rassegna stampa internazionale - Filtea
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Dipartimento Internazionale http://www.cgil.it/internazionale/ RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE 26 - 30 gennaio 2009 A cura di Maria Teresa Polico Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale DIPARTIMENTO INTERNAZIONALE CGIL RASSEGNA STAMPA INTERNAZIONALE 26 - 30 gennaio 2009 INDICE ARGOMENTO Unione europea TESTATA I sindacati europei chiedono un piano di incentivi I lavoratori in congedo per malattia mantengono il loro diritto alle ferie Labour Start Sunday Business Post Francia L’Eliseo vuole “rispondere alla crisi” dopo le manifestazioni Il potere politico teme un grande movimento sociale Le Monde Le Monde Germania Migliaia destinati a perdere i loro posti di lavoro quest’anno The Local Italia I lavoratori dell’auto in Italia protestano per il piano di aiuti Financial Times Economia Il mondo avvertito della minaccia di “crisi alimentare” Financial Times Forum Sociale Mondiale No all’economia casinò! CIS Africa Il capo del partito rivale dichiara che la “luna di miele con l’ANC” è finita Financial Times Asia Un anno severo, l’anno del bue Stati Uniti Il sindacato lassù Russia La General Motors riduce drasticamente la settimana lavorativa a causa della crisi 2 International Herald Tribune Los Angeles Times Reuters Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Labour Start 28/01/09 I sindacati europei chiedono un piano di incentivi Associated Press I sindacati chiedono un piano di incentivi economici per l’Europa simile a quello proposto dagli Stati Uniti. John Monks, segretario generale della Confederazione Europea dei Sindacati, afferma che la crisi ha bisogno di una risposta concertata uguale a quella proposta dal presidente Barack Obama. Il piano di Obama per il rilancio dell’economia mette assieme tagli fiscali e spesa nella speranza di stimolare l’economia americana. Gran parte della spesa sarà su temi come l’assistenza sanitaria, i benefit per i senza lavoro e gli aiuti alimentari alle famiglie indigenti. Monks ha presentato le sue osservazioni mercoledì in un incontro con il ministro della Repubblica Ceca Mirek Topolanek, il cui paese occupa la presidenza di turno dell’Unione europea. Il blocco di 27 stati membri afferma che quest’anno scompariranno 3.5 milioni di posti di lavoro. Torna all’indice 3 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Sunday Business Post On Line 25/01/09 I lavoratori in congedo per malattia mantengono il loro diritto alle ferie Di Kieron Wood La Corte Europea di Giustizia ha decretato che i lavoratori in congedo per malattia conservano il diritto alle ferie annuali o saranno pagati con un compenso. La corte ha espresso il giudizio in due casi collegati, nel caso della Stringer contro la British Revenue and Customs, e la Schultz Hoff contro la Deutsche Rentenversicherung Bund. La Camera dei Lords e la Dusseldorf Landesarbeitsgericht hanno chiesto alla Corte europea di interpretare il diritto alla paga del congedo annuale per ferie secondo la direttiva europea sui tempi del lavoro. Nel caso inglese, la camera dei Lords ha esaminato la rivendicazione di una donna che voleva ricevere la paga per congedo annuale per ferie durante un periodo indefinito di congedo per malattia. Nel caso tedesco, i lavoratori non potevano ricevere la paga del congedo annuale per ferie a causa dell’inidoneità che lo obbligava ad andare in pensione. Secondo la legge tedesca, il diritto a pagare il congedo annuale per ferie è estinto alla fine dell’anno se non è stato usufruito, e non è pagabile alcuna compensazione. La Corte, nel suo giudizio, ha affermato che il diritto al congedo per malattia e alle condizioni per esercitarlo, non è governato dalla legge europea. Gli stati membri hanno il diritto di specificare le circostanze nelle quali i lavoratori hanno esercitato il diritto al congedo annuale per ferie, ma che non possono far dipendere questo diritto a delle precondizioni. La corte ha affermato che, in quanto norma, il diritto alla paga del congedo annuale per ferie contemplato nella direttiva sui tempi del lavoro non vieta ai datori di lavoro di autorizzare la paga per il congedo annuale mentre un lavoratore era in congedo per malattia. Se tale congedo era permesso, al lavoratore deve essere consentito a ricevere il congedo in un altro momento. La corte ha affermato che i lavoratori con congedo per malattia hanno il diritto alle ferie annuali anche se non hanno lavorato durante l’anno del congedo. Uno stato membro potrebbe soltanto accantonare il diritto alla paga del congedo annuale per ferie alla fine dell’anno del congedo stesso, se il lavoratore avesse realmente avuto l’opportunità di esercitare il suo diritto alle ferie. Laddove un lavoratore in pensione non sia stato in grado di prendere le ferie annuali perché era in congedo per malattia, il diritto alla paga del congedo annuale per ferie potrebbe non essere estinto alla fine dell’anno del congedo. Se la compensazione fosse pagata ad un impiegato malato che è stato obbligato ad andare in pensione, l’ammontare deve basarsi sul salario normale del lavoratore. La decisione della corte si applica a tutti gli stati membri dell’Unione europea, inclusa l’Irlanda. Torna all’indice 4 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Le Monde 30/01/09 L’Eliseo vuole “rispondere alla crisi” dopo le manifestazioni Migliaia di manifestanti radunati in piazza della Bastiglia a Parigi, il 29 gennaio Nicolas Sarkozy, giovedì 29 gennaio, alla fine di una giornata di sciopero e di massicce manifestazioni, ha confermato la sua volontà di mantenere il dialogo con i sindacati ma senza la minima concessione alle loro rivendicazioni. Il capo dello stato, che ha trascorso la giornata al Palais de l’Elysée, dove è passato da una riunione all’altra, ritiene che se il movimento ha radunato 2 milioni e 500 persone in tutta la Francia, il movimento rimane troppo diverso per gettarsi su una crisi di grande ampiezza. In un comunicato pubblicato all’inizio della serata, ha riaffermato che la crisi economica suscita una “legittima inquietudine” e impone ai poteri pubblici un “dovere di ascolto” e di “dialogo” ma ugualmente “una grande determinazione ad agire”. Ha dichiarato anche che incontrerà a febbraio le parti sociali “al fine di accordarsi sulle riforme da fare nel 2009 e sui metodi per gestirle bene”. Questa riunione sull’agenda sociale “era prevista, ed è semplicemente confermata”, verterà essenzialmente sul lavoro e l’occupazione “e forse sulla protezione sociale”, precisa la cerchia di persone del capo dello stato. Per il resto, il messaggio rimane lo stesso: fuori discussione una pausa delle riforme, né di mettere in cantiere un nuovo piano di rilancio mentre questo che è stato presentato il 4 dicembre 2008 è in vigore solo parzialmente. Lungi dall’avere un tono provocatore adottato