Prova - Moto.it
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Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Numero 48 16 Settembre 2014 97 Pagine Periodico elettronico di informazione motociclistica Citroen C4 Cactus Seat Leon ST 4Drive SicuraMente La nuova Citroen C4 Cactus è un’auto che fa di necessità virtù : adotta soluzioni tecniche semplici ma intelligenti La nuova Seat Leon ST 4Drive, grazie alla trazione integrale, diventa ancora più stabile e sicura Il programma sulla sicurezza stradale, condotto da Nico Cereghini e Marco Della Noce Intelligenza acuta Più veloce e sicura con il 4x4 “Siamo noi a fare la differenza” | prova su strada | BMW X4 da Pag. 2 a Pag. 17 MAXI SFIDA Subaru WRX STi contro Yamaha MT-09 Street Rally All’Interno NEWS: Honda HR-V Prototype | BMW Serie 2 cabrio | Mercedes AMG GT | Peugeot 208 HYbrid Air 2L concept Land Rover Discovery Sport | M. Clarke I motori V6 | CAMPIONI: A. Zanardi “tutto può trasformarsi in un’opportunità” PROVA SU STRADA BMW X4 Tutto il bello dell’Elica... Dall’alto Grande personalità e piacere di guida da berlina per la BMW X4, pensata per distinguersi senza arrivare all’eccentricità della sorella maggiore X6. Promosso il nuovo 20d, ma occhio ai prezzi: basta un attimo per farli impennare di Emiliano Perucca Orfei 2 3 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica che non ricorda solamente quella della sorella maggiore X6 ma anche quella della Serie 3 GT. Media Linea da coupé ma il bagagliaio non soffre (troppo) Un insieme di forme che, comunque, non rende poco personale la X4 e non fa perdere nemmeno troppo alla voce bagagliaio: il vano, infatti, mantiene una capienza di 500 litri (50 in meno rispetto ad X3) estendibili sino a 1.400 (-200) abbattendo progressivamente gli schienali posteriori. Tra gli elementi curiosi legati al bagagliaio, la cui soglia è posizionata a 78 cm da terra, v’è la presenza di un lungo portellone a movimento servoassistito la cui altezza d’apertura può essere regolata in funzione dell’altezza del garage. Internamente la plancia si può dire sostanzialmente la stessa della X3: strumentazione analogica con ampio display digitale tra tachimetro e contagiri, sistema multimediale ConnectedDrive (è senza dubbio ancora il migliore in circolazione) con lcd al centro della plancia appena sopra le bocchette dell’aria e comando dell’idrive posizionato nel tunnel centrale lato passeggero. A cambiare sono invece le sedute: il piano d’appoggio è fissato 2 cm più in basso e per chi siede dietro sono riservate due posti “sportivi” più un terzo, come al solito d’emergenza. Tre gli allestimenti disponibili: lo standard, il più elegante X-Line ed il più sportivo M Sport. Quest’ultime due proposte si distinguono per allestimento ma soprattutto per connotazione estetica visto che la prima mira ad essere più elegante e la seconda decisamente più sportiva. Tra gli elementi di serie si fanno notare i fari bixeno (600 euro ad orientamento automatico, 1.800 con tecnologia di illuminazione a led) ed il navigatore satellitare sull’allestimento xLine (1.640 sulle altre). D opo aver creato una nuova categoria di vetture con la X6, incrocio tra il classico universo delle SUV con quello delle Coupé, BMW ci riprova nel segmento D lanciando la nuova X4. La ricetta è sostanzialmente la stessa, solo che al posto di utilizzare come base di partenza la X5 a Monaco hanno scelto la X3. Ecco perché la nuova BMW X4 è solo 1 cm più lunga della SAV dalla quale deriva (467 cm totali) ed è più bassa di 3,7 (162) toccando quota 188 per quanto riguarda la larghezza. Passo 281 cm e linea da coupé nella parte superiore, la X4 vanta molti degli stilemi introdotti con le ultime Serie 3 e Serie 4 - tra cui i fari raccordati ad un doppio rene che mostra il fianco - ma anche una coda 4 5 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica Motorizzazioni e prezzi Nonostante l’aspetto da SUV, X4 è un’auto che si lascia guidare molto bene, senza apparire mai goffa o impacciata 6 Per quanto riguarda le motorizzazioni in Italia la gamma benzina offre i quattro cilindri TwinPower Turbo 20i da 184 CV e 28i da 245 CV, ma anche il poderoso sei cilindri 35i da 306 CV. La più gettonata famiglia dei diesel invece mette sul piatto il nuovissimo 20d, riprogettato da cima a fondo per dare vita ad una nuova famiglia di motori modulari (come vuole il trend del momento), che ora ha 190 CV. Per i più esigenti il listino mette a disposizione comunque i sei cilindri 30d da 258 CV e 35d da 313 CV. Tutte le versioni sono dotate di trazione integrale xDrive e del collaudato cambio automatico ZF ad otto marce, anche se sulla 20d si può avere il più classico manuale a sei rapporti. I prezzi partono dai 49.200 euro della xDrive 20d per crescere fino ai 62.000 euro della sei cilindri xDrive 35d. Le nostre impressioni di guida Abbiamo scelto di conoscere la nuova X4 nella versione xDrive 20d, prima di tutto perché sarà quella più richiesta nel nostro Paese, ma anche per vedere di che pasta è fatto il nuovo turbo diesel di Monaco. Avviato il motore non si avvertono grandi novità acustiche”: il quattro cilindri bavarese suona sostanzialmente come in passato, rivelando senza troppe timidezze la sua natura a gasolio al minimo e quando si affonda il piede sul pedale del gas. Niente di sconvolgente, sia chiaro, anche perché quando si viaggia in maniera turistica il sound del 2.0 litri scompare completamente per merito dell’ottima insonorizzazione, che lascia penetrare all’interno dell’abitacolo solo qualche eccessivo fruscio aerodinamico prodotto dagli specchietti (sopra i 100-120 km/h). Anche in termini dinamici il 20d 7 8 9 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito rimane fedele alle ottime prestazioni del suo predecessore: X4 deve fare i conti con un peso che supera senza troppi complimenti i 1.800 kg, ma il quattro cilindri tedesco, grazie i suoi 400 Nm erogati a soli 1.750 giri/min, garantisce tutto lo spunto che serve per dare agilità, condito perfino con un pizzico di divertimento. L’erogazione è molto lineare, ma anche davvero corposa grazie alla coppia più che abbondante. È un motore che si gode al massimo tra i 2 e i 3.000 giri e infatti è pressoché inutile tirarlo oltre i 3.500 giri/min, visto che a questo punto ha già espresso tutto il suo potenziale. Il cambio a otto marce della ZF si dimostra ancora una volta uno degli automatici meglio riusciti del panorama attuale. Nonostante sia un classico convertitore di coppia offre cambi marcia velocissimi, specialmente selezionando le modalità di guida più sportive, mentre quando si viaggia tranquilli è dolce e non produce strattoni né fastidiosi “effetti trascinamento”. 10 Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica Come guidare una BMW, solo un po’ più alta Nonostante l’aspetto da SUV, X4 è un’auto che si lascia guidare molto bene, senza apparire mai goffa o impacciata. Una sensazione rafforzata dal fatto che si sta seduti due centimetri più in basso rispetto a X3 e che si è costretti ad assumere una posizione di guida molto simile a quella di una berlina. Anche lo sterzo però ci mette del suo. Davvero consistente, restituisce un feeling difficile da trovare su “auto a ruote alte”, mentrev. Guidare X4 risulta piacevole, nonostante l’altezza da terra non indifferente, anche per la presenza del BMW Performance Control, un differenziale elettronico in grado di frenare la ruota posteriore interna alla curva, che elimina quasi del tutto i poco graditi fenomeni di sottosterzo. La sensazione è quella di avere sostanzialmente un asse posteriore sterzante, che offre molta più confidenza e che, in definitiva, restituisce un buon piacere di guida. Come su tutte le SUV Coupé (X6 in testa) siamo curiosi di scoprire quanto spazio abbia rubato dietro il tetto esotico e inclinato. Su X4 però rimaniamo positivamente sorpresi perché tutto sommato anche i due passeggeri posteriori, indipendentemente dalla taglia, stanno comodi (molto meno il terzo, che deve fare i conti con un tunnel centrale abbastanza invasivo). Consumi: promosso il 20d Nel corso della nostra prova il nuovo 20d supera anche la prova consumi. Nonostante un peso non indifferente e un’altezza da terra che di sicuro non aiuta l’efficienza, questa motorizzazione garantisce ad X4 un valore di consumo medio di 7,5 – 8,0 litri/100 km, abbondantemente superiore quindi alla soglia psicologica dei 10 km/l. Il merito è senza dubbio dell’automatico a otto marce, che quando non si scelgono modalità di 11 12 13 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Prova guida sportive, fa di tutto per innestare appena possibile i rapporti superiori (l’ottava entra molto prima dei 100 km/h), con logiche di gestione che abbiamo trovato davvero efficaci e molto intelligenti. In conclusione X4 si dimostra un’auto matura e con una forte personalità, pensata per distinguersi senza arrivare all’eccentricità della sorella maggiore X6. La motorizzazione da scegliere è senza dubbio la nuova 20d abbinata all’automatico a otto marce, un’accoppiata che garantisce tutto lo spunto che serve, con consumi contenuti in realazione alla categoria di vettura. Scegliere i sei cilindri benzina o diesel del resto porta i prezzi a lievitare, proiettando pericolosamente la X4 nel terreno di azione della temibile Porsche Macan. 