consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi: 1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge; 2) risulterà abolita la deontologia professionale fissata nell’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963; 3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del “segreto professionale sulla fonte delle notizie”. Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale; 4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarà giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione; 5) una volta abolito l’Ordine, scomparirà l’Inpgi. I giornalisti finiranno nel calderone dell’Inps, regalando all’Inps un patrimonio di 2.500 miliardi di vecchie lire (immobili e riserve). Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi nonché di tutelare i saperi dei professionisti. La formazione e gli esami per l’accesso devono essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i professionisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella delle professioni. È condivisibile, infatti, quella parte del decreto legislativo 300/1999 sul riordino dei ministeri che affida l’accesso alle professioni - e quindi anche della professione giornalistica - all’Università. Oggi deve essere tolto agli editori il potere che hanno dal 1928 di “fare” i giornalisti. I giornalisti devono nascere soltanto in Università. Su questo fronte sei in difficoltà, caro compagno Capezzone: il tuo partito, parlo dei radicali, ha promosso un referendum per abolire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ha perso anche questo referendum come quello contro l’Ordine dei giornalisti. Oserai oggi metterti contro i padroni, che negano ai giornalisti il rinnovo del contratto? Non dimenticare: a) che l’Ordine ha cercato di liberalizzare la professione creando 19 scuole di giornalismo; b) che i suoi minimi tariffari non sono vincolanti (come vuole l’Europa); c) che l’Europa, con la direttiva 36/2005 (“Zappalà”) ha dato disco verde gli Ordini e ai Collegi italiani. Quella direttiva e poi il dlgs 30/2006 (“La Loggia”) hanno stabilito che le professioni intellettuali si possono svolgere sia in via autonoma sia in via dipendente. Ti auguro un ravvedimento operoso. Per ora sei un giovane vecchio, prigioniero degli schemi pannelliani, rottami di una storia con pagine anche dignitose sul terreno dei diritti civili. Vogliamo rimanere professionisti e non tornare alla stagione mortificante del “mestiere”. Di quella stagione il buon Giacinto Marco Pannella (mio collega a Il Giorno di Mattei) è testimone parigino prezioso. Tu, caro Capezzone, guarda avanti e non sposare le aspettative degli editori, che vogliono i giornalisti asserviti ai loro voleri. Senza Ordine, infatti, rimarranno soltanto gli ordini degli editori. Nota. La tua proposta sull’Ordine dei giornalisti è un messaggio indiretto di “abolizione” ai 2 milioni di iscritti agli Ordini e ai Collegi italiani. I giornalisti non saranno soli nella loro battaglia! Cordiali saluti e buone ferie. Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Una volta abolito l’Ordine, rimarranno Abruzzo attacca Serventi Longhi: “L’Ordine dei giornalisti è un giudice amministrativo, non il giustiziere della categoria” Milano, 12 agosto 2006. Paolo Serventi Longhi, segretario generale della Fnsi, nel contesto della proposta del parlamentare rosapugnista Daniele Capezzone di abolizione dell’Ordine dei giornalisti, ha rilasciato una dichiarazione, che rappresenta un capovolgimento di fronte e una pugnalata alla schiena di quanti operano nei Consigli dell’Ordine nonché una caduta personale che denota approssimazione e scarsissima preparazione giuridica. Serventi Longhi scrive che “… un Ordine che non riesce a svolgere tempestivamente e con efficacia il ruolo di garante etico dei giornalisti, ma soprattutto dei cittadini, non ha proprio più alcun senso ed anche le regole dell’accesso alla pro- 6 fessione appaiono inadeguate di fronte al dilagare del precariato e del lavoro nero”. Vogliamo tranquillizzare Serventi Longhi: a partire dal 18 settembre, di fronte al Consiglio dell’Ordine di Milano, compariranno, come è già noto, i giornalisti coinvolti nelle vicende Calciopoli, Sismi, “bimbo mai nato” e commistione pubblicità/informazione. Anche l’Ordine del Lazio ha convocato i giornalisti coinvolti nelle analoghe vicende. La giustizia è una cosa tremendamente seria: i Consigli dell’Ordine non sono giustizieri della categoria. I termini a difesa sono un istituto anche amministrativo, che i Consigli devono rispettare in maniera rigorosa (in caso contrario, le decisioni verrebbero cancel- late dal giudice di appello). La Corte costituzionale, con la sentenza 505/1995, ha vincolato i Consigli a una disciplina austera: “Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56 comma 2 legge 3 febbraio 1963 n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista, proposta, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., sotto il profilo che la norma non consentirebbe al giornalista incolpato di partecipare alla fase istruttoria del procedimento disciplinare a suo carico: la norma infatti può essere interpretata nel senso che, quando in istruttoria si proceda all’accertamento dei fatti attraverso la raccolta di prove, l’incolpato abbia la possibilità di visione dei verbali e di utilizzo di ogni strumento di difesa con memorie illustrative, presentazione di nuovi documenti e deduzione di altre prove, compresa la richiesta di risentire testimoni su fatti e circostanze rilevanti ed attinenti alle contestazioni (Corte cost., 14 dicembre 1995, n. 505; Parti in causa: Pietroni c. Consiglio naz. ord. giornalisti e altro; Riviste: Giust. Civ., 1996, I, 651 e Rass. Forense, 1996, 32)”. A questo punto ho un suggerimento da dare all’amico Paolo Serventi Longhi: quello di studiare la “carte” prima di parlare e di capire che le inchieste citate sono state bloccate anche dal “generale estate”. Anche sull’accesso Serventi Longhi dice cavolate: l’Ordine si è battuto e si batte in solitudine per togliere agli editori il potere di “fare” i giornalisti, un potere che risale al 1928. L’Ordine ha creato 19 scuole o master di giornalismo. Con il praticantato d’ufficio - avviato proprio da Milano nel 1967 - l’Ordine ha stroncato l’abusivismo nelle redazioni. Chieda lumi a Mario Ajello, che oggi sul Messaggero scrive un articolo ingeneroso sull’Ordine, dimenticando le sue vicende professionali risolte dall’Ordine di Milano secondo legge e nel rispetto del valore della dignità della persona. Le procedure garantiste - dettate dall’articolo 56 della legge professionale 69/1963 e dalla legge 241/1990 - non possono essere superate allegramente a patto che l’Ordine dei giornalisti rimanga ente pubblico e giudice disciplinare amministrativo. E su questo non ho dubbi: Capezzone ha lanciato una proposta estiva, che è isolatissima all’interno della maggioranza di governo (come ha scritto l’on. Pierluigi Mantini, autorevole esponente della Margherita). Paolo Serventi Longhi si preoccupi piuttosto di portare a casa il contratto atteso da due anni, ma senza capitolazioni di fronte alle pretese degli editori. Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ORDINE 9-10 2006 Stefano Pediva, IDV, senza l’Ordine non ci sarebbe tutela Roma, 11 agosto 2006. “Che vada riveduta la riforma degli ordini professionali è un obbligo che spetta al governo e al Parlamento, ma che proprio Capezzone voglia abolire l’Ordine dei giornalisti, per facilitare la lottizzazione, per decidere posti e cariche dei gruppi che controllano l’informazione, proprio non me l’aspettavo’’. Lo afferma Stefano Pediva, capo della segreteria politica di Italia dei valori. “Sono d’accordo con Tucci che senza l’Ordine professionale non ci sarebbe una tutela per tutti i giornalisti, professionisti o pubblicisti, e sono convinto che sia meglio un dibattito aperto che una proposta di legge ferragostana’’, sottolinea. (Adnkronos) Mantini (DL), no all’abolizione degli Ordini Roma, 11 agosto 2006. “La proposta di abolizione dell’Ordine dei giornalisti fatta da Capezzone non è in sintonia con il programma di governo. Noi siamo per la riforma e la modernizzazione degli Ordini professionali, già avviata nel decreto Bersani e non per l’abolizione degli ordini’’. Lo sottolinea in una nota il responsabile del settore Professioni della Margherita, l’on. Pierluigi Mantini, secondo il quale “occorre più concorrenza ma anche più professionalità, più responsabilità, più deontologia soprattutto in un settore delicato come quello dell’informazione’’. Gli Ordini professionali, per il parlamentare dell’Ulivo “devono funzionare meglio nella promozione della formazione permanente e nella garanzia della qualità e dell’etica professionale a tutela dei cittadini più che degli iscritti. A settembre si avvierà alla Camera l’esame della proposta di legge dell’Ulivo per la riforma delle professioni e sarà quella l’occasione per una iniziativa politica organica e non episodica. Le fughe in avanti e le Le reazioni predicazioni pseudoliberiste servono a poco, occorre comprendere e far comprendere che la modernizzazione delle professioni - conclude Mantini - è per la crescita del paese e delle professioni e non contro le professioni’’. (ANSA) Marco Lion, no all’ abolizione sì a riforma Roma, 12 agosto 2006. “L’Ordine dei giornalisti non va abolito, ma certamente profondamente riformato’’: lo sostiene il deputato e responsabile Comunicazione dei Verdi Marco Lion, secondo il quale “occorre una riforma dell’Ordine per garantire la massima trasparenza e per tutelare maggiormente i diritti dei giornalisti, in particolare dei precari e delle categorie più deboli’’. (ANSA) Stiffoni e Davico (Lega), no all’abolizione dell’Ordine. Devono finire piuttosto i favoritismi in redazione Roma, 12 agosto 2006. “L’uscita del radicale Capezzone riguardo all’abolizione dell’ Ordine dei giornalisti ricorda tanto il ferroviere Totò in Destinazione Piovarolo che, per fermare il treno con il ministro, si inventa una frana. Capezzone per risolvere la sua acredine di astinenza parlamentare dei radicali, si inventa una cosa che non ha né capo né coda, a parte qualche collega che lo segue”. A commentare la proposta del segretario dei Radicali italiani sono i capigruppo del Carroccio in commissione Lavori pubblici e Comunicazione e in commissione Cultura del Senato, Piergiorgio Stiffoni e Michelino Davico. “Qual è lo scopo? - si chiedono entrambi i senatori. Far arrivare più soldi alle casse del governo Prodi con i soldi dei professionisti iscritti all’Inpgi e alla Casagit? Se è questo ebbene il binario è totalmente morto. Almeno per quanto ci riguarda. L’Ordine non deve essere abolito, ma alcune cose vanno cambiate come in altri ordini professionali. Per esempio, i favoritismi dei ‘figli di...’ in alcune redazioni di giornali e televisioni devono finire. Tanti bravi precari - concludono - sono da anni in attesa di un contratto sicuro”. (Adnkronos) Capezzone a Vittadini, gli Ordini vanno superati. Altrimenti non ci sarà alcuna vera liberalizzazione Roma, 20 agosto 2006. Gli ordini professionali “vanno superati”. Il presidente della Commissione Attività produttive della Camera, Daniele Capezzone, replica alle parole pronunciate dal presidente della Fondazione della Sussidiarietà, Giorgio Vittadini, al Meeting di Rimini. “Davvero, non capisco l’enfasi e l’energia con cui ha ritenuto di difendere gli Ordini professionali, che sono e restano uno dei maggiori fattori di chiusura illiberale del nostro sistema economico e sociale, di impedimento o comunque di restrizione nell’accesso alle professioni, e di negazione di una vera concorrenza e di ef- fettive condizioni di mercato”, afferma Capezzone. “Lo dico da cittadino e da politico che, come si sa, è in prima fila nella lotta per le liberalizzazioni. Non avremo nessuna vera liberalizzazione, di cui abbiamo invece un drammatico bisogno, se non si attiveranno meccanismi di superamento degli ordini, e delle strozzature corporative che caratterizzano il sistema-Italia. Il paese è prigioniero di lobby e corporazioni”, aggiunge l’esponente radicale, concludendo che “è davvero curioso organizzare convegni che portano la parola “liberalizzazioni” nel titolo, e poi, nei fatti, difendere quelle che Ernesto Rossi chiamava le ‘bardature corporative” italiane’. (Adnkronos) Piazza a Capezzone, gli Ordini sono presidio di legalità. Occorre una riforma ma non vanno aboliti Roma, 20 agosto 2006. “Capezzone sbaglia profondamente, gli Ordini professionali sono un presidio di legalità e qualità del servizio in tutte le professioni in cui è necessario un vaglio nella ammissione all’esercizio della attività e un controllo sulla correttezza del suo svolgimento, e ciò nell’interesse dei cittadini e della collettivita”. Angelo Piazza, ex ministro della Funzione pubblica e deputato della Rnp, replica al presidente della Commissione Attività produttive della Camera che, a sua volta, era intervenuto a commentare le parole del presidente della Fondazione della Sussidiarietà, Giorgio Vittadini. “Occorre certo una riforma, che anteponga la funzione di garanzia degli Ordini in favore degli utenti, rispetto a quella di tutela corporativa degli aderenti; si eviti di creare nuovi ordini inutili; ma abolire gli Ordini professionali non aiuterebbe cittadini e imprese e li esporrebbe in troppi casi alla anarchia della mancanza di regole e controlli in attività di rilevante interesse pubblico”, argomenta Piazza, sottolineando che “sarebbe come volere sopprimere, perché non funzionano in modo efficiente, ospedali o uffici pubblici: si riordina, si migliora, non si butta tutto a mare”. (Adnkronos) soltanto gli ordini degli editori della Fieg Abruzzo a Capezzone: “Senza Ordine nessuna tutela. Per la categoria conseguenze devastanti” Roma, 23 agosto 2003. “Abolire l’Ordine dei Giornalisti avrebbe soltanto conseguenze devastanti, perché la categoria non sarebbe più tutelata”. A parlare è Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, che ribatte così, all’Adnkronos, all’intervento di Daniele Capezzone, segretario dei radicali italiani, pubblicato oggi su il Giornale a sostegno della propria proposta di abolizione dell’Ordine. “Mi batto da trent’anni - afferma Abruzzo - per ottenere un assetto innovativo, per avere una riforma della legge ‘63 dell’Ordine professionale ancorata all’Università e alla direttiva 89/48/Cee”. L’Europa vuole che i professionisti regolamentati abbiano alle spalle almeno una laurea triennale. Il ministro Mussi il 4 luglio in Parlamento ha dichiaORDINE 9-10 2006 rato che adeguerà gli ordinamenti vigenti a quella direttiva. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia spiega inoltre che sarebbe d’accordo “soltanto con l’abolizione di tutti gli Ordini professionali. Sarebbe necessaria, dunque, una riforma totale, dove tutti gli Albi dovrebbero essere gestiti direttamente dallo Stato: gli Albi potrebbero essere pubblicati nel portale del ministero della Giustizia; l’esame di Stato (previsto dall’articolo 33, V comma, della Costituzione) potrebbe essere affidato alle Università, mentre le prime sezioni civili dei Tribunali di capoluoghi di regione potrebbero svolgere le funzioni di giudice disciplinare. Capezzone non ha ancora capito che la “Carta” francese non è adattabile al siste- ma italiano, perché la nostra Costituzione impone l’esame di Stato a chi intende esercitare una professione intellettuale. Il Parlamento e oggi l’Università hanno decretato che esiste la professione di giornalista. Capezzone non sa che coloro i quali esercitano di fatto la professione possono diventare giornalisti di diritto, chiedendo ai Consigli dell’Ordine la delibera di iscrizione d’ufficio al Registro. In Lombardia abbiamo sanato d’ufficio almeno 3mila posizioni. Capezzone è disinformato quanto impreparato”. “Capezzone - conclude Abruzzo -, isolato nella maggioranza, deve smetterla di lavorare per gli editori e di dire cavolate. Studi, ne ha bisogno. Colpisce che non spenda una parola contro gli editori padroni della professione dal 1928: sono gli editori che assumono ad libitum i praticanti. La sfacciataggine ha un limite, quello costituzionale del buon costume e della decenza (sesto comma dell’articolo 21). Nelle pagine seguenti interventi di Del Boca, Tucci, Andriolo e Roidi Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444 E-mail [email protected] L’ informazione ritagliata su misura 7 PROFESSIONE Il segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Vittorio Roidi Insopportabile carnevale di stagione: dai radicali vecchio refrain Nel dibattito interviene anche il segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Vittorio Roidi. “Quello dei radicali è un vecchio ‘refrain’. Abolire un Ordine professionale ma senza un perché. Affermano che la sua esistenza ostacola la libera professione. Il che è assurdo, basta guardare quante centinaia di persone scrivono sui giornali senza possedere alcuna tessera e quante, circa 1200 ogni anno, vanno ad affrontare l’esame di stato”, scrive Roidi sul sito di Articolo 21. Che si apra finalmente una discussione è positivo”, osserva comunque Roidi, secondo il quale “qualcosa si muove” ma “per ora nella direzione sbagliata”. “Torna la proposta dei radicali di abolire l’Ordine dei giornalisti e subito si accodano alcuni presunti liberalizzatori. Ci sono colleghi autorevoli e ce ne sono non pochi che in passato dall’Ordine ri- cevettero sanzioni di natura disciplinare. Ancora non sappiamo - continua Roidi- se il governo Prodi proporrà qualcosa per riformare l’organizzazione dei giornalisti. Può darsi che si occupi anche di questa il ministro Bersani. E sarebbe un bene, visto che da molti anni è stata chiesta una profonda modifica della vecchia legge del ‘63, ormai difficilmente applicabile. Finora il Parlamento non ha mai trovato il tempo di occuparsene”. Roidi scrive che “i giornali non si occupano mai di questa questione, per una sorta di strano pudore. Invece, è probabile che al cittadino interessi sapere chi debba considerarsi giornalista, quale preparazione debba possedere e quali doveri. Avanti allora. Ma si dicano, per favore cose precise. Anzitutto se si vuole una professione giornalistica. Oppure se, in un nome di una anarco-libertà ciascuno possa fregiarsi di questo titolo”. “Alle professioni, dice ad esempio l’Unione Europea, si deve accedere attraverso una laurea almeno triennale, prosegue il segre- tario dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Se si vuole abolire il giornalismo professionale, per lasciare spazio a quello dilettantistico, si spieghi comunque quali sono gli obblighi dei giornalisti: la ricerca della verità, come afferma la legge del ‘63? Chiunque può diffondere notizie, anche se in realtà si rivelano solo pensieri personali? Il giornalista sarà come uno scrittore o un poeta? Se si vuole fare un discorso costruttivo si deve spiegare cosa devono studiare gli aspiranti giornalisti? E dove: all’università, oppure è sufficiente apprendere un po’ di mestiere, nelle redazioni, come si faceva una volta? Trovate le risposte a questi interrogativi, si abolisca pure la vecchia legge. Quel giorno sarò d’accordo. Ma oggi serve una discussione in profondità. Chi ha dedicato parecchie energie alle questioni della professione, il carnevale di stagione - conclude Roidi - lo trova insopportabile”. Lorenzo del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, al direttore del “Giornale” La politica riformi l’Ordine Caro direttore, in Italia la giustizia non funziona. Istruttorie spropositate che, non di rado, mandano in carcere persone che non c’entrano niente. Occorrono anni per ottenere una sentenza di primo grado ma spesso - dopo altri anni di attesa - viene contraddetta dal verdetto d’appello. Meglio - molto meglio - i giudici anglosassoni e i francesi. Persino gli spagnoli e i greci potrebbero insegnarci qualche cosa. Dunque aboliamo la giustizia italiana? La cancelliamo?! In Italia nemmeno i treni funzionano. I ritardi sono abituali e il personale è scorbutico. Le carrozze risultano sempre sporche e, qualche volta, fanno persino schifo. Hai viaggiato sui convogli austriaci, su quelli tedeschi, su quelli della Gran Bretagna? Una delizia. Si scusano un’infinità di volte per aver superato l’orario previsto di otto secondi - il battito delle ciglia - e quando, per inconvenienti di eccezionale gravità, vanno oltre i venti, l’amministrazione rimborsa il biglietto. Un altro mondo... Allora, aboliamo le ferrovie dello Stato? Via binari... stazioni... passaggi a livello... coincidenze... e via anche i capistazione: quelli cortesi e quelli maleducati?! Per la verità non viaggiano bene nemmeno gli aerei. Lì i ritardi sono anche più cronici e più consistenti. Per un viaggio TorinoRoma che dovrebbe durare 50 minuti, si sbarca dopo un’ora e mezzo. In proporzione, il trasferimento in Sud America dovrebbe comportare il ritardo di due giorni: code - anche frustranti - per il check in, code per entrare nell’atrio partenze, code per imbarcarsi, code all’arrivo. A Linate e Malpensa, per complicare la vita dei passeggeri, hanno inventato il doppio pagamento: il biglietto ha un costo e si può utilizzare la carta di credito ma poi c’è una non meglio precisata «tassa» e quella va saldata in contanti. All’estero sai che all’ora di partire si parte e - minuto più, minuto meno - all’ora di arrivare si arriva. Puoi programmare gli impegni, accettare appuntamenti, chiedere a una persona di venire a prenderti all’aeroporto perché sai che non la costringerai a un bivacco, con dilatazioni temporali impreviste. Cancelliamo l’Alitalia? E chiudiamo gli scali nazionali? Ma, allora, perché mai si dovrebbe abolire l’Ordine dei giornalisti? Ammesso - e non concesso! - che il suo funzionamento lasci Maurizio Andriolo a desiderare e che altrove sia meglio, perché chiudere bottega? Perché solo i giornalisti e perché i giornalisti prima di tutti? Ovviamente, sono consapevole che l’istituto che presiedo non rappresenta il migliore dei mondi possibili. Mi piacerebbe che l’accesso alla professione venisse regolato da un serio praticantato all’università. Gli ingegneri si formano al Politecnico e i futuri avvocati vanno a giurisprudenza. Con l’accelerazione sociologica di questi ultimi anni, gli aspiranti giornalisti devono studiare, prepararsi sui libri e conoscere gli argomenti di cui parlano. Le imprecisioni, qualche approssimazione di troppo e, a volte, gli errori grossolani (anche nella sintassi) ci fanno perdere credibilità presso i lettori. All’esame di Stato sarebbe bene arrivare con gli strumenti moderni, abitualmente in uso nella quotidianità e, quindi, nelle nostre redazioni. Dimostrare di sapere scrivere ma doverlo fare con la Olivetti Lettera 22 che ormai sta nei musei e nella foto del 1940 che ritrae Montanelli nei corridoi del Corriere sembra francamente un po’ desueto. E poi sarebbe necessario che l’Ordine potesse esercitare un controllo deontologico efficiente, in modo da intervenire con tempestività nei casi di inadempienza dei colleghi. Adesso le sanzioni arrivano dopo anni perché i procedimenti della magistratura professionale seguono gli iter dei procedimenti amministrativi dove - sembra - non c’è fretta. Per ottenere l’Ordine che tutti vorremmo basterebbero dei piccoli ritoc- chi. La categoria è d’accordo e, dunque, gli aggiornamenti sarebbero pure i benvenuti. E, allora, perché non realizzarli? Perché l’Ordine dei giornalisti è regolato dalla legge del 1963 che, approvata quando in Italia esisteva una radio nazionale e un canale televisivo, era stata costruita sulle esigenze di allora e non poteva prevedere gli sviluppi - e i progressi - della società negli anni a venire. I dirigenti politici degli ultimi quindici anni a mia memoria - si sono dichiarati d’accordo sulla necessità di riformare il nostro istituto, secondo le indicazioni che noi stessi avevamo dato loro. Avessero detto che erano contrari, si sarebbe potuto discutere; ma andava bene... Ministri, sottosegretari, capigruppo, responsabili dell’informazione, di maggioranza e di opposizione della dozzina di governi che si sono succeduti in questo periodo. Dunque non è l’onorevole Capezzone che deve chiedere conto a me delle inefficienze dell’Ordine che presiedo. Sono io che devo chiedere conto a lui del perché il Parlamento non ha mantenuto le promesse. Occorre che la politica si metta nelle condizioni di approvare la riforma che ci riguarda. Se qualcuno ha ancora a cuore gli interessi dell’informazione. Altre strade, prima che impraticabili, sono dannose. Le notizie sono un bene prezioso che, tutti quanti, dovremmo tentare di salvaguardare. Altro che affidarle al mercato che, malamente interpretato dai liberisti degli ultimi cinque minuti, ha già provocato sufficienti danni. Bruno Tucci, presidente Odg Lazio “Sulle professioni, dico no Nessun dialogo con a chi invoca l’Europa” Capezzone sull’Ordine Roma, 21 agosto 2006. “Si discute molto - e non è uno scoop ferragostano - se “abolire il nostro Ordine. Personalmente ho sempre definito “satrapie”, i vari Ordini regionali. Abolire un Ordine sarebbe cosa da poco, ma diffido dei proponenti e delle proposte che come al solito - invocano un “allineamento” dell’Italia a Paesi europei. In Europa sul tema di come fare i giornalisti c’è grande confusione, varietà di regole, arbitri e pochissima considerazione per chi fa il giornalista. Unico valore: chi scrive sui giornali non è quasi mai un “galoppino”. In Italia quanto a disordine, abuso, prevari- cazione ce n’è a sufficienza… Se non c’è stata finora una riforma dell’Ordine è perché la volontà e l’assenso politico sono mancati. L’Ordine fa comodo così com’è… Ma non è con l’abolizione dell’Ordine sic et simpliciter che risolveremo il problema di come si diventa giornalisti. Né sarà con l’affidamento dell’accesso ad Authority (?), a regole etiche (?), sindacati (peggio) e consorterie varie che salveremo il prossimo futuro del giornalismo italiano. Il rischio oggi è che i giornalisti facciano la fine dei polli di Renzo”. Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444 E-mail [email protected] L’ informazione ritagliata su misura 8 Roma, 23 agosto 2006. “Ho già detto una prima volta che con il signor Capezzone, del quale non conosco l’iter professionale, non intendo dialogare, in quanto i presidenti degli Ordini dei giornalisti casomai dialogano con chi dovrebbe modificare la legge del ‘63, che noi per primi vogliamo cambiare, non adeguata ai tempi”. Bruno Tucci, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio, ribatte così, all’ADNKRONOS, all’intervento di Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani, oggi su il Giornale, nuovamente a sostegno della proposta di abolizione dell’Ordine, secondo la logica di considerare “giornalista non solo e non tanto chi sia titolare di una tessera, ma chi il giornalista lo fa per davvero, perché a questo dedica la sua attività lavorativa e professionale”. Tucci rivendica comunque l’adempimento da parte dell’Ordine dei doveri di sorveglianza in campo deontologico, a fronte delle critiche in materia di Capezzone al quale ricorda poi che l’Ordine regionale dovette intervenire nei confronti di Radio Radicale per garantire ai redattori l’inquadramento professionale. Tucci chiarisce anche i meccanismi che portarono alla sospensione dall’ordine di Enzo Tortora, criticata da Capezzone. “Nello specifico vorrei render noto che l’Ordine è intervenuto sempre e comunque nei confronti dei colleghi che hanno violato le norme deontologiche”, afferma Tucci che sottolinea come “a Radio Radicale, emittente che il signor Capezzone dovrebbe conoscere, intervenimmo noi dell’Ordine del Lazio perché le persone che lavoravano all’interno della redazione non erano inquadrati nella legge professionale ed erano pagati come semplici impiegati”. “Da allora anche il direttore Massimo Bordin - ricorda il presidente dell’Ordine dei giornalisti del Lazio - è divenuto giornalista professionista grazie a noi”. Tucci spiega infine che, “il collega Enzo Tortora fu sospeso dall’Ordine dei giornalisti perché la legge prevede che quando un iscritto viene condotto in carcere, lo stesso venga sospeso per tutto il tempo della detenzione, per poi essere in caso reiscritto a reclusione finita”. (Lmg/Col/Adnkronos) ORDINE 9-10 2006 D I B A T T I T O Disoccupati: chiarezza sui numeri, fare formazione con i soldi versati dagli editori all’Inpgi, ripescare la “legge Santerini” (forti incentivi alle testate che assumono i “senzalavoro”) di Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Nessuno è padrone dei numeri veri sull’occupazione giornalistica. Cominciamo con il dire che si possono definire disoccupati soltanto i giornalisti professionisti rimasti senza lavoro (art. 4 Cnlg). Esiste anche un elenco di praticanti giornalisti “il cui rapporto di praticantato sia stato interrotto a seguito di risoluzione del rapporto con aziende editrici di quotidiani, periodici o agenzie di informazioni quotidiane per la stampa”. Tanti giornalisti esercitano la professione in uffici stampa ed in uffici di comunicazione inquadrati con contratto di dirigente. Quando partì l’Inpgi privatizzato, alcuni (pochi) optarono per l’Inps. Quanti sono i giornalisti professionisti, regolarmente iscritti anche all’Inpgi, che oggi esercitano altre professioni? Fatta questa premessa, i dati, citati da Guido Besana, me- ritano attenzione e rispetto. Scrive Besana: “Dai dati del bilancio Inpgi risultano invece, per il 2005, 1.465 colleghi cui è stato erogato il trattamento di disoccupazione e 98 cassintegrati. Totale 1563. Con i 777 che calcoli tu, se fossero disoccupati, si arriva quindi a 2.340. Ma anche senza siamo a cifre diverse dalle tue. E non venirci a dire che i pubblicisti non contano, per favore. Contano eccome, e spesso sono i più deboli. A meno che tu sia rimasto al vecchio concetto tradizionale del pubblicismo, quello dei farmacisti e degli avvocati. Però quel concetto lo hai demolito proprio tu, in questi lustri da presidente dell’Ordine lombardo, attuando una politica di riconoscimento a tutto campo e a 360 gradi dell’attività giornalistica, proprio attraverso il massiccio ricorso alle iscrizioni di pubblicisti”. Ringrazio Besana per quello che scrive sui pubblicisti: la mia presidenza (dal 15 maggio 1989) è caratterizzata anche da una “sanatoria” che ha dato dignità ai pubblicisti redattori di fatto op- pure praticanti free lance nonché respiro alle casse dell’Inpgi: la mia politica ha incrementato il numero degli iscritti all’Inpgi di almeno 2.500 unità (soltanto in Lombardia). In questo momento i consiglieri Urp dell’OgL Letizia Gonzales e Laura Mulassano hanno sotto esame appena 5 domande di iscrizione d’ufficio al Registro. Devo ritenere sul rovescio che in Lombardia non esistono pubblicisti “abusivi” o “in nero”. Rivendico di aver “inventato” giuridicamente (nel 1967) la figura del praticante-redattore di fatto (io sono il primo nella storia dell’Ordine e sono un ex pubblicista) e nel 1989 la figura del “praticante free lance” (accettata dall’Ordine nazionale soltanto negli ultimi tre anni). Come presidente dell’Afg “Tobagi” e con l’aiuto dell’assessore regionale Michele Colucci (Psi) ho dato vita, nella sede dell’Ifg (era il 1991!), ai primi corsi di aggiornamento dei giornalisti disoccupati. A coloro che mi criticano (legittimamente) ricordo: a) che ho sostenuto da solo una dura battaglia per convincere, ma ho perso, Fnsi e Inpgi a investire in formazione i quattrini che l’Inpgi riceve dagli editori (in base alla legge 338/2000) per far formazione. Il Fondo per la formazione (che dovrebbe attuare l’articolo 45 del Cnlg) è rimasto sulla carta e nell’archivio elettronico del portale dell’Ordine (www.odg.mi.it). b) che ho cercato di convincere inutilmente i colleghi disoccupati a battersi con durezza al fine di ripescare “la legge Santerini” di 10 anni fa: sconti previdenziali agli editori che assumono giornalisti senza posto. Il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi ha al riguardo intenzioni buone, che dovrebbero concretizzarsi presto. Insisto: i colleghi senza lavoro devono battersi per ricevere formazioni e incentivi. Chiederò al Consiglio dell’Ordine di Milano di finanziare, con uno stanziamento di 50/60mila euro, almeno tre corsi di aggiornamento nell’anno 2006/2007 dell’Ifg De Martino. Ho usato un linguaggio crudo. È vero che nel Cnlg c’è l’articolo 36 con la figura del redattore pubblicista. Non mi va di illudere i pubblicisti: gli editori non assumono come redattore chi è pubblicista (è tale perché ha scritto 40-60 articoli in due anni). Gli editori danno la preferenza ai praticanti delle Scuole: costano di meno e hanno dimestichezza con il lavoro redazionale. Questa è la realtà. Invito i pubblicisti (che possono aspirare al tirocinio come praticanti) a non farsi prendere in giro dalla promesse sindacali e dall’Inpgi/2 (che promette la pensione ai free lance). I pubblicisti contrattualizzati sono per lo più redattori grafici, corrispondenti (art. 12 Cnlg), collaboratori fissi (art. 2 Cnlg) e redattori part-time nelle redazioni centrali, decentrate e negli uffici di corrispondenza. Esistono eccezioni anche di grande livello, poche ma significative. Per lo più sono persone che, per ragioni di età, non intendono sostenere l’esame di Stato. In questa pattuglia figurano anche seguaci di Marco Pannella “nemico storico” dell’Ordine dei giornalisti. Per oggi, basta. Serventi Longhi: Biancheri (Fieg): “Professionisti autonomi? “La Fieg mente. Sono precari oltre 30mila giovani” Sono appena 1.900” Roma, 21 luglio 2006. Il presidente della Fieg Boris Biancheri ha inviato al ministro del Lavoro Cesare Damiano e al presidente della Commissione cultura della camera Pietro Folena un documento di analisi sulla situazione economica e sindacale del settore stampa. Il documento, che affronta tra l’altro il tema dell’occupazione giornalistica in base ai dati Inpgi 2005, evidenzia un aumento dell’occupazione giornalistica nell’ultimo quinquennio con “un tasso di espansione di circa il 4% all’anno, che - sottolinea il documento - non trova riscontro in nessun altro settore di attività”. “Sono aumentate vi si legge - sia la popolazione stabile a tempo indeterminato, sia quella assunta con contratti a termine”. “Si è incrementato anche l’utilizzo del lavoro autonomo che, per i professionisti, interessa circa 1.900 unità che svolgono attività autonoma piena e qualche centinaio di pubblicisti nelle stesse condizioni”. I cosiddetti precari sono “il 6,22% della popolazione stabile, percentuale che è inferiore di oltre la metà rispetto alla media nazionale”. “Il fenomeno della cosiddetta precarietà - si legge ancora nel documento - risultante dai dati indicati, si prospetta come assolutamente fisiologico rispetto alle esigenze produttive dell’informazione”. (ANSA) Roma, 21 luglio 2006. “La Fieg mente sapendo di mentire. I dati sull’occupazione giornalistica diffusi oggi dagli editori - ha dichiarato il segretario generale della Fnsi, Paolo Serventi Longhi - sono un esempio di mistificazione e di distorsione della realtà. Il Minculpop non avrebbe potuto fare di meglio. La realtà è che la Fieg sembra ignorare che l’aumento del 16% dei posti di lavoro negli ultimi anni è determinato in larga parte dagli effetti del contratto dei giornalisti dell’emittenza radiotelevisiva locale (contratto Aeranti-Corallo, niente a che vedere con la Fieg) e di quelli stipulati nell’ambito dell’applicazione della Legge 150 negli uffici stampa delle Regioni, delle Province e dei Comuni e degli altri Enti pubblici. Dai dati Inpgi si evidenza, nel settore Fieg, un aumento nel triennio 2003-2005 del 2,2%, una percentuale molto lontana da quelle enunciate in maniera confusa dalla Federazione degli editori. Quello che è più grave, è che la Fieg non precisa che di questo aumento i contratti a termine rappresentano la parte più significativa. Secondo l’Inpgi, infatti, questi contratti a tempo determinato, talvolta anche di un mese, sono aumentati del 72%’’. ‘’La Fieg inoltre - prosegue Serventi Longhi - mistifica sul numero dei giornalisti che hanno rapporto di lavoro autonomo. Altro che 1.900 freelance! Gli iscrit- ti alla gestione separata dell’Inpgi per il lavoro autonomo sono quasi 22.500. Di questi poco più di un migliaio hanno anche un rapporto di lavoro dipendente. Se si considera l’area di evasione o di elusione della contribuzione all’Inpgi2, si può ragionevolmente affermare che sono oltre 30.000 le giornaliste ed i giornalisti che sono nell’area del precariato senza alcun rapporto di lavoro. La stessa Fieg è costretta ad ammettere che la retribuzione media di un giornalista autonomo è di circa 7.000 euro l’anno, un compenso che tiene anche conto delle alte retribuzioni di poche decine di fortunati colleghi. Questa è la realtà che la Fnsi e l’Inpgi hanno denunciato e che presenteranno nel dettaglio al ministro del Lavoro, Cesare Damiano. È ridicolo affermare che il fenomeno del precariato giornalistico sia fisiologico. Si tratta invece di una abnorme condizione che discrimina e marginalizza decine di migliaia di ragazze e ragazzi che vivono di giornalismo in una condizione di sfruttamento e di precarietà. “Nulla invece - conclude il segretario della Fnsi - dicono gli editori sul fatto che le retribuzioni lorde nelle aziende Fieg siano cresciute ben al di sotto dell’inflazione reale, smentendo la campagna di disinformazione sui presunti effetti del peso degli scatti di anzianita”. (ASCA) Convenzione per l’accesso degli iscritti all’Albo a banche dati pubbliche Roma, 7 settembre 2006. Il Consiglio nazionale dei giornalisti e Visura spa, società di informatica distributrice di banche dati della Pubblica amministrazione online, hanno stipulato un importante accordo che consente a tutti i giornalisti iscritti all’Albo di accedere, con una normale connessione Internet, al patrimonio di informazioni delle Camere di Commercio italiane, degli uffici del Catasto e delle Conservatorie. Per accedere al servizio il giornalista troverà nel sito www.odg.it il link “BANCHE DATI”. Una volta entrato nel sito operativo (www.banchedatigiornalisti.it) si dovrà procedere con la compilazione del form di iscrizione, all’interno del quale è prevista la scelta di una username e di una password. L’iscrizione è gratuita e serve a registrare i dati di fatturazione. Il servizio funziona con il sistema del conto ricaricabile a scalare: il conto viene aggiornato in seguito a ogni operazione di versamento, che può essere effettuato con ORDINE 9-10 2006 carta di credito, bonifico bancario, bollettino postale, assegno. In caso di pagamento con bonifico o bollettino, l’iscritto dovrà inviare copia via fax al numero 0668192749. Il versamento è libero nell’importo. A ogni versamento segue ricezione di fattura in posta elettronica. Allo stesso modo, in seguito alla consultazione di una banca dati, il conto viene aggiornato con la detrazione del costo relativo al documento richiesto. Nel listino è pubblicata la tipologia di documenti richiedibili con i relativi importi. Visura spa mette, inoltre, a disposizione un servizio di customer care al numero 066841781 o alla casella [email protected]. Ulteriori informazioni sono presenti sul sito www.banchedatigiornalisti.it 9 I N T E R C E T T A Z I O N I Roma, 23 giugno 2006. No a nuove leggi che limiterebbero il diritto di cronaca in una materia, come quella delle intercettazioni, che rientra invece nell’applicazione dei codici già esistenti. Lo ha deciso oggi il Comitato esecutivo del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che ha esaminato il provvedimento adottato dal Garante della privacy per quanto concerne la pubblicazione integrale delle trascrizioni di intercettazioni telefoniche. Il Comitato esecutivo - spiega una nota - rileva che secondo il Garante “è legittimo l’esercizio del diritto di cronaca ed è altresì configurabile un interesse pubblico alla conoscenza anche dettagliata dei fatti”. Il Garante evidenzia poi la necessità “di un’adeguata tutela dei diritti dei soggetti coinvolti dalla pubblicazione pressoché‚ integrale di innumerevoli brani di conservazioni telefoniche”. A detta del Garante “non risulta allo stato comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando il segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale”. Per questo il Comitato esecutivo ritiene pertanto che non sia necessaria una nuova formulazione legislativa, che limiterebbe il diritto di cronaca in una materia che rientra invece nell’applicazione dei codici deontologici già esistenti. Il Comitato esecutivo raccomanda quindi agli Ordini regionali, ai quali è già stato trasmesso il provvedimento del Garante, di vigilare affinché i giornalisti nell’esercizio del diritto-dovere di informazione e di critica assicurino sempre “il rispetto del principio dell’essenzialità dell’informazione”. Secondo l’Ordine “il Codice deontologico che il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato d’intesa con il Garante della privacy chiaramente indica le modalità, di rappresentazione degli elementi essenziali delle vicende che incidono sulla sfera privata delle persone e che hanno riguardo a dati sensibili”. (ANSA) Ordine dei giornalisti: “No a nuove leggi. Non si scrive nulla sulla sfera privata e sui dati sensibili delle persone” PRESCRIZIONI DEL GARANTE DELLA PRIVACY AGLI EDITORI (ART. 154, C. 1, DEL DLGS 196/2003) Informazione su fatti di interesse pubblico, rispettando le persone. Gli editori e i gio GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan, del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; Visti gli atti acquisiti d’ufficio in relazione alla reiterata pubblicazione nei giorni scorsi, da parte di varie testate giornalistiche, di numerose trascrizioni di intercettazioni telefoniche disposte da autorità giudiziarie e che hanno coinvolto diverse persone; Considerato che il Garante, ai sensi dell’art. 154, comma 1, lett. c) del Codice in materia di protezione dei dati personali, ha il compito di prescrivere anche d’ ufficio ai titolari del trattamento le misure necessarie o opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti; Rilevata la necessità di esaminare d’ufficio e in via d’urgenza, anche in assenza di ricorsi, reclami e segnalazioni allo stato non pervenuti al Garante, la problematica del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali delle diverse persone coinvolte dalla predetta pubblicazione, con particolare riferimento alla loro riservatezza, dignità ed identità personale, nonché al diritto fondamentale alla protezione dei relativi dati personali; Rilevato dagli atti che, nell’ambito delle indagini preliminari in corso presso uffici giudiziari, le ipotesi di reato in fase di accertamento denotano circostanze ed episodi per i quali, su un piano generale, è legittimo l’esercizio del diritto di cronaca ed è altresì configurabile un interesse pubblico alla conoscenza anche dettagliata di fatti; Rilevato, tuttavia, che si pone con seria evidenza la necessità di assicurare, con immediatezza e su un piano generale, un’adeguata tutela dei diritti di soggetti coinvolti dalla pubblicazione pressoché integrale di innumerevoli brani di conversazioni telefoniche, intercorse anche con terzi estranei ai fatti oggetto di indagine penale o che non risultano allo stato indagati, o brani che riguardano in ogni caso diverse relazioni personali o familiari o, ancora, persone semplicemente lese dai fatti; rilevato che alcuni brani di tali conversazioni attengono, altresì, a comportamenti strettamente personali di persone pur coinvolte nelle indagini, ma non direttamente connessi a fatti penalmente rilevanti; Considerato che, dagli atti al momento disponibili e dall’attuale quadro normativo riferito al processo penale, non risulta allo stato comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando il segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale; Rilevato, infatti, che il codice di procedura penale: a) vieta la pubblicazione di atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto (art. 114, comma 1, c.p.p.); b) vieta anche la pubblicazione di atti non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare (art. 114, comma 2, c.p.p.); c) consente sempre, però, la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto (art. 114, comma 7, c.p.p.) e considera gli atti d’indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non più coperti dal segreto quando l’imputato ne possa avere conoscenza (art. 329 c.p.p.; v. anche art. 268, comma 6, c.p.p. relativo al deposito di atti concluse le operazioni di intercettazione); Rilevato che, anche per effetto del meccanismo previsto dalla legge per acquisire agli atti processuali le sole conversazioni rilevanti per il procedimento penale, meccanismo non più adeguato rispetto al fenomeno dell’incessante pubblicazione integrale di materiali processuali, si pone a volte in modo indiscriminato a disposizione dell’opinione pubblica un vasto materiale di documentazione di conversazioni telefoniche che non è oggetto di adeguata selezione e valutazione; rilevato che tale materiale, oltre a non risultare sempre essenziale per una doverosa informazione dell’opinione pubblica, può favorire anche una percezione inesatta di fatti, circostanze e relazioni interpersonali; Considerato che la vigente disciplina di protezione dei dati personali che contempera i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini all’informazione e con la libertà di stampa (d.lg. n. 196/2003; codice di deontologia relativo all’attività giornalistica) prevede invece espresse e puntuali garanzie da rispettare e, in particolare: a) garantisce al giornalista il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, ma nel rispetto dell’ essenzialità dell’informazione; b) considera quindi legittima la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale solo quando l’informazione, anche dettagliata, sia indispensabile per l’originalità dei fatti, o per la qualificazione dei protagonisti o per la de- Cassazione sui minori: la tutela della loro privacy ... ma per il Tribunale assolutamente preminente DUE SENTENZE CONTRADDITTORIE SULLO STESSO FATTO Tribunale di Mantova: vietato pubblicare dati delicati su chi è vittima di una rapina. Società editrice condannata... La diffusione di dati personali nell’esercizio di attività giornalistica costituisce trattamento ai sensi della l. 675/96 ed è subordinata al consenso da parte dell’interessato. Il consenso non è però necessario quando il trattamento è effettuato nell’esercizio della suddetta professione e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, nel rispetto del codice di deontologia di cui all’art. 25, norma che ribadisce la non necessità del consenso purché il trattamento dei dati sia contenuto nei limiti del diritto di cronaca ed in particolare dell’essenzialità dell’informazione riguar- 10 do a fatti di interesse pubblico. Nel caso di specie, si è ritenuto che la divulgazione a mezzo stampa delle generalità del soggetto rapinato, della sua età e della città di residenza, avuto riguardo al tipo di attività esercitata (agente di commercio di preziosi), pure effettuata nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca, abbia ecceduto i limiti di quest’ultimo nel senso che la diffusione dei dati in questione (obiettivamente idonea a mettere in pericolo