Odissey Dawn - Unified Protector
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Odissey Dawn - Unified Protector
Odissey Dawn Unified Protector di Michele Cosentino I Il contributo italiano alle operazioni in Libia del 2011 l 14 dicembre 2011, presso l’aeroporto militare di Trapani, ebbe luogo la cerimonia con cui l’Italia politica rese omaggio al personale militare che venne impegnato nelle operazioni sul fronte libico. L’evento fu debitamente riportato dalla stampa quotidiana, così come lo furono - in maniera seppur discontinua le varie fasi delle missioni svolte in circa sette mesi (da marzo a ottobre 2011) dalla Marina e dall’Aeronautica Militare nei cieli e sulle acque del Mediterraneo centro-meridionale; come spesso accade in queste occasioni, le operazioni aeronavali a cura dell’Italia sono state spesso oggetto di un dibattito - a volte acceso - che ha toccato per lo più gli aspetti politici e, molto raramente, quelli militari. In ogni caso, come ha ricordato l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, al vertice politico della Difesa al tempo della cerimonia di Trapani, i militari italiani che hanno partecipato alle operazioni hanno svolto un grande lavoro, fornendo un contributo sicuramente essenziale non solo per portare a termine le singole attività nell’ambito generale della missione ma anche per contenerne la durata nel tempo. È dunque opportuno esaminare il dettaglio della partecipazione italiana per risolvere l’ennesima crisi imprevista dei nuovi scenari geo- strategici, con qualche approfondimento legato alla peculiarità delle missioni svolte, alla motivazioni generali e alle lezioni apprese; sarà perciò necessario citare qualche numero, senza peraltro tediare i lettori con noiose statistiche ed elucubrazioni matematiche. L’evoluzione degli eventi Prima di analizzare brevemente l’evoluzione degli eventi militari, è necessario chiarire la terminologia adottata per queste note, anche alla luce di come sono andate a finire le cose. A febbraio 2011, in Libia esistevano forze militari fedeli al Governo/regime che all’epoca - e sin dal 1969 - deteneva il potere e che verranno definite “lealiste”; al di là della loro entità, a esse si cominciava a contrapporre, soprattutto in Cirenaica, una protesta popolare che ha dato vita dapprima a gruppi di armati identificati come rivoluzionari, in seguito faticosamente organizzati sotto l’egida di un organismo politico - il Consiglio Nazionale di Transizione, CNT - e quindi definite in queste note come forze del CNT. Come noto, la rivolta in Libia venne generata sulla scia dei tumulti già accaduti nel mondo arabo e nordafricano, nell’ambito di quella che è stata definita la “primavera araba”; il comporta- maggio-giugno 2013 27 Il rifornitore di squadra Etna ha svolto anche il ruolo di nave sede comando nei primi mesi dell’operazione “Unified Protector”; in apertura, distintivo da spalla della missione per il personale di base a Trapani mento delle forze lealiste nei confronti della popolazione civile suscitò l’immediato dissenso della comunità internazionale, tanto da indurre l’Unione Europea e gli Stati Uniti ad applicare sanzioni al governo di Tripoli. L’azione dell’ONU si concretizzò verso la fine di febbraio 2011, con l’approvazione di una prima risoluzione mirata all’imposizione dell’embargo per interrompere l’importazione di armi che avrebbero potuto essere utilizzate per reprimere la rivolta, ma il progressivo deterioramento della situazione, il susseguirsi di scontri e di vittime tra civili e forze lealiste obbligò l’ONU all’approvazione di un’ulteriore risoluzione - la n.1973, del 17 marzo - in cui veniva disposto il cessate il fuoco immediato al governo di Tripoli, proclamata una zona d’interdizione al volo sopra la Libia e autorizzato l’impiego di tutti i mezzi necessari per proteggere la popolazione e, in misura indiretta, appoggiare le forze del CNT. A questo punto, i meccanismi militari delle principali Nazioni occidentali si misero in moto: i velivoli francesi furono i primi a entrare in azione, seguiti dai missili da crociera americani e inglesi, 28 maggio-giugno 2013 lanciati soprattutto da unità subacquee operanti nel Mediterraneo centro-orientale e destinati a neutralizzare obiettivi strategici delle forze lealiste: a questa prima fase dell’intervento - denominata operazione Odissey Dawn e guidata dagli Stati Uniti - l’Italia contribuì essenzialmente mettendo a disposizione alcuni velivoli e diverse basi aeree, senza peraltro impegnarsi a svolgere missioni sul territorio libico. Per ovviare alle pressanti richieste francesi di leadership politica e militare e per dare comunque una connotazione unitaria a un’operazione in cui Washington non voleva partecipare direttamente, la soluzione venne trovata affidando alla NATO - siamo al 28 marzo 2011 - la condotta