14 15 16 17 PROVA SU STRADA Citroen C4 Cactus Intelligenza acuta La nuova Citroen C4 Cactus è un’auto che fa di necessità virtù: adotta soluzioni tecniche semplici ma intelligenti, che fanno scendere il peso ma anche i consumi ed i prezzi. Simpatico e divertente il design, peccato per qualche plastica troppo dura di Matteo Valenti 18 19 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica euro (anche perché in alcuni casi c’è la possibilità di avere il 4x4, a differenza della Cactus). Dal vivo: com’è fuori Media C itroen lancia una nuova sfida: costruire un’auto molto accessibile dal punto di vista dei costi ma che allo stesso tempo sappia essere anche originale, fuori dagli schemi e dotata di tutte le più moderne tecnologie. E come se non bastasse poco assetata di carburante, comoda e pure spaziosa. È così che il Double Chevron ha tirato fuori dal cilindro la nuovissima Citroen C4 Cactus, un’auto che (per una volta) rimane fedele al curioso concept a cui si è ispirata, presentato meno di un anno fa al Salone di Francoforte (molto lontana invece dal prototipo C-Cactus del 2007, di cui mantiene soltanto il nome). Non ha la trazione integrale, nemmeno a richiesta, ma ha tutte le carte in regola per essere considerata come una crossover compatta. E infatti in Citroen ci scommettono: le principali 20 La C4 Cactus ha il pregio di essere rimasta molto fedele al concept da cui ha preso ispirazione. Rimangono quindi le forme morbide ed originali anticipate dal prototipo, così come i curiosi Airbump, protezioni in materiale plastico (poliuterano termoplastico) con una serie di cuscinetti pieni d’aria che proteggono parti di carrozzeria dagli urti quotidiani. Una soluzione semplice ma allo stesso tempo intelligente, che ha influito anche sul design della vettura, conferendole un’aria tutto sommato simpatica ed avventurosa. Merito senza dubbio anche dei grandi cerchi in lega da 17 pollici (sulle versioni di accesso alla gamma sono da 16), dei vistosi passaruota e di una discreta altezza da terra, tutte caratteristiche che rendono la Cactus assimilabile alla famiglia delle crossover compatte pur non disponendo di trazione integrale. Molto divertente il frontale, grazie a forme arrotondate, mai taglienti o aggressive tanto che sono stati direttamente i vertici Citroen a confessarci che volevano ottenere “un design opposto a quello – molto più affilato - della Nissan Juke”. Simaptica la disposizione dei gruppi ottici: in alto si fanno notare i led per illuminazione diurna che danno un tocco di sofisticatezza, più in basso invece e in una zona ben distinta si trova il gruppo abbaglianti/anabbaglianti (con classiche luci alogene). Airbump: sono davvero utili Gli accoppiamenti di carrozzeria sono ben realizzati e anche quando le superfici in acciaio incontrano quelle in materiale plastico non si notano assemblaggi anomali o imperfetti. Gli Airbump laterali sono davvero morbidi e offrono reale protezione agli sportelli in caso di piccoli urti (contro Guarda la video prova concorrenti saranno Nissan Juke, Peugeot 2008 e Renault Captur e perché no anche la Ford EcoSport. Budget sotto controllo Prima del design - è risaputo - ad attirare i clienti in concessionaria è senza dubbio il prezzo (vedi il fenomeno Dacia Duster). Ed è qui che la C4 Cactus sfodera orgogliosamente una cifra d’attacco pari a 14.950 euro, una soglia di partenza davvero interessante se consideriamo che per avere una Peugeot 2008 servono lameno 15.400 euro, che per una Renault Captur si parte da 16.450 euro, mentre per una Nissan Juke ci vogliono addirittura da 16.650. In ogni caso, anche scegliendo la versione top di gamma Shine, con il più costoso motore diesel e il cambio automatico Cactus non supera i 21.750, mentre alcune delle sue concorrenti si spingono anche oltre i 25.000 21 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica L’abitacolo della C4 Cactus vuole essere un inno all’originalità, con soluzioni da un lato fuori dagli schemi dall’altro capaci di far risparmiare un bel po’ di peso la portiera di un’altra auto o dal classico carrello della spesa che scivola contro l’auto) grazie a cuscinetti d’aria davvero morbidi. Meno pregevoli al tatto appaiono invece le superfici plastiche posteriori e anteriori, che ricoprono vaste porzioni di carrozzeria, ma che appaiono molto più rigide. Dal vivo: com’è dentro Anche l’abitacolo della C4 Cactus vuole essere un inno all’originalità, con soluzioni da un lato fuori dagli schemi dall’altro capaci di far risparmiare un bel po’ di peso a tutto vantaggio del contenimento di consumi ed emissioni. Al centro della plancia spicca un bel display touch in stile tablet da 7 pollici attraverso cui si controllano tutte le finzioni della vettura, dal climatizzatore al navigatore. Questo ha permesso di liberare quasi completamente la plancia ed il tunnel da qualsiasi tipo di tasto, con un bell’effetto scenico, anche se a volte può creare qualche grattacapo. Mentre si utilizza il navigatore per esempio non 22 sono a disposizione i tasti per regolare il clima, quindi anche per variare la velocità della ventola o per abbassare di un solo grado la temperatura è necessario entrare in una nuova schermata. Un’operazione banale che però rischia di distrarre eccessivamente, anche perché il software non risponde ai comandi del touch in maniera istantanea. Piacevole il Sofà anteriore, ma niente contagiri Anche la strumentazione lato guida è completamente digitale, chiara sempre ben leggibile e con un design accattivante. Peccato solo che non offra, nemmeno a richiesta, il contagiri ma soltanto l’indicatore di cambiata per la marcia ideale (anche in scalata) che secondo i tecnici Citroen – “lo confermano indagini di mercato” ci dicono – è più che sufficiente per i clienti Cactus. Davvero originali poi i sedili anteriori Sofà con appoggiagomito integrato nello schienale che creano una 23 24 25 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prove Periodico elettronico di informazione motociclistica permesso di risparmiare qualche altro chilo di peso. Gli interni appagano molto lo sguardo grazie ad un design davvero piacevole e soluzioni simpatiche (una su tutte la cinghia in pelle per chiudere gli sportelli). I due display di seri danno un tocco di tecnologia, mentre le plastiche appaiono, specialmente in alcune zone, troppo dure e non troppo piacevoli al tatto. Ideale in città. Bagagliaio ok Con una lunghezza di poco più di 4 metri ed una larghezza di circa 1,7 metri (415 e 172 cm per l’esattezza) C4 Cactus è a tutti gli effetti un’auto compatta, quindi ideale anche per l’uso quotidiano in città. Nonostante l’aspetto da crossover l’altezza si ferma a quota 1,5 metri (149 cm), un po’ più in basso quindi rispetto ai 155 cm di Peugeot 2008 e ai 156 di Nissan Juke e Renault Captur. Abbondante invece il passo, che tocca quota 259 cm grazie a sbalzi piuttosto limitati sia davanti che dietro e che riesce a regalare un sorta di unico divanetto, molto intimo e piacevole. Peccato sia disponibile solo con le versioni con cambio automatico ETG perché altrimenti in mezzo ai due sedili trova spazio per forza di cose la leva del cambio manuale. La scelta di stivare l’airbag lato passeggero nel tetto (Airbag in Roof) ha permesso di risparmiare un bel pò di spazio nella plancia dove è stato ricavato un pratico vano, abbastanza profondo, chiamato Top Box con apertura dall’alto. Grazie a questa soluzione intelligente risulta davvero abbondante lo spazio per chi viaggia davanti, soprattutto per le gambe, tanto che si avverte un senso di grande ariosità. L’unico effetto collaterale è che l’airbag nel tetto ha costretto ad avere un controsoffitto abbastanza spesso, che, una volta regolato il sedile, finisce per trovarsi molto vicino alla testa, soprattutto del guidatore. 26 discreto spazio per le gambe ai passeggeri posteriori. Il bagagliaio offre 348 litri di capacità, un valore decisamente in linea con la concorrenza (350 Captur e 2008, 354 per la Juke restyling) e che permette senza problemi di sistemare due valige più altre borse, offrendo spazio di carico sufficiente a quattro passeggeri. Abbattendo i sedili si possono arrivare ad avere 1.170 litri, anche se avendo scelto per uno schienale abbattibile in un pezzo unico e non con un classico frazionamento 40/60 non si ottiene una superficie di carico piana, con i sedili abbattuti che rubano un po’ di spazio utile. Un po’ troppo alta la soglia di carico. - 200 kg rispetto alla C4, ttimizzando la Piattaforma 1 Gli sforzi dei tecnici per risparmiare peso un po’ ovunque sono stati ripagati dal momento che la Cactus arriva a pesare 200 kg in meno rispetto alla C4 da cui deriva, fermando l’ago della Tante innovazioni per dimagrire Salendo dietro troviamo altre due innovazioni curiose: la prima sono i vetri con apertura a compasso, mentre la seconda è rappresentata dal divanetto posteriore realizzato in un pezzo unico. Soluzioni che hanno permesso di risparmiare un bel po’ di peso senza compromettere troppo il confort, considerata la frequenza con cui si abbassano i vetri dietro o si abbattono gli schienali posteriori. Chiude il cerchio il tetto in vetro panoramico (600 euro), che racchiude un’altra innovazione: uno speciale trattamento lo ha trasformato in una superficie trasparente ad alta protezione termica, in grado di filtrare il 99,9% dei raggi UV. Questo significa che la luce penetra nell’abitacolo ma il caldo o il freddo restano fuori senza bisogno di installare tendine oscuranti o parasole: l’ennesimo accorgimento che ha 27 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito bilancia ad un minimo di 965 kg (1.2 VTi 75 CV), un ottimo risultato che ha permesso di installare motori di piccola cilindrata senza compromettere troppo le prestazioni e favorendo il contenimento dei consumi. Un traguardo ancora più sorprendente perché ottenuto ottimizzando peraltro un pianale esistente e con qualche anno già sulle spalle (la Piattaforma 1 di PSA, utilizzata per esempio da Citroen C3, Peugeot 208 ecc.). Versione base: è ricchissima, ma non ha il clima. Abbiamo visto come la Cactus sia un’auto che punta molto sul prezzo ma la domanda resta sempre la stessa: cosa mi porto a casa pagando 14.950 euro? La versione base Live in questo caso offre un equipaggiamento già piuttosto completo, con una sola piccola nota