l’incolumità dell’attore) non era giustificata da alcuna finalità informativa essenziale (Tribunale di Mantova, Sez. II- Giudice unico dott. Mauro Bernardi - Sentenza del 13 maggio 2004). Il Tribunale di Mantova ha condannato la società editrice del giornale a pagare alla vittima della rapina, a titolo di risarcimento dei danni patiti, la somma di euro 9.000,00 oltre agli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo definitivo. Il Tribunale, inoltre, ha condannato la società editrice a rifondere all’attore (il rapinato, ndr) le spese di lite liquidandole in complessivi euro 2.818,38 di cui 211,64 per spese, euro 996,74 per diritti ed 1.610,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge. di Milano notizia su persona rapinata non viola il diritto alla riservatezza. Assolto il “Corriere della Sera” Milano, 23 agosto 2006. Non è reato e nemmeno una violazione di carattere civilistico pubblicare la notizia di una rapina con le generalità delle vittima. Lo ha stabilito il giudice Domenico Bonaretti, della prima sezione del tribunale civile di Milano, al termine della causa avviata da Gianpietro P., rappresentante di preziosi, contro il Corriere della Sera, che aveva pubblicato la notizia di una rapina da lui subita nell'aprile del 1999 a Mantova. Il promotore della causa chiedeva un risarcimento pari a 15.493 euro per violazione del diritto alla riservatezza. Il giudice glielo ha negato ritenendo sussistente il diritto di cronaca. (ANSA) Roma, 8 settembre 2006. La tutela della privacy dei minori viene prima di tutto. Lo ribadisce la Corte di Cassazione che sottolinea come “il diritto alla riservatezza del minore debba essere, nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali (diritto di cronaca e diritto di privacy) considerato assolutamente preminente”. L’unico strappo alla regola, nel caso della pubblicazione di una notizia che abbia il centro dell’interesse un minorenne, sottolinea ancora la Suprema Corte, è costituito dalla “utilità sociale della notizia” stessa. In questo modo la Terza sezione civile della Cassazione ha accolto il ricorso di una madre che si era vista rifiutare la richiesta di un risarcimento pari a 150mila euro per la pubblicazione di una foto del figlio minore apparsa sulla rivista” Eva 3000 express nella quale il ragazzino veniva ritratto integralmente insieme al padre e alla nuova compagna, attrice televisiva. Nel negare la richiesta risarcitoria, la Corte d’appello di Milano, dicembre 2001, aveva sostenuto che la riproduzione fotografica del minore era consentita perché lo stesso era stato ritratto in compagnia di una attrice famosa, “come tale notoriamente soggetta all’interesse dei fotografi di riviste”. Una motivazione bocciata dalla Cassazione. (Adnkronos) ORDINE 9-10 2006 Roma, 4 luglio 2006. No a leggi liberticide né a bavagli per i giornalisti, ma sì al rispetto delle regole, in particolare a tutela della persona, per evitare abusi nella pubblicazione delle intercettazioni telefoniche. È quanto è emerso dal convegno, organizzato a Roma dall’Ordine dei giornalisti, al quale hanno partecipato il ministro della Giustizia Clemente Mastella, i presidenti dell’Associazione magistrati Giuseppe Gennaro, delle Camere penali Ettore Randazzo, della Fnsi Franco Siddi e dell’Odg Lorenzo Del Boca e il presidente dell’Autorità per la protezione dei dati personali Francesco Pizzetti. “Nessuna voglia di fare censura, di mettere la museruola o il bavaglio, ma ritengo che ci debba essere minor pigrizia giornalistica”, ha sottolineato Mastella. “Io ho rispetto di quello che i giornalisti mettono sui taccuini ma non di quello che si deposita in maniera pigra sui loro taccuini”. Per il ministro, “ognuno ha la sua autonomia e la sua espressione di libertà, però c’è anche l’anonimo che io non conosco che finisce per essere sacrificato ed esposto assai spesso ingiustamente al ludibrio e alla gogna mediatica. Credo si abbia il dovere di tutelare questo anonimo”. Quanto al rispetto delle regole, “se all’interno di un’ordine c’è un organismo preposto a sanzioni o reprimende, ben venga, altrimenti ci devono essere norme esterne”, ha aggiunto Mastella, escludendo di essere “tra quelli che vogliono mettere le manette ai giornalisti o chiudere gli ordini professionali. Ho la mia idea di modernità basata sul rispetto della persona, che è sacra”. Intercettazioni: no a bavagli, ma si rispettino le regole Protagonisti a confronto al convegno dell’Ordine con Mastella e Pizzetti “Non servono leggi liberticide”, ha sottolineato Siddi. “È giusto che i misteri vengano svelati, che gli scandali escano fuori. Ma quando lo scandalo investe la sfera del potere, scattano le tendenze a introdurre limiti alla libertà di stampa. Non siamo noi giornalisti a fabbricare gli scandali, anche se nelle ultime vicende qualche eccesso c’è stato: dobbiamo allora ripartire dal nostro Codice deontologico e dire che cosa occorre fare perchè venga rispettato di più”. L’idea giusta, per Siddi, potrebbe essere “creare dentro l’Ordine dei giornalisti un Giurì d’onore che si pronunci in pochi giorni sugli eventuali abusi, offrendo l’eventuale ‘ristoro’ alla persona coinvolta”. Anche Vittorio Roidi, segretario dell’Odg, ha lanciato un allarme sulla “voglia di segretezza” maturata dopo i recenti scandali, “che fa pensare a quello che accadde nel ‘92-’93 con Tangentopoli. Il giornalista deve rispettare la Costituzione e la legge sulla privacy, ma tutto va ricondotto nell’ambito dell’autoregolamentazione della categoria”. Su fronti diversi, penalisti e magistrati. “Nelle vicende di questi giorni, compresa Calciopoli - ha detto il presidente dell’Anm Gennaro - ci sono parti delle intercettazioni pubblicate che non provengono dagli uffici giudiziari che le hanno disposte”, bensì “da chi le stava effettuando”. Sempre più spesso, infatti, “l’ascolto viene remotizzato: chi ascolta è persona diversa da chi ha disposto l’intercettazione”. “La mia - ha detto ancora - non è una difesa d’ufficio della categoria: ci sono soggetti interessati, per ragioni diverse, alla fuoruscita anticipata delle intercettazioni sottoposte al segreto istruttorio”. In ogni caso, per Gennaro, “è azzardato pensare di restringere ulteriormente i reati per cui è ammesso questo strumento di indagine; i sistemi sono estremamente sofisticati, per cui il potere di controllo da parte del pm si è attenuato. Si tratta, dunque, di un tema complesso su cui bisogna interrogarsi senza cercare soluzioni comode o rapide”. L’unico discrimine possibile”, secondo il presidente dei penalisti Randazzo, è “la legalità. Di leggi ce ne sono tante, il problema è farle rispettare. Ha senso aggiungere altre regole con la consapevolezza che non vengano rispettate?” Per esempio, “la violazione del segreto d’indagine è un reato perseguibile d’ufficio dagli uffici giudiziari: è possibile che non venga perseguito?” L’unica soluzione è “riconquistare il primato della legalità”. Al Garante per la Privacy spetta il difficile compito di trovare l’equilibrio tra libertà di stampa e tutela della persona: di qui il richiamo forte ai giornalisti al rispetto del Codice deontologico, ma anche agli uffici giudiziari ad adottare “precise misure di sicurezza” per i dati a loro disposizione. Per l’Autorità, ha detto Pizzetti, sarebbe “utile” poter comminare “sanzioni pecuniarie più significative”, in ogni caso “non sanzioni penali”. (ANSA) ornalisti “inosservanti” rischiano da 3 mesi a 2 anni di galera scrizione dei modi particolari in cui sono avvenuti; c) prescrive che si evitino riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti; d) esige il pieno rispetto della dignità della persona; e) tutela la sfera sessuale delle persone, impegnando il giornalista ad astenersi dal descrivere abitudini sessuali riferite a persone identificate o identificabili e, quando si tratta di persone che rivestono una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, a rispettare comunque sia il principio dell’essenzialità dell’informazione, sia la dignità; Considerato che l’indiscriminata pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni di numerose conversazioni telefoniche, specie quando finisce per suscitare la curiosità del pubblico su aspetti intimi e privati senza rispondere integralmente ad un’esigenza di giustificata informazione su vicende di interesse pubblico, può configurare anche una violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che contemperano il diritto al rispetto della vita privata e familiare con la libertà di espressione (artt. 8 e 10 Conv. europea diritti dell’ uomo); Considerato, quindi, anche sulla base dei principi affermati nei provvedimenti di divieto o di blocco del trattamento dei dati personali già adottati dal Garante sulle tematiche in esame, che risulta necessario prescrivere a tutti i mezzi di informazione di procedere ad una valutazione più attenta ed approfondita, autonoma e responsabile, circa l’effettiva essenzialità dei dettagli pubblicati, nella consapevolezza che l’affievolita sfera di riservatezza di persone note o che esercitano funzioni pubbliche non esime dall’imprescindibile necessità di filtrare comunque le fonti disponibili per la pubblicazione, che vanno valutate dal giornalista, anche alla luce del dovere in- Carissimo presidente, desidero intervenire sulla tua ultima “new” a proposito di intercettazioni e di dati personali. Molto si è detto e scritto in queste settimane sul fatto se sia lecito o meno pubblicare queste benedette “intercettazioni”. Il parere del Garante della Privacy, riportato nella nota dell’Ansa che ci hai inviato, dice che “non risulta allo stato comprovato che le più recenti pubblicazioni giornalistiche delle predette trascrizioni siano avvenute violando il segreto delle indagini preliminari o il divieto di pubblicare atti del procedimento penale”. Secondo me non è di questo che bisogna parlare; e io desidero quindi intervenire molto più a monte, cioè non sulla “comunicazione del fatto” quanto sul fatto stesso, dal quale poi la comunicazione discende. Ho letto con sbalordimento il verbale dell’interrogatorio di una signorina che doveva confermare o meno se avesse fatto sesso con un tale, e se lo avesse fatto nei locali di un ministero. Dico “con sbalordimento” perché non comprendo come mai la cosa possa assumere rilevanza penale e come mai un giudice dello Stato perda il proprio tempo (e i nostri soldi, mi verrebbe da dire) nel chiedere con insistenza a una signorina maggiorenne in che modo essa disponga del proprio tempo e del proprio corpo. Che io sappia non è affatto un reato “concedersi” sessualmente, anche se la cosa avvenga in assenza di una relazione amorosa. È un reato la prostituzione (e anche questo non è che sia evidentissimo; in numerose ORDINE 9-10 2006 derogabile di salvaguardare la dignità delle persone e i diritti di terzi; Rilevata l’adozione di eventuali altre decisioni in casi specifici, all’esito dell’eventuale ricezione di ricorsi, reclami o segnalazioni da parte di persone interessate; ti i principi affermati dal medesimo Codice e dall’allegato codice di deontologia per l’attività giornalistica, richiamati nel presente provvedimento; b) dispone l’invio di copia della presente decisione al Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti. Roma, 21 giugno 2006 Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’ art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000; Relatori il dott. Giuseppe Chiaravalloti e il dott. Mauro Paissan; Rilevata in conclusione la necessità, ai sensi dell’art. 154, comma 1, lett. c) del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. n. 196/2003), di prescrivere a tutti gli editori titolari del trattamento in ambito giornalistico di conformare con effetto immediato, anche al fine di prevenire ulteriori violazioni, i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche ai principi richiamati nel presente provvedimento; IL PRESIDENTE Pizzetti I RELATORI Chiaravalloti e Paissan IL SEGRETARIO GENERALE Buttarelli Dlgs 30 giugno 2003 n. 196. Codice in materia di protezione dei dati personali. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 luglio 2003, n. 174, S.O). TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE: Articolo 154. Compiti. 1. Oltre a quanto previsto da specifiche disposizioni, il Garante, anche avvalendosi dell’Ufficio e in conformità al presente codice, ha il compito di: c) prescrivere anche d’ufficio ai titolari del trattamento le misure necessarie o opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni vigenti, ai sensi dell’ articolo 143; a) ai sensi dell’art. 154, comma 1, lett. c) del Codice in materia di protezione dei dati personali prescrive ai titolari del trattamento in ambito giornalistico di conformare con effetto immediato i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche a tut- Articolo 170. Inosservanza di provvedimenti del Garante. 1. Chiunque, essendovi tenuto, non osserva il provvedimento adottato dal Garante ai sensi degli articoli 26, comma 2, 90, 150, commi 1 e 2, e 143, comma 1, lettera c), è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Rilevata, infine, la necessità di disporre la trasmissione di copia del presente provvedimento al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, per le valutazioni di competenza; L A L E T T E R A Ma smettiamola di occuparci di sciocchezze città dell’Unione Europea esistono quartieri dove si pratica la prostituzione con luminosa evidenza) ma la prostituzione è comunque un mestiere: praticato abitualmente, con un tariffario più o meno noto e applicabile a chiunque ne paghi quel prezzo. Io credo che se qualcuno decide “liberamente” (qua ci vorrebbe un neuropsichiatra..) di fare sesso con una persona che possa - per questo - facilitargli la carriera lavorativa, ciò non sia affare da giudici né da tribunali. Qua siamo nel campo dell’etica ma non desidero entrarvi. Mi limiterò a dire che abbiamo dimenticato troppo in fretta, caro presidente, che in gran parte della nostra Italia in un passato neppure troppo lontano (e in qualche caso tuttora) si “dava in sposa” una donna a un uomo che magari essa non aveva neppure mai visto, solo perché questi era “un buon partito”. “Si dava in sposa” vuol dire che la poveretta si trovava costretta a prestazioni sessuali magari sgradite, per tutta la vita, a fianco di un estraneo che, però, era ricco o potente o, peggio ancora, semplicemente un “amico di famiglia”. Quella era l’epoca del maschilismo. Oggi che c’è parità di diritti fra uomo e donna trovo molto più dignitoso, allegro e moderno il fatto che una persona possa regalarsi una mezz’ora di “bacini” (come diceva la signorina nella registrazione) con un signore magari garbato e piacevole e che in più abbia anche la possibilità di aiutarla a fare carriera. E che questo non la obblighi per la vita. Non lo trovi assai più accettabile di quanto è stato costume condiviso, in Italia, per decenni? È scandalosa “la cosa in sé” della carriera contro sesso? Via, qua non stiamo parlando di ingegneri che devono costruire case soli- de o di medici che hanno in mano la salute della gente o di bilanci di aziende multinazionali affidati a ragazzine di disinvolti costumi; qua stiamo parlando di veline e di lavori di questi tipo, frivoli e futili di per sé. Difficile immaginare che una ragazza che si avvia alla “carriera” di velina aspiri a un Oscar o a simili riconoscimenti professional-culturali. A una giovane che abbia in mente di fare la velina e che però non sopporti palpeggiamenti e proposte sconce io consiglierei, da padre quale sono, di studiare e imparare un mestiere. Scrisse Pier Paolo Pasolini, trent’anni fa, che in ogni condominio di Roma c’era una ragazza che si dava a tutti. Ma nessuna di queste, che io sappia, è stata mai convocata a Palazzo di Giustizia. Per venire al punto di partenza: stiamo facendo una misera commistione fra cose serie (tutti devono avere pari opportunità nel campo del lavoro) e cose pruriginose (le “ragazze facili” sono sempre esistite). Poiché la stampa è una cosa seria il compito di un giornalista - a parer mio - dovrebbe essere quello di rifiutare con sdegno di occuparsi di queste sciocchezze, a prescindere dal Garante della privacy, che Dio l’abbia in gloria. Qua il problema non è il Diritto bensì il rispetto per se stessi e per il lettore. Se un giudice ritiene fondamentale un interrogatorio al limite del palpeggiamento psicologico, come quello che io ho letto, cuocia nel suo brodo. Nessun giornalista stia al gioco. Ci sono livelli di dignità e di rispetto, di sé e degli altri, al di sotto dei quali un giornalista non dovrebbe accettare di scendere. Paolo Mastromo, Milano 11 DELIBERA D I S C I P L I N A R E Commistione pubblicità-informazione: sanzionata con l’avvertimento Valeria Corbetta (direttore di Flair) L’avviso disciplinare del 2005. Analisi. 9 novembre In data 9 novembre 2005 il presidente del Consiglio dell’OgL, nell’ambito dei poteri attribuitigli dagli articoli 4, 5 e 6 della legge n. 241/1990, ha fatto notificare un avviso disciplinare alla giornalista professionista Valeria Corbetta (direttore responsabile della testata Flair - editore A. Mondadori), ipotizzando (attraverso la citazione di alcuni articoli del Cnlg e della legge professionale 69/1963 nonché di un paragrafo della Carta dei Doveri del giornalista) che la stessa abbia adottato decisioni lesive dell’autonomia della professione giornalistica (art. 1, terzo coma, del Cnlg) che si fonda sul rispetto delle regole fissate nell’articolo 2 della legge n. 69/1963 e in contrasto con l’articolo 44 dello stesso Cnlg, il quale impone “di separare testi giornalistici e messaggio pubblicitari” nonché con la Carta dei doveri del giornalista (paragrafo informazione e pubblicità) secondo la quale “i cittadini hanno il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario e non lesiva degli interessi dei singoli. I messaggi pubblicitari devono essere sempre e comunque distinguibili dai testi giornalistici attraverso chiare indicazioni. Il giornalista è tenuto all’osservanza dei principi fissati dal Protocollo d’intesa sulla trasparenza dell’informazione e dal Contratto nazionale di lavoro giornalistico; deve sempre rendere riconoscibile l’informazione pubblicitaria e deve comunque porre il pubblico in grado di riconoscere il lavoro giornalistico dal messaggio promozionale”. La legge professionale detta vincoli fondamentali per l’attività giornalistica, impegnando il giornalista a essere e ad apparire corretto. Fra i vincoli figurano: 1) l’esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà; 2) il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori. Il mensile Flair (numero di novembre) alle pagine 154-161, pubblica, a firma Monica Capuani, un’intervista a Rula Jebreal dal titolo “Sono musulmana. E mi sento europea”. Alle pagine 158-159 e 160-161 le inserzioni Guerlain sono collocate anche in mezzo all’articolo in modo da creare un’assonanza tra testo/pubblicità e inserzioni e tali da farle apparire come riferibili al contenuto dell’articolo con il fine di dare maggior vigore alla pubblicità del marchio. Quasi una forma di pubblicità sublimale. Chi legge a sinistra (pag. 158) vede la pubblicità in piccolo e se guarda a destra (pag. 159) vede la pubblicità in grande. La scena si ripete alle pagine 160-161. Di particolare richiamo sensuale è il rosso (le nouveau rouge) della pubblicità (pag. 158) e delle labbra rosso Guerlain della ragazza Guerlain Kisskiss (pag. 159) che ha una anticipazione “rossa” nella ragazza Gilli di pagina 157, mentre alle pagine 160 e 161 si gioca su diverse tonalità (“camomilla”) dell’Istant de Guerlain pour homme, dei corpi nudi di lui e di lei nonché dei capelli di lei. Anche qui l’assonanza è altamente suggestiva (la fusione dei corpi e delle mani intrecciate verso l’alto). Quando si parla di pubblicità sublimale (da “sublime”) si intende anche pubblicità che susciti istinti e desideri nella persona suggestionata dal forte intreccio grafico delle pagine, pubblicità che è pure manifestazione di un fatto estetico/erotico/dannunziano nel suo massimo grado. Le pagine 157,158,159 e 160-161 vanno viste in chiave unitaria, in sequenza, mentre “tagliano” e spezzano l’intervista. Le conclusioni. Valeria Corbetta si è difesa affermando: a) “Flair è un giornale nuovo che lavora molto sull’immagine e c’è molta informazione scritta. C’è informazione moda, c’è informazione bellezza e soprattutto c’è una grossa ricerca sul piano dell’immagine fotografica; vive questo giornale molto di immagine. Il giornale pone moltissima attenzione alla fotografia, cosa che non succede in altri giornali. Lavoriamo con un pool di fotografi internazionali, lavoriamo tra qui e gli Stati Uniti ed ha come obiettivo proprio l’internazionalizzazione… Chi ci compra - sono tanti e vorremmo che fossero di più, molti di più - sa benissimo il contesto in cui si trova, cioè si trova in un giornale che esplora anche nuove strade di impaginazione, che non sono in conflitto con la deontologia. Quando abbiamo fatto le prime ricerche su questo giornale è venuto fuori un dato al quale io tengo molto: la rivista viene comprata per i suoi contenuti principalmente ma anche per come li pone ed anche per il livello delle inserzioni pubblicitarie ... l’informazione pubblicitaria diventa ... un altro tipo di informazione per questo tipo di pubblico che capisce perfettamente quali siano (almeno questi sono i risultati della ricerca) i messaggi che veicola ed è incuriosito anche dalla qualità dell’immagine che viene messa in queste campagne. Per fare la campagna Guerlain io credo che abbiano speso delle miliardate perché si sa cos’è questo mondo come dire della produzione. Quindi sono d’accordo con l’avvocato, diverso è un contesto di un giornale il cui il lettore ha meno strumenti e diverso è invece un contesto di un giornale i cui lettori hanno parecchi strumenti e parecchie curiosità, insomma. È per questo che non ho rilevato, come dire, conflitto”. b) la pubblicità Guerlain è immediatamente riconoscibile ed è di livello molto alto. c) la “continuità (con Gilly) in realtà è puramente casuale nel senso che non so neanche che cosa viene messo al di là di casi speciali oppure in realtà come viene impaginato il giornale dalla pubblicità: lo scopro in fase diciamo nel senso che non sono io che impagino la pubblicità”. d) ha avuto “la proposta da parte dell’Ufficio pubblicità della Mondadori di questo formato speciale di pubblicità e ha ritenuto che non fosse assolutamente in conflitto sotto il profilo deontologico”. e) «il problema me lo sono posto e proprio per questo ho preteso degli accorgimenti nel senso che ci fosse un riquadro intorno alla fotografia, che in effetti c’è…». Secondo la difesa, Valeria Corbetta “il pro- Economist: nel 2043 la morte dei quotidiani. Internet e disinteresse della gente condannano la carta stampata Londra, 24 agosto 2006. È il 2043, siamo negli Stati Uniti. Un lettore sfinito acquista l’ultima copia di un giornale su carta. Èquesta la sorte del quotidiano secondo quanto scriverà, sulla base di anticipazioni diffuse oggi, il settimanale britannico ‘The Economist’ nel numero in edicola domani. La rivista diretta da John Micklethwait dedica alla morte del quotidiano la copertina e un lungo articolo, lanciando un preoccupante allarme: nei prossimi decenni la diffusione della carta stampata è destinata a crollare sotto i colpi di internet e del disinteresse dei lettori. Il 2043 è destinata a diventare la data di scomparsa dei giornali in America, secondo un libro di Philip Meyer citato dall’Economist. La crisi dei giornali è già una realtà: la 12 blema se lo è posto subito” e ha affermato: «Io pubblico il messaggio Guerlain, ma si deve capire che è un messaggio pubblicitario» per cui ha detto: «Ho preteso questi correttivi e cioè non l’immagine spot e poi la pubblicità dopo tre pagine ma la pagina di pubblicità a fianco del richiamo della pagina precedente» in maniera tale che fosse percepibile immediatamente che era la foto della pubblicità ... separata dall’articolo. Il direttore non ha inteso “rigettare un discorso sofisticato che peraltro attira anche il lettore, perché la pubblicità non è il demonio, la pubblicità consente a tutti quanti di andare avanti e quindi ho messo in atto tutti i correttivi che impediscono gli equivoci”. Valeria Corbetta ha esaminato il problema per cercare di risolverlo: “Cioè non è una roba che è stata fatta a cuor leggero”. E, d’altronde, lei dice: «Attenzione a rigettare questi tipi di messaggi (tra virgolette) "pubblicitari" che sono sofisticati, innovativi e che non creano confusione con la mia attività di giornalista per cui non me la sono sentita di rifiutarla». Secondo la difesa, Valeria Corbetta ha ragionato così: «Lo pubblico il messaggio frazionato ma a condizione che sia pubblicata la fotografia, che nella pagina a fianco ci sia la foto pubblicitaria, in maniera tale che il lettore viene sì incuriosito da questa formula ma sa immediatamente che è una pubblicità. Quindi questo è il primo correttivo. Il secondo correttivo che non contrasti, cioè che faccia capire che non fa parte dell’opera del giornalista, che l’articolo non sia dedicato ad un argomento che possa parlare di profumi e di rossetti - ed infatti qui si tratta di un’intervista ad una vostra collega, peraltro musulmana e quindi tutto il contrario della donna musulmana, che lavora - e quindi con nessuna attinenza all’articolo; il secondo discorso è che ci fossero quantomeno delle pagine di testo completo e senza pubblicità e dopo cominciasse il discorso pubblicitario. Ultimo, terzo correttivo o quarto se si vuole parlare anche del testo, che ci fosse comunque un riquadro, ovviamente esteticamente sofisticato, perché tutta l’impaginazione è molto sofisticata in questo tipo di giornale, che lo separasse dall’articolo e quindi, in effetti, c’è questo riquadro diciamo bianco intorno alla fotografia che, come posso dire, lo tira fuori dal testo dell’articolo. Questo ha ritenuto il direttore in buona fede. Quindi, ripeto, c’è stata un’analisi della giornalista che si è posta le due problematiche: quella che non venisse inficiato il suo lavoro di direttore, di giornalista come soggetto che fa commistione con la pubblicità e nello stesso tempo che non fossero ostacolati i messaggi pubblicitari...”. Il Consiglio ritiene che Valeria Corbetta non sia riuscita nell’opera di demolire l’incolpazione, elevata a suo carico sia con l’avviso disciplinare sia con la delibera di apertura del procedimento. La giornalista ha in effetti adottato decisioni in contrasto con l’articolo 44 del Cnlg, che (come la Carta dei doveri) impone “di separare testi giornalistici e messaggio pubblicitari”, mentre la legge professionale vincola il giornalista al dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori. La nuova tecnica pubblicitaria, di cui Flair si è fatto portavoce, è in conflitto con la deontologia giornalistica. Gli “accorgimenti” sono ri- loro diffusione é ormai da decenni in costante calo in Europa occidentale e negli Stati Uniti. Le persone che lavorano nel settore negli Usa sono diminuite del 18% tra il 1990 e il 2004. La Knight Ridder, società editrice proprietaria di alcuni dei maggiori quotidiani americani, ha dato il via ad un’operazione di smobilitazione, mettendo la parola fine ad una storia lunga 114 anni. Tutti segnali di quello che sta accadendo al più vecchio dei media. La condanna della carta stampata sembra ancora più inevitabile a causa dell’avanzata di internet: i ragazzi britannici tra i 15 e i 24 anni passano quasi il 30% in meno del loro tempo a leggere da quando hanno conosciuto la Rete. “Nei prossimi decenni, forse metà dei giornali del mondo sviluppato dovrà chiudere”, questa la lapidaria conclusione della rivista britannica. Non tutti, però, sono in pericolo. Pubblicazioni di alta qualità come “il New York Times e il Wall Street Journal dovrebbero essere in grado di aumentare il loro prezzo per compensare le minori entrate pubblicitarie” e, forse, potrebbero tenersi in vita grazie al sostegno di associazioni non-profit. Una strada già intrapresa da alcune importanti testate come il Guardian. (ANSA) sultati vani e insufficienti. Il mensile Flair (numero di novembre) alle pagine 154-161, pubblica, a firma Monica Capuani, un’intervista a Rula Jebreal dal titolo “Sono musulmana. E mi sento europea”. Alle pagine 158-159 e 160-161 le inserzioni Guerlain sono collocate anche in mezzo all’articolo in modo da creare un’assonanza tra testo/pubblicità e inserzioni e tali da farle apparire come riferibili al contenuto dell’articolo con il fine di dare maggior vigore alla pubblicità del marchio. Quasi una forma di pubblicità sublimale. Chi legge a sinistra (pag. 158) vede la pubblicità in piccolo e se guarda a destra (pag. 159) vede la pubblicità in grande. La scena si ripete alle pagine 160-161. Di particolare richiamo sensuale è il rosso (le nouveau rouge) della pubblicità (pag. 158) e delle labbra rosso Guerlain della ragazza Guerlain Kisskiss (pag. 159) che ha una anticipazione “rossa” nella ragazza Gilli di pagina 157, mentre alle pagine 160 e 161 si gioca su diverse tonalità (“camomilla”) dell’Istant de Guerlain pour homme. Le pagine 157,158,159 e 160-161 vanno viste in chiave unitaria, in sequenza, mentre “tagliano” e spezzano l’intervista. La rivista si rivolge a un pubblico in prevalenza femminile, che ha bisogno di simboli come il rosso Guerlain. I pubblicitari avvertono il rischio che la gente legga gli articoli e non guardi la pubblicità e allora per rafforzare l’attenzione del lettore sul messaggio pubblicitario spezzano gli articoli con un richiamo che è riferito alla pagina pubblicitaria successiva. Questa è una tecnica che è innovativa, fortemente innovativa. In sostanza il giornale dev’essere percepito dal lettore come un tutt’uno senza differenze tra informazione e pubblicità commerciale. Nuove filosofie di comunicazione sostengono che il periodico dev’essere omogeneo al punto tale che per essere appunto totalizzante, compatto, la pubblicità in qualche modo deve confondersi con il testo e viceversa. È un nuovo modo, ma sleale, di porre la comunicazione commerciale, sleale perché non tutela con priorità il rapporto di fiducia e di credibilità con i lettori. Valeria Corbetta porta intera la responsabilità di non aver opposto e reso pubblico il proprio dissenso rispetto alle pretese dell’Ufficio pubblicità/marketing della A. Mondadori; principio ribadito nella sentenza n. 1827/2003 della prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano e diffuso dall’Ordine di Milano con lettere ai direttori nonché attraverso il mensile Tabloid e il portale dell’ente. In sostanza la Corte d’Appello ha affermato la responsabilità soggettiva del direttore per culpa in vigilando: “Il direttore quantomeno avrebbe potuto evidenziare - scrivono i giudici - il proprio dissenso all’ufficio marketing... Al contrario non ha ritenuto di intervenire in alcun modo ed in questa inerzia non può che ravvisarsi una sua grave omissione...”; PQM il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, valutati i fatti addebitati, delibera di sanzionare con l’avvertimento (articolo 52 legge n. 69/1963) la giornalista professionista Valeria Corbetta, direttore responsabile di Flair, che viene “richiamata all’osservan- Giovannini: il web non ucciderà i giornali Bibbiena (Arezzo), 28 agosto 2006.- “I giornali non spariranno a causa dello sviluppo dei nuovi media e di internet; si andrà soltanto verso un nuovo assetto, come è successo quando sono comparse la radio e la televisione”. Èil parere di Giovanni Giovannini, per molti anni presidente della Federazione Italiana Editori Giornali e dell’agenzia Ansa, al quale la sua città natale, Bibbiena, intitola la biblioteca comunale. “Io sono un divulgatore - ha aggiunto - e un difensore dei nuovi media e nel mio libro ‘Dalla selce al silicio’ parlo della rivoluzione che hanno operato nel mondo della comunicazione come della ‘grande mutazione’”. Per quanto riguarda il fenomeno della free press Giovannini non pensa che esso potrebbe arrivare a mettere in crisi i giornali tradizionali. “I giornali gratuiti - ha osservato - attraggono una fetta marginale di pubblico, dunque possiamo parlare di complementarietà più che di concorrenza dato che hanno due mercati diversi. Se io fossi un editore risolverei la questione pubblicando due giornali nella mia zona: uno free press e uno tradizionale”. (ANSA) ORDINE 9-10 2006 DELIBERA D I S C I P L I N A R E Cinzia Felicetti non si esibirà in futuro come “attrice pubblicitaria” su Cosmopolitan. Procedimento disciplinare archiviato Milano, 22 luglio 2006. Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha archiviato il procedimento disciplinare avviato nei riguardi della giornalista professionista Cinzia Felicetti, direttore responsabile della testata Cosmopolitan. Cinzia Felicetti si era subito adeguata alle censure dell’Ordine e si è impegnata a tenere in futuro comportamenti corretti: non si esibirà come “attrice pubblicitaria” su Cosmopolitan. I FATTI. In data 15 novembre 2005 il presidente del Consiglio dell’OgL, nell’ambito dei poteri attribuitigli dagli articoli 4, 5 e 6 della legge n. 241/1990, avendo la segreteria dell’ente acquisito copia del mensile Cosmopolitan numero di novembre (n. 11) 2005, ha fatto notificare un avviso disciplinare alla giornalista professionista Cinzia Felicetti (direttore responsabile della testata Cosmopolitan), ipotizzando che la stessa abbia svolto e svolga funzioni in contrasto con l’autonomia della professione giornalistica (art. 1, terzo coma, del Cnlg) che si fonda sul rispetto delle regole fissate nell’articolo 2 della legge n. 69/1963, mentre l’articolo 1 (3° DELIBERA comma) della stessa legge impone ai giornalisti professionisti “di esercitare in modo esclusivo e continuativo la professionale di giornalista”; l’articolo 6 “di adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata”; l’articolo 44 “di separare testi giornalistici e messaggio pubblicitari”. La legge professionale detta vincoli fondamentali per l’attività giornalistica, impegnando il giornalista a essere e ad apparire corretto. Fra i vincoli figurano: 1) la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti; 2) la tutela della persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica; 3) l’esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà; 4) il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori. In particolare a pagina 7 il mensile pubblica, nella rubrica “io e voi”, l’articolo del direttore (“Principesse si diventa”) con la foto del direttore. Di lato viene specificato che la foto del direttore è di Daniela Berruti; il cappotto è di Antonio Marras; la collana è di Pellini; i pantaloni di Emporio Armani; le scarpe di Celine e la borsa di Prada. Cinzia Felicetti conclude così il suo articolo: “A questo proposito, se non riuscite a scegliere tra due oggetti, acquistate il più prezioso. La vita è così breve (e voi valete troppo) per portare a spazzo una borsa scadente”. Cinzia Felicetti, come riferito, nella foto porta una borsa Prada (con il marchio visibilissimo). In sostanza il direttore di Cosmopolitan si presenta al pubblico dei lettori come “attrice pubblicitaria” o “indossatrice”, ruolo che mal si concilia con quello che l’ordinamento giuridico assegna a una giornalista professionista, che è direttore di un periodico. Cinzia Felicetti ha tenuto lo stesso comportamento nel numero di dicembre di Cosmopolitan. A pagina 7 il mensile pubblica l’articolo del direttore dal titolo “Arriva Wonder Woman”. Di lato viene specificato: foto di Daniela Berruti; pull Max Mara; stola Luciano Soprani; pantaloni Laura Biagiotti; borsa e scarpe Tood’s; trucco Fabienne Rea per Biotherm; pettinatura Erroi per Piero Bastriani-L’Oreal. LE CONCLUSIONI. Il Consiglio ha preso atto che, ricevuto l’avviso disciplinare, Cinzia Felicetti ha interrotto prontamente i comportamenti censurabili secondo le regole deontologiche in vigore. Il Consiglio, alla luce delle affermazioni fatte da Cinzia Felicetti nell’audizione del 19 giugno, ha ritenuto superato il problema posto dall’avviso disciplinare e dalla delibera di apertura del procedimento disciplinare, decidendo di accogliere la richiesta della difesa presentata con memoria 9 gennaio 2006 e ribadita nella seduta del 19 giugno. PQM il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, valutati i fatti, delibera di archiviare il procedimento aperto nei riguardi della giornalista professionista Cinzia Felicetti. D I S C I P L I N A R E Franca Sozzani si dimette dal Cda delle Edizioni Condé Nast SpA. Procedimento disciplinare archiviato Milano, 21 luglio 2006. Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha archiviato il procedimento disciplinare avviato nei riguardi della giornalista professionista Franca Sozzani, direttore responsabile della testata Vogue Italia, consigliere d’amministrazione e direttore editoriale di Edizioni Condé Nast SpA, Ecco in sintesi i fatti. In data 12 ottobre 2005 il presidente del Consiglio dell’OgL, nell’ambito dei poteri attribuitigli dagli articoli 4, 5 e 6 della legge n. 241/1990, avendo la segreteria dell’ente acquisito copia del Corriere della Sera del 28 settembre 2005, ha fatto notificare un avviso disciplinare alla giornalista professionista Franca Sozzani (direttore responsabile della testata Vogue Italia, Consigliere d’amministrazione e direttore editoriale di Edizioni Condé Nast SpA), ipotizzando che la stessa abbia svolto e svolga, come direttore editoriale della casa editrice, funzioni in contrasto con l’autonomia della professione giornalistica (art. 1, terzo coma, del Cnlg) che si fonda sul rispetto delle regole fissate nell’articolo 2 della legge n. 69/1963, mentre l’articolo 1 (3° comma) della stessa legge impone ai giornalisti professionisti “di esercitare in modo esclusivo e continuativo la professionale di giornalista”; l’articolo 6 “di adottare le decisioni necessarie per garantire l’autonomia della testata”; l’articolo 44 “di separare testi giornalistici e messaggio pubblicitari”. La legge professionale detta vincoli fondamentali per l’attività giornalistica, impegnando il giornalista a es- sere e ad apparire corretto. Fra i vincoli, che sono alla base anche dell’autonomia professionale dei giornalisti (articolo 1, comma 3, del Cnlg), figurano: 1) la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) come diritto insopprimibile dei giornalisti; 2) la tutela della persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica; 3) l’esercizio delle libertà di informazione e di critica ancorato ai doveri imposti dalla buona fede e dalla lealtà; 4) il dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori; 5) l’esercizio in modo esclusivo e continuativo della professione di giornalista. In una intervista apparsa (a firma Gian Luigi Paracchini) sul Corriere della Sera del 28 settembre 2005, alla domanda se fosse la “vera testa pensante di diversi stilisti”, Franca Sozzani ha risposto così in modo secco: “Ho soltanto suggerito a tutti di seguire il proprio stile ed aiutato alcuni nelle campagne pubblicitarie visto che abbiamo i migliori fra modelle e fotografi”. Le conclusioni. In data 23 giugno 2006, l’avvocato Caterina Malavenda ha comunicato al Consiglio che il 22 giugno Franca Sozzani, facendo seguito alle dichiarazioni rese il 19 giugno davanti al Consiglio, aveva rassegnato le dimissioni dal ruolo di consigliere dal CdA della Condé Nast SpA. Il Consiglio, alla luce degli impegni assunti da Franca Sozzani nell’audizione del 19 giugno, ha ritenuto superato il problema posto dall’avviso discipli- Internet: grazie al web aumenta il numero dei lettori di quotidiani, rileva la ‘Scarborough Research’ Roma 5 settembre 2006. Il numero di coloro che leggono il giornale su Internet, senza andare a prenderlo in edicola, ammonta attualmente negli Stati Uniti dal 2 al 15% del totale. Lo rileva una ricerca della Scarborough Research, specializzata nell’analisi dell’andamento dei mercati della stampa periodica. Gli analisti americani hanno esaminato l’andamento dei quotidiani nelle 25 zone di maggior diffusione e la ricerca ha dimostrato che i siti web stanno procurando un considerevole aumento di pubblico ai quotidiani tradizionali. Un caso tipico è quello del New York Times: in una settimana l’8% del totale dei lettori si informa esclusivamente attraverso il Pc, mentre coloro che leggono sia la versione stampata che quella digitale ammontano al 22% del totale. Tra i lettori-tipo, il 39% è formato da pubblico adulORDINE 9-10 2006 nare e dalla delibera di apertura del procedimento disciplinare, decidendo di accogliere la richiesta della difesa presentata nella seduta del 19 giugno. Resta inteso che Franca Sozzani dovrà fornire la documentazione circa la cessazione ufficiale dall’incarico di consigliere d’amministrazione di Condé Nast SpA. Pubblicata la foto di un arrestato in manette: censurato Paolo Mieli PQM il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, valutati i fatti, delibera di archiviare il procedimento aperto nei riguardi della giornalista professionista Franca Sozzani. Milano, 13 luglio 2006. Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha sanzionato con la censura il direttore responsabile del Corriere della Sera, Paolo Mieli, per la pubblicazione il 10 settembre 2005 di una foto di Guglielmo Gatti, accusato di aver ucciso e fatto a pezzi gli zii lo scorso agosto, mentre in manette viene portato in tribunale. La difesa di Mieli, rappresentata dall’avvocato Caterina Malavenda, in sintesi si è basata sulla sua assenza dalla redazione, perché in ferie nel periodo in questione, e sul rispetto avuto nei confronti di Gatti e della verità processuale sia all’interno dell’articolo, a cui la foto faceva da corredo, sia nella didascalia che commentava l’immagine incriminata. ‘’La foto in questione - sostiene, tra l’altro, Mieli nella memoria presentata al Consiglio - è stata pubblicata a pagina 16 di un’edizione sostanzialmente estiva che, di fatto, non è stata sottoposta materialmente al mio controllo. Inoltre quella era il solo modo per documentare l’arrivo di Gatti in Tribunale, visto che l’udienza era a porte chiuse’’. Nonostante secondo Mieli non si sia voluto ledere la dignità di Gatti, né anticipare un giudizio di colpevolezza, il Consiglio ha deliberato di sanzionarlo con la censura. Le motivazioni del Consiglio, riportate in un comunicato, sono: il direttore non ha fornito il nome della persona che lo avrebbe sostituito nel settembre 2005; le manette non erano essenziali ai fini di documentare l’arrivo di Gatti in tribunale; un titolo e una cronaca ‘favorevoli non annullano la pubblicazione della foto; le responsabilità del direttore abbracciano tutto quello che viene pubblicato sul giornale. (ANSA) to che accede ai siti dei giornali attraverso link di altri indirizzi o da motori di ricerca. Per rilevare questi dati la Scabrorough ha messo a punto un nuovo sistema di misurazione, l’Integrated Newspaper Audience, che serve a quantificare l’audience totale dei giornali quotidiani, oltre il mero conteggio delle copie distribuite. “Con tutti i dati negativi che sentiamo sulla stampa quotidiana in questi giorni, questa analisi porta un soffio di positività, dimostrando che la forza combinata della pagina stampata e di quella digitale saranno fondamentali per il futuro dei quotidiani, non solo negli Usa” afferma Gary Meo, vice presidente sr. di Scanborough Research. I risultati della ricerca degli analisti americani sono stati confermati da un altro studio simile condotto, sempre sulla stampa Usa, dal Pew Research Center for People and the Press. Lo studio colloca il New York Times all’apice della classifica dei quotidiani più letti on line. Bisogna però tener conto, per un giusto raffronto, che secondo le rilevazioni di comScore Media Metrix, i lettori on line di Yahoo! News in agosto sono stati il quadruplo del totale di quelli del New York Times. (ANSA) Google: col nuovo servizio News tutte le notizie in Rete San Francisco, 6 settembre 2006. Continuano gli sforzi di Google per migliorare i suoi servizi di ricerca news. Il gruppo di Mountain View annuncerà oggi infatti un nuovo servizio che permette di cercare notizie apparse sulla rete anche anni fa. Fino ad ora, il servizio Google News permetteva di trovare in Rete solo notizie “vecchie” al massimo di un mese. Adesso, si potranno trovare “chicche” vecchie anche di anni. Il servizio è realizzato insieme al sistema di ricerca news Factiva, creato da Dow Jones e Reuters, mentre Google ha firmato accordi con i più importanti gruppi editoriali e dell’intrattenimento che daranno accesso alle loro notizie agli utenti Google. Si tratta in particolare del New York Times, della stessa Dow Jones e del Wall Street Journal, di Time magazine e Washington Post. Digitando un termine nella striscia di ricerca saremo rimandati agli archivi delle testate in questione. Le quali offriranno poi (gratis o a pagamento, secondo la loro policy aziendale) l’accesso all’informazione che interessa. Google non avrà comunque alcuna commissione per questo servizio. I guadagni del nuovo “News” arriveranno dall’aumento delle presenze sul sito, e dunque da maggiori introiti pubblicitari. 