numero 18 In questo numero Urbanistica e
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numero 18 In questo numero Urbanistica e
Direttore Luca Beltrami Gadola numero 18 16 giugno 2009 edizione stampabile In questo numero Editoriale - LBG - BALLOTTAGGIO: ASTENSIONE, FAR VINCERE LA STUPIDITA' Approfondimenti - Mario De Gaspari - MILANO: LE OMBRE DEL SALOTTO BUONO DEL MATTONE Lavoro - Giuseppe Ucciero - A PROPOSITO DI TOLLERANZA ZERO: L'ORTOMERCATO AL TEMPO DELL'EXPO Ambiente e scienza - Riccardo Lo Schiavo - ZANZARE, COPERTONI E IMMIGRAZIONE. UNA STORIA MILANESE Metropoli - Filippo Beltrami Gadola - MILANO E LA FAME: MANGIARE MEGLIO MANGIARE TUTTI Società - Michele Bernelli - GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE: CRESCE LA "SPESA GIUSTA" Urbanistica e architettura - Pietro Cafiero - I MERCATI MENEGHINI Lettera - admin - ALFONSO MARZOCCHI SCRIVE E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO Dal Palazzo - ***** - LETIZIA E RED - STESSO COLORE DEI CAPELLI. STESSE IDEE? Scuola e Università - Vincenzo Viola - L'IMPROVVISAZIONE DEL POTERE In YouTube L'ACQUISTO SOLIDALE RUBRICHE MUSICA – a cura di Paolo Viola ARTE - a cura di Silvia Dell'Orso TEATRO – a cura di Maria Luisa Bianchi CINEMA E TV – a cura di Simone Mancuso Editoriale BALLOTTAGGIO: ASTENSIONISMO, FAR VINCERE LA STUPIDITÀ LBG La disaffezione, la disistima, l‟insofferenza verso la classe politica ormai si sprecano: qualche buona ragione c‟è e son sentimenti del tutto trasversali. Chi da corpo, parlando e scrivendo, a questi sentimenti è ovviamente quella che una volta avremmo chiamato borghesia intellettuale. Nella sinistra questa borghesia è molto presente e in passato ha fornito alla politica uomini eccellenti, oggi meno, quasi nulla. Oggi invece una parte consistente di quella borghesia è preda di una sorta di disprezzo-odio che la acceca e l‟astensionismo elettorale del quale si fa portavoce ne è la manifestazione più evidente. Il non recarsi alle urne ha poche valide ragioni solo nel caso dei referendum e Giovanni Sartori sul Corriere della Sera di qualche settimana fa ha lucidamente spiegato perché sceglieva l‟astensionismo: un quesito referendario mal posto, un risultato in ogni caso di direzione contraria all‟interesse generale del Paese, anche rispetto agli obiettivi dei promotori. Nel caso del rinnovo degli organismi elettivi previsti dal nostro ordinamento istituzionale l‟astensionismo invece è sempre colpevole. Tante le ragioni per votare a cominciare dalla prima: i destini comuni abbiamo il diritto-dovere di determinarli democraticamente. La seconda ragione è perché le interpretazioni dell‟astensionismo, le cui cause possono essere le più varie ed eterogenee, non serve a orientare la classe politica nelle sue scelte. Anzi lascia un margine d‟incertezza interpretativa che fa solo il gioco della classe politica al potere da una parte e dall‟altra. Questo è quello che non hanno capito i sostenitori a sinistra dell‟astensionismo: non sono pochi, alcuni, come si è detto, preda del disprezzo-odio, altri delusi dal non essere stati valorizzati, altri perché il candidato non rappresenta che solo in parte le proprie istanze (i duri e puri votati al suicidio da kamikaze) altri semplicemente stupidi. L‟argomento clou degli stupidi è pressappoco questo: non andiamo a votare così lanciamo un segnale forte ai partiti, della sinistra in particolare, del disprezzo e della disistima che nutriamo nei loro confronti. Si vestono di nero in una notte buia e si lamentano di non esser visti. Ma santo Dio, se la colpa di questa classe politica è l‟insensibilità, l‟incapacità di fronte ai cambiamenti sociali, l‟essersi chiusa in una casta, chi potrebbe pensare che l‟astensionismo li cambi? È un giochino stupido, buono per chiacchiere da salotto, fatto nel ventre caldo di un ceto che protegge, è la perdita definitiva per loro del senso di appartenenza a una qualunque classe sociale. Una volta avevano un partito: L‟Uomo Qualunque. Oggi poi l‟astensionismo da parte di costoro è ancora più riprovevole: andiamo a votare a un ballottaggio che non serve solo a scegliere il nuovo presidente della Provincia ma che mai come oggi rappresenta uno scontro politico tra due diverse e opposte visioni del futuro, di come affrontarlo, se puntellare la vecchia economia liberista senza muovere una virgola e col suo modello di sviluppo o se imboccare coraggiosamente una nuova era riformista. La dirigenza dei partiti di sinistra anche solo ieri ha dato uno spettacolo indecoroso dei suoi vecchi costumi. Per ricominciare la sola via è cancellare dalle aule parlamentari i valori della sinistra riformista? Cancellare dalle istituzioni democratiche le voci del riformismo sperando che rinascano assieme a una nuova classe dirigente? Follia. Il lavoro va fatto con una rude presenza della società civile nel recinto dei partiti della sinistra: non sono inespugnabili. Una via faticosa quest‟ultima, inadatta all‟uomo qualunque. E se l‟uomo qualunque non fosse solo stupido ma anche pigro? Senza idee? In fondo solo conservatore vergognandosi di esserlo? Approfondimenti MILANO: LE OMBRE DEL SALOTTO BUONO DEL MATTONE Mario De Gaspari Tre anni fa una società finanziaria milanese di nome Sopaf ha emesso questo comunicato stampa: “Sopaf al 33% nel Fondo Aster – un altro passo nel settore immobiliare. Milano, 21 aprile 2006 – Sopaf s.p.a. rende noto che la controllata LM & Pertners S.c.a. ha sottoscritto il 33,33% del Fondo Aster, fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso, riservato a Investitori Qua- 2 lificati e gestito da Vegagest SGR. La sottoscrizione, pari a circa 22 milioni di Euro, sarà finanziata in parte da terzi e in parte con risorse proprie. L‟investimento si affianca ad altre attività del gruppo Sopaf che comprendono la partecipazione in Polis Fondi SGR, per quanto riguarda l‟area dell‟Asset Management e quella in LM Real Estate, per gli investimenti proprietari.” Il nome di questa società, Sopaf s.p.a., forse non dice nulla al grande pubblico. Tuttavia si tratta di una società che ormai fa parte del salotto buono della finanza. Adriano Galliani siede stabilmente nel Consiglio di Amministrazione dal luglio 2005 e dal luglio 2006 è membro del comitato per il controllo interno. Ma quel che più conta è che Sopaf è la finanziaria che fa capo ai fratelli Magnoni, Giorgio e Ruggero. Il secondo, in particolare, è un personaggio di tutto rilievo: è il numero uno di Lehman Brothers in Italia ed è il banchiere che nel ‟99 ha affiancato Roberto Colaninno nella scalata a Telecom. Il sodalizio tra Magnoni e Colaninno è poi proseguito con avventure di non poco conto, tra cui spicca quella legata alla nuova Alitalia, di cui, secondo alcuni, Ruggero Magnoni sarebbe il vero deus ex machina. Il Fondo chiuso Aster, invece, è la società dei fratelli Siano, costituita per promuovere una sola operazione immobiliare, però tutt‟altro che insignificante, nell‟est milanese, precisamente e Segrate. Che questa operazione, denominata Santa Monica, sia di tutto rispetto, lo dicono i numeri: secondo il Sole 24 ore del 10 maggio 2008 si tratta della più grande operazione immobiliare in corso nel milanese, con una quotazione di mercato di 500 milioni di Euro. In fondo al testo di un comunicato della stessa Sopaf del 29 giugno 2007, viene riportata questa notiziola, quasi si trattasse di un‟inezia: “Sopaf inoltre comunica che in data odierna la controllata LM & Partners S.c.a. (in liquidazione) ha ceduto ad un operatore del settore 871 quote del fondo Aster (33,33%), sottoscritte nell‟aprile 2006, realizzando una plusvalenza, al netto di oneri e costi accessori, di circa 10 milioni di Euro. Il Fondo Aster è un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso, riservato ad Investitori Qualificati e gestito da Vegagest SGR, società di gestione della Cassa di Ferrara.” Dieci milioni di euro solo per tenere quattordici mesi in portafoglio una partecipazione non sono un cattivo affare, tanto più che l‟investimento era stato di soli 22 milioni, poco più del doppio. Paghi due prendi tre! Giova far notare che in quei quattordici mesi, per quanto concerne l‟operazione Santa Monica, non è successo nulla di rilevante: il piano era già stato approvato dal Comune e il successo dell‟iniziativa immobiliare già ampiamente assicurato. Ma il motto di Sopaf è “più valore al capitale”, e ben si capisce il perché, se senza fare nulla si possono guadagnare 10 milioni di euro in poco più di un anno. Il suolo, come si vede, non ha più dunque nessun valore intrinseco, in funzione della sua fertilità o della maggiore o minore prossimità al centro urbano e ai servizi: il valore, anzi, è intrinsecamente flessibile, determinato unicamente dall‟intraprendenza speculativa e dalla capacità contrattuale che l‟operatore immobiliare possiede verso l‟amministrazione pubblica. La rendita che ne deriva, però, non è una variabile passiva dell‟operazione: con quei soldi si sarebbero potuti costruire un centinaio di alloggi popolari, si sarebbero potuti realizzare servizi per i più bisognosi, si sarebbe semplicemente potuto incrementare il bilancio del comune. I lavori sul terreno, invece, procedono a rilento, c‟è la stretta creditizia, finanziare i lavori è sempre più difficile perché le vendite procedono a rilento. Forse arriverà qualche salvatore dall‟oriente o dalla Russia, o da chissà dove. Forse arriverà qualche fondo sovrano. Forse. Intanto quei dieci milioni (netti) non hanno certamente arricchito la comunità cittadina. E‟ più probabile che siano andati a sostenere altre operazioni analoghe. Sopaf, tra le società che operano nel settore immobiliare, è tra quelle che si sono difese al meglio: nel 2008 ha perso solo il sessanta per cento di capitalizzazione. Molto peggio hanno fatto altri colossi del Real Estate, come Pirelli, Aedes, o la Risanamento di Luigi Zunino. 3 Questa vicenda a mio avviso merita una attenta riflessione, perché rappresenta uno spaccato reale di come operano i meccanismi connessi alla rendita immobiliare nel milanese. E merita, a mio modesto parere, anche una riflessione da parte della magistratura: infatti, giusto per cercare di capire se queste enormi plusvalenze possano sottendere anche qualche illecito, nello scorso febbraio è stato presentato un esposto alla Procura della Repubblica. Facciamo una passo indietro. Anno 2002. E‟ un anno importante per la speculazione: viene approvato il “Collegato verde”, un provvedimento in materia ambientale, collegato appunto alla finanziaria. Si tratta di pochi articoli, tra i quali la possibilità per la bicicletta elettrica di circolare senza limitazioni. Interessante! Più interessante è però l‟articolo 12 che rivede tutta la procedura in materia di bonifiche, che d‟ora in poi saranno affidate a privati. Questi in sostanza potranno sfruttare le capacità edificatorie dei terreni inquinati e accollarsi l‟onere della bonifica utilizzando parte del plusvalore generato dall‟intervento. La responsabilità del soggetto che ha causato l‟inquinamento viene mantenuta ma chi ha capacità di investimento e progetti può proporsi, farsi assegnare l‟area, bonificare e costruire. Dati la scarsità di risorse pubbliche e gli alti costi delle bonifiche la normativa pare a tutti più che ragionevole. La norma ci mette un po‟ ad ingranare, le vecchie procedure pubbliche, lente e inefficaci, non vengono subito smantellate. Ma c‟è qualcuno che capisce presto che il settore delle bonifiche può essere promettente. Anche nel mondo della finanza la cosa non passa inosservata. La nostra Sopaf è tra le più svelte. Nell‟ottobre 2005 la società comunica di avere acquisito, attraverso una propria controllata, il 26% di SADI spa. SADI è una azienda che ha oltre un secolo di storia, con sede in provincia di Vicenza e opera nel settore dell‟architettura, “principalmente con la progettazione e produzione di controsoffitti, pavimentazioni sopraelevate e allestimenti navali”. Ma non è questo ciò che interessa agli amministratori della finanziaria. Da qualche tempo SADI si è inserita nel campo delle bonifiche ambientali e questo può rendere