stonata. Di serie c’è più dell’indispensabile come lo schermo touch centrale da 7 pollici, le luci diurne a led, i comandi al volante, i vetri elettrici anteriori, la radio con due casse. C’è perfino il limitatore di 28 Periodico elettronico di informazione motociclistica Prove velocità con cruise control, l’Hill Assist e i comandi al volante, ma con una grave mancanza: il climatizzatore sulla versione base non c’è, nemmeno quello manuale, che si paga a parte ben 900 euro. Un’auto dalla forte personalità stilistica come la Cactus non può fare a meno di giocare con le personalizzazioni. Si possono scegliere 10 tinte esterne per la carrozzeria, da combinare con quattro differenti colori di Airbump (quelli neri sono senza sovraprezzo, gli altri richiedono l’aggiunta di 200 euro) e diverse tinte per cover degli specchietti e barre sul tetto. Inoltre si possono scegliere 7 diverse armonie nell’abitacolo (giocando con colori e materiali), che permettono di creare pregevoli combinazioni di colore tra interno ed esterno. Motorizzazioni: diesel e benzina per tutti i gusti Grazie ad un peso molto contenuto, nonostante le dimensioni, gli ingegneri Peugeot hanno avuto la possibilità di attingere a motori di piccola 29 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito cubatura, poco assetati di carburante. La gamma a benzina si basa sul tre cilindri 1.2 disponibile nelle versioni aspirate VTi da 75 CV adatta anche a neopatentati (4,6 l/100 km, 107 g/CO2), 82 CV, anche con cambio automatico ETG5, (4,3 – 4,6 l/100 km, 98 -107 g/km CO2) e nella decisamente più brillante variante turbo e-THP da 110 CV, già Euro 6 (4,6 – 4,7 l/100 km, 107 g/ km CO2). Disponibili anche i collaudati diesel 1.6 nella versione e-HDi da 92 CV, offerto soltanto in abbinamento al cambio automatico ETG6 (3,5 – 3,6 l/100 km, 92 – 94 g/km CO2), e nella variante BlueHDi da 100 CV già immatricolata Euro 6 (3,4 l/100 km, 87 -89 g/km CO2). 30 Prove Periodico elettronico di informazione motociclistica 1.2 e-THP 110 CV: le nostre impressioni di guida Iniziamo a conoscere la Cactus partendo dalla versione a benzina che monta il nuovo tre cilindri turbo 1.2 e-THP da 110 CV, un motore che abbiamo già avuto modo di apprezzare su Peugeot 308 SW. La prima cosa che ci colpisce sono senza dubbi i sedili anteriori (lato guida si dispone anche della regolazione in altezza, ma non di quella lombare), davvero ampi e soffici ma non eccessivamente morbidi: in una parola davvero comodissimi, anche per i lunghi viaggi. L’abitabilità è davvero ottima davanti, specialmente per il passeggero che può sfruttare tutti i vantaggi dell’Airbag in Roof che lascia tantissimo spazio per le gambe. Dietro la faccenda cambia: in due si sta abbastanza comodi, anche se i più alti potrebbero arrivare a sfiorare con la testa il padiglione, specialmente se dotato di tetto panoramico. Buono invece lo spazio per le ginocchia, mentre il terzo passeggero centrale, un po’ più sacrificato, può trovare un pavimento quasi piatto (c’è in realtà un piccolo tunnel centrale, ma è appena accennato). Purtroppo il volante è regolabile soltanto in altezza e non in profondità, una soluzione che al giorno d’oggi si fatica a trovare anche su auto di categoria inferiore come le citycar. Diamo vita al piccolo 1.2 turbo benzina che ci mette davvero pochissimo a far conoscere la sua vera natura. Il sound, inutile dirlo, è quello “da frullino” tipico del tre cilindri anche se il rumore non penetra mai eccessivamente all’interno dell’abitacolo, complice una buona insonorizzazione. L’e-THP da 110 CV si dimostra vivace fin dai primi giri, complice una buona coppia di 205 Nm disponibile già a 1.500 giri, e in grado di spingere la Cactus in maniera frizzante, anche quando bisogna effettuare qualche sorpasso. È un motore molto rotondo, con un erogazione lineare nonostante la presenza della sovralimentazione ma vispo sia in accelerazione che in ripresa, che si sposa molto bene con il manuale a cinque rapporti, dagli innesti forse un po’ lunghi ma davvero precisi e capaci di trasmettere un senso di buona qualità. Lo sterzo è davvero leggero e morbido alle basse andature, ideale per muoversi agilmente in città, ma non cade nel difetto di risultare poco consistente nemmeno in autostrada, a velocità di codice. Buona la frenata, con mordente a sufficienza anche per le situazioni difficili, mentre le sospensioni, appaiono un po’ troppo rigide su sconnessioni e dossi, complici anche i grandi cerchi in lega da 17 con pneumatici 205/50. Sacrificando lievemente il confort, soprattutto di chi sta dietro, gli uomini Citroen sono riusciti però a dare grande stabilità ad un’auto piuttosto alta da terra, che anche in curva o nei cambi di direzione più bruschi riesce a non scomporsi e a rimanere ben piantata per terra, sempre sicura nelle mani del guidatore. Nel complesso si ha sempre l’idea di guidare un’auto molto facile ed immediata, ma anche davvero maneggevole, grazie al peso contenuto che trasmette sicurezza e disinvoltura alla guida. 1.6 e-HDi ETG6: le nostre impressioni di guida La prima cosa che attira l’attenzione sulla versione diesel automatica è l’assenza della leva del cambio, sostituita da tre semplici tasti di grandi dimensioni (solo D, N e R) collocati nella zona inferiore della console. Questo ha permesso di 31 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Prove aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb dare vita all’originale divano anteriore Sofà, piacevole alla vista anche se difficilmente sfruttabile in condizioni reali nella zona centrale. Il motore lo conosciamo bene: è il collaudato 1.6 e-HDi da 92 CV, poco rumoroso (anche se rispetto al benzina si fa sentire molto di più nell’abitacolo) e soprattutto davvero pronto in basso grazie a 230 Nm di coppia erogati già a 1.750 giri/min. Tirando le somme è un unità che regala una spinta ancora più vigorosa rispetto al turbo benzina, a patto di accettare qualche decibel in più all’interno. Questa vivacità in ripresa ed accelerazione è in parte vanificata però dal cambio automatico ETG a sei marce, specialmente quando si chiede tutto alla vettura. Questo robotizzato infatti è un elemento un po’ controverso. Da un lato ha il vantaggio di essere piuttosto semplice a livello costruttivo, quindi mette sul piatto la promessa di essere 32 molto più affidabile nel tempo dei più moderni automatici (doppia frizione, convertitori di coppia ecc.), ma dall’altro risulta davvero troppo lento e poco confortevole nelle fasi di cambiata, con qualche strattone eccessivo. Le cose migliorano nettamente quando si viaggia senza fretta perché in questi frangenti l’ETG6 mostra il suo volto migliore, ovvero quello di un cambio “da passeggio”. Procedendo con un filo di gas gli innesti delle marce diventano molto più dolci (ma comunque non più veloci) e quasi impercettibili, divenendo addirittura confortevole. Consumi: si fanno i 20 km con 1 litro senza problemi Il grosso lavoro di alleggerimento viene ripagato a pieni voti non solo dalla grande maneggevolezza ma anche in termini di consumi, che risultano 33 34 35 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica davvero bassissimi. Su un percorso misto, fatto di strade extra-ubrane, traffico cittadino e autostrade, con il turbo benzina 1.2 e-THP da 110 CV, senza esagerare con il gas, abbiamo strappato una media inferiore ai 5,0 l/100 km, un risultato grandioso, superiore ai 20 km/l, che ci ha davvero sorpreso, soprattutto su un’auto alta da terra dove l’aerodinamica non aiuta più di tanto (Cx 0,32). Ancora meglio con il diesel 1,6 e-HDi da 92. Nonostante la presenza di un cambio automatico come l’ETG, che di certo non favorisce i consumi, siamo riusciti a strappare un ottimo 4,7 l/100 km. Un risultato davvero convincente, che non può far altro che scendere ulteriormente con l’efficientissimo 1.6 Blue-HDi con cambio manuale. Conclusioni Visto il divario di prezzo (tra il benzina e il diesel a parità di allestimento ballano almeno 1.800 euro), consigliamo a occhi chiusi di scegliere il 1.2 e-THP turbo benzina da 110 CV. Un motore davvero ben riuscito, che manda in pensione la sonnolenza degli aspirati, regalando al tempo stesso consumi da record e molta più silenziosità rispetto al diesel. Cactus in definitiva si dimostra un’auto davvero intelligente, che fa di necessità virtù. Scelte controcorrente come i vetri posteriori con apertura a compasso, o il divanetto realizzato in un pezzo unico hanno permesso da un lato di contenere i costi, dall’altro di contenere davvero molto il peso, a tutto vantaggio dei consumi e della maneggevolezza. Il tutto è condito con un’auto davvero simpatica e originale, con cui è possibile a farsi notare grazie ad un design fuori dagli schemi, soluzioni innovative come gli Airbump e possibilità di personalizzazione cromatiche divertenti. 36 BROCHURE, TEST DRIVE, TUTTO SU: Citroen C4 Cactus Sfoglia i cataloghi in PDF Brochure Configuratore della Casa » Sito Dedicato » Virtual Tour » Finanziamenti » Guarda tutti gli allestimenti » Trovala dai concessionari » 37 PROVA SU STRADA Seat Leon ST 4Drive Più veloce e sicura con il 4x4 La nuova Seat Leon ST 4Drive, grazie alla trazione integrale, diventa ancora più stabile e sicura. Il bagagliaio non perde capacità, ma si può scegliere un solo allestimento di Emiliano Perucca Orfei 38 39 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica utile che possono passare a 1.470 abbassando progressivamente gli schienali posteriori. Un vano pensato per essere davvero pratico, non solo per via dell’altezza della soglia d’accesso (65 cm) o per la larghezza della bocca di carico ma anche per via della presenza di sistemi di trattenuta degli oggetti, tra gli anelli nel pavimento ed i ganci sulle sponde. Media Motorizzazioni: 1.6 e 2.0 TDI Due le motorizzazioni disponibili in Italia per la nuova declinazione “integrale” della Leon, entrambe a gasolio: la prima, il 1.6 TDI da 105 CV e 250 Nm di coppia massima, consuma 4,5 litri di gasolio ogni 100 km ed emette 119 g/km di CO2. 