13 P R O F E S S I O N I Fabio Mussi ritira il “Dpr Siliquini”, ma annuncia alla Camera che recupererà le regole europee (laurea almeno triennale per l’accesso). Questa volta è la rivincita dei giornalisti sugli editori che dal 1928 “governano” le redazioni dei quotidiani 1. Premessa. Mussi ritira il “Dpr Moratti/Siliquini”. Accesso agli Ordini professionali: “Una materia sulla quale deve logicamente far premio il recepimento della Direttiva comunitaria sulle qualifiche professionali superiori”. Il ministro dell’Università, Fabio Mussi, su invito della Corte della Conti, ha ritirato il “DpR Moratti/Siliquini” (uno degli ultimi atti firmati dal presidente Carlo Azeglio Ciampi), che avrebbe dovuto disciplinare gli esami di Stato per l’accesso alle professioni di dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico e agrotecnico laureato, architetto, pianificatore paesaggista e conservatore, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, farmacista, geologo, ingegnere, psicologo, tecnologo alimentare e veterinario, consulente del lavoro, geometra e geometra laureato, giornalista, perito agrario e perito agrario laureato, perito industriale e perito industriale laureato nonché per l’abilitazione nelle discipline statistiche. Per quanto riguarda l e professioni di consulente del lavoro, geometra e geometra laureato, giornalista, perito agrario e peri- Contributi all’editoria: tagli per un milione nel 2006, 50 milioni nel 2007 e nel 2008 14 to agrario laureato, perito industriale e perito industriale laureato, il Dpr prevedeva la doppia via (diploma e laurea), mentre nella versione originaria del 22 dicembre 2005 stabiliva soltanto il possesso della laurea. Fabio Mussi, nell’audizione del 4 luglio 2006 davanti alla VII Commissione della Camera ha dichiarato: “Ci sono anche stati rilievi degli organi giurisdizionali sul decreto Moratti relativo alle abilitazioni e all’accesso agli ordini professionali: una materia sulla quale deve logicamente far premio il recepimento della Direttiva Comunitaria sulle qualifiche professionali superiori. La Corte dei Conti, visto il ritiro del decreto sulle classi di laurea, ci ha invitati al ritiro anche di questo”. La Direttiva Comunitaria sulle qualifiche professionali superiori è la numero 89/48/CEE del 21 dicembre 1988 “relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni”. La direttiva 89/48/CEE, recepita con il Dlgs 115/1992, ha introdotto (con l’articolo 2/bis del dlgs 115/1992) la definizione di professione “regolamentata”. Si definisce formazione regolamentata “qualsiasi formazione direttamente orientata all'esercizio di una determinata pro- Roma, 5 luglio 2006. I tagli al settore dell’editoria ammonteranno alla cifra di un milione per il 2006 e a 50 milioni di euro per il 2007 e 2008: lo ha spiegato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per il settore, Riccardo Franco Levi, aprendo con questa precisazione la sua audizione in Commissione Cultura alla Camera. “Voglio mettere a punto - ha esordito Levi - una notizia circolata nelle ultime ore e riferita alle cronache del Consiglio dei ministri di venerdì scorso. Nel dettaglio dei provvedimenti decisi dal Governo si era parlato di tagli ai contributi per l’editoria da 80 milioni per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008. In realtà - ha precisato - si trattava della prima bozza del testo entrato in Consiglio dei ministri”. Dopo la discussione sul testo, “abbiamo preso atto - ha spiegato Levi - della necessità di contribuire al riequilibrio dei conti pubblici alla quale non può sottrarsi anche il Dipartimento per l’editoria, ma abbiamo rimodulato i tagli: non ci sarà nessun intervento per il 2006, se non quello simbolico da un milione di euro, perché si tratta di un provvedimento di spesa triennale che ha bisogno di una voce anche per il primo anno, mentre per il 2007 e 2008 le minori spese ammonteranno non a 80, ma a 50 milioni di euro”. Il sottosegretario ha spiegato anche che i tagli investiranno “non solo la voce dei contributi diretti, ma il complesso delle provvidenze all’editoria che corrispondono a circa 500 milioni. Si tratta di uno sforzo ancora significativo, ma sopportabile”. (ANSA) Sole 24 Ore: accordo per l’acquisizione di Editoriale Gpp fessione e consistente in un ciclo di studi post-secondari di durata minima di tre anni oppure di durata equivalente a tempo parziale in un’università o in un altro istituto di livello di formazione equivalente e, se del caso, nella formazione professionale, nel tirocinio o nella pratica professionale richiesti oltre il ciclo di studi post-secondari: la struttura e il livello di formazione professionale, del tirocinio o della pratica professionale devono essere stabiliti dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro interessato o soggetti al controllo o all'autorizzazione dell'autorità designata a tal fine”. La direttiva in conclusione ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione. I principi fissati dalla direttiva 89/48/CEE sono stati realizzati dalla Repubblica Italiana con la Riforma universitaria 1999/2000/2005 e con il contestuale collegamento (tramite il comma 18 dell’articolo 1 della legge 4/1999) delle lauree (triennali) e delle lauree biennali specialistiche (o magistrali) alle professioni regolamentate organizzate con l’Ordine (o con il Collegio) e con l’esame di Stato. Tra le professioni regolamentate rientra quella di giornalista (ex legge n. 69/1963, sentenze nn. 11 e 98/1968; 2/1971; 71/1991; 505/1995 e 38/1997 della Corte Costituzionale) alla quale si accede tramite esame di Stato al pari delle altre. La Repubblica Italiana ha recepito in maniera inadeguata, discriminatoria e parziale la direttiva n. 89/48/CEE, non includendo (al pari delle altre) la professione giornalistica nell’Allegato A del Dlgs n. 115/1992, pur in presenza dell’allora Diploma triennale universitario (o laurea breve) in Giornalismo (decreto 31 ottobre 1991 noto come “riforma Salvini”). La Repubblica Italiana, pur avendone la facoltà in base all’articolo 11 (punto 1a) del Dlgs n. 115/1992, non ha modificato o integrato (“con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri”) detto Allegato A, “tenuto conto delle disposizioni vigenti o sopravvenute”, abrogando i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 33 della legge n. 69/1963, i quali non stabiliscono alcun percorso formativo universitario minimo per chi intende accedere alla professione giornalistica. Solo nel 2003, con il dlgs 277, la Repubblica italiana ha compiuto un atto di riparazione parziale, modificando la tabella delle professioni (allegato C) inclusa nel dlgs 319/1994 (che ingloba la direttiva 92/51/CEE). Oggi, infatti, la professione di giornalista rientra tra quelle caratterizzate dal possesso del diploma (e non dalla laurea) riconosciute come tali dal dlgs 2 maggio 1994 n. 319, che ha dato “attuazione alla direttiva 92/51/CEE relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva 89/48/CEE”. Il dlgs 8 luglio 2003 n. 277 ha dato, invece, attuazione della direttiva 2001/19/CE, che modifica le direttive del Consiglio relative al sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali. L’allegato II (di cui all'art. 2, comma 1, lettera l) del dlgs 277/2003 cita espressamente la professione di giornalista come vigilata dal ministero della Giustizia. L’allegato II del dlgs 277/2003 ha anche sostituito, come riferito, l’allegato C del dlgs 319/1994. I dlgs 277/2003 e 319/1994 in sostanza dicono, con l’allegato II (ex allegato C), che la professione giornalistica (italiana), organizzata (ex legge 69/1963) con l’Ordine e l’Albo (in base all’art. 2229 Cc) e costituzionalmente legittima (sentenze 11 e 98/1968, 2/1971, 71/1991, 505/1995 e 38/1997 della Consulta), ha oggi sì il riconoscimento dell’Unione europea, ma a un livello inferiore rispetto a quelle comprese nell’allegato A del Dlgs 115/1992 caratterizzate dalla laurea. Ora Mussi intende correggere questa stortura con una norma regolamentare semplice in base alla quale i praticanti giornalisti all’atto della iscrizione nel Registro dovranno possedere una laurea triennale. La sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia eu- Milano, 8 set. (Apcom) - Il Sole 24 Ore ha siglato un accordo con Wise, società di gestione del Fondo Wise Equity, per l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario di Editoriale Gpp. Lo comuica in una nota il gruppo del quotidiano di Confindustria. L’operazione, attualmente sottoposta all’approvazione dell’Antitrust, consentirà la creazione del primo operatore nazionale nel settore dell’editoria specializzata business to business con un fatturato di circa 80 milioni di euro e un portafoglio prodotti multimediale e multisettore ampio ed articolato. Il perfezionamento dell’accordo avverrà nell’aprile del prossimo anno con l’approvazione del bilancio 2006. Le attività di Gpp saranno inserite nell’ambito dell’Area professionisti de Il Sole 24 Ore. Il Sole 24 Ore è già presente in alcuni tra i segmenti tipici dell’editoria di settore con prodotti propri, grazie all’acquisizione di Edagricole e all’accordo con Federico Motta Editore che ha portato alla costituzione della nuova società editoriale Motta Architettura. Gpp, azienda editoriale con un fatturato 2005 di oltre 45 milioni di euro opera nei settori Ho.Re.Ca. (Hotel, Restaurant e Catering), retail, ict (Informatica, Broadcasting ed Elettronica), edilizia e architettura. Il portafoglio di Gpp è costituito principalmente da periodici e può contare su oltre 70 testate. “Con l’acquisizione di Gpp - osserva l’amministratore delegato de Il Sole 24 Ore Claudio Calabi - si consolida la posizione di leadership del Sole 24 Ore nella fornitura di servizi editoriali, formativi, software e di comunicazione a contenuto tecnico, normativo e scientifico destinati al mondo delle professioni, delle imprese e della pubblica amministrazione”. ORDINE 9-10 2006 ropea del 10 maggio 2001 - (nella causa C-285/00 contro la Repubblica francese, che non aveva adottato la normativa europea per il riconoscimento della professione di psicologo) - afferma che “la direttiva 89/48/CEE va applicata alle professioni regolamentate, cioè a quelle per le quali l’accesso o l’esercizio sono subordinati, direttamente o indirettamente, mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di un diploma universitario della durata minima di tre anni”. L’Europa, quindi, vuole che i professionisti, compresi i giornalisti italiani organizzati con l’Ordine, abbiano almeno una laurea triennale. “La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione di precisare che la norma dell’art. 33 Cost. reca in sé un principio di professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che l’esercizio di attività professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente approfondite e ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di tali conoscenze, per tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle capacità di professionisti le cui prestazioni incidono in modo particolare su valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre 1993, n. 456; 26 gennaio 1990, n. 29)” (parere n. 448/2001 della Sezione Seconda del Consiglio di Stato emesso nell’adunanza 13 marzo 2002). Sono mutati i requisiti culturali per l’esercizio delle professioni nell’ambito dei Paesi Ue e, quindi, gli aspiranti giornalisti professionisti italiani non possono essere discriminati (con violazione dell’art. 3 Cost.) rispetto agli altri aspiranti professionisti italiani e a quelli europei sotto il profilo della preparazione universitaria minima di tre anni. “Il titolo di studio precede la maturazione professionale” (Corte Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a proposito della professione di psicologo). 2. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999 (voluta dal governo D’Alema rispettoso della direttiva 89/48/Cee) conferisce al ministero dell’Università, di concerto con quello della Giustizia, il compito di “integrare e modificare” con regolamento gli attuali ordinamenti sull’accesso alla professioni e di raccordarli con le lauree triennali e con le lauree specialistiche biennali. Il Dlgs n. 300/1999 affida al ministero della Giustizia la vigilanza sugli Ordini professionali e al ministero dell’Università la “missione” di formare i nuovi professionisti. Il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999 (voluta dal governo D’Alema rispettoso della direttiva 89/48/Cee) conferisce al ministero dell’Università, di concerto con quello della Giustizia, il compito di “integrare e modificare” con regolamento gli attuali ordinamenti sull’accesso alla professioni e di raccordarli con le lauree triennali e con le lauree specialistiche biennali. Il regolamento (Dpr n. 328/2001) disciplina la maggioranza delle professioni intellettuali, ma trascura quelle dei giornalisti e dei consulenti del lavoro. La base legislativa del regolamento risiede appunto nell’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, ai sensi del quale “Con uno o più regolamenti adottati, a norma dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti gli organi direttivi degli ordini professionali, con esclusivo riferimento alle attività professionali per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l’obbligo di superamento di un esame di Stato, è modificata e integrata la disciplina del relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché dei requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e Rtl 102.5: compie 15 anni la prima redazione “privata” ORDINE 9-10 2006 delle relative prove, in conformità ai seguenti criteri direttivi: a) determinazione dell’ambito consentito di attività professionale ai titolari di diploma universitario e ai possessori dei titoli istituiti in applicazione dell’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni; b) eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi, ordini o collegi in relazione agli ambiti di cui alla lettera a), indicando i necessari raccordi con la più generale organizzazione dei predetti albi, ordini o collegi; c) coerenza dei requisiti di ammissione e delle prove degli esami di Stato con quanto disposto ai sensi della lettera a)”. Con riferimento all’ambito della potestà regolamentare dei Ministeri dell’Università e della Giustizia, si ritiene, - come ha più volte osservato l’Ufficio legislativo del Ministero dell’Università -, che la disposizione dell’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999, non debba essere intesa con riferimento alle sole professioni per le quali è già richiesto il diploma di laurea dalle disposizioni vigenti. La predetta norma, infatti, attribuisce la potestà regolamentare con riferimento a tutte le professioni “per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l’obbligo del superamento di un esame di Stato”; l’oggetto della norma di delegificazione è pertanto costituito dalla disciplina delle professioni per le quali è previsto l’esame di Stato, mentre le disposizioni contenute nelle lett. a), b) e c) costituiscono principi e criteri direttivi per l’esercizio della potestà regolamentare stessa. Tale interpretazione della norma in questione è del resto confermata dal parere facoltativo reso dal Consiglio di Stato nell’Adunanza della sezione seconda il 13 marzo 2002, n. 448/2001, proprio con riferimento alla possibilità di includere la professione di giornalista nella citata disciplina regolamentare; in tale parere si afferma la natura di esame di Stato della prova di idoneità prevista per l’accesso alla professione di giornalista e si conclude per l’insussistenza di motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento professionale dei giornalisti ai sensi dell’art. 1, comma 18, della legge n. 4 del 1999. Una pronuncia, questa, che correggeva la miopia della “Commissioni Rossi”, che aveva escluso la professione di giornalista dal Dpr 328/2001. Va detto anche che dal combinato disposto degli artt. 33, quinto comma, e 117, terzo e sesto comma, della Costituzione, discende la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di esami di Stato per l’abilitazione alle professioni, e la connessa potestà regolamentare. damento del pubblico; la rilevanza civile e penale dei Titoli professionali e il riconoscimento e l’equipollenza, ai fini dell’accesso alle professioni di quelli conseguiti all’estero”. L’Ufficio legislativo del Ministero dell’Università a ragione “ritiene di poter trarre il definitivo riconoscimento che la disciplina dell’esame di Stato richiesto per le professioni intellettuali e dei relativi requisiti di ammissione, compresi i Titoli di studio, rientra nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato”. Le materie, di cui parla il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs, sono tutte disciplinate dagli articoli 33 e 35 della Costituzione, dal dlgs 300/1999, dall’articolo 2229 del Cc, dal Codice penale e dalle varie leggi delle professioni intellettuali, insomma da norme che conferiscono allo Stato una particolare capacità esclusiva di azione. In sostanza il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha mantenuto, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i poteri di disciplinare le professioni, come riconosciuto ripetutamente, dopo l’entrata in vigore nel 2001 del nuovo Titolo V della Costituzione, dalla Corte costituzionale con le sentenze 353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005, 424/2005, 40/2006 e 153/2006. Va detto che l’articolo 33 (quinto comma) della Costituzione conferisce il potere esclusivo allo Stato di legiferare in tema di “esame di Stato” per l’accesso alle professioni intellettuali: “... Innanzitutto dobbiamo leggere la Costituzione nel suo complesso, dove c’è ancora la norma che dice che per l’esercizio dell'attività professionale occorre l’esame di Stato (art. 33 Cost.): “È prescritto un esame di Stato... per l’abilitazione all’esercizio professionale”. Quindi tutto ciò che attiene allo status del professionista e delle libere professioni è riconducibile all’articolo 33 della Costituzione, il quale parla di esame di Stato... una volta recuperato l'art. 33 che in effetti vuol dire che lo status delle professioni continua a rimanere nelle mani dello Stato, la devoluzione della materia “professione” alle Regioni può avere il significato di affidare alle Regioni la disciplina delle specificità delle professioni nelle realtà locali” (intervento conclusivo del prof. Vincenzo Caianiello-presidente emerito della Corte costituzionale, ”L’inserimento delle professioni nel titolo V della Costituzione”, in Atti del Convegno nazionale “Quale federalismo per le professioni” del 18 marzo 2002 in Codroipo-Ud, promosso dal Cup del Friuli Venezia Giulia). Vincenzo Caianiello, con lungimiranza, ha anticipato le sette sentenze della Corte costituzionale, che dal 2003 al 2006 oggi hanno affermato, con grande coerenza, la competenza esclusiva dello Stato sulle professioni intellettuali. 3. Il “dlgs La Loggia” afferma che il Governo ha mantenuto, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, i poteri di disciplinare le professioni, come riconosciuto ripetutamente dalla Corte costituzionale con le sentenze 353/2003, 319/2005, 355/2005, 405/2005, 424/2005, 40/2006 e 153/2006. 4. Gli editori rivendicano il “diritto di assumere come giornalisti tutti coloro che, a proprio discrezionale giudizio, ritengono di avviare all’attività di informazione”. Questo contesto è stato rafforzato dal “dlgs La Loggia” 30/2006 il quale “individua i principi fondamentali in materia di professioni, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che si desumono dalle leggi vigenti ai sensi dell’articolo 1, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni”. Il comma 4 dell’articolo 1 del dlgs dispone testualmente che non rientrano nell’ambito di applicazione del decreto “la formazione professionale universitaria; la disciplina dell’esame di stato previsto per l’esercizio delle professioni intellettuali, nonché i Titoli, compreso il tirocinio, e le abilitazioni richiesti per l’esercizio professionale; l’ordinamento e l’organizzazione degli ordini e dei collegi professionali; gli albi e i registri; gli elenchi o i ruoli nazionali previsti a tutela dell’affi- Roma, 31 agosto 2006 - Compie quindici anni la redazione di Rtl 102.5: è stata la prima struttura giornalistica della radiofonia nazionale privata italiana. Era la fine di agosto del 1991 e l’allora direttore Fabio Santini inaugurò la prima edizione del giornale radio, alla mezzanotte in punto. Da quel giorno, sotto la guida di Roberto Arditti prima e dell’attuale direttore Luigi Tornari poi, la redazione ha prodotto ben 131.500 edizioni delle news, con il contributo di oltre 140 giornalisti, tra professionisti che lavorano nelle redazioni di Milano e Roma, corrispondenti e collaboratori dall’Italia e dal mondo. Le principali sedi di corrispondenza sono New York, Mosca, Parigi, Londra, Bruxelles e Berlino. In questi anni, la redazione di Rtl 102.5 ha raccontato tutti i principali avvenimenti che hanno segnato la storia del mondo, alcuni anche con lunghissime dirette, come è avvenuto in occasione dell’11 settembre con 72 ore consecutive di diretta dalle sedi di Roma, New York e Milano, o negli ultimi giorni di vita di Papa Giovanni Paolo II. Quella di Rtl 102.5 è stata anche la prima redazione giornalistica di una radio privata a raccontare in diretta le partite della nazionale italiana di calcio (Europei 2004) e la finale di Champions League (2005), fino a produrre degli “Special” in diretta per raccontare il recente trionfo dell’Italia ai mondiali. Ha raccontato in diretta con i suoi inviati Giri d’Italia, Mondiali di sci, Olimpiadi. In occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 ha mobilitato gran parte della redazione. Ogni giorno la redazione produce, in diretta 24 ore su 24, il “Giornale Orario”, il notiziario in onda allo scoccare di ogni ora. Tutti i giorni dal lunedì al venerdì, alle ore 13 va Gli editori organizzati dalla Fieg negano l’esistenza di una professione di giornalista e non accettano il collegamento dell’esame di Stato dei giornalisti alle lauree universitarie, perché ciò intaccherebbe “il diritto alla libertà di organizzazione delle imprese editoriali” (art. 41 Cost.) e nel contempo limiterebbe “il diritto costituzionale di tutti i cittadini ad accedere, indipendentemente dal titolo di studio posseduto, alla professione giornalistica” (avv. Giancarlo Zingoni, vicedirettore Fieg, convegno di Verona 31 maggio 2002). Gli editori rivendicano il “diritto di assumere come giornalisti tutti coloro che, a proprio discrezionale giudizio, ritengono di avviare all’attività di informazione”, dimenticando che nell’ultimo decennio i laureati praticanti sono circa il 75% di quelli che hanno sostenuto l’esame di Stato. Gli editori vogliono “fare” i giornalisti come se nulla fosse accaduto risegue in onda, in coda al notiziario, un’appendice di un minuto di notizie in lingua inglese. La redazione si occupa anche di tutte le trasmissioni di approfondimento giornalistico: “Non stop news”, in onda ogni mattina dalle 6 alle 9; “Password”, in onda dal lunedì al venerdì, dalle 17 alle 19. Ogni domenica mattina, dalle 9 alle 11 va in onda “L’indignato speciale”, trasmissione di approfondimento giornalistico che ospita in studio i protagonisti della politica, dello sport e dello spettacolo. Molto spazio allo sport: ogni domenica “Mai visto alla radio”, dalle 14 alle 17, collega tutti i campi di calcio della serie A per gli aggiornamenti in diretta sui risultati delle gare e tratta di tutti i più importanti argomenti sportivi della giornata. Ogni giorno, su Rtl 102.5 circa 180 minuti sono dedicati all’informazione. (ANSA) Time, meno specchio e più faro dei tempi New York, 4 settembre - Un nuovo timoniere fa cambiare rotta a Time: il settimanale diventerà più analitico sotto il nuovo direttore Richard Stengel. Stengel ha annunciato al New York Times il mutamento di linea: “Siamo stati tradizionalmente uno specchio dei tempi, ora cercheremo di diventare un faro, una lampada che illumina quanto sta accadendo”, ha detto Stengel. L’obiettivo è di riempire le pagine del giornale con più saggi, analisi opinioni di quanto non sia accaduto finora. Per Time è una rincorsa a Newsweek, l’arci-rivale sul fronte dei news-magazine, che ha già un parco di grandi firme come George Will, Anna Quindlen e Fareed Zakaria. (ANSA) 15 P R O F E S S I O N I Fabio Mussi ritira segue da pagina 15 spetto al Regio decreto (Rd) n. 384/1928 e alla stessa legge n. 69/1963, che davano e danno soltanto agli editori stessi il potere di “creare” i praticanti giornalisti. Eppure con il Rd n. 2291/1929 il monopolio degli editori di “fare” i giornalisti” era stato spezzato: quest’ultimo Rd prevedeva la nascita di una scuola professionale per giornalisti sostitutiva del praticantato tradizionale. La scuola – che, aperta a Roma, durò 4 anni dal 1930 al 1933 – ospitava per sei mesi anche gli studenti universitari, che frequentavano il corso di laurea in Scienze politiche a indirizzo giornalistico dell’Università di Perugia: costoro, conseguita la laurea, avevano la facoltà di iscriversi nell’elenco professionisti dell’Albo. L’impostazione degli editori trova, comunque, una barriera insuperabile in alcune sentenze della Corte costituzionale (11/68; 2/1971; 71/1991, 505/1995 e 38/1997). “Rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario – si legge nella sentenza 38/1997 della Corte costituzionale – determinare le professioni intellettuali per l'esercizio dle quali è opportuna l'istituzione di ordini o collegi e la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi ( art. 2229 cod. civ.)”. Non solo. L’articolo 41 della Costituzione, nel proclamare che “l’iniziativa economica privata è libera”, afferma che essa “non può svolgersi ... in modo da recare danno... alla... dignità umana”. La posizione degli editori offende la dignità dei giornalisti italiani (ai quali la Fieg nega assurdamente, - in violazione degli articoli 2, 3, 4, 34 e 35 della Costituzione -, il diritto all’istruzione universitaria) e nei fatti punta a sconfessare il principio elaborato dall’ordinamento giuridico comunitario (con la direttiva 89/48/Cee) secondo il quale i professionisti “regolamentati” debbano avere una formazione universitaria minima di 3 anni. Questa direttiva fa da sfondo al Dpr n. 328/2001, che collega (in base all’articolo 1, comma 18, della legge n. 4/1999) l’esame di stato delle singole professioni intellettuali alle lauree della riforma universitaria. Il “nuovo” Dpr 328, che scriverà il ministro Mussi, sanerà una discrasia tra Ordine dei giornalisti e normativa comunitaria in tema di accesso, mandando in soffitta le restrizioni attuali. Oggi, come riferito, sono gli editori che decidono chi entra nella professione giornalistica come praticante, prescindendo dal titolo di studio. La normativa professionale del 1963 (legge 69) ferisce i principi costituzionali della dignità della persona e dell’uguaglianza, quando assegna agli editori il potere esclusivo di manipolare, con scelte incontrollabili, il diritto costituzionale al lavoro professionale dei giornalisti. Con il passaggio dell’accesso all’Università, viene superato un sistema medioevale di selezione paternalistica e per giunta fortemente antidemocratico. L’Università, invece, aprendo le porte a tutti, è la via maestra della formazione dei “nuovi” giornalisti. La posizione degli editori va combattuta in maniera radicale con un forte impianto giuridico: sul piano della Costituzione (artt. 2, 3, 21, 33 e 41), delle sentenze della Corte costituzionale (11/1968; 2/1971; 71/1971; 389/1989; 505/1995 e 38/1997); della direttiva comunitaria 89/48/Ce (recepita nel dlgs n. 115/1992); della sentenza della quarta sezione della Corte di giustizia europea del 10 maggio 2001 (causa C-285/00 contro la Repubblica francese); del dlgs 300/1999 (art. 50); delle leggi (4/1999, art. 1, comma 18); del parere del Consiglio di Stato 448/2001. La finalità della legge 4/1999 (art. 1, comma 18) è quella di adeguare i contenuti dell’attività professionale e del relativo esame di Stato all’evoluzione normativa dell’ordinamento degli studi universitari, avviata dall’art.17, comma 95, dalla legge n. 127/1997, al quale, appunto, la legge n. 4/1999 ha apportato modificazioni. Con specifico riferimento, poi, alla professione giornalistica la Corte costituzionale ebbe a chiarire (sentenze 11/1968 e 38/1997) che l’Ordine professionale dei giornalisti “ha il compito di salvaguardare erga omnes e nell’interesse della collettività la dignità professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri iscritti; il predetto Ordine non si pone pertanto in contrasto con i principi di libera manifestazione del pensiero, chiunque potendo scrivere per e su pubblicazioni di natura giornalistica, senza avere il titolo di giornalista”. “Con ciò la Corte ha ribadito la distinzione tra giornalista munito di una specifica e verificata capacità di informazione e coloro che sono legittimati a scrivere sugli organi di informazione senza avere quella specifica capacità debitamente verificata e dichiarata” (parere II sezione Consiglio di Stato n. 448/2001). In breve l’Ordine dei giornalisti è l’ente che organizza i cittadini i quali manifestano il pensiero per professione. Sempre a proposito della professione giornalistica, la stessa Corte costituzionale precisò che “l’Ordine professionale dei giornalisti è (al pari degli altri ordini e Collegi professionali), ente pubblico non economico che emette provvedimenti costitutivi del particolare status professionale di giornalista, al fine di perseguire fini di interesse generale, che superano di gran lunga la tutela sindacale dei diritti della categoria nel rapporto di lavoro subordinato con l’impresa giornalistica” [C. Cost., 8 febbraio 1991, Radio 24: più ascoltatori e tante novità. Santalmassi: siamo in trattative con Sposini 16 il “Dpr Siliquini”, ma annuncia alla Camera che recupererà le regole europee (laurea almeno triennale per l’accesso). Questa volta è la rivincita dei giornalisti sugli editori che dal 1928 “governano” le redazioni dei quotidiani n. 71; che richiamò la precedente sentenza n. 11 del 1968]. “Non è dubitabile che l’attività giornalistica costituisca “esercizio professionale” come previsto dall’art. 33, comma 5, Cost. Essa, infatti, anche se svolta nella forma di lavoro dipendente, rientra nella previsione delle “professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”, di cui all’art. 2229 cod. civ. Tale professione è infatti subordinata all’iscrizione nell’albo dei giornalisti istituito, come detto, dalla legge n. 69/1963” (parere II sezione Consiglio di Stato n. 448/2001). “La natura professionale dell’attività giornalistica trova, d’altronde, conforto dal combinato dispositivo dall’art. 1, comma 3, e dall’art. 2 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni) e nel decreto MURST del 28 novembre 2000. “La prima fonte ha fissato il principio per cui l’esercizio delle professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto dello stesso livello di formazione. “La seconda, emanata in attuazione dell’art. 4, comma 2, del D.M. n. 509 del 3 novembre 1999 sull’autonomia didattica degli atenei, nel determinare le classi delle lauree specialistiche (il diploma di laurea di una volta) ha MILANO, 7 settembre 2006. La formula “informazione e passione” ha funzionato se è vero che Radio 24, l’emittente del Sole 24 Ore, ha fatto registrare un aumento del 12,8% di ascoltatori nel primo semestre dell’anno, con una media settimanale di quasi 1,8 milioni al giorno e con picchi di oltre 2. I dati sono stati resi noti oggi dall’amministratore delegato Roberta Lai, insieme con il direttore Giancarlo Santalmassi che ha presentato le tante novità del palinsesto autunnale, al via da lunedì prossimo. Si continua con la filosofia di un network “news and talk”, ma alla parola e alla riflessione - è stato spiegato - si rafforzano la contaminazione musicale, l’attenzione al mondo dell’immigrazione, ai cambiamenti dell’ Italia, alla storia e allo sport. Sottintesa è la continua innovazione e la ricerca di format e programmi che possano rispondere sempre di più ai target di chi ama la radio. Non è ancora certo, invece, l’arrivo di Lamberto Sposini, l’ex vicedirettore del Tg5: “Siamo in trattative per averlo a ‘Viva voce’- ha spiegato Santalmassi - perché lui sta vagliando anche altre proposte e quindi preferiamo aspettare che abbia definito gli impegni. È un giornalista di talento e gli sono grato per aver accettato la prospettiva di venire con noi”. La gran parte dei programmi esordienti sono concentrati nel grande contenitore “Domenica 24”, condotto, dalle 9 alle 15, da Giampaolo Musumeci e Emanuela Pesando. All’interno, si susseguiranno “Sua Eccellenza” di Giuliano da Empoli, “Il taccuino del dottor Agro’’ di Domenico Cacopardo, ‘Obbligo di frequenza” di Maria Piera Ceci, quindi “Viaggio in Italia” di Gigi Donelli, una sorta di confronto sulla realtà di oggi rispetto al famoso libro-resoconto di Guido Piovene. E poi “Un libro tira l’altro” di Salvatore Carrubba, “Formichine” di Paolo Messa sulla cultura politica ed “Era mio padre” di Anna Migliorati e ancora, a chiudere, “Strega e madonna” sulla pubblicità. Dalle 15 alle 17 spazio allo sport, prima con “Il Navigatore” condotto da Francesca Francone Maitreya e Daniela De Pedrini, e dopo con “A tempo di sport” con Carlo Genta. Completano le novità “Storia, storielle e storiacce” raccontate da Daniele Biacchessi, Annarita D’Ambrosio e Raffaella Calandra. Il sabato sono due le trasmissioni inedite: “Il volto e l’anima”, in onda dalle 13 alle 14, presentato da Ricardo Augusto Moro e Filippo di Giacomo, in cui si dibatte fra cura del fisico e della personalità interiore, e “Viaggio in Italia” (21-21,30). Dal lunedì al venerdì il ruolo di new-entry spetta a “I magnifici” (dalle 15 alle 16 con replica alle 22), una serie di reportage sui grandi personaggi del secolo scorso, in particolare nel campo musicale, e all’appuntamento di “Vedo, Leggo, Ascolto”, prima mandato in onda a spezzoni dopo i giornali-radio e, poi, unitariamente alle 23,45. In particolare nella sezione “Ascolto” vi saranno informazioni e storie sui cittadini extracomunitari. Anche l’informazione del mattino viene rinforzata, con i Gr economia e sport e con la nuova rubrica “I furbetti del quartierino” (alle 7,15) curata dallo stesso Santalmassi. La fase di collaudo dell’allungamento d’orario di “Essere e benessere” ha dato buona prova, e quindi il seguito programma di Nicoletta Carbone resterà di 60 minuti, dalle 12 alle 13. (ANSA). ORDINE 9-10 2006 individuato all’allegato 13 la classe 13/S, intitolata “editoria, comunicazione multimediale e giornalismo”, indicandone le relative materie d’esame (“attività formative”). “L’attività giornalistica si configura, dunque, vieppiù oggi come professione in relazione all’aumentato bagaglio culturale specifico per il suo espletamento: bagaglio in relazione al quale appare obsoleto – e dunque suscettibile di revisione normativa secondo l’intento legislativo della legge n. 4/1999 – il contenuto delle prove d’idoneità come oggi configurato dall’art. 32 della L. n. 69/1963 e dall’art. 44 del DPR n. 115/1965. Infatti, mutati i requisiti culturali per l’esercizio di una professione, l’accertamento dell’idoneità professionale non può prescindere da essi, tenuto conto che “il titolo di studio precede la maturazione professionale” (C. Cost., 27 luglio 1995, n. 412, a proposito della professione di psicologico). “In tale mutato contesto dell’ordinamento universitario la riforma dell’esame per giornalista appare oltretutto quantomeno opportuna, in quanto risponderebbe alla finalità di adeguamento perseguite dalla legge n. 4/1999, di cui si è fatto cenno all’inizio. “D’altra parte, nella giurisprudenza costituzionale non si è mai dubitato che anche quello di giornalista, al pari di altre professioni (come ad es. gli avvocati, gli ingegneri, i geometri, etc.) costituisce un ordinamento speciale, con le conseguenti caratteristiche comuni, tra cui quella dell’accesso mediante selezione rigorosa ed oggettiva (C. Cost., 14 dicembre 1995, n. 505, relativa al procedimento penale dei giornalisti)” (parere II sezione Consiglio di Stato n. 448/2001). 5. La professione giornalistica, come quella degli avvocati e dei medici, è nella Costituzione. L’Antitrust, sbagliando, ha affermato che soltanto la professione degli avvocati e quella dei medici sono nella Costituzione (con riferimento agli articoli 24 e 32, che parlano del diritto di difesa e del diritto alla salute). Anche la professione di giornalista è nella Costituzione. Il secondo comma dell’articolo 21 della Costituzione afferma che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. La stampa è fatta, alimentata, progettata e creata dai giornalisti professionisti. “L'esperienza dimostra – ha scritto la Corte costituzionale nella sentenza n. 11/1968 - che il giornalismo, se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana dei professionisti. Alla loro libertà si connette, in un unico destino, la libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali”. La Costituzione e la Corte costituzionale disegnano, quindi, una professione giornalistica come professione della libertà ancorata alla carta fondamentale della Repubblica. “Quella libertà che - come ha scritto Mario Borsa - prima di essere un diritto è un dovere”. Il nuovo diritto fondamentale dei cittadini all’informazione presuppone la presenza e l’attività di giornalisti vincolati a un percorso formativo universitario (come impongono la direttiva comunitaria n. 89/48/CEE e il comma 18 dell’articolo 1 della legge n. 4/1999), a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un esame di Stato. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 1/1981, ha riconosciuto “il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle libertà, che è, a sua volta, cardine del regime di democrazia garantito dalla Costituzione”. Il secondo comma dell’articolo 21 va incrociato con il quinto comma dell’articolo 33 della Costituzione: “È prescritto un esame di Stato ... per l'abilitazione all'esercizio professionale”. Lo Stato, quindi, deve garantire i cittadini sulla preparazione dei giornalisti “all’esercizio professionale”. Su questa base il Parlamento ha stabilito (con la legge n. 69/1963) che esiste una professione giornalistica, che è stata poi organizzata, come prescrive l’articolo 2229 del Codice civile, con l’Ordine (giudice disciplinare e giudice delle iscrizioni) e l’Albo. Il vincolo italiano dell’esame di Stato per accedere all’esercizio delle professioni intellettuali è un’anomalia internazionale assorbita, però, dal dicembre 1988 nella direttiva 89/48/CE recepita nel dlgs n. 115/1992. Questo dlgs all’articolo 8 prevede una “prova attitudinale” per l’esercizio di una professionale in ogni Paese comunitario. La “prova attitudinale” è in Italia l’esame di Stato di cui all’articolo 33, V comma, della Costituzione. 6. La direttiva 2005/36/Ce (“direttiva Zappalà”) sulle qualifiche professionali (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 255/22 del 30 settembre 2005) consente, infatti, agli Stati membri di delegare parte della gestione delle professioni a organismi autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali. Frattanto il sistema ordinistico italiano esce rafforzato dal varo di una nuova direttiva comunitaria. La direttiva 2005/36/Ce (“direttiva Zappalà”) sulle qualifiche professionali (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea L 255/22 del 30 settembre 2005) consente, infatti, agli Stati membri di delegare parte della gestione delle professioni a organismi autonomi, come gli Ordini e i Collegi professionali. Ora, gli Stati avranno due anni di tempo, sino a settembre 2007, per adeguarsi. La normativa riguarda sia il lavoro subordinato che autonomo, La direttiva “Zappalà” riconosce e definisce la specificità delle professioni liberali. La specificità si concretizza nella personalità, nella responsabilità individuale e nell'indipendenza di chi svolge una professione liberale. Il professionista svolge prestazioni di natura intellettuale (distinte da quelle esecutive), nell'interesse del cliente e della collettività. Le professioni liberali, proprio perché perseguono l'interesse generale, possono essere esonerate dalla disciplina tipica di chi pratica il commercio e l'industria, come la libera concorrenza, purché ciò avvenga nei limiti di quanto è strettamente necessario a tali obiettivi. In questo quadro, gli Stati Ue potranno prevedere regole che pongono limiti all'esercizio della professione, stabiliti per legge ma anche attraverso codici di autoregolamentazione degli organismi professionali. La direttiva consente la valorizzazione degli Ordini (o delle associazioni laddove esse siano chiamate a svolgere funzioni analoghe dagli ordinamenti nazionali). Infatti, gli Stati possono delegare questi organismi a svolgere competenze che la direttiva lascia alla competenza nazionale. Tra queste: il ricevimento e la valutazione della dichiarazione preventiva in occasione del primo spostamento del professionista che intende esercitare in libera prestazione dei servizi; la verifica, in occasione della prima prestazione di servizi delle qualifiche professionali aventi impatto sulla salute e la sicurezza che non siano disciplinate dalla sezione specifica della direttiva; lo scambio d'informazioni nell'ambito della cooperazione amministrativa; la conferma dell'autenticità dei documenti forniti dal prestatore di servizi; l'esame della richiesta di autorizzazione per l'esercizio della professione. In realtà la direttiva non fa che prendere atto della situazione esistente nella maggior parte degli Stati membri, ove i poteri pubblici delegano parte della gestione delle professioni a organismi autonomi. Tuttavia, la direttiva non prevede alcun obbligo di riconoscimento delle associazioni se non per quelle britanniche e irlandesi tassativamente elencate. La professione esercitata dagli iscritti è assimilata alle professioni regolamentate e le associazioni sono ora sottoposte agli obblighi in materia di riconoscimento e iscrizione. In questo modo le associazioni britanniche e irlandesi non potranno più rifiutare l'iscrizione ai cittadini di altri Paesi Ue, obiettando che la professione può essere esercitata da un cittadino di un altro Paese Ue senza riconoscimento perché non regolamentata. La legittimazione degli organismi rappresentativi delle professioni non ha rilievo solo a livello nazionale ma anche europeo. Milano, 15 luglio 2006 Calciopoli: l’Ordine Lazio sospende Biscardi, Melli e Sposini New York, 6 settembre 2006. È passato un anno e mezzo da quando il Consiglio di amministrazione di Hewlett-Packard ha dato il benservito a Carly Fiorina, la donna amministratore delegato dal braccio di ferro ammirata da Wall Street per la sua grinta, ma reputata troppo “arrogante” da molti dirigenti del colosso informatico. Su quale sia stato il vero motivo del licenziamento, se ne saprà di più il prossimo mese, quando in un libro spiegherà la sua versione su quanto è accaduto. Quale sia la verità, sta di fatto che i problemi interni al consiglio di amministrazione di Hewlett Packard sono ben lungi dall’essere risolti. Ne è prova del nove la notizia arrivata ieri, secondo cui George Keyworth, membro del Cda, non sarà rieletto. E questo perchè, dietro la fuga di notizie su Hp, che va avanti da molti mesi, ci sarebbe proprio lui. Sarebbe stato infatti Keyworth, in più di un’occasione, a rivelare agli organi di stampa americana il contenuto delle conversazioni che si tenevano all’interno del Cda. Sarebbe stato lui a parlare anche di un meeting che si tenne ai tempi di Fiorina, apparentemente all’insaputa di tutti, e che poco dopo venne riportato in un articolo del Wall Street Journal. E sembra che Fiorina all’epoca avesse avuto sospetti di lui in più di un’occasione. Keyworth ha confessato di essere stato la fonte di molti articoli su Hp riportati dalla stampa e, in un incontro con Robert Ryan, responsabile della commissione di supervisione del cda di Hp che gli ha presentò i risultati di un’indagine avviata sulla fuga di notizie, si è scusato. Successivamente, il board dell’azienda si è riunito per deliberare sulla materia, e lo stesso attuale amministratore delegato di Hp Mark Hurd, alla domanda di un membro che gli ha chiesto cosa dovrebbe fare se un dipendente decidesse di dare informazioni riservate a un giornalista, ha risposto: “Non avrei altra scelta se non licenziarlo”. Ma Keyworth non vuole lasciare il Cda, e ha motivato la sua determinazione a rimanere, con la fiducia che ha ricevuto dall’assemblea degli azionisti. A questo si è aggiunta la rabbia di Tom Perkins, amico di Keyworth e lui stesso membro del Consiglio di amministrazione che, nell’apprendere la notizia relativa alla decisione del board di “cacciare” Keyworth, si è alzato dalla sedia, ha chiuso con violenza la propria valigetta ventiquattrore, e ha tuonato. “Mi dimetto e me ne vado”. (Apcom) Hp: fuga di notizie scatena lotte intestine nel Cda ORDINE 9-10 Roma, 20 settembre 2006. Sospensione di 6 mesi per Aldo Biscardi, di 4 mesi per Franco Melli, di tre mesi per Lamberto Sposini. Sono alcuni dei provvedimenti decisi dal Consiglio dell'Ordine dei giornalisti del Lazio nelle riunioni di ieri e oggi, in merito alle vicende legate a calciopoli. Il Consiglio ha deciso anche la notifica di un avvertimento per Guido D’Ubaldo, sempre la stessa vicenda, mentre per Ignazio Scardina, la decisione (come da prassi) è stata sospesa in attesa della conclusione dell'inchiesta giudiziaria. (ANSA) 2006 Truffa editoria: rischia il processo ex direttore di giornale. Pm Roma chiede giudizio anche per moglie e due collaboratori Anche in Austria tabloid a 50 centesimi ROMA, 8 settembre 2006. Avrebbero organizzato una vera e propria associazione a delinquere che, inventando false collaborazioni giornalistiche, era riuscita ad ottenere contributi “gonfiati” dalle legge sull’editoria. Per le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato, frode fiscale mediante emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti, favoreggiamento, false comunicazioni sociali e falsità nelle relazioni delle società di revisione rischiano di finire sotto processo Massimo Bassoli, ex direttore del Giornale d’Italia la moglie Francesca Romana Dolazza, responsabile della società editrice del giornale Puntocom, e due stretti collaboratori dello stesso Bassoli, Umberto Lorenzini e Rocco De Filippis. Nei loro confronti, il pm di Roma Olga Capasso, a conclusione dell’inchiesta e dopo il deposito degli atti d’indagine, ha chiesto il rinvio a giudizio. Saranno giudicati in sede preliminare dal gup Galileo D’Agostino il prossimo 13 ottobre. I quattro furono arrestati nel maggio scorso (solo Francesca Romana Molazza fu posta agli arresti domiciliari) dopo una indagine effettuata dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza. Secondo gli investigatori, fin dal 2000, sarebbero stati sottratti alle casse dello Stato 14 milioni di euro, ottenuti illegittimamente da un fondo di 600 milioni di euro che ogni anno la presidenza del consiglio dei ministri destina alla testate giornalistiche. Il Giornale d’Italia, di cui Bassoli è stato direttore fino al novembre scorso, secondo l’accusa riceveva ogni anno circa 2,5 milioni di euro in quanto organo del movimento politico Pensionati uomini vivi. Per gli inquirenti, il meccanismo ideato per materialmente ricevere i contributi era semplice: venivano formate e contabilizzate fatture su collaborazioni giornalistiche fittizie emesse a nome di società inglesi, irlandesi e maltesi (poi risultate inesistenti), frodando così il fisco e “gonfiando” in maniera rilevante i costi sulla cui base erano calcolate le provvidenze statali erogate dalla normativa sull’editoria. Per l’accusa i pagamenti fittizi riportati in contabilità in realtà affluivano sui conti degli indagati o di società a loro riconducibili. Nell’ambito della stessa inchiesta, la procura di Roma si appresta a chiedere ulteriori sei rinvii a giudizio: si tratta di persone che, per l’accusa, sarebbero “favoreggiatori” del gruppo. Tra questi ci sarebbero anche i responsabili della società di revisione che ha certificato i falsi bilanci delle società editrici, relativi agli esercizi dal 2000 al 2004. (ANSA) Vienna, 1 settembre 2006. È uscito in Austria il nuovo quotidiano Öesterreich. Costa solamente 50 cent, è il 17° quotidiano nel panorama editoriale austriaco ed è composto di circa 70 pagine a colori. Il primo numero oggi è eccezionalmente di 200 pagine ma è molto difficile reperirlo per problemi di distribuzione nelle edicole. Al livello nazionale Öesterreich è il quinto quotidiano dopo la Presse, lo Standard, il Kurier e la Krone. I temi sono soprattutto attualità, cronaca , tivù, moda e sport. Gli editori di Öesterreich sono i fratelli Wolfgang e Helmut Fellner, che tra l’altro pubblicano anche il settimanale News, sul mercato dal 1992, e il settimanale economico Format. (ANSA) 17 GIUSTIZIA E INFORMAZIONE Dopo il convegno a Bema Corso Bovio spiega la raccomandazione del Comitato dei ministri europei del 10 luglio 2003, n. 2003/13, sulla diffusione di informazioni attraverso i media in relazione ai processi penali. Indagini