Libia Egitto Siria Iraq
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POLITICAL AND SECURITY REVIEW Libia Egitto Siria Iraq 15 Dicembre 23 Dicembre LIBIA Sommario Il processo di stabilizzazione della Libia potrebbe avere subito una svolta decisiva con la firma a Skhirat (17 dicembre) di un accordo per la formazione di Governo rapppresentativo di tutte le realtà del Paese. L’iniziativa ha il pieno appoggio dei governi occidentali, dell’ONU e di molti paesi della regione, che si sono impegnati a interrompere ogni rapporto con i due esecutivi attualmente esistenti in Libia (a Tripoli e a Beida). Tuttavia, gli ostacoli da superare sono ancora molti. Il primo e più grave è costituito dall’opposizione all’accordo da parte di importanti settori della politica e delle istituzioni libiche, e delle milizie ad essi collegate. In particolare, i presidenti del parlamento di Tripoli e di quello di Tobruk, superando le divergenze che sinora avervano impedito loro di avviare qualsiasi trattativa, si sono incontrati a Malta e hanno concordato di rilanciare il dialogo inter-libico e trovare una soluzione alla crisi senza imposizioni dall’esterno. Inoltre, non sembrano ancora esistere le condizioni per l’insediamento del nuovo esecutivo a Tripoli, vista la situzione di grave insicurezza nella capitale, ove sono presenti milizie di varia ispirazione, spesso in conflitto tra loro. L’accordo di Skhirat Anche se firmato con un giorno di ritardo sulla data annunciata (17 dicembre invece del 16), l’accordo di Skhirat sulla formazione di un Governo di Accordo Nazionale (GAN) ha polarizzato l’attenzione interna ed internazionale pur raccogliendo giudizi contrastanti sulla possibilità che esso rappresenti veramente l’inizio del processo di stabilizzazione del Paese. Alla cerimonia erano presenti più di 200 personalità libiche (oltre a parlamentari della Camera dei Rappresentanti - CdR e del Congresso Generale Nazionale - CGN, anche dirigenti di vari partiti politici e di organi di potere locali) e numerosi rappresentanti di governi stranieri e istituzioni internazionali. L’accordo prevede la creazione di un Consiglio Presidenziale (CP), diretto da Fayez Serraj, che rappresenterà tutte le tre principali regioni della Libia (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan). Il CP dovrà nominare entro un mese il GAN che diventerà l’unico esecutivo della Libia. La CdR rimarrà il principale organo legislativo del Paese ma sarà creato anche un Consiglio di Stato, con funzioni prevalentemente consultive, formato principalmente dagli attuali membri del CGN. Questo processo di ricomposizione radicale degli equilibri politici ed istituzionali del Paese è partito tuttavia senza l’approvazione dei presidenti dei due attuali parlamenti. Ageela Salah (CdR) e Nuri Abu Sahmain (CGN) si sono incontrati a La Valletta (Malta), il 16 dicembre, e hanno deciso di rilanciare il dialogo inter-libico, senza la mediazione delle istituzioni internazionali. Sarà formata una commissione congiunta per superare le divergenze attualmente esistenti sulla formazione di un governo di transizione che sia rappresentativo di tutte le realtà del Paese. Nello stesso tempo, essi hanno ribadito la volontà di non accettare soluzioni imposte dall’esterno, incluse quelle originate dal dialogo sviluppatosi a Skhirat. Tali posizioni, che riprendono l’intesa raggiunta il 6 dicembre a Tunisi da esponenti dei due parlamenti e concretizzata con la firma di una “dichiarazione di intenti”, sono state ribadite nei giorni successisi da autorevoli esponenti dei vari schieramenti, in particolare da quello di Tripoli. Proteste si sono tenute il 18 dicembre nella capitale e a Misurata contro la formazione di un governo (GAN) imposto dall’ONU e a favore del dialogo tra libici. Inoltre, anche un partito considerato di orientamento liberale, Hizb al.Jabha al-Wataniyya (Partito del Fronte Nazionale), ha respinto l’accordo. Nello stesso tempo, tuttavia, la Fratellanza Musulmana libica ha diffuso un comunicato di sostegno all’accordo di Skhirat, definendolo un modello da seguire per porre fine alle divisioni nel Paese. Ha