Gian Lorenzo Bernini, il genio del Barocco
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Gian Lorenzo Bernini, il genio del Barocco
120504_Candini, BERNINI, Pagina 1 di 3 Gian Lorenzo Bernini, il genio del Barocco Figlio di un modesto scultore di origini toscane, Bernini nasce a Napoli nel 1598. Nel 1605 si trasferisce a Roma, dove rimane per tutta la sua vita e svolgerà tutta la propria brillante attività, fino alla morte sopraggiunta nel 1680. Qui entra a far parte della corte papale, e ciò gli permette di venire a contatto con i marmi antichi e i grandi maestri del Rinascimento. La sua formazione dunque è caratterizzata da un attento studio dell'arte antica, ma egli si aggiorna anche delle nuove tendenze pittoriche (i Carracci e Caravaggio tra tutti). Si tratta di un personaggio eclettico che riesce a far rivivere, forse per l'ultima volta quella geniale ed insuperata multidisciplinarità propria dei grandi personaggi del Rinascimento: egli infatti non è solo scultore, ma anche architetto, pittore, scenografo, commediografo e disegnatore. L'artista non percepisce più le tre arti (architettura, scultura e pittura) in modo separato, come avveniva nel rinascimento, ma le immagina come un'unica forma espressiva integrata. In questo modo sulle facciate, per esempio, compare uno sterminato repertorio decorativo preso in prestito dalla scultura, fatto di linee morbide e sinuose, e non più rette e squadrate; la scultura si avvale di giochi di luce e di ombra propri della pittura e quest'ultima, contraffacendo sia l'architettura che la scultura, ottiene dei risultati talmente illusori da non capire più dove finisce lo spazio reale e inizia quello dipinto. Questo complesso interagire delle tre arti, si inserisce nel contesto urbanistico romano, di modo che ogni piazza appaia come un fantasioso allestimento teatrale, riuscendo a tradurre il linguaggio barocco in spettacolarità, in teatralità. Questo gusto teatrale si riscontra anche nello spirito stesso dell'epoca, nella quale, non solo i papi e i re, ma anche i piccoli signorotti locali desiderano vivere circondati da ambienti sfarzosi e vestire con studiata ricercatezza. Con Bernini nasce dunque un'arte del tutto nuova, in cui la fantasia e la libertà di espressione finiscono per trasgredire le regole imposte dal Classicismo, ma del quale, però, si continua a conservare ancora l'armonia. Egli viene considerato, anche dai suoi contemporanei, il più grande esponente del Barocco, nonché il più grande artista della sua epoca, tanto da meritarsi l'appellativo di “gran Michelangelo del suo tempo”. Titolo: David Data: 1623-24 Materiale: Marmo Dimensioni: 170 cm Ubicazione: Galleria Borghese, Roma L'opera, commissionata dal cardinale Scipione Boreghese, rappresenta l'episodio biblico dello scontro tra Davide e il gigante Golia. Come in tutte le sue opere, nel David il Bernini riesce a dare pienamente espressione all'opera attraverso un forte dinamismo; la figura infatti non è ritratta, come avverrebbe secondo i canoni classici, prima o dopo lo scontro, ma viene colta nell’istante immediatamente precedente al movimento, nel momento di massima tensione dell'episodio. Ciò si traduce in una struttura spiraliforme, di grande dinamismo: esso determina un complesso movimento della figura nello spazio. Le braccia e il busto sono contratti nello sforzo di tendere la 120504_Candini, BERNINI, Pagina 2 di 3 fionda, lo sguardo è severo e concentrato, le labbra sono serrate, tutto il fisico partecipa allo sforzo: questi elementi suggeriscono in modo realistico l'impresa compiuta dal giovane. L’obiettivo dell'opera è emozionare, stupire e il momento scelto contribuisce allo scopo. Il David, come tutte le opere dell'autore, presuppone un punto di vista unico, che consente di far emergere tutta la sua forza visiva. La spettacolare teatralità del gesto del ragazzo interagisce direttamente con lo spettatore, tanto che lo spazio reale e quello immaginario vengono a coincidere, senza che si riesca a capire dove finisce uno e inizia l'altro. Titolo: Apollo e Dafne Data: 1622-25 Materiale: Marmo Dimensioni: 243 cm Ubicazione: Galleria Borghese, Roma L'episodio rappresentato è tratto da un brano delle Metamorfosi di Ovidio. Secondo il testo, Apollo si era vantato di saper usare come nessun altro l'arco e le frecce, per la sua presunzione Cupido lo punì colpendolo e facendolo innamorare della bella ninfa Dafne, la quale però aveva consacrato la sua vita a Diana e alla caccia. Tuttavia l'amore di Apollo è irrefrenabile e Dafne disperata chiede aiuto al padre Penéo, dio dei fiumi, il quale, per impedire ai due di congiungersi, la trasforma in un albero, il lauro, che da quel momento diventerà sacro per Apollo. Ovviamente il Bernini sceglie il momento di maggior dinamismo, ovvero l'istante in cui le belle membra di Dafne cominciano a trasformarsi