penali e Procure: l’Europa chiede trasparenza. I cittadini devono conoscere quel che accade nei Palazzacci di Corso Bovio avvocato penalista del Foro di Milano Lo scandalo della scalata dell’Antonveneta che ha colpito il mondo bancario nel 2005, la vicenda delle partite di calcio truccate, l’inchiesta di Potenza che ha portato in carcere Vittorio Emanuele di Savoia, da ultimo le indagini sulla complicità di ufficiali del Smi con la Cia nel rapimento di Abu Omar, sono i più clamorosi filoni investigativi che fanno lavorare il “tribunale mediatico” in udienza ininterrotta. Intercettazioni, interrogatori, copie di atti, hanno riempito pagine e pagine di giornali. Nel caso di Potenza la misura cautelare integrale è pervenuta alla stampa su supporto informatico. L’interrogatorio del cittadino Savoia (che ha confessato peccati carnali e che ha ingenuamente chiesto ai magistrati “ma mia moglie non saprà nulla di quello che dico?”: avrebbe meritato la risposta “non possiamo dirle se sua moglie lo saprà, certo lo sapranno i cronisti e tutti i lettori dei giornali”) ha occupato il supplemento di un quotidiano che ha dato alle stampe il verbale nella sua interezza. Il flusso di notizie giudiziarie arriva in edicola in mille rivoli e in cento fiumi. E non v’è una autorità di bacino, non v’è un regolatore dei flussi delle informazioni. Vi sono però decine di esondazioni. Si verifica anche qualche devastante alluvione. Oggi però è in vigore un nuovo principio per quanto riguarda le Procure della Repubblica. Il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n.106, prevede il riassetto dell’ufficio del P.M. nel quadro della riforma dell’Ordi- namento giudiziario, riforma contestata e della quale si discute l’azzeramento, ma che è, per quanto qui interessa, valida ed efficace. L’art. 5 prevede che “il Procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell’ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione”. Ed aggiunge che “ogni informazione inerente alle attività della Procura della Repubblica deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del processo”. Ed ancora, precisa che “è fatto divieto ai magistrati della Procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni, o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio”, sotto pena della segnalazione da parte del Procuratore capo al Consiglio giudiziario per l’esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione della azione disciplinare, secondo quanto previsto dall’ultimo comma della norma citata. La relazione governativa ha precisato che “spetta al solo Procuratore della Repubblica tenere i contatti con i mass media per fornire la doverosa informazione circa vicende giudiziarie trattate dall’ufficio”. I commentatori hanno ricordato come per i magistrati si sia sempre ritenuto opportuno evitare dichiarazioni alla stampa su processi che stanno trattando, o nei quali saranno chiamati a qualunque titolo a svolgere la propria funzione. È doveroso per i giudici e procuratori formulare le valutazioni anche critiche su procedimenti ancora in corso, nei quali non siano direttamente interessati, con cautela ed attenzione nel rispetto della verità storica e senza offese gratuite. Giuliano Amato sbaglia: la Corte suprema (giugno-luglio 2005) ha fatto dietrofront dopo l’intervento del presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia nel senso che i nomi sono tornati nelle sentenze. L’Ufficio del Massimario ha spiegato che Franco Abruzzo aveva ragione Sentenze della nota di Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia La lettera circolare (n. 47/06/SG di Prot - Roma, 17 gennaio 2006) del primo presidente della Corte suprema Cassazione, Nicola Marvulli, ai presidenti titolari delle Sezioni civili e penali, al direttore dell’Ufficio del Massimario e al direttore del Ced sulla “Tutela della privacy ed oscuramento dei dati identificativi delle sentenze” conferma che la Corte di Cassazione può rilasciare copie integrali delle sentenze ai giornalisti senza oscurare il nome degli imputati. Lo aveva chiarito la relazione 5 luglio 2005 dell’Ufficio del Massimario della stessa Corte intervenendo a seguito di precise richieste da parte dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. La questione era nata (nel giugno 2005) a seguito dell’istanza di un imputato per reati sessuali che, appellandosi all’articolo 52 del Dlgs n. 196 del 2003, aveva sollecitato che il proprio nome pubblicato sulla sentenza fosse sbianchettato. Per tale motivo, la copia della sentenza n. 22724/05 della Terza Sezione penale era stata stampata cancellando il nome e le generalità dell’imputato e con un timbro posto in alto a sinistra che richiamava la norma di legge che consente l’anonimizzazione. La Suprema Corte ha infatti spiegato che chiunque può richiedere una copia delle sentenze perché in quanto atti pubblici pronunciati “in nome del Popolo Italiano’’ e che deve, però, oscurare i dati personali se vuole pubblicarle su una rivista specializzata di informatica giuridica; tuttavia, tale obbligo non vale per la cronaca giudiziaria in senso stretto, che deve assicurare il diritto all’informazione pur nel pieno rispetto dei diritti degli imputati. Nella relazione si affermava infatti che “le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali possono essere diffusi, anche attraverso il sito istituzionale nella rete Internet, nel loro testo integrale, completo - oltre che dei dati riferiti a particolari condizioni o status, anche di natura sensibile - delle generalità delle parti e dei soggetti coinvolti nella vicenda giudiziaria” e che “chi esercita l’attività giornalistica o altra attività comunque riconducibile alla libera manifestazione del pensiero [...] possa trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante”. Il “Testo unico della privacy” 196/2003 (come la legge 675/1996) dà piena libertà ai giornalisti di trattare i dati giudiziari (secondo le regole deontologiche). I giudici delle violazioni sono soltanto i Consigli dell’Ordine dei giornalisti. Secondo l’articolo 137 del Dlgs n. 196/2003, ai trattamenti (effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) non si applicano le disposizioni del Testo unico del 2003 relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I. In sostanza l’articolo 137, non prevedendo il disco verde del Garante o di soggetti privati, rispetta l’articolo 21 (II comma) della Costituzione che vuole la stampa non soggetta ad autorizzazioni. I giornalisti dovranno, comunque, trattare i dati (=notizie) con correttezza, secondo i vincoli posti dal Codice di deontologia della privacy del Il giornalista non si deve appiattire sulle veline Il Consiglio superiore della Magistratura ha da tempo tenuto presenti le esigenze dell’informazione, affermando che, qualora ragioni di pubblico interesse richiedano chiarezza e trasparenza, anche per rassicurare l’opinione pubblica su un procedimento pendente, è consigliabile che il magistrato incaricato del caso riferisca al capo dell’ufficio, il quale valuterà l’opportunità di una sua dichiarazione ufficiale o di un comunicato stampa, rispettati i limiti del segreto. Ancora “può e deve ritenersi consentito fornire, nelle inchieste giudiziarie di particolare rilievo le precisazioni necessarie per dissipare equivoci e per impedire distorsioni, al fine di contribuire ad una corretta informazione”. Mentre “vanno evitati interventi che possono far dubitare delle imparzialità del magistrato” (e il pubblico ministero è una parte imparziale) e “della sua libertà di giudizio riguardo alla questione sulla quale questi possa essere chiamato a pronunciarsi”. La riforma delle Procure ha tenuto conto del- 18 la necessità di assicurare l’impersonalità dell’informazione, di evitare eccessi di protagonismo (magari involontari) e, nel contempo, di garantire le esigenze di sicurezza del magistrato procedente. Facendo agire il Capo dell’ufficio si fa luogo ad “una presa di posizione ufficiale ed impersonale assai preferibile al coinvolgimento diretto dell’interessato”. Da quanto è stato possibile apprendere, proprio dai media, presso la Procura della Repubblica di Bologna, già “regolamentata”, la funzione di tramite con i mass media è stata assunta dal Procuratore capo, così come a Palermo, ad Aosta e a Perugia. A Verona invece i rapporti con la stampa vengono tenuti dal P.M. di turno. I problemi che si pongono, sono innanzitutto problemi di una riforma vissuta dalla magistratura come iniqua ed oppressiva, che può quindi indurre ad una applicazione banale e burocratica delle norme sui rapporti con i media. Al di là di quello che può essere l’atteggia- mento psicologico del terzo potere rispetto alla nuova normativa, ciò che inciderà in modo assai significativo sui “rapporti con la stampa” è il carico di lavoro, la carenza di tempo e di risorse e anche, in una certa misura, la carenza di cultura dell’informazione. Il Capo dell’ufficio (o il sostituto delegato) informerà i giornalisti, ma a monte, chi informerà il capo? Come questi verrà notiziato? Se al flusso informativo a valle è già stata attribuita la poco lusinghiera natura di velina, a monte vi saranno altri “foglietti”; il capo della Procura dirà al sostituto che segue l’inchiesta: “devo redigere un comunicato, scrivimi una paginetta sulla quale mi potrò basare”. Oppure discuterà brevemente di un tema che, pur importante dal punto di vista della comunicazione, sarà assolutamente secondario e residuale rispetto agli altri più urgenti doveri di ufficio. I flussi informativi saranno modesti e poco soddisfacenti, resterà così aperta la caccia, da parte dei cronisti giudiziari, alle notizie. Forse si otterrà una minore esposizione dei singoli P.M., titolari delle varie inchieste; forse si avrà una qualche riduzione del protagonismo di certi magistrati, anche se taluni sembrano essere una sorta di rubrica fissa del Tg regionale o della cronaca locale (e talora nazionale), difficili da eliminare dal palinsesto radiotelevisivo o dalle pagine del quotidiano. Certo, però, il costume e l’abitudine dei giornalisti di inseguire verbali, atti e brogliacci non si perderà o non diminuirà in maniera significativa. Questa riforma può essere però un’importante occasione per riflettere sulla diffusione e sulla canalizzazione delle notizie relative alle inchieste giudiziarie, sulla esigenza di un vero ufficio stampa, di un press office dei P.M., di un press office del Palazzo di giustizia. Le amministrazioni pubbliche comunicano: è stato istituito un Ufficio delle relazioni con il pubblico, con la brutta sigla di Urp. Anche in virtù di indirizzi a livello comunitario, lo Stato deve informare il cittadino. Lo deve informare su come esso svolge i suoi ORDINE 9-10 2006 In: https://www.odg.mi.it/docview.asp?DID=1882 Milano, 14 luglio 2006. Repubblica di oggi riporta una intervista di Giuseppe DAvanzo a Giuliano Amato, ministro dell’Interno. Scrive D’Avanzo: “La disciplina che protegge il nostri dati personali è rigorosissima, dice Amato. Prevede che la pubblicazione di una sentenza passata in giudicato non indichi il nome, ma soltanto le iniziali del condannato. Non è una vistosa contraddizione, un illegalismo diventato prassi, che tutti gli atti giudiziari che precedono la sentenza possano essere pubblicati dai giornali con tanto di nome e cognome? A che cosa servono allora gli infiniti moduli che compiliamo per mettere al riparo da occhi indiscreti i nostri dati sensibili? Abbiamo perso, dice Amato, la consapevolezza che ci sono limiti invalicabili. L´abuso nella pubblicazione delle intercettazioni telefoniche ne è la prova. Non penso che bisogna ridimensionare le intercettazioni, dice Amato. Nessuno, se non un giudice, può stabilirne la necessità”. Amato sbaglia in maniera clamorosa. RELAZIONE (5 luglio 2005) DELL’UFFICIO DEL MASSIMARIO DELLA CASSAZIONE. Il Codice sulla privacy prevede uno statuto particolare per l’attività giornalistica … a Cassazione e nomi degli imputati 1998, dagli articoli 2 e 48 della legge n. 69/1963 (sull’ordinamento della professione giornalistica), dalle Carte di Treviso sulla tutela dell’infanzia e dalla Carta dei doveri del 1993. Il trattamento dei dati - dice ancora l’articolo 137 - è effettuato anche senza il consenso dell’interessato previsto dagli articoli 23 (Consenso) e 26 (Garanzie per i dati sensibili). In caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di cui all’articolo 136 (trattamenti effettuati nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità) “restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico”. I giornalisti, che hanno diritto di leggere le sentenze nella forma integrale, non possono scrivere i dati identificativi di una persona (o di un minore) che ha subito violenza sessuale o che ha subito ricatti sessuali e né possono pubblicare dati che consentano, comunque, l’identificazione di queste persone o, comunque, di soggetti deboli. L’articolo 12 del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice deontologico dei giornalisti sulla privacy) tratta la “Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penali” (al trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall’articolo 24 della legge n. 675/1996. Il trattamento di dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 686, commi 1, lettere a) e d), 2 e 3, del Codice di procedura penale è ammesso nell’esercizio del diritto di cronaca, secondo i principi di cui all’articolo 5). Ciò significa che i giornalisti possono raccontare quello che risulta scritto nel Casellario giudiziale a carico di ogni persona protagonista di un fatto di cronaca: sentenze di condanna, ordini di carcerazione, misure di sicurezza, provvedimenti definitivi che riguardano l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale, dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere. Il diritto di cronaca, collegato a fatti di attualità, vince in maniera ampia. La legge sulla privacy non annulla un’altra legge centrale dell’ordinamento giuridico, la n. 633 del 1941 sul diritto d’autore. L’articolo 96 (in linea con l’articolo 10 Cc) protegge l’immagine della persona, che deve dare il consenso alla pubblicazione della sua foto. Senza il consenso, la pubblicazione della foto diventa un illecito civile. L’articolo 97 fissa le eccezioni: “Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico”. Sul risvolto di tale norma si suole articolare l’ampiezza del diritto di cronaca: si può pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Si legge ancora nella relazione dell’Ufficio del Massimario: “Il Codice prevede uno statuto particolare per l’attività gior- compiti istituzionali, su come la gente può servirsi delle strutture pubbliche; queste promuovono la propria immagine, forniscono conoscenze sulla propria attività anche per consentire alla gente di valutarla. La trasparenza e questa attitudine comunicativa, dovrebbero estendersi alle Procure, alla macchina della giustizia, ai Tribunali. La giustizia è un fatto di enorme rilevanza per la collettività, considerate anche le implicazioni politiche di svariate inchieste. Conoscerne i meccanismi e l’attività è un diritto dei cittadini, a fronte del quale vi deve essere un significativo e limpido flusso di notizie. Tale flusso non può essere per così dire a senso unico, diffuso attraverso i soli comunicati stampa delle autorità, ma va coordinato con la facoltà dei giornalisti di interrogare e conoscere. Occorre dare al reporter la possibilità di porre domande e di avere risposte, di chiedere carte e di verificare. L’amico Franco Abruzzo ha ragione: forse è utopistico, ma il giornalista deve essere considerato, al pari delle parti processuaORDINE 9-10 2006 nalistica, che rifugge dalla previsione di regole rigide e minuziose e che affida in prima battuta il bilanciamento tra i diritti e le libertà allo stesso giornalista il quale, in base ad una propria valutazione (che può essere sindacata), acquisisce, seleziona e pubblica i dati utili ad informare la collettività su fatti di rilevanza generale e d’interesse pubblico, esprimendosi nella cornice della normativa vigente e nel rispetto del proprio codice di deontologia. Esso stabilisce che chi esercita l’attività giornalistica o altra attività comunque riconducibile alla libera manifestazione del pensiero (inclusa l’espressione artistica e letteraria, come ora precisato dall’art. 136 del Codice) possa trattare dati personali anche prescindendo dal consenso dell’interessato e, con riferimento ai dati sensibili e giudiziari, senza una preventiva autorizzazione di legge o del Garante. In caso di diffusione o di comunicazione di dati, il giornalista è peraltro tenuto comunque a rispettare alcune condizioni (art. 137, comma 3): i limiti del diritto di cronaca e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, e i principi previsti dal codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica [41]. In ordine ai dati giudiziari, il codice deontologico (art. 12), a sua volta, rinvia al principio di essenzialità dell’informazione (art. 5), in modo da evitare riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti. La non diretta operatività all’attività giornalistica degli effetti dell’anonimizzazione disposta ai sensi dell’art. 52, commi e 2, del Codice - ma, più limitatamente, l’affidamento all’autonomia e alla responsabilità del giornalista, nel rispetto della legge e del codice doentologico, dei risultati di quella ponderazione e di quel bilanciamento - sembra ricavarsi dal parere del Garante 6 maggio 2004 su Privacy e giornalismo. Alcuni chiarimenti in risposta a quesiti dell’Ordine dei giornalisti [42]. Il Garante ha evidenziato la necessità che l’esigenza di assicurare la trasparenza dell’attività giudiziaria e il controllo della collettività sul modo in cui viene amministrata la giustizia debba comunque bilanciarsi con alcune garanzie fondamentali riconosciute all’indagato e all’imputato: la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva, il diritto di difesa e il diritto ad un giusto processo. In particolare, la diffusione dei nomi di persone condannate e, in generale, dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali, ad avviso del Garante, deve inquadrarsi nell’ambito delle disposizioni processuali vigenti, di regola improntate ad un regime di tendenziale pubblicità. Di guisa che sono ritenuti pubblicabili, ad esempio, l’identità, l’età, la professione, il capo di imputazione e la condanna irrogata ad una persona maggiorenne ove risulti la verità dei fatti, la forma civile dell’esposizione e la rilevanza pubblica (anche solo in un contesto locale) della notizia. Secondo il Garante, nella diffusione dei dati dei condannati devono essere presi in considerazione il tipo di soggetti coinvolti (ad esempio, persone con handicap o disturbi psichici, o ancora, ragazzi molto giovani), il tipo di reato accertato e la particolare tenuità dello stesso, l’eventualità che si tratti di condanne scontate da diversi anni o assistite da particolari benefici (es. quello della non menzione nel casellario), in ragione dell’esigenza di promuovere il reinserimento sociale del condannato. Le medesime ragioni di tutela dei dati personali, ad avviso del Garante, dovrebbero altresì prevalere nei casi in cui la vittima ha manifestato la volontà che i pro- li, titolare del diritto ad ottenere copia degli atti, o almeno di taluni essenziali (non più coperti dal segreto). Questo ovviamente presuppone che i giornalisti abbiano un adeguato bagaglio culturale, capacità di leggere, di interpretare e criticare gli atti. Franco Abruzzo ha ancora ragione: la preparazione delle nuove leve del giornalismo deve passare per gli studi universitari, direi, anzi, prolungandoli con un master, per quanto qui interessa un master in cronaca giudiziaria o in comunicazione giudiziaria. Quello tra fonte ed operatore dell’informazione, quello tra il giornalista (mediatore tra la fonte ed il pubblico) e il Palazzo di giustizia (o meglio l’ufficio stampa del Palazzo di giustizia) deve essere, come detto, un dialogo. Al Palazzo spetta la decisione di quando comunicare e che cosa comunicare. Al Palazzo tocca decidere quando va imposto un segreto assoluto e radicale (sicuramente doveroso nella prima fase delle inchieste, allorché va pri dati non siano resi pubblici (fermo restando il fatto che il giornalista può procedere alla pubblicazione dei diversi dati anche in assenza del consenso da parte degli interessati). Tale principio troverebbe, tra l’altro, fondamento nella possibilità, per ogni soggetto interessato, di opporsi anche in anticipo per motivi legittimi alla pubblicazione (art. 7, comma 4, lettera a, del Codice). Secondo il Garante, il giornalista, nell’effettuare le valutazioni a lui rimesse, “non potrà non tenere conto del bilanciamento di interessi effettuato in un altro fronte e cioè che le sentenze pubblicate per finalità di informatica giuridica (non giornaliste, quindi) dallo stesso ufficio giudiziario, oppure da riviste giuridiche anche on-line, potranno in alcuni casi più delicati non recare il nome di taluna delle parti o di terzi (minore, delicati rapporti di famiglia, ecc.: art. 52 del Codice)”. I nomi degli imputati continueranno, quindi, a comparire nelle cronache. I nomi, invece, non compariranno, come riferito, nelle riviste giuridiche cartacee e in quelle informatiche, nelle raccolte delle massime pubblicate sul web o sui cd. Vediamo come stanno le cose. Sull’articolo 52 del dlgs 196/2003 è il caso di osservare che: a) l’articolo, su richiesta dell’interessato “per motivi legittimi”, consente alla cancelleria di “apporre un’annotazione volta a precludere” l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi «in caso di riproduzione della sentenza, o provvedimento in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica”. b) nei casi previsti dai commi 1 e 2 dello stesso articolo la cancelleria o segreteria appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione: «In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di...». c) secondo il settimo comma dello stesso articolo, “Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali”. Anche l’articolo 52, quindi, consente la pubblicazione “anche integrale” delle sentenze fuori dai casi relativi alle riviste giuridiche cartacee o informatiche, ai supporti elettronici o al web. Il Testo unico sulla privacy rispetta totalmente i primi due commi dell’articolo 21 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Nella libertà di manifestazione del pensiero coesistono il diritto di cronaca, di informazione, di critica, la libertà di stampare le proprie idee e il diritto dei cittadini all’informazione. “Le libertà fondamentali affermate, garantite e tutelate nella Parte prima, Titolo primo, della Costituzione della Repubblica, sono riconosciute come diritti del singolo, che il singolo deve poter far valere erga omnes. Essendo compresa tra tali diritti anche la libertà di manifestazione del pensiero proclamata dall’art. 21, primo comma, della Costituzione, deve senza dubbio imporsi al rispetto di tutti, delle autorità come dei consociati. Nessuno può quindi recarvi attentato, senza violare un bene assistito da rigorosa tutela costituzionale... I fondamentali diritti di libertà proclamati nella Parte prima, Titolo primo, della Costituzione, sono in gran parte compresi nella categoria dei diritti inviolabili dell’uomo genericamente contemplati nell’articolo 2” (Corte costituzionale, sentenza 122/1970). protetta appunto l’investigazione) e quando invece il segreto si attenua. Il segreto è altrettanto necessario nel caso in cui si tratti di minori o quando si rischi di “sbattere in prima pagina” non il mostro ma la sua vittima. Infine, come è doveroso parlare di fatti di rilievo, così è doveroso trascurare quelli bagatellari. Distinguere le informazioni, individuare quali vanno diffuse e quali no è compito delicato, difficile, forse pericoloso. Ma mi pare impensabile che venga “pubblicizzata” tutta l’attività giudiziaria. Non si farebbe più luogo ad una informazione chiara, precisa e limpida ma vi sarebbe solo un confuso, incomprensibile brusio di notizie. Brusio che diventerebbe assordante, quello che nel gergo della comunicazione si chiama rumore. Nella informazione ad un polo vi è il silenzio, al polo opposto vi è il rumore: entrambi portano ad un difetto di comunicazione. Il suono per essere chiaro e percepibile, non deve essere ovviamente silenzio, ma nemmeno rumore, deve essere individuato ed individuabile. Ecco perché non si può pretendere di avere informazioni su tutto, ma è necessario focalizzare i temi che meritano attenzione. Ovviamente questa focalizzazione non può essere “autoritaria”, ma deve nascere dal dialogo, dalla stimolazione dei giornalisti verso l’Ufficio stampa del Palazzo di giustizia per ottenere risposte e dati anche sui casi che, a torto o a ragione considerati bagatellari dalla Procura, hanno, all’opposto, interesse e rilevanza agli occhi del giornalista. Dunque il reporter, il cronista giudiziario deve poter interpellare e stimolare la Procura a fornire notizie su ogni caso rilevante, il giornalista non si deve appiattire sulle veline. Se egli è “quasi parte” ha diritto di avere copia degli atti quando gli stessi, non sono più segreti, ha diritto di accedere agli stessi di esaminarli di averne estratti per conoscere e per far conoscere. Assumendosi ovviamente la piena responsabilità di questo ruolo di mediazione appunto tra la fonte (in questo caso segue 19 GIUSTIZIA segue dalla pagina precedente il documento, non più la persona, non più il comunicato) ed il pubblico. Glauco Giostra, validissimo docente di procedura penale all’Università di Macerata e studioso dei rapporti tra giustizia e media, ha curato una importante ricerca per il Cnr sul processo penale e l’informazione. Le sue critiche alla costituzione di uffici stampa presso le Procure critiche che si rivolgevano al disegno di legge presentato al Senato nel 1998, non possono essere ignorate. La ricerca, se cita i casi del Belgio (dove a Bruxelles si è istituto una sorta di ufficio stampa del Tribunale) e della Germania (dove vi è un magistrato addetto alle comunicazioni), conclude però che il press office della Procura costituirebbe una innovazione inutile e dannosa. Contribuirebbe a spostare il baricentro del trial by newspaper, il baricentro del processo mediatico, a favore dell’accusa. Pur ritenendo preziose le osservazioni di Giostra, pur con tutti i dubbi e le doverose perplessità, la domanda che dobbiamo continuare a porci è, se davvero non possiamo fare nulla e dobbiamo stare alla finestra assistendo allo stillicidio, anzi, a non occasionali scrosci temporaleschi, di notizie elargite o sfuggite senza trasparenza alcuna, senza responsabilità alcuna, con il massimo della soggettività delle scelte dai pubblici ministeri. Non possiamo farlo perché vi sono due valori nella nostra Costituzione, quello della libertà di informazione e quello del giusto processo, che dobbiamo rispettare ma soprattutto condurre a sintesi. Il processo è tanto più giusto quanto più sottoposto al controllo sociale e giusto a condizione che vi sia una giusta informazione sul processo. Non possiamo trascurare il problema, contentarci dell’attuale stato dell’arte o, peggio, di una applicazione dell’art. 5 del decreto legislativo n. 106 burocratica e pigra. Non possiamo farlo per gli obblighi che abbiamo verso il Consiglio di Europa. La raccomandazione del Comitato dei ministri del 10 luglio 2003, n. 2003/13, sulla diffusione di informazioni attraverso i media in relazione ai processi penali è poco conosciuta, ma di straordinario interesse. Il Comitato dei ministri europei ha raccomandato alle associazioni professionali dei giornalisti di elaborare le linee direttrici e le norme etiche e professionali per la categoria con speciale riferimento ai re- E INFORMAZIONE portage relativi ai processi penali. Ha raccomandato di rispettare in tali reportages la presunzione di innocenza a favore dei sospettati e degli accusati, sino a quando la loro colpevolezza non sia stata accertata da un Tribunale. Di rispettare la dignità, la sicurezza e, salvo nel caso in cui l’informazione sia di interesse pubblico, il diritto alla privacy (alla riservatezza sulla sfera intima), delle vittime, dei denuncianti, dei sospettati, degli accusati, anche delle persone riconosciute colpevoli e dei testimoni, nonché delle loro famiglie. Di evitare di arrecare pregiudizio alle indagini penali e alle procedure giudiziarie. Infine, di assegnare i reportage sui processi penali a giornalisti che abbiano una adeguata formazione in tale materia. Il principio da cui prende le mosse la raccomandazione è quello secondo il quale la libertà di espressione e di informazione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica. L’importanza dei reportages realizzati dai media sui procedimenti penali nasce dalla necessità di rendere visibile la funzione dissuasiva del diritto penale e di permettere al pubblico di esercitare il diritto di critica sul funzionamento del sistema penale. Venendo ai vari principi contenuti nell’annesso alla raccomandazione, il pubblico deve poter ricevere informazioni sulle attività delle Autorità giudiziarie e dei servizi di polizia attraverso i media. I giornalisti devono di conseguenza poter liberamente rendere conto e commentare il funzionamento del sistema giudiziario penale. L’informazione fornita dall’Autorità giudiziaria e dai servizi di polizia deve essere assolutamente veritiera. Può anche basarsi su “presunzioni ragionevoli”, ma in questo caso dovrà essere chiaramente manifestato ai media che non si hanno ancora certezze ma solo ipotesi sia pure confortate da seri indizi. Deve essere garantita la parità di accesso all’informazione giudiziaria, evitando che vi siano discriminazioni tra i giornalisti e favoritismi a vantaggio di questo o di quel reporter. Le Autorità giudiziarie e la polizia debbono informare i media attraverso comunicati stampa o conferenze stampa tenute da agenti autorizzati o mediante altri simili “messaggi”. Nell’ambito dei procedimenti penali di pubblico interesse o che attirano particolarmente l’attenzione della collettività, l’Autorità giudi- Levi: serve tavolo Fieg e Fnsi per i diritti d’autore. Servono anche proposte per contrastare la pirateria su libro, musica e cinema Parma, 5 settembre 2006. L’invito a editori e giornalisti a sedersi a un tavolo comune per affrontare e risolvere insieme il problema dell’evasione dei diritti d’autore sulle rassegne stampa; il rinnovo del Comitato per la tutela della proprietà intellettuale per elaborare in tempi rapidi proposte operative per contrastare la pirateria che colpisce l’industria del libro, della musica, del cinema. Sono queste le due nuove iniziative annunciate da Ricardo Franco Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’informazione e l’editoria. Levi ha parlato a Parma nel corso di un convegno sul tema “Proprietà intellettuale e potere di mercato” organizzato dalla Atrip, International Association for the Advancement of Teaching and Research in Intellectual Property. “Tanto la Fnsi, l’organizzazione sindacale dei giornalisti, quanto la Fieg, l’associazione che rappresenta gli editori - ha detto Levi - hanno di recente, di nuovo e formalmente sollevato la questione delle rassegne stampa. Le ho, quindi, invitate a sedersi ad un tavolo per studiare insieme come risolvere il problema. Con l’aiuto e l’intervento della Siae, la Società italiana degli autori e degli editori, credo che ci siano le condizioni e gli strumenti per risolvere il problema”. “Non sto parlando - ha precisato Levi - del grande tavolo per il rinnovo del contratto di lavoro, materia che ricade sotto la responsabilità del ministro Damiano. Sto parlando di un tavolo più piccolo e più modesto, un tavolino per parlare solo di rassegne stampa. Un tavolino, però - ha concluso Levi - che potrebbe offrire un’occasione di dialogo tra due categorie che da troppo tempo faticano a parlarsi. I rappresentanti dei giornalisti mi hanno già espresso la loro disponibilità; spero che lo stesso facciano gli editori”. (ANSA) 20 Indagini penali e Procure: l’Europa chiede trasparenza. I cittadini devono conoscere quel che accade nei Palazzacci ziaria e la polizia devono informare i media dei loro atti essenziali, a meno che ciò non arrechi pregiudizio alla segretezza dell’istruzione o alle indagini ovvero ritardi o impedisca il conseguimento di risultati investigativi o processuali. Nel caso di processi penali che si protraggano per un lungo periodo, l’informazione deve essere fornita regolarmente nel tempo. Né i magistrati, né i poliziotti possono sfruttare le informazioni per fini di lucro o di altro personale vantaggio. L’informazione deve essere mirata alla corretta applicazione della legge. Va tutelata - come detto - la vita privata sia delle persone sospettate, accusate o condannate, sia delle altre parti del processo. “Una protezione particolare deve essere offerta alle parti che sono minori di età o alle altre persone vulnerabili, alle vittime, ai testimoni ed ai familiari delle persone sospettate, accusate e condannate”. Deve venire assicurato con speciale cura l’anonimato delle persone che possono patire ingiustificati pregiudizi dalla divulgazione delle informazioni. Ogni persona che è oggetto di resoconti non corretti o diffamatori da parte dei giornali in materia di processi penali deve disporre di un diritto di rettifica o di replica. Il diritto di rettifica deve essere possibile anche nei confronti dei comunicati stampa, contenenti informazioni non corrette, diffusi dalla magistratura o dalla polizia. Nei procedimenti penali in generale e in particolare in quelli che coinvolgono dei giudici popolari, la magistratura e la polizia devono astenersi dal fornire pubblicamente informazioni che comportino il rischio di un’influenza negativa sulla equità sostanziale del processo. Va cioè tutelata l’ingenuità o l’imparzialità del giudice, vanno evitate “anteprime”, con quei processi mediatici, ai quali ci siamo abituati di recente con casi giudiziari diventati spettacoli sotto il pretesto dell’informazione. La raccomandazione europea si occupa anche della ammissione dei giornalisti alle udienze e alla lettura delle sentenze, con particolare riferimento ad uno spazio loro riservato nelle aule di udienza. I reportage in diretta e le registrazioni da parte dei media nelle aule di giustizia non devono essere possibili a meno che (e nella misura in cui) la legge e l’Autorità giudiziaria lo permettano esplicitamente. I reportage in questione possono venir realizzati soltanto se non vi sia alcun serio rischio di una influenza indebita sulle vittime e Watergate: nuovo libro smonta Bernstein e Woodward New York, 1 settembre 2006. Dopo oltre 30 anni passati a cercare segreti su papi, presidenti, capi dell’Fbi e giudici della Corte Suprema, le leggende del Watergate Bob Woodward e Carl Bernstein ricevono pan per focaccia. Un nuovo libro che analizza la carriera dei due famosi reporter dopo lo scoop di Gola Profonda li accusa di non aver mantenuto le promesse fatte da giovani alla musa del giornalismo investigativo. Professoressa di giornalismo alla American University, Alicia Shepard ha utilizzato per la prima volta le 75 scatole di documenti dell’era Watergate regalati alla University of Texas dai due giornalisti. Woodward e Bernstein, una vita all’ombra del Watergate, questo il titolo del suo libro in uscita negli Usa in novembre, rende omaggio al colpo giornalistico che pose fine alla presidenza di Richard Nixon, ma fa una critica spietata delle carriere dei dioscuri del Watergate dopo lo scoop che li ha fatti passare alla storia. Tra le accuse a Woodward, la più velenosa è di avere anteposto il successo anche commerciale dei suoi libri al lavoro quotidiano al Washington Post. Quanto a Bernstein, Shepard ne chiosa la carriera “sporadica” dopo aver lasciato il quotidiano della capitale. Accompagna il libro un commento elogiativo del lavoro di Shepard di Michael Isikoff di Newsweek, erede della tradizione di giornalismo investigativo inaugurata dal Watergate: “Èil resoconto definitivo delle vite di due uomini che hanno cambiato il giornalismo per sempre”. Né Woodward né Bernstein sono stati intervistati di recente da Shepard per il libro: “Èsuo diritto scrivere quel che vuole”, ha detto Woodward al sito web Editor and Publisher, che segue il mondo dei media. E anche Bernstein, al lavoro su una biografia di Hillary Clinton, ha detto di “non aver collaborato” con la studiosa: “Grazie a Dio la Costituzione le permette di scrivere quel che le pare. La nostra vera vita, il nostro lavoro, assieme e separatamente, per libri, giornali, riviste, televisione, sono di dominio pubblico e la gente può giudicare da sola”. Il libro è nato sulla scia di una lunga intervista fatta da Shepard ai due nel 2003 per la rivista Washingtonian: riconoscendo lo storico momento della coppia al tempo del Watergate, l’esperta di media ne esami- sui testimoni, sulle parti dei procedimenti penali, sui giudici popolari e sui magistrati. L’Autorità giudiziaria deve mettere a disposizione, al momento opportuno, e su semplice richiesta dei giornalisti, i calendari delle udienze, i capi di accusa e tutte le altre informazioni pertinenti per la cronaca giudiziaria. “I giornalisti dovranno essere autorizzati senza discriminazione ad effettuare o ricevere copia delle sentenze rese pubblicamente”, tali sentenze potranno essere diffuse al pubblico. Infine vanno protetti i testimoni la cui identità non va divulgata, a meno che il teste non vi abbia preventivamente acconsentito, o quando l’identificazione del medesimo è di interesse pubblico o la testimonianza ha già avuto luogo in pubblico. L’identità dei testimoni non va però mai divulgata se ciò mette in pericolo la loro vita o la loro sicurezza. Confido che mi venga perdonata questa puntigliosa e forse noiosa analisi; essa però contiene un importante “decalogo” sul diritto dei media di avere, in condizione di uguaglianza, notizie sui processi e di instaurare un franco, leale ed esaustivo dialogo con l’Autorità giudiziaria. Proprio in virtù della raccomandazione del Consiglio di Europa è doveroso creare quel flusso canalizzato ed ordinato di informazioni sulla giustizia di cui ho detto. Il flusso deve essere “interattivo”, fatto dalle notizie date dai magistrati e dalle domande dei giornalisti, domande che esigono risposta, che non possono restare inevase. L’informativa consta di comunicati ma deve comprendere, quando è possibile, anche gli atti ostensibili al giornalista, che ha diritto di sapere e di leggere. Alle copie clandestine dei verbali, alle copie abusive degli interrogatori, alle copie contrabbandate dei brogliacci, va contrapposto il diritto del giornalista di acquisire documenti e conoscere carte processuali. Il giornalismo investigativo deve rinascere, può essere giornalismo investigativo sul campo, ma anche, direi soprattutto, giornalismo investigativo sui fascicoli e sugli atti dei processi. Il mestiere del giornalista sarà ancor più impegnativo e faticoso, dovrà essere attento agli equilibri tra accusa e difesa, ma sarà un mestiere più ricco e dovrà essere più responsabile. Questo per la dignità del lavoro del reporter, ma anche per la dignità del magistrato e soprattutto, forse un po’ retoricamente, per la dignità della giustizia. Corso Bovio na la vita con un occhio puntato soprattutto agli errori. Oltre agli archivi all’Università del Texas, Shepard ha utilizzato oltre 200 interviste attingendo anche agli atti del divorzio di Bernstein dalla regista Nora Ephron, agli archivi del regista Alan Pakula che diresse Tutti gli uomini del Presidente e agli appunti di Robert Redford. . (ANSA) Giornalisti: tre uccisi al mese nel mondo Washington, 20 settembre 2006. Negli ultimi 15 anni, ben 78 giornalisti sono stati uccisi in Iraq, che, secondo un recente rapporto, è il Paese più pericoloso per i professionisti dell'informazione. “Fare il giornalista è sempre più rischioso”, spiega lo studio, effettuato dalla Commissione per la protezione dei giornalisti, un’associazione di New York che promuove la libertà di stampa. In media vengono uccisi più di tre reporter al mese, in giro per il mondo, e in totale, negli ultimi 15 anni, 580 giornalisti sono morti nello svolgimento del loro lavoro, giudicato spesso scomodo o inaccettabile da governi e militari. Fra i Paesi che hanno visto più uccisioni di giornalisti, dopo i 78 in Iraq, vi sono l’Algeria, dove negli ultimi 15 anni sono stati uccisi 60 giornalisti, quindi la Russia, con 42 e la Colombia, con 37. Neanche il 2006 fa ben sperare: finora sono morti 31 giornalisti nel mondo, di cui 20, cioè due terzi, soltanto in Iraq. Due di meno rispetto all’intero corso del 2005, in cui hanno perso la vita 22 giornalisti in Iraq e 47 in totale nel mondo. “È chiaro a tutti quanto sia diventato pericoloso lavorare in Iraq - ha detto Joel Simon, direttore dell’associazione - e i giornalisti iracheni sono i più vulnerabili”. I rischi più grandi sono corsi infatti dalla stampa locale: circa l’85% degli omicidi registrati dal 1992, riguarda giornalisti del posto, piuttosto che corrispondenti stranieri. In Iraq sono 60 i giornalisti iracheni uccisi negli ultimi tre anni, cioè da quando gli Stati Uniti hanno invaso il Paese. Lo studio rivela infine che sette giornalisti su 10, fra le vittime degli ultimi 15 anni, costituivano un bersaglio perché erano in qualche modo critici del governo: nel 27% dei casi, il governo stesso o gli ufficiali militari sono considerati responsabili degli omicidi. (ANSA) ORDINE 9-10 2006 Oltre 350 immagini dal 2 novembre al Museo di Storia contemporanea a Milano M O S T R A di Patrizia Pedrazzini “Quarto potere nelle mani della società civile, strumento di denuncia e di conoscenza o mezzo di manipolazione delle coscienze?”. È sulla traccia di questo “interrogativo antico” che si sviluppa la mostra Il fotogiornalismo in Italia 1945 2005, a cura di Uliano Lucas e in programma a Milano, al Museo di Storia contemporanea di via Sant’Andrea 6, dal 2 novembre al 7 gennaio. Un viaggio lungo sessant’anni nella storia del nostro Paese, per raccontare, in oltre 350 immagini, l’evolversi del linguaggio dell’informazione, e quindi del fotogiornalismo, in rapporto alle mutate richieste della società, dei suoi centri di potere, del mondo editoriale. Ma soprattutto un viaggio che è un richiamo a riflettere, a porsi domande oggi dimenticate, al di là e a prescindere dalla facile retorica dalla quale la fotografia d’informazione è, suo malgrado, avvolta. Documentano veramente, le foto pubblicate in oltre mezzo secolo sulle decine di periodici italiani, la realtà del Paese? Cosa hanno fotografato i fotoreporter, e cosa hanno scelto di pubblicare i direttori? Qual è stato, e qual è, il limite del loro fare informazione? In che misura le richieste dell’editoria hanno condizionato, se non ad- dirittura modificato, il modo di fotografare? Patrocinata dai ministeri dei Beni culturali, degli Affari esteri e dell’Istruzione, oltre che dall’Ordine dei giornalisti e dei fotogiornalisti, la mostra si pone quindi, dice Uliano Lucas, “non come un insieme di belle figurine o di belle foto, ma come un invito a ragionare”. Perché, scrive (con Tatiana Agliani) nell’introduzione al catalogo, “il fotogiornalismo, nei suoi intenti e nelle sue formule originari, è morto da lungo tempo, e tuttavia mai c’è stata epoca in cui la retorica dell’informazione è stata più grande”. Sessant’anni di fotogiornalismo italiano fra scomoda realtà e strumento di potere Dal neorealismo all’estetismo d’autore Milano com’era, Milano com’è Ecco allora il viaggio. Dalla cronaca, dai reportage, dalla grafica dei giornali nell’immediato dopoguerra al passaggio dall’informazione all’intrattenimento che caratterizza il “nuovo corso” della fotografia negli anni Cinquanta; dal rotocalco del boom economico al fotogiornalismo della contestazione; fino alla fotografia giornalistica dell’era postmoderna, sospesa fra creatività e omologazione. Dal neorealismo al paparazzismo, dal reportage sociale agli scatti di cronaca degli anni del terrorismo e delle stragi di mafia, dalla foto d’evasione all’ingresso nel mondo dell’arte e del collezionismo. Ma la mostra è anche una storia di direttori, intellettuali e reporter che hanno tentato di infrangere il muro dell’informazione “di potere” e di fare un buon giornalismo d’immagine. Ecco, come si legge sempre nell’introduzione,“all’indomani di una democrazia ritrovata”, in un Paese “che ha conosciuto per vent’anni solo l’informazione di regime dell’Istituto Luce” e sul quale pertanto pesa “la mancanza di una cultura visiva”, l’Europeo di Arrigo Benedetti che offre al lettore, con i suoi scatti secchi ed essenziali, uno spaccato privo di retorica dell’Italia del dopoguerra. Ecco Tempo, con il grande reportage, firmato Federico Patellani, sui minatori di Carbonia. Ecco - e siamo nel 1950 - Epoca, e il “colore sgargiante quanto innaturale dei primi ektacrome, che si fa efficace interprete del nuovo ottimismo della società dei consumi”. Ecco, nello stesso decennio, accanto alla “foto neutra, buona per ogni testata, che possa adattarsi alle diverse linee editoriali con una semplice modifica nella didascalia”, anche la scoperta tardiva, ma prepotente, da parte di una nuova generazione di giovani, della fotografia d’impegno civile del giornalismo europeo e statunitense degli anni Quaranta. Settimo Giorno, L’illustrazione italiana, Il Mondo di Mario Pannunzio. E “la foto emblematica, ricca di ambiguità, pretenziosa nella sua funzio- Fino ai femminili. E allo stabilirsi di “quello stretto nesso fra stampa, pubblicità e modelli imposti dalla società dei consumi, che influenza profondamente la natura dell’informazione, in Italia come all’estero, spingendo sempre più verso la definizione di una realtà virtuale o di un ideale di realtà che, in un’epoca dominata dalle immagini, finisce con il condizionare profondamente la percezione e concezione del vivere della gente”. Gli anni Ottanta e Novanta, l’avvento del digitale, la perdita di quell’informatore che era il fotografo, vero, come lo definisce Roby Schirer, “occhio del giornale sul mondo”. E, sono parole di Mario Dondero, le “foto estetiche, vuote di contenuti, senza carica sociale, senza critica della società, bellissime immagini”. Ecco la fotografia d’intrattenimento, “la fine, nel bene come nel male, di un giornalismo concepito come uno dei poteri fondamentali di ogni stato democratico”. Mentre il vecchio reportage, “assurto ormai a forma d’espressione artistica, perde la sua carica di pressante denuncia”. La mostra, frutto degli scatti di oltre 150 fotografi (“ne mancano alcuni - tiene a precisare Lucas - ma solo perché non hanno voluto farne parte”), reduce dal successo riscosso a Torino, approda nel capoluogo lombardo arricchita da una sezione dedicata a Milano e alle sue metamorfosi dal dopoguerra a oggi. La capitale morale ed economica che la città è stata fino agli anni Sessanta, i suoi quartieri ancora popolari, le periferie degli immigrati, le fabbriche di Sesto San Giovanni e della Bovisa, visti con gli occhi dei reporter e dei fotografi di cronaca dei giornali del pomeriggio. I nuovi spazi metropolitani degli anni Settanta. Fino alla città invisibile del Duemila, e alla fatica di catturare e di decifrare, con uno scatto, la complessità di un presente sempre più immateriale. ne simbolica, carica di seduzioni e di differenti gradi di lettura”. Poi il “giornalismo totale” di Le Ore e Vie Nuove, e un’Italia che si affaccia alla stagione del boom economico con schiere di fotoreporter dallo “straordinario potenziale umano, di forza intellettuale e creativa”. Solo che “il giornalismo d’informazione non lo sa o non lo vuole sfruttare”. E, di seguito, gli anni della contestazione, la scoperta che la fotografia riveste un’importanza capitale nell’informazione, i quotidiani che si precipitano a creare propri staff fotografici, le immagini di vita me- tropolitana dei quotidiani del pomeriggio, le “decine di giornali, della sinistra extraparlamentare, dei sindacati, antimilitaristi, anarchici o della creatività, che fioriscono per dare quella che allora era la controinformazione e che avrebbe dovuto essere solo l’informazione”. Quindi i rotocalchi della Mondadori, rivolti a quella “borghesia che produce e lavora” della quale parlava già nel ’53 il fondatore Arnoldo, e che “puntano tutto su un giornale di immagini, che colpisca appunto per la sua grandeur”. Ecco Mario De Biasi e Mauro Galligani. Uliano Lucas: “La fotografia? Deve diventare materia di studio” “La fotografia? Un problema di cultura”. Milanese, classe 1942, maestro del fotogiornalismo italiano, autore in Italia e nel mondo di reportage sempre contraddistinti da spirito di indipendenza, forte impegno civile e grande capacità narrativa, Uliano Lucas non ha dubbi, e insiste: la fotografia deve essere studiata. Da parte di chi la pratica, ma anche da parte di chi la utilizza, e non da ultimo da parte di chi la guarda, perché, altrimenti, “non la sa leggere”. Eppure non è certo in una tradizione di studio che il fotogiornalismo italiano affonda le proprie radici. No, in questo senso la nostra è una tradizione di tipo artigianale. Anche se, grazie all’intelligenza, al gusto, alle indiscusse capacità di tanti nostri fotografi, siamo comunque riusciti a dar vita a un grande fotogiornalismo. Ma quanti talenti sono stati sprecati, all’interno dei giornali, perché non funzionali al sistema? ORDINE 9-10 2006 Il fotogiornalista non ha mai avuto uno status vero e proprio, e continua a non averlo. Insomma, come al solito, all’estero va molto meglio. Diciamo che il sistema organizzativo dell’immagine, in questo Paese, non ha mai investito sulla fotografia. E questo perché, a causa del nostro ritardo culturale, non la comprendeva. E oggi non è diverso. Edilio Rusconi, per esempio, aveva capito molto bene l’utilizzo dell’immagine. Ma poi, nel nostro panorama editoriale, hanno finito col prevalere la paura, la mancanza di comprensione, le fonti inadeguate. Una buona fetta di responsabilità andrà anche alla televisione. Indubbiamente. Senz’altro la crisi del fotogiornalismo è collegata alla tv e ai suoi introiti pubblicitari. Anche se bisognerebbe riflettere sul fatto che l’immagine televisiva ti passa davanti e subito dopo te la sei dimenticata. Mentre il destino di una fotografia è ben diverso. Ma occorre anche ragionare, per quanto riguarda i giornali, sulla fine della cronaca. E dei quotidiani del pomeriggio. Nel senso che, mentre quelli del mattino erano rivolti a una sorta di élite di lettori, quelli appunto del pomeriggio lavoravano sull’onda lunga della curiosità della gente. Quindi attingevano a più fonti fotografiche, agenzie, free lance, gente che lavorava dentro la vita della città. Mentre oggi si attinge a fonti uniche. E ancora: una volta c’erano stili fotografici diversi per i diversi quotidiani. Oggi più nessun quotidiano ha un suo stile fotografico. E la stessa foto artistica, la si ritrova uguale su tutti. All’estero come funziona? All’estero esiste, nei giornali, la figura del redattore fotografico, una figura autonoma e che attinge a più fonti. Ma lo sa che a noi, da tre quarti del mondo, non arrivano fotografie? Prendiamo la Cina, per esempio. Oggi come oggi i fotogiornalisti cinesi sono i più straordinari. Ma noi cosa pubblichiamo? Le solite foto di grattacieli e autostrade. E il resto? Il resto non serve al sistema, e allora non lo si pubblica. Da noi si illustra, si mette in pagina la foto tappabuchi. Ma questa non è comunicazione. Lei insiste molto anche sulla questione della cultura. Assolutamente. Il rapporto fra fotogiornalismo e cultura è strettissimo. Non è un caso che quello europeo sia nato nella Germania degli anni Venti, dove il tasso di scolarizzazione era molto elevato. Quanto alla fotografia, dovrebbe diventare materia di studio sia nelle scuole di giornalismo, che nelle Università. Dovrebbe essere studiata, e bene. Così come, nelle Università per esempio, si potrebbero allestire musei della fotografia, frutto dei tanti archivi fotografici accumulati, anche dai giornali, nel tempo. E a rischio di andare perduti. 