parecchio. “L‟operazione, riferisce il comunicato di Sopaf, rientra nella strategia di diversificazione del portafoglio proprietario perseguita da Sopaf volta ad effettuare investimenti in settori di nicchia, attraverso la costituzione di veicoli specialistici (quali IDA) che consentano di creare sinergie, a livello settoriale, tra investimenti simili in termini di know how e skill operativi, accelerando il processo di creazione del valore”. Nessuna speculazione, per carità! Solo una bella accelerata nella produzione del valore! Nel comunicato si dice: “Attraverso l‟oprazione prospettata, Sopaf compie il primo investimento in una azienda operante, tra l‟altro, nel settore delle bonifiche ambientali e dello smaltimento dei rifiuti inquinati. Anche a seguito delle recenti normative italiane e comunitarie in materia ambientale, Sopaf ritiene che il settore presenti prospettive di crescita interessanti e si pone l‟obiettivo di favorire la crescita di SADI, anche attraverso operazioni di aggregazione con altre realtà operanti nel settore delle bonifiche ambientali e del trattamento dei rifiuti industriali.” La SADI, in particolare la divisione ambiente che ha sede in provincia di Torino, la ritroviamo oggi coinvolta in un‟inchiesta che ha avuto una certa risonanza nella cronaca milanese. Secondo Giancarlo Grossi, amministratore delegato della Green Holding Spa, la SADI di Torino sarebbe nelle mani della „ndrangheta. E, a suo dire, proprio per tenerla sotto controllo nel 2004 lui stesso avrebbe fondato la Ma.Te.Co., affidandola a due marescialli della finanza in pensione. Stiamo parlando dell‟inchiesta su Santa Giulia, o Montecity, la città nella città sognata da Luigi Zunino e progettata da Norman Foster, una grande e ambiziosa operazione immobiliare impantanata nella crisi e in un mare di debiti. La città e il suolo urbano vengono dunque considerati un po‟ come vacche da mungere allo sfinimento e c‟è una categoria di professionisti, per la verità un po‟ borderline, particolarmente preparati all‟operazione. Si tratta di uomini che operano al confine tra la finanza e la nuova economia immobiliare, ben inseriti nei meccanismi della pubblica amministrazione, con grande capacità di persuasione, e circondati da collaboratori fidati, flessibili e non di rado abbastanza spregiudicati. A scavare negli intrecci della cronaca si scopre che ricorrono spesso gli stessi nomi, perché non è così facile avviare, sostenere e portare a compimento grandi operazioni immobiliari. Occorrono persone esperte e collaudate. La Sopaf compare raramente in prima persona, ma è spesso presente e attiva con plusvalenze di tutto rispetto. Brillante e non alla portata di tutti è ad esempio l‟operazione che nel luglio 2005 porta Sopaf a partecipare, tramite una controllata, al “private placement”, così viene chiamata la messa a disposizione di quote, del fondo immobiliare chiuso denominato “Fondo Immobili Pubblici”, FIP, del Ministero dell‟Economia e delle Finanze. L‟offerta, irrevocabile e subito accolta, corrisponde ad un investimento di tutto rispetto, 57 milioni di euro. Erano i tempi della finanza creativa, precedenti la conversione antimercatista del ministro Tremonti: lo stato cartolarizzava gli immobili pubblici, incassava denaro fresco e il rischio era a carico delle banche e degli investitori istituzionali. In realtà, soprattutto all‟inizio, qualcuno fece degli ottimi affari, i prezzi erano buoni. Poi i prezzi salirono per effetto della bolla immobiliare, il meccanismo si incagliò e allo stato restava l‟incombenza di ripianare le perdite. Oggi la chiusura definitiva di tutta quella grande operazione di “sicurization” sembra sia costata alla comunità nazionale 1,7 miliardi di euro. In compenso il patrimonio pubblico è più povero, alcuni enti che avevano la propria sede in proprietà sono costretti a pagare l‟affitto, i problemi sociali, primo fra tutti quello della casa, sono 4 tutt‟altro che risolti. E‟ innegabile che nel grande affare della valorizzazione immobiliare gli interessi delle comunità residenti sono poco e mal tutelati. Negli ultimi anni le città hanno dunque ben nutrito il sistema finanziario. E‟ difficile quantificare, ma non c‟è analista che, nel commentare le vicende dei paesi che via via sono entrati in crisi dal settembre 2008, non faccia riferimento alla caduta dei prezzi degli immobili, ai pignoramenti, alla paralisi dell‟industria edilizia. Il primo paese europeo ad entrare ufficialmente in recessione è stato l‟Irlanda: la tigre celtica, sempre in crescita dal 1983, dove la crisi del settore, ancora nel 2007 in crescita del 7%, ha coinvolto da subito l‟intero sistema. La prima cosa che stupisce è che il processo di valorizzazione sembra non avere limiti. La valorizzazione del suolo come puro capitale fittizio è un problema di cui le politiche del territorio non possono non tenere conto: un fondo viene valorizzato, poi venduto, chi acquista fa un nuovo piano e valorizza ulteriormente, le banche asseverano e finanziano il nuovo piano, su questo si raccolgono risorse nel mercato obbligazionario, con queste risorse si fanno altre acquisizioni… E la giostra sembra non avere fine. Se non si vende ai poveri c‟è il lusso nazionale, sempre ben disposto all‟investimento, se questo viene meno ci sono sempre i russi, o i cinesi; se vengono meno anche questi acquirenti restano pur sempre gli Emirati Arabi, i fondi sovrani. Il suolo si presta particolarmente a favorire la cosiddetta leva finanziaria: da qui nasce la tendenza alla bolla speculativa e alla concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di istituzioni finanziarie, banche, assicurazioni, fondi immobiliari, fondi sovrani. Da qui, dunque, deriva il rischio di essere colonizzati da capitali giunti da altre parti del mondo che una volta esaurito il processo di valorizzazione migrano altrove verso altri territori. E‟ un peccato che il dibattito sull‟urbanistica milanese sia inchiodato sull‟alternativa costruire molto/costruire poco, perchè Milano corre invece due rischi molto concreti: l‟invernabilità e l‟immobilismo. L‟epifenomeno della crisi, forse, è proprio Santa Giulia, o Montecity, la più imponente operazione di valorizzazione immobiliare del nostro tempo. Vedere per credere! Lavoro A PROPOSITO DI TOLLERANZA ZERO: L’ORTOMERCATO ED IL LAVORO AL TEMPO DELL’EXPO. Giuseppe Ucciero Ci sono luoghi a Milano dove la legge non è osservata, conosciuta o prevista: semplicemente non esiste. Ci sono luoghi a Milano dove la sicurezza non è tutelata, conosciuta o prevista: semplicemente non esiste. Ci sono luoghi a Milano dove i diritti non sono riconosciuti, conosciuti o previsti: semplicemente non esistono. Ci sono infine luoghi a Milano dove il valore del lavoro non è riconosciuto: semplicemente è ridotto a vessazione semischiavistica. Sono luoghi che i tartufi della tolleranza zero non vedono, non sentono e di cui non parlano, pur vedendoli, sentendoli e parlandone sottovoce tra di loro. Il Luogo – Non Luogo per eccellenza, il sito reale dove regna lo status di extraterritorialità criminale, dove legge, sicurezza e diritti non fanno parte del quotidiano modo di vivere e di lavorare, è il Comune di Milano. Parliamo qui della SO.GE.MI., l‟azienda pubblica che gestisce l‟Ortomercato, o per meglio dire che offre graziosamente e gratuitamente il grande mercato ortofrutticolo di Via Lombroso a chi vuole provare l‟ebbrezza del capitalismo romantico delle origini, quello della Londra della prima metà dell‟800, del primigenio mercato senza regole. Qui paleocapitalismo e XXI secolo si incrociano magicamente, come in un aleph dove tutto si confonde, senza memoria e senza futuro. Qui il visitatore curioso, o magari uno dei nostri liberisti di sinistra, potrà provare il brivido del contatto con quelle “ruvide” figure imprenditoriali che, ancora “nette” dall‟addolcimento portato da quasi due secoli di lotte e mediazioni nel mondo della produzione, trattano i proletari (o sottoproletari) semplicemente come carne da lavoro. Qui l‟antropologo potrà toccare con mano la pregnanza dei rapporti interculturali tra etnie e provenienze diverse nella disperata competizione per ottenere il privilegio di sudare come bestie per 2,5 euro / ora. Qui l‟operatore del diritto potrà osservare sul campo l‟indifferenza e gli sghignazzi degli “operatori della sicurezza” al massacro umano e sociale in atto davanti a loro, e riaggiornare, letteralmente “riportare a giorno” il significato della parola dimenticata “sbirro”. Un Luogo – Non Luogo, un incubo metropolitano nel cuore della macchina amministrativa comunale, dove tutti sanno ma al tempo stesso dimenticano, paghi semplicemente di non far parte della calca dei disperati, o peggio ancora attenti a non perdere per strada le briciole che toccano a loro per il loro silenzio o la loro complicità. E non bastano per ridarci una verginità cittadina e civile, lo diciamo subito per anticipare fin d„ora obiezioni prevedibili, operazioni “una tantum” pur lodevoli, o l‟annuncio di timidi tavoli per la legalità: serve ben altro per far fronte all‟intricato e verminoso connubio tra malaffare criminale, speculazione commerciale, con- 5 nivenze amministrative ed intrecci politici. Ed infine ci dobbiamo allora pur chiedere se di questo orrore sistematico, di questa devastazione omertosa, di questa corruzione organica della responsabilità, sia responsabile solo la destra, o se invece non ne portino il peso anche un campo democratico inerte e silenzioso di fronte alla strage dei diritti. Sarebbe allora una gran cosa se il tema fosse ripreso e fatto oggetto di chiara iniziativa politica prima di tutto dal campo delle forze del centro sinistra, dal mondo ecclesiale, dal sindacato, dalla società civile avvertita e sensibile, dalla stessa pubblica opinione a cui si deve offrire conoscenza e non pettegolezzo e perché aprendo il campo anche a forze ed esponenti del centro destra, che solo una visione infantile e settaria ci può dipingere come in toto irrecuperabile. Politiche europee ed EXPO 2015 offrono qui ed ora eccellenti occasioni per sollevare il coperchio sul maleo-, affrontando ad un tempo solo il tema della bontà dell‟amministrazione ed il riconoscimento del valore e dei diritti del lavoro: perdere questa congiuntura favorevole dimostrerebbe una volta di più l‟incapacità organica del centrosinistra di ricollocare su di un terreno più appropriato, e più ad essa favorevole proprio perché più vero, il tema della sicurezza come esito di una profonda bonifica del sociale e non come effetto di un catenaccio normativo – poliziesco. Ambiente e scienza ZANZARE, COPERTONI E IMMIGRAZIONE. UNA STORIA MILANESE Riccardo Lo Schiavo Passo tutte le sere sulla tangenziale est di Milano, come solito ingolfata di autovetture e camion. In estate generalmente, sono attratto da sciami di zanzare che stazionano sul Lambro, in zona cascina Gobba e oscurano il già sbiadito cielo di Milano. Queste sono le “nostre” zanzare comuni, quelle contro cui il popolo meneghino lotta senza successo da almeno 2000 anni. In particolare il comune di Milano segnala la presenza delle seguenti specie: Anopheles, Culex, Ochlerotatus e Aedes.Se il genere Anopheles incute ai cultori della materia un certo timore perché è il vettore della malaria nelle zone subtropicali, la specie Aedes, non è da meno. E‟ la mitica zanzara tigre quella che ti punge anche a mezzogiorno in piazza Duomo! Questa zanzara, tra le altre, ha una particolarità, è di recente importazione. Il tutto è cominciato nel 1990 quando un bastimento ha scaricato a Genova dei copertoni. Incredibile ma vero, delle ruote di camion pieni di larve di zanzare, ma non c‟entra Tronchetti Provera, quella è un‟altra storia. L‟ultimo quindicennio 1990-2005 ha visto come protagonista della scena climatica italiana l‟affermarsi di una forte modifica della variabilità a livello stagionale sia dal punto di vista termometrico che pluviometrico. …L‟ingresso in Italia di specie animali e vegetali provenienti da territori extraeuropei, grazie all‟intensificazione degli scambi commerciali dovuti al processo di globalizzazione in atto, ha introdotto