anche aggiunto che, una volta ottenuto il riconoscimento internazionale, il nuovo governo dovrebbe essere in grado di affrontare il declino del Paese nel settore economico, sociale e dell’istruzione e di lottare contro la criminalità e l’estremismo. Analisti e osservatori di vari paesi hanno sottolineato il rischio che le pressioni internazionali possano aver prodotto un accordo privo di un ampio consenso, soprattutto tra i soggetti più influenti del Paese, alcuni dei quali sono addirittura impegnati a portare avanti progetti alternativi. Alcuni mass media hanno rilevato che a Skhirat, secondo le informazioni diffuse dai promotori dell’accordo, erano presenti 88 membri della CdR e L’incontro a Malta dei Presidenti dei due Parlamenti libici del CGN, che però hanno rispettivamente 156 e 135 deputati. Appare a molti difficile conciliare le posizioni (e gli interessi) dei settori che sinora hanno sfruttato le divisioni tra Tobruk e Tripoli per rafforzare il loro potere ed emarginare quanti proponevano un dialogo con gli avversari per una soluzione unitaria e condivisa della crisi del Paese. Anche ammettendo la possibilità di una collaborazione nella lotta contro lo Stato Islamico (Islamic State - IS) e gli altri gruppi jihadisti, tra gli ambienti militari che fanno capo al Generale Haftar e i settori più moderati di Alba della Libia (la coalizione islamica che controlla Tripoli e altre città della Libi), il problema dell’atteggiamento da tenere nei confronti delle forze più radicali, ma non necessariamente di matrice terroristica, continuerà a rimanere. In particolare, sarà difficile trovare un accordo sulla definizione di “terrorismo” e se questo termine possa essere riferito anche al Consiglio della Shura dei Rivoluzionari di Bengazi o al Consiglio dei Mujaheddin di Derna. Dopo la firma dell’accordo, il rappresentante del Segretario Generale dell’ONU per la Libia, Martin Kobler, ha sottolineato che per dimostrare la sua capacità, il nuovo esecutivo deve cominciare subito ad affrontare la grave situazione umanitaria del Paese, a promuovere un accordo di sicurezza nazionale che sia il più inclusivo possibile, a organizzare la lotta contro il SI, a stabilizzare la situazione a Bengasi e nelle altre aree ad elevata criticità. In sostanza, sono le stesse sfide che dovevano affrontare (e non sono state in grado di fare) le istituzioni di Tobruk e di Beida riconosciute dalla comunità internazionale. Senza forze di scurezza addestrate, motivate ed affidabili, il nuovo governo non potrà insediarsi a Tripoli a meno che non chieda l’appoggio delle milizie che già controllano settori della capitale ma questo significa perpetuare il loro ruolo e la loro influenza sulle vicende politiche, in contrasto con gli obiettivi di lungo termine dell’accordo. Potrebbe di conseguenza concretizzarsi 3 l’ipotesi avanzata da alcuni analisti sulla possibilità che la Libia si trovi ad avere tre governi e che l’ultimo di essi sia costretto a riunirsi al di fuori della capitale, se non addirittura all’estero. Sarà importante per il futuro della Libia la determinazione con cui i partecipanti alla Conferenza di Roma del 13 dicembre (in rappresentanza di 17 paesi e delle istituzioni internazionali interessate: Nazioni Unite, Unione Europea, Lega Araba e Unione Africana) manterranno l’impegno apertamente assunto di sostenere il GAN e di interrompere i rapporti con tutte le altre istituzioni libiche. E’ di buon auspicio, al riguardo, il voto unanime con cui il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha ribadito questa linea, il 23 dicembre. Nuovi rischi per la sicurezza ad Ajdabiya La situazione della sicurezza ad Ajdabiya, da tempo seria a causa di una campagna di omicidi mirati condotta dallo Stato Islamico contro esponenti religiosi moderati e avversari politici, si è ulteriormente aggravata a seguito degli scontri scoppiati in città il 16 dicembre e durati anche nei giorni successivi tra elementi del battaglione Tawhid al-Salaiya, alleato dell’Esercito Nazionale Libico (ENL) che appoggia il parlamento di Tobruk, e i militanti del Consiglio della Shura dei