rassegna stampa internazionale - Filtea

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Dipartimento Internazionale
http://www.cgil.it/internazionale/
RASSEGNA STAMPA
INTERNAZIONALE
26 - 30 gennaio 2009
A cura di Maria Teresa Polico
Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
DIPARTIMENTO INTERNAZIONALE CGIL
RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE
26 - 30 gennaio 2009
INDICE
ARGOMENTO
Unione europea
TESTATA
I sindacati europei chiedono un piano di incentivi
I lavoratori in congedo per malattia mantengono il loro diritto alle ferie
Labour Start
Sunday Business Post
Francia
L’Eliseo vuole “rispondere alla crisi” dopo le manifestazioni
Il potere politico teme un grande movimento sociale
Le Monde
Le Monde
Germania
Migliaia destinati a perdere i loro posti di lavoro quest’anno
The Local
Italia
I lavoratori dell’auto in Italia protestano per il piano di aiuti
Financial Times
Economia
Il mondo avvertito della minaccia di “crisi alimentare”
Financial Times
Forum Sociale Mondiale
No all’economia casinò!
CIS
Africa
Il capo del partito rivale dichiara che la “luna di miele con l’ANC” è finita
Financial Times
Asia
Un anno severo, l’anno del bue
Stati Uniti
Il sindacato lassù
Russia
La General Motors riduce drasticamente la settimana lavorativa a causa
della crisi
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International Herald Tribune
Los Angeles Times
Reuters
Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Labour Start
28/01/09
I sindacati europei chiedono un piano di incentivi
Associated Press
I sindacati chiedono un piano di incentivi economici per l’Europa simile a quello proposto dagli Stati
Uniti.
John Monks, segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati, afferma che la crisi
ha bisogno di una risposta concertata uguale a quella proposta dal presidente Barack Obama.
Il piano di Obama per il rilancio dell’economia mette assieme tagli fiscali e spesa nella speranza di
stimolare l’economia americana. Gran parte della spesa sarà su temi come l’assistenza sanitaria, i
benefit per i senza lavoro e gli aiuti alimentari alle famiglie indigenti.
Monks ha presentato le sue osservazioni mercoledì in un incontro con il ministro della Repubblica
Ceca Mirek Topolanek, il cui paese occupa la presidenza di turno dell’Unione europea.
Il blocco di 27 stati membri afferma che quest’anno scompariranno 3.5 milioni di posti di lavoro.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Sunday Business Post On Line
25/01/09
I lavoratori in congedo per malattia mantengono il loro diritto alle ferie
Di Kieron Wood
La Corte Europea di Giustizia ha decretato che i lavoratori in congedo per malattia conservano il
diritto alle ferie annuali o saranno pagati con un compenso. La corte ha espresso il giudizio in due
casi collegati, nel caso della Stringer contro la British Revenue and Customs, e la Schultz Hoff
contro la Deutsche Rentenversicherung Bund.
La Camera dei Lords e la Dusseldorf Landesarbeitsgericht hanno chiesto alla Corte europea di
interpretare il diritto alla paga del congedo annuale per ferie secondo la direttiva europea sui tempi
del lavoro.
Nel caso inglese, la camera dei Lords ha esaminato la rivendicazione di una donna che voleva
ricevere la paga per congedo annuale per ferie durante un periodo indefinito di congedo per
malattia. Nel caso tedesco, i lavoratori non potevano ricevere la paga del congedo annuale per
ferie a causa dell’inidoneità che lo obbligava ad andare in pensione. Secondo la legge tedesca, il
diritto a pagare il congedo annuale per ferie è estinto alla fine dell’anno se non è stato usufruito, e
non è pagabile alcuna compensazione.
La Corte, nel suo giudizio, ha affermato che il diritto al congedo per malattia e alle condizioni per
esercitarlo, non è governato dalla legge europea. Gli stati membri hanno il diritto di specificare le
circostanze nelle quali i lavoratori hanno esercitato il diritto al congedo annuale per ferie, ma che
non possono far dipendere questo diritto a delle precondizioni.
La corte ha affermato che, in quanto norma, il diritto alla paga del congedo annuale per ferie
contemplato nella direttiva sui tempi del lavoro non vieta ai datori di lavoro di autorizzare la paga
per il congedo annuale mentre un lavoratore era in congedo per malattia. Se tale congedo era
permesso, al lavoratore deve essere consentito a ricevere il congedo in un altro momento. La corte
ha affermato che i lavoratori con congedo per malattia hanno il diritto alle ferie annuali anche se
non hanno lavorato durante l’anno del congedo. Uno stato membro potrebbe soltanto accantonare
il diritto alla paga del congedo annuale per ferie alla fine dell’anno del congedo stesso, se il
lavoratore avesse realmente avuto l’opportunità di esercitare il suo diritto alle ferie.
Laddove un lavoratore in pensione non sia stato in grado di prendere le ferie annuali perché era in
congedo per malattia, il diritto alla paga del congedo annuale per ferie potrebbe non essere estinto
alla fine dell’anno del congedo. Se la compensazione fosse pagata ad un impiegato malato che è
stato obbligato ad andare in pensione, l’ammontare deve basarsi sul salario normale del lavoratore.
La decisione della corte si applica a tutti gli stati membri dell’Unione europea, inclusa l’Irlanda.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Le Monde
30/01/09
L’Eliseo vuole “rispondere alla crisi” dopo le manifestazioni
Migliaia di manifestanti radunati in piazza della Bastiglia a Parigi, il 29 gennaio
Nicolas Sarkozy, giovedì 29 gennaio, alla fine di una giornata di sciopero e di massicce
manifestazioni, ha confermato la sua volontà di mantenere il dialogo con i sindacati ma senza la
minima concessione alle loro rivendicazioni. Il capo dello stato, che ha trascorso la giornata al
Palais de l’Elysée, dove è passato da una riunione all’altra, ritiene che se il movimento ha
radunato 2 milioni e 500 persone in tutta la Francia, il movimento rimane troppo diverso per
gettarsi su una crisi di grande ampiezza.
In un comunicato pubblicato all’inizio della serata, ha riaffermato che la crisi economica suscita
una “legittima inquietudine” e impone ai poteri pubblici un “dovere di ascolto” e di “dialogo” ma
ugualmente “una grande determinazione ad agire”. Ha dichiarato anche che incontrerà a febbraio
le parti sociali “al fine di accordarsi sulle riforme da fare nel 2009 e sui metodi per gestirle bene”.
Questa riunione sull’agenda sociale “era prevista, ed è semplicemente confermata”, verterà
essenzialmente sul lavoro e l’occupazione “e forse sulla protezione sociale”, precisa la cerchia di
persone del capo dello stato. Per il resto, il messaggio rimane lo stesso: fuori discussione una
pausa delle riforme, né di mettere in cantiere un nuovo piano di rilancio mentre questo che è stato
presentato il 4 dicembre 2008 è in vigore solo parzialmente.