un ulteriore fattore di squilibrio ambientale. La straordinaria diffusione in ambito urbano di Aedes Albopictus (Skuse), più noto come “Zanzara Tigre”, a partire dalle prime sue segnalazioni (Della Pozza, 1992; Romi, 1995), ha fornito uno degli esempi classici per questo tipo di fenomeni. Il suo comportamento molesto nei confronti dell‟uomo, l‟attività diurna rispetto ad altre specie di culicidi l‟ha fatto rapida- mente diventare uno degli oggetti di ricerca più interessanti (Romi, 2001). http://www.dta.cnr.it/dmdocument s/pubblicazioni/volume_clima_07/ AT_06/6-43_vallorani.pdf Caratteristica generale delle zanzare è la capacità, esclusivamente nelle femmine, di pungere altri animali con il proprio apparato boccale e prelevarne i fluidi vitali, ricchi di proteine necessarie per il completamento della maturazione delle uova. La presenza di diverse specie ematofaghe associate all'Uomo e agli animali domestici e in grado di trasmettere alla vittima microrganismi patogeni, attribuisce ai Culicidi una posizione di primaria importanza sotto l'aspetto medico-sanitario. La zoofagia si manifesta generalmente a spese del sangue di mammiferi, uccelli, rettili e anfibia oppure a spese dell'emolinfa di altri artropodi. In generale il rapporto trofico fra zanzare e ospite è di tipo preferenziale, ma non esiste una specializzazione biologica obbligata. Il meccanismo di attrazione della specie umana nei confronti delle zanzare è alquanto complesso ed è tuttora oggetto di studio. L'acido lattico prodotto dall'attività muscolare richiama le zanzare, così come azione attrattiva accessoria è svolta da sostanze volatili presenti nel sudore e nel sebo. È stato inoltre riscontrato che le zanzare rilasciano, sull'ospite, feromoni ... in altri termini, le femmine marcano l'ospite che hanno aggredito lasciando sostanze attrattive che attirano altre femmine. Sul meccanismo di attrazione, interferiscono infine la temperatura della pelle e i moti convettivi dell'aria calda, verso l'alto, emessa dalla respirazione. Infine hanno una funzione accessoria altri stimoli, di natura visiva, come il colore della pelle. (Wikipedia) E‟ probabile, ma non ovvio, che le nostre zanzare tenderanno ad attaccare un soggetto che abbia mangiato polenta taragna e stracotto d‟asino, il tutto innaffiato da 6 vino della Valtellina e che madido di sudore stia sonnecchiando sulla sedia nel giardino. La zanzara tigre è considerata ottimo vettore di virus e per questo oggetto di numerosi studi di laboratorio. Nei paesi d'origine è implicata nella diffusione di diverse malattie fra le quali la più nota è il Dengue (conosciuta anche come febbre spacca ossa). E' stato evidenziato inoltre che Ae.albopictus è in grado di trasmettere arbovirosi (virus trasmessi da artropodi) indigene quali il La Cross in America e la Febbre Gialla in Africa e in Sud America. http://www.entom.unibo.it/nuova_ pa2.htm La zanzara tigre prospera negli ambienti urbani. È una zanzara molto aggressiva nei confronti dell'uomo; punge di giorno e all'aperto, creando notevoli disagi alla popolazione. La sua puntura può provocare ponfi dolorosi e persistenti in soggetti particolarmente sensibili (specialmente bambini e anziani); un elevato numero di punture può indurre reazioni allergiche localizzate. L‟eccezionale capacità diffusiva di Ae. albopictus è dovuta al trasporto passivo delle sue uova. Queste, come tutte le uova del genere Aedes, sono dotate di una struttura particolare che permette loro di resistere al disseccamento e quindi di ritardare la schiusa anche di parecchi mesi. Durante il periodo estivo, quello più favorevole allo sviluppo, gran parte delle uova deposte schiudono appena sommerse dall‟acqua. http://www.agac.it/database/agac/ agac.nsf/b4604a8b566ce010c1256 84d00471e00/d75685053c30e96 3c1256d21002d62d0?OpenDocu ment All‟epoca della prima introduzione a mezzo copertoni di camion della zanzara tigre, in Italia era in vigore la legge Martelli sull‟immigrazione: LEGGE 28 febbraio 1990 n. 39 Ragionando per assurdo, le zanzare sono entrate clandestina- mente in Italia, sui barconi tanto cari a certa politica, sono prive dei necessari mezzi di sussistenza, ci succhiano letteralmente il sangue. Ben peggio di quegli extracomunitari che vanno a lavorare a nero in campagna o in fonderia. L‟ironia del destino travalica leggi e confini politici che nulla possono di fronte ai fenomeni migratori.Che si tratti di zanzare o umani, nulla riesce a fermare il moto. Questa zanzara porta le malattie e le inocula nell‟organismo, introducendo nell‟apparato circolatorio umano i virus, ciò è quanto di più devastante ci possa essere sia da un punto di vista sanitario ma anche culturale. Questa è una beffarda risposta della natura a chi tende a erigere barriere invece che a gestire la situazione in maniera intelligente consentendo di dare un futuro a chi migra senza danneggiare gli indigeni. Uova di zanzara tigre trasportate nei copertoni sono figlie di zanzare che magari hanno succhiato sangue di neri, forse mussulmani. Mi verrebbe da dire questa è l‟invasione! All‟armi, all‟armi ! Nella guerra dei mondi di Steven Spielberg, film del recente passato, gli alieni sono appunto sconfitti perché risucchiando il sangue degli umani assumono anche i virus che non avevano previsto di trovare. S‟indeboliscono e sono sconfitti. Nel nostro specifico il rischio è uscirne sia con le ossa rotte fisicamente con il Dengue (la febbre spacca ossa) sia di essere travolti dall‟ondata migratoria visto come la stiamo gestendo, non nel giusto modo. Metropoli MILANO E LA FAME. MANGIARE MEGLIO MANGIARE TUTTI Filippo Beltrami Gadola Se quando si parla di Expo – d‟altro ormai non si parla – si guarda solo alle aree edificabili, strade e mattoni, la spiegazione più semplice è che gli affari sono affari e che il dibattito è tra chi vuole farli alla faccia di tutti e chi si oppone cercando di mettersi in salvo dall‟avidità altrui. C‟è un‟altra ragione però. Del tema dell‟Expo, nutrire il mondo, è difficile parlare. Parlarne vuol dire farsi carico di un problema, la fame, che non ci tocca personalmente e che non vediamo con i nostri occhi se non molto raramente: vedere morire di fame a Milano è uno spettacolo fortunatamente inconsueto. La morte dei poveri a Milano la porta di solito il freddo. Abbiamo bisogno d‟immagini fotografiche, di filmati televisivi, di racconti e di statistiche per cominciare ad avvicinarci al problema: le code di gente che cerca di sfamarsi aiutata dalla carità dei religiosi sono visibili ma forse non basta. Il peggio, i bambini denutriti, non li vediamo nelle nostre strade. La sociologia urbana ha cercato di indagare sull‟uomo di città, sulle sue pulsioni, sul suo modo di aggregarsi e drammaticamente ha costatato lo sbriciolamento dei valori collettivi: una società ricca che li perde s‟inselvatichisce, una società povera non ha spesso abbastanza energie libere dal bisogno per crearsi valori collettivi. Nonostante gli sforzi di molti volonterosi sembra che il mondo, se non si pone qualche rimedio, andrà dividendosi tra selvaggi poveri e selvaggi ricchi. Milano da che parte sta andando? È la scommessa dei prossimi anni, anche senza aspettare il fatidico 2015. Le strade che si aprono davanti a noi sono solo due: una strada indicata dall‟ONU e una indicata dai movimenti che si fanno carico della fame nel mondo. L‟ONU ha una visione tecnocratica e ottimista: a grandi linee, se i Paesi sviluppati razionalizzeranno la loro agricoltura e dedicheranno molte risorse a favore di quella dei Pesi sottosviluppati investendo capitali localmente, ci sarà da mangiare per tutti. La posizione dei movimenti è diversa: il modello attuale di alimentazione dei Paesi sviluppati, modello che va estendendosi dietro la pressione della pubblicità commerciale, non è sostenibile e quindi bisogna partire da qui per operare. Non solo due strategie diverse ma un diverso coinvolgimento sociale: produrre di più concerne i produttori, un‟esiguissima minoranza, cambiare modello di vita coinvolge tutti. Sono due strade alternative? Nemmeno porsi il problema perché in questi casi vale il principio di precauzione: si deve fare tutto. 7 Milano ha un‟occasione sociale di grande respiro nell‟Expo, deve imboccare le due strade: il meglio del suo sapere nell‟agricoltura, il meglio del suo sociale nella strada della parsimonia. Come valutare i risultati? Nel primo caso il confronto scientifico internazionale e la sperimentazione, nel secondo caso usando misuratori indiretti ma efficaci come la quantità di rifiuti solidi urbani pro capite o il consumo di energia elettrica domestica. In provincia di Milano ogni anno produciamo 5 quintali di rifiuti solidi per persona – neonati compresi – con una maggior quota per il centro urbano milanese. Saremo capaci di ridurre gli sprechi, soprattutto alimentari? Riusciremo ad avviare a incenerimento una quota inferiore di derrate alimentari scadute o non più utilizzabili. Ogni tanto ci domanderemo come mai qualche anno dopo la guerra del ‟40 il mondo aveva riserve alimentari per un anno e oggi per meno di 40 giorni? La crisi economica e la caduta dei redditi delle famiglie sta già cambiando qualcosa. In altra parte del giornale parliamo dei gruppi di acquisto solidale; la novità ed il successo dei “farmer market” milanesi son ormai di dominio pubblico. Forse il segnale di una resistenza all‟avanzare del selvaggio. Società GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE: CRESCE LA “SPESA GIUSTA” Michele Bernelli GAS, Gruppi di Acquisto Solidale. Sono ancora una piccola nicchia di consumatori. Ma potrebbero essere l‟avanguardia di un modo del tutto nuovo di fare la spesa, e soprattutto di ridare un senso a chi produce rispettando la terra, l‟ambiente, la dignità della persona. Sono gruppi di famiglie, di amici, di vicini di casa, in qualche caso di colleghi che si organizzano per acquistare – direttamente dai produttori - in modo critico e intelligente. Critico verso le distorsioni dei meccanismi della grande distribuzione; intelligente perché vuole capire cosa e soprattutto chi sta dietro un pacco di pasta, una mela, una maglietta, un detersivo. Il primo GAS è stato costituito a Fidenza nel 1994; dieci anni dopo erano circa 150 sparsi per tutta Italia, e negli ultimi anni la curva di crescita dei gruppi è decisamente all‟insù. Quasi 600 sono quelli censiti sul sito www.retegas.org che sul web fa da punto di raccordo nazionale; ma rilevazioni fatte in alcune province fanno salire di un buon 30% il totale effettivo dei GAS in attività. Se calcoliamo una media di 25 famiglie per GAS si arriva a un universo di circa 20 mila “famiglie solidali”. “Il nostro gruppo ha acquistato nel 2008 prodotti per un totale vicino ai 50 mila euro” calcola Attilio Rapisarda del GASd‟8, gruppo di acquisto milanese del quartiere QT8. Sono numeri che raccontano di una massa critica che basta già per dare una concreta alternativa di mercato a piccoli produttori che erano sinora costretti ai prezzi imposti da grossisti e distributori. E che consente oggi al movimento dei GAS di entrare da protagonisti anche in filiere più com- plesse di quella alimentare, dal tessile alla telefonia fino all‟elettricità: l‟associazione GAS Energia, che raccoglie GAS di tutta Italia, è impegnata nella definizione un “contratto solidale” con un consorzio di produttori per l‟acquisto di energia da fonte rinnovabile. Quello dei GAS non è un fenomeno solo cittadino, ma nelle metropoli assume un valore particolare di reazione alle distorsioni della grande distribuzione e di nuovo raccordo tra città e campagna: il sito www.gasmilano.org elenca 51 GAS di Milano, e almeno altrettanti sono attivi nell‟hinterland e nella cintura milanese. Non esiste un solo modello di gas ma tante realtà diverse per numero di partecipanti, per modalità di acquisto, per scelta dei produttori. Tutti i GAS però si riconoscono in un manifesto di principi e in tre aggettivi guida: piccolo, locale, solidale. Piccolo: perché Il GAS acquista preferibilmente da piccoli produttori, con cui sviluppa rapporti di conoscenza diretta e approfondita, basata sulla fiducia reciproca; ne sostiene l‟attività, impegnandosi all‟acquisto e in alcuni casi prefinanziando la produzione. Locale: perché il GAS fa la spesa secondo i principi del chilometro zero (la minima distanza possibile tra produzione e consumo) e della filiera corta (azzerando i passaggi di mano della distribuzione organizzata). Nella stessa logica di riduzione dell‟impatto ambientale, sceglie il produttore biologico; rinuncia agli imballi, riusa i contenitori; acquista il prodotto sfuso ogni volta che questo è possibile. 