Rivoluzionari della città. Secondo un bilancio ancora provvisorio, nei combattimenti sarebbero state uccise almeno 15 persone e altre 25 sarebbero rimaste ferite. Non è ancora chiaro se negli scontri siano stati coinvolti anche militanti dello Stato Islamico ma uno degli obiettivi del battaglione citato era l’abitazione di Abrik al-Zawi al-Malqeb, uno dei leader del Consiglio della Shura e considerato vicino al SI. Il sindaco di Ajdabiya, Salam Jadhran (fratello di Ibrahim, comandante delle Guardie per la Protezione delle Infrastrutture Petrolifere) ha chiesto un cessate il fuoco; da parte loro, anche gli anziani delle tribù locali stanno mediando una tregua. Gli scontri sono iniziati due giorni dopo che l’ENL, temendo che la città potesse cadere nelle mani del SI, aveva annunciato la creazione della Sala Operativa di Ajdabiya, comandata dal colonnello Bashir Buzifira, e l’impiego di unità terrestri ed aeree per ripotare l’ordine in città. Tra il 15 e il 16 dicembre, era stato creato un cordone di sicurezza intorno all’abitato ed erano stati attivati posti di blocco. Dalla fine di novembre, aerei ed elicotteri dell’ENL hanno bombardato ripetutamente posizioni e depositi delle milizie islamiche nella periferia meridionale di Ajdabiya. Fonti utilizzate: Libya Herald, The Libya Observer, New York Times, Jeune Afrique, Libya security monitor, International Crisis Group, Libya Analysis. 4 EGITTO Sommario Il prossimo insediamento del nuovo parlamento segna la fine di una fase di transizione che ha visto il Paese per molti mesi privo di un organo legislativo e governato con decreti presidenziali. Tuttavia, la normalizzazione del quadro politico sarà graduale, come confermato dai contrasti emersi tra partiti e deputati sulla creazione di un blocco parlamentare che sostenga l’agenda del presidente El Sisi. Inoltre, le sfide che il nuovo parlamento dovrà affrontare sono importanti e riguardano la sua stessa legittimità costituzionale, poiché gli attuali limiti delle circoscrizioni elettorali non garantiscono una ripartizione equa e bilanciata dei deputati in proporzione al numero dei votanti, e l’eccessivo carico di lavoro, almeno per le prime settimane dall’inizio dei lavori. I deputati dovranno infatti ratificare, entro due settimane, tutte le leggi approvate con decreto presidenziale (ben 215), per evitare un vuoto normativo. In materia di sicurezza, è da rilevare la firma di un accordo tra il governo e una società internazionale per un esame della sicurezza degli aeroporti del Paese, allo scopo di adottare le misure correttive necessarie. Le autorità mirano a creare le condizioni per una ripresa dei collegamenti da e per i resort del Sinai, sospesi da molte compagnie internazionali dopo che sono emersi riscontri sul coinvolgimento dello Stato Islamico nel disastro aereo verificatosi il 31 ottobre. Accelerazione delle dinamiche politiche In attesa dell’insediamento del nuovo parlamento, il dibattito politico si sta concentrando sul tentativo di dare vita a un blocco di maggioranza formato da oltre 400 deputati (o i due terzi dei voti) e poter efficacemente sostenere l’agenda del presidente El Sisi. L’iniziativa è stata promossa da un ex dirigente dei servizi segreti, Sameh Seif El-Yazal, che attualmente è anche direttore del Centro Studi Strategici e Politici del giornale AlGombouria. Il blocco, denominato “A sostegno dello Stato egiziano” (Pro-Egyptian State), doveva comprendere anche le tre principali formazioni politiche presenti in parlamento (il Partito dei Liberi Egiziani, con 65 seggi; il Futuro della Patria, con 53 seggi: Al-Wafd, con 44 seggi), che facevano parte della coalizione “Per amore dell’Egitto”. Tuttavia, cogliendo in parte di sorpresa gli osservatori, i loro dirigenti si sono dissociati dal progetto e hanno minacciato di espellere i deputati, eletti nelle loro file, che aderiscono all’iniziativa. Le ragioni del dissenso sono tuttavia diverse. Infatti, il segretario generale di Al-Wafd, Abu Skuda, annunciando in una intervista ad Al-Ahram che sono in corso colloqui con altri partiti e con parlamentari indipendenti per la formazione di