21 L ’ A N A L I S I di Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia; docente a contratto di Diritto dell’informazione alle Università di Milano Bicocca e Iulm di Milano. Gli esami di Stato delle professioni intellettuali subiscono una riforma radicale nel senso che il legislatore delegante si è preoccupato, dopo 20 anni di sentenze opposte tra alcuni Tar (in particolare Milano-gestione Mariuzzo, Ancona, Bologna, Brescia, Lecce, Latina) e il Consiglio di Stato, di imporre la motivazione in tema di giudizi negativi degli elaborati scritti e delle prove orali. Due articoli (11 e 12) del dlgs 24 aprile 2006 n. 166 (Norme in materia di concorso notarile, pratica e tirocinio professionale) hanno ribaltato la linea consolidata del Consiglio di Stato secondo la quale l'onere di motivazione in riferimento alla valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico o di una procedura selettiva per il conseguimento dell’idoneità per l’iscrizione negli albi e collegi professionali è di regola sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, essendo questa una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione. Palazzo Spada, con cocciuta pervicacia, ha di fatto disapplicato per oltre 15 anni il primo comma dell’articolo 3 della legge 241/1990 (“Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione ammi- nistrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”). Il quinto comma dell’articolo 11 (Correzione delle prove scritte) del dlgs sul concorso notarile afferma: “Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione”, mentre il quinto comma dell’articolo 12 (Svolgimento delle prove orali) ribadisce: “La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione”. Le norme, di cui agli articoli 11 e 12 dlgs 166/2006 non possono essere considerate di carattere settoriale e derogatorio. Lo impedisce l’articolo 3 della Costituzione: non ci possono essere comportamenti difformi nella pubblica amministrazione, obbligata peraltro alla trasparenza e all’imparzialità. Finora era la giurisprudenza (del Consiglio di Stato) ad avere imposto una lettura distorta dell’articolo 3 della legge 241/1990. Oggi gli articoli 11 e 12 del dlgs 166/2006 valgono almeno come orientamento nella interpretazione “autentica” dello stesso articolo 3 della legge 241/1990. In sostanze le bocciature allo scritto e all’orale devono essere motivate. Gli aspiranti professionisti hanno diritto di conoscere le valutazioni negative delle Commissioni d’esame anche per trarne un insegnamento per le prove future. Le professioni e l’esame di Stato: il giudizio negativo va motivato. Il dlgs sul concorso notarile corregge il Consiglio di Stato. Vincono i Tar La “legge omnibus” n. 168/2005 Nel giro di un anno gli esami di Stato hanno subito cambiamenti profondi. La “legge omnibus” (n. 168/2005 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 194 del 22 agosto 2005) ha inciso sugli esami di Stato, soprattutto quando emergono disparità di trattamento nelle prove scritte. In breve il candidato, che supera le prove orali, anche se l’ammissione è stata decisa da ordinanze dei Tar, “consegue a ogni effetto” l’abilitazione professionale. La legge di conversione (con modificazioni) del decreto legge 30 giugno 2005 n. 115 (meglio noto come “decreto legge omnibus”), approvata il 20 luglio 2005 dal Senato e il 30 luglio dalla Camera in via definitiva, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 194/2005 come legge 17 agosto 2005 n. 168, contiene un norma destinata a pesare sugli esami di Stato di tutte le professioni intellettuali (in particolare di quelle di avvocato, notaio, commercialista ed architetto, le più bersagliate di ricorsi ai Tar e al Consiglio di Stato). La legge interviene in sostanza sulle modalità di svolgimento degli esami, stabilendo che “conseguono a ogni effetto l’abilitazione professionale i candidati in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d’esame scritte e orali previste dal bando, anche se l’ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela”. Questa esplosiva novità è contenuta nel terzo comma (“2bis”) dell’articolo 4 del provvedimento legislativo. I primi due commi regolano le elezioni degli Ordini professionali inquadrati dal Dpr 328/2001, mentre il terzo comma detta “disposizioni in materia di abilitazioni e di titolo professionale” come annuncia la rubrica dell’articolo 4 della legge di conversione. Questo terzo comma, quindi, riguarda, come si evince anche dai lavori parlamentari, gli esami di tutte le professioni, anche di quelle non regolate (come gli avvocati, i medici, i consulenti del lavoro e i giornalisti) dal Dpr 328/2001. Questa normativa riguarda soprattutto i candidati, che abbiano ottenuto l’iscrizione con riserva nell’Albo dopo aver superato le prove orali dell’esame di Stato anche a seguito di provvedimenti cautelari dei Tar e del Consiglio di Stato, che hanno ammesso gli stessi alla prova orale senza aver disposto “il riesame degli elaborati scritti da parte di una Sottocommissione diversa da quella che ha formulato il giudizio negativo impugnato”. Il terzo comma dell’articolo 4 della legge n. 168/2005 non ammette interpretazioni diverse. L’iscrizione temporanea in sostanza diventa definitiva, anche perché di fatto la nuova legge suggerisce che la prova orale (positiva) abbia assorbito quella scritta (il cui giudizio negativo sia stato fulminato dalle ordinanze dei Tar e del Consiglio di Stato). Si tratta di casi in cui i Tar e il Consiglio di Stato hanno accertato che gli elaborati, corretti in tempi minimi, avevano subito un trattamento negativo rispetto ad elaborati di identica “qualità” giudicati, invece, positivamente. È risultato decisiva l’acquisizione degli elaborati valutati positivamente e corretti dalla stessa Commissione (magari nella stessa giornata). La lunga battaglia Tar-Consiglio di Stato sull’articolo 3 della legge 241/1990 È il caso di ripercorrere, sia pure sinteticamente, la lunga battaglia tra Tar e Consiglio di Stato sull’articolo 3 della legge 241/1990, cioè sulla motivazione dei punteggi insufficienti nelle prove scritte degli esami di Stato (degli avvocati in primis). La valutazione degli aspiranti procuratori leali, essendo finalizzata a verificare il possesso da parte dei candidati delle ne- 22 cessarie conoscenze di base di diritto sostanziale e processuale, desumibili dalla correttezza giuridica delle soluzioni date alle questioni oggetto delle prove scritte, non può essere sorretta da un mero punteggio numerico (idoneo, di per sé. ad esprimere soltanto un apprezzamento di valore del candidato esaminato, ma non ad esternare le rioni che ne hanno giustificato l’attribuzione), richiedendosi l’espressione di un giudizio, sia pure sintetico, ma idoneo a dare conto della negatività della valutazione, con riguardo alla gravità delle lacune dimostrate nella preparazione richiesta (Tar Marche, 12.02.1993, n. 66, in Giur. Merito, 1993, 408 ss., e in Giust. Civ., 1993, 1, 1140 ss). È illegittimo il giudizio di non ammissione di un candidato alla prova orale (nella specie, per gli esami di abilitazione all’esercizio della professione di procuratore legale) qualora - in disparte la considerazione che la particolare ed elevatissima qualificazione dell’esame impone complesse valutazioni, difficilmente sintetizzabili nel solo voto numerico - esso, peraltro espresso sulla base di astratti criteri di valutazione caratterizzati da genericità, appaia inidoneo ad esplicitare l’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità predeterminati dalla commissione e, perciò, tale da non esprimere assolutamente le ragioni della valutazione (Tar Puglia, sez. I Lecce, 27 marzo 1996, n. 120; Parti in causa Messuti c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1996, 3464, n. Colzi). Il giudizio espresso da una commissione giudicatrice sulla prova scritta di un candidato agli esami per l’iscrizione nell’albo di procuratore legale è soggetto all’obbligo di motivazione ex art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241, che non può ritenersi soddisfatto con l’attribuzione di un semplice voto numerico (Tar. Lombardia, sez. III Milano, 29 giugno 1996, n. 890; Riviste: Foro Amm., 1997, 523; Rif. Legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 3). Anche in materia di esami di abilitazione alla professione di avvocato la non ammissione alle prove orali deve fondarsi su una motivazione che, ai sensi dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ponga il destinatario del provvedimento nella condizione di ricostruire l’iter logico seguito dalla commissione esaminatrice, la quale non può limitarsi alla mera indicazione dei voti numerici assegnati alle prove scritte che, nella fattispecie, risultano essere di alta difficoltà tecnica e comportanti la soluzione di complesse questioni giuridiche specie quando tali prove appaiono anche essere state oggetto di una sommaria lettura, dal momento che gli elaborati acquisiti a seguito di istruttoria non portano segni di correzione o annotazioni che possano quanto meno consentire l’individuazione di specifici argomenti sui quali la commissione abbia soffermato negativamente la sua attenzione (Tar. Lazio, Latina, 5 marzo 1999, n. 188; Parti in causa Pesce c. Min. giust.; Riviste Foro Amm., 1999, 1084; Rif. legislativi L 7 agosto 1990 n. 241, art. 3). Nonostante il contrario orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, la Commissione dell’esame di avvocato, secondo costante giurisprudenza, non può valutare, nel rispetto dell’art. 3, L. 7 agosto 1990, n. 241, le prove mediante una semplice espressione numerica, ma deve motivare adeguatamente il giudizio di insufficienza onde permettere la ricostruzione dell’iter valutativo e il suo assoggettamento al controllo giurisdizionale. (Tar Lombardia Brescia 15-03-2003, n. 329; Malcangi c. Ministero giustizia e altri; FONTI Massima redazionale, 2003) Tar Lombardia: decida la Corte costituzionale Va sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge n. 241/1990, il quale prevede un obbligo di puntuale motivazione per tutti gli atti amministrativi, nella parte in cui - secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato (v. in part. il parere 9 novembre 1995, n. 120 reso dall’Adunanza Generale) - non si applicherebbe alla valutazione delle prove scritte previste per concorsi pubblici ed in particolare a quelle previste per l’accesso alla professione di avvocato, essendo stato ritenuto sufficiente che la valutazione delle dette prove sia espressa solo con coefficienti numerici. Tale interpretazione, infatti, sembra contrastare: a) con l’art. 3 Cost. perché non appare ragionevole una disposizione normativa inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo di motivazione, tra l’altro facendo specifico riferimento a "lo svolgimento dei pubblici concorsi", ne esclude l’applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi sugli esami d’abilitazione) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un’idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti amministrativi, se del caso egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma; b) con gli artt. 24 e 113 Cost., perché la non soggezione all’obbligo di motivazione dei giudizi d’esame di cui si discute, traducendosi nell’impossibilità per il singolo candidato bocciato di conoscere e controllare le ragioni poste a base del giudizio negativo, interdice ogni concreta tutela nella già assai limitata sede della giurisdizione di legittimità, in cui al giudice amministrativo è consentito il solo riscontro dell’iter logico delle valutazioni di merito compiute dalle commissioni esaminatrici; quando, al contrario, anche tale limitato sindacato viene precluso di fronte al mero dato numerico del voto, non illustrato, cioè spiegato da una almeno sintetica, ma concreta, motivazione, la tutela così consentita dall’ordinamento si riduce al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione con una cospicua riduzione del tasso di effettività dei giudizi nella sede generale della legittimità; c) con l’art. 97 Cost. perché la sottrazione di una categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma solo numerica), sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico si traduce anche nella piena trasparenza dell’azione amministrativa; né le esigenze di snellezza e speditezza del procedimento, pure riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 Cost. e che sono pianamente percepibili nel già ricordato avviso dell’Adunanza generale, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di assicurare il più corretto rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica, essendo invece diversamente tutelabili attraverso un’applicazione del principio dell’obbligo di motivazione ragionevole e proporzionato ai richiamati obiettivi di trasparenza e di tutela (Tar Lombardia - Milano, Sez. III - Ordinanza 7 febbraio 2000 n. 30 - Pres. ed Est. Mariuzzo). La Corte costituzionale risponde: la questione è palesemente inammissibile, perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito, tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati. È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal Tar per la Lombardia, Sez. III, in reORDINE 9-10 2006 Il Blog è giornalismo: la valutazione viene da una sentenza di un giudice di Aosta, Eugenio Gramola, che ha condannato il giornalista Roberto Mancini per diffamazione in relazione ad alcuni “post” pubblicati sul suo blog Il blog è uno spazio giornalistico e chi lo gestisce può essere equiparato al direttore di una pubblicazione giornalistica. La valutazione viene da una sentenza di un giudice di Aosta, Eugenio Gramola, che ha condannato il giornalista Roberto Mancini per diffamazione in relazione ad alcuni “post” pubblicati sul suo blog “Il generale Zhukov: il bolscevico stanco” . La vicenda è stata segnalata da Carlo Felice Della Pasqua sul suo blog “Reporters”, su cui è possibile consultare l’intera sentenza in pdf. “Colui che gestisce il blog - afferma in particolare il giudice aostano - altro non è che il direttore responsabile dello stesso, pur se non viene formalizzata formalmente tale forma semantica per indicare la forma del gestore e proprietario di un sito internet”. “Al di là delle critiche che si possono fare e che sono state già fatte alla sentenza rileva Carlo Felice Della Pasqua - credo si tratti comunque di un testo importante perché - a quanto ne so - si tratta della prima in Italia contro un blogger accusato di diffamazione a mezzo stampa (anzi, a mezzo blog)”. “Da notare - scrive ancora Della Pasqua - che a Mancini non sono state riconosciute le attenuanti generiche nonostante fosse incensurato (fatto non molto frequente, mi pare) e che gli è stata applicata la pena pecuniaria, e non quella detentiva, ‘tenuto conto del carattere satirico della pubblicazione e del fondo di verità in linea generale ravvisabile in quanto esposto’ nel blog”. Il Blog è giornalismo. Lo dice un giudice NORME IN RETE MOVIMENTO DI PRESSIONE TRA I BLOG Brevetti per il secondo Web Vittoria (a metà) di Tom Raftery sull’uso dello slogan - E in Usa i blogger vengono dichiarati giornalisti a tutti gli effetti A citarlo sono in tanti. Di sicuro i 35 milioni di blogger che popolano la rete. E una grande fetta del miliardo di internettari sparsi per il mondo. Non tutti sanno però che lo slogan “Web 2.0”, il simbolo della condivisione, della partecipazione e dell’interattività della seconda vita di Internet, è un marchio registrato. E che per poterlo utilizzare per eventi pubblici è necessario chiedere il permesso a chi ne ha acquisito, legalmente, i diritti. È la storia di Tom Raftery, insignito come "Tech Blogger" dell’anno nella sua Irlanda e soprattutto fondatore di It@Cork, organizzazione no profit che promuove l’adozione dell’information technology tra le imprese operanti nell’omonima contea. Quando in febbraio Raftery ha avviato i preparativi per organizzare la «Web 2.0 Half Day Conference» non avrebbe mai immaginato che quella tavola rotonda tra "smanettoni del social networking" sarebbe uscita dai confini della sua isola per balzare, di blog in blog, fin sulle pagine del lazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione - dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nella parte in cui - secondo l’interpretazione datane dal Consiglio di Stato - non prevederebbe l’obbligo di motivazione per i giudizi d’esame. La questione è palesemente inammissibile, perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo della Corte costituzionale a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito (Corte Cost., ord. nn. 70 del 1998 e 436 del 1996), tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati (Corte Cost., sent. n. 350 del 1997). (Corte costituzionale - Ordinanza 3 novembre 2000 n. 466. La Consulta ha deciso di non decidere sulla questione del voto numerico anche con la sentenza14.11.2005 n° 419). Corte costituzionale: il giudice ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali “Pur essendo indubbio che nel vigente sistema non sussiste un obbligo per il giudice di merito di conformarsi agli orientamenti della Corte di Cassazione (salvo che nel giudizio di rinvio), è altrettanto vero che quando questi orientamenti sono stabilmente consolidati nella giurisprudenza al punto da acquisire i connotati del “diritto vivente” - è ben possibile che la norma, come interpretata dalla Corte di legittimità e dai giudici di merito, venga sottoposta a scrutinio di costituzionalità, poiché la norma vive ormai nell’ordinamento in modo così radicato che è difficilmente ipotizzabile una modifica del sistema senza l’intervento del legislatore o di questa Corte. In presenza di un diritto vivente non condiviso dal giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’azione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure - adeguandosi al diritto vivente - la proposizione della questione a questa Corte; mentre è in assenza di un contrario diritto vivente che il giudice rimettente ha il dovere di seguire l’interpretazione ritenuta più adeguata ai principi costituzionali (cfr., ex plurimis, sentenze n. 226/1994, n. 296/1995 e n. 307/1996)”. (Corte costituzionale, sentenza n. 350/1997) Consiglio di Stato-sentenza n. 5108/2003: basta il punteggio numerico L’onere di motivazione in riferimento alla valutazione delle prove scritte di un concorso pubblico o di una procedura selettiva per il conseguimento dell’idoneità per l’iscrizione negli albi e collegi professionali è di regola sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, essendo questa una espressione sintetica, ma eloquente, della valutazione compiuta dalla commissione (nella specie esame per l’idoneità all’esercizio della professione di avvocato). (Cons. Stato Sez. IV 15-09-2003, n. 5108; ministero Giustizia c. L.; FONTI Foro Amm. CDS, 2003, 2532). (Questa linea è stata successivamente ribadita dalla IV sezione del Consiglio di Stato, in maniera secca, con le sentenze 5175/2004 e 6155/2004 nonché dalla V sezione con le sentenze 8095/2004 e 4165/2005; quest’ultima afferma in maniera brutale quanto concisa: “Il semplice voto in forma numerica attribuito dalle Commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione è sufficiente”). ORDINE 9-10 2006 New York Times. Il tutto alla velocità della Rete. “Il 24 maggio ho ricevuto una lettera in cui mi si chiedeva di cambiare nome all’evento - racconta Raftery -. Sono rimasto allibito”. A inviarla sono stati i legali della Cmp, società di marketing della United Business Media che con Tim O’Really, a capo dell’editore informatico O’Really Media, organizza dal 2004 un summit annuale intitolato Web 2.0 Conference. La stessa società ha registrato il marchio negli Stati Uniti e lo scorso 21 marzo ha presentato domanda presso l’ufficio brevetti europeo. Qualcosa è però andato storto nei piani degli avvocati. A sole due ore dalla pubblicazione del primo post sul caso, sul blog di Raftery sono arrivati centinaia di messaggi di solidarietà. Una petizione virtuale che spontaneamente si è allargata a macchia di leopardo finendo anche su Boingboing.net, tra i più noti e apprezzati blog dell’ipertesto. Il mugolio degli internauti non è risultato vano: dopo tre giorni Raftery ha ricevuto una comunicazione dalla Cmp che autorizza la It@Cork a tenere nella data prefissata dell’8 giugno la conferenza e in via occasionale a non cambiarne il titolo. Lo stesso Tim O’Really, pur difendendo le ragioni e la validità del marchio, si è scusato personalmente per l’accaduto con il blogger irlandese. Sentenza 6160/2000 della IV sezione del Consiglio di Stato: “Sindacabile la discrezionalità, che non è sinonimo di arbitrarietà” Il Cds, dopo l’ordinanza della Consulta sull’articolo 3 della legge 241/1990, ha, con questa decisione, razionalizzato il suo pensiero sulla correzione degli elaborati dei concorsi pubblici.Scrive il Cds: “II.3. Circa le doglianze svolte dall’appellante circa la negativa valutazione delle prove scritte, il Collegio ritiene di dover osservare quanto segue. È notorio che la valutazione delle prove di esame da parte delle commissioni esaminatrici di concorsi a pubblici impieghi è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui esse dispongono nello stabilire l’idoneità tecnica e culturale dei candidati. Poiché discrezionalità non è sinonimo di arbitrarietà, il relativo esercizio è stato ritenuto sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere (C.d.S., Sez. IV, 8 settembre 1997 n. 955), per illogicità manifesta, travisamento dei fatti e palese disparità di trattamento (C.d.S., Sez. IV, 24 marzo 1997 n. 298): tuttavia nessuno di tali profili è stato rilevato in prime cure. Invero l’appellante ha lamentato che la valutazione contestata era affetta da una (presunta) carenza di motivazione in quanto il voto numerico assegnato dalla Commissione esaminatrice non era in grado di far capire l’iter logico-giuridico seguito dalla commissione nella correzione degli elaborati per addivenire ad una valutazione così negativa. Così formulato il motivo è stato giustamente respinto dai primi giudici. Anche se la storia ha avuto un lieto fine, ci si interroga ora su quale sia l’utilizzo possibile di “Web 2.0”. Sbirciando tra i messaggi, i blogger si chiedono se “sia stata una vittoria di Pirro” e se il motto non sia comunque “finito nella scure del business”. I dubbi svaniscono leggendo il documento del Patent Office del Regno Unito (dove la Cmp ha formalizzato la richiesta europea) da cui si apprende che il brevetto non si estende all’utilizzo generico del termine ma è limitato all’organizzazione di conferenze. O’Really, dalle pagine del suo blog, conferma: “Il brevetto è valido solo per gli eventi”. Intanto, se negli Stati Uniti non è più possibile cambiare le regole, nella Ue chi non è d’accordo sull’acquisizione del brevetto sul termine “Web 2.0” può opporsi entro il 21 giugno, il giorno in cui scade il periodo di tre mesi che i soggetti terzi hanno a disposizione per porre eventuali obiezioni. Tra diritto del web e attivismo dal basso, il successo di Raftery non è l’unico che si iscrive nel libro della blogosfera. La scorsa settimana la Apple ha perso una causa con i titolari di due diari elettronici (AppleInsider e PowerPage) che nel 2004 avevano pubblicato anticipazioni su Asteroid, un progetto in lavorazione nella "bottega" di Cupertino. Per il Tribunale di Santa Clara i due blogger non sono tenuti a rivelare la fonte delle loro notizie. Nei giardini della Silicon Valley si è parlato di sentenza rivoluzionaria perché equipara, di fatto, i siti americani a testate, i blogger a giornalisti, estendendo la tutela del segreto professionale a chiunque pubblichi in modo periodico e continuativo contenuti su Internet. Vito Lops [email protected] È stato ripetutamente affermato che anche dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990 n. 241 l’onere di motivazione delle prove scritte di un concorso pubblico è sufficientemente adempiuto con la sola attribuzione del punteggio numerico, quest’ultima essendo una espressione sintetica, ma eloquente della valutazione compiuta dalla commissione: con la conseguenza che se, per un verso, non vi è alcun bisogno di integrare il punteggio numerico con una apposita motivazione (C.d.S., Sez. IV, 4 aprile 1998 n. 543), un obbligo di motivazione ad integrazione del punteggio si pone solo nel caso in cui vi sia un contrasto talmente rilevante fra i punteggi attribuiti dai componenti della commissione da configurare un’eventuale contraddittorietà intrinseca del giudizio complessivo (C.d.S., Sez. VI, 13 gennaio 1999 n. 14)” (Il Sole 24 Ore del 16 dicembre 2000). Consiglio di Stato: quando i tempi medi della correzione degli elaborati sono molto esigui, l’operato dell’organo di esame va ritenuto illegittimo. Una volta verificati, sulla base delle attestazioni contenute nei verbali dei lavori della commissione giudicatrice di un pubblico concorso, i tempi medi utilizzati per la correzione e valutazione dei singoli elaborati, qualora il tempo impiegato risulti talmente esiguo da far dubitare che sia stato materialmente impossibile l’adeguato assolvimento dei prescritti adempimenti e dell’espressione ponderata dei giudizi sulla valenza delle prove, l’operato dell’organo di esame va ritenuto illegittimo (Cons. Stato, sez. IV, decisione 7 marzo - 22 maggio 2000, n. 2915, in Guida dir., 1 luglio 2000 n. 24, con nota dì G. Manzi. E’ superato così un precedente orientamento contrario, ancora affermato da Cons. Stato, sez. IV, 09.12.1997, n. 1348) FONTE NORMATIVA D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 166. Norme in materia di concorso notarile, pratica e tirocinio professionale, nonché in materia di coadiutori notarili in attuazione dell’articolo 7, comma 1, della L. 28 novembre 2005, n. 246. (Gazzetta Ufficiale 10 maggio 2006 n. 107). Articolo 11. Correzione delle prove scritte 1. La sottocommissione di cui all’articolo 10 procede, collegialmente e nella medesima seduta, alla lettura dei temi di ciascun candidato, al fine di esprimere un giudizio complessivo di idoneità per l’ammissione alla prova orale. 2. Salvo il caso di cui al comma 7, ultimata la lettura dei tre elaborati, la sottocommissione delibera a maggioranza se il candidato merita l’idoneità. 3. Il giudizio di idoneità comporta l’attribuzione del voto minimo di trentacinque punti a ciascuna delle tre prove scritte. 4. In caso di idoneità, la sottocommissione assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio complessivo da attribuire a ciascuna prova scritta fino ad un massimo di punti cinquanta. A tale fine, ciascun commissario dispone di un voto da zero a tre punti. 5. Il giudizio di non idoneità è motivato. Nel giudizio di idoneità il punteggio vale motivazione. 6. Il segretario annota la votazione complessiva o la motivazione, facendola risultare dal processo verbale, per ciascun elaborato. 7. Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi. Articolo 12. Svolgimento delle prove orali 1. La commissione del concorso per notaio, prima dell’inizio delle prove orali, definisce i criteri di valutazione delle prove. 2. L’esame orale è pubblico. 3. Il presidente, in ogni seduta, indica le materie su cui ciascun commissario interroga i candidati, restando ferma la facoltà di ogni membro della sottocommissione di intervenire su qualunque materia. 4. La sottocommissione, terminata la prova orale di ogni singolo candidato, assegna, in base ai voti di ciascun commissario, il punteggio fino ad un massimo di cinquanta punti a ciascun gruppo di materie. A tale fine, ciascun commissario dispone di un voto da zero a dieci punti. Per il superamento della prova orale è richiesto un punteggio minimo di trentacinque punti per ciascun gruppo di materie. 5. La mancata approvazione è motivata. Nel caso di valutazione positiva il punteggio vale motivazione. 6. Il segretario annota la votazione o la motivazione per ciascun gruppo di materie, facendola risultare dal processo verbale. 23 di Leonardo Usini M E M O R I A La forza della parola Don Luigi Di Liegro “Ricominciare a vedere e ad ascoltare sono forse l’invito più forte che queste pagine lasciano, affinché ognuno possa trovare gli strumenti e i modi per comunicare: per rompere e far rompere i muri, per inventare, scoprire strade nuove, per essere in una viva ed efficace comunione con gli altri. In una parola, per essere umani”. È tutta in questo breve passaggio la forza di Luigi Di Liegro, sacerdote, combattente, uomo aspro e difficile quanto generoso e integro. Certamente scomodo, a lungo odiato e osteggiato da gerarchie e poteri, gli stessi che poi, quando la morte lo fece uscire di scena dieci anni fa, lo posero sugli altari. Succede a tutti i “santi”, con o senza virgolette. Solo la morte riuscì a farlo tacere, perché Di Liegro - a conti fatti - era soprattutto un grande comunicatore: è strano che un prete, e soprattutto un prete abituato ai fatti, si affidasse poi alla forza della parola, che sapeva utilizzare come una spada. Parole e fatti sono spesso antitetici, ma non in Di Liegro: nella storia recente del nostro Paese, nelle sue grandi conquiste sociali e di civiltà (la fondazione della Caritas è solo una delle imprese ascrivibili al sacerdote), resteranno come pietre miliari i discorsi scritti e ancor più quelli pronunciati da quel piccolo grande uomo, che seppe fronteggiare schiere di nemici potenti, molto più potenti di lui, ma meno abili nel comunicare… Lo abbiamo letto sopra: comunicare è rompere e far rompere i muri, è inventare, è scoprire strade nuove, essere in una viva ed efficace comunione con gli altri. In una parola, essere umani. Prete, attore, giornalista: in guerra per i reietti A dieci anni dalla sua scomparsa, mentre Canale 5 sta per mandare in onda la fiction sulla sua vita (dopo don Orione e don Gnocchi, due edizioni su padre Pio e due su papa Wojtyla, anche Di Liegro diventerà così un fenomeno “mass-mediatico”, nel senso letterale della parola, ovvero entrerà globalmente nelle case di tutti, anche di chi fino a oggi non lo aveva mai sentito nominare), le sue battaglie appaiono ancora più vividamente combattute prima con la parola, immediatamente dopo con la realizzazione dei fatti. Un esempio per tutti, la “guerra” sostenuta per aprire Villa Glori, la prima casa famiglia per malati di Aids, fortemente osteggiata dagli abitanti del quartiere romano. Di Liegro, appoggiato da papa Wojtyla ma non da tutto il clero, prima di tutto “fece sapere”, gridò, fece scandalo. Si affidò ai giornali, che per mesi riportarono in prima pagina le barricate del prete scomodo. Non disdegnò quei mezzi (“media”, appunto) che oggi, a decenni di distanza, tutti sappiamo essere strumento potente (e pericoloso) di propaganda. Come uno smaliziato uomo di teatro, seppe usare il colpo di scena, fare comizi, ribattere punto su punto agli avvocati - principi del Foro - che dell'oratoria facevano la loro arte. Ma Di Liegro oltre all’arte della parola, scritta e orale, metteva in campo la verità, e così vinceva. Incredibilmente vinceva. Solo contro tutti e contro ogni logica, se non quella del Vangelo. Vent’anni fa, quando ancora da un sacerdote ci si aspettava solo moderazione e obbedienza, Di Liegro seppe essere “attore”, lui, nato a Gaeta, in terra geograficamente laziale ma già campana per talento e verve, a pochi passi da dove morì Cicerone, il re degli oratori, seppe alzare la voce e ancor più la penna. In una parola, quando gli servì seppe essere giornalista. Maestro di scrittura, ancora oggi fa scuola: basti vedere come dall’invettiva sa fulmineamente passare alla preghiera, chinare la fronte e supplicare. Non per sé, ma per i suoi reietti. La vita e gli scritti nel libro di Ciociola A “orientare” la vita e le scelte di don Luigi Di Liegro, fondatore e responsabile per vent’anni della Caritas di Roma, è stata la sua stessa nascita: Sono figlio di un emigrato, per giunta illegale, entrato clandestinamente negli Usa: non se ne vergognava lui, non mi vergogno io... Una famiglia in cui il marchio di fabbrica sembrano essere il sacrificio e la povertà, impronta esistenziale che non poteva non orientare le mie considerazioni. E, come avviene nella vita delle persone “segnate”, quelle destinate a lasciare traccia, anche il suo venire al mondo ha qualcosa di anomalo, imperscrutabile disegno di una superiore vo- 24 lontà: Mio padre emigrò più volte. A Rotterdam fu pizzicato dalla polizia e tornò a Gaeta. Mia madre aspettava un figlio. Quando lo vide svenne: aveva fatto sacrifici enormi per farlo partire. Quel colpo fu così forte che mia madre perse il bambino. A quei tempi, se succedevano cose del genere, si faceva un altro figlio. E così nacqui io... Parte da qui, dal mare di Gaeta e dalle umiliazioni del pescatore emigrante, la biografia di monsignor Luigi Di Liegro, scritta dal giornalista di Avvenire Pino Ciociola per l’editrice Àncora e da poco giunta in libreria è un percorso che si snoda lungo la breve vita di don Luigi (stroncata nel 1997, a 69 anni), ma con continue incursioni negli scritti che il primo direttore della Caritas romana ci ha lasciato: preziose testimonianze che mai indulgono al racconto fine a se stesso, ma sempre danno profondità e spessore alle lotte del prete nato povero e tra i poveri vissuto. A volte sono lettere o discorsi ufficiali, altre volte - e sono questi i pensieri più “sconvolgenti” - semplici appunti buttati giù sul blocchetto di un hotel o sul retro di un foglio riciclato, prima di gettarsi nell’arena e combattere per i “suoi” ultimi. Sono ancora vive nella memoria le battaglie più dure, tra il 1988 e il ‘91: “Quella per aprire la casa-famiglia per malati di Aids a Villa Glori, che vincerà, e quella per la Pantanella”, dove erano accampati migliaia di immigrati, “che don Luigi invece perderà”. Villa Glori aveva il torto di ospitare nove malati di Aids nel cuore dei Parioli, quartiere ricco e per bene. Don Luigi aveva il torto di vedere nel sofferente l’incarnazione di quel Dio al quale, a 25 anni, aveva votato se stesso: Com’è possibile che Dio si manifesti in un falegname? In Gesù è apparso un amore di Dio che sorprende, perché apparentemente sconfitto. Sarà insultato dagli abitanti dei Parioli («Quella casa sarebbe una bomba innescata sotto i nostri bambini»), verrà persino blandito quando ormai sarà chiaro che a lui le minacce danno più ostinazione («Noi lo facciamo per i malati, che essendo già deboli potrebbero aggravarsi a contatto con i bambini nel parco»), ma non si fermerà. Tanto che sulle sue orme mano a mano ingrosserà il fiume buono, quel popolo scosso dalla sua sincerità quasi violenta: tenevano per lui i giovani della sinistra, tennero per lui i missini del Fronte della Gioventù, che fecero irruzione a Villa Glori per difendere il prete. L’immagine di Di Liegro che emerge dal libro di Ciociola non ha nulla di soave, anzi, la durezza necessaria a chi sceglie di capitanare emarginati e delinquenti, drogati e reietti, sferza il lettore e nel contempo lo attrae. È lo stesso contrasto che attrasse i “peggiori”, chi aveva anche ucciso nel nome di un’ideologia perversa. Tra questi Maurice Bignami, comandante di Prima Linea, dal 1981 recluso a Rebibbia. Quando viene affidato a don Luigi, questi lo spedisce nell’ostello della Caritas, “dove si affrontano e si aiutano le marginalità più incarognite”. Oggi ha due figli, entrambi battezzati da don Luigi, ed è responsabile della casa-famiglia Caritas per anziani. È da lì che tramanda il messaggio ricevuto: «Che dobbiamo aiutare quelli che invece vorremmo sbattere al muro. Quando incontriamo il peggiore uomo, siamo noi a dovergli dare una mano perché nessun altro lo farà». Proprio com’era successo a lui. Don Luigi sa bene che molti di questi lo vogliono solo sfruttare, forse lo inganneranno e tradiranno, ma il problema non è stabilire se il povero sta dicendo o no la verità: è piuttosto come aiutarlo ad accorgersi di Dio. Una regola, che applicata a tutti, ingigantisce il suo popolo, fatto di chi sceglie di essere un “ultimo”. Agli altri, ai “primi”, a chi “è certo che gli esseri umani non siano tutti uguali”, Ciociola dedica questo libro. L’esordio accanto ai minatori Luigi Di Liegro diventa sacerdote a venticinque anni, il 5 aprile del 1953, dopo essersi laureato in filosofia e teologia. Il primo incarico è come vicario parrocchiale al Prenestino, nella chiesa di “San Leone I”. In un quartiere di ferrovieri ed operai, molto politicizzati e diffidenti - scrive -. Dopo qualche tempo, si accorsero che non appartenevo alla classe borghese. Anzi, quando conobbero le mie origini mi dicevano: “Tu ci capisci, tu sei uno di noi perché hai sofferto le nostre stesse situazioni difficili”. Devo dire che il mio più grande successo è stato proprio quello di essere riuscito a dialogare con persone ritenute lontane ed indifferenti. Ancora la forza della parola, il dialogo come grimaldello per entrare nell’animo altrui, dunque. E all’inizio degli anni Sessanta don Luigi va Oltralpe tra i minatori per tenere un corso alla “Jeunesse Ouvriere” (Joc). Ho scoperto le miniere - dirà poi, portandosi dietro via via un patrimonio di incontri ed esperienze sempre più vaste - dove ho visto quanta fatica i nostri emigranti erano costretti ad affrontare per portare a casa un tozzo di pane. Ho visto la durezza del vivere quotidiano e spesso che in quelle miniere scendevano anche ragazzini di quattordici, quindici anni. La sera, nelle baracche, si discuteva e si pregava. Rientrato a Roma, nel 1964 viene nominato responsabile dell’Ufficio pastorale diocesano dal cardinale Angelo Dell’Acqua (vicario di Roma). Quasi contemporaneamente dal vicariato è scelto come rettore dell’Oratorio del Santissimo Sacramento, in una piccola piazza affacciata su via del Tritone, dove c’è un modesto appartamento che resterà la sua dimora fino alla fine. Il suo numero telefonico lo si troverà poi tranquillamente anche sugli elenchi: “Di Liegro Luigi, piazza Poli 10, 69920486”. Dal 1965 al 1970 è assistente diocesano dell’Azione cattolica giovani. E nel 1978 verrà nominato parroco in una piccola dell’estrema periferia romana, al Centro Giano di Acilia. Nel 1973 riceve la carica di Cappellano di Sua Santità, che prevede il titolo di “monsignore”. Don Luigi ne sorrise sempre: Ma quale “monsignore”! - gli capitava di ripetere, specie incontrando i più poveri - io mi chiamo Luigi e tu Giovanni. Diamoci del tu. Un oceano di folla: “I mali di Roma” Nel 1972, intanto, lo aveva convocato il cardinale Dell’Acqua: C’era stato un blitz dei carabinieri negli istituti religiosi che ospitavano bambini, un magistrato sospettava maltrattamenti - ricorda lo stesso don Luigi -. Il cardinale mi chiese come potevamo testimoniare che non davamo scandalo ed io suggerii una riflessione pubblica. Avverrà un anno e mezzo dopo. Non sarà semplicemente una “riflessione”. E resterà nella storia della città come il convegno sui “mali di Roma”. ORDINE 9-10 2006 Pino Ciociola, Luigi Di Liegro, prete di frontiera, Àncora Editrice, 160 pagine, euro 12,00. Nelle immagini del servizio: don Luigi fotografato con papa Giovanni Paolo II e in alcune tappe della sua vita pastorale. È il 12 febbraio 1974: nella basilica di San Giovanni (e nei cinque settori in cui la diocesi romana era appena stata suddivisa) comincia la conferenza su “Attese di giustizia e carità nella diocesi di Roma”, che si chiuderà il 15. Partecipano 5mila persone, fra credenti e non credenti, laici, sacerdoti, religiosi e religiose. Si alternano 740 interventi in cinque distinte assemblee. Don Luigi ha lavorato a questo convegno senza risparmiarsi. Realizzandolo poi con l’allora cardinale vicario, Ugo Poletti. Nel 1968 a Roma quasi 70mila persone vivevano nelle baracche. «Basta aprire gli occhi - dice don Luigi - per accorgersi che all’interno della città convivono numerose sotto-città popolate di nullatenenti, disoccupati, clandestini, inabili sbandati, drogati, alcolizzati, senza fissa dimora». “Il terzo mondo è nelle borgate”, è uno slogan dell’epoca. Al convegno il cardinal Poletti spiega che «Roma va cambiata. È una città, non una comunità». Giuseppe De Rita (allora giovane sociologo) descrive la capitale come «una città culturalmente inerte, moralmente opaca, politicamente deresponsabilizzata». Nel 1995 don Luigi dirà che, dopo quei quattro giorni, «cominciò un’epoca di rinnovata responsabilità della Chiesa locale nei confronti del popolo romano». La Chiesa e la diocesi romana avevano infatti una lunga storia di impegno nel sociale: nella sanità, nell’educazione, nell’assistenza ai più bisognosi, in tutti gli spazi della marginalità umana da sempre dimenticati dal potere pubblico. «Ma questo impegno sociale era un binario quasi distinto dalle preoccupazioni pastorali, una dimensione “specializzata”, quasi tecnica di piccole e grandi opere, di iniziative legate a carismi personali di persone o enti ecclesiali, in qualche modo non fatta globalmente propria della strategia pastorale complessiva della diocesi». Dopo il convegno qualcosa cambia. Si rinnova. Senza “tradire” la storia: «Si avverte che l’impegno nel sociale non può essere riservato agli addetti ai lavori, ma deve diventare parte “integrante” della presenza complessiva della diocesi nella società romana - dirà don Luigi -. I problemi sociali di una città come Roma sono di complessità tale da non poter essere delegati a singole persone, o singoli gruppo, o a singoli enti, ma vanno fatti propri da tutta la Chiesa diocesana. È un impegno per tutto il popolo di Dio. Anzi è un modo di vivere e annunciare oggi il Vangelo, per incarnarlo nei processi reali della città». Ma quei quattro giorni - che avrebbero quindi dovuto dettare i modi del cambiamento di metodi e circuiti dell’assistenza sociale ecclesiale - diventano via via anche una durissima, pubblica accusa contro l’assenza del potere politico e istituzionale capitolino, che si disinteressa dell’uomo. Una sorta di scossa elettrica ai muri e alla carne della città. Questa conferenza passerà alla storia non col suo vero nome, ma come “il convegno sui mali di Roma”. Un atto di coraggio imprevisto che gela i rapporti fra il Vicariato e la Democrazia cristiana. Dirà Giulio Andreotti trent’anni più tardi, nel febbraio 2004: «All’epoca la messa sotto accusa della politica mi disturbò. Ma che si dovesse fare di più a Roma, per Roma, era vero». Una casa per i malati di Aids La casa di Villa Glori alla fine apre i battenti il 5 dicembre 1988 ed accoglie i primi malati: sono nove persone di sesso maschile, con Aids conclamato e senza alcun supporto familiare, o perché soli al mondo, o perché abbandonati. Un mese prima era sceso in camORDINE 9-10 2006 po lo stesso papa Giovanni Paolo II, che il 6 novembre si era recato in visita proprio nel cuore dei Parioli, nella parrocchia di San Roberto Bellarmino, e aveva alzato il suo grido: “Esorto i cristiani a formare una comunità solidale in tutto il quartiere, nella quale ogni persona si senta coinvolta e corresponsabile, a cominciare dai sofferenti nel corpo e nello spirito, dai poveri e dai bisognosi, fino agli anziani e agli handicappati, agli emarginati e a coloro che vivono nella solitudine”. Sta parlando agli abitanti del quartiere che, per scongiurare il pericolo che don Luigi riesca nella sua piccola impresa, si sono persino rivolti alla magistratura: il loro intento è di fare “giustizia”. Ma hanno torto e la casa apre. E pian piano si apre anche qualche cuore, perché la solidarietà è più contagiosa del virus Hiv: adesso i malati, pur con molte difficoltà, a volte ricevono visite, escono persino con qualche amico che li accompagna… «La gente - scrive carico di speranza don Luigi ora sembra cominciare a capire. Durante le festività ci sono persone che vengono qui a portare doni». E la cosa più bella è che “vogliono consegnarli di persona, si fermano a parlare”. Lo stigma è superato. Il trionfo del più debole Sono passati quasi 10 anni dall’appello di papa Wojtyla: “Esorto i cristiani a formare una comunità solidale in tutto il quartiere…”. Ma quello che scrive don Luigi nel 1997 sembra quasi una risposta giunta molto tempo dopo: la sua vittoria - spiega - è il trionfo del più debole, praticamente è il paradosso che scardina ogni nostra abitudine. “La Casa famiglia fu voluta come una sfida alla cultura che s’infiamma alla vittoria del più forte”, dice. E prosegue, con parole tanto dense di significati che vanno soppesate una a una, quasi assaporate: “Fu voluta come una sfida alla cultura che offre il giusto solo a chi può permettersi il meglio”. “Che riduce la politica a regole formali o a questioni monetarie, mentre le più drammatiche esigenze dei dannati della terra entrano (se ci entrano!) nei programmi come le solite espressioni di auspicio che non toccano nessuno…”. A don Luigi resta poco da vivere, qualche giorno e morirà, ma non desiste e continua a raccogliere l’invito di quel papa: “Vogliamo batterci ancora perché la convivenza sia civile dovunque, in quella terra che è di tutti e non è privilegio di nessuno. Se questo è vero a livello planetario, perché dovrebbe fare eccezione una città come Roma, un quartiere dentro questa città, una villa dentro questo quartiere, una palazzina dentro questa villa?”