sei mesi fa, affermando davanti alla UMP che “oramai, quando c’è uno sciopero, nessuno se ne accorge”, Nicolas Sarkozy si è astenuto dal commentare la partecipazione alla giornata di scioperi e di manifestazioni di giovedì. Uno dei consiglieri sottolinea che il presidente della repubblica intende “rispondere alla crisi” e non alla mobilitazione della strada ed è fuori discussione che ci si allontani dalla rotta fissata. Il segretario generale della CGT, Bernard Thibault, ha messo in guardia il capo dello stato contro il moltiplicarsi di incontri con i sindacati senza risultati.”Se si tratta, come credo di capire, di discutere dell’agenda delle riforme della Repubblica e dei suoi territori, noi saremo ampiamente in contrasto con quanto presenta questa giornata e la discussione non andrà molto lontana”, ha avvertito su France 2. “Non è la quantità di incontri che contano ma il risultato”, ha affermato, sottolineando la presenza nei cortei sindacali di lavoratori del settore privato, e di “piccoli artigiani, patrons o commercianti”. Martine Aubry, primo segretario del PS, ha “sperato” su France 2 che Nicolas Sarkozy “andrà più lontano” e “terrà conto dell’enorme manifestazione” di giovedì. I sindacati si incontreranno lunedì per decidere il seguito da dare alla giornata di giovedì. Ma questi prolungamenti sono quanto mai ipotetici, tanto profonde sono le divisioni sindacali nonostante l’unità espressa questo 29 gennaio. Torna all’indice 5 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Le Monde 27/01/09 Il potere politico teme un grande movimento sociale Che cosa fare di fronte all’aumento ineluttabile della disoccupazione e della disperazione che è in nuce? Come evitare che il deterioramento del clima sociale non si trasformi, in occasione di una scivolata o di un duro conflitto locale, in una di queste esplosioni di cui la Francia ha il segreto? In un paese che sprofonda nella recessione, queste questioni tormentano i responsabili politici ai livelli più alti dello stato, nella maggioranza come all’opposizione. La giornata di azione unitaria di giovedì 29 gennaio, che si annuncia molto partecipativa, beneficia, secondo due sondaggi pubblicati domenica 25 dell’appoggio di circa i tre quarti dei francesi. A distanza di qualche giorno dalla sua organizzazione, gli scioperi nella fabbrica della Renault di Sandouville all’annuncio del prolungamento dello sciopero parziale, le parole d’ordine dello sciopero nelle università, le tensioni che sussistono in certi licei, nell’amministrazione e nel mondo ospedaliero hanno rilanciato i timori per una possibile unione dei malcontenti. “Sento una violenza che sta per nascere. Nelle scuole, ad esempio, la mobilitazione è molto forte”, svela Philipèpe Cochet, deputato UMP della zona del Rodano. All’inizio di gennaio, gli eletti della maggioranza avevano messo in guardia Nicolas Sarkozy sui rischi di “un grande movimento sociale” e di uno spostamento dell’opinione pubblica sul piano del rilancio. “Le persone hanno l’impressione che il danaro pubblico sia distribuito ai banchieri e che non sia stato fatto niente per loro. Approvano coloro che scendono in strada”, avevano espresso. La recessione ha ben colpito in modo diseguale territori e imprese, la ripresa non è rassicurante. Il calo dei lavori temporanei, l’aumento della disoccupazione parziale, la moltiplicazione dei piani di partenza volontaria hanno certamente permesso fino a questo momento di “estendere gli effetti devastanti della crisi”, analizza Martin Richer, direttore generale della società Secafi (Gruppo Alpha), specializzato nella consulenza dei comitati di impresa. “Ma se la situazione nel settore automobilistico doveva prefigurare quello che accadrà in cinque o sei anni in altri settori, la crisi assumerà un’altra dimensione”, ha affermato. Nelle regioni industriali, i sindacalisti descrivevano l’ansietà dei lavoratori “KO in piedi”. “Alla fine del 2008, 134 imprese avevano chiesto di fare uno sciopero parziale e 15.000 lavoratori hanno dovuto fermarsi per tre settimane durante le feste. Non si era mai visto questo”, ha affermato Alain Gatti dell’Unione regionale interprofessionale della CFDT in Lorena. Il suo omologo dei Paesi della Loira, Laurent Berger, constata la moltiplicazione dei piani sociali: “A novembre e a dicembre, le imprese della regione hanno ringraziato 8000 lavoratori temporanei, ma finiti i contratti a tempo determinato, hanno chiesto ai lavoratori di prendere giorni per ridurre i tempi di lavoro o la disoccupazione parziale. Ma, dopo gennaio, picchia duro”. E di pulire la lista dei posti di lavoro soppressi in una settimana: 120 in due imprese immobiliari che danno lavoro ad un totale di 200 persone, 200 posti di lavoro su 1200 in un gruppo svedese, e svariate decine di migliaia di lavoratori senza lavoro a causa della disoccupazione tecnica. La crisi si generalizza: automobile, trasporto, navigazione da diporto, cantieri navali, servizi informatici, il settore delle pulizie. “La situazione, ansiogena, creata dal fatalismo e dalla collera presso i lavoratori che hanno il sentimento di dover pagare gli errori del capitalismo finanziario”, osserva il sindacalista. Nelle imprese in difficoltà, vi è il timore che la disoccupazione si diffondi. In quelle che vanno meglio, le trattative sui salari si annunciano tese. “Il malcontento è più forte nei gruppi che non 6 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale vanno poi così male, laddove le politiche salariali sono giudicate insufficienti”, assicura il segretario generale metalmeccanico della CFDT, Dominique Gilliez. Una complessa situazione sociale, le previsioni accennate. “ C’è il ritorno di molta rabbia, ma non sempre si traduce in lotta", ha detto Nadine Prigent, segretario generale della categoria della salute della CGT. "La crisi amplifica l’incertezza, aumentando la rabbia che bolle ", spiega Marcel Grignard, segretario nazionale della CFDT, che raccoglie fra alcuni il desiderio di lottare. Direttore di Studi aziendali e sul personale, un'associazione per lo sviluppo delle risorse umane, Jean-Pierre Basilien crede più alla possibilità di duri conflitti locali, dove l'occupazione è distrutta, che a quella di un movimento più globale. "Il governo appare pronto a disinnescare eventuali tensioni con la gioventù, che potrebbe portare a grandi mobilitazioni, ha detto. La lunghezza e la profondità della recessione sono incognite che influenzano il clima sociale. Raymond Soubie, consigliere di Nicolas Sarkozy per le questioni sociali, non constata per ora, "l’aumento della febbre alta." Ma attenzione, egli aggiunge, il clima sociale è una scienza inesatta". Rémi Barroux, Claire e Sophie Guélaud Landrin Torna all’indice 7 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale The Local 24/01/09 Migliaia destinati a perdere i loro posti di lavoro quest’anno On line: http://www.thelocal.de/money