Lungi dall’avere un tono provocatore adottato sei mesi fa, affermando davanti alla UMP che
“oramai, quando c’è uno sciopero, nessuno se ne accorge”, Nicolas Sarkozy si è astenuto dal
commentare la partecipazione alla giornata di scioperi e di manifestazioni di giovedì. Uno dei
consiglieri sottolinea che il presidente della repubblica intende “rispondere alla crisi” e non alla
mobilitazione della strada ed è fuori discussione che ci si allontani dalla rotta fissata.
Il segretario generale della CGT, Bernard Thibault, ha messo in guardia il capo dello stato contro il
moltiplicarsi di incontri con i sindacati senza risultati.”Se si tratta, come credo di capire, di discutere
dell’agenda delle riforme della Repubblica e dei suoi territori, noi saremo ampiamente in contrasto
con quanto presenta questa giornata e la discussione non andrà molto lontana”, ha avvertito su
France 2. “Non è la quantità di incontri che contano ma il risultato”, ha affermato, sottolineando la
presenza nei cortei sindacali di lavoratori del settore privato, e di “piccoli artigiani, patrons o
commercianti”.
Martine Aubry, primo segretario del PS, ha “sperato” su France 2 che Nicolas Sarkozy “andrà più
lontano” e “terrà conto dell’enorme manifestazione” di giovedì.
I sindacati si incontreranno lunedì per decidere il seguito da dare alla giornata di giovedì. Ma questi
prolungamenti sono quanto mai ipotetici, tanto profonde sono le divisioni sindacali nonostante
l’unità espressa questo 29 gennaio.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Le Monde
27/01/09
Il potere politico teme un grande movimento sociale
Che cosa fare di fronte all’aumento ineluttabile della disoccupazione e della disperazione che è in
nuce?
Come evitare che il deterioramento del clima sociale non si trasformi, in occasione di una scivolata
o di un duro conflitto locale, in una di queste esplosioni di cui la Francia ha il segreto? In un paese
che sprofonda nella recessione, queste questioni tormentano i responsabili politici ai livelli più alti
dello stato, nella maggioranza come all’opposizione.
La giornata di azione unitaria di giovedì 29 gennaio, che si annuncia molto partecipativa, beneficia,
secondo due sondaggi pubblicati domenica 25 dell’appoggio di circa i tre quarti dei francesi. A
distanza di qualche giorno dalla sua organizzazione, gli scioperi nella fabbrica della Renault di
Sandouville all’annuncio del prolungamento dello sciopero parziale, le parole d’ordine dello
sciopero nelle università, le tensioni che sussistono in certi licei, nell’amministrazione e nel mondo
ospedaliero hanno rilanciato i timori per una possibile unione dei malcontenti. “Sento una violenza
che sta per nascere. Nelle scuole, ad esempio, la mobilitazione è molto forte”, svela Philipèpe
Cochet, deputato UMP della zona del Rodano.
All’inizio di gennaio, gli eletti della maggioranza avevano messo in guardia Nicolas Sarkozy sui
rischi di “un grande movimento sociale” e di uno spostamento dell’opinione pubblica sul piano del
rilancio. “Le persone hanno l’impressione che il danaro pubblico sia distribuito ai banchieri e che
non sia stato fatto niente per loro. Approvano coloro che scendono in strada”, avevano espresso.
La recessione ha ben colpito in modo diseguale territori e imprese, la ripresa non è rassicurante. Il
calo dei lavori temporanei, l’aumento della disoccupazione parziale, la moltiplicazione dei piani di
partenza volontaria hanno certamente permesso fino a questo momento di “estendere gli effetti
devastanti della crisi”, analizza Martin Richer, direttore generale della società Secafi (Gruppo
Alpha), specializzato nella consulenza dei comitati di impresa. “Ma se la situazione nel settore
automobilistico doveva prefigurare quello che accadrà in cinque o sei anni in altri settori, la crisi
assumerà un’altra dimensione”, ha affermato.
Nelle regioni industriali, i sindacalisti descrivevano l’ansietà dei lavoratori “KO in piedi”. “Alla fine
del 2008, 134 imprese avevano chiesto di fare uno sciopero parziale e 15.000 lavoratori hanno
dovuto fermarsi per tre settimane durante le feste. Non si era mai visto questo”, ha affermato Alain
Gatti dell’Unione regionale interprofessionale della CFDT in Lorena.
Il suo omologo dei Paesi della Loira, Laurent Berger, constata la moltiplicazione dei piani sociali:
“A novembre e a dicembre, le imprese della regione hanno ringraziato 8000 lavoratori temporanei,
ma finiti i contratti a tempo determinato, hanno chiesto ai lavoratori di prendere giorni per ridurre i
tempi di lavoro o la disoccupazione parziale. Ma, dopo gennaio, picchia duro”. E di pulire la lista
dei posti di lavoro soppressi in una settimana: 120 in due imprese immobiliari che danno lavoro ad
un totale di 200 persone, 200 posti di lavoro su 1200 in un gruppo svedese, e svariate decine di
migliaia di lavoratori senza lavoro a causa della disoccupazione tecnica.
La crisi si generalizza: automobile, trasporto, navigazione da diporto, cantieri navali, servizi
informatici, il settore delle pulizie. “La situazione, ansiogena, creata dal fatalismo e dalla collera
presso i lavoratori che hanno il sentimento di dover pagare gli errori del capitalismo finanziario”,
osserva il sindacalista.
Nelle imprese in difficoltà, vi è il timore che la disoccupazione si diffondi. In quelle che vanno
meglio, le trattative sui salari si annunciano tese. “Il malcontento è più forte nei gruppi che non
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vanno poi così male, laddove le politiche salariali sono giudicate insufficienti”, assicura il segretario
generale metalmeccanico della CFDT, Dominique Gilliez.
Una complessa situazione sociale, le previsioni accennate. “ C’è il ritorno di molta rabbia, ma non
sempre si traduce in lotta", ha detto Nadine Prigent, segretario generale della categoria della
salute della CGT. "La crisi amplifica l’incertezza, aumentando la rabbia che bolle ", spiega Marcel
Grignard, segretario nazionale della CFDT, che raccoglie fra alcuni il desiderio di lottare. Direttore
di Studi aziendali e sul personale, un'associazione per lo sviluppo delle risorse umane, Jean-Pierre
Basilien crede più alla possibilità di duri conflitti locali, dove l'occupazione è distrutta, che a quella
di un movimento più globale. "Il governo appare pronto a disinnescare eventuali tensioni con la
gioventù, che potrebbe portare a grandi mobilitazioni, ha detto.
La lunghezza e la profondità della recessione sono incognite che influenzano il clima sociale.
Raymond Soubie, consigliere di Nicolas Sarkozy per le questioni sociali, non constata per ora,
"l’aumento della febbre alta." Ma attenzione, egli aggiunge, il clima sociale è una scienza inesatta".
