Il “fiero pasto” del conte Ugolino
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Il “fiero pasto” del conte Ugolino Inferno, canto XXVI, vv. 1-6, 13-21 e 68-78 Nel nono e ultimo cerchio sono puniti i traditori, divisi in quattro gruppi: traditori dei parenti, della patria, degli ospiti, dei benefattori. Nella seconda zona, quella dei traditori della patria, Dante e Virgilio incontrano il nobile Ugolino della Gherardesca, conte pisano di parte ghibellina che – tradendo i suoi concittadini – favorì nel 1275 la vittoria dei guelfi in città. Il traditore Ugolino fu a sua volta catturato con il tradimento dall’arcivescovo di Pisa Ruggieri, che lo fece condannare a una morte atroce: chiuso in carcere con figli e nipoti e lasciato morire di fame e di sete. Uniti nel tradimento, i due sono uniti anche nella pena: il conte Ugolino, infatti, rode bestialmente il teschio dell’arcivescovo. 3 La bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto. 6 Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che ‘l cor mi preme già pur pensando, pria ch’io ne favelli. 12 [...] 15 Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, e questi è l’arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino. 18 Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso e poscia morto, dir non è mestieri; 21 però quel che non puoi avere inteso, ciò è come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso. Ugolino racconta a Dante di come, dopo essere stato catturato con l’inganno, egli venisse gettato assieme a figli e nipoti nella torre dei Gualandi, a Pisa. Trascorsi diversi mesi in prigionia, una notte il conte ebbe un sogno premonitore: l’arcivescovo Ruggieri che dava la caccia a un lupo e ai suoi piccoli. Il giorno seguente, la porta della torre venne inchiodata: Ugolino e i suoi cari erano stati condannati a morire di fame. Dopo quattro giorni di sofferenze... 69 Gaddo mi si gettò disteso a’ piedi, dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?” www.contucompiti.it 72 Quivi morì; e come tu mi vedi, vid’io cascar li tre ad uno ad uno tra ‘l quinto dì e ‘l sesto; ond’io mi diedi, 75 già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti: poscia, più che ‘l dolor, poté il digiuno». 78 Quand’ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese ‘l teschio misero co’ denti, che furo all’osso, come d’un can, forti. 13 www.contucompiti.it
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