Il ministro del lavoro Olaf Scholz ha affermato sabato di aspettarsi che quest’anno le imprese correranno per ridurre le ore lavorative e faranno un grande salto nella disoccupazione mentre la Germania scivolerà più a fondo nella recessione. In un’intervista con il quotidiano Die Welt, Scholz ha affermato che centinaia di migliaia di lavoratori stavano già lavorando ore in meno mentre l’economia tedesca orientata alle esportazioni entrava in crisi, e ha avvisato che il numero potrebbe aumentare. “Mi aspetto quest’anno una media di circa 250.000 lavoratori a metà tempo, sebbene molti di questi lavoreranno per un periodo limitato di tempo”, ha affermato Scholz. Il ministro ha affermato che le imprese stanno introducendo la riduzione delle ore lavorative in tutti i settori ma ha aggiunto che il lavoro collegato all’industria dell’auto è stato il più colpito. “La cosa importante è che siamo pronti alla corsa delle imprese che avranno lavoratori a metà tempo”, ha affermato, aggiungendo che l’approvazione della nuova legge lo scorso anno ha significato che il governo aiuterà i lavoratori colpiti per 18 mesi invece di quelli colpiti per sei mesi come avveniva precedentemente. Il gigante dell’ingegneria, Simens, è diventato l’ultima impresa ad aver ammesso che stava programmando l’introduzione delle ore lavorative in meno in tre impianti della Germania. Molte case automobilistiche hanno già reso inattivi i loro impianti per alcune settimane e chiesto ai loro lavoratori di restare a casa mentre la domanda globale dei prodotti tedeschi diminuisce. Scholz ha affermato di aspettarsi un grosso aumento della disoccupazione, dicendo di temere che la Germania possa vedere ancora 250.000 persone fuori dal lavoro quest’anno. Ma si è rifiutato di dire se crede che i senza lavoro supereranno i quattro milioni. “Nessuno possiede una calcolatrice con la quale può seriamente calcolare un simile dato”, ha affermato. Torna all’indice 8 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Financial Times 29/01/09 I lavoratori dell’auto in Italia protestano per il piano di aiuti Di Guy Dinmore da Roma e Vincent Boland da Milano I dirigenti sindacali in Italia e i lavoratori dell’auto hanno protestato ieri contro quello che temono sarà un aiuto insufficiente dello stato all’industria dell’auto, paragonata ai prestiti e agli incentivi erogati da altri governi per salvare i concorrenti europei e americani. Anche i datori di lavoro sono rimasti delusi con la proposta del governo di centro destra di Silvio Berlusconi di dare un bonus di 1.500 euro agli acquirenti di automobili vecchie per lo meno di 10 anni per modelli nuovi e più economici. Il piano potrebbe costare 300 milioni di euro. A Roma, i dirigenti sindacali e gli industriali dovevano incontrare la scorsa notte i ministri per colloqui riguardo il piano di salvataggio. Fonti provenienti dall’industria hanno affermato che i dirigenti della Fiat che hanno incontrato i ministri martedì sono rimasti sbigottiti dallo schema proposto, che non ha incluso prestiti o concessioni. Il governo italiano e l’industria dell’auto avevano insistito per una soluzione paneuropea proveniente da Bruxelles. La risposta degli stati membri dell’Unione europea, che ha seguito i modelli di salvataggio bancari, ha mostrato la debolezza delle finanze italiane e la riluttanza del governo ad intervenire. Giulio Tremonti, ministro delle finanze, si trova sotto una forte pressione da parte di alcuni membri del governo per spendere di più. E’ probabile che non vi sarà una decisione finale per parecchi giorni. I lavoratori del principale impianto Mirafiori della Fiat a Torino hanno organizzato ieri uno sciopero di due ore contro gli esuberi e il rischio di chiusura. La maggior parte dei 50.000 lavoratori della Fiat è stata obbligata ad andare in cassa integrazione con una paga ridotta per settime o per mesi. I lavoratori sono andati a Roma per protestare all’esterno dell’ufficio del primo ministro. “Il governo sta lasciando i lavoratori italiani da soli alla mercé di questa crisi”, ha affermato Giorgio Airaudi, dirigente del sindacato dei metalmeccanici a Torino, che ha condannato il “piccolo cambiamento” offerto da Tremonti. Torna all’indice 9 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Financial Times 25/01/09 Il mondo avvertito della minaccia di “crisi alimentare” Di Javier Blas da Londra Secondo un rapporto autorevole reso noto lunedì, il mondo farà fronte ad un “reale rischio di crisi alimentare” se i governi non prenderanno un’azione immediata per affrontare l’impatto del cambiamento climatico e della scarsità d’acqua nel settore agricolo. Chatham House, un gruppo di ricerca situato a Londra, suggerisce che il recente crollo dei prezzi dei prodotti alimentari è soltanto un temporaneo rinvio e che i prezzi sono destinati a riprendere il loro orientamento una volta che il mondo uscirà dall’attuale crisi. Nel rapporto si dichiara che: ”Esiste tuttavia il rischio reale di una “crisi alimentare” in un certo momento in futuro, che ricadrà in modo particolarmente forte sui paesi che dipendono dall’importazione e sulla povera gente ovunque”. Si aggiunge: “I prezzi dei prodotti alimentari sono pronti ad aumentare ancora”. L’avvertimento è stato fatto mentre i ministri dell’agricoltura e i funzionari delle Nazioni Unite si riuniscono a Madrid a partire da lunedì per un incontro delle Nazioni Unite sulla sicurezza alimentare probabilmente per concludere che la crisi alimentare dello scorso anno, con circa 1 miliardo di persone affamate, è ben lontana dall’essere finita. Secondo le informazioni dei tre funzionari prima dell’incontro, le Nazioni Unite avvertiranno i ministri a Madrid che “mentre la crisi finanziaria globale aumenta, la fame è probabile che aumenti” sotto l’impatto di un aumento della disoccupazione e di rimesse più basse. I prezzi dei prodotti agricoli come il riso e la farina sono saliti ad un livello alto lo scorso anno, provocando rivolte alimentari che si sono stese da Haiti, al Bangladesh e Camerun e sollecitando appelli in favore di aiuti alimentari per oltre 30 paesi nell’Africa sub sahariana. Il costo dei prodotti alimentari era caduto da allora, ma Alex Evans, autore del rapporto del Chatam House ed esperto all’Università di New York, ha affermato che “persino a livelli ridotti dei loro prezzi attuali rimangono fortemente preoccupanti per i paesi a basso reddito dipendenti dalle importazioni e per la povera gente in tutto il mondo”. Josette Sheeran, responsabile del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, ha affermato di aspettarsi che quest’anno sarà quanto meno “avverso” come lo scorso anno, quando il numero dei malnutriti passò da 40 milioni a 963 milioni di persone. “Non stiamo assistendo ad un’attenuazione della pressione della fame”, ha affermato al Financial Times. Inoltre, i prezzi dei prodotti agricoli hanno recuperato