187 km/h la velocità massima, 12 secondi netti lo 0-100 km/h. Il 2.0 TDI, invece, rappresenta il top di gamma con una potenza massima di 150 CV, una coppia di 320 Nm e valori prestazionali nell’ordine dei 8,7 secondi per lo 0-100 km/h I l Gruppo Volkswagen vanta una forte tradizione nell’ambito delle vetture a quattro ruote motrici ed era quindi scontato che anche per la Seat Leon ST 4Drive (in listino a partire da 24.980 euro) sarebbe prima o poi arrivato il giorno del debutto. Una vettura che si può considerare tendenzialmente di nicchia nel nostro Paese, soprattutto lontano dalle regioni più a nord, ma che offre risposte ad una clientela alla ricerca di sintesi tra sicurezza, performance, spazio, look piacevole e prezzo. Rispetto alla normale ST la 4Drive non varia di una virgola sotto il profilo estetico: lunga 454 cm, larga 182 ed alta 145 (passo 262) la nuova SW a trazione integrale mantiene la stessa altezza da terra delle versioni a trazione anteriore, lo stesso tetto spiovente, la fiancata segnata da profonde nervature ed il 40 e 211 km/h di velocità massima. 4,8 l/100 km il consumo di carburante, 124 g/km il valore di emissione di CO2. Per quanto riguarda il sistema di trazione integrale, come dicevamo all’inizio, il Gruppo Volkswagen vanta una grande tradizione in termini di 4x4 ed anche per la Leon 4Drive è stato scelto lo schema Haldex con frizione multidisco a comando idraulico e controllo elettronico. Dal vivo: com’è fuori La nuova Leon è un’auto dal look forse meno personale rispetto alle generazioni che l’hanno preceduta ma allo stesso tempo decisamente più razionale ed in grado di strizzare l’occhio ad un bacino d’utenza decisamente più ampio. Come la berlina anche la ST conserva un profilo della fiancata molto filante, grazie ad una coda ben integrata allo stile originale della vettura, ed allo stesso tempo mantiene forte profilo led anteriore che identifica inequivocabilmente anche lo sguardo delle Leon a tre e cinque porte. Anche dentro le novità rispetto alle Leon ST standard sono inesistenti. Fatta eccezione per la leva del cambio, dove appare il logo 4Drive, tutto il resto è sostanzialmente identico alle altre Leon: la plancia è sempre quella avvolgente e “driver oriented” che troviamo anche sulla berlina, con uno schermo da 5” touch attraverso la quale si “guida” la multimedialità di bordo. Per chi volesse qualcosa in più, la Style (unico allestimento disponibile) offre come optional anche un più sofisticato sistema touch da 5,8” con sensore di prossimità che al proprio interno integra anche il navigatore satellitare. Anche la capacità del bagagliaio rimane identica a quella delle versioni 2WD: l’arrivo del differenziale posteriore, dunque, non ha tolto nulla ai 587 litri di carico 41 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica Su strada: le nostre impressioni di guida La quinta generazione del sistema Haldex dimostra di essere molto a punto sotto il profilo della qualità di guida. La presenza della trazione integrale, in condizioni di perfetta aderenza, è assolutamente impercettibile: non si sente ma soprattutto non modifica in alcun modo le qualità di guida della Leon. Sembra di guidare la normale versione a trazione anteriore. La presenza della trazione integrale, invece, viene fuori quando si guida su fondi a scarsa aderenza o quando si dà affondo ai 320 Nm di coppia disponibile in uscita dalle curve più strette: al posto di risconoscibilità nottura (e diurna) grazie ad uno sviluppo dei led particolarmente azzeccato e caratteristico di questo modello. Inutile cercare differenze tra la ST 2WD e quella a quattro ruote motrici: non ce ne sono. Dal vivo: com’è dentro Il livello qualitativo è sostanzialmente lo stesso della cugina Volkswagen Golf VII. A cambiare è lo stile della plancia, più squadrato quello della Leon, mentre per quanto concerne posizione di guida, possibilità di regolazione, funzionalità e comandi non v’è alcuna differenza tra la compatta spagnola e quella di Wolfsburg. In Seat, insomma, fanno davvero sul serio e la scelta di limitare l’allestimento della 4Drive alla Style, vista la tipologia di prodotto, risulta azzeccata: c’è 42 tagliare inevitabilmente potenza il sistema 4WD sposta la coppia dall’asse anteriore a quello posteriore assicurando non solo performance ma anche grande sicurezza. Il passaggio di coppia dall’asse anteriore a quello posteriore avviene in modo molto rapido ma allo stesso tempo dolce e soprattutto senza alcun tipo di ripercussione sulla dinamica della vettura che rimane sempre un po’ sottosterzante. Un’auto molto sicura, che ha dimostrato di avere una performance davvero buona se abbinata al 2.0 TDI e discreta con il 1.6 TDI: il più generoso dei due motori in listino, dopo l’aggiornamento con il sistema di iniezione common rail, dimostra di essere molto davvero tutto quello che serve e se si vuole qualcosa in più si può ampliare il pacchetto tecnologico con un sistema multimediale più sofisticato e comprensivo di un navigatore molto completo. Lo spazio a bordo è molto ampio per chi siede davanti, buono per i passeggeri posteirori ed un po’ limitato per il quinto passeggero: una condizione che comunque si ritrova anche nelle varianti a tre e cinque porte visto e considerato che il tunnel di passaggio dell’albero di trasmissione è presente in tutte le carrozzerie indipendentemente dalla tipologia di motore. Niente male il bagagliaio: l’apertura è ampia e la soglia d’accesso relativamente bassa. Si carica di tutto e di più ed anche se si carica “poco” è possibile ancorare gli oggetti attraverso specifici attacchi sul pavimento e sulle sponde del bagagliaio. 43 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito 44 Periodico elettronico di informazione motociclistica Prove 45 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Prova Periodico elettronico di informazione motociclistica sfruttabile a tutti i regimi, discretamente silenzioso e perfettamente intonato al cambio a doppia frizione DSG che si può avere come alternativa al manuale. Basso il consumo, visto che abbiamo registrato medie prossime ai 6,2 l/100 km. Il 1.6 TDI si conferma un buon motore: il consumo è leggermente inferiore, circa 5,9 l/100 km, ma per ottenerlo occorre non forzare col gas ed accontentarsi della prestazione: in soldoni se si pensa alla Leon ST 4Drive come compagna d’avventura per weekend in montagna, magari a pieno carico, i 105 CV del motore 1.6 TDI potrebbero non essere in linea con le aspettative. In conclusione La nuova Leon ST 4Drive conferma tutti i valori delle ST e delle Leon standard aggiungendo alcuni “più” alla voce sicurezza e performance grazie ad una trazione integrale molto a punto ed un allestimento interessante. Rimane una certa titubanza del pubblico nei confronti del marchio Seat anche se la cosa sta pian piano passando: sono sempre di più i clienti in Italia a testimonzianza del fatto che le ultime scelte fatte sotto il profilo estetico stanno portando ottimi frutti. 46 BROCHURE, TEST DRIVE, TUTTO SU: Seat Leon ST 4Drive Sfoglia i cataloghi in PDF Brochure Configuratore della Casa » Test drive » Virtual tour » Store online » Guarda tutti gli allestimenti » Trovala dai concessionari » 47 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Attualità Periodico elettronico di informazione motociclistica Mercedes-AMG e MV Agusta aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa anticipiamo i dettagli dell’accordo bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb di Ippolito Fassati | Pubblichiamo in anteprima le novità dell’accordo che, salvo improvvisi cambiamenti, dovrebbe legare la Mercedes-AMG alla MV Agusta, attraverso una forte partnership che include l’acquisizione di una quota di minoranza del capitale dell’azienda motociclistica, che resterebbe quindi italiana S ebbene fino ad oggi tutte le voci relative all’acquisizione di MV Agusta da parte di Mercedes-Benz siano state ufficialmente smentite, le informazioni in nostro possesso ci danno modo di fornire importanti aggiornamenti sulla soluzione di questo prestigioso matrimonio. Che il gigante tedesco sia attratto dal mondo delle due ruote non è un mistero. Certa è la partnership del 2010 con la Ducati che, secondo molti, avrebbe dovuto portare all’acquisizione dell’azienda di Borgo Panigale. Invece sappiamo tutti com’è andata a finire: Audi ha bruciato sul tempo la storica rivale e ha fatto propria la Ducati. Mercedes-Benz non è però rimasta con le mani in mano e, anzi, ha iniziato a collaborare con la MV Agusta. Ricordiamo il video di lancio nel 2013 della brutale Classe A 45 AMG, affiancata guarda caso proprio da una MV Agusta F3 800. Allora le due aziende negarono ogni sorta di accordo, ma la nuova coppia italo-tedesca destò comunque scalpore. Da quel giorno si sono lette le più disparate ipotesi sugli scenari futuri che legherebbero la Casa di Stoccarda alle moto. Mercedes-Benz - MV Agusta: matrimonio entro l’anno Ciò che invece possiamo oggi anticipare grazie alle nostre fonti, salvo cambi di rotta dell’ultim’ora, è che entro l’anno dovrebbe essere effettivamente annunciata la partnership tra AMG e MV Agusta, ivi inclusa l’acquisizione di una quota di 48 minoranza, ma comunque importante (intorno al 15-20%) della casa varesina, senza alcun piano già definito di takeover da parte dei tedeschi. MV Agusta resterebbe quindi un’azienda italiana. L’operazione, un po’ come Audi che ha acquisito Ducati attraverso la Lamborghini, dovrebbe riguardare il marchio sportivo di Mercedes-Benz, la Mercedes-AMG, che condivide con MV Agusta un gran numero di valori: sportivo, di eccellenza tecnologica e di