… Già, perché? Spesso la solidarietà è bella purché sia lontana e non disturbi, non emani il tanfo della malattia né offra il brutto spettacolo della miseria. Lo slogan della sua vita Nella vita non tutti devono diventare vescovi. Ci deve sempre essere qualcuno che porta la carretta e io spero di avere sempre la forza di continuare a spingerla, senza montarci sopra… Questo lo “slogan” della sua vita, la filosofia che determinò ogni sua azione fino alla fine. Che arrivò nella notte tra l’11 e il 12 ottobre 1997, quando don Luigi aveva 69 anni. E il cuore molto malato. Memorabili i funerali, anch’essi un evento “mediatico”, anch’essi fin troppo espliciti di ciò che Di Liegro non smise di rappresentare nemmeno dopo la morte. Il giornalista Pino Ciociola era presente: «Tre giorni dopo la morte il funerale è nella Basilica di Roma, San Giovanni in Laterano. Lo celebrano duecento sacerdoti e una trentina di vescovi. Il papa manda un suo messaggio, sottolineando il coraggioso e instan- cabile ministero a favore dei poveri e degli emarginati di don Luigi, per i quali ha speso generosamente le proprie singolari doti umane e sacerdotali. Il suo corpo l’intera notte precedente è nella sua parrocchia, Santa Maria del Ponte e San Giuseppe, ad Acilia: a rendergli omaggio arrivano il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e cinque o seimila persone. A riempire San Giovanni, poi, ci sono immigrati e parlamentari, ragazzi di Villa Glori e sindacalisti, barboni e ed ex-brigatisti. Nelle prime file i “vip”, gli altri dietro. Per la prima lettura, dal Libro della Sapienza, sale la nipote, Luigina, sull’altare: Agli occhi degli stolti parve che morissero… Le preghiere dei fedeli le leggono invece i volontari, un obiettore di coscienza, un nomade, un ragazzo malato di Aids: Preghiamo - recita una di queste - affinché gli ultimi che sono sempre stati nel suo cuore divengano realmente i primi di una comunità solidale». Quando la bara, al termine, esce dalla Basilica portata a spalla da sei sacerdoti, sfila dentro un applauso che dura una decina di minuti. E don Luigi da quel giorno riposa del cimitero del Verano, nella sua Roma. Il ricordo di Veltroni, la poesia della Merini «Ha ragione Pino Ciociola - scrive il sindaco di Roma, Walter Veltroni, nella postfazione al libro, che comprende anche un intervento di Giulio Andreotti - quando dice che non come a un eroe o come a un santo bisogna pensare a don Luigi Di Liegro. Ha ragione quando dice che don Luigi è stato innanzitutto un uomo vero e un prete vero. Una persona in carne e ossa, che delle persone in carne e ossa si è occupato per tutta la sua esistenza. Al tempo stesso non è stato un uomo come tanti, don Luigi… Da queste pagine emerge la sua figura così com’era, sempre ispirata al sostegno degli ultimi, di ‘coloro che non hanno voce’…». Dopo Roma, Milano: Alda Merini, la poetessa dei Navigli, scrive invece le parole di introduzione al libro. «Ho letto con crescente emozione queste pagine, che di rigo in rigo, di parola in parola, mi hanno schiuso un orizzonte sconosciuto e sorprendente. Ho scoperto che il miracolo non è il grande evento che sconvolge il mondo, ma il piccolo gesto ripetuto all’infinito, compiuto non per stupire gli scettici, ma per servire i reietti. Dormire su un materasso, in povertà assoluta, come faceva Di Liegro, non è una scelta. È eroismo. Quanto del clero attuale ha perso questa genialità che è il darsi per gli altri… Essere poveri è un privilegio, non una colpa, né una follia o dabbenaggine. Di Liegro è vissuto dell’essenziale, eremita in mezzo alla moltitudine, una fiaccola d’amore che molti hanno tentato di spegnere: perché il diseguale dà fastidio, fa rumore anche quando tace, disturba l’arroganza degli insensati. In fondo la povertà è un miracolo della ragione che pochi oggi conoscono, presi come sono dall’orgasmo di accumulare... Solo il poeta, forse, comprende: il poeta vive di niente. La città degli uomini è ancora troppo lontana dalla città di Dio: ‘Case su case, cemento su cemento, non trovo l’amico di un tempo…’, cantava Celentano. E la Spaziani scriveva ‘tendo le mani a una popolazione di monchi…’. Oggi il mondo manca di mani tese, mani di sacerdoti. Scambiatevi un segno di pace, ci dicono in chiesa, ma le mani dove sono? Eppure l’opera instancabile di questo sacerdote risulta - e risultò allora agli occhi di molti - una specie di follia, la stessa di Cristo, dei santi, dei poeti. Fu follia amorosa che salva la vita, il luogo dove l’uomo campa di speranze. Ma resta solo». 25 LIBRERIA DI TABLOID Roberto Festorazzi Mussolini e l’Inghilterra 1914-1940 di Romano Bracalini L’amicizia italo-inglese risaliva al Risorgimento che i circoli liberali londinesi e una vasta opinione avevano seguito con simpatia e sostenuto con campagne politiche e mezzi finanziari.Storici come Bolton King e George Macaulay Trevelyan,con i loro libri su Garibaldi e le guerre di indipendenza,avevano reso popolare e amata l’Italia. Il fascismo,ribaltate le alleanze naturali e storiche dell’Italia, per cecità, ambizione e risentimento, fece dell’Inghilterra la bestia nera del regime e la responsabile di tutti i mali del paese. I libellisti salariati, anche di alta fama, presero l’imbeccata e l’Inghilterra divenne la “Perfida Albione”, e gli inglesi derisi come “il popolo dei cinque pasti”, suprema ironia per un popolo che a malapena ne faceva uno. La virulenza della politica antinglese del regime era nota. Roberto Festorazzi ha il merito di averne ripercorso sistematicamente la trama e gli sviluppi in base a un solido apparato di documenti inediti o poco noti. L’impresa etiopica segnò l’apice del consenso popolare ma fu anche l’ultimo successo politico del duce. Festorazzi riconosce che l’irrigidimento dei britannici (padroni di tre quarti del mondo) fu uno dei motivi che indussero Mussolini - anche per ragioni di prestigio interno e internazionale - a tener testa all’impero britannico e a sfidarlo. Nell’estate 1935, pochi mesi prima dell’inizio delle ostilità con l’Etiopia, la Gran Bratagna inviò una missione a Roma, capeggiata da Eden, con l’incarico di offrire all’Italia una provincia dell’Ogaden; una concessione che Mussolini ritenne offensiva. Giorgio Santerini L’orfano di Stalin di Edmondo Rho Un ossimoro. Un libro scritto da Giorgio Santerini e venduto solo su Internet. S'intitola L’orfano di Stalin e non si trova nelle librerie, perché si tratta di un ebook: l’iniziativa dei libri venduti esclusivamente in rete è del giornalista ed editore Luciano Simonelli, che li propone suhttp://www.ebooksitalia.com Per chi non lo conosce (penso a molti giovani colleghi), Giorgio Santerini è un giornalista che ha lavorato prima all’Avanti! e poi al Corriere della Sera collaborando tra l’altro a Panorama, Critica Sociale, Cinema Nuovo, L’Europeo. Ma soprattutto è stato per lunghi anni, fino al 1996, segretario della Fnsi, dopo aver fatto il presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti raccogliendo nel 1980 il testimone di Walter Tobagi. Certo, per chi lo conosce, stupisce la scelta di affidarsi al web da parte di un autore che non ha mai amato le tecnologie. Ricordo per esempio nel 1990, quando la Fnsi lo ‘costrinse’ a usare uno dei primi telefoni cellulari, l’orrore di Giorgio costretto a portarsi dietro quel ‘pesante mattone’… In realtà lo stupore di trovare Santerini in rete si supera quando ci si trova in mano, 26 stampata, la ‘copia ex libris’ delle 120 pagine de L’orfano di Stalin. L’editore lo chiama ‘volume su misura’, infatti arriva a casa dopo averlo ordinato sul web al link: http://www.ebooksitalia. com/ita/detail_ebook.lasso? codice_prodotto= 20060325000313529495 Ecco allora un libro che racconta la fede incrollabile di uomini d’altri tempi, e lo fa sviluppando i ricordi di un vecchio uomo, il dottor Allon, misterioso personaggio che si ritrova nella sua consueta notte d’insonnia e controvoglia ripercorre la sua vita. Allon è l’orfano di Stalin: ovvero, l’erede di un mondo che nel dopoguerra ha provocato la nascita di una nuova storia, quella del Pci, dei suoi successori e dei loro rapporti con Mosca, con gli affari e i legami misteriosi che hanno unito l’Italia all’Urss. Un legame profondo: per anni il segretario della sua sezione ricorda che “il giorno della vittoria dell’armata rossa arrivata a Berlino, il compagno Stalin ha scritto sulla Pravda l’articolo di fondo: sul futuro dell’agricoltura sovietica… perché la seconda guerra mondiale deve essere solo una tappa, la storia futura la costruiamo noi”. Ma il protagonista va anche più in là: “lui non ha mai abbandonato Stalin. È dagli anni ‘50 che non crede In realtà dopo la martellante propaganda bellicista il duce era ansioso di portare il paese alla prova del fuoco. Inoltre bisognare vendicare Adua, una sconfitta che bruciava dal 1896. Le sanzioni applicate dalla Società delle Nazioni all’Italia costituirono per il regime un altro motivo di propaganda e di orgoglio. Anche una parte non trascurabile della classe politica inglese - dice Festorazzi - disapprovò le sanzioni che furono più un incentivo alla guerra che un motivo di dissuasione. Mussolini colse l’occasione per tacciare le potenze occidentali, e prima l’Inghilterra, di egoismo e disprezzo, e rivendicò all’Italia gli stessi diritti delle altre nazioni coloniali. La prova serviva a vincere anche un cupo complesso di inferiorità. Da quel momento l’Italia, col contributo fattivo di Francia e Inghilterra, si legò mani e piedi al carro nazista, senza smentire la fama di eterna comprimaria. Festorazzi, oltre che a fonti italiane, ha attinto al Public Record Office di Londra, che ha una sezione dedicata interamente all’Italia e quindi ai rapporti tra Londra e Roma, ed ha potuto documentare i sentimenti britannici meno sondati in ordine alla crisi con l’Italia. Il fronte ostile ai pro- grammi d’ambizione del fascismo non era così compatto. C’era in Inghilterra una corrente di simpatia per il regime di Mussolini. Sir Oswald Mosley, lasciato il partito conservatore, aveva fondato un movimento ispirato al fascismo italiano nella convinzione che esso solo costituisse la più valida difesa della civiltà europea contro l’americanismo, il giudaismo, il comunismo. Gli studenti di Oxford, non condividendo gli indirizzi del governo inglese, avevano firmato un appello nel quale si dicevano “indisponibili per la guerra e per il re”. Le dottrine totalitarie apparivano più affascinanti della democrazia perfino nella culla del liberalismo moderno. Lo stesso Churchill, in un discorso del maggio 1936, si dichiarò contrario ad ogni ritorsione contro l’Italia. Si giunse a un accordo con la firma del “Gentlemen’s Agreements”, un protocollo d’intesa da cui dovevano derivare ulteriori guai, dato che ciascuno dei contraenti lo interpretò a modo suo. Arthur Neville Chamberlain, “l’uomo con l’ombrello”, come lo beffavano i caricaturisti fascisti, conservatore e d’aspetto irrimediabilmente inglese, al potere dal maggio 1937 al maggio 1940, tentò per un istante al dialogo con i cattolici; neanche l’idea del tatticismo lo salva dalla certezza sia un errore quella ricerca di alleanza politica con una forza interclassista”… una convinzione profonda su cui però s’innesta anche “questo senso d’orrore che lo fa rabbrividire…Possono ucciderlo da molto tempo, perché lui sa troppo del vecchio partito. E non solo degli affari sporchi”. Già. L’orfano di Stalin, il dottor Allon, ha i suoi segreti distruttivi. E così ci accompagna nel racconto, dal dopoguerra fino ai giorni nostri, entrando anche nei territori imprevedibili di Tangentopoli. Perché Allon ha manovrato i finanziamenti occulti e le sue tracce di uomo del business sono disperse ovunque. Anche se “tutte le carte sono arrivate a Pechino prima del crollo dell’Urss e sono custodite là…” Il libro di Santerini è in realtà un lungo racconto che abbraccia un tempo di poche ore, quelle che separano Allon dall’alba del giorno dopo, in cui emergono larghi e profondi squarci di un’intensa esistenza. Andata in crisi anche perché la sua lontananza dagli eredi del Pci è incolmabile. Allon rimane con la sua solitudine: indifeso e nevrotico orfano di Stalin. Invece noi, colleghi-lettori ed eredi di un giornalismo che ha saputo essere autonomo dalla politica pur essendone figlio, non vogliamo essere orfani di Santerini. E lo aspettiamo alla sua prossima prova di scrittore. Gianfrancesco Turano Catenaccio! di Michele Giordano Nel 1944, gli aquilotti dello Spezia calcio allenato da Ottavio Barbieri vincevano lo scudetto del campionato di guerra battendo anche il grande Torino di Vittorio Pozzo, in una memorabile partita disputata all’Arena di Milano, semideserta per timore di rastrellamenti tedeschi. Barbieri aveva applicato il cosiddetto mezzo-sistema, che prevedeva l'introduzione del libero, ideato quando faceva il vice dell’inglese Garbutt, ai tempi d’oro del Genoa. Con le pezze al culo, spostandosi per le trasferte su una vecchia autobotte, sotto le bombe, gli spezzini di Barbieri ci sono tornati alla mente leggendo del Troia Football Club, eroica armata calcistico-brancaleonica protagonista di questo secondo romanzo (dopo il giallo Ragù di capra) di Gianfrancesco Turano, inviato de Il Mondo nonché “infestatore di campi amatoriali”. Luigi Litaliano (la crasi fu forse un fatale errore dell’anagrafe?) è l’allenatore della compagine. Agli sgoccioli di una carriera non certo fulminante, ma con 999 partite all’attivo, Litaliano è determinato a rendere catartica la tenzone numero 1000. Come? Fanatico di Quel Libro (mai nominato, ma che si palesa subito essere l’Iliade), Lita- di smussare i contrasti ma con i dittatori l’unico modo di smussarli è dar ragione a loro. Alla conferenza di Monaco nel 1938 la guerra venne soltanto rinviata di un anno. Ma Chamberlain tornò a casa convinto di aver assicurato la pace. Diede questo giudizio di Mussolini, che Festorazzi riporta: “L’ho trovato franco e pieno di riguardi nei nostri confronti. Ha fornito con enfasi la sua assicurazione che intende tener fede agli accordi stipulati con noi, che vuole la pace e che è pronto a usare tutta la sua influenza per mantenerla”. Fu così che si arrivò alla guerra. Dopo i Sudeti e l’annessione dell’Austria (contro la quale Mussolini con gesto di teatro schierò le divisioni al Brennero), Hitler in alleanza con Stalin, altra viola mammola, pretendeva la spartizione della Polonia,mentre l’Urss si “pappava” i Baltici ed aggrediva la piccola Finlandia, sempre in nome della “fratellanza dei popoli”. Il fascismo è fascismo sotto qualsiasi colore si celi. Le sue mosse sono sempre goffe e prevedibili, purché l’interlocutore non si presti alle astuzie del baro. Quando si accorsero del pericolo e della piega degli avvenimenti, gli inglesi parvero più disponibili a concedere liano accetta la sfida di un ex compagno d’arme, il barone Uto Sombrero di Cirrocumulo, personaggio assai poco limpido che mette in campo la vipparola Achei Associazione Oligarchica, nell’ambito di una scommessa che non ha solo risvolti finanziari, ma prevede una sorta di sfida virile, un boormaniano Duello nel Pacifico all’amatriciana, o meglio all’ascolana, data la la rotondità pallonara delle tipiche olive ripiene e la location stabilita per l’incontro. Come andrà a finire non lo riveliamo, ma sappiate che l’intero libro (forse un po’ troppo lungo per chi non è un fanatico della sfera a scacchi, ma comunque piacevolissimo) si rivela da subito una grande metafora omerica che altro non è che un metafora al quadrato della vita. I troiani di Litaliano sono i poveracci, gli sconfitti, gli emarginati, i rappresentanti di un calcio che non c’è più, brutto, sporco e cattivo, ma comunque epico, ostile a quello mediaticamente luccicante di oggi, velinaro (in tutti sensi) e divistico. Nel Troia F.C. ci sono tutti i reietti della società (o comunque bollati come tali): trans, galeotti, sottoproletari di pasoliniana memoria. Fra gli Achei è invece l’esatto contrario. Litaliano, che convive con l’enuretico lupoide Eurimedonte, dopo che la moglie ben più di una “pidocchiosa” provincia africana. Ma le cose si erano spinte troppo avanti e non c’era più verso di fermarle. Festorazzi,in questo libro documentato e ben scritto,frutto di un lungo lavoro di ricerca e di analisi degli avvenimenti, corregge ed emenda parecchie false impressioni - oltre ai soliti pregiudizi politici-, suggerite da un manicheismo di maniera e dal dogma delle scuole di dottrina. L’autore mette in evidenza le colpe e le responsabili delle potenze occidentali nell’aver ceduto alle tirannie e di averne sottovalutato il pericolo, furono opportuniste e pavide -più inflessibili con Mussolini e molto meno con Hitler-nella speranza mal riposta di dover rinunciare a qualcosa in cambio di una promessa fallace. Il nazifascismo andava affrontato e contenuto prima che,gettata la maschera, giungesse alla fase aggressiva in cui più nulla, salvo il rimpianto, avrebbe scongiurato la guerra e la catastrofe. Siamo sicuri che l’Europa abbia imparato qualcosa? Il libro di Festorazzi ci aiuta a riflettere. Roberto Festorazzi, Mussolini e l’Inghilterra 1914-1940, Datanews, pagine 236, euro 13,50 greca Maria Papathanassiou lo ha lasciato per eccesso di delocalizzazioni residenziali, parla un linguaggio epicoignorantoide un po’ come Alexander Perchov in Ogni cosa è illuminata di Schreiber, si ciba di sughi pronti e tiene sul comodino un ritratto di Nereo Rocco, noto per l’amore nei confronti del catenaccio definito da Franco Baldini, ex direttore sportivo della Roma, “non solo un sistema di difesa ma soprattutto un modo di difendere una mentalità”. Insomma una filosofia passatista e difensiva che si contrappone a una logica modernista tutta puntata all’attacco. Già, un proiettarsi in avanti, un mostrarsi tronfiamente aggressivi in linea con l’oggi. Pensiamo ad Alex Del Piero autoproclamatosi tronfiamente, prima dei Mondiali, novello Achille, ma assai più propriamente definibile come il calciatore con l’uccellino, visto che dalla pelìdea collina, a differenza dei poveri disgraziati di Litaliano, sembra non essere mai sceso. Gianfrancesco Turano, Catenaccio!, Dario Flaccovio Editore, pagine 334, euro 14,00 ORDINE 9-10 2006 2005 Lucia Bellaspiga “Dio che non esisti ti prego” Dino Buzzati, la fatica di credere Gianfranco Bettetini I Partigiani di Cittiglio di Emilio Pozzi “Luoghi, facce, battute, odori, sapori, azioni, situazioni, desideri, aspirazioni, frustrazioni… memorie confuse e affascinanti…”. Rubo all’autore, dall’ultima pagina del suo libro, queste parole che bene rendono l’idea di quale sia il nucleo di una narrazione di ricordi dell’infanzia e della gioventù, contrappuntata da considerazioni dell’età matura. I Partigiani di Cittiglio rievocano, per chi è consapevole di quanto accadde attorno agli anni quaranta e cinquanta del secolo scorso, momenti esaltanti e inquietanti, in una cornice minimalista di piccole storie private e di gruppo, lampi di gioie e di dolori, notazioni nelle quali, mutando i luoghi e le persone, ciascuno può riconoscere squarci del proprio passato. Le pagine del tempo lontano rievocato da Nico, ragazzo di città, di famiglia borghese, sfollato a Cittiglio, si alternano, nei capitoli, ad una corrispondenza, spostata a tempi più recenti, tra il protagonista e Lucio, uno del luogo, di solido ceppo contadino, in ritardo con gli studi ma precoce per sensibilità e buon senso. Avanti e indietro, in un gioco di anticipi e flashback. Si assiste alla nascita di una bella amicizia, come poteva capitare tra chi, con animo aperto e cuore sincero, imparava a condividere nuove emozioni ed affrontare inattese esperienze. Cittiglio, la Cittiglio di una volta, patria del tre volte campione del mondo di ciclismo Alfredo Binda, è la cornice di mille piccole avventure, dalle gare in bici, all’assalto, non autorizzato a rigogliosi frutteti, alle recite teatrali - una passione premonitrice di un futuro destino per Nico - di compagnie messe su alla belle e meglio, alla ricerca nei boschi di castagne, un cibo di guerra, e preziosi funghi porcini, i primi amori, quasi sempre virtuali, le prime scoperte del sesso. E poi i momenti drammatici dei bombardamenti di Milano, vissuti in prima persona e poi da lontano, a cinquanta chilometri, nelle notti d’agosto, come ad uno spettacolo di fuochi artificiali. E ancora, il dopo 8 settembre, con le scaramucce partigiane, le ritorsioni dei fascistelli di provincia, l’aggiustamento di vecchi conti personali, i morti ammazzati per strada. Una tragedia nella dimensione della provincia. Personaggi autentici, citati con il loro nome: come il grande caricaturista antifascista Giuseppe Scalarini che a Cittiglio aveva avuto una villetta e che ogni tanto, veniva prelevato da due carabinieri per essere spedito al confino; come Mario Apollonio, professore alla Cattolica e grande maestro di cultura teatrale; come Gianfranco De ORDINE 9-10 2006 2005 Bosio, regista, che, giovanissimo nell’immediato dopoguerra, fece conoscere dall’Università di Padova, i valori poetici e politici di Brecht, e gli attori giramondo della Compagnia Rame, con i fratelli Franca ed Enrico (Dario Fo non era ancora comparso all’orizzonte) . Altri sono citati con il solo nome, Umberto, (che di cognome faceva Eco) o con cognomi allusivi come Sergio Pugliese, primo direttore della Tv, qui chiamato Barese e ricordato perché al giovane Nico (in verità al promettente regista Gianfranco) non aveva pronosticato un grande futuro perché gli attori non avrebbero preso sul serio un regista con l’erre moscia o il marchese Arardo Spreti, (qui chiamato Riccardo de Seminari) coraggioso uomo di teatro, erede del Sant’Erasmo, il teatro a scena centrale inventato da Carlo Lari, che aprì le porte al giovane Nico. Per chi conosce Milano e le vicende del mondo televisivo, potrà ripercorrere un itinerario, ormai sfumato nel tempo, ma che è stato intensamente vissuto dal protagonista, nella cocciutaggine di chi credeva alla nuova Musa, la Tv, cercando di allontanare un destino che lo portava verso l’Ingegneria. In questo libro, denso di episodi, Bettetini, si confessa, senza rigorosa sorveglianza, in modo liberatorio. Anche la scrittura è disinvolta. C’è però chi sostiene (cito uno specialista in materia come Duccio Demetrio) che “da sempre lo scrivere e il parlare dei propri ricordi ha rappresentato un rituale esplicito ma più spesso segreto. Per se stessi e per gli altri. L’autobiografia è inoltre al contempo tentativo di chiarirsi le ragioni dei propri successi o fallimenti esistenziali e strumento deduttivo di ‘ammaestramento’ intergenerazionale; è il rituale introspettivo dell’accorgersi di aver vissuto, di volerlo raccontare e di illudersi che questo lascito possa giovare a qualcuno”. Che ne pensa l’autore? Gli giro la domanda assieme a due quesiti: perché il ‘Partigiani’ del titolo è con l’iniziale maiuscola? Le vicende resistenziali del cittigliese non mi pare meritino tale sottolineatura. O ‘i partigiani’ sono quelli che hanno amato e amano Cittiglio, comunque? E, secondo quesito lessicale: nel dialetto locale, qui gustosamente spesso riportato nei dialoghi, mi pare che l’equivalente di sporco, sudicio, sia Vunciun (o Vunsciun) con la V e non nunciun.O Cittiglio si distingue anche in questo? Gianfranco Bettetini, I Partigiani di Cittiglio, Effatà editrice 2006, Cantalupa (Torino), pagine 126, euro 15,00 di Patrizia Pedrazzini C’è una considerazione, prima ancora di entrare nel merito del lavoro in questione, che il libro della giornalista Lucia Bellaspiga subito impone. Ed è che, nel momento in cui, giunti al termine della lettura, si richiude fra le mani questo volume di poco più di duecento pagine, si ha la precisa, limpida sensazione di conoscere Dino Buzzati. Quasi di averlo conosciuto di persona, di avergli parlato, di averne condiviso l’esistenza. Come, forse - ma forse anche di più e meglio - solo dalla lettura di tutti suoi scritti e dalla visione di tutti i suoi dipinti - dal quadro più famoso all’ultimo degli schizzi - ci si potrebbe attendere. Detto questo, Dio che non esisti ti prego è, come scrive nella prefazione Vittorino Andreoli, “un libro che va alla ricerca di quel segreto che Dino Buzzati aveva dentro di sé e che forse ognuno di noi porta nascosto nella propria mente”. Dio, appunto, “il Dio che c’è o forse il Dio che non c’è”. Il Dio che Buzzati, “pieno di voglia di Dio”, è morto, da non credente (non da ateo), senza avere mai conosciuto. Ma anche il Dio cercato, atteso, inseguito per tutta la vita. “Non c’è pagina che non sia carica di trascendenza e di tensione verso un mondo parallelo, superiore a quello in cui viviamo”, “Non c’è pagina che non esprima una religiosità”, scrive l’autrice. Ed eccole, allora, queste pagine. Stralci, passaggi, sintesi degli scritti del giornalista, scrittore e pittore (ma sono soprattutto i racconti a essere presi in considerazione), raccolti, commentati, messi a confronto con rigore scientifico e insieme appassionata partecipazione nella prima parte del libro, intitolata appunto Le Opere. Una sorta di viaggio nei suoi testi più significativi, “diario travagliato di un’anima alla ricerca di Dio”, ma senza forzature, senza conclusioni gratuite o imposte, senza deduzioni a tutti i costi: a parlare è sempre e solo Buzzati. Ecco la goccia d’acqua che sale i gradini della scala, immagine del Destino che avanza; l’immensa mano di Dio ferma in mezzo al cielo, pronta a fare giustizia; l’ospedale a sette piani, nel quale i malati sono distribuiti, via via Mario Capanna La coscienza globale di Filippo Maria Battaglia In principio era la téchne, ovvero l’arte, la professione, l’abilità nel costruire. Ma già i greci ne sottolineavano l’insidia, proprio quando ne davano un’accezione peggiorativa, indicandola quale l’artificio, il tranello o, peggio, l’inganno. Nel suo ultimo libro, La coscienza globale, Mario Capanna parte da questa distinzione per affrontare le nuove sfide globali e per andare oltre «l’irrazionalità moderna». Si sofferma quindi sull’uomo mediato, vittima ed ostaggio di una miriade di strumenti tecnici necessari a suo dire - per collegarlo alla realtà, ma che in verità lo costringono a divenire prigioniero del «presente come totalità di riferimento». E da qui, attraverso una narrazione lineare e sempre esemplificativa, analizza alcuni dei principali luoghi comuni che ossessionano il dibattito politico e l’informazione. La critica di Capanna muove proprio dalla condizione in cui versa quest’ultima e, in particolare, quella televisiva, sintomo significativo di una venerazione nei confronti della tecnica, che ha reso sempre più l’uomo automa inconsapevole di un perverso meccanismo di identificazione tra fine e mezzo. «Attraverso le tecnostrutture, arterie dell’apparato scientifico-tecnologico, l’uomo moderno ha assunto un potere tale da modificare la natura fino al punto da distruggerla»; il rapporto si scendendo, a seconda della gravità; il pertugio negli scavi della metropolitana che porta al mondo dei morti; l’antica leggenda di Orfeo ed Euridice trasferita nella Milano degli anni Sessanta. E il colombre: la salvezza scambiata per perdizione, fuggita per tutta la vita, riconosciuta quando ormai è troppo tardi. Poi la seconda parte del libro, I Giorni. Non tutti i giorni, ma quei giorni. Quelli dell’“avviso di partenza”, della “cartolina di precetto”, dell’attesa, della preparazione a quell’ultimo viaggio, che solo svelerà il Mistero. Quelli del “grande congedo”, il 28 gennaio 1972, in un letto della clinica “La Madonnina”. La moglie, gli amici, i medici, le infermiere. I Pensieri di Pascal sul comodino. I ricordi. L’agenda degli ultimi mesi, con le ultime riflessioni, gli ultimi contorni delle amate montagne che svettano nel cielo: le nuvole rosse, le cime gialle di sole. Il rifiuto di una forma di fede in qualche modo tiepida od opportunistica, della facile, vile conversione sul letto di morte (Buzzati non volle l’estrema unzione). Però, insieme, l’eterna domanda. Che diventa attenzione continua, quasi studio, della morte in quanto soglia “che conduce alla verità, qualunque essa sia”. E che sfocia nella più umana delle incertezze: “Però non posso non avere dubbi”. Già lo aveva scritto, su una pagina di quaderno, nel 1957: “Dio che non esisti ti prego che almeno su questa grande nave che mi porta via...”. Il libro, rigoroso anche nell’accuratezza grafica, è corredato da fotografie, scritti autografi e disegni inediti. Di particolare interesse, le testimonianze di Gabriele Franceschini, la guida alpina che lo portava in scalata sulle vette dolomitiche (“Ma lo sai che Dino letteralmente tutto l’anno sopravviveva nell’attesa di quei quindici giorni di arrampicate?”); di Gaetano Afeltra (“Quando lo si chiamava, rispondeva sempre ‘Comandi!’, alla veneta, una parola che per un meridionale sarebbe servilismo ma detta da lui era una cosa nobile”); di Indro Montanelli (“Non so quanto capisse del proprio genio. Era semplicemente innamorato del mestiere di giornalista, anche se avesse guadagnato miliardi con i libri non lo avrebbe lasciato mai”). Di suor Beniamina, giovane infermiera alla “Madonnina” negli ultimi cinquantun giorni di vita dello scrittore: “Quando suor Beniamina usciva dalla stanza dopo avergli dato la buonanotte, le chiedeva: E adesso cosa fa?. E lei tutte le volte: Vado a pregare. E la ricordo a Dio. Ma una sera le cose cambiarono: Per la prima volta fu lui a chiedermelo: Si ricordi anche di me”. è così invertito: «l’uomo mediato, ora, definisce il contesto mediante, lo ridisegna, lo sconvolge, lo produce». Vittime di questo meccanismo sono in particolare i giovani, tendenzialmente sprovvisti di una criticità vigilante e più propensi all’omologazione proprio perché cresciuti ed educati all’interno di questa visione. Si infrangono così tutti i nessi degli avvenimenti, ormai dominati dalla convinzione che «i fatti accadono e basta». Responsabile di questa aberrante rappresentazione è l’Occidente, nella sua sorda pretesa di considerare il proprio universo valoriale quale l’unico possibile. Inevitabile è quindi il cortocircuito logico cui cade l’uomo contemporaneo, costretto a trovare giustificazione dei propri comportamenti non più negli scopi e nelle finalità, ma nella tecnica e nei mezzi. Unico rimedio, la coscienza globale, la consapevolezza del legame con il tutto, una visione omnicomprensiva e compositiva, frapposta invece alla «falsa coscienza della frantumazione». Risultato di questa visione è l’elaborazione di una globalizzazione multipolare, dove il modello occidentale non si chiuda in un atteggiamento totalitario ed autoreferenziale, ma divenga consapevole della diversità e dell’alterità che lo circonda attraverso l’aequitas, intesa come convivenza e conciliazione di forze. La coscienza globale, che si conclude con un dialogo tra lo stesso Capanna ed il filosofo Emanuele Severino, autore di un pamphlet proprio sulla téchne, è un libro che soffre una lettura passiva ed immediata. Leggerlo senza distinguo ed interrogativi significherebbe inevitabilmente contraddirne alla radice tutte le finalità. Mario Capanna, La coscienza globale, Baldini e Castoldi Dalai 2006, pagine 171, euro 16,00 Lucia Bellaspiga, “Dio che non esisti ti prego” Dino Buzzati, la fatica di credere, prefazione di Vittorino Andreoli, Editrice Àncora 2006, pagine 224, euro 15,00 Ordine/Tabloid periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Poste Italiane SpA Sped.abb.post. Dl n. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 (comma 2). Filiale di Milano Anno XXXVI - Numero 9-10, Settembre-Ottobre 2006 Collegio dei revisori dei conti Giacinto Sarubbi (presidente), Ezio Chiodini e Marco Ventimiglia Direttore responsabile Direttore dell’OgL Segretaria di redazione FRANCO ABRUZZO Direzione, redazione, amministrazione: Via Antonio da Recanate, 1 20124 Milano Centralino Tel. 02 67 71 371 Fax 02 66 71 61 94 Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo presidente; Cosma Damiano Nigro vicepresidente; Sergio D’Asnasch consigliere segretario; Alberto Comuzzi consigliere tesoriere. Consiglieri: Letizia Gonzales, Laura Mulassano, Paola Pastacaldi, Giuseppe Spatola, Brunello Tanzi Elisabetta Graziani Teresa Risé Realizzazione grafica: Grafica Torri Srl (coord. Franco Malaguti, Stampa Stem Editoriale S.p.A.Via Brescia, 22 20063 Cernusco sul Naviglio (Mi) Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) Comunicazione e Pubblicità Imagina sas Corso di Porta Romana, 128 -20122 MILANO T. 02/58320509 Fax 02/58319824 e-mail: [email protected] - www.imaginapubblicita.com La tiratura di questo numero è di 25.471 copie. Chiuso in redazione il 30 settembre 2006 27 LIBRERIA DI TABLOID Sandro Gerbi e Raffaele Liucci Lo stregone. La prima vita di Indro Montanelli di Pilade del Buono Dai giorni dell’infanzia alla morte di Leo Longanesi, anno 1957, in un lungo viaggio che ripercorre l’adesione giovanile al fascismo, l’avventura africana, la guerra civile in Spagna, l’Estonia felix, l’Europa campo di battaglia, l’arresto e la fuga in Svizzera, la Liberazione e il ritorno in via Solferino, i rapporti con il Borghese di Longanesi e l’amicizia soffusa di velleità golpiste con l’ambasciatrice Usa Clara Boothe Luce, per approdare a Budapest in rivolta: questa l’estrema sintesi di Lo stregone. La prima vita di Indro Montanelli edito in marzo da Einaudi (titolo desunto da una lettera dell’ex ministro degli Esteri fascista Dino Grandi nella quale veniva sottolineata l’insuperabile maestria del giornalista/scrittore di Fucecchio nel rendere originali e attuali anche fatti e situazioni che il corso del tempo avevano fatalmente scolorito). La biografia critica dei primi cinquant’anni della firma italiana più prestigiosa del Novecento (1909-2001) porta i corposi nomi degli storici Sandro Gerbi e Raffaele Liucci, una biografia che ha contribuito non poco ad animare (per i suoi risvolti e le relative messe a punto) l’estate delle terze pagine e delle sezioni culturali delle grandi riviste. La prima parte del libro, ancorata all’8 settembre ‘43, è opera di Gerbi; la seconda di Liucci, il tutto (come è ovvio) discusso e reciprocamente condiviso. Il limite cronologico prescelto, il ‘57 appunto, non è casuale: «L’anno prima, a causa delle corrispondenze di Montanelli dall’Ungheria in fiamme - vilipese dalla destra perché considerate troppo “progressiste” -, si era interrotto bruscamente per quasi un anno il sodalizio fra Indro e Leo, l’amico di una vita: una frattura ricucita solo poche settimane prima della morte di quest’ultimo». Natalia Milazzo Siciliani di Massimiliano Lanzafame Nata a Milano ma di origine siciliana, Natalia Milazzo, caporedattore di Altroconsumo, ci guida alla scoperta di una straordinaria isola e dei suoi fieri abitanti: la Sicilia e i siciliani. “Sicuramente avrete già sentito vantare la bellezza abbagliante della Sicilia, della sua natura, della sua arte... vi avranno parlato di antichi teatri e templi intatti, di fontane e spiagge, di cattedrali e mosaici, di limoni e palme, di acque cristalline. Ma: e i siciliani? Che cosa sapete, veramente, dei siciliani?”. L’autrice ne descrive le abitudini, le contraddizioni e i difetti con divertenti aneddoti e luoghi comuni, che rendono piacevole la lettura, e che alla fine fanno emergere le grandi virtù di questo popolo, facendogli fare “bella figura”. E sì, perché per un siciliano, che ha scolpito nel cuore il motto “superiore a molti, pari a chiunque”, fare “bella figura” è una questione vitale, d’onore. In Sicilia, poi, la forma ha un’importanza pari, se non superiore, a quella della sostanza. Per cui un semplice invito a pranzo può trasformarsi in un’occasione di dar sfoggio dell’innata “nobiltà” siciliana, ma può anche tramutarsi in un incidente diplomatico se, il malcapitato ospite del Nord, ha la sventurata idea di omaggiare il padrone di casa con un vino o un dolce “polentone”. Tanto orgogliosi e tanto permalosi, ma con un senso innato dell’ospitalità, i siciliani, sono amanti del lusso, ma an- 28 che disinteressati al denaro e quando possono aiutare qualcuno si fanno in quattro. La Sicilia è sempre stata un attivissimo centro dal punto di vista artistico, culturale e commerciale e l’autrice ricorda brevemente alcuni dei personaggi contemporanei che ne proseguono le tradizioni e il prestigio tra cui: Franco Battiato, Pippo Baudo, Domenico Dolce, Andrea Camilleri, Carmen Consoli, Maria Grazia Cucinotta, Emilio Fede, Fiorello, Renato Guttuso e Gianni Riotta. Nel libro si trovano anche trenta possibili cose da fare nell’isola come: visitare il Teatro Greco di Taormina o la Valle dei Templi di Agrigento; perdersi nel labirinto di Donnafugata o nel mercato del pesce di Catania, la Pescheria; inebriarsi con il gustoso cioccolato di Modica o rinfrescarsi con l’impareggiabile granita al limone, e tanto altro ancora. Ma la Sicilia è soprattutto una perla da respirare almeno una volta nella vita, lasciandosi prendere dai ritmi dell’isola dove il tempo “non ha importanza”, il passato è subito lontano e si vive solo nel presente. E senza dimenticare il detto:“Cui va a Palermu, e ‘un va a Muriali si nni parti sceccu e torna maiali”. Natalia Milazzo, Siciliani, Le Guide Xenofobe, Edizioni Sonda, Casale Monferrato 2006, pagine 140, euro 9,50 Soppesato che in settant’anni di professione, tra articoli, corsivi brevi e lunghi e risposte ai lettori, Montanelli ha pubblicato qualcosa più di 50mila pezzi, Gerbi e Liucci si sono tuffati nella «lettura sistematica di tutti gli articoli montanelliani individuabili» trascurando le numerose biografie, eccezion fatta per la testimonianza rilasciata da Indro a Tiziana Abate negli ultimi mesi di vita e pubblicata postuma nel 2002. «Il punto d’arrivo - annotano gli autori nella prefazione (non escludendo un secondo volume) - non è però così rigido come sembra. Tutte le volte che ci è parso opportuno, abbiamo effettuato dei salti in avanti nel tempo». E proprio questi salti hanno stimolato il dibattito. Come per la «visione idilliaca e paternalistica dell’avventura africana» di Montanelli (leggere: i bombardamenti aerei con l’iprite) contrastata per decenni dallo studioso Angelo Del Boca. O per la Spagna (filo- franchismo). O per la questione ebraica. O per la testimonianza su piazzale Loreto (era o non era presente?). O (soprattutto) per il nodo “fascismo/antifascismo” che rappresenterà una costante delle sue molte stagioni sino allo sdoganamento della sinistra dopo la chiusura di partita con il Giornale e la breve, intensa e amara avventura della Voce, in aperta contrapposizione all’ex amico (e per i conti del Giornale uomo della provvidenza) Silvio Berlusconi, sceso in politica. Nell’estate le prese di posizione e le polemiche non sono mancate. Una quindicina di giorni prima che deflagrasse nel mondo l’imbarazzante confessione-outing di Günter Grass, il Corriere della Sera del 22 luglio ha pubblicato nelle pagine culturali il testo inedito di una lettera del 1944 destinata all’allora prefetto di Milano Piero Parini «nella quale Montanelli, si legge, per difendersi dall’accusa di “tradimento”, ricostruisce puntualmente la storia del suo distacco dal fascismo», lettera mai inoltrata giudicandone troppo temerario il contenuto l’amico che avrebbe dovuto recapitarla - Gaetano Greco Naccarato -, e conservata dunque a futura memoria. Due giorni dopo il Corriere ospiterà un intervento proprio di Gerbi e Liucci ispirato da quella lettera, nel Il mondo incontaminato dei Paesi del Sud è una leggenda, ma un mondo ideale da contrapporre all’inferno corrotto e degradato dell’Occidente. La letteratura d’avventura dell’Ottocento ha ricamato molto sul tema. Dal nostro Salgari a Stevenson, da Dafoe a Kipling sino ad arrivare a Conrad e London. Una metafora della vita, delle speranze, degli ideali naufragati nel primo Novecento. Il meticcio è il libro d’esordio di Angelo Roma. John, il protagonista nativo dei mari del Sud, apprende la lettura da un vecchio capitano della Marina britannica. Decide di emigrare in Occidente consapevole di voler diventare uno scrittore. Angelo Roma propone in una favola le nuove avventure di un Robinson Crusoe letterario. Inserendosi nella civiltà il protagonista scopre anche l’ipocrisia e la cattiveria. Inaspettatamente arriva il successo e l’amore di una donna, grazie alla benevolenza del padrone che lo spinge a scrivere. L’autore affida allo sguardo ingenuo e puro del Meticcio il compito di mettere in evidenza assurdità e contraddizioni. È un romanzo senza legami con la realtà del tempo che ignora gli eventi storici drammatici del secolo breve. Riflessioni attuali e provocatorie, ma molto scontate e banali con un linguaggio minimale ed essenziale, dove il soggetto viene posposto al verbo, quasi per mento montanelliano nei confronti del suo giovanile fascismo. Primo: Montanelli non negò mai il proprio passato fascista, né mai usò le consuete attenuanti della “fronda” per vantare, nel dopoguerra democratico, precoci attestati di antifascismo (...). Secondo: Montanelli non si comportò mai come i tanti, tantissimi intellettuali (di cui per carità di patria è opportuno una volta tanto omettere i nomi illustri) che nella loro seconda vita di “redenti” nell’Italia postfascista e antifascista si impegnarono a cancellare le tracce della loro prima vita, insomma del loro precedente fascismo. Questo fu il vantaggio di cui Montanelli, dopo il ‘44, non ebbe mai modo di godere, semplicemente perché il grande giornalista non volle adeguarsi. Un bastian contrario. O forse un uomo con la spina dorsale diritta». Chi ha avuto la fortuna di conoscere Montanelli e il privilegio di lavorargli accanto, sia pure nei contrasti che la vita e la professione inevitabilmente disseminano, non si chiede chi sia stato e cosa abbia rappresentato: lo sa perfettamente. Sandro Gerbi e Raffaele Liucci, Lo stregone. La prima vita di Indro Montanelli, Einaudi, 2006 Dimitri Verhulst Problemski Hotel Angelo Roma Il meticcio di Filippo Senatore quale vengono elencati alcuni “pedaggi” pagati da Montanelli al regime dal ‘38 al ‘43 (tipo la denuncia al Minculpop di un alto funzionario da lui considerato poco leale al regime, l’incarico di scrivere un libro sull’Albania, l’invio di un articolo al direttore Borelli «che forse potrà servirVi in tema razzista», l’elogio della cultura della Gioventù hitleriana, articoli schierati sul nuovo regime filofascista instaurato in Romania, l’incarico, all’inizio del ‘41, da parte del Minculpop, di inviare notizie riservate dal fronte greco-albanese) compensati dai «non rari spunti di “fronda”» come il richiamo elevatogli da Pavolini per la denuncia di una spia dell’Ovra che riferisce apprezzamenti critici di Montanelli su Mussolini ascoltati in luoghi pubblici e i contatti con Maria José e personalità antifasciste di area liberale. Sulla stessa pagina del Corriere “la replica” porta la firma di Pierluigi Battista: «Nel loro cortese intervento, Sandro Gerbi e Raffaele Liucci non sottolineano abbastanza che, con la sua lettera a Piero Parini, Montanelli, dal carcere, non aveva nessun interesse a negare di avere avuto “vantaggi” dal regime fascista (...). In questo dettaglio trascurato da Gerbi e Liucci, si nasconde la peculiarità dell’atteggia- rallentare un’azione effimera e transeunte. Il protagonista sembra vivere solo delle letture di Dickens, Tolstoi, Shakespeare e dei Vangeli in un ritiro atemporale che gli permette di trovare creatività letteraria, inventando un personaggio quasi come una sorta di alter ego alla ricerca di valori perduti. Ma l’epilogo sembra fine a se stesso e non trova uno sbocco se non il ripetitivo e abusato ritorno allo stato di natura. “Se gli uomini osserveranno questi precetti conseguiranno il regno di Dio sulla terra e il più alto grado di felicità accessibile ai mortali. “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato. Noi invece cerchiamo il resto e ci sorprende di non trovarlo.Ecco dunque lo scopo della mia vita. Appena raggiunto uno, n’è cominciato un altro!”