TimbukTu - Bresso a misura di
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25 Febbraio 2016 Timbuktu, da parte di persone provenienti da altri luoghi è simbolica. Timbuktu è un luogo mitologico, tutti ci sentiamo feriti dalla sua occupazione. L’occupazione della città, nel 2012, è durata un anno. Un anno durante il quale tutta la popolazione è stata presa in ostaggio. Un anno durante il quale i media si sono soprattutto focalizzati sugli ostaggi occidentali rapiti in questa parte del mondo”. (Simona Santoni, panorama.it) vorrebbero solo vivere in pace. Il regista mauritano rappresenta una comunità di islamici moderati forse un po’ idealizzata e facile da amare. Pur nella tragicità delle situazioni, riesce a coniugare realismo e lirismo, non negandosi neppure un’inaspettata vena di humour che ricorda il cinema del regista palestinese Elia Suleiman. Si apprezza soprattutto l’appassionata difesa delle donne, prime vittime dell’integralismo. (Roberto Nepoti, La Repubblica) Girato tra le architetture dei dogon maliani, dove da tempo è in atto una tremenda guerra civile, scatenata dagli estremisti islamici, che proibiscono perfino di suonare, giocare a calcio, portare i pantaloni in un certo modo, obbligando le donne alle umiliazioni più crudeli, Timbuktu è un film che lascia un ricordo struggente e doloroso. [...] (Adriano De Grandis, Il Gazzettino) Poco lontano da Timbuktu, presa in ostaggio dagli estremisti religiosi, il tuareg Kidane vive pacificamente con la moglie Satima, la figlia Toya e il pastorello Issan. Finché un giorno la sua mucca favorita sfugge al controllo e rompe le reti del pescatore Amadou, che la trafigge con una lancia. Non finisce bene... È nella cinquina dei candidati all’Oscar 2015 per il miglior film straniero questo dramma poetico e struggente con cui Sissako mostra come la jihad porti dolore e lutto in terre che Silenzio. Una gazzella corre lieve fra le dune. Stacco, un gruppo di uomini armati su una jeep apre il fuoco sulla gazzella per poi accanirsi su una catasta di idoli lignei crivellandoli di colpi. Sono integralisti, quegli idoli offendono l’islam (il loro Islam), dunque vanno distrutti. Basterebbe il prologo del meraviglioso Timbuktu per capire l’immensa portata del lavoro di Sissako, il primo regista al mondo che riesce a raccontare l’orrore della Jihad senza esserne sopraffatto proprio perché rifiuta ogni retorica spettacolare per farsi carico del vero problema del cinema di fronte alla violenza. [...] (Fabio Ferzetti, Il Messaggero) per info 02.66502494 [email protected] facebook.com/CircoloCineBresso 25aRASSEGNA Cineforum 2015-2016 BRESSO Timbuktu Le chagrin des oiseaux Regia: Abderrahmane Sissako Sceneggiatura: Abderrahmane Sissako, Kessen Tall Fotografia: Sofian El Fani Montaggio: Nadia Ben Rachid Musica: Amin Bouhafa Interpreti: Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki, Abel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Yacoubi, Kettly Noël, Mehdi A.G. Mohamed, Origine: Francia, Mauritania (2014) Il regista: Abderrahmane Sissako Regista produttore americano diviso artisticamente fra il Mali e la Francia, imponendosi assieme a Ousmane Sembene, Souleymane Cissé, Idrissa Ouedraogo e Djibril Diop Mambéty, uno dei filmmakers africani più internazionalmente influenti. Il suo film Aspettando la felicità è stato presentato all’edizione 2002 del Cannes Film Festival, nella sezione Un Certain Regard, vincendo il premio FIPRESCI. Mentre Timbuktu nel 2105 è stato candidato dall’Academy Awards per competere nella sezione miglior film straniero. Nato a Kiffa, in Mauritania, il 13 ottobre 1961, Sissako emigra con tutta la sua famiglia in Mali, la patria di suo padre dove completa la sua istruzione. Ritornerà in Mauritania, terra di sua madre, solo nel 1980, per poi lasciarla alla volta di Mosca, dove studierà cinema alla VGIK, dal 1983 al 1989. Ultimati anche questi studi, si trasferirà in Francia all’inizio degli Anni Novanta, dove comincerà a dirigere dei cortometraggi come: Le jeu (1989), girato fra il deserto mauritano e il Turkmenistan; October (1993), realizzato nei quartieri di Mosca e vincitore della rassegna Un Certain Regard a Cannes; Le chameau et les bâtons flottants (1995), che è un adattamento delle fiabe di Jean de La Fontaine; e Sabriya (1996), sulla Tunisia. La critica: Un tempo, si nominava Timbuktu (o Timbuctù, secondo la nostra grafìa) per indicare un posto lontanissimo ed esotico. Con il film di Abderrahmane Sissako, l’antica città del Mali diventa invece luogo di sintesi e simboli di questioni centralissime nel mondo globalizzato di oggi. Timbuktu, il film, racconta della lenta, vagamente grottesca e progressivamente drammatica presa del potere all’interno della città e nelle zone adiacenti di un gruppo di jihadisti che impongono la sharia, proibendo musica e sport, obbligando le donne