forte immagine prestazionale. L’obiettivo della partnership è di stabilire una relazione duratura tra le due aziende basata su molti asset: marketing, commerciale, finanziario, oltre che naturalmente tecnologico e di design. Mercedes-AMG gode infatti di autonomia assoluta rispetto a Mercedes-Benz su questi aspetti e lo slogan “Driving performances” la dice lunga sulla stretta relazione che avrebbero le due aziende visti i loro prodotti e la loro storia fatta di vittorie. Il brand motociclistico italiano godrebbe da subito di una serie di opportunità in termini di liquidità, comunicazione, marketing, reti vendita e know-how tecnologico, che consentirebbe di accelerare il coraggioso e valido processo di ristrutturazione avviato da Giovanni Castiglioni solo pochi anni fa. MV Agusta, dopo aver chiuso il 2013 con un incremento del fatturato pari al 20%, nel primo trimestre 2014 ha registrato un’ulteriore crescita del 22% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Questo risultato positivo è merito soprattutto dei nuovi modelli Rivale 800 e Brutale 800 Dragster, che bbbbbbbbbbbbbbb stanno riscuotendo un successo fin superiore alle aspettative. Quali sono le aspettative Mercedes-AMG, attraverso il matrimonio con MV avrebbe modo di avvicinarsi ulteriormente ad un pubblico più giovane e dinamico, a cui si rivolgono diversi modelli della rinnovata gamma (su tutti la Classe A AMG, la CLA AMG e la GLA AMG), oggi più “accessibili” ma sempre emozionanti, grazie al nuovo incredibile quattro cilindri due litri turbo da 360 cavalli. In secondo luogo la Mercedes-Benz colmerebbe il gap con le rivali storiche del segmento premium; infatti sia BMW che Audi hanno oggi la loro divisione moto (con BMW Motorrad e Ducati). Senza dimenticarci che AMG e MV Agusta sono marchi universalmente riconosciuti nell’olimpo sportivo per l’impegno e le vittorie raccolte sulle piste di tutto il mondo e dunque, anche da un punto di vista di competizioni, l’accordo, oltre che grande prestigio, potrebbe portare interessanti sviluppi (basti dire che Christian “Toto” Wolff, 42 anni, siede nel Board di AMG ma è anche responsabile di tutte le attività sportive, inclusi F1 e DTM, di M-B, oltre che azionista della Williams…). Non trovano invece alcuna conferma le voci di un coinvolgimento del fondo Investindustrial e della famiglia Bonomi, proprietari di Aston Martin, di cui Mercedes-Benz deteniene il 5% del capitale. Più volte associati a questa partnership per via della precedente esperienza in Ducati, i Bonomi non rientrerebbero in alcun modo nell’operazione. Ora i tempi paiono maturi per l’accordo tra le due Case. La data ideale sarebbe indubbiamente l’Eicma, il più importante Salone internazionale dedicato alle moto, quale migliore occasione quindi per annunciare il nobile matrimonio. 49 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Iniziativa sicurezza Periodico elettronico di informazione motociclistica aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa “SicuraMente”, prima puntata “Siamo noi a fare la differenza” bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb Al tema della sicurezza stradale Automoto.it e Moto.it dedicano il programma “SicuraMente”, condotto da Nico Cereghini e Marco Della Noce. Ospiti in studio: Federica Deledda (Polizia Stradale), Michele Crisci (Volvo Car Italia) e il Prof. Luigi Rainero Fassati (medico chirurgo e scrittore) A lla sicurezza stradale non si dedicano mai abbastanza energie. Automoto.it e Moto.it hanno realizzato “Sicuramente”, un inedito format di cinque puntate dedicato ai temi culturali, sociali, tecnologici e normativi legati alla sicurezza sulle nostre strada proprio per aggiungere qualche elemento utile in più. In questa prima puntata si parla degli obiettivi primari della sicurezza sulle nostre strade, dell’importanza dell’evoluzione tecnica delle auto come delle moto per quanto riguarda gli attuali sistemi di sicurezza attiva, passiva e di come l’industria dell’auto sta sviluppando soluzioni in grado di prevenire le collisioni con altri veicoli e gli investimenti di pedoni. 50 Ma tutto comincia dal rispetto delle regole e degli altri utenti della strada, la tecnologia ci aiuta ma la responsabilità individuale, le nostre scelte, è al primo posto. Gli ospiti in studio intervistati da Nico Cereghini sono Federica Deledda, Dirigente della sezione della Polizia Stradale di Cremona, Michele Crisci, Amministratore Delegato di Volvo Car Italia, e il professor Luigi Rainero Fassati, medico chirurgo e scrittore. Tutti specialisti nel proprio ambito. A condurre il programma assieme a Nico c’è Marco Della Noce, conosciuto come comico ma da molti anni impegnato proprio sul fronte dell’educazione alla sicurezza stradale. I contributi video di questa puntata mostrano i rischi che si corrono da automobilisti, motociclisti e pedoni. Immagini a volte forti, ma utile a comprendere la vitale importanza di un argomento da molti sottovalutato. Nella prossima puntata di giovedì 18 settembre, affronteremo il tema dell’eccessiva velocità, che ancora oggi causa moltissimi, troppi, incidenti, mentre giovedì 25 settembre metteremo sul tavolo la questione dell’alcool e delle distrazioni alla guida, due vere e proprie piaghe sociali, capaci di creare gravi incidenti a volte anche fatali. Il 2 ottobre verrà pubblicata una puntata sull’importanza della frenata e del controllo del veicolo, mentre il 9 ottobre chiuderemo con il tema delle infrastrutture, fondamentale da affrontare in un Paese come l’Italia dove spesso le condizioni delle strade lasciano fin troppo a desiderare. 51 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione motociclistica Prototipo per modo di dire Media Per la verità il prototipo rivela forme già pressoché definitive, anche perché il modello è già stato presentato in Cina con il nome di XR-V ed in Giappone con il nome Vezel. Negli Stati Uniti e, in futuro, in Europa, quest’auto invece prenderà il nome HR-V, sigla a noi familiare perché già adottata dal curioso crossover Honda degli anni 2000. A Parigi viene dunque mostrata una versione che anticipa le specifiche europee del modello, che comunque non sembra differire poi molto dalla versione asiatica. Basata sul pianale della futura Honda Jazz di nuova generazione, l’HR-V è a tutti gli effetti un crossover compatto, che vuole però stabilire nuovi punti di riferimento nella categoria in termini di abitabilità. Per ottenere più spazio gli ingegneri giapponesi hanno studiato soluzioni davvero all’avanguardia, installando per esempio il serbatoio del carburante sotto ai sedili anteriori. Gli interni disporranno poi del sistema Honda Magic Seats che permette di realizzare facilmente diverse configurazione dei sedili in modo da sfruttareal meglio lo spazio disponibile. E i motori? Al momento non sono stati ancora rivelati dettagli in merito alle motorizzazioni disponibili in Europa, ma non è difficile immaginare che sotto al cofano della HR-V di serie finirà il nuovissimo 1.6 i-DTEC turbo diesel, già approdato sulla nuova Civic e sulla CR-V, che potrebbe essere affiancato probabilmente da un 1.5 i-VTEC a benzina. La HR-V potrebbe arrivare sui nostri mercati già entro la fine dell’anno o, al più tardi, nei primi mesi del 2015. Honda HR-V Prototype anticipa il crossover compatto per l’Europa Al Salone dell’Auto di Parigi sarà presente l’inedita Honda HR-V prototype, un concept dalle forme prossoché definitive che anticipa l’imminente arrivo di un crossover compatto per l’Europa L a Casa della Grande H scopre le sue carte per il Salone dell’Auto di Parigi, in programma dal prossimo 2 ottobre, annunciando che sarà presente alla kermesse francese con l’inedita Honda HR-V prototype, un concept che anticipa le sembianze di un futuro crossover compatto destinato ai mercati europei. 52 53 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione motociclistica S arà tra le protagoniste dello stand della Casa biancoblu al prossimo Salone dell’Automobile di Parigi la BMW Serie 2 cabrio, di cui il costruttore tedesco ha rilasciato le prime immagini ed informazioni ufficiali. Derivata ovviamente dalla versione a tetto rigido, la BMW Serie 2 cabrio presenta una capotte in tela e, rispetto alla Serie 1 cabrio, si promette di riservare ai bagagli il 9% di spazio in più nella configurazione a tetto chiuso ed il 7% in più con il top ripiegato. Il tetto (che può essere reclinato sino ad una velocità di 30 km/h), di tipo multi-strato, necessita di 20 secondi di tempo per aprirsi o chiudersi ed è disponibile in tre diverse tonalità: nero, antracite con effetto marrone e marrone con effetto argento e rispetto a quello della Serie 1 cabrio dovrebbe essere in grado di garantire un maggior isolamento acustico: promessi 5 dB in meno all’anteriore e 7 dB in meno al posteriore. A muovere la BMW Serie 2 cabrio è, nella versione al top, ovvero la M235i, un sei cilindri in linea da 3.0 litri TwinPower Turbo in grado di sviluppare fino a 326 CV di potenza massima e 450 Nm di coppia, valori questi che sono in grado di accelerare da 0 a 100 km/h la scoperta dell’Elica Biancoblu in 5.2 secondi di tempo (5 secondi netti per la versione dotata di cambio automatico ad otto rapporti). La 220i è mossa invece da un 4 cilindri da 2.0 litri da 184 CV e 270 Nm, mentre la 228i è alimentata dallo stesso motore declinato però nella variante da 245 CV e 350 Nm e può essere ordinata in via opzionale con la trazione integrale xDrive. La 220d è invece mossa da un’unità a gasolio quadricilindrica da 2.0 litri in grado di sviluppare 190 CV di potenza e 400 Nm di coppia. L’arrivo sul mercato della BMW Serie 2 cabrio è previsto per la seconda metà di febbraio 2015 ad un prezzo sul mercato italiano ancora da comunicarsi. BMW Serie 2 cabrio Tra le protagoniste dello stand BMW al Salone di Parigi vi sarà anche la BMW