negli ultimi due mesi grazie alle piantagioni invernali più basse negli Stati Uniti e in Europa e ad una grave siccità in Brasile e in Argentina, due dei più grandi produttori di prodotti alimentari. Da dicembre, i prezzi della farina sono aumentati del 15%, il grano del 17% e i semi di soya del 22%. In contrasto con altri materiali grezzi come il petrolio o l’alluminio che sono ritornati ai livelli del 2002 – 2005, i prodotti agricoli si stanno vendendo di più di quanto non lo fossero 12 o 18 mesi fa. Nel medio termine, il rapporto dichiara che “i cicli di scarsità delle risorse di lungo termine, specialmente con il cambiamento climatico, la sicurezza energetica e il crollo della disponibilità idrica”, eserciteranno una pressione sui prezzi e sulla produzione, assieme alla “concorrenza per la 10 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale terra e ad una domanda più alta che deriva da un’affluenza in aumento e da una crescita della popolazione”. Il rapporto raccomanda i governi di investire di più nella produzione agricola e di aumentare anche l’aiuto internazionale in questo settore. Secondo un progetto di documento dell’Unione europea, scrive Joshua Chaffin a Bruxelles, fermare il riscaldamento globale richiederà ulteriori 175 miliardi di euro in investimenti annuali entro il 2020. Il documento, che dice che molto dell’investimento dei 175 miliardi di euro dovrà essere originato dal mondo sviluppato, prevede anche che sarà necessaria una spesa di decine di miliardi di euro per aiutare i paesi poverissimi a prepararsi ad un riscaldamento persino moderato. Alcuni modi che l’Unione europea propone per raccogliere questi fondi, includono la richiesta ai paesi sviluppati di pagare le loro emissioni di carbonio annuale, stabilendo imposizioni fiscali sul trasporto aereo e marittimo. L’Unione europea dovrebbe anche espandere le sue emissioni del sistema commerciale nel mercato del carbonio globale ed esplorare l’istituzione di un consorzio di assicurazioni multilaterali che aiuti a trattare i disastri naturali che derivano dal riscaldamento globale. Il documento globale, che sarà rilasciato mercoledì dalla Commissione europea, dall’organismo esecutivo dell’Unione europea, espone la posizione del blocco prima dei negoziati a Copenhagen di questo dicembre finalizzata a creare un accordo globale per contrastare il cambiamento climatico. La Commissione ha rifiutato di commentare il progetto di documento, e le persone che hanno partecipato ai negoziati hanno affermato che il documento è ancora in discussione. L’Unione europea ha approvato un piano a dicembre di riduzione entro il 2020 delle emissioni di gas serra dei 27 paesi del blocco del 20%, dai livelli del 1990. Gli stati membri ed altri paesi sviluppati sono invitati ad aumentare quel dato del 30%. Torna all’indice 11 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Dichiarazione della Confederazione Internazionale dei Sindacati al Forum Sociale Mondiale Belém do Para, Brasile, 27 gennaio – 1 febbraio 2009 No all’economia casinò! La crescente insicurezza per le condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori e di lavoratrici nel mondo è una delle cause principali della crisi che attualmente affrontiamo. La crisi che noi viviamo riguarda innanzitutto la distribuzione ingiusta della ricchezza che ha distorto l’economia mondiale. La crisi finanziaria, che è il risultato di un lungo processo della finanziarizzazione dell’economia, ha ulteriormente aggravato i problemi esistenti dell’economia, sia al Nord e sia al Sud. I paesi in via di sviluppo hanno un’enorme mancanza di posti di lavoro dignitosi che la loro crescita economica non ha generato. Questa crisi di posti di lavoro dignitosi è accompagnata da un caro vita e dagli effetti della crisi alimentare mondiale. Questo sta conducendo a situazioni di povertà endemica. I paesi industrializzati non ne sono immuni. Anzi il numero dei lavoratori poveri è esploso negli Stati Uniti durante gli otto anni di amministrazione Bush. In Europa la moderazione salariale – nonostante l’aumento dell’inflazione e della produttività – ha ridotto il potere di acquisto. Quasi tutti i paesi conoscono un’insicurezza crescente delle condizioni di lavoro, con un’informalizzazione delle relazioni di lavoro e una deregolamentazione del mercato dell’occupazione. La crisi che noi affrontiamo è certamente e innanzitutto una crisi delle disuguaglianze diventate insostenibili non soltanto dal punto di vista sociale ma anche dal punto di vista economico. Le politiche neo-liberali di questi ultimi vent’anni hanno raggiunto il loro limite, in quanto, per le ragioni summenzionate, i lavoratori impoveritisi non consumano più abbastanza da far girare l’economia. Gli Stati Uniti sono i primi consumatori al mondo e la riduzione del potere d’acquisto reale della sua classe media ha ripercussioni che vanno bel oltre le sue frontiere. L’alto livello di consumo negli Stati Uniti è stato sostenuto non dai salari ma dal credito, dall’indebitamento delle famiglie e dei lavoratori americani che spendono oltre le loro possibilità. La facilità con cui hanno ottenuto i crediti, specialmente le famiglie più povere attraverso i subprimes, faceva affidamento sul prezzo delle case, che è stato gonfiato artificialmente da una bolla speculativa. I prodotti finanziari complessi sono stati creati per sbarazzarsi di questi “titoli velenosi” sul mercato finanziario. La corsa sfrenata al profitto nel breve termine, in un contesto di liberalizzazione economica e finanziaria senza fede e né legge, caratterizza i mercati finanziari di oggi. Il capitalismo casinò è largamente responsabile dell’estensione della crisi all’intero pianeta. I mercati finanziari sono diventati una fonte di danaro facile e non compiono più il loro compito principale di finanziare l’economia reale. Durante gli ultimi dieci anni, la speculazione sui mercati finanziari ha offerto più opportunità al profitto di breve termine rispetto a quante ne abbia fornito ai prestiti per le imprese che desideravano innovare, ottenere nuovi mercati o creare posti di lavoro dignitosi. Come risultato, il futuro dei lavoratori è stato sacrificato per alimentare i conti delle banche all’estero di certi speculatori senza scrupolo. I governi e le istituzioni hanno chiuso i loro occhi, adottando il principio del “laissez faire” nel suo senso letterale e, per questo, sono complici. L’altro aspetto importante di questa crisi risiede nell’eccesiva apertura dei mercati e al non intervento degli stati. Come esempio, la Cina è riuscita ad accumulare enormi riserve che le consentono di finanziare il debito americano. I lavoratori cinesi, ai quali non è consentita la libertà di organizzare sindacati per difendere i loro interessi collettivi, hanno visto aumentare la loro produttività in modo vertiginoso nel corso degli ultimi 20 anni. Lavorano su macchinari del 21° 