un blocco alternativo, che dovrebbe essere chiamato “A favore di una coalizione per l’Egitto” (Pro-Egypt Coalition), ha ribadito che quale partito più vecchio del Paese, Al-Wafd rivendica la guida di un blocco e non può essere solo un membro. Ha tuttavia tenuto a precisare che il suo progetto non deve essere 5 giudicato ostile al blocco “A sostegno dello Stato egiziano”, per il quale ha detto di mostrare profondo rispetto. Ha avuto senza dubbio un peso maggiore, se non altro per il numero dei seggi che controlla, la decisone del Partito dei Liberi Egiziani, diretto dall’uomo d’affari Naguib Sawiris. Il suo portavoce, Shehab Wagih, ha dichiarato che il partito è favorevole a una diversità di posizioni politiche all’interno del parlamento, che pertanto non può essere dominato da un blocco perché diventerebbe un organo chiamato solo ad avallare acriticamente decisioni prese da altri. Egli ha anche accusato “A sostegno dello Stato egiziano” di voler diventare un partito politico, Naguib Sawiris sul modello del Partito Nazional Democratico di Hosni Mubarak (sciolto dopo la rivoluzione di gennaio 2011), senza averne la veste legale. Ha citato al riguardo alcuni punti del documento programmatico che parlano di quote di iscrizione, uffici nei differenti governatorati, campagne elettorali per le consultazioni municipali e stabiliscono che le decisioni approvate a maggioranza devono essere rispettate da tutti i membri. Questa linea tuttavia non è condivisa da alcuni deputati del partito, che hanno ribadito l’intenzione di appoggiare “A sostegno dello Stato egiziano”. Differenze si registrano anche all’interno de “Il Futuro della Patria”: alcuni deputati non concordano sul rifiuto di partecipare alla creazione del blocco guidato da Sameh Seif El-Yazal e sperano in un cambiamento della posizione del partito. Nel frattempo, esponenti di “A sostegno dello Stato egiziano” hanno sottolineato che continuano i colloqui con i parlamentari indipendenti per allargare gli aderenti al blocco, che in ogni caso sarebbero attualmente più di 400. Wagih tuttavia contesta questo numero sottolineando che, in realtà, i deputati che hanno partecipato all’ultima assemblea del blocco erano meno di 200 e che non tutti hanno firmato il documento costitutivo. Il nuovo parlamento è composto da 596 membri: 448 indipendenti, 120 eletti nelle liste di partito e 28 nominati dal presidente. Essi appoggiano a larghissima maggioranza l’attuale corso politico anche se tra di loro esistono differenze significative, non solo sul piano ideologico ma anche per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti. Le tensioni e i contrasti emersi sul progetto di formazione di un blocco a sostegno del presidente El Sisi sono indicativi delle difficoltà che il parlamento dovrà superare per affrontare i gravi problemi del Paese. La mancanza di una opposizione organizzata alla politica del presidente non solo priva i deputati degli stimoli necessari per trovare un accordo sulle principali questioni ma addirittura potrebbe alimentare le divisioni. AlAhram ha individuato alcune sfide che potrebbero rendere difficile il cammino del parlamento. Le principali sono: - - dubbi di legittimità. Esiste infatti il rischio che la legge che definisce i limiti delle circoscrizioni elettorali sia giudicata incostituzionale, perché non garantisce una ripartizione equa e bilanciata dei parlamentari, in proporzione al numero dei votanti. Alcune circoscrizioni hanno eletto un solo deputato mentre altre due o anche di più, senza un corrispondente aumento del numero degli elettori. Questo in violazione della Costituzione del 2014, che stabilisce l’uguaglianza dei cittadini in materia di rappresentanza parlamentare. E’ anche da rilevare che la legge elettorale, prevedendo le quote per le minoranze, ha considerato tra gli altri i cristiani e le donne, ma ha ignorato gli ebrei anche se la Costituzione parla di tre religioni; carico eccessivo di lavoro. Secondo la Costituzione, il parlamento deve convalidare, entro 15 giorni dal suo insediamento, tutte le leggi approvate in assenza di un organo legislativo, con un