Rémi Barroux, Claire e Sophie Guélaud Landrin
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Rassegna stampa internazionale
The Local
24/01/09
Migliaia destinati a perdere i loro posti di lavoro quest’anno
On line: http://www.thelocal.de/money
Il ministro del lavoro Olaf Scholz ha affermato sabato di aspettarsi che quest’anno le imprese
correranno per ridurre le ore lavorative e faranno un grande salto nella disoccupazione mentre la
Germania scivolerà più a fondo nella recessione.
In un’intervista con il quotidiano Die Welt, Scholz ha affermato che centinaia di migliaia di lavoratori
stavano già lavorando ore in meno mentre l’economia tedesca orientata alle esportazioni entrava
in crisi, e ha avvisato che il numero potrebbe aumentare.
“Mi aspetto quest’anno una media di circa 250.000 lavoratori a metà tempo, sebbene molti di
questi lavoreranno per un periodo limitato di tempo”, ha affermato Scholz. Il ministro ha affermato
che le imprese stanno introducendo la riduzione delle ore lavorative in tutti i settori ma ha aggiunto
che il lavoro collegato all’industria dell’auto è stato il più colpito.
“La cosa importante è che siamo pronti alla corsa delle imprese che avranno lavoratori a metà
tempo”, ha affermato, aggiungendo che l’approvazione della nuova legge lo scorso anno ha
significato che il governo aiuterà i lavoratori colpiti per 18 mesi invece di quelli colpiti per sei mesi
come avveniva precedentemente.
Il gigante dell’ingegneria, Simens, è diventato l’ultima impresa ad aver ammesso che stava
programmando l’introduzione delle ore lavorative in meno in tre impianti della Germania. Molte
case automobilistiche hanno già reso inattivi i loro impianti per alcune settimane e chiesto ai loro
lavoratori di restare a casa mentre la domanda globale dei prodotti tedeschi diminuisce.
Scholz ha affermato di aspettarsi un grosso aumento della disoccupazione, dicendo di temere che
la Germania possa vedere ancora 250.000 persone fuori dal lavoro quest’anno. Ma si è rifiutato di
dire se crede che i senza lavoro supereranno i quattro milioni. “Nessuno possiede una calcolatrice
con la quale può seriamente calcolare un simile dato”, ha affermato.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Financial Times
29/01/09
I lavoratori dell’auto in Italia protestano per il piano di aiuti
Di Guy Dinmore da Roma e Vincent Boland da Milano
I dirigenti sindacali in Italia e i lavoratori dell’auto hanno protestato ieri contro quello che temono
sarà un aiuto insufficiente dello stato all’industria dell’auto, paragonata ai prestiti e agli incentivi
erogati da altri governi per salvare i concorrenti europei e americani.
Anche i datori di lavoro sono rimasti delusi con la proposta del governo di centro destra di Silvio
Berlusconi di dare un bonus di 1.500 euro agli acquirenti di automobili vecchie per lo meno di 10
anni per modelli nuovi e più economici. Il piano potrebbe costare 300 milioni di euro. A Roma, i
dirigenti sindacali e gli industriali dovevano incontrare la scorsa notte i ministri per colloqui riguardo
il piano di salvataggio. Fonti provenienti dall’industria hanno affermato che i dirigenti della Fiat che
hanno incontrato i ministri martedì sono rimasti sbigottiti dallo schema proposto, che non ha
incluso prestiti o concessioni.
Il governo italiano e l’industria dell’auto avevano insistito per una soluzione paneuropea
proveniente da Bruxelles. La risposta degli stati membri dell’Unione europea, che ha seguito i
modelli di salvataggio bancari, ha mostrato la debolezza delle finanze italiane e la riluttanza del
governo ad intervenire.
Giulio Tremonti, ministro delle finanze, si trova sotto una forte pressione da parte di alcuni membri
del governo per spendere di più. E’ probabile che non vi sarà una decisione finale per parecchi
giorni.
I lavoratori del principale impianto Mirafiori della Fiat a Torino hanno organizzato ieri uno sciopero
di due ore contro gli esuberi e il rischio di chiusura. La maggior parte dei 50.000 lavoratori della
Fiat è stata obbligata ad andare in cassa integrazione con una paga ridotta per settime o per mesi.
I lavoratori sono andati a Roma per protestare all’esterno dell’ufficio del primo ministro.
“Il governo sta lasciando i lavoratori italiani da soli alla mercé di questa crisi”, ha affermato Giorgio
Airaudi, dirigente del sindacato dei metalmeccanici a Torino, che ha condannato il “piccolo
cambiamento” offerto da Tremonti.
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Dipartimento Politiche Internazionali
Rassegna stampa internazionale
Financial Times
25/01/09
Il mondo avvertito della minaccia di “crisi alimentare”
Di Javier Blas da Londra
Secondo un rapporto autorevole reso noto lunedì, il mondo farà fronte ad un “reale rischio di crisi
alimentare” se i governi non prenderanno un’azione immediata per affrontare l’impatto del
cambiamento climatico e della scarsità d’acqua nel settore agricolo.
Chatham House, un gruppo di ricerca situato a Londra, suggerisce che il recente crollo dei prezzi
dei prodotti alimentari è soltanto un temporaneo rinvio e che i prezzi sono destinati a riprendere il
loro orientamento una volta che il mondo uscirà dall’attuale crisi.
Nel rapporto si dichiara che: ”Esiste tuttavia il rischio reale di una “crisi alimentare” in un certo
momento in futuro, che ricadrà in modo particolarmente forte sui paesi che dipendono
dall’importazione e sulla povera gente ovunque”. Si aggiunge: “I prezzi dei prodotti alimentari sono
pronti ad aumentare ancora”.
L’avvertimento è stato fatto mentre i ministri dell’agricoltura e i funzionari delle Nazioni Unite si
riuniscono a Madrid a partire da lunedì per un incontro delle Nazioni Unite sulla sicurezza
alimentare probabilmente per concludere che la crisi alimentare dello scorso anno, con circa 1
miliardo di persone affamate, è ben lontana dall’essere finita.
Secondo le informazioni dei tre funzionari prima dell’incontro, le Nazioni Unite avvertiranno i
ministri a Madrid che “mentre la crisi finanziaria globale aumenta, la fame è probabile che aumenti”
sotto l’impatto di un aumento della disoccupazione e di rimesse più basse.
I prezzi dei prodotti agricoli come il riso e la farina sono saliti ad un livello alto lo scorso anno,
provocando rivolte alimentari che si sono stese da Haiti, al Bangladesh e Camerun e sollecitando
appelli in favore di aiuti alimentari per oltre 30 paesi nell’Africa sub sahariana.
Il costo dei prodotti alimentari era caduto da allora, ma Alex Evans, autore del rapporto del Chatam
House ed esperto all’Università di New York, ha affermato che “persino a livelli ridotti dei loro
prezzi attuali rimangono fortemente preoccupanti per i paesi a basso reddito dipendenti dalle
importazioni e per la povera gente in tutto il mondo”.
Josette Sheeran, responsabile del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, ha
affermato di aspettarsi che quest’anno sarà quanto meno “avverso” come lo scorso anno, quando
il numero dei malnutriti passò da 40 milioni a 963 milioni di persone. “Non stiamo assistendo ad
un’attenuazione della pressione della fame”, ha affermato al Financial Times.