8 Solidale: perché, con i suoi acquisti, sostiene e promuove l‟idea di risparmio e di profitto sociale. Rifornirsi da piccoli agricoltori biologici, da cooperative che impiegano soggetti svantaggiati, significa permettere a chi è strozzato dalla grande distribuzione o è espulso dal mondo del lavoro di essere parte di un nuovo processo economico. I GAS non sono, e ci tengono a dirlo chiaro, gruppi di risparmio. Ma alla fine, si scopre anche, al netto di un impegno non da poco, i conti tornano. Tornano anzitutto perché lavoro nero, agricoltura che devasta l‟ambiente, camion e aerei che viaggiano da una parte all‟altra del mondo, imballaggi sempre più ingombranti non si pagano con lo scontrino finale, ma hanno un evidente costo sociale, che pagheranno le generazioni a venire. Ma tornano anche i più banali “conti della serva”: Il prezzo di un prodotto GAS è pulito, giusto, trasparente e, a pari qualità (quindi, ad esempio, nel confronto con i prezzi “da scaffale” del biologico) permette risparmi che possono raggiungere il 20%. “Una famiglia del nostro gruppo” sottolinea ancora Attilio Rapisarda “ ha tenuto per quattro anni i conti della sua spesa per alimenti e prodotti per la casa; la quantità di acquisti tramite il GAS, è aumentata nel tempo; e di pari passo la spesa totale (supermercato + GAS) è scesa del 15%”. La spiegazione è chiara: meno supermercato vuol dire meno acquisti d‟impulso, inutili, e quindi bilanci famigliari più sobri e leggeri. I numeri di questa rilevazione, per chi vuol ragionarci su, sono nell‟area “risorse per la stampa” di www.retegas.org Urbanistica e architettura I MERCATI MENEGHINI Pietro Cafiero È mercoledì. Giorno di mercato. Anzi di mercati. Ne conto tre sul tragitto da casa allo studio. Tre agglomerati multicolori di tende e ombrelloni, tre grumi vivaci di bancarelle e furgoni. Tre isole pedonali temporanee che mi costringono una volta a settimana a modificare il collaudato percorso quotidiano verso il lavoro. Nulla di male. Una piacevole trasgressione alla routine da pilota automatico che normalmente comprime il mio tempo carrabile. Questa è la più immediata conseguenza che i mercati hanno sull‟assetto della città. Ma non è l‟unica. La presenza di tali forme di vendita influenza in modo diretto o indiretto la forma stessa della città, con ricadute che prescindono dalla durata temporale dell‟attività. A Milano, come in tutte le grandi città, vi sono tre tipi di mercato. C‟è quello rionale, fatto dagli ambulanti in perenne transumanza tra un paese e l‟altro, che a cadenza settimanale (a volte anche due volte a settimana) occupa chiassosamente strade e piazze di quartiere per tutta la mattinata. Nel capoluogo lombardo dal lunedì al sabato si tengono 95 mercati rionali, di cui 21 solo il sabato. Ci sono poi i mercati comunali, ospitati in strutture permanenti. A Milano sono 26, equamente distribuiti su tutta la superficie territoriale. C‟è infine il mercato generale, situato nel quadrante sud-est, nelle vicinanze della cintura ferroviaria per ovvie ragioni logistiche. Cerchiamo di capire in che modo ognuno di questi differenti “oggetti” sia in grado di lasciare un segno tangibile nella città. I mercati rionali I segni più palesi di questi mercati li cogliamo alla fine. Quando gli ambulanti chiudono le bancarelle e impacchettano l‟invenduto nei loro furgoni, lasciano dietro di sé le macerie dell‟attività mattutina. Strade, piazze e parcheggi da pulire e recuperare al loro uso co- mune. Perché nel giorno del mercato sono questi spazi che si trasformano e si adattano ad accogliere una funzione che non gli è propria. Nei piccoli paesi esiste la piazza del mercato, che spesso coincide con la piazza principale. Diversamente il mercato rionale nelle grandi città si deve accontentare di luoghi ritagliati e non sempre adeguati. Uno dei mercati più famosi di Milano, quello di viale Papiniano, si tiene principalmente su un‟isola spartitraffico lungo la circonvallazione. Il mercato di Largo V° Alpini, meta delle “sciure” di zona Fiera, affastella i suoi carissimi banchetti in pochi metri quadri di parcheggio pubblico, tra torri residenziali e rotaie del tram. Il mercato rionale ha una significativa funzione sociale, soprattutto in periodi di crisi, perché riesce nella maggior parte dei casi a offrire merci a prezzi accessibili. Ma vi è un costo, neanche troppo nascosto, da pagare in termini di degrado e di fastidio per i residenti. Via Morgagni e Via Benedetto Marcello sono, se osservate da una foto aerea, due tasselli verdi nel tessuto cittadino, simmetrici e paralleli rispetto all‟asse di Corso Buenos Aires. Ma se la prima via rappresenta un buon esempio di sistemazione a verde e di aree attrezzate per il gioco dei bambini, lo stesso non si può dire per la seconda. Se sia “colpa” degli alberghetti a ore che affacciano sulla via o del mercato bisettimanale che ne occupa il tratto nord impedendo la riqualificazione di tutto il parterre, anche ora che il silos interrato è terminato, non è chiaro. Sta di fatto che via Benedetto Marcello non è “simmetrica” a via Morgagni quanto ad estetica e decoro urbano. In alcuni casi, nell‟hinterland soprattutto, si sta intervenendo con la creazione di spazi ad hoc per lo svolgimento del mercato, spazi che negli altri giorni della settimana sono fruibili dai cittadini, come parcheggi pubblici o zone pedonali. Nel capoluogo lombardo manca una strategia di risistema- 9 zione e ridisegno generale delle aree per i mercati rionali I mercati comunali La maggior parte di essi ha una propria sede, mentre pochi sono ospitati al piede di edifici residenziali (in via Livigno il mercato si trova in una Coop). Gi esercenti possono ottenere il posto (posteggio) attraverso un‟asta pubblica. Periodicamente l'ufficio competente rende noti i posteggi liberi all'interno dei mercati comunali coperti e li assegna a chi offre il canone annuo più elevato. Questo spiega perché i prezzi sono più simili a quelli dei negozi che a quelli dei mercati rionali. Alcuni di questi mercati sono parte integrante dell‟immagine della città. In piazza Wagner, in piazzale Lagosta o in viale Umbria gli edifici del mercato comunale hanno una dignità architettonica, che deriva più dal loro ruolo urbano che da una reale valenza estetica. La volta a botte del mercato di viale Monza è un segno identitario e riconoscibile nel profilo della via, senza dubbio più del vicino mercato di Gorla, lungo lo stesso viale, o degli anonimi contenitori situati nelle zone più periferiche (Gratosoglio, Quarto Oggiaro, Ca‟ Granda, Rombon, etc.). Il nuovo PGT, definendo i Nuclei di Identità Locale (i vecchi quartieri, per intenderci) indica che in quelli di tipo 3 “lo scavo per un posteggio di quartiere è l‟occasione per ripensare a una nuova struttura che ospiti il mercato di quartiere”. Un piccolo passo nella giusta direzione o l‟ennesima espressione di velleità? Di certo siamo ancora lontani da ciò che a Barcellona la municipalità ha fatto per la risistemazione dello storico Mercato di Santa Caterina attraverso un intervento di grande qualità architettonica, ampliando la sua funzione primaria la vendita- e trasformandolo in un luogo di aggregazione dove si può anche mangiare o incontrarsi. Il mercato generale Nato come mercato ortofrutticolo, si è via via trasformato nel merca- to generale, comprendendo tutti gli altri mercati agroalimentari all‟ingrosso. È gestito dalla So.Ge.Mi e si trova a sud del sedime della ex stazione di Porta Vittoria e a ovest della cintura ferroviaria. È in progetto una rilevante trasformazione dell‟area. Non una dismissione, ma una riorga- nizzazione dell‟intero sistema dei mercati all‟ingrosso milanesi, con l‟inserimento di nuove funzioni pregiate e la creazione della cosiddetta “Città del Gusto e della Salute”, un polo tecnologico dove insediare università, strutture commerciali e ricettive nell‟ambito dei progetti Expo. Una vera e propria operazione immobiliare, di cui ancora si parla poco, ma destinata ad incidere considerevolmente nel tessuto cittadino data l‟estensione dell‟area dei mercati. E per questo meritevole di vigilanza e attenzione. Lettera ALFONSO MARZOCCHI SCRIVE E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO Admin Mi sembra che non ci siamo proprio. Devo dire che ho letto molto velocemente i vostri articoli, e nemmeno tutti per ora. Tuttavia esprimo la mia criticità: l'expo è certamente una grande occasione per Milano, il tema "nutrire il pianeta energia per la vita" è potenzialmente più che utile per tutto il mondo. Io voglio per Milano metropolitane grattacieli vie d’acqua navigli riaperti nuovi parchi eccetera. Perchè piuttosto non vi adoperate per chiedere per il 2015 almeno 10 linee di metrò e tutte " pesanti " (cioè con treni e banchine lunghi come in M1 M2 e M3, e non come stanno facendo in M5 e vorrebbero fare in M4, con treni e banchine molto più corti), la riapertura di tutti i navigli storici e per quanto possibile navigabili da persone e merci, la creazione di nuovi parchi in città meglio se alberati con sempreverdi adatti al clima e al paesaggio lombardi, a costo di demolire i rioni semicentrali più fatiscenti, e non solo e sempre nelle estreme periferie, la costruzione di sedi universitarie anche nelle periferie e nell’'hinterland, tutte dotate di verdi campus, e la tutela reale del diritto allo studio abolendo i numeri chiusi e passando qualora necessario alla frequenza di uno o più anni integrativi per chi ne avesse bisogno prima di accedere ai corsi veri e propri, la copertura di tutti gli edifici e gli immobili lombardi - a partire da quelli pubblici e dalle aziende - con pannelli solari, tranne che nei casi di chiara incompatibilità estetica, la creazione di un corso di laurea in teologia e religioni comparate (tut- ti i culti della terra, di ieri e di oggi), l’apertura di coffeshops come in Olanda ma un po’ meno commerciali e più sobri, eccetera. L’ Expo diffusa: i padiglioni vanno fatti tutti e solo a Rho (nell'area proposta dal sindaco), senza troppe stramberie: nel resto della provincia e della regione sarebbe più che bene che vi fossero iniziative artistiche culturali ambientali e scientifiche distribuite il più capillarmente possibile sul territorio. Vi segnalo un po’ di links: www.partecipami.it (e-democracy milanese, forse lo conoscete già), www.christiansforcannabis.com, www.legalizzala.it, www.stopthedrugwar.org , www.norml.org, www.abort73.com contro l’aborto, e spero per un'educazione sessuale migliore più diffusa e per una maggiore accessibilità agli anticoncezionali, pillola del giorno dopo inclusa ), www.paxchristi.it (.net la versione internazionale), www.chiesavaldese.org , www.animanews.it, (librerie ecumeniche esoteriche a Milano ), www.verticalfarm.com. Per favore continuate a mandarmi le vostre mails. Grazie, cordiali saluti e buon lavoro Alfonso Marzocchi Gentile signor Marzocchi, le rispondo molto volentieri perché mi sembra utile doveroso e necessario, dalle pagine di ArcipelagoMilano introdurre un serio 10 dibattito sul tema dell‟Expo dando anche spazio, come forse nel suo caso, a visioni per certi versi “oniriche” della nostra città. E‟ vero, l‟Expo rappresenta una grande opportunità per Milano, ma vedremo nei fatti chi sarà in grado di portare a Milano grandi o piccole idee per “nutrire il pianeta, energie per la vita”. Temo che purtroppo vista anche la crisi economica mondiale, poche saranno le nazioni che siano state in grado di allocare grandi investimenti sull‟argomento. Comunque staremo a vedere. Tutto vorrei, tranne che vedere l‟Expo trasformata in una grande