Serie 2 cabrio. Ecco le immagini e i dati ufficiali 54 55 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione motociclistica Media ne connota il frontale, insieme a gruppi ottici di grandi dimensioni dotati di tecnologia LED, mentre le fiancate mettono in mostra le feritoie poste alle spalle dei passaruota anteriori (ospitanti cerchi da 19”, proposti anche nella misura da 20 sulla variante S) e due marcate nervature, che sconfinano verso una sezione posteriore dominata da gruppi ottici minimalistici (da 18 singoli LED) e da due terminali di scarico posti ai lati. Dentro: eleganza e sportività Aperta la portiera è possibile notare un ambiente molto elegante che mette in luce un volante a fondo piatto, quattro bocchette d’aerazione circolari e un sistema di infotainment con schermo da 7 o 8,4”, oltre ai sedili sportivi in misto pelle e tessuto e a dei particolari in metallo e in fibra di carbonio, insieme a un pannello di comando montato sul tetto che ospita i pulsanti per attivare il riscaldamento dei sedili e il sollevamento dell’ala posteriore. Due versioni La versione entry level della Mercedes AMG GT ospita al di sotto del cofano un V8 da 4.0 litri twin-turbo da 462 CV e 600 Nm di coppia, che in abbinamento ad un cambio a sette marce a doppia frizione permette alla sportiva di Stoccarda di scattare verso i 100 km/h con partenza da fermo in 4.0 secondi con partenza da fermo e di raggiungere una velocità massima di 304 km/h. La variante S della AMG GT propone invece una variante potenziata del V8 twin-turbo da 4.0 litri, ovvero quella da 510 CV di potenza e 650 Nm di coppia massima, che permette di coprire lo 0-100 km/h in 3.8 secondi di tempo e di far fermare la lancetta del tachimetro su una velocità massima di 310 km/h. Leggera e performante Onde massimizzare le performance, ridurre i consumi e le emissioni inquinanti, la Mercedes AMG GT è stata realizzata facendo ricorso ad un Mercedes AMG GT tutte le foto e le informazioni ufficiali La Casa di Stoccarda si prepara a far cadere i veli dalla Mercedes AMG GT, la supersportiva che prenderà il posto della SLS. La presentazione in diretta S ono caduti definitivamente i veli dalla Mercedes AMG GT, la nuova supercar della Casa di Stoccarda che si prefigge l’importante compito di andare a prendere in listino il posto attualmente occupato dalla forrtunata SLS AMG. Una sportiva che si prefigge il compito importante di mettere nel 56 mirino le più blasonate rivali e di strizzare l’occhio sia alle performance che alla fruizione quotidiana. Dovendone prendere il posto, la AMG GT riprende proporzioni e forme della SLS AMG, lasciando però a quest’ultima le iconiche portiere ad “ala di gabbiano” per fare posto a degli accessi a bordo più tradizionali. Una grande calandra 57 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica News aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb ampio mix di materiali, tra cui alluminio, acciaio e magnesio, permettendo così alla bilancia di far segnare un valore di 1.540 kg. La nuova sportiva di Stoccarda vanta inoltre un differenziale posteriore a bloccaggio meccanico, mentre la variante S è dotata di differenziale posteriore autobloccante elettronico, oltre che di un sistema di sospensioni sportivo di tipo Ride Control AMG, con ammortizzatori a regolazione elettronica settabili su tre diverse modalità: Comfort, Sport e Sport Plus. Entrambe le versioni sono dotate di un sistema di ammortizzamento del rollio allo scopo 58 di incrementare la precisione direzionale, inoltre gli acquirenti della AMG GT S possono anche ordinare un pacchetto opzionale denominato AMG Dynamic Plus che aggiunge supporti dinamici di motore e trasmissione. A frenare la Mercedes AMG GT sono dei dischi autoventilanti forati da 360 mm di diametro, mentre la AMG GT S adotta un impianto maggiorato da 390 millimetri. Opzionale l’impianto carbo-ceramico con dischi da 402 millimetri all’anteriore e da 360 mm al posteriore. 59 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione motociclistica frenata è in grado di far muovere la vettura ad emissioni zero durante le ripartenze. Il costruttore francese ha comunicato che sul prototipo sono previste differenti modalità di guida. Selezionando “Air” per muoversi si sfrutta, solamente l’energia generata dal sistema Hybrid Air, mentre scegliendo “Petrol” si decide di utilizzare eslclusivamente il motore a benzina tradizionale. Impostando la modalità “Combined” invece i due sistemi di propulsione collaborano in un sistema ibrido, richiedendo l’intervento del motore termico solo quando necessario. Oltre che in frenata il sistema Hybrid Air è in grado di ricaricarsi, rimandando in pressione l’aria compressa contenuta nei serbatoi, anche viaggiando a bassa velocità e sfruttando parte dell’energia prodotta dal motore termico a tre cilindri. Il costruttore ha precisato che, indipendentemente dal metodo di ricarica utilizzato, il sistema è in grado di ricaricarsi in dieci secondi. Questi enormi sforzi in Ricerca&Sviluppo sono portati avanti con una certa determinazione da Peugeot, con l’obiettivo di riusicire a realizzare entro il 2020 un’auto con consumi inferiori a 2 l/100 km, come richiesto dal Governo francese. Il primo modello di serie a montare la tecnologia ibrida Hybrid Air dovrebbe essere la 2008, ma solo nel 2016. Peugeot 208 HYbrid Air 2L concept apre la strada all’auto da 2 l/100km La Casa del Leone presenta la Peugeot 208 HYbrid Air 2L concept, prototipo spinto da motore tre cilindri PureTech e tecnologia Hybrid Air. Un’auto laboratorio dove si studia la possibilità di raggiungere la percorrenza di 2 litri per 100 km L a Casa del Leone ha annunciato che al prossimo Salone di Parigi, in programma dal prossimo 2 ottobre, sarà presentata l’inedita Peugeot 208 HYbrid Air 2L concept, prototipo che rappresenta un ulteriore evoluzione della 208 Hybrid FE concept mostrata a Ginevra lo scorso marzo. Rispetto alla 208 tre porte da cui deriva (980 kg), 60 questo prototipo pesa 100 kg in meno, un risultato ottenuto grazie all’uso massiccio di alluminio e compositi in fibra di carbonio. Mentre la versione tradizionale è spinta solo da un motore 1.2 PureTech a benzina da 82 CV il concept abbina questa unità tricilindrica alla tecnologia ibrida ad aria Hybrid Air sviluppata dal Gruppo PSA, che grazie all’energia idraulica accumulata in 61 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito News Periodico elettronico di informazione motociclistica della mascherina frontale, mentre un parabrezza stratificato si propone di promettere un maggior isolamento acustico. Come sempre ben curato, ma privo di eccessivi fronzoli, l’ambiente interno, che permette di osservare un volante a tre razze con comandi integrati ed una serie di elementi metallici vanno a caratterizzare la plancia, mentre la strumentazione analogica (dotata comunque di Head-Up Display) si va a contrapporre ad un sistema di infotainment dotato di display da 8 pollici. Il divano posteriore è caratterizzato da una ripartizione 60/40, mentre in via opzionale è possibile optare per una terza fila di sedili (configurazione 5+2) in grado di scomparire al di sotto del pavimento. Le dotazioni comprendono, tra le altre cose, rivestimenti in pelle, climatizzatore bi-zona e un impianto audio a 10 altoparlanti, inoltre, per tutte e tre le file di sedili, possono essere richieste fino a quattro prese a 12 Volt e sei USB, per la carica simultanea di più dispositivi elettronici. Sotto il profilo tecnico la nuova Discovery Sport lancia un nuovo assale posteriore multilink che si propone di offrire un ampio e flessibile spazio in cabina, dietro la seconda fila di sedili. Le sospensioni sono a corsa lunga, mentre gli angoli di attacco/dosso/uscita sono rispettivamente di 25, 31 e 21 gradi, strizzando così l’occhio all’offroad grazie anche al ricorso a tecnologie quali il Terrain Response, permettendo inoltre una profondità di guado di 600 mm. Dal punto di vista della sicurezza la nuova Land Rover Discovery Sport mette in campo un airbag a protezione dei pedoni e la frenata autonoma di emergenza. Al lancio la Discovery Sport disporrà di una gamma di propulsori a quattro cilindri turbocompressi, diesel e benzina. Sia il benzina Si4 da 2.0 litri in alluminio, che il turbodiesel da 2.2 litri, sono dotati del sistema Stop/start, di iniezione diretta ad alta pressione, di componenti interni a basso coefficiente di attrito e di carica rigenerativa intelligente. Più avanti, nel 2015, la gamma verrà completata da un turbodiesel ED4 Land Rover Discovery Sport prezzi, foto e video Il costruttore britannico ha fatto cadere i veli dalla nuova Land Rover Discovery Sport, che arriverà nelle concessionarie a partire dal prossimo anno I l costruttore britannico ha fatto cadere i veli dalla nuova Land Rover Discovery Sport, che presenta un linguaggio stilistico fortemente caratterizzato dagli elementi che connotano le più recenti vetture della Casa inglese e. Arriverà sul mercato a partire dal prossimo anno, ma ci attendiamo di vederla dal vivo 62 in occasione del prossimo Salone dell’Automobile di Parigi. Tanti gli elementi caratteristici, dai fari fendinebbia a LED (che fanno il paio alle luci diurne sempre caratterizzate dal ricorso a questa tecnologia) ad una calandra rivisitata passando per la protezione sottoscocca posta all’interno dell’estrattore posteriore e al di sotto 63 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica News aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb ad alta efficienza con emissioni di CO2 di 119 g/ km. Saranno disponibili una trasmissione automatica a 9 rapporti ed una manuale a 6 rapporti, e una trazione 4x2 che affianca la 4x4. Land Rover ha inoltre confermato che il modello è dotato di una scocca leggera che utilizza acciai altoresistenziali, acciaio al boro