decreto dell’ex presidente Adly Mansour e di El Sisi. Tuttavia, questi atti legislativi sono ben 215 ed è di fatto impossibile esaminarli 6 - - tutti in un tempo così breve. Alcuni hanno proposto una approvazione di principio, che sarà seguita successivamente dalla discussione dei vari articoli. Questo esame ritarderà tuttavia la definizione e l’approvazione di un nuovo corpo legislativo, specialmente per l’economia che ha bisogno di interventi urgenti sul piano normativo; voto di fiducia al governo. Entro un mese dall’inizio dei suoi lavori, il parlamento dovrà votare la fiducia all’attuale governo; in caso contrario, la coalizione che ha la maggioranza deve nominare un nuovo primo ministro. Se il gabinetto da questi presentato non ottiene l’approvazione entro 30 giorni, il parlamento sarà sciolto. Anche se al momento è difficile ipotizzare un tale esito, le divisioni tra i deputati e la mancanza di partiti forti e in grado di imporre ai propri rappresentanti il rispetto delle decisioni prese potrebbero rendere la fiducia all’esecutivo meno facile di quanto immaginato; nomina del presidente del parlamento. Secondo molti osservatori, questa carica sarà verosimilmente assegnata a uno dei 28 deputati nominati da El Sisi (al riguardo sono stati fatti i nomi dello stesso Mansour e di Amr Moussa, che ha presieduto la Commissione incaricata di preparare la bozza della Costituzione). Tuttavia, affidare la seconda carica dello stato a una personalità di nomina presidenziale potrebbe sminuire l’importanza del voto popolare e aumentare il distacco tra cittadini e istituzioni. Iniziative per migliorare la sicurezza negli aeroporti. E’ stata accolta con favore la decisione del governo de Il Cairo di firmare un accordo con la Compagnia Control Risk per un esame della condizione di sicurezza negli aeroporti del Paese, anche allo scopo di indicare le misure correttive eventualmente da adottare. Il Ministro del turismo Hisham Zaazou ha comunicato che l’esame comincerà con gli aeroporti della capitale e di Sharm El-Sheikh. E’ evidente la preoccupazione delle autorità di creare le condizioni per la ripresa dei collegamenti internazionali da e per i resort del Sinai, che le compagnie occidentali hanno sospeso dopo che erano emersi fondati riscontri sul coinvolgimento dello Stato Islamico nel disastro aereo verificatosi nel Sinai il 31 ottobre 2015. Secondo le autorità britanniche e russe, l’aereo diretto da Sharm El-Sheikh a San Pietroburgo, con a bordo 224 passeggeri e membri dell’equipaggio, è precipitato per l’esplosione di un ordigno portato a bordo aggirando i controlli o con la complicità dello staff aeroportuale. Il capo della Federazione Egiziana delle Camere del Turismo ha quantificato in 30 milioni di dollari le perdite subite sinora solo dagli hotel e dai tour operator di Sharm El-Sheikh a causa della sospensione dei voli dal Regno Unito e dalla Russia. Fonti utilizzate: Ahramonline, Daily News Egypt, Jeune Afrique 7 SIRIA Sommario Il 18 dicembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, all’unanimità, una risoluzione sulla Siria (la prima da quando è scoppiato il conflitto armato, nel marzo 2011). Il documento contiene una road-map che prevede l’avvio di negoziati già nel mese di gennaio, la formazione di un governo transitorio di unità nazionale entro la metà del 2016 ed elezioni libere e trasparenti, entro 18 mesi. Resta ancora da definire il ruolo che potrà ricoprire il presidente Bashar al-Assad, ma la sua presenza nel nuovo governo appare sempre più probabile. Un altro punto ancora da chiarire riguarda i gruppi di opposizione che prenderanno parte ai negoziati: uno studio pubblicato dal Centre for Religion & Geopolitics ha fatto luce sulla larga diffusione dell’ideologia salafita (alla quale aderisce anche lo Stato Islamico) tra le formazioni che combattono il regime di Assad. Il 17 dicembre, un nuovo presunto raid israeliano a Damasco ha provocato la morte di un esponente di spicco di Hezbollah. L’ONU approva una risoluzione sul processo di pace in Siria Il Consiglio di Sicurezza approva la risoluzione sulla Siria. Fonte: Nazioni Unite. Il 