fiera alimentare. Se avrà il tempo di leggere tutti i nostri articoli, scoprirà, per esempio che nessuno spazio è stato dedicato a coloro, e sono sempre di più, che l‟Expo non la vorrebbero del tutto. Questo magazine propone, e ha proposto e difeso piuttosto la realizzazione di un Expo alternativa, utilizzando, come lei menziona, potenziali strutture alternative dislocate in punti diversi della città. Da Palazzo Marino, che ha definito queste risposte “folcloristiche”, è giunto un secco rifiuto, adducendo tre cose: la prima che il BIE stesso ha individuato da sé la sede della futura Expo, che la stessa Expo va realizzata presso un‟unica sede, e che ogni modifica al progetto iniziale richiede l‟approvazione di almeno due terzi dei paesi membri. Noi stessi desidereremmo dieci, venti, trenta linee metropolitane pesanti, nuovi parchi, grattacieli decorosi che si armonizzano con il paesaggio circostante, mentre per la riapertura dei navigli interni, se lei ci ha fatto caso, il suo tracciato corrisponde esattamente con quello della linea metropolitana M4. A lei chiedo, meglio una linea metropolitana in meno o la riapertura dei navigli di cui da anni (dall‟epoca credo del sindaco Pillitteri se non prima) si discute? Sempre sul tema delle vie d‟acqua: se lei osserva attentamente il progetto presentato al BIE noterà che non sono stati presi in considerazione dei problemi di carattere tecnico, come il superamento del notevole dislivello, per non parlare del suo percorso, che si svolgerebbe attraverso una periferia che forse è meglio nascondere piuttosto che mostrare ai potenziali visitatori dell‟Expo. Sul tema dell‟università, poi, che dire? Il governo pensa piuttosto alla riduzione degli insegnanti e alla decurtazione dei corsi di laurea già esistenti, piuttosto che alla creazione di nuovi poli universitari, che negli ultimi anni, al contrario di quello che lei sostiene, sono sorti ovunque un po‟ come funghi. Per ultimo, lei che mi sembra così attento al futuro della sua città, un‟Expo come quella proposta dalla Moratti finirebbe col cancellare definitivamente quel poco di terreno agricolo ancora esistente a nord di Milano, non le sembra un prezzo troppo alto da pagare? Filippo Beltrami Gadola Dal Palazzo LETIZIA E RED, STESSO COLORE DEI CAPELLI. STESSE IDEE? ADMIN “La stampa dipinge un‟Italia che non è reale”, parola di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio del nostro sventurato Paese. Vecchia storia. Da sempre chi governa legge controvoglia i giornali, soprattutto quando fanno il loro mestiere: raccontare in modo critico l‟azione di governo di chi è stato eletto. Si sa che uno dei modelli di Berlusconi è Margareth Thatcher, che era solita vantarsi di non leggere i giornali, perché scrivevano cose che non le piacevano. Di sicuro è più comodo avere giornalisti scendiletto (quanti ne abbiamo visti sfilare a Porta a porta, proprio in queste ultime settimane…). L‟ultimo esempio di politico insofferente alle critiche è il sindaco Letizia Moratti, sempre più assente dal Consiglio comunale, dove un‟opposizione neanche troppo agguerrita si ostina a chiederle conto delle sue scelte. E lei che fa? Quando non strilla per qualche articolo che non le è piaciuto, sta rintanata nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Marino. E si concede soltanto alle domande melliflue e complici del suo intervistatore di fiducia: Red Ronnie. Ormai hanno persino lo stesso colore di capelli, rosso mogano. * * * Ci siamo. Ne ha inventata un‟altra. Dopo il “progetto eversi- vo contro di me” il presidente del Consiglio, a passeggio a Portofino, ha annunciato l‟ultima sua linea di difesa: “Mi hanno detto di tutto, ci manca solo che mi dicano che sono gay…”. Dato che non dice mai nulla per caso (salvo smentite del giorno dopo, ma tutto fa brodo), c‟è da temere che anche quest‟ultima boutade avrà un seguito. * * * Sarà forse un caso, ma gli ultimi due libri che descrivono la situazione di Milano, e che vale la pena di leggere, hanno titoli che si riferiscono alla peste. Il primo è di Corrado Stajano: “La città degli untori”, Garzanti editore; il secondo è di Marco Alfieri: “La peste di Milano”, Feltrinelli editore. Faranno parte anche questi, senza dubbio, del progetto eversivo. Contro don Rodrigo. * * * E la settimana raccontata dai comunicati stampa di Palazzo Marino? Per ora non fa emergere alcun piano eversivo. Per ora. 10 X 5… - Milano, 5 giugno 2009 - “Cinquanta anni fa l‟euro era un sogno. Ci abbiamo messo decenni ma siamo riusciti a realizzarlo” ha detto Lucio Stanca, amministratore delegato Soge Expo. * * * 11 CAMPA CAVALLO - Milano, 6 giugno 2009 – “ La bonifica del quartiere Palmanova Casette rientra fra le priorità della Giunta. In pochissimi anni contiamo di completare i lavori”. Lo annunciano gli assessori Bruno Simini (Lavori pubblici e Infrastrutture) e Gianni Verga (Casa e Demanio). * * * CULTURISMI 1 - Milano, 9 giugno 2009 – “Il cibo è cultura, conoscenza”. Lo ha detto l‟assessore al Turismo, Marketing territoriale e Identità Massimiliano Orsatti. CULTURISMI 2 - Milano, 10 giugno 2009 – “La strada come museo da riempire di eventi. Ho ispirato e condiviso questa iniziativa che sarà ripetuta anche in altri quartieri della città”. Lo ha detto questa mattina l‟assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. CULTURISMI 3 - Milano, 11 giugno 2009 – “La scienza non è solo un sapere, ma è anche cultura” spiega l‟assessore alla Cultura Finazzer Flory. * * * RADIOCITY - Milano, 10 giugno 2009 – “Stiamo dando un‟impronta del tutto nuova per trasformare Milano da una città radiale a una città reticolare”. Lo ha detto l‟assessore allo Sviluppo del territorio Carlo Masseroli. * * * STELLA DI LATTA 1 - Milano, 5 giugno 2009 - “I volontari monito- reranno un treno su due dei 24 in circolazione dalle 22”. Lo annuncia il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 2 - Milano, 10 giugno 2009 - “A maggio le Forze dell‟ordine e la Polizia Locale hanno inflitto una raffica di multe”. Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 3 - Milano, 10 giugno 2009 - “Nessuno pretende di risolvere con le multe un problema come quello della droga” sottolinea il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. STELLA DI LATTA 4 - Milano, 11 giugno 2009 – “Sulla questione delle gang sudamericane rimane comunque il problema”. Lo dichiara il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato. * * * NOSFERATU - Milano, 11 giugno 2009 – “Il sangue è vita” ha detto il Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri. * * * PAULISTA - Milano, 11 giugno 2009 – “Milano e San Paolo del Brasile, dal punto di vista urbanistico, hanno in comune molti elementi”. Lo ha detto l‟assessore allo Sviluppo del territorio Carlo Masseroli. * * * A FERRAGOSTO OGNI SCHERZO VALE - Milano, 11 giugno 2009 – “Il 15 agosto le vie della nostra città accoglieranno il carnevale di ferragosto”. Lo ha detto l‟assessore alle Attività produttive, Politiche del lavoro ed Eventi Giovanni Terzi. Scuola e Università L’IMPROVVISAZIONE DEL POTERE Vincenzo Viola Uno dei capisaldi dell‟azione dell‟onorevole Gelmini in questo primo anno della sua gestione del ministero di viale Trastevere è stato il ritorno alla “valutazione nelle singole materie espressa in voti numerici”. Ne ha fatto una questione di principio, con chiare connotazione ideologiche, tanto da ripeterlo più volte e in molte forme in ogni circolare o documento che riguardi sia pure indirettamente l‟argomento della valutazione. Con una sorta di ebbrezza, ad esempio, nel comunicato stampa del 28 maggio 2009 trionfalmente annuncia che “questo metodo di valutazione riguarderà anche l'insegnamento della musica” (ma non quello della religione, chissà perché). Evidentemente per il ministro il voto numerico ha il dolce sapore del retro, della sconfessione di un trentennio di docimologia e di pedagogia, di una rivincita sull‟odiato Sessantotto. Se ci vuole così poco per renderla felice, perché dirle di no? Perché il ministro e i suoi validi collaboratori difettano, in questo caso, di una qualsiasi consequenzialità logica. Infatti se si usano i numeri per valutare (e si può farlo benissimo) e si decide che in ogni singola disciplina debba essere valutato il livello di preparazione raggiunto al di sotto del quale non si può essere promossi, è ovvio che devono essere ap- prontate delle misure con una funzione di “paracadute” per evitare che un ragazzo con una o due insufficienze sia costretto a ripetere l‟anno. Nella scuola vecchia maniera, tanto cara alla Gelmini, tali ammortizzatori esistevano e si chiamavano “esami di riparazione”: nulla di eccezionale, strumento vecchiotto e da non rimpiangere proprio, ma che almeno dava la possibilità di differenziare la situazione di chi aveva alcune lacune limitate nella gravità o nella diffusione da quella di chi arrivava a fine anno quasi completamente impreparato. Del resto nella secondaria superiore, in cui si è sempre utilizzato una scala di valutazione numerica, esistono i debiti e la possibilità (e il dovere) di ripararli. Invece per la scuola elementare e media oggi, se dovessimo applicare come sono scritte le disposizioni della Gelmini, non vi è differenza tra chi ha un‟insufficienza in disegno e chi non studia mai e si comporta da bullo: in un caso e nell‟altro pollice verso, dice la norma perché per passare alla classe successiva è necessario ottenere “un voto non inferiore a sei decimi in ogni disciplina di studio.” Ancor di più: per essere ammessi agli esami conclusivi della secondaria inferiore è necessario “aver conseguito in ogni disciplina di studio e nel compor- 12 tamento un voto non inferiore a sei decimi”, mentre per ottenere l‟ammissione all‟esame di Stato conclusivo della secondaria superiore è sufficiente la media complessiva del sei, media che è calcolata “considerando nel computo, a tutti gli effetti, anche il voto di comportamento e il voto di educazione fisica.”. Cioè alla fine delle superiori un 8 in condotta e un 8 in educazione fisica compensano dei 4 in matematica e inglese, mentre nelle medie un 5 in geografia potrebbe impedire l‟ammissione all‟esame di terza media. Il paradosso generato dall‟incapacità del ministro di valutare le conseguenze delle proprie decisioni e dei propri atti è assolutamente palmare. Questa situazione viene contrabbandata dal nostro ministro (nella sua sovrana incompetenza) come il trionfo del rigore e della serietà. Nulla di più falso, ovviamente: di fronte all‟esigenza di avere tutti i voti sufficienti sul tabellone non è difficile capire che molti consigli di classe opteranno per una vasta sanatoria, con un effetto a cascata di disincentivazione dall‟impegno (perché studiare se poi il sei bene o male arriva per grazia ricevuta?) proprio nella delicatissima età della prima adolescenza. Così si apre la porta al caos: improvvisi miglioramenti, è facile prevederlo, caratterizzeranno il curriculum di gran parte degli studenti italiani; poiché nessuna scuola può permettersi di fermare un terzo dei propri studenti, si potrà osservare con finto stupore che tutti avranno prontamente imparato matematica e italiano, inglese e scienze nelle ultime settimane di scuola e i 4 e i 5 di aprile diventeranno 6 a giugno. Di fronte a questo stato di cose, che tende inevitabilmente a de- generare, alcuni dirigenti scolastici col senso del proprio compito di formatori avevano pensato di introdurre sul tabellone un piccolo correttivo, il “6 rosso”, almeno per comunicare a genitori e studenti che in questa o quella disciplina il livello di preparazione era carente e che quindi sarebbe buona cosa darsi da fare durante l‟estate per riparare le carenze. Misura di buon senso, non altro, subito però duramente contrastata dalla Gelmini: cos‟è questa storia delle suf- ficienze “colorate”, che potrebbero segnalare sufficienze assegnate dal consiglio di classe? Non se ne parla neppure! A fine anno, si sa, è tempo di bilanci per tutti, per chi insegna e per chi impara. Sarebbe il caso che lo fosse anche per chi governa la scuola; ed è ora per tutti di domandarci dove può portare questa frenesia