Inoltre, i prezzi dei prodotti agricoli hanno recuperato negli ultimi due mesi grazie alle piantagioni
invernali più basse negli Stati Uniti e in Europa e ad una grave siccità in Brasile e in Argentina, due
dei più grandi produttori di prodotti alimentari.
Da dicembre, i prezzi della farina sono aumentati del 15%, il grano del 17% e i semi di soya del
22%. In contrasto con altri materiali grezzi come il petrolio o l’alluminio che sono ritornati ai livelli
del 2002 – 2005, i prodotti agricoli si stanno vendendo di più di quanto non lo fossero 12 o 18 mesi
fa.
Nel medio termine, il rapporto dichiara che “i cicli di scarsità delle risorse di lungo termine,
specialmente con il cambiamento climatico, la sicurezza energetica e il crollo della disponibilità
idrica”, eserciteranno una pressione sui prezzi e sulla produzione, assieme alla “concorrenza per la
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terra e ad una domanda più alta che deriva da un’affluenza in aumento e da una crescita della
popolazione”.
Il rapporto raccomanda i governi di investire di più nella produzione agricola e di aumentare anche
l’aiuto internazionale in questo settore.
Secondo un progetto di documento dell’Unione europea, scrive Joshua Chaffin a Bruxelles,
fermare il riscaldamento globale richiederà ulteriori 175 miliardi di euro in investimenti annuali entro
il 2020.
Il documento, che dice che molto dell’investimento dei 175 miliardi di euro dovrà essere originato
dal mondo sviluppato, prevede anche che sarà necessaria una spesa di decine di miliardi di euro
per aiutare i paesi poverissimi a prepararsi ad un riscaldamento persino moderato.
Alcuni modi che l’Unione europea propone per raccogliere questi fondi, includono la richiesta ai
paesi sviluppati di pagare le loro emissioni di carbonio annuale, stabilendo imposizioni fiscali sul
trasporto aereo e marittimo. L’Unione europea dovrebbe anche espandere le sue emissioni del
sistema commerciale nel mercato del carbonio globale ed esplorare l’istituzione di un consorzio di
assicurazioni multilaterali che aiuti a trattare i disastri naturali che derivano dal riscaldamento
globale.
Il documento globale, che sarà rilasciato mercoledì dalla Commissione europea, dall’organismo
esecutivo dell’Unione europea, espone la posizione del blocco prima dei negoziati a Copenhagen
di questo dicembre finalizzata a creare un accordo globale per contrastare il cambiamento
climatico.
La Commissione ha rifiutato di commentare il progetto di documento, e le persone che hanno
partecipato ai negoziati hanno affermato che il documento è ancora in discussione.
L’Unione europea ha approvato un piano a dicembre di riduzione entro il 2020 delle emissioni di
gas serra dei 27 paesi del blocco del 20%, dai livelli del 1990. Gli stati membri ed altri paesi
sviluppati sono invitati ad aumentare quel dato del 30%.
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Dichiarazione della Confederazione Internazionale dei Sindacati
al Forum Sociale Mondiale
Belém do Para, Brasile,
27 gennaio – 1 febbraio 2009
No all’economia casinò!
La crescente insicurezza per le condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori e di lavoratrici
nel mondo è una delle cause principali della crisi che attualmente affrontiamo. La crisi che noi
viviamo riguarda innanzitutto la distribuzione ingiusta della ricchezza che ha distorto l’economia
mondiale. La crisi finanziaria, che è il risultato di un lungo processo della finanziarizzazione
dell’economia, ha ulteriormente aggravato i problemi esistenti dell’economia, sia al Nord e sia al
Sud.
I paesi in via di sviluppo hanno un’enorme mancanza di posti di lavoro dignitosi che la loro crescita
economica non ha generato. Questa crisi di posti di lavoro dignitosi è accompagnata da un caro
vita e dagli effetti della crisi alimentare mondiale. Questo sta conducendo a situazioni di povertà
endemica. I paesi industrializzati non ne sono immuni. Anzi il numero dei lavoratori poveri è
esploso negli Stati Uniti durante gli otto anni di amministrazione Bush. In Europa la moderazione
salariale – nonostante l’aumento dell’inflazione e della produttività – ha ridotto il potere di acquisto.
Quasi tutti i paesi conoscono un’insicurezza crescente delle condizioni di lavoro, con
un’informalizzazione delle relazioni di lavoro e una deregolamentazione del mercato
dell’occupazione. La crisi che noi affrontiamo è certamente e innanzitutto una crisi delle
disuguaglianze diventate insostenibili non soltanto dal punto di vista sociale ma anche dal punto di
vista economico. Le politiche neo-liberali di questi ultimi vent’anni hanno raggiunto il loro limite, in
quanto, per le ragioni summenzionate, i lavoratori impoveritisi non consumano più abbastanza da
far girare l’economia.
Gli Stati Uniti sono i primi consumatori al mondo e la riduzione del potere d’acquisto reale della sua
classe media ha ripercussioni che vanno bel oltre le sue frontiere. L’alto livello di consumo negli
Stati Uniti è stato sostenuto non dai salari ma dal credito, dall’indebitamento delle famiglie e dei
lavoratori americani che spendono oltre le loro possibilità. La facilità con cui hanno ottenuto i
crediti, specialmente le famiglie più povere attraverso i subprimes, faceva affidamento sul prezzo
delle case, che è stato gonfiato artificialmente da una bolla speculativa. I prodotti finanziari
complessi sono stati creati per sbarazzarsi di questi “titoli velenosi” sul mercato finanziario.
La corsa sfrenata al profitto nel breve termine, in un contesto di liberalizzazione economica e
finanziaria senza fede e né legge, caratterizza i mercati finanziari di oggi. Il capitalismo casinò è
largamente responsabile dell’estensione della crisi all’intero pianeta. I mercati finanziari sono
diventati una fonte di danaro facile e non compiono più il loro compito principale di finanziare
l’economia reale. Durante gli ultimi dieci anni, la speculazione sui mercati finanziari ha offerto più
opportunità al profitto di breve termine rispetto a quante ne abbia fornito ai prestiti per le imprese
che desideravano innovare, ottenere nuovi mercati o creare posti di lavoro dignitosi. Come risultato,
il futuro dei lavoratori è stato sacrificato per alimentare i conti delle banche all’estero di certi
speculatori senza scrupolo. I governi e le istituzioni hanno chiuso i loro occhi, adottando il principio
del “laissez faire” nel suo senso letterale e, per questo, sono complici.
L’altro aspetto importante di questa crisi risiede nell’eccesiva apertura dei mercati e al non
intervento degli stati. Come esempio, la Cina è riuscita ad accumulare enormi riserve che le
consentono di finanziare il debito americano. I lavoratori cinesi, ai quali non è consentita la libertà
di organizzare sindacati per difendere i loro interessi collettivi, hanno visto aumentare la loro
produttività in modo vertiginoso nel corso degli ultimi 20 anni. Lavorano su macchinari del 21°
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secolo ma hanno salari del 19° secolo! Questa globalizzazione ha contrapposto i lavoratori del
nord contro quelli del sud per il solo interesse delle multinazionali e dei fondi d’investimento privati i
cui profitti sono aumentati in continuazione.