18 dicembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato, all’unanimità, una risoluzione sul processo di pace siriano. L’accordo prevede che a gennaio vengano formalmente avviati negoziati tra il governo e i gruppi di opposizione, e che venga contestualmente siglata una tregua tra le parti, che escluderà, tuttavia, lo Stato Islamico (Islamic State - IS) e gli altri gruppi jihadisti come Jabhat al-Nusra (JaN), formazioni contro le quali si concentrerà lo sforzo bellico di Russia, Stati Uniti e degli altri Stati impegnati militarmente nel Paese. Entro la metà del 2016, è prevista la creazione di un 8 governo transitorio di unità nazionale, che assicuri una “governance inclusiva e unitaria” e che porti la Siria alle elezioni entro la metà del 2017. Il 18 gennaio, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon esporrà in una relazione le possibili modalità di monitoraggio di un eventuale accordo per il cessate il fuoco. Al momento, l’ipotesi dello schieramento di un contingente di terra in grado di garantire il rispetto di una tregua nazionale appare di difficile realizzazione, considerata l’estrema precarietà del quadro di sicurezza siriano e le notevoli capacità belliche dell’IS, di JaN e di altri gruppi radicali che potrebbero decidere di non aderire a un eventuale cessate il fuoco. La risoluzione non contiene alcuna indicazione circa il futuro del Presidente Bashar al-Assad, tra le principali ragioni dei contrasti tra le parti coinvolte nei negoziati. A questo proposito, tuttavia, si registra una progressiva convergenza di vedute tra Stati Uniti e Russia. Sebbene l’Amministrazione americana abbia ribadito l’illegittimità della posizione di Assad, ritenuto incapace di unificare il Paese, il Segretario di Stato John Kerry ha aggiunto che continuare a chiederne l’immediata uscita di scena serve solo a “prolungare la guerra”. Pertanto, gli USA e i loro alleati appaiono oggi disposti ad accettare la partecipazione del capo di Stato siriano al governo di transizione. Al contrario, sebbene Mosca continui a dichiarare pubblicamente il suo fermo sostegno ad Assad, essa ha aperto alla possibilità di individuare una figura (interna al regime, ma la cui immagine sia meno compromessa dalle violenze degli ultimi anni), in grado di succedergli al potere. Tale posizione sarebbe stata adottata anche dall’Iran, in seguito all’incontro svoltosi, lo scorso 23 novembre, a Teheran, tra Vladimir Putin e l’Ayatollah Khamenei. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza è stata accolta con scetticismo dalle forze di opposizione: la Coalizione Nazionale, gruppo che ha i propri uffici a Istanbul, ha definito il piano siglato il 17 dicembre “irrealistico” e ha chiesto l’interruzione delle operazioni militari russe come precondizione per qualsiasi accordo. Analisi dei gruppi di opposizione I gruppi armati salafiti presenti in Siria. Fonte: Centre on Religion & Geopolitics. 9 Oltre al ruolo di Bashar al-Assad, tra i principali ostacoli per i negoziati vi è l’individuazione stessa dei gruppi di opposizione che potranno prendervi parte. A questo proposito, il 21 dicembre, il Centre on Religion & Geopolitics (CGR) ha pubblicato un documento di analisi sull’appartenenza ideologica e gli obiettivi delle principali formazioni che combattono contro il governo siriano. Secondo i risultati di tale studio, oltre all’IS (che potrebbe disporre di 31.000 militanti), circa una quindicina di formazioni (per un totale di 65.000 militanti) aderirebbe all’ideologia salafita (che legittima l’uso della forza armata per favorire il ritorno all’Islam delle origini, quello praticato da Maometto e dai suoi primi seguaci). Per il 90% dei gruppi analizzati, il principale scopo della lotta armata è il rovesciamento del regime di Bashar al-Assad, mentre solo il 38% si prepone come obiettivo la sconfitta dello Stato Islamico. Secondo tale studio, l’inerzia della comunità internazionale ha contribuito in maniera significativa alla radicalizzazione delle forze di opposizione (molte milizie sono state create in seguito alla mancata reazione degli Stati Uniti e dei loro