. Da quella notte si iniziò infatti per Necliudov una vita nuova, non solo perché mutarono le condizioni della sua esistenza, ma perché tutto ciò che accadde da quel momento in poi assunse ai suoi occhi un significato diverso. Come si concluderà il nuovo periodo della sua vita, lo dirà l’avvenire.” (Leone Tolstoi, da Resurrezione). Angelo Roma, Il meticcio, PeQuod Editore, pagine 107, euro 13,00 di Sabrina Peron Dimitri Verhulst, scrittore e giornalista belga, nel dicembre 2001 viene incaricato dalla rivista Deus Ex Machina di scrivere un articolo sui rifugiati. Egli decide di immergersi nella notizia trascorrendo un certo periodo nel centro di permanenza Totem della cittadina belga di Arendonk. Da questa esperienza, oltre al reportage per la rivista, Verhulst ricava materiale per un libro di brevi racconti Problemski Hotel , la metà dei quali - come ci avverte l'autore - “è inventata, anche se nessuno di essi contiene una sola bugia”. Si tratta di storie di uomini e donne disperati in fuga dall’orrore e in viaggio verso la speranza, che si trovano a dover forzosamente sostare in quella sorta di terra di nessuno che sono i centri di accoglienza. In questi luoghi di indeterminazione extratemporale ed extraterritoriale nei quali vengono rinchiusi, le loro vite sono sospese in attesa di imperscrutabili decisioni burocratiche ed in questa attesa essi - come il misterioso animale de La tana di Kafka - oscillano irresoluti da una preoccupazione all’altra sperimentandone tutte le angosce. Ne esce fuori un libro volutamente scorretto e cattivo, scritto con un linguaggio crudo ed essenziale, che rifugge dai soliti racconti edulcorati che mirano a suscitare una facile pietà nei lettori. Perché è la pietà il cuore del problema: occorre un fotografo che faccia circolare fuori immagini nauseabonde; occorre esercitarsi a fare una faccia triste così che l’inarrivabile potere burocratico che ne amministra a piacimento le vite, possa credere, e giustificare, l’ingresso nel Forte Europa perché si ha “la vagina orribilmente mutilata” e non si vuole che alle proprie figlie tocchi la stessa sorte; occorre andare in giro “con una faccia da calendario di un’associazione no profit”; ed ancora occorre surclassare tutti gli altri con le proprie disgrazie, perché se uno dice che “i militari del suo paese gli hanno spezzato due gambe, l’altro risponde che nel suo paese è peggio, che i militari gli hanno spezzato tre gambe. E così naufraga ogni speranza perché come fa uno con due gambe rotte ad ottenere asilo politico se non l’hanno concesso a uno che di gambe rotte ne ha tre?” Il libro termina con una postfazione dello stesso autore che constata amaramente come al termine della prima stesura del manoscritto, nessuno dei vari rifugiati a cui il libro si era ispirato aveva ricevuto parere positivo: alcuni erano tornati spontaneamente al loro paese, altri erano stati rimpatriati con la forza, altri ancora infine erano scomparsi o vivevano nell’illegalità. Dimitri Verhulst, Problemski Hotel, Fazi Editore, 2006, pagine 121, euro 13,50 ORDINE 9-10 2006 Carlo Graffigna I pleniluni dell’orilanto di Alberto Roccatano Agostino Picicco Padre Agostino Gemelli di Massimiliano Lanzafame Un libro rivolto ai giovani per avvicinarli, nel loro cammino di crescita personale, a una delle figure più emblematiche della cultura italiana del XX secolo: padre Agostino Gemelli. Con linguaggio semplice e un taglio divulgativo, l’autore, racconta le vicende che hanno animato la vita del fondatore dell’Università Cattolica. Una vita intensa che ha attraversato due guerre mondiali e irta di sofferenze, con due incidenti automobilistici che l’hanno costretto a trascorrere diciannove anni tra bastone e carrozzina. Questi eventi negativi non hanno, però, mai fermato padre Gemelli che ha continuato a operare, scrivere e organizzare anche nella difficoltà, sospinto com’era da uno spirito indomito e da una incrollabile fede. Ai giovani studenti era solito dire: “Lavora finché sei stanco morto, addormentati con la testa piena di programmi per l’indomani”. Aveva un volto all’apparenza burbero dietro il quale, in realtà, si celava una persona di squisita delicatezza, pronta ad ascoltare e aiutare chiunque. Dalle pagine del libro emergono altre storie e altri personaggi di grande valore: Armida Barelli, Ludovico Necchi e Francesco Olgiati. Sono gli amici e i più stretti collaboratori di padre Gemelli, che hanno condiviso con lui il progetto dell’università Sacro Cuore. Nella seconda parte del testo, invece, sono presentati degli scritti del protagonista, che ne mettono in luce ancor di più la grande personalità. Mentre nella parte finale vi è un glossario, che dà brevi spiegazioni su persone, luoghi e fatti della narrazione, permettendo al lettore di collocarli nel giusto contesto storico, sociale e religioso. Agostino Picicco, Padre Agostino Gemelli, Edizioni Messaggero, Padova 2005, pagine 166, euro 9,80 Massimo Picasso Il gemello di Dio di Massimiliano Lanzafame È ancora possibile dire qualcosa di nuovo su Dio? Pare proprio di sì. Ci pensa Massimo Picasso, una vita alle spalle nel mondo dell'editoria, che percorre strade non convenzionali e confeziona un “giallo teologico” dai risvolti sorprendenti. Il suo protagonista è tormentato dalle immagini di guerra e di violenza che gli passano davanti agli occhi, soprattutto quelle sui bambini, e si domanda dove sia finito Dio davanti a tale orrore. Decide così di mettere un annuncio sul Corriere della Sera in cui dice di voler incontrare e conoscere Dio, e di essere anche a disposizione di eventuali intermediari, “purché serissimi, disinteressati e introdotti nell'ambiente”. Qualcuno gli risponde e gli dà un appuntamento. Si presentano due ragazzi normalissimi, un dandy e un capomastro, praticamente due “angeli”. Inizia così il travagliato percorso interiore alla ricerca di risposte, che lo porterà ad incontrare alcuni personaggi singolari, con cui rivivrà, tra gioie e sofferenze, le contraddizioni della vita. Accompagnato da un sottile filo di angoscia e con un crescendo di intrecci e suspance, tra morti misteriose e “angeliche” apparizioni, il protagonista comporrà il puzzle della verità. Indagherà sui lati più oscuri dell'essenza di Dio, di cui avverte l'indecifrabile esistenza, fino ad avanzare un'ipotesi sconcertante: che anziché un Dio, ne esisterebbero due. Due gemelli, entrambi sovrani, che starebbero in eterna lotta tra di loro per il dominio sul mondo. Uno rappresenterebbe il principio del bene che chiamiamo Dio e l'altro il principio del male che chiamiamo Satana. Una teoria per certi versi sconvolgente, che potrebbe turbare la sensibilità di qualcuno facendo riflettere il lettore sulle sue posizioni. Massimo Picasso, Il gemello di Dio, Anima Edizioni, Milano 2005, pagine 307, euro 18,90 Le seppie, quando sanno che un predatore le sta per aggredire, si nascondono alla vista spruzzando una nuvola di inchiostro nero e si dileguano. È quel nero che serpeggia in questo romanzo. L’illusione si comporta come la seppia che, per sfuggire alla presa della realtà, si immerge nel buio più fitto, mentre la realtà si scopre a stringere nel pugno il vuoto del dubbio. È la storia di un anello di orilanto che passa di mano in mano, in un ospedale psichiatrico. Un talisma- Qualcuno ha ucciso il generale segna il ritorno di Matteo Collura al romanzo, dopo le lontane e straordinarie storie corali di Associazione indigenti (1979) e Baltico (1988). Non che negli anni intermedi egli non avesse scritto libri con ritmo narrativo. Il ritorno alla narrazione per Collura non è quindi del tutto vero, perché ha continuato sempre a farla, anche quando l’urgenza di dipingere certe realtà italiane e siciliane l’hanno indotto a scegliere la forma del saggio, ma in chiave appunto narrativa (come nel libro In Sicilia o in Alfabeto eretico). Qualcuno ha ucciso il generale non è perciò un vero “ritorno”, ma un’evoluzione, e la prova appare arricchita dall’esperienza saggistica accumulata negli ultimi dieci anni. Pertanto la storia del generale garibaldino Giovanni Corrao, deluso dal prosieguo delle vicende italiane dopo l’unificazione, al cui processo ha contribuito partecipando alla spedizione garibaldina fino alla battaglia sul Volturno, e al successivo tentativo di Garibaldi di ripetere l’operazione nel 1862 con l’obiettivo di liberare Roma dal Papato e farla diventare capitale del Regno, è la storia di una disfatta spirituale e di una “morte annunciata” perché, come sempre accade nei delitti di mafia, era stato emarginato e lasciato solo. Egli avrebbe voluto che il programma rivoluzionario dei ORDINE 9-10 2006 garibaldini si realizzasse interamente: non tanto nella forma repubblicana, perché aveva capito che l’unità del Paese era al di sopra di tutto, ma nelle riforme auspicate e promesse verso una giustizia sociale, un ammodernamento delle strutture istituzionali, una riforma agraria, un programma di investimenti industriali, e gli altri punti del programma garibaldino. Ma di tutto questo non si verificò nulla. Garibaldi si ritirò a Caprera, sdegnato proprio perché il rinnovamento da lui promesso venne rinnegato da Cavour e dai suoi successori alla direzione del governo e giorno dopo giorno affossato. Le industrie del Sud furono smantellate, i finanziamenti cominciarono a fluire verso il Nord per lo sviluppo industriale. I soldati garibaldini non vennero accolti nell’esercito regolare come era stato promesso e furono mandati a casa come straccioni. Il Sud fu messo a ferro e a fuoco dalle truppe piemontesi di occupazione. L’impoverimento generale del Sud costrinse i contadini ad emigrare, dopo il fallimento della rivolta legittimista (a favore di Francesco II, che teneva corte a Roma, ancora ufficialmente Re delle Due Sicilie, da dove era stato costretto all’esilio volontario per non diventare prigioniero del cugino Vittorio Emanuele II che fino all’ultimo gli mentì dichiarando che non aveva mire di conquista), ma non aveva né abdicato né era stato detronizzato. Il generale Corrao (il titolo gli fu conferito da Garibaldi sul campo per valore militare) aspettava di riprendere l’azione prima o poi, quando si fossero verificate le condizioni favorevoli: la chiamata alle armi dei volontari da parte di Garibaldi per fare la marcia su Roma lo trovò pronto con i suoi “picciotti” che all’appello arrivarono tutti, conquistati dai suoi proclami anche se magari non li capivano. Ma quando sull’Aspromonte Garibaldi fu ferito a una gamba da una fucilata di un soldato dell’esercito regolare italiano, semplice continuazione di quello piemontese, fu chiaro a tutti, anche a Corrao, che ormai non si potevano più cullare illusioni. Il processo di rinnovamento era stato definitivamente rinnegato e riprendeva vigore il partito dell’arroganza, della corruzione, dell’immobilità sociale, dell’ingiustizia, che in Sicilia si identificavanocon la nobiltà “gattopardesca” immortalata dal grande romanzo di Tomasi di Lampedusa. L’idea forza di Corrao, cioè che la rivoluzione avrebbe potuto comunque riprendere vigore in futuro, era da annientare, perciò nessun esponente delle istituzioni gli prestò più attenzione. Il generale fu abbandonato da tutti, restò isolato, gli arrivarono persino segnalazioni che qualcuno gli avrebbe teso un agguato. Ma continuò a fare la sua normale vita, andando e ritornando dal suo podere, accompagnato dal suo fido ex attendente. I due colpi di fucile lo uccisero mentre tornava a casa sul calesse, come il padre della “cavallina storna” di Pascoli. E questa scena è raccontata da Collura con una visionarietà filmica, in una sequenza rallentata per fissare i particolari strazianti della morte. Il romanzo può ben essere definito “storico/poliziesco”. Non nel senso dei noir che oggi pullulano nelle collane di tutte le case editrici. Collura non risponde all’esigenza commerciale di una moda che da alcuni anni rende. Usa il metodo dell’inchiesta quasi poliziesca alla maniera di Sciascia: per riscrivere una realtà negletta anche senza prove documentali, per spiegare succintamente che il delitto è dentro uno scenario storico, in cui si agitano alcuni personaggi veri dell’epopea garibaldina da Garibaldi a Crispi, da Bixio a Rosolino Pilo, nell’anno 1863 e nel mese d’agosto, a circa un anno dall’avventura garibaldina dell’Aspromonte. Collura non scrive solo un romanzo, fa anche un lavoro di contestualizzazione del passato storico, datato all’agosto 1863, con il presente. Collura parte, nella sua lunga indagine, da una fotografia che ritrae la mummia di Corrao, rinvenuta nella cripta dei Cappuccini a Palermo, tra due parenti e risale alle vicissitudini che nell’arco di cento anni avevano oscurato la fama, il ricordo, l’esistenza di questo “eroe” ombroso, gigantesco, passionale, esoterico. Egli continuò a coltivare Carlo Graffigna, I pleniluni dell’orilanto, Corponove Editrice, Bergamo 2005 pagine 176, euro 14,00 Carlo Graffigna Montanaro di pianura La montagna, quando diventa innamoramento, ti attira come il magnete fa con il ferro. Ti scoprirai valligiano nel cuore e nel sangue. Scoprirai la montagna capace di prendersi cura della tua salute ma anche di proteggere e mantenere fuori dal tempo il bambino di pianura che eri e che se ne innamorò. E poi, vuoi mettere.., un posto, nell’alta Val Brembana, dove si trova un antico ponte romano, per quanto fuori dal mondo deve essere un posto interessante; se poi aggiungi un lungo serpente con le ali, sibilante nel cielo notturno, che i vecchi del posto giurano di aver Matteo Collura Qualcuno ha ucciso il generale di Ottavio Rossani no, (sfilato dal dito di una donna dormiente in una grotta da millenni, in un deserto verso i confini del Turkestan) capace di realizzare i desideri durante le notti di plenilunio. Uno scambio di corpi, un amore raggiunto. Ma se la realtà riesce a toccare l’illusione costringendola a mostrare la verità che nasconde, il solo contatto scatena la folgore e il nero tizzone diviene il suo nuovo nascondiglio. il sogno di una rivoluzione che potesse cambiare la situazione sociale in Sicilia, e di conseguenza in Italia. “Da due anni sono circondato da una rete di spie per insidiare i mie andamenti e i miei pensieri”, scrisse Corrao al giornale di Crispi, il Precursore. “Perché tanta attenzione della polizia nei suoi confronti?”, si chiede Collura. E tutto il libro cerca di rispondere al quesito. La prova sul movente, sugli esecutori e sul mandante dell’omicidio non c’è. Ma la logica della narrazione surroga la mancanza di documenti certificali. “Qualcuno” - come chiosa il titolo del libro - ordinò l’uccisione del generale perché non desse più fastidio. Il generale Corrao doveva morire perché tutti capissero che i sogni rivoluzionari dovevano essere messi nel cassetto. Per un eroe come Corrao che godeva di un grande consenso popolare, la soluzione era il mandato a un clan mafioso di eliminarlo: questo è quel che pensa Matteo Collura. E ci arriva dopo aver visitato i luoghi che ricordano le imprese di Corrao, dopo aver visionato qualche ritaglio di giornale che raccontava all’epoca il funerale, la vita, le azioni di Corrao. Pur in mancanza di documenti esaurienti, Collura risale verso la presumibile verità attraverso la letteratura, perché come diceva Leonardo Sciascia “la letteratura è verità”, non la sola verità ma una verità possibile. Per raggiungerla Collura dipinge i visto, in qualche occasione, allora è anche un posto magico. Un posto dove rubano le acque ai focosi torrenti per farci centrali elettriche. E, si sa, con le centrali arrivano le strade, e con le strade arrivano i pigri. La montagna, allora, si ritira sempre più su, per farsi raggiungere, a piedi, solo dai cocciuti montanari e dai solitari rocciatori. Quasi ottant’anni del ‘900 scorrono intense in queste pagine. Da leggere. Carlo Graffigna, Montanaro di pianura, Corponove editrice, Bergamo 2005, pagine 160, euro 14,00 ritratti “umani” degli eroi imbalsamati nell’oleografia del Risorgimento (da Garibaldi a Bixio a Crispi a Vittorio Emanuele II): fissa tali figure nelle loro debolezze, sfrondandole dal vecchiume delle agiografie. Ne esce un affresco dei primi anni dell’Italia unitaria fuori dagli schemi scolastici cui ci hanno abituato centocinquant’anni di retorica patriottica. Collura scrive in un italiano “visivo”, quasi con una tecnica filmica. Mentre leggiamo ci sembra di vedere scene in movimento, magari ritagliate al rallentatore per darci la dimensione del tempo che scorre lento e inesorabile davanti e dentro la tragedia. Immagini, personaggi e luoghi che le parole di Collura, di volta in volta moderne e solenni, infuocate o raffreddate, simpatiche o odiose, risonanti o opache, indignate o suadenti, ci offrono in una luce vivida che illumina dubbi e incertezze, ma che non riesce a cancellare del tutto le ombre della storia e del presente. Una prova narrativa di grande esito stilistico e ritmico, in un gioco di invenzione e di verifica. Un modo di raccontare che è tipico di una vasta schiera di scrittori latinoamericani. Vengono in mente il Garcia Marquez di Nessuno scrive al colonnello o il Manuel Scorza di Rulli di tamburi per Rancas. Un modo di narrare, epico-lirico-civile, molto vicino a quel realismo magico che in Italia purtroppo è poco frequentato, ma che in America Latina riesce ancora addirittura a smuovere le folle. Matteo Collura, Qualcuno ha ucciso il generale, Longanesi 2006, pagine 156, euro 13,00 29 LIBRERIA DI TABLOID Philip Meyer Giornalismo e metodo scientifico, ovvero il giornalismo di precisione di Giuseppe Prunai Perplessità, dubbi, interrogativi: è ciò che resta della lettura di questo testo da parte di un giornalista. Il primo interrogativo riguarda l’anno della prima pubblicazione del libro negli Stati Uniti: il 1973. È ancora attuale un trattato scritto ben trentatré anni fa? Forse, da allora, sono cambiate un po’ di cose. È cambiato il modo di fare giornalismo, sono cambiate le esigenze del pubblico, sempre più abituato ad avere l’informazione di base da radio, TV e web e approfondimenti e commenti dalla carta stampata (ma poi vi sono delle geniali commistioni di ruolo fra i vari media). E poi: è possibile un raffronto tra il pubblico americano e quello europeo in generale e italiano in particolare? Probabilmente no per un cumulo immenso di motivi, primo fra tutti il diverso retroterra culturale, la diversa animosità con la quale da noi si vive l’attualità, dalla politica, alla cronaca nera, il diverso spirito critico, l’ironia caustica fino al cinismo. A parte ciò, il libro è un pregevole trattato, ma non si capisce di cosa. Certo, non di giornalismo soprattutto non di quel “new journalism” che viene sbandierato nella prefazione e nell’introduzione: dopo 33 anni, quel “new” è divenuto un reperto archeologico. Molte le tematiche affrontate: dal calcolo delle probabilità (spiegato in modo discutibile) alla raccolta dei dati per i sondaggi. Tutte cose interessanti ma che riguardano altri mestieri. Poi si proclama solennemente che le interviste vanno preparate e non fatte estemporaneamente, alla garibaldina. Ma davvero? E allora perché non spiegare la tecnica di scrivere un pezzo a domande sottintese oppure quella di fare un’intervista a domande selettive per strappare un commento a chi non vuol commentare? Sono alcune delle tecniche del cosiddetto “giornalismo di precisione”, note a tutti i colleghi. Da quelli che escono dalle più decantate scuole di giornalismo, quanto da quelli che si sono diplomati sul campo, facendo la cucina, facendo la gavetta nei commissariati di polizia, nei tribunali, nelle strade della propria città o seguendo le più paludate conferenze stampa. Su un tema mi trovo d’accordo con il testo di Meyer, l’estrema prudenza nel trattamento dei dati elettorali a scrutinio ancora in corso, nella diffidenza verso i sondaggi, lo scetticismo nei confronti degli exit poll, i limiti delle proiezioni. Comunque, questo Giornalismo e metodo scientifico è un ottimo spaccato del giornalismo americano degli anni 70. Senz’altro molto utile agli studiosi della storia della comunicazione mediatica, ma non di più. E poi sarebbe ora di chiudere una volta per tutte nell’armadio i miti del giornalismo americano. Francesco Bacone diceva che la conoscenza passa per la liberazione da certe convinzioni presenti nella nostra mente, da certi pregiudizi che limitano la possibilità di conoscere in modo oggettivo la realtà, dai miti, dai feticci che il filosofo inglese chiamò gli “idola”, gli idola specus, tribus, fori e theatri: quattro parole nelle quali ogni collega potrà riconoscere i propri condizionamenti e autocondizionamenti. È cancellando certi simboli e certe incrostazioni culturali che si può costruire un giornalismo italiano moderno. Ovviamente di precisione. Philip Meyer, Giornalismo e metodo scientifico, ovvero il giornalismo di precisione, Luiss University Press, Armando Editore, pagine 255, euro 24,00 A. Bevere e A. Cerri Il diritto di informazione e i diritti della persona di Sabrina Peron Il volume di Antonio Bevere e Augusto Cerri è dedicato e al diritto dell'informazione, inteso quale articolazione del più ampio diritto di manifestazione del pensiero che, a sua volta, risponde a un bisogno insopprimibile dell’uomo. Il diritto all’informazione, che si pone in stretta connessione con il più ampio diritto alla libertà di espressione, si declina non solo quale diritto di informare e di informarsi liberamente, ma anche quale di- 30 ritto a non essere impediti dalla ricezione di informazioni, nonché a quello di ricevere informazioni adeguate. Tale diritto, di vitale importanza in ogni ordinamento democratico, non si esaurisce al campo della mera cronaca, ma si estende alla critica, in tutte le sue svariate forme, che vanno dal radicale dissenso, all’attacco veemente, ai toni ironici o satirici. Il libero pensiero difatti può germogliare solo nel vasto mondo di tutte le idee possibili, con le quali si deve quotidianamente cimentare, perché la vita Marino Livolsi e Ugo Volli Rumore e pettegolezzi di Franz Foti È bastata la spinta inesorabile del mezzo televisivo per dare “dignità” alle comunicazioni leggere: pettegolezzi o rumor che si vogliano. Negli anni ‘50 veniva considerato pettegolezzo la produzione di notizie che si accompagnavano alla pubblicazione di riviste - fumetto come Bolero e Grand Hotel. Ma c’erano anche settimanali più blasonati che trattavano il pettegolezzo con grande cura, popolati di re e regine, attrici e attricette, insieme a servizi e reportage di tutto rispetto. Qualche testata è ancora sopravvissuta. Ora siamo sul piano nobilitato del pettegolezzo: il gossip. Nel dopoguerra marciava il desiderio di leggerezza, il bisogno di spensieratezza, sempre alla ricerca di un lembo di felicità che la tristezza e la ferocia del conflitto avevano cancellato nel volto di tutte le generazioni. Dominava la scarsità e le macerie della guerra erano visibili per lungo tempo. Di tutto ciò non è rimasta alcuna traccia. La modernità è qualcosa di diverso, ma non si riesce più a capire a quali rumori ci si riferisce, da quale epicentro scaturisce il bisogno d’infilare lo sguardo nelle pieghe dell’anima altrui. C’è di nuovo bisogno di leggerezza per eccesso di carico emotivo, per stress da fatica, per patologia da benessere, per solitudine, per egoismo, rifiuto della complessità e del pensiero critico. Marino Rivolsi e Ugo Volli, insieme a Guido Ferraro, Anna Col avita, Ivan Sartori, Barbara Gasparini, Nicoletta Vittadini e Pierluigi Basso, hanno voluto rimettere in campo i confini della parola, del gesto, dell’evento e del luogo, per attraversare le dinamiche dei comportamenti che legano e inchiodano le persone al rumor, al pettegolezzo. Gli autori ripropongono la comunicazione leggera che viene a scuotere la sensibilità sociale attraverso il medium, politica e sociale non è altro che un’eterna ricerca che non può vivere senza contraddittorio e senza dialettica. Su questa fondamentale premessa, gli autori tracciano il quadro delle soluzioni proposte - non solo in ambito giuridico ma anche in quello filosofico - al problema dell’esercizio di tale diritto. Difatti, la libertà di manifestazione del pensiero può trovare sì un limite in altri principi o beni protetti dalla Carta costituzionale, ma è tuttavia difficile delineare tali limiti, quando l’esercizio di tale diritto è veicolo di verità, soprattutto quando questa verità attiene a valori sommi dell’uomo e della convivenza sociale. Non a caso, la nostra Costituzione, fonda un cittadino che, non solo è parte integrante di una società che riconosce pari dignità e libertà di realizzare e unico e incontrastato imperatore dell’ascolto semplice ed emotivo. In questo mondo s’intrecciano gli stili di vita, il sé ideale che ciascuno si costruisce, l’appartenenza socio culturale. E dentro questi tracciati ben affilati, raccontati, si entra nell’anima della gente. Qui scorrono la carenza di tensioni, lo scoramento, lo scollamento sociale, le insoddisfazioni, le aspettative e il sogno. Forse scontiamo anche un calo di valori e vuoti ideologici. In questo coacervo emotivo dondolano la cultura e le emozioni del tempo. Di questo tempo. In questi passaggi il lavoro di Rivolsi e Volli si rivela molto interessante. Analizza la diffusione del reality, l’uso calcolato del “banale” come alfabetizzazione mediatica. Passa in rassegna il Grande Fratello, ormai noto come GF, gabbia emotiva e mentale, luogo in cui ci spinge la televisione, ponendo se stessa al centro dell’universo mediatico. Ci presenta la televisione che si progetta, si autoproduce, inventando eventi, personaggi situazioni. Troviamo la visibilità mediale, teatro inventato, ma verosimile, smascheramento delle difformità, lo schema classico del bello, del brutto, del buono e del cattivo. C’è il sentimento popolare nutrito di normalità e perversione. In questo lavoro c’è tutto. C’è la politica, il quartiere, l’ambiente di lavoro, l’intimo e il collettivo, il vero e l’inganno. C’è il profilo sociale dell’oggi. Il dopo è già incerto, perché sfera pubblica e privato mutano rapidamente. Di queste pratiche è intrisa anche la politica. I nostri politici pensano che il pettegolezzo sia uno svago, e se colpisce illustri colleghi ancora meglio. Forse è il momento di capirci di più e subito. Questo volume lo consente. Leandro Castellani Te la do io la tivù di Emilio Pozzi Marino Livolsi e Ugo Volli, Rumore e pettegolezzi, Franco Angeli, Milano 2006, pagine 142, euro 14,00 Quanta ironia e quanta amarezza in questo minuscolo libro di Leandro Castellani, regista, inventore del Teatro-inchiesta al tempi della Tv intelligente! E il sottotitolo (La menzogna eretta a sistema nelle riflessioni di un teleterrorista) e la citazione iniziale di Karl Popper (Una democrazia non può esistere fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto.Ma allora sarà troppo tardi) guidano nella lettura dei brevi capitoli del pepato volumetto, nato con la complicità di un piccolo editore, Scipioni, che si autodefinisce “anomalo e indisciplinato” . La prima frase del volume mi è sembrata molto esatta: “Nella stampa che si occupa di spettacolo c’è oggi una specie di generica unanimità. Nessuno critica più nessuno”. Ma subito dopo mi sono trovato di parere diverso. Non condivido infatti il tono usato per criticare Benigni, nel senso di Roberto. “…pletorico, arruffone, inventore di una comicità becera e sguaiata, apparentemente iconoclasta e, in realtà, giullare dei potenti, da Berlinguer a cui voleva tanto bene, al Wojtilaccio amato-odiato sino all’approdo a una sorta di scombiccherato buonismo...”. E via di questo passo. Mi sembra strano che Castellani non abbia tenuto presente le radici della commedia dell’arte, quella sì quasi sempre sguaiata, tanto che ci volle un Goldoni a raddrizzarle le gambe, e che non abbia usato il criterio dei grandi “numeri”, cioè una valutazione complessiva sull’iter professionale di un attore, giullare quanto si vuole - ma anche un Premio Nobel come Dario Fo rivendica l’epiteto di giullare per rivedere un giudizio, troppo severo. A parte questa diversità di opinioni su Benigni, certamente imprevedibile ma au- di sviluppare la propria personalità al riparo da ingerenze conoscitive ed interventi manipolatori, ma che è anche titolare del diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero. Tuttavia, una società composta di cittadini informati e critici, non è legittimata a chiedere il perenne ed aprioristico sacrificio dei diritti individuali all’altare del diritto collettivo dell’informazione. In particolare, la Costituzione garantendo il libero e pieno sviluppo della personalità umana in tutti i suoi ambiti, esclude l’ammissibilità di una categoria di soggetti espropriati di ogni tutela della loro persona, in nome delle esigenze dell’informazione. Si crea così quella che gli autori definiscono come una “ontologica confliggenza” tra il diritto di informazione ed i diritti alla reputazione, alla riservatezza ed all’identità personale, di cui ognuno è titolare. Tale confliggenza, crea un delicato gioco di bilanciamento, che si risolve a favore del diritto di informazione, solo se, la comunicazione lesiva degli altrui diritti, attiene a fatti di interesse sociale, veri (o almeno seriamente accertati), nonché espressi in termini correlati e funzionali al livello della manifestazione polemica e del dissenso manifestato. Gli autori, inoltre, ben evidenziano come, se è pacifico che il diritto di informazione abbia radici dogmatiche e costituzionali nell’art. 21 Cost., non altrettanto pacifiche appaiono le radici del diritto di accedere all’informazione (diritto questo necessario per rendere effettiva la consapevole partecipazione del cittadino alla vita democratica del pro- tenticamente sincero, lo scritto di Castellani, lo condivido dal momento nel quale, quasi subito, acquista il tono pungente della satira. Su tutto e su tutti: naturalmente, uno dei primi bersagli è il reality show. Castellani inventa qualche assurda proposta (una prevede lo svolgimento in un ascensore dove sei persone sono rinchiuse per un mese) ma la realtà, di solito supera la fantasia. Anche le figure tipiche della tv, come l’anchorman, il conduttore di programmi leggeri e tutte le tipologie che hanno afflitto i canali (tra pubblici e privati non c’è molta differenza) vengono analizzate, e immerse in bagni di acido solforico, senza alcuna pietà da parte di uno che si definisce “teleterrorista”. Nel “sottofinale” (mutuando il termine dagli spettacoli di rivista) l’autore fa ricorso ad una raffica di citazioni “firmate”, una gragnuola di sassate contro un giocattolo odiato e amato. Due, le più brevi, sono, anche se datate, sinteticamente il pensiero costante di molti: “Domenica pomeriggio: continuano con successo i corsi rapidi domenicali di rimbambimento (Sergio Saviane); Teleamatori: Se mi piace la Tv? Sì, perché si spegne facilmente (Robert Mitchum)”. Leandro Castellani, Te la do io la tv, Scipioni 2006, Valentano (VT), pagine 122, euro 4,00 prio Paese). In particolare viene sottolineato che il diritto di ricevere informazioni non è solo il riflesso passivo del diritto di informare, ma rappresenta anche il correlativo obbligo della Repubblica di eliminare ogni ostacolo di accesso all’informazione e di garantire un’informazione pluralistica. Laddove per pluralismo, non si intende solo la mera libertà di concorrenza in quello che viene chiamato il “mercato delle idee”, ma anche il pluralismo delle fonti da cui l’informazione può essere attinta ed il pluralismo che ricerca la presenza di tutte le idee, anche di quelle scomode e poco vendibili. Antonio Bevere e Augusto Cerri, Il diritto di informazione e i diritti della persona, Giuffrè 2006, pagine 306, euro 29,00 ORDINE 9-10 2006 Gian Antonio Stella Avanti popolo di Filippo Senatore “Nelle vite di essi artefici impareranno dove siano l’opere loro, e a conoscere agevolmente la perfezione o imperfezione di quelle, e discernere tra maniera e maniera; e’ potranno accorgersi ancora, quanto meriti lode ed onere chi con le virtù di sì nobili arti accompagna onesti costumi e bontà di vita; ed accesi di quelle laudi che hanno conseguite i sì fatti, si alzeranno essi ancora alla vera gloria” (Giorgio Vasari). Non è facile descrivere trentasette personaggi dell’Unione in questa nuova fase fluida della politica italiana, dopo cinque anni di governo del centro destra. Gian Antonio Stella senza attendere almeno i cento giorni del governo Prodi, ha giocato d’anticipo e molte sue intuizioni si sono rivelate azzeccate, altre scontate conoscendo il background dei soliti noti. Con Avanti popolo, edito da Rizzoli, l’inviato del Corriere della Sera, completa il suo “bestiario” della nomenclatura politica, dedicandosi questa volta ai ritratti della nuova maggioranza. Così come aveva fatto per la corte berlusconiana, Stella ironizza come il poeta shakespeiriano del Timone d’Atene. “Voi vedete come tutti i ceti e tutti gli spiriti, i più frivoli e vani non meno che i più profondi e austeri, offrono i lo- Ernesto e Sergio Menicucci Annibale Frossi Über Alles e le 32 stelle di Germania 2006 di Massimiliano Lanzafame Olympia Stadion 1936-2006: il cielo è sempre azzurro sopra Berlino. L’impresa compiuta dalla nazionale di Lippi, partita tra le polemiche di Moggiopoli, ricorda quella olimpica degli azzurri guidati da Vittorio Pozzo. Quella nazionale partecipò alle Olimpiadi tra lo scetticismo dei gerarchi fascisti, che ne rimasero volutamente alla larga temendo brutte figure, salvo poi ricredersi, come i nostri attuali politici, per diventarne i più caldi sostenitori. La partecipazione ai Giochi Olimpici era riservata agli atleti dilettanti, così il ct-giornalista Pozzo trovò un escamotage, formare una rosa di studenti universitari. In realtà erano tutti professionisti, ma invece di prendere soldi ricevevano in cambio borse di studio. Tra i giocatori si mise in luce Annibale Frossi, l’ala che giocava con gli occhiali, in quanto miope, ma che davanti alla porta ci vedeva benissimo, tanto da risultare il capocannoniere del torneo con ben sette reti. Annibale Frossi fu autore del gol decisivo nella finale, quel 15 agosto del 1936 contro l’Austria, davanti ai novantamila spettatori dell’Olympia Stadion che tifavano apertamente per i nostri avversari. Al secondo minuto dei tempi supplementari un Frossi irresistibile mise il pallone in rete, con una finta, dopo una veloce azione dell’intero reparto d’attacco. Dopo aver vestito la maglia del- Giandomenico Crapis Televisione e politica negli anni novanta di Emilio Pozzi Sono molto efficaci e illuminanti i titoli dei capitoli che scandiscono gli ultimi dieci anni del ventesimo secolo: Il partito dei media, Il partito mediale, Finisce il talk show?, Senza regole. E riflettendo sul titolo del volume di Crapis (Televisione e politica negli anni novanta) viene da chiedersi: la politica ha influenzato la televisione o la televisione ha influenzato la politica? Un buon esercizio di analisi, con una risposta difficile (la questione non è ancora risolta adesso che il primo decennio ORDINE 9-10 2006 del ventunesimo secolo si è consumato al sessanta per cento). Certo che questo nuovo contributo di Crapis alla riflessione sulla storia della comunicazione televisiva in Italia va considerato tra gli strumenti di consultazione più indicati per rileggere, fra cronaca e storia, gli avvenimenti che l’autore, nella premessa nella quale dà giustamente ruolo di protagonista l’opinione pubblica, ha chiamato, a rischio di semplificazione “i dieci anni che sconvolsero i rapporti tra politica e tv”. La convulsa accumulazione di fatti, nello scenario del mondo puntualmente raccontati at- ro servigi al nobile Timone”. Le maggiori perplessità di Stella riguardano l’eterogeneità dei trentasette politici, vecchi e nuovi che rappresentano il ceto politico della maggioranza di governo. Ma al contempo svela una “potente astrazione, un pragmatismo” di pasoliniana elaborazione. Descrive leader, vice ed aspiranti vari senza indulgenze ideologiche. Al di là dei pregi e dei difetti la politica non più dei partiti ma dei personaggi, diventa un’iperbole dai caratteri bizzarri, eccentrici e surreali. Se ci fermassimo alle etichette di Strapaese non comprenderemmo il lavoro certosino dello scrittore il quale scopre aneddoti, episodi e dichiarazioni sottoponendo il personaggio ad una radiografia e ad un giudizio non sempre benevolo, a volte caustico. Il linguaggio è colorito con citazioni proverbiali che definiscono i sacri lombi dei vip italici. La definizione dei coniugi Mastella: “ Potere e torroncini dei Clinton di Ceppaloni; quella di Bassolino: “Lo chiamavano il Toni Blair of Afragola”. A proposito di Diliberto: “Con gli amici è di bocca buona. Basti ricordare come difese a spada tratta Nicola Grauso, suo testimone di nozze, anche dopo il rinvio a giudizio (bancarotta) per il fallimento della cartiera di Arbatax e l’accusa di avere estorto un miliardo al padre della rapita Silvia Melis”. Una citazione da Cuore, settimanale di resistenza umana: “Veltroni tratta con il virus Ebola. Clamoroso successo diplomatico del Cavour pidiessino”. L’autore, come in una scena di Anni Ruggenti di Luigi Zampa, annota: “Mucche così sono l’orgoglio dell’Italia”, sentenziò. “Scusi ministro è un toro”, gli spiegarono. Da quel momento sabato 28 ottobre 2000, Fiera della Zootecnia, Alfonso Pecoraro Scanio sarebbe stato perseguitato dalle battute. Nel ginepraio in cui si svolgono le biografie dei vecchi e l’Inter, la favola di Frossi continuò da allenatore, nelle squadre di mezza Italia, quando per le sue idee rivoluzionarie fu definito da Gianni Brera il “Dottor Sottile”. Fautore dello schema a “M” ci teneva tantissimo che i suoi giocatori rispettassero certi schemi di gioco e fu, per questo, un anticipatore delle teorie rivedute e perfezionate, da Helenio Herrera, negli anni sessanta, e da Arrigo Sacchi negli anni novanta. La seconda parte del testo è, invece, una carrellata sulle “stelle” del Mondiale 2006, da Ballack a Ronaldinho, con una breve, ma alquanto affascinante storia delle sfide mondiali: dalla prima Coppa Rimet del 1930 vinta dall’Uruguay al Brasile “Pentacampeon” in Corea 2002. Gianni Borsa Cantiere Europa dei nuovi politici, si rivela il grande abisso tra passato e presente. Per Moisei Ostrogorski il partito di fine Ottocento è una macchina di manipolazione che “fa appello meno alla ragione eccitando di preferenza quelle emozioni che turbano la capacità di giudizio e che rendono prigioniera la volontà”. All’inizio del nuovo millennio italiano, grazie alla concentrazione del potere televisivo la situazione è peggiorata . Oggi, secondo Gian Antonio Stella, per entrare in politica non è più necessario frequentare un partito. Prima bisogna diventare noti e il mezzo televisivo è l’unico pass che ti permette di bruciare le tappe. Non bastano le apparizioni nelle manifestazioni se mancano i media. Chi ti nota in mezzo a centinaia di persone più intelligenti di te? Stella con qualche battuta fulminea spiega gli arcana: “Una certa notorietà con qualche ospitata al Maurizio Costanzo Show e battute folgoranti”. Una volta il segreta- di Massimiliano Lanzafame Ernesto e Sergio Menicucci, Annibale Frossi Über Alles e le 32 stelle di Germania 2006, www.lulu.com, Edizione 2006, pagine 127 Quale informazione sull’Europa e dall’Europa? C’è davvero nella gente il desiderio di conoscere la variegata realtà europea? Sono alcuni dei quesiti che si pone Gianni Borsa, giornalista professionista, che da anni segue, per l’agenzia Sir di Roma, le attività delle istituzioni dell’Unione Europea a Bruxelles e a Strasburgo. Nel libro sono raccolti diversi servizi giornalistici e interviste dell’autore che, settimanalmente, racconta lo stato di salute dell’Europa e le questioni aperte sulla strada della piena integrazione: a partire dall’iter di ratifica della Costituzione, che ha subito un brusco rallentamento con le bocciature nei referendum francese e olandese; ai negoziati per le nuove adesioni, tra cui quello molto discusso della Turchia; alle politiche inclusive verso i Paesi nuovi entrati dell’allargamento a Est; alla necessità di salvaguardare le diverse culture e tradizioni e nello stesso tempo valorizzare le radici comuni, come quella cristiana, che possono dare un’anima all’Unione. Oggi l’Europa si trova in un punto di svolta della propria storia, deve decidersi a imboccare la strada di una reale integrazione dei popoli e degli stati, per non rischiare di arenarsi tra eccessiva prudenza e malintesi. Anche perché gli “euroscettici” alzano la voce, si sente sempre più spesso dire “è traverso le immagini televisive, il nevrotico succedersi di cambiamenti d’umore e di conseguenti decisioni ai vertici nei palazzi del potere mediatico, il salire e scendere degli indici d’ascolto e delle simpatie nei “salotti” e nelle “piazze” televisive, sono registrati con perizia di intelligenze cronista da un osservatore essenzialmente scrupoloso, anche se la sua collocazione ideologica non è nascosta. Ma proprio per questo, il lavoro di Crapis va apprezzato. L’opinione poi di studiosi come Alberto Abruzzese, Enrico Menduni, Giovanni Cesareo, Nicola Tranfaglia e Peppino Ortoleva, anche loro collocati, in linea di massima, sullo stesso fronte, ma scientificamente inattaccabili, ha consentito di dare un serio avallo alla strada imboccata nella narrazione E la bibliografia (oltre duecento titoli) conferma l’accuratezza della ricerca. Del resto prova di serietà informativa, Crapis, l’aveva data nelle sue opere precedenti (La parola imprevista. Intellettuali, industria culturale e società all’avvento della tv in Italia, del 1999 e Il frigorifero nel cervello, Il Pci e la Tv da Lascia o raddoppia alla battaglia contro gli spot, nel 2002). Con analoga impostazione il discorso dunque prosegue. E il racconto si snoda senza trascurare nessuno dei protagonisti (politici, giornalisti, conduttori tv, attori dediti alla satira) che hanno tiranneggiato molte serate del piccolo schermo. Dieci anni di persone e personaggi, anche con le frasi più significative e polemiche, scorrono davanti agli occhi della nostra memoria, restituendoci le sensazioni che abbiamo provato nel momento nel quale le ascoltavamo, fossimo, a nostra volta consenzienti o contrari. L’elenco, se non di tutti, alme- no dei principali riempirebbe molte righe. Peccato non trovarli in un indice dei nomi. Il volume si conclude con una postfazione che scavalca il decennio preso in esame e indica, sempre facendo riferimento ai fatti più significativi e alle polemiche, le linee di tendenza che si manifestano. Siamo sempre nella cornice delle due anomalie italiane (“un polo privato in mano a un unico imprenditore e un polo pubblico mai uscito dall’orbita governativa, finivano dunque per sovrapporsi completamente […] e partorivano un sistema televisivo in mano a un unico soggetto politico commerciale), e nelle diatribe sulla par condicio”. Il giudizio finale - la narrazione si ferma alla “legge Gasparri” - non è positivo. Occasioni mancate da entrambe le parti, sia dal servizio pubblico che dalla tv commerciale egemone. rio politico, locale o nazionale, selezionava i quadri nelle sezioni di partito. Oggi c’è un Grande Selezionatore che decide chi sta dentro e chi sta fuori. Stella, citando le frasi rubate al personaggio, lo volgarizza e l’umanizza per renderlo a scelta del lettore, simpatico ovvero odioso. È un esame onesto e al di sopra delle parti di virtù e vizi, di tic e di colpi d’ala. L’autore, secondo Luigi La Spina, “sfoggia le principali regole del giornalismo con disinvolta sapienza. L’umiltà di un duro lavoro di ricerca, l’indipendenza di chi ha convinzioni politiche ma non le sottomette alla convenienza di fazione, il gusto di scavare bei chiaroscuri dei comportamenti per illuminare le ambiguità delle idee e, soprattutto, la curiosità per il personaggio, la via maestra per raccontare la realtà senza salire sulla cattedra”. Gian Antonio Stella, Avanti popolo, Rizzoli, pagine. 