ad elevata resistenza e leghe d’alluminio, materiale quest’ultimo che caratterizza cofano, tetto, parafanghi anteriori e portellone al fine di contenere le masse. La Land Rover Discovery Sport arriverà, come precisato in apertura, all’inizio del prossimo anno, sarà prodotta negli stabilimenti di Halewood, Liverpool e verrà commercializzata a un prezzo che partirà da 35.600 euro. 64 65 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Confronto Periodico elettronico di informazione motociclistica da quando ero ragazzo, non ho potuto dire di no. Questa era una delle poche vetture che a quel tempo avrei voluto avere. Ho trascorso ore davanti alla PlayStation giocando ai vari giochi di rally e non solo guidando questo modello. Quindi, mentre stavo mettendo a posto il sedile e stavo per iniziare il test mi sono più volte chiesto se le mie aspettative verranno deluse o se questa macchina è davvero ciò che io penso che sia. Appartiene ad una categoria tutta sua oramai anche perché la sua unica vera rivale è stata ritirata dal mercato. Infatti la Mitsubishi ha deciso di non produrre più la Lancer Evo che a mio avviso creava insieme alla Subaru WRX STI un segmento tutto loro. La Subaru WRX STi ha oggi un passo allungato rispetto alla sue versione precedente di ben 25 cm e quindi all’interno ora si sta seduti comodi in quattro. Rimane comunque l’unica berlina con quattro porte che mantiene un look così aggressivo! Una volta iniziato il test, non c’è voluto molto per capire il punto forte di questa macchina: la stabilità che dà in tutte le condizioni possibili. Infatti, in autostrada, città, montagna, pista o sterrato che sia, la Subaru WRX STi rimane incollata all’asfalto e trasmette una sicurezza enorme. Sembra di stare dentro ad un un videogioco per quelli che sanno impostare la curva con questa bestiola. Bisogna stare comunque attenti e non rilassarsi troppo o sottovalutarla perché ogni vettura potente e con una trazione integrale bisogna saperla prevedere. Quindi, quando si cerca il limite vero, bisogna saper anticipare le reazioni perché se la macchina parte diventa molto difficile correggetela anche per quelli esperti come me. Il motore boxer da 2.5 litri eroga 300 CV di potenza ed una coppia massima di 407 Nm a 4.000 rpm. I 300 CV magari non sembrano tanti visto che sul mercato odierno si trovano diverse super car molto più potenti, ma vi assicuro che di più non serve per questa Yamaha MT-09 Street Rally contro Subaru WRX STi la sfida in pista! Entrambe giapponesi, entrambe capaci di entusiasmare. Subaru WRX STi e Yamaha MT-09, le abbiamo portate sul tracciato di Franciacorta e messe una contro l’altra. Al volante e in sella due grandi campioni: Miloš Pavlovic’ e Andrea Occhini U ltima erede di una stirpe che ha dominato i rally la prima, massima espressione del divertimento su due ruote la seconda. Entrambe giapponesi, entrambe capaci di entusiasmare su strada come in pista. Le abbiamo portate sul tracciato di Franciacorta e messe una contro l’altra. Al volante e in sella due grandi campioni: Miloš Pavlović e Andrea Occhini. 66 Subaru WRX STi (44.500 euro): Ci sono automobili che nel bene e nel male diventano delle icone di un’epoca e segnano in modo indelebile una categoria di conduttori, di uno stile di guida e forse anche dello stile di vita. Subaru WRX STi è sicuramente una di queste vetture, sin dalla sua nascita, avvenuta oramai 20 anni fa. Quando mi è stata data l’opportunità di provare quella che è stata l’auto dei miei sogni sin 67 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Confronto Periodico elettronico di informazione motociclistica Yamaha MT-09 Street Rally (8.590 euro) Un po’ matta questa versione della MT lo è per davvero. A metà strada tra una potente naked e una funambolica supermotard, la Street Rally si presenta ai nostri occhi con un look sfacciato, quasi sgarbato. Anche per questo ci piace un sacco vederla spazzolare la pista di Franciacorta in compagnia di quel mostro sacro che è da sempre la Subarona WRX. Alettone bianco e ignorante per l’auto, portanumero e paramani - sempre bianco, manco a dirlo – per la rivale a due ruote. Entrambe giapponesi, entrambe capaci di osare nell’estetica un po’ Manga e nelle prestazioni da Rally. Una parola che non cade a casaccio: fa parte del DNA della Subaru e del nome della Yamaha, che in questo modo differenzia questa versione dalla pacifica MT-09. La Street Rally ha anche il becco sotto al faro, verniciatura e grafiche più aggressive. Il telaio è quello leggero e scattante della MT-09; di questa ritroviamo anche l’eccezionale motore tre cilindri 850 con ben 115 cavalli a 10.000 giri e un peso inferiore ai 180 chili che promette spettacolo su strada e in tipologia di vettura. Il motore boxer, proprio per la sua concezione, offre un baricentro basso e quindi un’ottima distribuzione dei pesi. Il cambio manuale (grazie Subaru!) a 6 rapporti corti offre la possibilità di “mantenere sempre a tiro” questa macchina in percorsi misti, quelli per cui è nata. Quindi è perfetta per quello che è stata costruita. Si possono scegliere tre modalità di guida: “Intelligent”, “Sport” e “Sport Sharp”. Nelle varie impostazioni variano la durezza e la direzionalità dello sterzo, la durezza del pedale dell’acceleratore e, la più importante, la distribuzione della coppia. Inutile dire che la mia preferita è la “Sport Sharp”, modalità in cui si sfrutta tutta la potenza di cui questa macchina dispone. Anche il differenziale è regolabile. Per dire la verità, la macchina ne monta 3 ma quello centrale di tipo DCCD è regolabile e può essere impostato da un 59% sul posteriore e 41% sull’anteriore fino ad 68 pista. Abbiamo scelto quest’ultima per una sfida alla Subaru che ci ha regalato tante sorprese. La WRX STI ha svettato – di poco a dire il vero – grazie all’eccezionale tenuta di strada sul brecciolino e all’incredibile aderenza sia in frenata che in percorrenza di curva. La nostra Yamaha le ha però mostrato il suo lato B a ogni uscita di curva: il peso piuma e la prontezza esagerata del motore ai bassi e ai medi regimi la rendono imprendibile in piena accelerazione e fanno della Street Rally un piccolo missile terra-terra. Facile da gestire anche nella guida al limite (sempre e solo in pista!), la Street consente correzioni al limite e dà una grandissima fiducia anche dove l’aderenza non è perfetta. Dove invece lo è, anche l’auto fatica a tenere il suo passo. Street Rally, il suo nome ci sta a pennello e spiega la natura della MT-09. Una moto stradale che si lascia guidare come una supermotard, come la Subaru si lascia guidare come un’auto da Rally. Così diverse, eppure così simili nell’anima e nel modo di entusiasmare il pilota: Yamaha e Subaru per un giorno hanno avvicinato davvero il modo di vivere due passioni così diverse solo in apparenza. arrivare al 50 – 50. La parte finale del mio test è stata svolta sul circuito rally cross di Franciacorta, il “parco giochi” ideale per un giocatolo di questo genere per noi che amiamo le corse. Accelerazioni brusche, frenate in curva, tanti cambi di direzione e di superficie, salti... Sono rimasto stupefatto dalla qualità e dalla sincerità del comportamento di questa vettura ed ho avuto un’ulteriore dimostrazione di ciò quando ho potuto portarla sino al suo vero limite. Mi sono davvero divertito tanto! L’unica nota negativa a mio avviso è il consumo. In pista si può paragonare ad una vera macchina da corsa ma il problema è che fuori dal circuito i consumi non si riducono abbastanza. Gli ingegneri Subaru dovrebbero pensare a vari modi per far sì che quando si va piano i consumi si riducano un pochino, diciamo di un ulteriore 20%. Ma in fine mi chiedo, chi compra quest’auto, pensa davvero ai consumi? 69 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Confronto Periodico elettronico di informazione motociclistica secondo noi erano adatte al tipo di test che volevamo svolgere sulla pista rally cross di Franciacorta. Sfruttate al massimo non hanno mai subito una variazione di tenuta ed hanno mantenuto per l’intera giornata il livello di grip ottimale di cui avevo bisogno. Messe sotto stress estremo in cui non solo venivano spinte sull’asfalto ma anche sullo sterrato e facendo diversi salti, non hanno mai accennato un benché minimo segno di cedimento. Davvero ottime! Dunlop SportSmart2 Dunlop SPT MAXX RT XL MFS e SportSmart2 come si comportano in pista Insieme alla Subaru WRX STi e alla Yamaha MT-09 Street Rally abbiamo messo alla prova in pista le Dunlop SPT MAXX RT XL MFS e Dunlop SportSmart2. Ecco cosa è emerso D unlop SPT MAXX RT XL MFS Non tutti ci fanno caso, ma gli unici punti di contatto tra la macchina e l’asfalto sono le gomme. Quindi, che piaccia o no, sono una componente fondamentale a cui bisogna prestare particolare attenzione affinché la vettura si comporti bene. E’ imperativo quindi che siano adatte per il tipo di vettura e per le 70 condizioni in cui si guida. Io infatti presto tanta attenzione ai pneumatici e sono abituato a pensare a loro come ai miei “migliori amici”. Se li surriscaldo o non li tratto con il dovuto rispetto rischio di far sì che dopo poche curve le pressioni vadano alle stelle e che quindi la guidabilità cambi in maniera estremamente negativa. Per il test abbiamo montato le Dunlop SPT MAXX RT XL MFS (nella misura 245/40 ZR 18) che La nostra Yamaha MT-09 Street Rally con ABS montava pneumatici Dunlop SportSmart2 nelle misure di serie 120/70ZR17 W58 all’anteriore e 180/55ZR17 W73 al posteriore, naturalmente con tecnologia tubeless. La sigla scelta per queste gomme a struttura radiale è sinonimo di elevato contenuto tecnologico e le sue caratteristiche si traducono in elevata maneggevolezza, aderenza ottimizzata su asciutto e su bagnato, elevata durata e stabilità alle alte velocità, senza dimenticare un buon livello