12 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale secolo ma hanno salari del 19° secolo! Questa globalizzazione ha contrapposto i lavoratori del nord contro quelli del sud per il solo interesse delle multinazionali e dei fondi d’investimento privati i cui profitti sono aumentati in continuazione. Sono apparsi squilibri enormi tra il settore finanziario e l’economia reale, tra i paesi ricchi e i paesi poveri, tra i dirigenti super pagati e i lavoratori sottopagati. Le disuguaglianze tra gli uomini e le donne rimangono considerevoli. E le politiche di repressione e di discriminazione contro i sindacalisti, che hanno contribuito alla concentrazione della ricchezza, hanno ridotto come conseguenza diretta il potere d’acquisto dei lavoratori paragonati a quelli dei loro datori di lavoro. Se la crisi attuale è finanziaria, economica e sociale, essa ha anche una dimensione ambientale. E’ diventato chiaro che le risorse del nostro pianeta non riusciranno a sostenere un modello di consumo dei paesi industrializzati che si estende a 6 miliardi di persone. A questo si accompagnano gli effetti del cambiamento climatico, che ci sta obbligando a prendere misure collettive per ridurre i gas a effetto serra. Su questo punto ci sono disuguaglianze evidenti, in quanto i poveri stanno soffrendo maggiormente dell’impatto negativo del cambiamento climatico. Le misure prese non devono soltanto essere efficaci sul piano ambientale ma devono essere anche socialmente giuste. Quale modello possiamo proporre per uscire da questa crisi multidimensionale? Questa crisi è la prova del carattere insostenibile delle politiche neo-liberali che sono state adottate negli ultimi dieci anni, che hanno promosso la deregolamentazione e la liberalizzazione dei mercati e la privatizzazione dei servizi pubblici. Questo fondamentalismo di mercato ha concentrato le ricchezze mentre non ha tenuto in nessun conto i beni pubblici mondiali come l’ambiente, la sanità, la protezione sociale, la sicurezza alimentare o ancora la stabilità finanziaria mondiale. I piani attuali per la ripresa sono necessari, ma insufficienti. Non è sufficiente immettere danaro nell’economia, noi abbiamo bisogno di cambiare i suoi principi per essere sicuri che essa porti giustizia sociale, sviluppo per tutti, uguaglianza, stabilità e prosperità di lungo termine. Il mondo di domani non avrà più una singola superpotenza ma sarà un mondo multipolare, mentre il processo di integrazione regionale continuerà ad aumentare. Il multilateralismo deve essere protetto all’interno di questo mondo multipolare, che altrimenti corre il rischio di aumentare la povertà e di creare disuguaglianze più profonde tra i paesi. Ma è arrivato il momento per questo multilateralismo di aprirsi alle questioni sociali. I sindacati e l’intera società civile devono insistere sul fatto che le questioni collegate all’occupazione siano poste al centro del nuovo sistema di governance economica globale che ancora ha bisogno di essere costruita. Su questo punto l’OIL svolge un ruolo essenziale. Dentro questo mondo multipolare, lo stato deve riprendere il suo giusto posto e fare la sua parte per assicurare che sia creato un nuovo sistema economico responsabile dell’ambiente. L’intervento pubblico è l’unica garanzia di coesione sociale. Tuttavia, la corruzione di certi organismi pubblici deve essere penalizzata e contrastata da gruppi organizzati che includono i sindacati. Le banche centrali devono diventare responsabili e cessare di conformarsi alle richieste delle potenti lobby finanziarie. Rafforzare e estendere i sistemi di protezione sociale pubblica è un’urgenza. Creare un Fondo Globale per la Protezione Sociale che aiuti i paesi poverissimi è essenziale. Aumentare i livelli e la qualità degli aiuti statali ai paesi in via di sviluppo è essenziale. Creare transazioni socialmente giuste verso modi di produzione sostenibili sul piano ambientale è importante. Fissare regole giuste in materia di commercio internazionale a sostegno dei piani di sviluppo nazionale e impedire l’aggravarsi delle disuguaglianze, è fondamentale. La priorità deve essere data ai salari minimi dignitosi e ai salari reali in linea con i guadagni di produttività. Rispettare, infine, il diritto dei lavoratori a formare sindacati liberi e alla contrattazione collettiva della ridistribuzione dei profitti, è una richiesta fondamentale. 13 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Le relazioni tra i paesi industriali, i paesi emergenti e in via di sviluppo devono essere stabilite su nuove basi. L’attuale sistema economico e finanziario globale non serve gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici dei paesi in via di sviluppo. La restituzione del debito estero sta strangolando i paesi poverissimi. Le condizioni alle quali possono ricevere il prestito sono ingiuste, finché saranno fatte per sopportare tutti i rischi della fluttuazione. Il sistema attuale permette ai paesi avanzati di seguire politiche monetarie e fiscali che impongono politiche pro cicliche ai paesi in via di sviluppo. Questo significa che le istituzioni finanziarie internazionali (IFI) sono parzialmente responsabili delle conseguenze sociali disastrose in questi paesi, ma anche dell’instabilità finanziaria globale. Bisogna mettere fine alle condizionalità economiche e finanziarie imposte dal FMI la cui governance deve essere giusta. E’ giunto il momento di costruire una nuova architettura economica e finanziaria globale. Tuttavia, nessuna delle esistenti istituzioni ha la legittimità o la credibilità per adempiere a questo compito con successo. La regolamentazione dei mercati finanziari è una necessità urgente. La speculazione deve essere limitata e i mercati devono concentrarsi sul finanziamento dell’economia reale. In modo particolare, deve essere vietata la speculazione sui mercati delle materie prime. I mercati dei prodotti derivati devono essere posti sotto il controllo delle autorità pubbliche. I centri finanziari “offshore” e altri paradisi fiscali devono essere chiusi. La tassazione delle transazioni finanziarie possono fornire nuovi fondi per aiutare a ridurre le disuguaglianze. I salari osceni dei dirigenti, dei banchieri e di altri intermediari finanziari devono essere regolamentati. Nella necessaria riforma del settore finanziario, la priorità deve essere data all’economia sociale incoraggiando cooperative, agenzie di micro-credito, presenti nei paesi in via di sviluppo. Il nuovo sistema economico dovrà generare una crescita verde [ green growth]. Oltre all’urgenza di agire per garantire la sopravvivenza del nostro pianeta, la tutela dell’ambiente offre opportunità enormi per la creazione di posti di lavoro. Gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, i trasporti collettivi e le energie rinnovabili sono necessari ovunque nel mondo. Deve essere sostenuta la crescita economica attraverso