ideologica nutrita da incompetenza e improvvisazione. LE RUBRICHE MUSICA Questa rubrica è a cura di Paolo Viola Le Schubertiadi di Schwarzenberg Pochi milanesi e lombardi conoscono e frequentano questo specialissimo evento, che si svolge ogni anno a 250 km da casa loro (non più di tre ore, quasi tutte in autostrada), di un fascino incredibile per chiunque ami la musica classica - anche senza esserne grande intenditore – e magari anche l‟aria estiva delle Alpi. Le Schubertiadi prendono il nome dall‟abitudine del giovane Franz (1797–1828) di riunire nella sua casa di Vienna gli amici musicisti, e con loro passare intere giornate a “far musica”; non solo musica propria, ma qualsiasi testo piacesse loro e si divertissero a suonare insieme, spesso anche improvvisandone di nuovi. Dopo la prematura morte di Franz, del nome di Schubertiade si è fatto grande uso, in festival grandi e piccoli e in vari paesi, ma ultimamente si è imposto all‟attenzione di tutto il mondo musicale un festival molto particolare (www.schubertiade.at) che fin dal 1976 si svolge nella piccola regione austriaca del Vorarlberg non lontano dalla sua capitale Bregenz, sul lago di Costanza o Bodensee - dapprima sulle rive del Reno e successivamente più in alto, in un delizioso paesino adagiato fra i prati e i boschi del famoso altipiano del Bregenzerwald incorniciato da alte cime quasi sempre innevate. Nel minuscolo paese di Schwarzenberg proprio domani comincia il primo ciclo delle Schubertiadi, che durerà 10 giorni (dal 17 al 27 giugno) e che riprenderà il 29 agosto per concludersi l‟8 settembre (in maggio e in ottobre altri due cicli si svolgono in valle, ad Hohenems). Il programma del festival prevede tre concerti il giorno - mattino, pomeriggio e sera – che si terranno nella bella sala in legno dedicata ad Angelika Kaufmann (la grande pittrice nata a Schwarzenberg e cresciuta in paese nella seconda metà del „700) ciascuno dei quali preceduto dal richiamo dei corni che, pochi minuti prima dell‟inizio, fanno echeggiare antiche armonie fra i monti e le valli dell‟altipiano. 13 In questo prossimo ciclo si ascolteranno tanti pianisti - fra cui Brendel, Eschenbach, Lewis e Schiff - il violoncello di Erben e il clarinetto di Bader, il trio Eggner, i quartetti Artemis e Belcea, l‟ottetto di Lipsia (Leipziger Oktett) e – per gli amanti dei lieder – le magnifiche voci di Ian Bostridge, Annette Dash, Gerald Finley, Matthias Goerne, Robert Holl, Julia Kleiter, Christopher Maltman, Christoph Prégardien, Thomas Quasthoff, Kate Royal, Andreas Scholl e Peter Schreier. Oltre a Schubert - che la fa ovviamente da padrone con pagine pianistiche, lieder e varie formazioni di musica da camera (dal duo all‟ottetto) – si ascolteranno Haydn, Beethoven, Schumann, Mendelssohn, Brahms, Debussy, Ravel in un turbillon di musiche meravigliose in un ambiente di sogno, assolutamente inusuale. Ascoltare musica in un contesto così particolare, dove ogni cosa ruota intorno al festival – i piccoli e antichi alberghi di montagna con le loro stuben, le chiese con i loro organi e i cori di paese, i ne- gozi dell‟artigianato vernacolare – e si parla solo del concerto appena ascoltato o di quello che inizierà di lì a poco, dove tutto porta a un‟altissima concentrazione, è un‟esperienza molto singolare e sostanzialmente irripetibile. Ma è anche un‟esperienza estetica, perchè la visione di un pubblico sostanzialmente colto e raffinato, così diverso - anche nel modo di vestirsi, urbano ed elegante – dall‟ambiente rurale e alpestre in cui tuttavia si muove con grande disinvoltura, accolto con palese simpatia e interesse da una comunità rimasta perfettamente contadina, un pubblico di persone che parlano tante lingue diverse ma ascoltano le stesse note, che si ritrovano di anno in anno e poco a poco finiscono per conoscersi e riconoscersi, ebbene tutto ciò è uno spettacolo altrettanto singolare e affascinante. Ed è proprio questo fascino che attrae da una parte i tanti artisti che approfittando del loro impegno vengono a Schwarzenberg a trascorrere anche qualche giorno di riposo, e dall‟altra tutti noi appassionati che ritorniamo ogni anno e per un intero anno conserviamo il ricordo e la nostalgia delle incantevoli ore trascorse. 16 giugno ARTE Questa rubrica è curata da Silvia Dell‟Orso Un nuovo appuntamento nell‟ambito delle celebrazioni per il bicentenario della fondazione della Pinacoteca di Brera. L‟occasione sta suggerendo un modus operandi che si vorrebbe appartenere alla quotidianità di un museo, tra scavo e ricerca sul proprio patrimonio, ma anche capacità di dare conto dei risultati con attitudine divulgativa. L‟attenzione si sposta questa volta su Giuseppe Bossi, figura chiave della storia braidense, uno dei primi segretari dell‟Accademia di Belle Arti – succeduto a Carlo Bianconi, sospettato di sentimenti filo austriaci – cui si deve, fra l‟altro, la presenza nelle collezioni di Brera del Cristo morto del Mantegna e dello Sposalizio della Vergine di Raffaello, al cui acquisto partecipò attivamente. La rassegna ricostruisce la raccolta di ritratti e autoritratti di artisti che Bossi concepì come incentivo alla ricognizione storica degli antichi maestri della scuola milanese per gli allievi dell‟Accademia. In tutto 34 ritratti, 25 dei quali raffiguravano infatti maestri lombardi o loro familiari, dei quali si è presto persa memoria, se è vero che già nel catalogo della Pinacoteca del 1816 non sono più registrati come nucleo autonomo. Le curatrici della mostra, Simonetta Coppa e Mariolina Olivari, li hanno rintracciati, spesso dimenticati in uffici pubblici e ne presentano 24, restaurati per l‟occasione, oltre a un Autoritratto di Giuseppe Bossi. Il “Gabinetto dei ritratti dei pittori” di Giuseppe Bossi. Pinacoteca di Brera, via Brera 28, Sala XV – orario: 8.30/19.15, chiuso lunedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima). Fino al 20 settembre. È dedicata alla lunga stagione trascorsa da Monet a Giverny la mostra di Palazzo Reale. Una rassegna che allinea 20 grandi tele dell‟artista provenienti dal Museo Marmottan di Parigi, dipinte tra il 1887 e il 1923 quando la costruzione del giardino di Giverny, con i salici piangenti, i sentieri delimitati dai roseti, lo stagno con le ninfee, il ponte giapponese, i fiori di ciliegio e gli iris trova pieno corrispettivo nella tavolozza multicolore di Monet, portando alle estreme conseguenze quell‟attitudine innata che lo induceva, ancora ragazzino, a disegnare dal vivo il porto di Le Havre, piuttosto che seguire in studio le lezioni dei maestri. Il tempo della magnifica ossessione di Giverny una piccola città sulle rive della Senna dove Monet spese la maggior parte del suo tempo e dove costruì il suo più volte immortalato giardino - le cui immagini si possono confrontare con una serie di fotografie ottocentesche di giardini giapponesi. Non senza percepirne la familiarità con la tradizione giapponese dell‟ukiyo-e, rappresentata da 56 stampe di Ho- 14 kusai e Hiroshige, prestate dal Museo Guimet di Parigi ed esposte a rotazione per ragioni conservative. Monet. Il tempo delle ninfee. Palazzo Reale – orario: lunedì 14.30/19.30, martedì-domenica 9.30/19.30, giovedì 9.30/22.30. Fino al 27 settembre. Suo cugino Aron Demetz è forse più noto ed è stato al centro lo scorso anno di una mostra al Pac. Per Gerhard Demetz quella comasca è la prima antologica, anche se si era già fatto notare nelle due personali allestite alla Galleria Rubin di Milano, cui va il merito di avere richiamato l‟attenzione sull‟artista. Altoatesino come Aron, nato nel 1972, scultore a sua volta, naturalmente attratto dal legno, come si confà a chi è nato e vissuto in Val Gardena apprendendone fin da subito le tecniche di lavorazione, la manualità, gustandone il profumo e la duttilità. Non sono però solo sculture in legno, di tiglio, quelle presentate a Como, tre sono in bronzo, un materiale nuovo per l‟artista che espone anche alcuni bassorilievi a parete. Il tema dominante è sempre la figura umana, in particolare bambini, di cui Demetz conosce e restituisce a tutto tondo le fragilità, le incertezze, i dubbi, quasi serbasse intatta la memoria dell‟infanzia e della tensione tragica che spesso l‟accompagna. Facendone percepire la bellezza non solo visivamente. La rassegna è infatti il primo appuntamento di un progetto promosso in collaborazione con l‟Unione Italiana Cechi, pensato per coinvolgere anche un pubblico non vedente in speciali percorsi tattili. Complici l‟odore del legno, le forme morbide, levigate, ma anche scabre delle sculture, minuziosamente lavorate con lo scalpello sul fronte, incompiute sul retro. Love at First Touch: Gehard Demetz. Como, ex Chiesa di San Francesco, viale Lorenzo Spallino 1- orario: lunedì-venerdì 16/20; sabato e domenica 10.30/19.00. Fino al 27 giugno. A cura di Philippe Daverio con Elena Agudio e Jean Blanchaert, la rassegna propone tutt‟altro che una lettura univoca e compiuta dell‟arte sudamericana; è semmai un ritratto d‟autore che ricorda artisti di ieri e protagonisti delle ultime generazioni, insistendo su alcuni temi condivisi: sangue, morte, anima, natura, città. E sempre e comunque con grande passione sociale e attenzione per la storia. Non un‟unica America Latina, ma tante Americhe Latine, così come è molto diversificato e variegato il panorama artistico del continente sudamericano. Arrivano dal Brasile, da Cuba, dalla Colombia, dal Cile, dal Venezuela e dal Messico le oltre cento opere esposte. Una cinquantina gli artisti rappresentati, concettuali, astratti, figurativi nel senso più tradizionale del termine, pittori, scultori, fotografi o amanti delle sperimentazioni linguistiche. Ecco, dunque, la cubana Tania Bruguera, l‟argentina Nicola Costantino, la brasiliana Adriana Varejão fino a Beatriz Milhares, Vik Muniz, al fotografo guatemalteco Louis Gonzales Palma, al cileno Demian Schopf. C‟è anche Alessandro Kokocinsky, cresciuto in Argentina, ma nato in Italia dove tuttora vive e lavora, che trasferisce nelle sue opere dolenti i tormenti vissuti in prima persona. Nella sala cinematografica dello Spazio Oberdan la sezione video è curata da Paz A. Guevara e Elena Agudio. Americas Latinas. Las fatigas del querce. Spazio Oberdan, via Vittorio Veneto 2 - orario: 10/19.30, martedì e giovedì fino alle 22, chiuso lunedì. Fino al 4 ottobre. Si fa sempre più fitto il dialogo tra arte antica e moderna, almeno quanto a iniziative che vedono a confronto tradizione e modernità. Come la mostra allestita in questi giorni all‟Accademia Tadini di Lovere. Una rassegna nata dalla collaborazione tra il museo lombardo, aperto nel 1828 da un collezionista di allora, il conte Luigi Tadini, e tre galleristi/collezionisti di oggi, Claudia Gian Ferrari, Massimo Minini e Luciano Bilinelli. Ecco dunque che le opere di Antonio Canova, Francesco Hayez, Jacopo Bellini, Fra‟ Galgario, il Pitocchetto, Francesco Benaglio e Paris Bordon, conservate in permanenza all‟Accademia Tadini, si trovano per qualche mese faccia a faccia con quelle di Giulio Paolini, Carla Accardi, Lucio Fontana, Luigi Ontani, Arturo Martini, Sol LeWitt e molti altri maestri del XX e XXI secolo. “Accademia Tadini. Quattro collezionisti a confronto Lovere (Bergamo), Accademia di Belle Arti Tadini, Palazzo dell'Accademia, via Tadini 40 (Lungolago) - orario: martedì-sabato 15/19, domenica 10/12 e 15/19. Fino al 4 ottobre. È la mostra simbolo delle celebrazioni per il centenario della nascita del Futurismo. Una rassegna impetuosa e forse un po‟ bulimica, ma come di fatto fu il Futurismo e come si confà alla passione dello studioso che ama rendere pubbliche le proprie scoperte. Il Futurismo a volo d‟uccello, dunque, guardando al movimento in tutta la sua estensione cronologica e senza omettere nessuna delle sue molteplici declinazioni, esplorando anzi l‟intero campo d‟azione di un‟avanguardia la cui piena valutazione è stata a lungo condizionata dalle sue collusioni col fascismo. A cura di Giovanni Lista e Ada Masoero, la rassegna riunisce circa 500 opere, spaziando dai dipinti, disegni e sculture, al paroliberismo, ai progetti e disegni d'architettura, alle scenografie 15 e costumi teatrali, alle fotografie, ai libri-oggetto e ancora agli arredi, all‟arte decorativa, alla pubblicità, alla moda, offrendo in chiusura un assaggio di film futuristi. Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblicava su Le Figaro il “Manifesto del Futurismo” ed è appunto a Marinetti che spetta un ruolo chiave nel percorso espositivo, traghettando nell‟età delle avanguardia l‟arte italiana di fine „800 alla quale è dedicata un‟efficace panoramica in apertura, tra Simbolismo e Divisionismo. Si prosegue quindi per decenni, individuando di volta in volta le figure e i caratteri dominanti. Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo, Soffici, Prampolini, Depero, Sironi, Dottori e molti altri. La compagine di maestri futuristi è ampiamente rappresentata, anche grazie a opere non scontate, e la rassegna segue l‟intera evoluzione del movimento fino a tutti gli anni ‟30 e oltre, avventurandosi nella metà del secolo scorso per rintracciarne gli eredi: da Fontana a Burri, Dorazio, Schifano ai poeti visivi. Futurismo 1909-2009. Velocità + Arte + Azione. Palazzo Reale, piazza Duomo 12 – orario: 9.30/19.30, lunedì 14.30/19.30, giovedì 9.30/22.30. Fino al 12 luglio. I temi sono tutti indiscutibilmente ponderosi e decisamente universali: Potere, Quotidiano, Vita, Morte, Mente, Corpo, Odio, Amore. Ognuno di questi rinvia a una delle 8 sezioni in cui si articola la mostra bergamasca il cui titolo, “Esposizione Universale”, sembra ironizzare su uno degli argomenti più frequentati e ineludibili del momento. Qui però l‟Expo è rigorosamente artistico, con una carrellata di un centinaio di opere dal „400 ai giorni nostri, forte innanzitutto del patrimonio dell‟Accademia Carrara di Bergamo, ma non solo. Si va da Giovanni Bellini, Bergognone, Botticelli, Carpaccio, Foppa, Pisanello, Tiziano a Casorati, Duchamp, De Chirico, Christo, De Dominicis, Ontani, Clemente, Kabakov, Gilbert & George, Maria Lai, Spalletti, Arienti, Cuoghi e molti altri, tra cui Ben Vautier le cui opere-testo ricorrono in tutte le sale. A cura di Giacinto Di Pietrantonio, non è la prima volta che il direttore della Galleria d‟Arte moderna e contemporanea di Bergamo mette a confronto l‟arte antica con quella moderna. Lo ha fatto ragionando sulle Dinamiche della vita dell’arte, una rassegna di qualche anno fa e continua a riproporre anche in questo caso la sua visione unitaria dell‟arte, tutta contemporanea, perché è con gli occhi di oggi che si rilegge l‟arte di ieri. Esposizione Universale – L’arte alla prova del tempo. Bergamo, Galleria d‟arte moderna e contemporanea, via San Tomaso 53 – orario: martedì-domenica 10/19, giovedì 11/22. Fino al 26 luglio. L‟opera incisa di James Ensor è al centro di una mostra, a cura di Flavio Arensi, allestita nelle sale di Palazzo Leone da Perego a Legnano. Sono esposte 188 stampe del maestro belga vissuto a cavallo tra „800 e „900, provenienti dalla collezione Kreditbank; tra queste 134 acqueforti, a delineare un percorso influenzato inizialmente dall‟esperienza impressionista che lascia ben presto il passo a un deciso espressionismo, tramite per una dissacrante e spietata critica della società del tempo. Occupa una posizione rilevante, la stampa, nella produzione di Ensor, un medium che si addice alla sua vena di solitario fustigatore del compassato mondo borghese, ma anche alle sue sfrenate escursioni nei territori del fantastico e del grottesco. Non mancano, peraltro, anche i paesaggi, le marine, le nature morte, i ritratti e gli autoritratti, con un‟attenzione particolare riservata alla figura di Cristo che ricorre in almeno una dozzina di incisioni e a cui è dedicato l‟album litografico dal titolo Scènes de la vie du Christ. Parallelamente, al Castello di Legnano si possono visitare un‟antologica di Tino Vaglieri a nove anni dalla morte dell‟artista triestino, milanese d‟adozione, di cui si segue il percorso dapprima legato al Realismo esistenziale e approdato quindi all‟informale e una personale della giovane artista di Merate, Marta Sesana. James Ensor. L’opera incisa. Legnano, Palazzo Leone da Perego - orario: martedì-venerdì 16/19.30; sabato 15.30/19.30; domenica e festivi 10/13 e 15.30/19.30; mercoledì 21/23. Fino al 28 giugno. Gli spazi della Fondazione Pomodoro sono letteralmente occupati dalle grandiose installazioni della settantanovenne artista polacca, protagonista della nuova mostra, a cura di Angela Vettese. È davvero una rifondazione del linguaggio della scultura quella che si avverte nell‟opera di Magdalena Abakanowicz. Monumentale non solo per le dimensioni degli 11 lavori esposti, ma anche per il respiro, per la vastità della concezione, per il modo in cui le sue creazioni interagiscono con lo spazio, occupandolo, appunto e trasformandolo. Lo si vede per esempio in Embriology, installazione acquistata nel 2008 dalla Tade Modern di Londra e ora a Milano. Un lavoro imponente ideato nel „78, fatto di centinaia di sacchi di iuta imbottiti, di varie dimensioni e a forma di patata, già intrinsecamente destinati a trasformarsi nelle sue folle di figure umane e animali, arricchendosi a un tempo con l‟uso di altri materiali: ceramica, acciaio, alluminio, bronzo. Nata in una famiglia aristocratica, Magdalena Abakanowicz ha sempre vissuto e lavorato a Varsavia e si è vista poco in Italia a parte le Biennali di Venezia e una mostra al Mart di Rovereto. Magdalena Abakanowicz. Space to experience. Fondazione Arnaldo Pomodoro, via Andrea Solari 35 – orario: mercoledì-domenica 11/18 (ultimo ingresso alle17); giovedì 11/22 (ultimo ingresso alle 21). Fino al 26 giugno. Il soggiorno di Leonardo da Vinci a Vigevano, testimoniato dallo stesso maestro nei suoi appunti, è il pretesto per una serie di iniziative in zona che ruotano attorno a questo genio poliedrico, tra cui una mostra decisamente insolita. Anzi “impossibile” perché riunisce l‟intera opera pitto- 16 rica di Leonardo, operazione in sé inimmaginabile se non attraverso il ricorso alle tecnologie di riproduzione digitale. È così che 17 opere leonardesche, ricostruite in dimensioni reali e retroillluminate (al punto da essere apprezzabili analiticamente talvolta meglio degli originali), sono esposte tutte assieme negli spazi del castello vigevanese. Dalla Gioconda alla Vergine delle Rocce, alla Dama con l’ermellino e persino l‟Ultima Cena, quest‟ultima presentata nella vicina chiesa sconsacrata di San Dionigi, da poco restaurata come anche l‟imponente pala del Cerano, qui custodita, raffigurante il martirio del santo. Questa rassegna non è la prima del genere. L‟ideatore del progetto, Renato Parascandolo, ha cominciato a pensarci nel 2000, quando, allora direttore di Rai Educational, strinse un accordo col Ministero per i Beni e le Attività culturali per fotografare e riprendere in video i maggiori capolavori dei musei italiani. Cominciò da lì la sua avventura nei territori della riproduzione delle opere d‟arte e nacque così l‟idea di utilizzare quei materiali per realizzare una sorta di grande trailer dei capolavori italiani da esportare nel mondo per richiamare turisti a vedere gli originali. Ecco allora le mostre di Leonardo, Raffaello e Caravaggio, curate da studiosi qualificati, cui seguiranno a breve, quelle non meno impossibili sulla Cappella degli Scrovegni di Giotto e su Piero della Francesca. Leonardo: una mostra impossibile. L’opera pittorica di Leonardo da Vinci nell’epoca della sua riproducibilità digitale. Castello di Vigevano - orario: martedì-domenica 10/19. Fino al 30 giugno A sei anni dalla morte di Enrico Baj, la sua produzione artistica non cessa di riservare sorprese e nuovi filoni d‟indagine. Non solo le donne fiume, i monumenti idraulici, le dame, i generali, a molti già familiari, ma anche i mobili animati, in linea con l‟ineludibile tendenza all‟antropomorfizzazione dell‟artista milanese. Un libro, a cura di Germano Celant, edito da Skira, e una mostra alla Fondazione Marconi propongono questo versante della feconda produzione artistica del padre del Movimento Nucleare e della Patafisica Mediolanense. Sono una cinquantina le opere eseguite agli inizi degli anni ‟60, presentate in collaborazione con l‟Archivio Baj. Alla base, l‟idea tipicamente surrealista e venata d‟ironia che qualsiasi cosa possa trasformarsi in altro. Ecco, dunque, come già è stato per i personaggi, una serie di mobili bizzarri ma anche eleganti, confezionati con ovatta pressata e applicata a collage sul fondo di stoffa da tappezzeria, su cui Baj sistemava cornici, pomelli, passamanerie e fregi di serrature a evocarne i tratti somatici; via via il mobile si precisa, si fa di legno grazie a fogli d‟impiallacciature opportunamente impreziositi e si avvia a esibire la sua natura Kitsch. Enrico Baj. Mobili animati. Fondazione Marconi, via Tadino 15 - orario: martedì-sabato 10.30/12.30 e 15.30/19. Fino al 24 luglio. I suoi celebri Bleu hanno addirittura richiesto una tonalità di blu creata ad hoc, che porta a tutt‟oggi il suo nome (International Klein Blue). L‟aspirazione alla purezza e all‟assoluto hanno contraddistinto l‟intera e brevissima vicenda creativa di Yves Klein, suggerendo più di un‟affinità con Piero Manzoni, e non soltanto perché sono morti, quasi coetanei, a un anno di distanza l‟uno dall‟altro: nel ‟62, a Parigi, il trentaquattrenne Klein; nel ‟63, a Milano, Manzoni appena ventinovenne. A Yves Klein, capofila del Nouveau Réalisme, sebbene ne sia uscito un anno dopo la fondazione e antesignano della pittura monocroma, è dedicata un‟ampia retrospettiva che oltre a presentare un centinaio di opere del maestro francese, provenienti dall‟Archivio Yves Klein di Parigi e da collezioni internazionali, affian- ca loro, nelle piazze e nei giardini della città, una selezione di sculture metalliche della moglie Rotraut Uecker che con Klein condivise anche la vocazione artistica e immaginifica. Sui tre piani del museo, le opere di Klein sono presentate per nuclei tematici: i Monochrome realizzati con pigmenti puri fino ad arrivare al solo blu, alternato con l‟oro in foglia; i quadri realizzati con il fuoco a contatto diretto con la tela; le Anthropométrie, tele su cui sono impressi i corpi delle modelle cosparse di colore dall‟artista durante veri e propri happening; e ancora i Relief planétaire, le Sculpture éponge, insieme a filmati e fotografie a documentarne le azioni, mentre un ricco apparato documentario permetterà di seguire le tappe del percorso artistico e personale di Klein. Yves Klein & Rotraut Lugano, Museo d‟Arte, Riva Caccia 5 – orario: martedì-domenica 10/18, lunedì chiuso (tranne il 1° e 29 giugno). Fino al 13 settembre. TEATRO Questa rubrica è curata da Maria Laura Bianchi Three Solos and A Duet Così lontani, così vicini tra di loro, Mikhail Baryshnikov e Ana Laguna sono la più stupefacente strana coppia della danza di oggi. Lui è, per dirla in breve, “the greatest living dancer”, il più grande danzatore vivente, secondo “Time Magazine”. Dalle vette del balletto russo, l‟ex transfuga Misha non ha fatto altro che cambiare tutto (paese: dalla nativa Lettonia agli States, linguaggio: dal classico al contemporaneo) per non cambiare niente: è rimasto se stesso, una superstar curiosa, perfezionista, inguaribilmente snob. Dopo essere stato il più musicale dei Principi del balletto zarista, ha frequentato a lungo il neo-modern e post-modern Usa di Twyla Tharp e Mark Morris per poi concedersi qualche ardita “escursione”: ha calzato tacchi vertiginosi come Achille per il provocatorio Richard Move, si è calato nei panni del fascinoso Aleksandr Petrovsky nel cult tv “Sex & the City”. Di lei, la spagnola Ana, si sa molto meno. Da sempre musa del marito coreografo, lo svedese Mats Ek, è un‟antidiva defilata dalla mondanità, immune da qualsiasi vanità femminile. Interprete di viscerale espressività, ha saputo scolpire a piedi nudi creature borderline per le poetiche coreografie contemporanee di Ek. Insieme, Misha & Ana formano una miscela esplosiva. Con grande smacco di chi vorrebbe la danza perennemente congelata in una smagliante gioventù, ecco la lezione di due sublimi sessantenni. Non