dell’operazione Unified Protector, gestita dal comando alleato di Napoli, responsabile delle operazioni militari nel teatro mediterraneo; in tale ambito, un gruppo navale dell’Alleanza Atlantica, già presente nel Mediterraneo e comandato da un contrammiraglio italiano, si schierò nelle acque antistanti la Libia con il compito di far rispettare l’embargo sancito dall’ONU, mentre diversi tipi di velivoli decollarono dalle basi messe a disposizio- Due velivoli Tornado IDS del 6° Stormo dell’Aeronautica Militare italiana sulla base aerea di Trapani, utilizzati per l’attacco al suolo contro le forze lealiste ne dall’Italia per imporre la “no-fly zone” nei cieli libici, impedendo azioni dall’aria contro le popolazioni civili e preparando il terreno per attacchi mirati contro mezzi e reparti delle forze lealiste libiche. Al di là del dibattito politico generato in Patria sulle specifiche missioni assegnate nel tempo ai velivoli e alle unità navali, rimane il fatto che il contributo delle Forze Armate italiane alle operazioni in Libia sia stato di assoluto rilievo e che in virtù delle loro peculiarità, questo contributo si sviluppò in termini sostanzialmente aeronavali; per ragioni pratiche, è necessario esaminare separatamente cosa fecero Aeronautica e Marina, evidenziando tuttavia che esse lavorarono con una stretta integrazione operativa fra i propri mezzi e sistemi, assicurata dall’esistenza di una catena di comando e controllo interforze nazionale collegata nel dispositivo NATO. Per quanto riguarda dunque l’Aeronautica Militare, il contributo si manifestò sin dal 20 marzo 2011, mettendo a disposizione di forze aeree alleate le basi di Amendola, Gioia del Colle, Sigonella, Aviano, Trapani-Birgi, Decimomannu e Pantelleria, raffor- zando contemporaneamente il sistema di sorveglianza e difesa dello spazio aereo nazionale, sia attraverso l’impiego integrato della rete radar e di velivoli intercettori, sia incrementando il numero di velivoli in condizioni di prontezza operativa. Nel corso delle operazioni, protrattesi per circa sette mesi, l’Aeronautica Militare utilizzò 8 differenti tipi di velivoli da combattimento e supporto tattico e logistico appartenenti a diversi reparti, per un totale di 1.900 missioni e circa 7.300 ore di volo. Le missioni riguardarono la soppressione delle difese aeree delle forze lealiste libiche, il pattugliamento e la difesa aerea nella “no-fly zone” e negli spazi aerei nazionali a essa adiacenti, l’attacco al suolo contro obiettivi delle forze lealiste determinati dalla ricognizione alleata ed eventualmente occasionali, le attività di sorveglianza, ricognizione e intelligence, il rifornimento in volo e la rilevazione e il contrasto delle emissioni elettroniche avversarie; per l’occasione, durante l’operazione Unified Protector, fecero il loro debutto i velivoli senza pilota Predator-B per la ricognizione in profondità e un’aviocisterna “KC-767A”, entrambi di produzione americana, maggio-giugno 2013 29 Il pattugliatore Comandante Bettica sorvolato da due elicotteri della Marina Militare nel corso delle operazioni di sorveglianza in Mediterraneo centrale mentre i 550 ordigni impiegati dai velivoli compresero i missili da crociera aviotrasportati “Storm Shadow” e diversi modelli di bombe a guida laser e GPS. In sintesi, le missioni condotte dall’Aeronautica Militare nel contesto di quelle alleate risultarono finalizzate alla creazione - attraverso la neutralizzazione del sistema di difesa aerea libico - delle condizioni tattiche ottimali per assicurare l’intervento contro obiettivi a terra che minacciavano la popolazione civile e l’avanzata verso Tripoli delle forze del CNT, con una “progressione geografica” che dapprima interessò la regione cirenaica e successivamente si spostò - a volte con una certa fluidità - a occidente, verso la Tripolitania e il confine tunisino. Il contributo della Marina Militare si sviluppò secondo più fronti, dalle già citate operazioni di embargo navale, alle attività di pattugliamento e sorveglianza nei confronti dell’immigrazione clandestina attraverso il Canale di Sicilia, che ebbe un particolare impulso a causa delle minacce del regime libico e che impegnò pure alcune unità anfibie nel trasferimento di migranti da Lampedusa ad altre strutture situate nella penisola; Durante l’operazione “Unified Protector”, hanno fatto il loro debutto i velivoli senza pilota Predator 1-B del 32° Stormo AMI di base ad Amendola (Foggia) 30 maggio-giugno 2013 L’unità anfibia San Giusto della Marina Militare, al centro, ripresa nel corso dell’operazione “Unified Protector” assieme alle fregate canadese Vancouver, in primo piano, e turca Gelibolu, in alto come corollario di queste missioni, vanno ricordate anche le missioni di sorveglianza in prossimità delle acque tunisine, in applicazione dell’intesa tra Italia e