investimenti ecologicamente responsabili. In conclusione E’ il momento di costruire un sistema economico, sostenibile sul piano ambientale, giusto su quello sociale ed equilibrato su quello geopolitico. Questo modello dovrà tenere conto delle aspirazioni dei popoli e delle proposte del movimento sindacale e degli altri attori della società civile. A partire da oggi, la crescita economica dovrà creare posti di lavoro dignitosi, tutelare l’ambiente e i suoi frutti dovranno essere ridistribuiti per ridurre il livello di disuguaglianze senza precedenti che affrontiamo oggi. Torna all’indice 14 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Financial Times 30/01/09 Il capo del partito rivale dichiara che la “luna di miele con l’ANC” è finita Il leader del partito secessionista dice che la decisione dell’African National Congress sta minando la costituzione del Sud Africa e mettendo a rischio la sua giovane democrazia. Mosiuoa Lekota, “Terror”, ex ministro della difesa che ha lasciato l’ANC lo scorso anno per formare il Congresso del popolo, ritiene che il partito di governo – che vincerà le prossime elezioni generali – userà il comando della sua influenza politica per salvare Jacob Zuma, il suo candidato presidenziale, dal processo per accuse di corruzione. Lekota ha riferito al Financial Times che una “soluzione politica” ai problemi legali di Zuma – come dare l’immunità ad un presidente in servizio – è ancora sulle carte, nonostante le smentite dell’ANC. “Non si hanno garanzie che dopo le elezioni non facciano questo”, afferma. “E posso dire che Zuma non vuole andare in prigione e così faranno questa cosa”. Zuma fa fronte ad accuse di frode, di corruzione, di racket e di riciclaggio di danaro, derivanti dalla sua partecipazione alla vendita multimiliardaria di armi che risale agli anni ’90. Lekota, il cui soprannome proviene dalla sua abilità di attaccante nel calcio per adolescenti piuttosto di qualcosa di più sinistro, sostiene di muoversi per proteggere Zuma da un ampio modello di interferenza politica, che comprende la politicizzazione del servizio civile e di muoversi per consentire ai membri delle forze di polizia di unirsi ai sindacati affiliati dell’ANC. "Dobbiamo fare in modo che le forze di sicurezza siano neutrali e fedeli alla Costituzione, e depoliticizzare i servizi pubblici. Se si perde questo, il Sud Africa imboccherà la strada dello Zimbabwe ", dice Lekota, che era il più anziano leader ANC per difetto dopo Thabo Mbeki mandato via come presidente in settembre. La formazione del nuovo partito, meglio conosciuto con il suo acronimo Cope, cristallizza il più grande scisma all'interno dell’ ANC in 50 anni e significa che le prossime elezioni, entro la metà del 2009, saranno le più competitive dopo la fine dell’apartheid. Lekota, che è stato presidente dell’ANC fino al 2007, è stato visto come uno stretto alleato dell’ex leader del paese. Ma dice 'Terror Lekota descrive Thabo Mbeki e Jacob Zuma 'come la lingua e la saliva' che sia l'ex presidente e sia Zuma, condividono uno stile autoritario, che riflette la comune esperienza di esilio. Spiega che prima delle dimissioni di Zuma come vice-presidente nel 2005, gli uomini erano strettamente alleati. "Thabo [Mbeki] e Zuma sono stati lingua e saliva", egli spiega. "Tutto ciò che hanno fatto, lo hanno fatto insieme. Non sembra che gli piaccia il dibattito. Non ho trovato [il loro stile] appropriato. I compagni che erano in esilio, hanno assunto un approccio quasi militarista. Il loro approccio è stato quello di persone che vogliono essere fedeli a loro tutto il tempo. Quando abbiamo criticato alcune cose, siamo stati considerati quasi come una sfida alla loro autorità. " 15 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Lekota difende il governo Mbeki, molto criticato per la politica contro l'HIV / AIDS. L'ex presidente dubita che vi sia un legame tra il virus e la malattia. Ma Lekota dice: "Voi dovete separare ciò che stavamo facendo da ciò che il Presidente stava affermando." Tuttavia, egli ritiene che il governo Mbeki sia stato "morbido" nei suoi rapporti con Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, quando"avremmo potuto prendere una posizione molto solida". Lekota traccia un aumento della corruzione che ricorda il primo mandato del Presidente Mbeki alla fine degli anni 1990, quando "abbiamo individuato una crescente tendenza verso il carrierismo... La corruzione è stata strisciante nelle fila". Questi mali più tardi hanno segnato il passo. Dopo che i sostenitori di Zuma garantirono il controllo dell’ANC, alla fine del 2007, "c’è stata solo confusione. Hanno attaccato la magistratura e la Procura nazionale. Gli Scorpions [l'organismo investigativo per la criminalità organizzata e la corruzione] sono sotto attacco. Ci si è dovuti confrontare con la realtà che la nostra democrazia in quanto tale era in pericolo. " Gli oppositori di Cope sostengono che il partito chiede più trasparenza e un governo responsabile, dato che tutte le sue alte personalità hanno lavorato sotto il mandato di Mbeki. Il nuovo partito deve affrontare un compito in salita per conquistare l’elettorato dei neri più poveri attratti dalle promesse dell’ANC di nuovi posti di lavoro e indennità sociali. Ma Lekota dice. "Noi vogliamo trasformare il Sud Africa in una nazione unita e disciplinata di uomini e donne che lavorano duro... Non vogliamo coltivare una nazione di persone sedute in attesa di sovvenzioni." L'attuale partito ufficiale di opposizione è il partito liberale di Alleanza Democratica, indipendente e alcuni analisti ritengono che Cope possa registrare più del 15 per cento di voti in queste elezioni. Lekota è più ottimista. Gli scandali per corruzione che incalzano Zuma stanno avendo un impatto sugli elettori più poveri, egli spiega. "Africani... il senso dei valori è importante quanto il pane. Davvero molti sono giunti fino a qui con l'ANC. La luna di miele è finita. " Torna all’indice 16 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale International Herald Tribune 26/01/09 Migranti II Un anno severo, l’anno del bue Di Phelin kine Hong Kong. Il Capodanno cinese, che è iniziato lunedì, è l’anno del bue. Questa è una metafora appropriata per molti dei 150 milioni di lavoratori migranti cinesi, che hanno tirato l’economia del paese avanti in cambio di un magro compenso e in condizioni pericolose. Le violazioni dei diritti dei migranti sono state ben documentate dal governo cinese e dalle organizzazioni non governative che includono Human Rights Watch ancora prima dell’attuale crisi economica. I lavoratori migranti, in particolare i lavoratori migranti del settore delle costruzioni, sono stati inclini allo sfruttamento da parte di datori di lavoro che negano loro i contratti di lavoro legalmente stipulati. Molti datori di lavoro si rifiutano periodicamente di applicare le leggi che richiedono il pagamento