Sono apparsi squilibri enormi tra il settore finanziario e l’economia reale, tra i paesi ricchi e i paesi
poveri, tra i dirigenti super pagati e i lavoratori sottopagati. Le disuguaglianze tra gli uomini e le
donne rimangono considerevoli. E le politiche di repressione e di discriminazione contro i
sindacalisti, che hanno contribuito alla concentrazione della ricchezza, hanno ridotto come
conseguenza diretta il potere d’acquisto dei lavoratori paragonati a quelli dei loro datori di lavoro.
Se la crisi attuale è finanziaria, economica e sociale, essa ha anche una dimensione ambientale.
E’ diventato chiaro che le risorse del nostro pianeta non riusciranno a sostenere un modello di
consumo dei paesi industrializzati che si estende a 6 miliardi di persone. A questo si
accompagnano gli effetti del cambiamento climatico, che ci sta obbligando a prendere misure
collettive per ridurre i gas a effetto serra. Su questo punto ci sono disuguaglianze evidenti, in
quanto i poveri stanno soffrendo maggiormente dell’impatto negativo del cambiamento climatico.
Le misure prese non devono soltanto essere efficaci sul piano ambientale ma devono essere
anche socialmente giuste.
Quale modello possiamo proporre per uscire da questa crisi multidimensionale?
Questa crisi è la prova del carattere insostenibile delle politiche neo-liberali che sono state adottate
negli ultimi dieci anni, che hanno promosso la deregolamentazione e la liberalizzazione dei mercati
e la privatizzazione dei servizi pubblici. Questo fondamentalismo di mercato ha concentrato le
ricchezze mentre non ha tenuto in nessun conto i beni pubblici mondiali come l’ambiente, la sanità,
la protezione sociale, la sicurezza alimentare o ancora la stabilità finanziaria mondiale.
I piani attuali per la ripresa sono necessari, ma insufficienti. Non è sufficiente immettere danaro
nell’economia, noi abbiamo bisogno di cambiare i suoi principi per essere sicuri che essa porti
giustizia sociale, sviluppo per tutti, uguaglianza, stabilità e prosperità di lungo termine.
Il mondo di domani non avrà più una singola superpotenza ma sarà un mondo multipolare, mentre
il processo di integrazione regionale continuerà ad aumentare. Il multilateralismo deve essere
protetto all’interno di questo mondo multipolare, che altrimenti corre il rischio di aumentare la
povertà e di creare disuguaglianze più profonde tra i paesi. Ma è arrivato il momento per questo
multilateralismo di aprirsi alle questioni sociali. I sindacati e l’intera società civile devono insistere
sul fatto che le questioni collegate all’occupazione siano poste al centro del nuovo sistema di
governance economica globale che ancora ha bisogno di essere costruita. Su questo punto l’OIL
svolge un ruolo essenziale.
Dentro questo mondo multipolare, lo stato deve riprendere il suo giusto posto e fare la sua parte
per assicurare che sia creato un nuovo sistema economico responsabile dell’ambiente.
L’intervento pubblico è l’unica garanzia di coesione sociale. Tuttavia, la corruzione di certi
organismi pubblici deve essere penalizzata e contrastata da gruppi organizzati che includono i
sindacati. Le banche centrali devono diventare responsabili e cessare di conformarsi alle richieste
delle potenti lobby finanziarie.
Rafforzare e estendere i sistemi di protezione sociale pubblica è un’urgenza. Creare un Fondo
Globale per la Protezione Sociale che aiuti i paesi poverissimi è essenziale. Aumentare i livelli e la
qualità degli aiuti statali ai paesi in via di sviluppo è essenziale. Creare transazioni socialmente
giuste verso modi di produzione sostenibili sul piano ambientale è importante. Fissare regole
giuste in materia di commercio internazionale a sostegno dei piani di sviluppo nazionale e impedire
l’aggravarsi delle disuguaglianze, è fondamentale. La priorità deve essere data ai salari minimi
dignitosi e ai salari reali in linea con i guadagni di produttività. Rispettare, infine, il diritto dei
lavoratori a formare sindacati liberi e alla contrattazione collettiva della ridistribuzione dei profitti, è
una richiesta fondamentale.
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Rassegna stampa internazionale
Le relazioni tra i paesi industriali, i paesi emergenti e in via di sviluppo devono essere stabilite su
nuove basi. L’attuale sistema economico e finanziario globale non serve gli interessi dei lavoratori
e delle lavoratrici dei paesi in via di sviluppo. La restituzione del debito estero sta strangolando i
paesi poverissimi. Le condizioni alle quali possono ricevere il prestito sono ingiuste, finché saranno
fatte per sopportare tutti i rischi della fluttuazione. Il sistema attuale permette ai paesi avanzati di
seguire politiche monetarie e fiscali che impongono politiche pro cicliche ai paesi in via di sviluppo.
Questo significa che le istituzioni finanziarie internazionali (IFI) sono parzialmente responsabili
delle conseguenze sociali disastrose in questi paesi, ma anche dell’instabilità finanziaria globale.
Bisogna mettere fine alle condizionalità economiche e finanziarie imposte dal FMI la cui
governance deve essere giusta.
E’ giunto il momento di costruire una nuova architettura economica e finanziaria globale. Tuttavia,
nessuna delle esistenti istituzioni ha la legittimità o la credibilità per adempiere a questo compito
con successo.
La regolamentazione dei mercati finanziari è una necessità urgente. La speculazione deve
essere limitata e i mercati devono concentrarsi sul finanziamento dell’economia reale. In modo
particolare, deve essere vietata la speculazione sui mercati delle materie prime. I mercati dei
prodotti derivati devono essere posti sotto il controllo delle autorità pubbliche. I centri finanziari “offshore” e altri paradisi fiscali devono essere chiusi. La tassazione delle transazioni finanziarie
possono fornire nuovi fondi per aiutare a ridurre le disuguaglianze. I salari osceni dei dirigenti, dei
banchieri e di altri intermediari finanziari devono essere regolamentati. Nella necessaria riforma del
settore finanziario, la priorità deve essere data all’economia sociale incoraggiando cooperative,
agenzie di micro-credito, presenti nei paesi in via di sviluppo.
Il nuovo sistema economico dovrà generare una crescita verde [ green growth]. Oltre all’urgenza di
agire per garantire la sopravvivenza del nostro pianeta, la tutela dell’ambiente offre opportunità
enormi per la creazione di posti di lavoro. Gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, i trasporti
collettivi e le energie rinnovabili sono necessari ovunque nel mondo. Deve essere sostenuta la
crescita economica attraverso investimenti ecologicamente responsabili.