Tunisia sull’emergenza immigrazione. Accanto alle operazioni di embargo navale e di sorveglianza, molto importante fu il contributo alle missioni aeree sul territorio libico, svolte dai sei velivoli a decollo corto e atterraggio verticale “AV8B Harrier II Plus” presenti sulla portaerei Garibaldi che, assieme al cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria, alla nave rifornitrice Etna, alle unità subacquee Todaro e Gazzana, alle navi anfibie San Giusto, San Giorgio e San Marco, alle fregate Euro, Bersagliere e Libeccio, alle corvette Minerva, Urania, Chimera, Driade e Fenice e ai pattugliatori Comandante Borsini, Comandante Foscari, Comandante Bettica, Spica, Vega, Orione e Sirio, fecero parte del dispositivo aeronavale messo in campo dall’Italia nel corso dei sette mesi di operazioni. A similitudine di quanto fatto per l’Aeronautica Militare, basterà qui ricordare che gli “Harrier II Plus” imbarcati eseguirono 273 missioni operative per un totale di 1.220 ore di volo, impiegando vari tipi di ordigni, mentre i 30 elicotteri distribuiti fra tutte le unità navali italiane totalizzarono circa 1.900 ore di volo; confrontando le percentuali di ore di volo dedicate a missioni offensive contro obiettivi terre- stri, vi è una leggerissima prevalenza della Marina sull’Aeronautica, dovuta essenzialmente alla più immediata vicinanza del Garibaldi al teatro operativo, e anche al fatto che i velivoli imbarcati vennero impiegati anche in una sorta di “allerta immediata” per contrastare tempestivamente eventuali minacce aeree lealiste libiche. Motivazioni e lezioni Salvaguardare gli interessi del Paese e dei nostri connazionali, messi a rischio da una guerra civile scoppiata a poca distanza dai confini dell’Italia: questa è in sintesi la motivazione che ha giustificato la partecipazione di Aeronautica e Marina alle operazioni “Odissey Dawn” prima e “Unified Protector” poi. E se la salvaguardia di propri cittadini presenti in un territorio di guerra rappresenta indubbiamente un motivo valido per qualsiasi Nazione, altrettanto lo è quello della salvaguardia degli interessi nazionali, che nel caso dell’Italia comprendono interessi di natura commerciale e politica che vanno ben oltre il tipo di relazioni intercorse, nel corso di lunghissimo tempo, con la ex-leadership libica: del resto, non è un mistero per nessuno quali fossero le relazioni fra Tripoli e qualche altra Nazione europea che in occasione di questa crisi ha agito con un decisionismo forse inaspetta- maggio-giugno 2013 31 Gli AV8-B plus, o Harrier II, qui un esemplare in fase di appontaggio, hanno dato un determinante contributo alle operazioni militari in Libia to, senza tener conto che fra Italia e Libia esiste un legame storico quasi secolare e che la stessa geografia ha imposto al Governo italiano di fare la sua parte in un contesto comunque internazionale, una parte peraltro destinata a perdurare nei futuri rapporti fra Roma e Tripoli. Per quanto riguarda invece le lezioni di natura militare, l’operazione “Unified Protector” ha dimostrato che talvolta è possibile intervenire in armi senza dover necessariamente operare sul territorio, I sei Harrier II imbarcati sulla portaerei Garibaldi (qui ripresa in navigazione in Mediterraneo centrale nel maggio 2011) parcheggiati nella sezione poppiera del ponte di volo 32 maggio-giugno 2013 perché le forze aeree e navali sono state protagoniste assolute di una campagna che ha pur avuto momenti di difficoltà dovuti all’estrema fluidità degli scontri fra forze lealiste e forze del CNT. Un’altra lezione - potenzialmente applicabile a nuove scenari di “primavera araba” - riguarda la disponibilità di buone infrastrutture: è ineludibile che la disponibilità di basi aeree a poche ore di volo dal fronte dei combattimenti ha facilitato lo svolgimento delle operazioni ed è altrettanto ineludibile che se una situazione del genere non si potesse ripetere (o se le basi fossero eccessivamente lontane dal teatro d’intervento), qualsiasi organizzazione internazionale o coalizione di volenterosi chiamata a intervenire dovrebbe pensare a come risolvere questo problema: la soluzione più immediata e ovvia può essere semplicemente identificabile nell’uso dell’aviazione imbarcata, come dimostrato, nel caso della Libia, dall’impiego particolarmente efficace e maggiormente economico dei velivoli della Marina che decollavano da nave Garibaldi. Del resto in una delle poche missioni sul territorio libico svolte da velivoli americani, l’uso degli “Harrier” imbarcati su una nave statunitense ha permesso il recupero in sicurezza di un pilota abbattuto, mentre l’uso di elicotteri d’attacco inglesi e francesi è stato possibile soltanto grazie alla presenza al largo delle coste libiche di grosse unità ■ dotate di ponte di volo.
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