al velo e non solo, diffonden- do il terrore e contagiando lentamente con la violenza lo spirito libero e riflessivo di molti personaggi. Quello di Sissako, però, non è affatto un film di denuncia urlato e aggressivo; non mira a scandalizzare lo spettatore occidentale con l’uso della violenza o mostrando gli eccessi della repressione. Scritto e girato con grande consapevolezza, mille miglia lontano dai pauperismi e di naturalismi esasperati di troppo cinema africano e semmai fin troppo smaliziato, Timbuktu è al contrario un film che fa propri gli spazi e i tempi - dilatati ma mai molli, sereni ma mai ingenui - di quello spicchio di terra che racconta, cedendo solo lentamente e con riluttanza a quel nervosismo che gli è imposto dal suo stesso racconto. Sissako dosa con sapienza i suoi ingredienti, riuscendo a bilanciare l’assurdo, il comico e il tragico dell’imposizione miope e violenta di un credo e una cultura che “miopi e violente non sono affatto, regalando spazi di distensione e momenti di una tensione più mentale che fisica, utilizzando senza inutili estetismi le bellezze dei luoghi e della musica che lì ha origine (basti citare il bellissimo Talking Timbuktu) di Ali Farka Touré e Ry Cooder). Ma soprattutto, evitando di strillare proclami, o abusare nel mostrare violenza, o di correre inutilmente, Timbuktu trasmette tutta la dignità di alcuni suoi personaggi, la loro cultura, la loro riluttanza e la loro sofferenza, così come le contraddizioni e le chiusure di altri. E, in un finale di certo non roseo ma comunque aperto, lascia la speranza che certe fughe possano trasformarsi, se non in ritorni, in nuove partenze. (Federico Gironi, ComingSoon.it) Timbuktu del regista mauritano Abderrahmane Sissako ci porta dentro una pagina di storia recentissima, così attuale e collegata a tante terribili cronache recenti, dalla strage di Parigi alla rivista Charlie Hebdo alle decapitazioni di ostaggi da parte dell’Isis. Nel 2012 Timbuktu, antica città del Mali, è stata occupata da jihadisti che hanno portato violenza e controllo assoluto sugli abitanti, fino alla liberazione da parte delle truppe francesi. “Il 29 luglio del 2012 ad Aguelok, una piccola città nel nord del Mali, un crimine inspiegabile ebbe luogo. Un crimine sul quale i mezzi di comunicazione di tutto il mondo chiusero gli occhi”, racconta il regista, nato in Mauritinia ma cresciuto per alcuni anni in Mali, Paese paterno. “Una coppia di due trentenni, genitori di due figli, sono morti lapidati. La loro unica colpa era di non essere sposati. Il video del loro assassinio, che è stato pubblicato sul web, è mostruoso. La donna muore colpita dalla prima pietra, mentre l’uomo butta fuori un urlo disperato. Poi silenzio. Aguelok non è Damasco o Teheran. Non è trapelato niente di questa storia”. Non lontano da Timbuktu, occupata dai fondamentalisti religiosi, in una tenda tra le dune sabbiose vive Kidane (Ibrahim Ahmed), in pace con la moglie Satima (Toulou Kiki), la figlia Toya (Layla Walet Mohamed) e il dodicenne Issan (Mehdi A.G. Mohamed), il giovanissimo guardiano della loro mandria di buoi. In paese le persone soffrono sottomesse al regime di terrore imposto dai jihadisti determinati a controllare le loro vite. Musica, risate, sigarette e addirittura il calcio, sono stati vietati. Le donne sono state obbligate a mettere il velo ma conservano la propria dignità. Ogni giorno una nuova corte improvvisata emette tragiche e assurde sentenze. Kidane e la sua famiglia riescono inizialmente a sottrarsi al caos che incombe su Timbuktu. Ma il loro destino muta improvvisamente quando Kidane uccide accidentalmente Amadou, il pastore che aveva massacrato Gps, il bue della mandria a cui erano più affezionati. Kidane sa che dovrà affrontare la corte e la nuova legge che hanno portato gli invasori. “Qualche anno fa (nel 2006) ho girato una sequenza di un film western Bamako, con Denny Glover, questa sequenza è stata girata a Timbuktu che era, in quel periodo, un luogo straordinario di tolleranza e scambi”, spiega Sissako. “Giravamo proprio davanti la moschea e nessuno si è sentito minacciato o offeso da questo, di tanto in tanto fermavamo le riprese per lasciare passare le persone che andavano a pregare. È questo il vero Islam ed è per questo che l’occupazione di
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SCENEGGIATURA: Abderrahmane Sissako
ATTORI: Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki
MONTAGGIO: Nadia Ben Rachid
PRODUZIONE: Armada Films, Les Films du Worso
DISTRIBUZIONE: Academy Two
PAESE: Francia
DURATA: 100...
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Arte France Cinéma/Orange Studio. Distribuzione: Academy Two. Durata: 97’. Origine: Mauritania/Francia, 2014.
Abderrahmane Sissako è uno dei maggiori registi e produttori africani.
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