In conclusione
E’ il momento di costruire un sistema economico, sostenibile sul piano ambientale, giusto su quello
sociale ed equilibrato su quello geopolitico. Questo modello dovrà tenere conto delle aspirazioni
dei popoli e delle proposte del movimento sindacale e degli altri attori della società civile. A partire
da oggi, la crescita economica dovrà creare posti di lavoro dignitosi, tutelare l’ambiente e i suoi
frutti dovranno essere ridistribuiti per ridurre il livello di disuguaglianze senza precedenti che
affrontiamo oggi.
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Rassegna stampa internazionale
Financial Times
30/01/09
Il capo del partito rivale dichiara che la “luna di miele con l’ANC” è
finita
Il leader del partito secessionista dice che la decisione dell’African National Congress sta minando
la costituzione del Sud Africa e mettendo a rischio la sua giovane democrazia.
Mosiuoa Lekota, “Terror”, ex ministro della difesa che ha lasciato l’ANC lo scorso anno per formare
il Congresso del popolo, ritiene che il partito di governo – che vincerà le prossime elezioni generali
– userà il comando della sua influenza politica per salvare Jacob Zuma, il suo candidato
presidenziale, dal processo per accuse di corruzione.
Lekota ha riferito al Financial Times che una “soluzione politica” ai problemi legali di Zuma – come
dare l’immunità ad un presidente in servizio – è ancora sulle carte, nonostante le smentite
dell’ANC. “Non si hanno garanzie che dopo le elezioni non facciano questo”, afferma. “E posso
dire che Zuma non vuole andare in prigione e così faranno questa cosa”.
Zuma fa fronte ad accuse di frode, di corruzione, di racket e di riciclaggio di danaro, derivanti dalla
sua partecipazione alla vendita multimiliardaria di armi che risale agli anni ’90.
Lekota, il cui soprannome proviene dalla sua abilità di attaccante nel calcio per adolescenti
piuttosto di qualcosa di più sinistro, sostiene di muoversi per proteggere Zuma da un ampio
modello di interferenza politica, che comprende la politicizzazione del servizio civile e di muoversi
per consentire ai membri delle forze di polizia di unirsi ai sindacati affiliati dell’ANC.
"Dobbiamo fare in modo che le forze di sicurezza siano neutrali e fedeli alla Costituzione, e
depoliticizzare i servizi pubblici. Se si perde questo, il Sud Africa imboccherà la strada dello
Zimbabwe ", dice Lekota, che era il più anziano leader ANC per difetto dopo Thabo Mbeki
mandato via come presidente in settembre.
La formazione del nuovo partito, meglio
conosciuto con il suo acronimo Cope,
cristallizza il più grande scisma all'interno
dell’ ANC in 50 anni e significa che le
prossime elezioni, entro la metà del 2009,
saranno le più competitive dopo la fine
dell’apartheid.
Lekota, che è stato presidente dell’ANC
fino al 2007, è stato visto come uno stretto
alleato dell’ex leader del paese. Ma dice
'Terror Lekota descrive Thabo Mbeki e Jacob Zuma 'come la
lingua e la saliva'
che sia l'ex presidente e sia Zuma,
condividono uno stile autoritario, che riflette
la comune esperienza di esilio. Spiega che prima delle dimissioni di Zuma come vice-presidente
nel 2005, gli uomini erano strettamente alleati.
"Thabo [Mbeki] e Zuma sono stati lingua e saliva", egli spiega. "Tutto ciò che hanno fatto, lo
hanno fatto insieme. Non sembra che gli piaccia il dibattito. Non ho trovato [il loro stile]
appropriato. I compagni che erano in esilio, hanno assunto un approccio quasi militarista. Il loro
approccio è stato quello di persone che vogliono essere fedeli a loro tutto il tempo. Quando
abbiamo criticato alcune cose, siamo stati considerati quasi come una sfida alla loro autorità. "
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Rassegna stampa internazionale
Lekota difende il governo Mbeki, molto criticato per la politica contro l'HIV / AIDS. L'ex presidente
dubita che vi sia un legame tra il virus e la malattia. Ma Lekota dice: "Voi dovete separare ciò che
stavamo facendo da ciò che il Presidente stava affermando."
Tuttavia, egli ritiene che il governo Mbeki sia stato "morbido" nei suoi rapporti con Robert Mugabe,
presidente dello Zimbabwe, quando"avremmo potuto prendere una posizione molto solida".
Lekota traccia un aumento della corruzione che ricorda il primo mandato del Presidente Mbeki alla
fine degli anni 1990, quando "abbiamo individuato una crescente tendenza verso il carrierismo...
La corruzione è stata strisciante nelle fila".
Questi mali più tardi hanno segnato il passo. Dopo che i sostenitori di Zuma garantirono il controllo
dell’ANC, alla fine del 2007, "c’è stata solo confusione. Hanno attaccato la magistratura e la
Procura nazionale. Gli Scorpions [l'organismo investigativo per la criminalità organizzata e la
corruzione] sono sotto attacco. Ci si è dovuti confrontare con la realtà che la nostra democrazia in
quanto tale era in pericolo. "
Gli oppositori di Cope sostengono che il partito chiede più trasparenza e un governo responsabile,
dato che tutte le sue alte personalità hanno lavorato sotto il mandato di Mbeki. Il nuovo partito
deve affrontare un compito in salita per conquistare l’elettorato dei neri più poveri attratti dalle
promesse dell’ANC di nuovi posti di lavoro e indennità sociali. Ma Lekota dice. "Noi vogliamo
trasformare il Sud Africa in una nazione unita e disciplinata di uomini e donne che lavorano duro...
Non vogliamo coltivare una nazione di persone sedute in attesa di sovvenzioni."
L'attuale partito ufficiale di opposizione è il partito liberale di Alleanza Democratica, indipendente e
alcuni analisti ritengono che Cope possa registrare più del 15 per cento di voti in queste elezioni.
Lekota è più ottimista. Gli scandali per corruzione che incalzano Zuma stanno avendo un impatto
sugli elettori più poveri, egli spiega. "Africani... il senso dei valori è importante quanto il pane.
Davvero molti sono giunti fino a qui con l'ANC. La luna di miele è finita. "
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International Herald Tribune
26/01/09
Migranti II
Un anno severo, l’anno del bue
Di Phelin kine
Hong Kong. Il Capodanno cinese, che è iniziato lunedì, è l’anno del bue. Questa è una metafora
appropriata per molti dei 150 milioni di lavoratori migranti cinesi, che hanno tirato l’economia del
paese avanti in cambio di un magro compenso e in condizioni pericolose.
Le violazioni dei diritti dei migranti sono state ben documentate dal governo cinese e dalle
organizzazioni non governative che includono Human Rights Watch ancora prima dell’attuale crisi
economica. I lavoratori migranti, in particolare i lavoratori migranti del settore delle costruzioni,
sono stati inclini allo sfruttamento da parte di datori di lavoro che negano loro i contratti di lavoro
legalmente stipulati. Molti datori di lavoro si rifiutano periodicamente di applicare le leggi che
richiedono il pagamento mensile del salario e fanno invece aspettare il migrante un anno per
ricevere il pagamento del salario prima del Nuovo Anno Lunare. Tali pagamenti sono spesso al di
sotto degli standard ufficiali del salario minimo, e in alcuni casi i datori di lavoro truffano i migranti
delle intere paghe annue.