alleati al presunto utilizzo di armi chimiche da parte delle autorità siriane, nell’agosto 2013). Ucciso un leader di Hezbollah in un presunto raid israeliano Il 19 dicembre, Samir Qantar, esponente di spicco di Hezbollah, è stato ucciso in un presunto raid israeliano, nell’area di Jaramana, a Damasco. Arrestato per aver preso parte a un attacco in Israele nel 1979, Qantar era stato rilasciato nel 2008, in uno scambio di prigionieri con Hezbollah. Secondo quanto dichiarato dal Ministro della Giustizia israeliano, Ayelet Shaked, Qantar aveva il ruolo di coordinatore delle attività clandestine del gruppo libanese nelle Alture del Golan, altopiano prospiciente il nord-est di Israele. Sebbene le autorità israeliane abbiano smentito il loro coinvolgimento (come avvenuto in occasione di altri raid compiuti in passato contro membri, depositi di armi e munizioni e altre installazioni di Hezbollah), esse hanno dichiarato di attendersi una “reazione limitata” da parte del gruppo libanese, considerato il suo impegno (in termini di risorse umane e belliche) sul teatro siriano. Fonti utilizzate: Syrian Arab News Agency; Syrian Observatory for Human Rights; Syria Deeply; al-Arabiya; alJazeera; Centre for Religion & Geopolitics; Reuters; New York Times; Nazioni Unite. 10 IRAQ Sommario I combattenti curdi iracheni (Peshmerga) hanno respinto, grazie al supporto della coalizione militare a guida statunitense, un’offensiva dello Stato Islamico nel nord del Paese. Si è trattato della più importante operazione condotta dalle milizie jihadiste negli ultimi cinque mesi. Tuttavia, pur mettendo in luce la resilienza dell’IS, essa non ha prodotto risultati apprezzabili. Il 17 dicembre, gli Stati Uniti hanno annunciato nuovi aiuti militari per i Peshmerga che parteciperanno alle operazioni per liberare Mosul. Tale decisione evidenzia la volontà di Washington di preservare la sua influenza nella regione, ma potrebbe favorire un ulteriore aumento delle tensioni tra le comunità araba e curda. Il 16 dicembre, il Consiglio dei Rappresentanti ha approvato una nuova legge di bilancio per 2016, che prevede un aumento degli stanziamenti per le milizie sciite, per la Regione Autonoma del Kurdistan e per i governatori meridionali (ove è concentrata la produzione di petrolio). Offensiva dello Stato Islamico nel nord e nell’ovest dell’Iraq Nel periodo compreso tra il 15 e il 21 dicembre, le milizie dello Stato Islamico (Islamic State - IS) hanno lanciato una serie di attacchi nel nord e nell’ovest dell’Iraq. In particolare, il 16 dicembre, un’offensiva dell’IS nei pressi di Mosul è riuscita ad aprire temporaneamente una breccia nelle linee dei Peshmerga, prima di essere respinta dai raid aerei della coalizione militare a guida statunitense (le operazioni aeree sono durate 17 ore e hanno provocato la morte di circa 180 militanti). Secondo quanto dichiarato da fonti del Pentagono, si sarebbe trattato della più significativa operazione militare condotta dall’IS negli ultimi cinque mesi. Il giorno successivo, un triplice attacco suicida ha preso di mira un postazione dei Peshmerga nei pressi di Tel Afar (nel governatorato di Ninive), provocando almeno sei vittime. Tra il 15 e il 17 dicembre, due attacchi con autobomba e sei attentati suicidi sarebbero stati sventati dai Peshmerga nei pressi di Sinjar, località sottratta al controllo dell’IS lo scorso 13 novembre. Altri attentati delle milizie jihadiste sono stati sventati dalle Unità sciite di Mobilitazione Popolare (UMP) e dalle Forze di Sicurezza irachene nei governatorati di Salah ad-Din e in quello di al-Anbar, ove sono in corso le operazioni per liberare la città di Ramadi, conquistata dall’IS a maggio 2015. 