mensile del salario e fanno invece aspettare il migrante un anno per ricevere il pagamento del salario prima del Nuovo Anno Lunare. Tali pagamenti sono spesso al di sotto degli standard ufficiali del salario minimo, e in alcuni casi i datori di lavoro truffano i migranti delle intere paghe annue. I lavoratori migranti, che hanno svolto un ruolo importante nella drammatica crescita economica cinese negli ultimi trent’anni, devono spesso vivere in terribili condizioni ed hanno un’alimentazione inadeguata e condizioni nocive di lavoro che fanno aumentare il rischio di malattia e di disabilità. Ai migranti è negato il diritto alla contrattazione collettiva o alla formazione di sindacati al di fuori del sindacato ufficiale, All China Federation of Trade Unions, e le limitazioni finanziarie spesso non permettono loro di ottenere giustizia per i salari dovuti e per le altre violazioni di diritti sindacali. La ricerca dell’Accademia Cinese per le Scienze Sociali indica che i migranti sono le vittime in prima linea del rallentamento economico del paese attraverso licenziamenti di massa nella produzione destinata alle esportazioni dominata dai migranti. L’Ufficio Nazionale di Statistiche della Cina non ha traccia di disoccupati tra i lavoratori migranti, ma i dati del Ministero per le Risorse Umane e per la Sicurezza Sociale indicano che i migranti che hanno perso i loro posti di lavoro a causa della crisi finanziaria nel 2008 raggiungono i 10 milioni. Uno studio recente dell’Università Tsinghua in Cina suggerisce che saranno 50 milioni i lavoratori migranti che nel 2009 perderanno i loro posti di lavoro nelle città se il rallentamento dell’economia continuerà. L’aumento della disoccupazione metterà in pericolo anche l’istruzione dei loro bambini. Sebbene la legge cinese abbia deciso nove anni di libera scolarizzazione obbligatoria, la mancanza di fondi all’istruzione rurale significa che molti studenti nella campagna dovranno pagare per far parte della classe. Le rimesse dei migranti alle loro famiglie nelle zone rurali – che uno studio della Banca Mondiale ha indicato di 30 miliardi di dollari nel 2005 – sono state essenziali per aver dato ai bambini dei migranti il diritto a ricevere l’istruzione. La crisi economica rischia anche di amplificare le violazioni dei diritti umani collegate al sistema di registrazione discriminatorio delle famiglie cinesi, o hukoku, che include il pensionamento sponsorizzato dallo stato e l’assistenza sanitaria. Sebbene alcune municipalità abbiano programmi urbani temporanei, la maggioranza di lavoratori migranti sono privati dei diritti e dei benefici collegati all’hukoku nella città. Ci sono indicazioni secondo le quali la crisi economica potrebbe incoraggiare i governi locali a chiudere un occhio sulle società che compiono illeciti nel nome della tutela dei posti di lavoro e garantire la stabilità sociale. Il 6 gennaio, l’ufficio dell’avvocato della provincia del Guangdong ha emesso un comunicato nel quale invitava i pubblici ministri a non arrestare o a detenere il 17 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale personale dirigente o tecnico, o i rappresentati legali delle aziende sospettate di essere coinvolte nei crimini “generali”, senza fornire alcun criterio per una simile decisione. Le autorità del Guandong hanno giustificato la misura nel nome della “tutela delle normali operazioni di lavoro”. Se il governo cinese è sincero circa il raggiungimento di una “società armoniosa”, allora bisogna prendere un approccio con tolleranza zero verso la discriminazione del lavoro dei migranti e per garantire che i datori di lavoro non utilizzino la crisi economica come un pretesto per venire meno ai loro obblighi in base al diritto del lavoro e alla Legge sui Contratti di Lavoro. Nell’anno del bue, il governo dovrebbe finalmente prendere misure per attenuare il dominio su milioni di lavoratori migranti che sono stati il motore trascurato della spettacolare crescita economica del paese. Phelim Kine è un ricercatore che risiede in Asia per Human Rights Watch Torna all’indice 18 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Los Angeles Times 26/01/09 Il sindacato lassù L’America e la sua economia traballante, hanno bisogno di sindacati che ricostituiscano la prosperità alla classe media. Di Robert B. Reich Perché questa recessione è così profonda, e che cosa può essere fatto per cambiarla? Torniamo a 50 anni fa, quando la classe media americana si stava espandendo e l’economia cresceva. Le paghe con assegni erano abbastanza grandi da permetterci di acquistare tutti i prodotti e servizi che producevamo. Era un circolo virtuoso. Una buona paga significava maggiori acquisti e più acquisti significavano più posti di lavoro. Al centro di questo circolo virtuoso c’erano i sindacati. Nel 1955, più di un terzo di lavoratori americani appartenevano ad sindacato. I sindacati diedero loro la leva della contrattazione di cui avevano bisogno per ricevere le paghe con assegni che facevano muovere l’economia. Così molti americani si iscrissero al sindacato che organizzava accordi che si estendevano anche nei luoghi di lavoro non sindacalizzati. Siamo passati velocemente in un nuovo secolo. Ora, meno dell’8% dei lavoratori del settore privato sono sindacalizzati. Le imprese che vi si opponevano spiegavano che gli americani non volevano più i sindacati. Ma i sondaggi dell’opinione pubblica, come quella completa di Peter D. Hart Reserarch Associates condotta nel 2006, suggerivano che la maggioranza di lavoratori avrebbe gradito avere un sindacato che contrattasse per salari, per benefici e condizioni di lavoro migliori. Così ci devono essere altre ragioni che spiegano questo drammatico declino. Ma mettiamo da parte questa questione per un momento. Un punto è chiaro: numeri più piccoli di lavoratori sindacalizzati significano minore potere contrattuale, e minore potere contrattuale porta a salari bassi. Non c’è da meravigliarsi che i redditi della classe media stavano diminuendo persino prima della recessione. Mentre la nostra economia cresceva tra il 2001 e l’inizio del 2007, la maggior parte degli americani non partecipava alla prosperità. Nel momento in cui iniziò lo scorso anno la recessione, secondo uno studio dell’Istituto di Politica Economica, il reddito medio delle famiglie guidato da coloro che avevano meno di 65 anni era al di sotto del reddito medio del 2000. Famiglie particolari hanno continuato ad acquistare indebitandosi. Questo è stato possibile finché si è estesa la bolla immobiliare. I prestiti e i rifinanziamenti del Home-equity hanno fatto diminuire le paghe con assegni. Ma questo è finito. Le famiglie americane non hanno più il potere d’acquisto che permette di far girare l’economia. La paga con assegno più bassa, o nessuna paga con assegno, significa meno acquisti e meno acquisti significano meno posti di lavoro. Il modo per far ritornare l’economia in carreggiata è sostenere il potere d’acquisto della classe media. Una delle maggiori strade per fare questo è aumentare la percentuale dei lavoratori americani nei sindacati. I ribassi delle tasse non funzioneranno perché non aumentano i salari in modo stabile. La maggior parte delle famiglie ha utilizzato il ribasso lo scorso anno per eliminare il debito – non è una cosa negativa, ma non fa funzionare il circolo virtuoso. 