I lavoratori migranti, che hanno svolto un ruolo importante nella drammatica crescita economica
cinese negli ultimi trent’anni, devono spesso vivere in terribili condizioni ed hanno un’alimentazione
inadeguata e condizioni nocive di lavoro che fanno aumentare il rischio di malattia e di disabilità. Ai
migranti è negato il diritto alla contrattazione collettiva o alla formazione di sindacati al di fuori del
sindacato ufficiale, All China Federation of Trade Unions, e le limitazioni finanziarie spesso non
permettono loro di ottenere giustizia per i salari dovuti e per le altre violazioni di diritti sindacali.
La ricerca dell’Accademia Cinese per le Scienze Sociali indica che i migranti sono le vittime in
prima linea del rallentamento economico del paese attraverso licenziamenti di massa nella
produzione destinata alle esportazioni dominata dai migranti. L’Ufficio Nazionale di Statistiche della
Cina non ha traccia di disoccupati tra i lavoratori migranti, ma i dati del Ministero per le Risorse
Umane e per la Sicurezza Sociale indicano che i migranti che hanno perso i loro posti di lavoro a
causa della crisi finanziaria nel 2008 raggiungono i 10 milioni. Uno studio recente dell’Università
Tsinghua in Cina suggerisce che saranno 50 milioni i lavoratori migranti che nel 2009 perderanno i
loro posti di lavoro nelle città se il rallentamento dell’economia continuerà.
L’aumento della disoccupazione metterà in pericolo anche l’istruzione dei loro bambini. Sebbene la
legge cinese abbia deciso nove anni di libera scolarizzazione obbligatoria, la mancanza di fondi
all’istruzione rurale significa che molti studenti nella campagna dovranno pagare per far parte della
classe. Le rimesse dei migranti alle loro famiglie nelle zone rurali – che uno studio della Banca
Mondiale ha indicato di 30 miliardi di dollari nel 2005 – sono state essenziali per aver dato ai
bambini dei migranti il diritto a ricevere l’istruzione.
La crisi economica rischia anche di amplificare le violazioni dei diritti umani collegate al sistema di
registrazione discriminatorio delle famiglie cinesi, o hukoku, che include il pensionamento
sponsorizzato dallo stato e l’assistenza sanitaria. Sebbene alcune municipalità abbiano programmi
urbani temporanei, la maggioranza di lavoratori migranti sono privati dei diritti e dei benefici
collegati all’hukoku nella città.
Ci sono indicazioni secondo le quali la crisi economica potrebbe incoraggiare i governi locali a
chiudere un occhio sulle società che compiono illeciti nel nome della tutela dei posti di lavoro e
garantire la stabilità sociale. Il 6 gennaio, l’ufficio dell’avvocato della provincia del Guangdong ha
emesso un comunicato nel quale invitava i pubblici ministri a non arrestare o a detenere il
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Rassegna stampa internazionale
personale dirigente o tecnico, o i rappresentati legali delle aziende sospettate di essere coinvolte
nei crimini “generali”, senza fornire alcun criterio per una simile decisione. Le autorità del
Guandong hanno giustificato la misura nel nome della “tutela delle normali operazioni di lavoro”.
Se il governo cinese è sincero circa il raggiungimento di una “società armoniosa”, allora bisogna
prendere un approccio con tolleranza zero verso la discriminazione del lavoro dei migranti e per
garantire che i datori di lavoro non utilizzino la crisi economica come un pretesto per venire meno
ai loro obblighi in base al diritto del lavoro e alla Legge sui Contratti di Lavoro. Nell’anno del bue, il
governo dovrebbe finalmente prendere misure per attenuare il dominio su milioni di lavoratori
migranti che sono stati il motore trascurato della spettacolare crescita economica del paese.
Phelim Kine è un ricercatore che risiede in Asia per Human Rights Watch
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Rassegna stampa internazionale
Los Angeles Times
26/01/09
Il sindacato lassù
L’America e la sua economia traballante, hanno bisogno di sindacati che ricostituiscano la
prosperità alla classe media.
Di Robert B. Reich
Perché questa recessione è così profonda, e che cosa può essere fatto per cambiarla?
Torniamo a 50 anni fa, quando la classe media americana si stava espandendo e l’economia
cresceva. Le paghe con assegni erano abbastanza grandi da permetterci di acquistare tutti i
prodotti e servizi che producevamo. Era un circolo virtuoso. Una buona paga significava maggiori
acquisti e più acquisti significavano più posti di lavoro.
Al centro di questo circolo virtuoso c’erano i sindacati. Nel 1955, più di un terzo di lavoratori
americani appartenevano ad sindacato. I sindacati diedero loro la leva della contrattazione di cui
avevano bisogno per ricevere le paghe con assegni che facevano muovere l’economia. Così molti
americani si iscrissero al sindacato che organizzava accordi che si estendevano anche nei luoghi
di lavoro non sindacalizzati.
Siamo passati velocemente in un nuovo secolo. Ora, meno dell’8% dei lavoratori del settore
privato sono sindacalizzati. Le imprese che vi si opponevano spiegavano che gli americani non
volevano più i sindacati. Ma i sondaggi dell’opinione pubblica, come quella completa di Peter D.
Hart Reserarch Associates condotta nel 2006, suggerivano che la maggioranza di lavoratori
avrebbe gradito avere un sindacato che contrattasse per salari, per benefici e condizioni di lavoro
migliori. Così ci devono essere altre ragioni che spiegano questo drammatico declino.
Ma mettiamo da parte questa questione per un momento. Un punto è chiaro: numeri più piccoli di
lavoratori sindacalizzati significano minore potere contrattuale, e minore potere contrattuale porta a
salari bassi.
Non c’è da meravigliarsi che i redditi della classe media stavano diminuendo persino prima della
recessione. Mentre la nostra economia cresceva tra il 2001 e l’inizio del 2007, la maggior parte
degli americani non partecipava alla prosperità. Nel momento in cui iniziò lo scorso anno la
recessione, secondo uno studio dell’Istituto di Politica Economica, il reddito medio delle famiglie
guidato da coloro che avevano meno di 65 anni era al di sotto del reddito medio del 2000.
Famiglie particolari hanno continuato ad acquistare indebitandosi. Questo è stato possibile finché
si è estesa la bolla immobiliare. I prestiti e i rifinanziamenti del Home-equity hanno fatto diminuire
le paghe con assegni. Ma questo è finito. Le famiglie americane non hanno più il potere d’acquisto
che permette di far girare l’economia. La paga con assegno più bassa, o nessuna paga con
assegno, significa meno acquisti e meno acquisti significano meno posti di lavoro.