11 Nuovi aiuti militari ai Peshmerga dagli Stati Uniti Il 17 dicembre, il Segretario statunitense alla Difesa, Ashton Carter, ha annunciato che gli USA forniranno armi, veicoli ed attrezzature per due brigate (in totale, circa 5.000 uomini) dei Peshmerga curdi iracheni (contano, complessivamente, 35.000 combattenti), che parteciperanno alle operazioni per liberare Mosul dalle milizie dell’IS. L’equipaggiamento sarebbe stato già trasferito in Kuwait alcuni mesi or sono, ma il Pentagono avrebbe inizialmente posto come condizione per la sua consegna l’integrazione delle unità curde dei due principali gruppi politici locali: il Partito Democratico del Kurdistan (di cui fa parte il Presidente de facto della Regione Autonoma del Kurdistan, Masoud Barzani) e l’Unione Patriottica del Kurdistan. Sebbene ciò non sia avvenuto, mezzi e materiali verranno, in ogni caso, consegnati entro alcune settimane. La maggiore flessibilità mostrata da Washington potrebbe celare la volontà di Stretta di mano tra Ashton Carter e Masoud Barzani. Fonte: Rudaw. contrastare la crescente influenza esercitata sull’Iraq da Iran e Russia. Il 15 dicembre, Mosca ha consegnato un centinaio di carri armati e veicoli corazzati alle Forze irachene; altri duecento verranno forniti a Baghdad nei prossimi mesi. Grazie alle pressioni esercitate direttamente o indirettamente (attraverso le milizie sciite) da Teheran sul governo iracheno, la Russia è divenuto un attore sempre più influente dal punto di vista politico e militare, come evidenziato dalla creazione, a fine settembre, di un centro di coordinamento per lo scambio di intelligence relativa alla lotta contro lo Stato Islamico, che ha sede proprio a Baghdad e di cui fanno parte anche Iran e Siria. Al contrario, l’influenza di Washington appare indebolita: il 16 dicembre, il Primo Ministro iracheno Haydar al-Abadi ha rifiutato la proposta americana di incrementare il supporto militare alle truppe impegnate nelle operazioni per liberare Ramadi. L’annuncio della Turchia della creazione di una propria base militare in Qatar e la formazione, da parte dell’Arabia Saudita, di una coalizione anti-Stato Islamico che comprende 34 paesi potrebbero evidenziare il tentativo di alcuni degli alleati chiave degli USA di prepararsi al forte ridimensionamento dell’influenza americana nella regione. In quest’ottica, pertanto, il rafforzamento dell’alleanza con le autorità curde servirebbe agli USA proprio ad evitare tale scenario. Anche l’annuncio del governo italiano del prossimo invio di un contingente di 450 soldati per difendere la diga di Mosul da eventuali offensive dello Stato Islamico ha suscitato il disappunto di alcuni esponenti dell’esecutivo iracheno, ma non quello degli attori più vicini a Teheran. Il contingente fornirà protezione al personale della Società Trevi, che si è aggiudicata un appalto per i lavori del bacino sul fiume Tigri, ma non sarà inquadrato nella missione ‘Inherent Resolve’. Relativamente alla presenza di truppe straniere, occorre sottolineare il ritiro della maggior parte dei soldati e dei mezzi corazzati turchi precedentemente schierati presso la base di Bashiqa (a poche decine di chilometri da Mosul). La decisione è giunta in seguito alle insistenti pressioni della comunità internazionale e alle proteste del governo iracheno e di alcuni settori della popolazione. 12 Approvata una legge di bilancio per il 2016 Il 16 dicembre, il Consiglio dei Rappresentanti (parlamento) ha approvato una nuova legge di bilancio per il 2016, dopo le aspre critiche mosse alle disposizioni contenute nella precedente formulazione del budget. Essa è il frutto di difficili compromessi tra il governo, costretto a far fronte alle difficoltà derivanti dal calo del prezzo del petrolio, i partiti e le amministrazioni locali. Tra le principali novità della legge, vi sono: maggiori fondi per le Unità di Mobilitazione Popolare; il ripristino del 17% come quota destinata al Governo Regionale del Kurdistan in cambio della gestione centralizzata di tutte le esportazioni di risorse energetiche (essa era stata ridotta al 12% nella precedente formulazione); l’assegnazione alle amministrazioni dei governatorati meridionali di 5 dollari per ogni barile di petrolio estratto in loco (secondo le autorità di Bassora, veniva in precedenza corrisposto solo un dollaro). Fonti utilizzate: Iraqi News; Rudaw; Shafaq News; Reuters; Iraqi News; Hurriyet; Anadolu Agency; Iraq Trade Link News Agency; Iraq-Business News; al-Jazeera; CNN. 13
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