salgono in cattedra, ma scivolano nelle angustie del quotidiano, tratteggiato da un tavolo e un tappeto, simulacri di una vita qualunque in cui cullarsi, specchiarsi, accapigliarsi, 17 ritrovarsi. È “Place”, una tessitura di gesti minuti modellata sui corpi intelligenti di Baryshnikov e Laguna da uno dei maestri più sensibili della scena contemporanea, Mats Ek, che per i due ha adattato anche il suo “Solo for Two”, originariamente concepito per Sylvie Guillem e Niklas Ek (fratello di Mats), su musica di Arvo Pärt, in cui si intrecciano solitudine, distanza e desiderio tra una donna e un uomo a lungo sospirato. Riservano sorprese il nuovissimo assolo per Baryshnikov sul la “Valse Fantasie” di Mikhail Glinka - ideato dall‟ex direttore del Balletto del Bolshoi Alerei Ratmanski (il debutto, il 2 maggio alla Latvian National Opera di Riga, città natale del divo russo) -, e un secondo solo per Misha dal titolo “Years Later”, firmato nel 2007 dal francese Benjamin Millepied, principal dancer del New York City Ballet, su musiche di Philip Glass, Erik Satie e Akira Rabelais. Teatro Strehler, largo Greppi Stasera alle 19.30; domani e dopo alle 20.30 Info e prenotazioni: 848.800.304 Superwoobinda Definito una delle più lucide analisi dello stato della nostra televisione, Superwoobinda – l‟album di cinquantadue racconti brevissimi dello scrittore varesino Aldo Nove pubblicato nel 1998 – arriva a Milano nella riduzione scenica firmata da Monica Nappo. Una lingua elementare, quasi bambinesca, restituisce il sorprendente paesaggio di storie e di situazioni quotidiane, dove il gusto compiaciuto per la violenza, la presenza ossessiva della pubblicità, del marchio, del mondo della televisione, e una morbosa ossessione per il sesso, convivono, e i cui protagonisti uccidono, squartano e dilaniano corpi con la stessa naturalezza con cui potrebbero andare a fare la spesa. “Teen agers brufolosi – dichiara Monica Nappo, l‟attrice di teatro e di cinema diretta, tra gli altri, da registi come Mario Martone, Toni Servillo, Arturo Cirillo, Matteo Garrone, Silvio Soldini, Paolo Sorrentino, Leonardo Pieraccioni – che ambiscono a una relazione con dive porno, casalinghe cinquantenni che sognano una love story con Magalli, donne che si eccitano più per un cellulare che per un uomo, operai frustrati, studenti folli e pericolosi, oche giulive che diventano serenamente puttane, padri di famiglia con doppia vita, disadattati di periferie e di quartiere, delusi e disillusi dalla politica. Ritratti da foto tessera, con tutti i dialetti e le miserie del nostro stivale”. A proposito della sua antologia, Aldo Nove ebbe poi ha dichiarare: “Quando scrissi Superwoobinda, alcuni anni fa, volevo delineare una generazione priva di futuro. Il futuro, purtroppo, è arrivato”. Solo venerdì 19 giugno, alle 21.45 Ex O.P. “Paolo Pini”, via Ippocrate 45 Info e 02.66.20.06.46 prenotazioni: L’ultima astronave Cosa mettere su un‟astronave che partirà per gli spazi siderali, una volta che la razza umana sarà estinta? Codici e invenzioni non bastano. Ci vuole la prova della capacità artistica dell‟uomo, il suo sogno e il concreto desiderio di comunicare agli altri. Il meglio, forse, della sua storia. Una storia del mondo con in mezzo due scienziati pazzi, un dicitore e un pianoforte, e uno schermo dove appaiono quadri famosi, e inattese sorprese. Dai graffiti paleolitici a Leonardo, dai mostri di Bosch a Velasquez, dalla sfida di Van Gogh a Twombly attraversando Walt Disney, le ninfee, la restauration art, Klee e Bacon. Le parole degli artisti e altre parole scritte e reinventate. Il sorriso e il grido in letteratura, in musica e in pittura. Un viaggi ironico e crudele, in ciò che di meglio e peggio l‟uomo ha da mostrare all‟universo, nel caso vicino o lontano che debba scomparire. La voce di Stefano Benni, la musica di Umberto Petrin, l‟invenzione scenica di Fabio Vignaroli, elefanti rosa, girasoli in fiamme e un mammuth parlante nello spettacolo che segue il grande, sorprendente successo di "Misterioso", lo spettacolo dedicato a Thelonious Monk, e ora disponibile in un dvd più libro edito da Feltrinelli. Solo sabato 20 giugno, alle 21.45 Ex O.P. “Paolo Pini”, via Ippocrate 45 Info e prenotazioni: 02.66.20.06.46 Oblivion Show Oblivion Show è uno spettacolo che mette in scena il meglio del repertorio originale degli Oblivion (Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli). Un circo volante in cui si alternano blob di canzoni, cantautori italiani rivisti e corretti, uffici postali musicali, 18 un reality show dove i personaggi sono ostaggio dei terroristi, le avventure di Rato l‟Immigrato e l‟immancabile riduzione musicale dei Promessi Sposi in 10 minuti, vero e proprio filmato cult della rete. Un‟ora e un quarto di pura follia, acrobazie musicali, risate... Non adatto ai deboli di cuore. Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14 Fino al 27 giugno Orario: 21.15 Info e prenotazioni: 02.59.99.52.06 Il fabbricone L‟ultimo spettacolo della stagione di Tieffe Teatro Stabile d‟Innovazione porta in scena, dall‟11 al 27 giugno, all‟interno del Cortile della Magnolia dell‟Accademia di Brera, Il Fabbricone di Giovanni Testori. La ringhiera e il cortile sono i protagonisti di questo affresco di storie che rimandano a quella Milano di periferia, fotografata tra l‟eco non ancora troppo lontana - di una guerra che ha lasciato sul terreno e sulle coscienze cumuli di macerie e un futuro ancora incerto. Insomma sono gli anni del boom e dello “sboom” tra le inquietudini e i sogni di gloria di una gioventù in cerca di nuovi riferimenti e la nostalgia carogna di vite invecchiate troppo presto. Il tutto a portata di mano e di cuore, grazie alla penna straordinaria di uno dei più grandi autori del Novecento. La versione teatrale proposta da Emilio Russo prova a ricostruire sentimenti e atmosfere, attraverso i personaggi principali e secondari, abitanti di questo decadente “Fabbricone” (un caseggiato di Novate, luogo natio dell'autore) brulicante di vita, pianeta ostile e materno, da dove si scappa, ma non si riesce a uscire. Fino al 27 giugno Cortile della Magnolia dell‟Accademia di Brera, via Fiori Oscuri, 4 Orario: 21.30 (domenica riposo) Info: 02. 36.50.37.40 / 02.36.59.25.44 CINEMA & TV Questa rubrica è curata da Simone Mancuso I love Radio Rock di Richard Curtis Se fossi un produttore di una major hollywoodiana avrei acquistato i diritti prima dell‟uscita del film e l‟avrei pompato nel circuito commerciale con pubblicità all‟altezza. Perché questo prodotto puramente inglese, è uno straordinario lavoro dello sceneggiatore di “Quattro matrimoni e un funerale” e “Notting Hill”, il quale tiene alta la sua reputazione da soggettista e sceneggiatore, e migliora il pensiero generale verso di lui, firmando anche la regia. Certo è, che quando un autore firma queste tre fasi della produzione, si può certamente dire non solo che sia una sua opera, ma quasi che sia un‟estensione del suo pensiero. E quello che ne viene fuori è un dolcissimo ricordo verso una musica che ha fissato i criteri di quella contemporanea, ma al contempo, un fermo punto di vista sulle aspirazioni e i sogni di una società che pare smarrita. Radio Rock è il nome di una nave pirata che trasmette a tutta la Gran Bretagna dal Mare del Nord Rock‟n roll tutto il tempo, da dei dj che vivono lassù isolati dal mondo, in un‟epoca in cui vi era il monopolio della BBC controllata dal Ministero delle Telecomunicazioni che trasmetteva solo musica classica. Questo rende la pellicola impregnata di musica anni‟60, con una scelta delle musiche che merita da sola il prezzo del biglietto, e una costruzione dei personaggi perfettamente tipica di quegli anni, come “The Count”, il conte, interpretato egregiamente dal premio Oscar Philip Seymour Hoffman. Dunque un inno al sesso, droga e rock‟n roll fino alla fine, che non è stato messo in rilievo come avrebbe meritato, visto i molti elementi commerciali, come il montaggio, e con interessanti motivi per andarlo a vedere per i nostalgici, ma anche per chi ama la musica e le commedie scritte per il cinema. Terminator Salvation di Mcg Se si potesse, descrivere il film soltanto con le musiche di Danny Elfman, mettendo sotto il titolo un file mp3 con l‟incalzante tema lo farei. Questo a mio avviso basterebbe a descrivere la potenza di questo film, che arriva allo spettatore come l‟onda d‟urto di una bomba atomica, supportando con la musica scene come il ritorno di un T-600 (il primo Terminator, per intenderci, il governatore della California) completamente fatto al computer, primo stile (vedi Conan il barbaro), come “mostro” finale. Terminators che, forse giustamente, rubano la scena al protagonista Connor, interpretato magnificamente da Bale, come il T-800, l‟ultima invenzione delle macchine con una parte sostanziale umana, e lo scheletro robotico, con lo scopo d‟infiltrarsi nella resistenza. Questi elementi denotano l‟attenzione da parte dei soggettisti, tra cui l‟onnipresente James Cameron, per lo sviluppo di una storia mai che versi sul banale, ma che anzi, cerchi un‟evoluzione proprio come i suoi personaggi. Elemento, questo, ricorrente in tutti i film della saga, che a mio avviso è una delle poche a mantenere lo stesso livello qualitativo in quasi tutti i suoi cloni. Il motivo, forse, è dovuto all‟attenzione verso la crew che collabora con i vari registi, mantenendo nei ruoli più determinanti, gli stessi operatori. Come già detto per le musiche, ma anche nel montaggio, il montatore di James Cameron, Conrad Buff, o lo stesso Cameron, messosi da parte come regista per dedicarsi al soggetto (forse era meglio che lo dirigesse lui questo episodio). Insomma, stessa troupe stesso successo, un film che decisamente non delude le aspettative, né dei fans della saga, né degli altri spettatori e che anzi crea già l‟attesa per il prossimo episodio, Terminator 5, attualmente in sviluppo e che dovrebbe esser pronto per il 2011. 19 Se dovessi trovare una pecca, se così si può dire, di questo film è sicuramente la regia, improntata più sugli spot e i music videos che sul cinema. Ma questo, si sa, è un altro discorso …(mp3) Antichrist di Lars Von Trier Fischiato a Cannes evidentemente per i suoi contenuti e le singole immagini di sesso esplicito e sado-maso, questo film nel complesso non è uno dei migliori lavori del regista, ma ha sicuramente dei punti di forza. Iniziamo con l‟interpretazione, e la capacità del regista di dirigerla, di Charlotte Gainsbourg. Una recitazione completamente dedicata alla sofferenza e all‟ansia, incentrata sull‟elaborazione del lutto nella sua più completa accezione, portata fino all‟estremo, annullando il dolore con lo stesso. Traspare il lavoro psicologico del regista sull‟attrice, quasi come fa su di lei nel film, il protagonista maschile, anche lui non da meno nell‟interpretazione. La sceneggiatura ci catapulta con minuzia nell‟intimo di questi due individui, con la capacità di renderceli conosciuti nei minimi dettagli della loro anima e della loro psiche. Tutto questo senza mai svelarci una cosa, che risulterebbe superficiale sapere di due persone di cui si ha già una conoscenza così profonda, che si spinge fine alle loro paure, ossia, i loro nomi. Terzo punto di forza la fotografia. Girato con la migliore macchina da presa in circolazione per il digitale, la Red One Camera, è stata diretta dal premio oscar Antony Dod Mantle, che trasforma il bosco in un luogo tra la realtà e l‟anima di chi lo vive e lo racconta, sviluppando una luce nel buio e un‟oscurità nella luce tale, che se un film horror dov‟esse essere giudicato dalla fotografia, questo li batterebbe tutti. Quarto elemento, il lavoro di ricerca cui si è sottoposto il regista che si evince dai titoli di coda, in cui vi sono consulenti psicologici, consulenti sull‟ansia, consulenti sulle manie depressive e così via. A mio avviso questo film è molto personale per il regista, nel senso che è una sua elaborazione del lutto. Non voglio sapere quale. Gallery YouTube http://www.youtube.com/watch?v=r2oxOjIZIhA 20
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