Il modo per far ritornare l’economia in carreggiata è sostenere il potere d’acquisto della classe
media. Una delle maggiori strade per fare questo è aumentare la percentuale dei lavoratori
americani nei sindacati.
I ribassi delle tasse non funzioneranno perché non aumentano i salari in modo stabile. La maggior
parte delle famiglie ha utilizzato il ribasso lo scorso anno per eliminare il debito – non è una cosa
negativa, ma non fa funzionare il circolo virtuoso.
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Neanche i salvataggi bancari funzioneranno. Le imprese non faranno prestiti per espandersi senza
che i consumatori acquistino i loro prodotti e i loro servizi. E gli stessi americani non possono fare
prestiti quando stanno per perdere i loro posti di lavoro e i loro redditi stanno diminuendo.
Gli sgravi fiscali per le famiglie che lavorano, come intende il presidente Obama, possono fare di
più per aiutare perché si estendono nel tempo. Ma soltanto l’aumento dei salari e dei benefici della
classe media avrà un effetto duraturo.
Ai sindacati interessa questa equazione. Secondo il Dipartimento del Lavoro, i lavoratori
sindacalizzati guadagnano il 30% in più dei salari – portano a casa 863 $ a settimana, rispetto ai
663 $ per il tipico lavoratore non sindacalizzato - e rappresentano il 59% di probabilità in più che il
datore di lavoro fornisca l'assicurazione sanitaria rispetto ai loro omologhi non sindacalizzati.
Gli esempi abbondano. Nel 2007, quasi 12.000 custodi a Providence, RI, nel New Hampshire e
Boston, rappresentati dal Sindacato Internazionale dei Lavoratori dei Servizi, hanno ottenuto un
contratto che ha aumentato i loro salari portandoli a 16 $ l'ora, ha garantito più ore di lavoro e data
l’assicurazione sanitaria alla famiglia. In un settore tipicamente formato da lavoratori a tempo
parziale con un alto tasso di turnover, un contratto sindacale ha dato ai custodi a tempo pieno posti
di lavoro sostenibili sui quali poter fare affidamento per aumentare le loro famiglie - la loro
comunità' – e il tenore di vita.
Nel mese di agosto, 65.000 lavoratori della Verizon, rappresentata dai lavoratori delle
comunicazioni d'America, ha ottenuto gli aumenti salariali pari a quasi l’11% di posti di lavoro
temporanei e convertiti in tempo pieno. Non solo, la decisione preserva interamente i premi attivi
versati per l’assistenza sanitaria per i pensionati , i lavoratori sindacalizzati, ma la Verizon ha
inoltre accettato di fornire 2 milioni di $ all'anno per finanziare una campagna in collaborazione con
i suoi sindacati per raggiungere una riforma significativa dell’assistenza sanitaria.
Anche se l'America e la sua economia hanno bisogno dei sindacati, è diventato quasi impossibile
per i lavoratori dipendenti formare uno. L'ho citato il sondaggio Hart che ci dice che 57 milioni di
lavoratori vorrebbero essere in un sindacato se potessero averne uno. Ma coloro che cercano di
formare un sindacato, secondo i ricercatori del MIT, hanno solo la possibilità di farlo con successo
nella misura di 1 a 5.
Il motivo? La maggior parte delle volte, i lavoratori dipendenti che vogliono formare un sindacato
sono minacciati e intimiditi dai loro datori di lavoro. E troppo spesso, se non ascoltano gli avvisi,
sono licenziati, anche se questo è illegale. Ho visto questo quando ero segretario del lavoro un
decennio fa. Abbiamo cercato di sanzionare i datori di lavoro che hanno violato la legge, ma le
multe erano minuscole. Sono troppi i datori di lavoro che li considerano un costo per fare affari.
Questo non è giusto. La più importante caratteristica della legge Employee Free Choice Act, che
sarà presa in considerazione nella 111 seduta del Congresso, rende più severe le sanzioni contro
le imprese che violano i diritti dei lavoratori. Prima sarà promulgata, e meglio sarà per i lavoratori e
per l'economia degli Stati Uniti.
La classe media americana non è alla ricerca di un salvataggio o di un’elemosina. La maggior
parte delle persone vuole solo la possibilità di condividere il successo delle imprese che aiutano a
svilupparsi. Rendere più facile a tutti gli americani la formazione di sindacati darebbe alla classe
media il potere contrattuale necessario per salari e benefici migliori. E una forte e prospera classe
media
è
necessaria
se
la
nostra
economia
dovrà
avere
successo.
Robert B. Reich, ex segretario del Lavoro, è professore di politiche pubbliche alla UC Berkeley ed è stato
recentemente l'autore di "Supercapitalism".
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Rassegna stampa internazionale
Reuters
26/01/09
La General Motors riduce drasticamente la settimana lavorativa a causa
della crisi
Mosca. La General Motors ha affermato lunedì di ridurre la settimana lavorativa nel suo nuovo
impianto in Russia mentre la crisi finanziaria globale continua a comprimere le vendite delle
principali auto americane nei mercati emergenti.
“L’abbiamo accorciata la settimana a tre giorni per i prossimi mesi”, ha affermato il portavoce della
General Motors in Russia, Segei Lepnukhov.
“Come tutte le case produttrici auto, stiamo sentendo l’impatto della crisi e il calo della domanda”.
La crisi creditizia globale ha portato molte banche russe a fermare la concessione dei prestiti per le
auto, provocando una forte riduzione della domanda di automobili.
L’aumento della disoccupazione, salari arretrati e la svalutazione strisciante del rublo hanno
ancora acutizzato il problema.
L’Associazione delle Imprese Europee ha affermato che le vendite russe della popolare Chevrolet
della General Motors sono diminuite dell’11% anno dopo anno a novembre, seguite da un
peggioramento del 6% a dicembre.
La General Motors ha speso 300 milioni di dollari per costruire il nuovo impianto nella città di San
Pietroburgo ed ha iniziato la produzione lì a novembre, con una capacità annuale di 70.000
automobili. Lepnukhov ha affermato che la General Motors stava seguendo i suoi piani di
aumentare la capacità a 100.000 automobili entro il 2012.
Gli analisti hanno previsto quest’anno i peggioramenti delle vendite auto tra il 19% e il 50% nel
mercato russo.
L’industria automobilistica fa fronte ad un futuro incerto dato che le condizioni del credito e
l’incertezza riguardo il peggioramento dei consumi paralizza le vendite. Tutte le principali case
automobilistiche hanno registrato alla fine di quest’anno peggioramenti a due cifre per le vendite
auto americane.
La General Motors, rivale della Ford Motor Company, ha riavviato le sue linee di produzione russe
la scorsa settimana dopo la sospensione di un mese, causata da una domanda debole.
La General Motors, la Ford e la Chrysler – nota come le Tre di Detroit – sono state tutte
negativamente colpite dalla crisi, e si sono rivolte lo scorso anno a Washington per i fondi di
salvataggio.
(Informazione di Anton Doroshev, scritto da Simon Shuster, redatto da Andrew Macdonald).
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