19 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Neanche i salvataggi bancari funzioneranno. Le imprese non faranno prestiti per espandersi senza che i consumatori acquistino i loro prodotti e i loro servizi. E gli stessi americani non possono fare prestiti quando stanno per perdere i loro posti di lavoro e i loro redditi stanno diminuendo. Gli sgravi fiscali per le famiglie che lavorano, come intende il presidente Obama, possono fare di più per aiutare perché si estendono nel tempo. Ma soltanto l’aumento dei salari e dei benefici della classe media avrà un effetto duraturo. Ai sindacati interessa questa equazione. Secondo il Dipartimento del Lavoro, i lavoratori sindacalizzati guadagnano il 30% in più dei salari – portano a casa 863 $ a settimana, rispetto ai 663 $ per il tipico lavoratore non sindacalizzato - e rappresentano il 59% di probabilità in più che il datore di lavoro fornisca l'assicurazione sanitaria rispetto ai loro omologhi non sindacalizzati. Gli esempi abbondano. Nel 2007, quasi 12.000 custodi a Providence, RI, nel New Hampshire e Boston, rappresentati dal Sindacato Internazionale dei Lavoratori dei Servizi, hanno ottenuto un contratto che ha aumentato i loro salari portandoli a 16 $ l'ora, ha garantito più ore di lavoro e data l’assicurazione sanitaria alla famiglia. In un settore tipicamente formato da lavoratori a tempo parziale con un alto tasso di turnover, un contratto sindacale ha dato ai custodi a tempo pieno posti di lavoro sostenibili sui quali poter fare affidamento per aumentare le loro famiglie - la loro comunità' – e il tenore di vita. Nel mese di agosto, 65.000 lavoratori della Verizon, rappresentata dai lavoratori delle comunicazioni d'America, ha ottenuto gli aumenti salariali pari a quasi l’11% di posti di lavoro temporanei e convertiti in tempo pieno. Non solo, la decisione preserva interamente i premi attivi versati per l’assistenza sanitaria per i pensionati , i lavoratori sindacalizzati, ma la Verizon ha inoltre accettato di fornire 2 milioni di $ all'anno per finanziare una campagna in collaborazione con i suoi sindacati per raggiungere una riforma significativa dell’assistenza sanitaria. Anche se l'America e la sua economia hanno bisogno dei sindacati, è diventato quasi impossibile per i lavoratori dipendenti formare uno. L'ho citato il sondaggio Hart che ci dice che 57 milioni di lavoratori vorrebbero essere in un sindacato se potessero averne uno. Ma coloro che cercano di formare un sindacato, secondo i ricercatori del MIT, hanno solo la possibilità di farlo con successo nella misura di 1 a 5. Il motivo? La maggior parte delle volte, i lavoratori dipendenti che vogliono formare un sindacato sono minacciati e intimiditi dai loro datori di lavoro. E troppo spesso, se non ascoltano gli avvisi, sono licenziati, anche se questo è illegale. Ho visto questo quando ero segretario del lavoro un decennio fa. Abbiamo cercato di sanzionare i datori di lavoro che hanno violato la legge, ma le multe erano minuscole. Sono troppi i datori di lavoro che li considerano un costo per fare affari. Questo non è giusto. La più importante caratteristica della legge Employee Free Choice Act, che sarà presa in considerazione nella 111 seduta del Congresso, rende più severe le sanzioni contro le imprese che violano i diritti dei lavoratori. Prima sarà promulgata, e meglio sarà per i lavoratori e per l'economia degli Stati Uniti. La classe media americana non è alla ricerca di un salvataggio o di un’elemosina. La maggior parte delle persone vuole solo la possibilità di condividere il successo delle imprese che aiutano a svilupparsi. Rendere più facile a tutti gli americani la formazione di sindacati darebbe alla classe media il potere contrattuale necessario per salari e benefici migliori. E una forte e prospera classe media è necessaria se la nostra economia dovrà avere successo. Robert B. Reich, ex segretario del Lavoro, è professore di politiche pubbliche alla UC Berkeley ed è stato recentemente l'autore di "Supercapitalism". Torna all’indice 20 Dipartimento Politiche Internazionali Rassegna stampa internazionale Reuters 26/01/09 La General Motors riduce drasticamente la settimana lavorativa a causa della crisi Mosca. La General Motors ha affermato lunedì di ridurre la settimana lavorativa nel suo nuovo impianto in Russia mentre la crisi finanziaria globale continua a comprimere le vendite delle principali auto americane nei mercati emergenti. “L’abbiamo accorciata la settimana a tre giorni per i prossimi mesi”, ha affermato il portavoce della General Motors in Russia, Segei Lepnukhov. “Come tutte le case produttrici auto, stiamo sentendo l’impatto della crisi e il calo della domanda”. La crisi creditizia globale ha portato molte banche russe a fermare la concessione dei prestiti per le auto, provocando una forte riduzione della domanda di automobili. L’aumento della disoccupazione, salari arretrati e la svalutazione strisciante del rublo hanno ancora acutizzato il problema. L’Associazione delle Imprese Europee ha affermato che le vendite russe della popolare Chevrolet della General Motors sono diminuite dell’11% anno dopo anno a novembre, seguite da un peggioramento del 6% a dicembre. La General Motors ha speso 300 milioni di dollari per costruire il nuovo impianto nella città di San Pietroburgo ed ha iniziato la produzione lì a novembre, con una capacità annuale di 70.000 automobili. Lepnukhov ha affermato che la General Motors stava seguendo i suoi piani di aumentare la capacità a 100.000 automobili entro il 2012. Gli analisti hanno previsto quest’anno i peggioramenti delle vendite auto tra il 19% e il 50% nel mercato russo. L’industria automobilistica fa fronte ad un futuro incerto dato che le condizioni del credito e l’incertezza riguardo il peggioramento dei consumi paralizza le vendite. Tutte le principali case automobilistiche hanno registrato alla fine di quest’anno peggioramenti a due cifre per le vendite auto americane. La General Motors, rivale della Ford Motor Company, ha riavviato le sue linee di produzione russe la scorsa settimana dopo la sospensione di un mese, causata da una domanda debole. La General Motors, la Ford e la Chrysler – nota come le Tre di Detroit – sono state tutte negativamente colpite dalla crisi, e si sono rivolte lo scorso anno a Washington per i fondi di salvataggio. (Informazione di Anton Doroshev, scritto da Simon Shuster, redatto da Andrew Macdonald). Torna all’indice 21