268, euro 17,50 colpa dell’Europa” a proposito dei più svariati temi, che riguardano la vita quotidiana, l’economia o la politica. Diventa così fondamentale il ruolo dell’informazione che deve dimostrarsi matura e competente, conoscitrice delle istituzioni e delle aspettative della gente, per poter analizzare in profondità i problemi. In questa ottica, il libro, va inquadrato come un contributo “giornalistico”, cioè documentato e pensato, alla costruzione della “casa comune” europea. Gianni Borsa, Cantiere Europa. Allargamento, Costituzione,Turchia: dove va la “casa comune”, Edizioni In Dialogo, Milano 2005, pagine 238, euro 11,00 Al prossimo libro, dunque, che si spera, nell’interesse dei cittadini, possa avere un seguito diverso. Qualche timido segnale, tutto peraltro da decodificare ( e forse per questo Crapis non ne parla) si riscontra ne LA7, dove coesistono, con grande professionalità, Giuliano Ferrara, affiancato da Ritanna Armeni, e Gad Lerner, Daria Bignardi e Piero Chiambretti, e rubriche come Sfera condotto da Andrea Monti e rubriche come Omnibus che ha rivelato un giornalista come Antonello Piroso, Effetto reale, Atlandide, 25a ora. Giandomenico Crapis, Televisione e politica negli anni novanta. (Cronaca e storia 1990-2000), Meltemi editore, Roma 2006, pagine 288, euro 21, 50 31 I N O S T R I L U T T I Paolo Murialdi, “maestro” tra cronaca, sindacato e storia di Vittorio Emiliani ra i giornalisti meno teneri nei confronti della propria corporazione può essere sicuramente annoverato Paolo Murialdi. Eppure fu per non pochi anni, dal 1974 al 1981, presidente della Federazione nazionale della stampa, attraversando con Piero Agostini tutti gli anni definiti “di piombo”, ma pure quelli nei quali forse la categoria si espresse col massimo di autonomia e di dignità fra le tempeste della politica e i lunghi tunnel creati dall’emergenza terroristica. Che puntava diritta a colpire - e la colpì in alcuni dei suoi uomini migliori - la libertà di informare coniugata con la responsabilità, con la necessità di non cedere né al sensazionalismo né all’autocensura preventiva. Anni difficili, a volte impervi. Anni duri, a tratti durissimi. Nei quali però la tensione politica e sindacale era in noi forte, con la voglia di essere presenti, di non mollare, nelle aziende e fuori di esse. F Paolo interpretò bene, assieme a Piero, questa tensione e questa voglia al vertice della Fnsi. Credo che aver eletto - a grande fatica la prima volta e con momenti di vera suspense - un presidente del sindacato giornalisti con le sue caratteristiche sia stato, e resti, un merito non da poco per noi operatori dell’informazione. Nella sua ligure sobrietà anti-retorica, non avrebbe voluto, credo, essere definito “un maestro”. Invece lo è stato nei libri, all’Università e anzitutto nella professione, principalmente al Giorno, prima di Baldacci e poi di Pietra, dove fungeva, con una applicazione costante e a tutto campo, da caporedattore centrale e dove curò per anni la più straordinaria pagina dei libri che io rammenti, con giovani talenti critici e letterari che si chiamavano Arbasino, Citati, Garboli, Giudici, Manganelli, lanciati da quelle memorabili pagine. Ma giovani e meno giovani lo ricordano e lo ricorderanno a lungo per i suoi volumi di storia del giornalismo italiano, per i suoi manuali su “come si legge un giornale”, sui quali tanti di loro si sono formati e si formeranno. Paolo era figlio d’arte, nel senso che il padre Vezio, inviato sportivo del Messaggero, l’aveva introdotto quasi senza volerlo nell’ambiente. A Genova aveva fatto le sue prime prove, giovanissimo, nel principale quotidiano cittadino, il Secolo XIX. Con me, che l’ho conosciuto nel 1960, ventiquattrenne io, appena quarantenne lui, era portato ad aprirsi, insolitamente. Forse perché, al Giorno diretto da chi l’aveva portato in montagna fra i partigiani dell’Oltrepò, cioè da Italo Pietra, anche lui cresciuto a Genova, io ero il ragazzo di bottega che si occupava sovente del porto e dell’economia della sua città di origine e quindi potevo ormai cogliere le sfumature di quell’approccio umano scevro da infingimenti, persino ruvido talora (anche se entrambi, Murialdi e Pietra, avevano un à plomb da gentiluomini). Abbiamo lavorato insieme per un quindicennio e, in certe pause, mi raccontava di quando il padre l’aveva portato con sé a Roma nella storica sede del giornale dei Perrone (all’epoca proprietari anche del genovese Secolo XIX) e lì vi avevano incontrato il direttore dei primi anni Trenta che reduce da una cerimonia indossava ancora il tight. Il ragazzo Murialdi ne aveva riportato un’impressione buffa e paludata insieme del giornalismo, di quello romano soprattutto. E l padre non era certo un fascista fervente. Suo nonno Luigi, anzi, era stato deputato socialista riformista di Ovada, sostenitore delle leghe operaie (dei “carbunìn” in particolare) nel porto di Genova, e poi deputato e sottosegretario con Francesco Saverio Nitti nel drammatico periodo postbellico, prima della marcia su Roma. Ma in casa non se ne parlava, non se ne accennava quasi. I 32 Nella capitale, non molto lontano da San Pietro, c’è un sito che i romani d’età chiamano ancora la Fornace dei Genovesi. Uno di questi era Luigi Murialdi, nonno di Paolo, che si era fatto imprenditore, prima di spegnersi ancora relativamente giovane. La prima formazione di Paolo Murialdi era pertanto avvenuta, come per tanti altri, nel Guf della sua città, Genova. Lo ha ricordato nel solo libro, se non erro, dedicato ad una memoria personale, La traversata (Il Mulino), in cui racconta il suo passaggio dalla fronda gufina nei confronti del fascismo in cui era cresciuto (era nato nel 1919) all’antifascismo attivo, al partigianato dopo essere stato sottotenente degli alpini a Mondovì, senza esperienze belliche. Anche quel suo ingresso nelle brigate dell’Oltrepò pavese, nella montagna fra Genova e il Po, lo raccontava smitizzandolo: “Mi arruolai in un campo di meliga della cascina chiamata la Fogliarina”. ì l’aveva convocato Italo Pietra, amico degli anni genovesi, di lui maggiore di otto anni, quasi sempre in grigioverde dai primi anni ‘30, fra Etiopia, Albania, e altri fronti. Pietra lo aspettava fra il granoturco (la meliga) alto dove s’era fatto ricavare un luogo appartato ove poter leggere: stava per salire in montagna, nella “sua” montagna fra Voghera, Piacenza e Genova, e voleva che Paolo andasse con lui. Così ebbe inizio per Murialdi quel terribile biennio in cui diede le prime prove di coraggio, di senso dell’organizzazione e del comando, di disposizione al dialogo. Fu lui l’ufficiale incaricato di tenere i collegamenti con le altre formazioni e con gli Alleati per conto delle brigate dell’Oltrepò e a trattare l’ingresso nelle stesse di disertori armati, come quei cecoslovacchi che possedevano sul Po un bel numero di armi pesanti, di mitragliatrici, utilissime per l’avanzata finale verso Milano ancora da liberare dagli ultimi pericolosi nuclei di cecchini tedeschi. Ma anche della Resistenza Paolo parlava abbastanza poco e comunque nel modo più anti-retorico. Contavano i valori di libertà, di giustizia, di solidarietà che essa aveva espresso, fra mille contrasti e difficoltà, fino alla Repubblica, fino alla Costituente. Nella sua Traversata non nascose certo quei contrasti e quelle difficoltà, coi comunisti per esempio, ma pure con certi comandanti di GL, e però ciò che valeva era lo sbocco democratico al quale il movimento era pervenuto. Ne parlavamo ogni tanto, anche perché, avendo casa a Voghera, conoscevo benissimo tutti i comandanti partigiani rimasti molto legati a “Edoardo” (Pietra) e a “Paolo”: “Ciro”, “Fusco”, “Albero”, “Americano”, “Gim” e tanti altri. Una volta andammo in treno, assai lentamente, da Milano a Sondrio dove, quella sera, si doveva tenere un dibattito - che si annunciava tesissimo e lo fu - sulle inchieste che stavamo conducendo su quella provincia dominata dalla Dc e dove il ruolo di oppositore era soprattutto dei socialisti. Eravamo Pietra, Murialdi, Pansa ed io. Giampaolo, che aveva pubblicato da Laterza la sua tesi di laurea, piuttosto agiografica in verità, sulla Resistenza fra Genova e il Po, poneva ad entrambi domande ansiose su questo e su quel personaggio partigiano comunista della VI Zona, l’area fra Voghera e Alessandria. L Pietra si divertiva, sarcastico, a rispondere così: “Il tale? Era un volgare assassino” , “Il tal’altro? Un fucilatore”, e così via. Pansa restava interdetto e Paolo se la rideva condividendo le dissacrazioni del direttore-comandante. A Sondrio ci aspettava un distinto signore, presidente della Provincia, il quale, a nome della Dc locale (egemonizzata da Athos Valsecchi, leader doroteo, attaccato con fondati argomenti da noi, da Pansa in specie) E “Ciao Paolo, hai insegnato molto a tanti di noi, senza mai montare in cattedra, con l'esempio morale e professionale, con la dignità dei comportamenti, qualche volta con la tua ligure rusticità. Assieme ad altri, ci hai resi, in anni lontani e indimenticabili, più maturi, più consapevoli. Come giornalisti e come uomini”, doveva annunciarci che nessun esponente democristiano avrebbe partecipato al dibattito di quella sera. Eravamo, se non erro, nella primavera tarda del 1968 e per Pietra non era la migliore delle notizie. Ma il successo della serata fu caldissimo. A riprova che uomini come Pietra e Murialdi sapevano tenere ferma la barra politica di un giornale peraltro di proprietà dell’Eni. alla Resistenza Paolo era uscito socialista e tale rimase tutta la vita, socialista senza tessera, senza dipendenze, senza indulgenze, anzitutto verso se stesso. Aveva lavorato per l’Avanti! e poi per la socialdemocratica Umanità. Poi era entrato al Corriere della Sera restandovi per alcuni anni. Al Giorno approdò con Gaetano Baldacci venendo, per l’appunto, assieme ad altri fondatori (Franco Nasi, Giorgio Pecorini, Enrico Forni) da via Solferino. Quel caporedattore centrale che di tutto si curava, scrupoloso, informato, rigoroso, di tutto si preoccupava fuorché di apparire accattivante, popolare fra i redattori. Ma il suo ruolo sapeva esercitarlo con decisione e competenza. Con quello scatto di fantasia che gli fece concepire e gestire per anni la pagine dei libri più innovative degli anni ‘60 e oltre. Basta riprendere in mano, se lo si trova, il volume sui “cento libri” consigliati dal Giorno, curato da Garbali e da Manganelli. Poi, licenziato, per ragioni politiche, nel ‘72, Italo Pietra dopo l’affermazione del centrodestra, Murialdi rimase poco più di un anno con Gaetano Afeltra. D a tempo si era dedicato a scrivere la sua prima storia del giornalismo. Si dimise, andò in pensione con un anno di anticipo. Non fece polemiche esplicite e tuttavia si capì bene il suo dissenso dalla linea afeltriana che noi della redazione contestavamo in toto. Nel settembre del ‘74 Paolo era venuto al congresso della Federazione della stampa a Rimini, invitato ad una tavola rotonda organizzata dalla Regione Emilia-Romagna. Dopo quel dibattito, ci fermammo a chiacchierare seduti sui gradini nel Teatro Novelli. “Perché non rimani? Non si sa mai..”, gli accennai sorridendo. In effetti poteva essere un bel candidato-presidente. Si mise a ridere: “Ma va’, chissà che giochi ci sono già sotto”. C’erano infatti. Il vertice della corrente di Rinnovamento, la nostra, cioè Cerchia, Curzi, Massimo Riva, avrebbe voluto un presidente di non grande spicco (inutile fare nomi, oggi). All’interno della delegazione lombarda furono fermissimi nell’opporsi, con grande tenacia, Sergio Borsi, Antonio Airò, Giampiero Grecchi e alcuni altri. Con successo, alla fine. Ci accordammo in quattro, Andrea Barbato, Nuccio Fava, Giulio Mazzocchi ed io per “spingere” Murialdi dopo che era caduta al primo turno la candidatura, pure eccellente, ma ancor più di rottura, di Enzo Forcella, presidente del Movimento giornalisti democratici. Fui io a chiedere a Luciano Ceschia, D mentre si stava per rivotare (e la componente di centrodestra puntava su Sgarlata, molto appoggiato), di salire su di un tavolo e di candidare a nome di tutti Paolo. Lo fece subito, in modo convinto e convincente. Murialdi vinse per cinque o sei voti appena contro la ex maggioranza di centrodestra. Incredibilmente emozionato, il riminese Guido Nozzoli, ex partigiano ed ex Giorno lui pure, arrivò da casa trafelato brandendo alcune bottiglie di Sangiovese costringendoci a brindare, stanchissimi, in quell’alba affettuosa, davanti al Novelli al primo presidente della Fnsi che veniva dalla Resistenza. aolo Murialdi doveva formare, più tardi, con Piero Agostini segretario un’accoppiata di grande serietà, competenza, passione sindacale e civile, accompagnando l’insegnamento universitario al lavoro per la bella rivista Problemi dell’informazione (Il Mulino) e per nuovi libri sui quali si è formata più di una generazione di giornalisti. Mai corporativo, schietto e gran lavoratore Paolo lo fu anche in Rai nell’anno e nel Consiglio dei “professori”, presieduto da Claudio Demattè, fra 1993 e 1994, di cui scrisse un’amara cronaca (Maledetti professori, Mulino), cercando di ricostruire una azienda travolta dai debiti e dal clientelismo di partito e di corrente. P ll’avvento del primo governo Berlusconi furono subito spazzati via, costretti ad andarsene dopo aver impostato un serissimo risanamento. Poi, lui si era dato di nuovo all’insegnamento, ad altri libri, agli incontri coi giovani, sempre con la sua vena di pessimismo laico che però lo sollecitava, alla fine, all’impegno democratico, a quella didattica formativa. Se lo invitavano a parlare della Resistenza, accettava per pronunciare discorsi mai formali. Detestava il trombonismo, ovunque si annidasse. Detestava i “prigionieri del sogno”, anche di quello partigiano. Ma lui c’era sempre, nelle piazze, nei teatri, nei circoli, nelle aule dei Comuni, anche quando la salute declinava e un ictus l’aveva colpito alle corde vocali e quindi parlava con fatica,stancandosi presto. Non si stancava però di lavorare, di essere presente, di sentire i pochi, vecchi, veri amici. Soltanto due anni fa, già malato, aveva accettato di ricordare il 25 aprile in piazza a Stradella. C’erano molti giovani e questo bastava all’ex sottotenente degli alpini reclutato fra i partigiani dell’Oltrepò in un campo di meliga alla Fogliarina di Montebello. Uscivano libri in cui la Resistenza e ancor più il dopoguerra venivano dipinti soltanto come un bagno di sangue inflitto a fascisti e collaborazionisti. A e fu sinceramente amareggiato. Lui, che pure mai era stato indulgente con gli “esaltatori indiscreti”, acritici dell’antifascismo e del artigianato, sentiva il bisogno di rimettere a posto le cose. “Alla fine trovammo la libertà”, ha lasciato scritto, e questo contava, più che mai, e più di ogni altra cosa. Con Italo Pietra - che, come scrisse anni fa un altro della banda del Giorno, anche lui ex partigiano, Manlio Mariani, aveva accento di severo abate longobardo - l’amicizia si era interrotta, in modo brusco e duro, come accade fra uomini del Nord, poco portati alle mediazioni. Alla morte di “Edoardo” - avvenuta quindici anni or sono, nella stessa clinica milanese dove si stava spegnendo Luigi Fossati, inviato estero del Giorno e successore di Pietra alla direzione del Messaggero - Paolo manifestò un dolore vero e scabro che lo riavvicinò alla famiglia di Italo. Noi, amici e sodali di entrambi, ne fummo felici. L’omaggio sincero che Murialdi rese al suo antico comandante ne La traversata fece da sigillo a quella riconciliazione ideale. N ORDINE 9-10 2006 I N O S T R I L U T T I Umberto Domina, l’umorismo senza veleno di Emilio Pozzi tata da Dino Villani) e poi, su segnalazione di Antonio Valeri che apprezzava la sua dinamica fantasia, alla Philips (allora molto attiva in intelligenti iniziative promozionali). Gli era andato tutto bene, fin da quando era scampato, per un atto di pigrizia, alla morte. Era successo in tempo di guerra. Diventato ufficiale a Torino, poteva dormire fuori caserma e, una mattina, non si era svegliato. Era proprio il giorno della partenza per il fronte. Per punizione fu spedito in Calabria. Gli altri compagni, imbarcati su una nave diretta in Africa, furono bombardati e perirono tutti. L’8 settembre del ‘43, al momento del ‘tutti a casa’, aveva avuto una seconda fortuna. A Reggio Calabria trovò un ufficiale americano che lo fece imbarcare su un traghetto per la Sicilia, affidandogli il compito, tornato a d Enna, di aprire l’ufficio del Pwb, che si occupava della censura. Forse da quell’esperienza gli venne poi l’idea di raccogliere ritagli curiosi per due libri (Siamo tutti umoristi e La pubblicità è la mina - anziché l’anima, ndr - del commercio, dedicato agli errori di stampa). Ma l’umorista che era in lui ci ha regalato un bel pacchetto di volumi, spiritosi e divertenti. Il titolo del primo, Contiene frutta secca, prende lo spunto dal fatto che al Sud si aveva l’abitudine di spedire molti pacchi a parenti e amici trasferiti al Nord. E per evitare di dover specificare ogni volta il contenuto, si usava una frase standard, ‘contiene frutta secca’, appunto. E nella prefazione - il libro è dedicato alla figlia Genny - Domina spiega la vicenda: “È la storia di Gaetano Zappalà e di Gualtiero Borletti. Di un meridionale cioè che aspira al Nord e di un settentrionale che viene aspirato dal Sud. Tuo padre, cara Genny, è più che altro un Borzalà, uno cioè che ha in sé quel tanto di Borletti che lo costringe a rispettare le regole civili ma tristi dei cisalpini, e quel tanto Siamo tutti umoristi. In questa frase usata come titolo per un suo libro c’è il segno della filosofia di Umberto Domina, che umorista lo era davvero. A tutto campo. Fierezza isolana, quella della Sicilia, pervasa da umanissima umiltà (non ha mai applicato alla lettera il suo cognome), acquisita in mille esperienze di vita, ha marcato la sua personalità, almeno in tre campi: il giornalismo, la pubblicità e la narrativa. Il tre, lo si ritrova anche nei luoghi della sua operosa vita, la Sicilia, Torino e Milano. E sul filo dei libri che ha scritto, nei quali c’è molta malinconica autoironia - più sorriso che riso -, ritrovo le tracce di una vita. Intensa, qualche volta sofferta, senza però scatti di inquietudine e trasalimenti. Quando nel 1965, pubblicò il suo primo libro, Carletto Manzoni lo salutò così: “In tempi come i nostri la scoperta di un umorista è un avvenimento che dovrebbe suscitare il più vivo interesse in tutto il Paese. Bisogna dirgli grazie e pregarlo di non fermarsi sulla strada difficile che sta percorrendo”. Aveva già 44 anni, ma i primi passi da giornalista li aveva fatti in Sicilia, come collaboratore di un settimanale diretto da Massimo Simili (altro umorista dimenticato), al Giornale di Sicilia e al Corriere di Catania e poi era stato un poco prigioniero della laurea in giurisprudenza conquistata a Torino, studi impostigli dal padre Salvatore, maresciallo dei carabinieri, ma senza nessuna voglia di fare l’avvocato, per cui si trovò a lavorare al Totocalcio e poi collaborando con Ezio Radaelli, ben noto come promotore di manifestazioni, si spostò a Milano a occuparsi di pubblicità, prima alla Giviemme (che organizzava Miss Italia, inven- Gigi Villa, un amico in redazione di Mauro Castelli Perdere un amico è sempre una parte di te che se ne va. Come nel caso di Luigi Villa, scomparso qualche tempo fa, nel bel mezzo della notte, proprio quando la vita sembrava davvero sorridergli. Con due figli "arrivati" (Matteo, ingegnere meccanico, e Federica, detta Chicca, medico) e una vita privata che, a quanto mi raccontava, era tornata a sorridergli. E per quei figli stravedeva, così come non mancava di sottolineare il successo ottenuto da Francesco, figlio di Cesare, uno dei suoi fratelli, più noto sulle scene come Franz, il socio di Ale, campioni di applausi sulla scena di Zelig e dintorni. Di certo è strana la vita. Gigi (tutti lo chiamavano così) sulla mia strada sarebbe entrato, sia pure indirettamente, nel 1970. All'Agenzia Italia cercavano un giornalista e alcune mezze promesse, a me giovane di belle speranze che si arrabattava a lavorare in nero di notte (leggi Sportinformazioni) e in chiaro di giorno (leggi ufficio), erano state fatte. Invece arrivò lui. Ed era giusto che fosse così, visto che anni prima era stato assunto come telescriventista proprio dall'Agi e dove, una volta tornato da militare, aveva fatto il salto di categoria diventando praticante e poi professionista nel 1962. Nel 1965 aveva però deciso di lasciare l'agenzia attratto da altre aspettative di vita: fu infatti "ingaggiato" dalla Honeywell, società di punta, a quei tempi, nel settore ORDINE 9-10 2006 informatico. Inutile dire che per me fu una gran delusione. In ogni caso non lo conoscevo, anche se i colleghi Tullio Barbato, Sandro Bianchi e Bruno Stella ne dicevano un gran bene. E non avevo ragione di dubitarne. In seguito me l'avrebbero presentato e avrei incominciato ad apprezzare la sua cordialità e le sue doti umani per certi versi uniche. Sin quando il primo ottobre 1980 arrivò al Sole 24 Ore come addetto agli Interni, settore che casualmente dipendeva dalla caporedazione centrale di cui facevo parte. E al Sole non mancò di farsi subito un sacco di amici ma anche, lui troppo buono, di pagare - si sa come vanno certe cose nel nostro ambiente - la sua voglia di far bene senza pensare alla carriera. Regalando peraltro il suo apporto ad altri settori, compreso l'innovativo inserto dedicato a quella che allora era la Comunità economica europea. Alla fine del dicembre 1992 (era nato il 24 maggio 1936 a Usmate Velate, in provincia di Milano) decise di lasciare, in quanto riteneva giusto dedicare maggiore attenzione ai suoi due ragazzi, che avevano pagato sin troppo caro la scomparsa della madre, portata via da un male incurabile quand'erano ancora dei bambini. Senza comunque mai mancare, lui che delle regole di buon vicinato si era fatto portavoce, di rimanere in contatto con gli amici. E ancora oggi, per chi volesse salutarlo e scambiare con lui quattro chiacchiere sia pure senza risposta, l'appuntamento è al cimitero di Arluno. di Zappalà che l’aiuta a sopportarle”. Un altro libro, scritto nel 1966 e ripubblicato nel 1975, dedicato al figlio Paolo, La moglie che ha sbagliato cugino, ha la prefazione di Enzo Biagi, che scrive di essersi divertito e di aver pensato a certe pagine di Campanile o di Zavattini. E annota: “In ogni pagina c’è un’invenzione, le trovate si succedono, la scrittura è gradevole. Domina è di quelli che prima pensano poi parlano. Di solito accade il contrario”. Morti di nebbia è invece dedicato alla moglie Maddalena, ‘con allegria’, milanese doc (il padre era l’avvocato Ambrogio Giacomo Antonini, autore addirittura di una traduzione in meneghino de La Divina Commedia e di un vocabolario italiano-milanese. E si parla molto di Milano, una volta città della nebbia. L’umorismo di Umberto Domina ha percorso anche le vie dell’etere, in trasmissioni radio e televisive come “Il bello della diretta”, “Pregiatissima”, “Cari genitori”, alcune realizzate con Guido Clericetti. E ancora due trasmesse dalla Rai di Torino, città alla quale il destino l’ha riportato, in anni abbastanza recenti, e cioè la televisiva “Parola mia” per Luciano Rispoli e la radiofonica “L’aria che tira”. Nel ricordarlo, anche noi con un sorriso, non vogliamo dimenticare una sua creatura, giornalisticamente elitaria. È una piccola pubblicazione per un ristrettissimo numero di amici lettori, arrivata al numero 100, dal titolo apparentemente misterioso: UT. Non aveva niente a che fare con il latino ma era l’inizio di una parola fondamentale che forse, come a noi, gli piaceva: Utopia. Carlo Vella, giovane pioniere della stampa delle comunità di Franco Malaguti L’esordio nel mestiere risale agli inizi degli anni Novanta, ma l’aria e le idee del giornalismo Carlo Vella le respirava già da piccolo. Il nonno materno, Carlo Natale, antifascista vigevanese aveva fondato L’informatore, destinato a diventare, anche sotto la guida della figlia Margherita, il giornale punto di riferimento della comunità vigevanese e della Lomellina. Carlo Vella è scomparso tragicamente la notte di giovedì 7 settembre in un incidente della strada. Aveva solo quarant’anni, e gli ultimi tredici li aveva passati a dirigere L’informatore, continuando la tradizione familiare con uno spirito adeguato ai tempi e una formula che aveva fatto del suo giornale un eccezionale esempio dal punto di vista tecnico, con un impianto pionieristico per i tempi (primi anni Novanta) basato sull’intervento diretto del giornalista sulla pagina: modello che liberò molti settimanali e bisettimanali locali dal gravame imposto dai sistemi editoriali copiati dai grandi quotidiani. Un’altra spinta innovativa fu quella impressa alla cronaca locale, che ancor oggi ghettizza questo settore della stampa a minuzie divise paese per paese, abbracciando tutta l’area della Lomellina nei suoi molteplici intrecci. Partendo da quello ambientale (la zona è interessata da una gran fetta del Parco del Ticino) alle dinamiche in evoluzione dovute allo spostamento di popolazione da Milano all’hinterland. La crisi del settore calzaturiero, il principale del distretto vigevanese e quella agricola che ha investito il comparto risiero lomellino, sono stati per Carlo Vella battaglie che hanno avuto nell’informatore un punto di riferimento nell’ultimo decennio. Da qualche tempo aveva lasciato la direzione del giornale all’amico Mario Pacali per dedicarsi a nuove iniziative editoriali, che, sperimentali come le precedenti, dessero impulso all’enorme (e sconosciuto ai più) serbatoio della stampa dei settimanali e bisettimanali delle piccole comunità, quelle che con un riferimento alla storia e alle tradizioni avevamo definite “percorribili in un giorno di cavallo…” Guido Oddo, cronista gentiluomo di Emilio Pozzi Se ne è andato in punta di piedi, Guido Oddo, come a confermare uno stile di vita, da antico gentiluomo piemontese (era nato a Torino nel 1920). Alla figlia Miranda aveva chiesto che il suo congedo dalla vita non fosse divulgato. I vecchi colleghi hanno saputo per caso, e con molto ritardo, che era stato tumulato al Cimitero Monumentale di Milano. È stato una delle voci e dei volti più noti, in anni ormai lontani, della tv: cronista di tennis e di sci, commentatore di serate d'arte lirica, soprattutto alla Scala. La passione per gli sport preferiti l’aveva portato a collaborare a qualche emittente locale, dopo il pensionamento dalla Rai. Antenna 3 alla fine degli anni Ottanta gli aveva affidato una rubrica di pallacanestro. Ecco in poche, scarne righe la sintesi di una vita trascorsa da testimone, ma fino a farle diventare popolari. La sua voce, fuori campo, ha raccontato discipline sportive considerate un tempo d’élite, gesta della Valanga Azzurra, di Gustavo Thoeni, di Pierino Gros, di Ingemar Stenmark E nel campo tennistico (anche lui giocava discretamente nei campionati dei giornalisti), ebbe la fortunata occasione di narrare i momenti d’oro di Adriano Panatta. Aveva cominciato alla radio, come speaker, voce garbata e poco littoria per i microfoni di Radio Tevere, la disinvolta emittente della Repubblica sociale che trasmetteva da Milano (ne ha scritto Gianni Bongioanni in un suo interessante libro) e dieci anni dopo aveva cominciato la sua collaborazione alla Rai con La rubrica Sette giorni in TV, il rotocalco dedicato all’illustrazione dei programmi televisivi della settimana. Nel 1957 (citiamo dalla Garzantina sulla Tv) “in Sette note leggeva improponibili testi accademici su fenomeni ‘dotti’ come il song di Kurt Weill o le sofisticate Canzoni di Juliette Grèco, a proposito della quale commentava: Ecco una sorprendente creatura, metà donna metà mostro come una creatura edipea…solo la pietà cristiana potrebbe recuperare queste creature, travolte in un gorgo sempre più vorticoso. Alle piste di sci e ai campi di tennis è arrivato alla fine degli anni Sessanta. Ha anche condotto, nel 1975, Domenica sprint sulla seconda rete della Rai. Ha insegnato uno stile professionale, e anche di vita, a molti: lontano dagli urli e dalla retorica strombazzante, riservato, senza prendersi gratuite confidenze. La notizia della sua scomparsa ha sinceramente addolorato molti colleghi (tra questi Giampiero Galeazzi che ha detto: “È stato il mio maestro; un gran signore, in tutti i sensi; bello, elegante, impeccabile nelle sue giacche) e gli appassionati sportivi con molti capelli bianchi. 33 I N O S T R I L U T T I Aldo De Martino, inventò il giornalismo sportivo in tivù Pasquale Salerno, controcorrente per vocazione Milano, 11 settembre 2006. È morto oggi a seguito di un arresto cardiaco, alla clinica Città di Milano dove era ricoverato per accertamenti, il giornalista Aldo De Martino: aveva 79 anni ed era figlio di Emilio, anch’egli giornalista e considerato uno degli inventori della pagina sportiva. Aldo De Martino era nato a Milano il 3 maggio del 1927. Diventato professionista nel 1957, fu poi inviato speciale, scrisse libri e fu anche editore. È stato protagonista della nascita e della crescita della “comunicazione” sportiva in televisione, ed è considerato l’inventore della famosa Moviola che divenne strumento di confronto fra i tifosi nella Domenica Sportiva. Fu direttore per venti anni della produzione radiotelevisiva di Milano, raggiungendo con Fantastico, il record assoluto dell’ascolto nazionale, sfiorando i 30 milioni di spettatori. Fondatore e direttore di agenzie giornalistiche nazionali, come Agisport e Agir, vicedirettore di Sportinformazioni, ha creato e diretto periodici storici, da Sport Universitario, a Pugilato, Vitalità, 30 Giorni di Medicina, Guidare Sport, Rotary Gazzetta 2040. È stato anche titolare dell’editrice Adiemme. Ha scritto vari libri e tra questi una storia del giornalismo sportivo. Attivo anche sindacalmente, attualmente era proboviro dell’Associazione lombarda dei giornalisti e giudice aggregato del Tribunale civile di Milano su designazione del Consiglio nazionale dell’Ordine. Lascia la moglie Carla e il figlio Giorgio, giornalista. (ANSA) Milano, 8 settembre 2006. È morto il giornalista Pasquale Salerno. L’11 settembre avrebbe compiuto 59 anni. Era nato a Terranova del Pollino (Pz), ma la sua famiglia vive a Cassano Jonio (Cs). Lascia la moglie e una bambina di 8 anni. Cronista, appassionato dei temi e dell’attività delle istituzioni locali, Salerno faceva parte del Consiglio nazionale dell’Ordine, dove era stato eletto nelle ultime due consiliature, in rappresentanza dei pubblicisti lombardi. Pur avendo superato qualche anno fa l’esame di abilitazione professionale aveva preferito restare iscritto nell’elenco dei giornalisti pubblicisti, che aveva rappresentato per molti anni. Collaboratore di varie testate (fra le quali l’Indipendente e .Com) Salerno era stato capo ufficio stampa dell’assessore regionale della Lombardia Domenico Zambetti ed attualmente lavorava nell’ufficio stampa dell’Udc, in Lombardia. In campo sindacale, Salerno è stato presidente del “Movimento nazionale liberi giornalisti”, di cui ha diretto la testata Europress. È stato delegato per la Lombardia all’ultimo congresso della Federazione nazionale della Stampa. (www.odg.it). di Gianni De Felice Piccolo, asciutto, agile, gli occhi perennemente strizzati dietro gli occhialini da lettura d’oro e altrettanto perennemente pronti a lanciare occhiate fulminanti di curiosità e ironia, Aldo De Martino si portava un monumento sulle spalle: il proprio cognome. Lo aveva avuto in eredità dal padre Emilio, il giornalista sportivo che inventò il giornalismo sportivo in Italia fra le due guerre e scrisse, di corsa in corsa, di Giro in Giro, l’epopea del nostro ciclismo, offrendo entusiasmo e aggettivi alle imprese di Alfredo Binda e di Fausto Coppi. Un monumento chiamato Emilio De Martino, che Aldo venerava e lustrava con iniziative, ricordi, premi, ritratti preziosi e documenti rari alle pareti dei suoi studi, ma del quale ormai non sentiva il peso per la semplice ragione che, senza accorgersene, era nel frattempo diventato un monumento anche lui. Non alla bicicletta, alla tivù. Aldo De Martino non aveva la veemenza sanguigna del padre. Era uomo di redazione, più che di galoppate automobilistiche in ammiraglia cabriolet fra Stelvio e Pordoi, Ventoux e Izoard. L’avessero mandato a fare il suiveur di corse a tappe, sarebbe sceso di macchina dopo due giorni. Per stanchezza e per ubriacatura di aria vento sole. Ma del padre aveva l’istinto del pioniere. E rendendosi conto che in famiglia avevano già scoperto le sconfinate praterie dello sport raccontato sui giornali, del ciclismo vissuto sulle pagine della Gazzetta prima che davanti alle Magnadyne a cinque valvole, Aldo decise di scoprire le praterie altrettanto sconfinate della televisione. E inventò lo sport raccontato in tivù, creando una testata destinata a sopravvivergli: La domenica sportiva. Era, quando Aldo De Martino la propose, una lettura di risultati e una sequela di brevi servizi in bianco e nero. Niente studio, lo speaker leggeva fuori campo. Ma la sigla musicale era indovinata: allegra, squillante, coinvolgente, la musichetta della Domenica sportiva era la campana che ogni domenica sera intorno alle dieci chiamava i fedeli del calcio davanti al rito dei risultati, delle notizie, delle interviste e delle immagini. Poi vennero i gol, con i telecronisti e gli operatori che la domenica pomeriggio si scapicollavano - neve, nebbia, ghiaccio, ingorghi non importa - per portare la “pizza” della pellicola girata agli studi di corso Sempione, in tempo per montare immagini e commenti. Poi, per conquistare le mogli dei mariti rapiti dal calcio in tivù, Aldo De Martino - sempre più nume della Domenica Sportiva - ebbe l’idea di creare lo spettacolino in studio e di affi- 34 darlo non a un giornalista sportivo, ma a un affascinante presentatore: Enzo Tortora. Poi venne la moviola - siamo a metà degli anni Sessanta - non con nastro magnetico, ma con pellicola che l’indimenticabile duo Sasso-Vitaletti facevano scorrere e bloccare fotogramma per fotogramma. Perfino Roma - eternamente desiderosa di strappare la Domenica Sportiva agli studi di corso Sempione - dovette riconoscere la genialità del pioniere Aldo De Martino nella invenzione del giornalismo sportivo in tivù e chiamarlo a dirigere il settore dalle redazioni di via Teulada. Ma nel giro di qualche anno, invece di portare la Domenica Sportiva ai piedi di Monte Mario, come forse qualcuno sperava, il milanese Aldo De Martino riuscì a riportare se stesso ai piedi della Madonnina. Con alcuni galloni in più sulla manica: quelli di direttore del Centro di produzione. E fu l’ultimo periodo di grandi produzioni in corso Sempione, come per esempio i Promessi Sposi a puntate del regista Nocita. Poi, tramontata per ragioni anagrafiche la stella di Aldo, cominciò per corso Sempione l’età di un declino che - fra promesse e rinvii - ancora continua. Cominciati con una creazione, quella della Domenica Sportiva, l’èra De Martino in Rai finì con una nobilissima resistenza. E non poteva finire diversamente, considerata l’insospettabile tempra da inarrestabile motoperpetuo che, tanto per non annoiarsi, trovò perfino il tempo di fondare con Peppino Prisco l’Accademia degli Inquieti. Non c’è dunque da meravigliarsi se Aldo De Martino, mentre recitava una parte storica nella vita della televisione italiana, inventava anche Vitalità che fu uno dei primi periodici dedicati alla salute, dirigeva l’agenzia politico-culturale Il telegramma, curava collane di letteratura sportiva, collaborava alle grandi iniziative culturali del Distretto 2040 del Rotary, sosteneva manifestazioni artistiche con riscoperta di grandi pittori del passato prossimo e scoperta di possibili grandi talenti del futuro imminente. Una delle passioni segrete, ma non tanto, di Aldo era proprio l’arte contemporanea. Andava a una mostra di Baj quando l’ho incontrato l’ultima volta, pochi mesi fa, in un autobus milanese. Mi sembrava che stesse bene, nonostante l’età (era nato il 3 maggio 1927), e mi raccontò delle mille cose che aveva fatto quel giorno e delle altre mille che avrebbe dovuto fare l’indomani. Ripenso a quell’incontro, risento quei suoi programmi serrati e, volendogli bene, mi vien fatto di credere che forse per l’instancabile Aldo l’aspetto più brutto della fine è stato quello di non poter più essere Inquieto. Di essere costretto, purtroppo, a riposare. di Gianluca Marchi Un altro amico-collega se n’è andato troppo presto. Sapevo che lottava contro un male difficile, scoperto per caso come lui stesso mi raccontò una volta riemerso dalla prima convalescenza, ma in cuor mio sempre speravo che la lotta fosse vincente. Solo che avevo un termometro indiretto per testare l’evoluzione clinica: il tempo che trascorreva dalla sua ultima telefonata. Il black out di qualche settimana corrispondeva inevitabilmente a un periodo di cura durante il quale Pasquale era in altre faccende affaccendato piuttosto che pensare ad un articolo da propormi per .Com. Poi, però, il cellulare squillava, il nome Salerno si illuminava sul display e la sua voce sempre allegra mi invadeva il timpano. E io, un po’ vigliaccamente per non essere stato il primo a comporre il numero di telefono, tiravo un sospiro di sollievo. Stavolta, però, quell’intervallo fra le chiamate si stava allungando in modo anomalo e ogni tanto mi ritrovavo a pensare con preoccupazione a quell’assenza, senza avere il coraggio di fare la prima mossa. Non l’avevo sentito nemmeno in occasione delle traversie che avevano colpito il giornale da me diretto, fino alla sospensione delle pubblicazioni, avvenuta verso la fine di luglio, e alla successiva messa in cassa integrazione di tutto il corpo redazionale a partire da metà settembre. Distratto dai miei problemi di lavoro, sono stato sfiorato in un paio di occasioni dal timore di non sentire più la voce di Pasquale fino al giorno della brutale notizia. Pasquale Salerno è stato un amico mio e dell’ultimo giornale che ho diretto, .Com appunto. Un amico disinteressato, perché non gliene importava niente dei soldi che poteva raggranellare con una collaborazione più costante e continuativa. A lui premeva di poter esprimere, tanto più su un giornale specializzato come il nostro, il suo libero e disinteressato parere intorno a una professione, quella del giornalista, dai toni spesso più scuri che chiari. Faceva precedere il pezzo da una telefonata in cui sondava il mio parere sul tema che aveva in mente di affrontare e quasi sempre, per non dire sempre, otteneva il via libera. Il nostro rapporto era cominciato così fin dall’inizio di .Com. Ho addirittura l’impressione di averlo un po’ sorpreso, soprattutto i primi tempi, nell’accettare senza batter ciglio i suoi scritti controcorrente e di averli spesso pubblicati in prima pagina. Mi piaceva questo suo spirito libero, il non essere per forza legato a un carrozzone: erano le caratteristiche con cui volevo forgiare .Com. Pasquale mi ha dato una mano a farlo. Gliene sarò sempre grato e lo saluto con le parole care al grande Gianni Brera: che ti sia lieve la terra! L’ECO DELLA STAMPA ® L’informazione su misura. Rassegne Stampa Rassegne Radio-TV © Media Analysis © Web Press Release © Media Directory © Banche Dati e Software © © Per informazioni…o fare una prova, contattateci! Ecostampa Media Monitor SpA Tel 02.748113.1 - Fax 02.748113.444 E-mail [email protected] www.ecostampa.it ORDINE 9-10 2006 Interrogazione alla Giunta Formigoni e all’assessore alla Formazione Sara Valmaggi (Ds): “La Regione dia risposte chiare e garantisca futuro a Ifg De Martino” Ecco il testo dell’interrogazione urgente: I sottoscritti consiglieri regionali PREMESSO CHE - L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha deliberato nel 1974 di dar vita alla Scuola di giornalismo di Milano, oggi Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo (detto “Ifg De Martino”), che dal 1977 organizza corsi biennali per lo svolgimento del periodo di praticantato giornalistico e la preparazione all’esame di Stato per la professione giornalistica; - L’Ifg Carlo De Martino è gestito dall’Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo, ente privato senza scopo di lucro; - La Giunta Regionale della Lombardia ha finanziato per la prima volta il biennio di formazione giornalistica 1977-1979 con Dgr n. 16092 del 24 maggio 1978, in applicazione della legge regionale 83/1975, poi sostituita dalla l.r. 95/80 - In base alla legge 95/80 l’Associazione Walter Tobagi è ente accreditato presso la Regione Lombardia e l’Ifg è un centro di formazione professionale. VISTO CHE - La Regione Lombardia ha finanziato l’Ifg nel corso dei 29 anni di attività con un contributo complessivo pari a circa 15 miliardi di vecchie lire, che hanno consentito la formazione di oltre 600 giornalisti professionisti; - Le erogazioni regionali a favore dell’Ifg sono andate riducendosi progressivamente nell’ultimo triennio, passando da una copertura dei costi pari all’88% nel 2002-2003 ad una copertura del 61% nel 2004-2005; - In particolare, il contributo erogato dalla Regione è stato di 398.500,00 euro nel 20032004, di 357mila euro nel 2004-2005 e di 284mila euro nel 2005-2006 (parzialmente versati). CONSIDERATO CHE - Il fabbisogno reale minimo stimato dall’Ifg (per una gestione competitiva) è pari a 585.000,00 euro; - La retta pagata dagli iscritti al corso dell’Ifg De Martino è pari a 50 euro/annui a fronte di un costo di frequenza per master e corsi universitari equipollenti che si attesta mediamente sui 5/6mila euro all’anno; - I tagli ai finanziamenti regionali effettuati nel biennio 2003-2005 hanno indotto l’Ordine dei giornalisti ad erogare contributi una tantum pari a 131mila euro nel 2004 e 205mila euro nel 2005 per garantire il seguito dell’attività istituzionale dell’Ifg. Milano, 15 giugno 2006. “La Regione dia risposte chiare in merito alle sorti della Scuola di giornalismo di Milano”. È questa la richiesta che viene da Sara Valmaggi (consigliere regionale Ds), che in un’interrogazione firmata da Giuseppe Benigni (capogruppo Ds) e sottoscritta dagli esponenti di tutti i gruppi dell’Unione in Consiglio regionale, sollecita la ripresa delle trattative per garantire il futuro dell’Istituto per la Formazione al Giornalismo (Ifg) Carlo De Martino. “La drastica riduzione dei finanziamenti afferma Sara Valmaggi - dimezzati nel giro di pochi anni, ha creato una situazione di estrema incertezza e rischia di determinare la chiusura dello storico istituto di Milano. Un istituto, che in questi anni ha formato valenti professionisti del settore oltre a fornire una prospettiva di formazione e ricollocazione nel mondo del lavoro a molti giornalisti disoccupati”. “Noi chiediamo - prosegue Valmaggi - che sia garantito un adeguato contributo finanziario, sufficiente a consentire all’istituto di funzionare e di avere una sede adeguata in cui operare”. “Auspichiamo infine - conclude la consigliera diessina - che si giunga alla stipula definitiva dell’Accordo di Programma, individuando in questo strumento di collaborazione la prospettiva di vita e espansione di questa importante istituzione lombarda”. CONSIDERATO INOLTRE CHE - Nel marzo del 2005 i presidi delle facoltà di Lettere, Giurisprudenza e Scienze politiche, in nome e per conto del prof. Enrico Decleva hanno dichiarato la disponibilità immediata dell’Università degli Studi di Milano ad assorbire l’Ifg Carlo De Martino collocandolo nel polo multimediale di Sesto; - Da diversi mesi è aperto un tavolo tecnico con la Regione per definire l’accordo sul futuro dell’Ifg. Dall’offerta iniziale (annunciata nella primavera 2005 dall’assessore Alberto Guglielmo all’Ordine) di un finanziamento regionale annuale pari a 445mila euro si è passati ad un’offerta di contributo, da definire attraverso lo strumento dell’Accordo di Programma, di 250mila euro all’anno fino al 2010; VISTO INFINE CHE - In data 12 giugno 2006, in risposta alla lettera aperta inviata dal presidente dell’ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo ai consiglieri e agli assessori regionali, in cui si espongono le difficoltà sopra elencate in cui versa l’Ifg, la Regione Lombardia ha unilateralmente deciso di far saltare sine die l’incontro, previsto per il giorno successivo, con la dirigenza dell’Ifg per la definizione dell’Accordo di Programma di cui sopra. INTERROGANO LA GIUNTA E L’ASSESSORE COMPETENTE PER SAPERE - Quali iniziative intendano assumere per garantire la continuazione di uno storico Istituto che, oltre alla formazione al giornalismo, organizza anche corsi per l’aggiornamento di giornalisti rimasti disoccupati; - Quando intendono riprendere il confronto, interrotto in data 13 giugno, con la dirigenza dell’Ordine e dell’Afg Tobagi-Ifg Carlo De Martino; - Se e quali iniziative ulteriori intendano porre in atto per supportare la struttura dell’Ifg anche per quanto concerne la sede fisica e le spese condominiali; - Se intendono trasformare l’Ifg De Martino in “Istituto regionale di giornalismo” gestito direttamente dalla Regione e dall’Ordine lombardo dei giornalisti con il contributo di altri soggetti pubblici come Provincia di Milano, Comune di Milano e Camera di Commercio di Milano anche per garantire, con cadenza biennale e attraverso concorso pubblico, a 40 laureati capaci e meritevoli l’accesso al praticantato giornalistico. Giuseppe Benigni (Ds) Sara Valmaggi (Ds) Giuseppe Civati (Ds) Antonio Viotto (Ds) Carlo Porcari (Ds) Maria Grazia Fabrizio (Dl) Milano, 15 giugno 2006 Luca Gaffuri (Dl) Riccardo Sarfatti (L’Unione Lombardia) Luciano Muhlbauer (Prc) Gianfranco Concordati (Uniti nell’Ulivo) Carlo Monguzzi (Verdi) Marcello Saponaro (Verdi) Il Piccolo Teatro per i giornalisti a prezzo scontato dal 25 al 35% Il Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa compie nel 2007 sessant’anni e celebra questo importante traguardo proponendo al suo pubblico 60 spettacoli. Il Piccolo, fondato da Giorgio Strehler e Paolo Grassi nel maggio 1947 e oggi diretto da Sergio Escobar - mentre a guidare le scelte artistiche è Luca Ronconi - propone per la stagione 2006-2007 condizioni speciali per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti ai quali, previa esibizione del tesserino, sarà riconosciuta una riduzione sul prezzo d’acquisto dei biglietti per gli spettacoli in scena nelle sale del Teatro Strehler, del Teatro Grassi e del Teatro Studio. La riduzione oscillerà dal 35 al 25 per cento, a seconda degli spettacoli. Presso le biglietterie del Teatro Strehler, largo Greppi e del Teatro Grassi, via Rovello 2, i giornalisti potranno acquistare i biglietti per gli spettacoli della serie Festival a 22,50 euro anziché 35,00, quelli della serie Stagione a 22,50 euro anziché 29,50, e gli spettacoli della serie Blu a 17,00 euro anziché 22,50. Le riduzioni si riferiscono a posti di platea. Si consiglia di acquistare i biglietti con largo anticipo per trovare i posti migliori. www.piccoloteatro.org ORDINE 9-10 2006 19 - 24 settembre 2006 19 - 21 settembre 2006 26 - 28 settembre 2006 3 - 8 ottobre 2006 4 - 15 ottobre 2006 11 - 22 ottobre 2006 17 ottobre 2006 - 21 giugno 2007 18 ottobre - 5 novembre 200 20 - 29 ottobre 2006 24 - 27 ottobre 2006 30 ottobre 2006 31 ottobre - 19 novembre 2006 7 - 19 novembre 2006 7 - 19 novembre 2006 14 - 25 novembre 2006 TEATRO GRASSI TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO GRASSI TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO GRASSI HANGAR PAOLO FONDRINI, AREA EX MARELLI, SESTO SAN GIOVANNI TEATRO STUDIO 21 novembre - 7 dicembre 2006 30 novembre - 20 dicembre 2006 2 e 3 dicembre 2006 4 dicembre 2006 6 - 10 dicembre 2006 12 - 15 dicembre 2006 12 - 20 dicembre 2006 22 dicembre 2006 - 7 gennaio 2007 26 dicembre 2006 - 6 gennaio 2007 9 - 28 gennaio 2007 11 - 21 gennaio 2007 16 febbraio - 4 marzo 2007 16 gennaio - 18 febbraio 2007 23 gennaio - 11 febbraio 2007 30 gennaio - 11 febbraio 2007 21 - 25 febbraio 2007 27 febbraio - 18 marzo 2007 TEATRO STREHLER TEATRO GRASSI TEATRO STUDIO TEATRO STUDIO TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO GRASSI TEATRO STUDIO TEATRO GRASSI 3 marzo - 5 aprile 2007 6 - 25 marzo 2007 20 marzo - 5 aprile 2007 2 - 5 aprile 2007 6 - 29 aprile 2007 11 - 15 aprile 2007 18 - 29 aprile 2007 18 aprile - 14 maggio 2007 2 - 13 maggio 2007 3 - 6 maggio 2007 8 - 27 maggio 2007 16 - 20 maggio 2007 18 - 20 maggio 2007 23 - 27 maggio 2007 24 - 27 maggio 2007 5 - 10 giugno 2007 12 - 24 giugno 2007 giugno 2007 TEATRO GRASSI TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STREHLER TEATRO GRASSI TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO GRASSI TEATRO GRASSI TEATRO STREHLER TEATRO GRASSI TEATRO GRASSI TEATRO STUDIO TEATRO STUDIO TEATRO STREHLER TEATRO STUDIO TEATRO GRASSI TEATRO STREHLER TEATRO STREHLER Enzo Jannacci Corte Sconta Roger Planchon Moni Ovadia Kai Hensel Bertolt Brecht Pierre Marivaux Hugo von Hofmannsthal Lucio Dalla Antonio Moresco Dacia Maraini Samuel Beckett Vittorio Foa, Miriam Mafai, Alfredo Reichlin Teatro Kol Soirée de Gala Es iz Amerike! Quale droga fa per me? regia Andrée Ruth Shammah Le storie del signor Keuner uno spettacolo di Roberto Andò e Moni Ovadia La Casa delle Scuole di Teatro Le false confidenze regia Toni Servillo Elettra un progetto di Andrea De Rosa e Hubert Westkemper Speak truth to power Voci dal caos regia Pippo Di Marca La lunga vita di Marianna Ucrìa regia Lamberto Puggelli Finale di partita regia Franco Branciaroli Il silenzio dei comunisti regia Luca Ronconi Athol Fugard, John Kani, Winston Ntshona David Harrower Walter Fontana Henrik Ibsen Patrice Chéreau Carlo Colla e Figli Heiner Müller Ugo Chiti Carlo Colla e Figli Accademia Perduta August Strindberg Sizwe Banzi est mort regia Peter Brook Bertolt Brecht Carlo Goldoni Aristofane Miguel de Cervantes Visioni di Galileo regia Maxmilian Mazzotta Il ventaglio regia Luca Ronconi Gli uccelli Compagnia Lombardi-Tiezzi Don Chisciotte regia Maurizio Scaparro Slava's Snowshow Io e Margaret Thatcher Marco Paolini con I Mercanti di Liquore Miserabili Hermann Broch Carlo Goldoni Eduardo De Filippo Fanny & Alexander William Shakespeare Achille Campanile Carlo Goldoni Andrea Camilleri Sergi Belbel Johann Wolfgang Goethe Fernandez de Moratin William Shakespeare Carlo Goldoni Carlo Colla e Figli Carlo Colla e Figli Omero Blackbird regia Peter Stein Miss Universo regia Cristina Pezzoli L'anitra selvatica regia Eirik Stubø Le Grand Inquisiteur Aida Quartett regia Robert Wilson I ragazzi di Via della Scala Il Gatto con gli stivali Pollicino Il padre regia Massimo Castri Inventato di sana pianta regia Luca Ronconi La barca dei comici regia Stefano de Luca Le voci di dentro regia Francesco Rosi Ada cronaca familiare Spazio a Serena Sinigaglia Cymbeline regia Declan Donnellan Il povero Piero regia Pietro Carriglio Arlecchino servitore di due padroni regia Giorgio Strehler La concessione del telefono regia Giuseppe Dipasquale Mobil regia Lluís Pasqual Spazio a Paolo Rossi Faust regia Eimuntas Nekrosius El sí de las niñas regia Vicente Genovés Twelfth Night/The Taming of the Shrew regia Edward Hall Il campiello regia Jacques Lassalle Aristide e Il mondo alla roversa Il giro del mondo in 80 giorni Iliaca regia Anatoli Vassiliev ORDINE 9-10 200535 36 ORDINE 9-10 2006
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