in albero. Il senso di dinamismo è accentuato anche dalla posa dei due personaggi. La gamba sinistra di Apollo, infatti, appare sollevata dal suolo nell'atto della corsa. Il corpo nudo della ninfa, invece, si inarca in avanti con un ultimo colpo di reni; mentre urla disperata, i capelli e le braccia iniziano a trasformarsi in rami di alloro, mentre le dita dei piedi diventano radici che le bloccano la corsa e la pelle liscia si è già trasformata in ruvida corteccia. Si tratta di una scena di commossa drammaticità, che il Bernini sa però ricondurre a una dimensione di composta e classica armonia, grazie al prevalere delle linee curve, alla studiata grazia dei panneggi e alla morbida levigatezza dei del marmo che donano all'opera nuovi effetti di tipo pittorico. Titolo: Baldacchino di San Pietro Data: 1624-33 Materiali: Bronzo dorato, legno e marmi policromi Dimensioni: altezza 28,70 m Ubicazione: Basilica di San Pietro, Città del Vaticano Il baldacchino fu costruito tra il 1624 e il 1633, per volere di papa Urbano VIII. Esso è una delle più riuscite fusioni delle varie arti. Queste, infatti, si integrano l'un l'altra esaltandosi a vicenda in un bel composto che è un po' la sintesi dell'arte berniniana. La sua progettazione fece sorgere fin da subito 120504_Candini, BERNINI, Pagina 3 di 3 notevoli difficoltà, esso infatti doveva stupire e meravigliare, ma al tempo stesso avere proporzioni e caratteristiche tali da potersi inserire in modo armonico sopra l'altare maggiore, nell'immenso spazio vuoto sottostante la cupola di Michelangelo. Volendo evitare una struttura in muratura, troppo massiccia, l'artista è costretto a inventare una nuova tipologia, senza porre freno alla propria fantasia e immaginazione, facendone risultare una costruzione completamente diversa da qualunque altra. Su quattro giganteschi basamenti rivestiti di marmi colorati, si ergono, come quattro volute si fumo, altrettante colonne tortili in bronzo dorato, decorate con viticci, api e putti, che terminano in quattro capitelli compositi. Su di essi, distanziata da quattro dadi per conferire maggiore slanciatezza, poggia la trabeazione, concava verso l'interno. Anch'essa appare leggera e preziosa, in quanto, pur essendo sempre in bronzo dorato, imita i pendoni di un baldacchino in tessuto. La “copertura-non copertura” è frutto della collaborazione con Francesco Borromini. Dai quattro angeli ai vertici, si dipartono quattro enormi volute foggiate a dorso di delfino. Esse convergono al centro per sorreggere un elemento di raccordo sul quale poggia una grande sfera sormontata da una croce. Tutto nell'opera è concepito per snellire la figura e conferire maggiore leggerezza: le colonne tortili che donano un grande slancio verticale, i dadi sui capitelli, i pendoni della trabeazione, la copertura priva di tetto o cupola che avrebbero dato un'impressione di eccessiva pesantezza. Lo stesso colore scuro del bronzo entra in forte contrasto cromatico con la chiara policromia dei marmi circostanti, e ciò contribuisce a snellire ulteriormente la struttura. Pertanto, nonostante le dimensioni colossali (è alto come un palazzo di nove piani), esso ci appare esile e perfettamente proporzionato, integrandosi all'interno della basilica michelangiolesca, diventando in un certo senso il perno attorno al quale si organizza idealmente l'intero spazio sottostante all'enorme cupola. Colonnato di piazza San Pietro Commissionato da papa Alessandro VIII, il colonnato fu realizzato tra il 1657 e il 1665. Esso consta di 248 colonne e 88 pilastri disposti su quattro file. Sopra gli enormi capitelli di ordine tuscanico poggia uno spesso architrave sormontato da una cornice marmorea. La copertura è a capanna, ma in prossimità della gronda si erge una massiccia balaustra sulla quale sono collocate 162 gigantesche statue di santi. La forma non è rettangolare, bensì ellittica. Esso si congiunge alla facciata della basilica grazie a due ali, vistosamente divergenti. Infatti se esse fossero state parallele, l'effetto prospettico avrebbe reso la facciata più lontana, quasi distaccata dalla piazza; in questo modo, invece, il Bernini capovolge l'effetto prospettico, facendo sembrare la facciata di san Pietro più vicina, quasi direttamente affacciata sulla piazza. Il colonnato ha anche un significato simbolico: i due rami curvi, infatti, fanno pensare a un grande abbraccio simbolico da parte del papa a tutti i fedeli. Pur utilizzando sempre elementi tratti dal repertorio classico (colonne, pilastri, paraste, architravi, cornici, cupole), il Bernini compone le sue architetture secondo regole nuove, prive del classico rigore formale. Esse sono pensate anche e soprattutto in funzione dello spazio circostante, in cui si inseriscono alla perfezione, adattandosi e modificandolo.
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