di comfort. La tecnologia alla base di SportSmart2 è stata sviluppata dal Dipartimento di Ricerca e Sviluppo europeo Dunlop e rappresenta l’evoluzione di prodotti pistaioli come il D212 GP Pro. Rispetto alle versioni precedenti di pari impiego, le prestazioni sul bagnato sono migliorate grazie al nuovo disegno del battistrada, sviluppato utilizzando l’analisi a elementi finiti, che massimizzano l’evacuazione dell’acqua. Il pneumatico anteriore presenta un disegno a “V rovesciata” al centro del battistrada che permette un miglior drenaggio. L’aderenza sul bagnato è migliorata anche grazie alla nuova mescola sulla spalla del pneumatico posteriore, composta per il 100% da silice ad elevata dispersione. Anche la performance sull’asciutto è stata ottimizzata per un ampio range di temperature di esercizio, raggiunto grazie all’uso di polimeri liquidi e resine messe a punto nell’ambito del programma Racing di Dunlop. La nuova forma del pneumatico anteriore migliora la distribuzione della pressione dell’impronta a terra, per una maggiore stabilità in frenata su asciutto. E’ stata assicurata una riduzione dello shimmy, nonché un tempo di risposta alla sterzata del 23% più veloce. Da ciò risulta una torsione ridotta che richiede dunque un minore sforzo di sterzata. SportSmart2 offre anche un maggiore comfort grazie alle diverse costruzioni del pneumatico anteriore e posteriore. L’anteriore è caratterizzato da una nuova forma e da una diminuzione dei componenti grazie all’applicazione della tecnologia Steel Joint Less Belt (JLB), capace di prestazioni costanti fino ai 300 orari mentre per quello posteriore è stata utilizzata la tecnologia Joint Less Tread (JLT). La massa non sospesa è stata ridotta grazie a un minor peso sia del pneumatico anteriore (- 7%) che del posteriore (fino all’8% in meno) rispetto al predecessore SportSmart. Inoltre la tecnologia Steel JLB, unita alla presenza di una tela mobile che sostituisce due breaker, aumenta le prestazioni del pneumatico ad alte velocità in quanto contribuisce a ridurne il surriscaldamento. La mescola centrale più dura permette elevati chilometraggi e migliora la stabilità di guida a velocità elevata. L’usura uniforme del battistrada preserva le prestazioni di maneggevolezza, permette una maggiore durata del pneumatico e riduce le vibrazioni. La tecnologia Multi-Tread permette infatti un maggior chilometraggio grazie a una mescola più dura studiata per la sezione centrale del battistrada, mentre per la spalla viene utilizzata una mescola composta al 100% da silice, in modo tale da migliorare l’aderenza in curva in condizioni di asciutto e bagnato. Si abbinano molto bene con la MT-09 perché anche sullo sterrato hanno un buon grip e l’anteriore offre una piacevole sensazione di sicurezza in impostazione di curva. 71 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Attualità Periodico elettronico di informazione motociclistica Multa con semaforo rosso valida anche se il giallo dura solo tre secondi. Ma spesso non bastano di Matteo Valenti | Una sentenza della Cassazione ha appena stabilito che una multa per semaforo rosso è valida anche se il giallo è durato soltanto tre secondi. Ma questo brevissimo lasso di tempo, quasi impercettibile, è davvero sufficiente per fermarsi in sicurezza? Q uante volte abbiamo pensato di appigliarci ad un semaforo giallo troppo corto per contestare una multa rilevata durante un passaggio con il rosso? Il sospetto di molti automobilisti e motociclisti infatti risiede nel fatto che le amministrazioni comunali, specialmente quando installano telecamere per il rilevamento di infrazioni semaforiche, tarino troppo spesso il giallo in modo che duri solo brevissimi istanti (come ci mostra un nostro lettore nel video che ha inviato alla nostra Redazione). Con un giallo che dura solo pochi istanti diventa realmente difficile fermarsi in sicurezza quando si è in movimento (inchiodare può diventare ancora più pericoloso!) e si rischia quindi di non fare in tempo a frenare, andando ad occupare l’incrocio e incappando in una inevitabile multa non appena scatterà il rosso. tre secondi quindi la multa per chi è passato con il rosso è da considerarsi valida e non è possibile fare ricorso. E non importa se chi sta guidando non è riuscito a fermarsi in tempo con un giallo, magari ritenuto troppo breve: se la durata della luce gialla è di almeno tre secondi per la Legge è tutto regolare, quindi se si viene beccati a passare con il rosso non resta altro che pagare la sanzione. L’intervento della Corte di Cassazione è stato richiesto dal Comune di Montevecchia, in provincia di Lecco, dove una donna era riuscita a farsi togliere una multa dal giudice di pace grazie al fatto che il rosso era scattato soltanto dopo quattro secondi di giallo. La Cassazione però ha dato ragione al Comune lecchese e non ha accettato l’argomentazione della donna, che dovrà quindi pagare. A fare chiarezza quindi ci ha pensato una volta per tutte la Corte di Cassazione, che ha appena emesso una nuova sentenza (n. 18470, eccola in pdf) con cui stabilisce che la luce gialla di un semaforo, indipendentemente dall’incrocio preso in considerazione, deve durare almeno tre secondi. Se il giallo rimane esposto per almeno dei luoghi» e siccome il Codice non indica la durata minima del giallo la Corte si appella ad una risoluzione del Ministero dei Trasporti «che regola il tempo minimo di durata [della luce gialla] che non può mai essere inferiore a tre secondi». Secondo lo studio condotto dal CNR e fatto proprio dal Ministero con cui concordano i giudici di Il CdS non impone un limite di durata al giallo, ma ci si appella ad Se il giallo dura almeno tre secon- una consulenza del CNR di, la multa per semaforo rosso è Questo perché secondo la Suprema Corte «l’automobilista deve adeguare la velocità allo stato valida 72 Cassazione 3 secondi corrispondono al tempo di arresto necessario per un veicolo che procede a 50 km/h, «con la conseguenza – termina la sentenza - che una durata superiore deve senz’altro ritenersi congrua». Ma 3 secondi di giallo sono sufficienti nella realtà? Ma 3 secondi sono davvero sufficienti per il giallo prima che scatti l’inevitabile rosso? I giudici hanno concordato con il parere del Ministero e del CNR, che però, a nostro avviso, presenta una pesante lacuna. Si considerano tre secondi più che sufficienti ad arrestarsi in sicurezza, ma indipendentemente dal tipo di strada percorsa. Spesso infatti ci troviamo in situazioni in cui la velocità media del flusso di traffico è ben superiore ai 50 km/h, benché sia stato imposto tale limite. Questo avviene perché vengono imposti limiti non realistici (un esempio perfetto è via dei Missaglia a Milano, con tre corsie per senso di marcia, spartitraffico centrale e limite a 50!) che 73 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb poi automobilisti, motociclisti e persino mezzi pubblici pesanti come gli autobus non riescono, di fatto, a rispettare. Dove ci sono limite irrealistici è impossibile! Dove sono in vigore limiti di velocità irrealistici quindi – e le nostre strade sono disseminate di situazioni di questo tipo – diventa praticamente impossibile fermarsi ad un semaforo che mostra un giallo soltanto per tre secondi. Un parere legislativo di questo tipo quindi si scontra con una realtà dei fatti che non lo rende credibile e soprattutto accettabile. E i pedoni come fanno? Inoltre non si tiene conto che un semaforo giallo per auto e moto corrisponde (nella 74 stragrande maggioranza dei casi) ad una luce gialla per i pedoni. Ma una persona che si muove a piedi, ad una velocità di circa 1 m/s, come potrà mai attraversare un incrocio di 9 metri (larghezza media di un nuovo incrocio) in poco più di quattro secondi (nel caso in cui inizi ad attraversare con il verde e poi scatti subito dopo il giallo)? Dovrà correre e questo non è ammissibile, soprattutto se pensiamo a persone anziane o con problemi di mobilità! Ci sembra quindi che ancora una volta la Legge abbia risolto la questione in maniera troppo sbrigativa, aprendo la strada ad una consuetudine – quella di un giallo di soli 3 secondi – che non tiene conto delle reali condizioni delle nostre strade e che rende fin troppo facile il rischio di incappare in una multa per semaforo rosso... Per la gioia delle casse comunali! 75 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Tecnica Periodico elettronico di informazione motociclistica I motori V6 tutto cominciò con la splendida Lancia Aurelia la scena ancora per numerosi anni, per quanto riguarda la produzione di serie. I costruttori inglesi e americani hanno cominciato a costruire i V6 assai prima di quelli giapponesi, che hanno iniziato ad adottare questa architettura solo nel corso degli anni Ottanta. di Massimo Clarke | A dimostrare la validità dell’architettura sei cilindri a V è stata la Lancia. Vediamo come e perché ha avuto tanto successo V6: più compatto di un sei cilindri in linea P er lungo tempo sono stati davvero pochi i costruttori che, al di sopra di una certa cilindrata, non hanno avuto in produzione almeno un V6. Oggi la necessità di contenere i consumi (e le emissioni di CO2) ha reso vantaggiosa l’adozione di motori con un ridotto numero di cilindri, leggeri e compatti e comunque in grado di fornire prestazioni elevate grazie al sempre più largo impiego della sovralimentazione. Questo ha portato a impiegare dei brillanti quadricilindrici turbo anche in una ampia parte del campo nel quale fino a pochi anni fa i sei cilindri regnavano indisturbati. Di motori con quest’ultimo frazionamento ce ne sono di meno, insomma, ma continuano a dominare la scena nelle cilindrate comprese tra 2,5 e 3,8 cm3. La loro architettura è quasi sempre a V. Le poche eccezioni nelle quali i sei cilindri in linea sono comunque rimarchevoli, dato che vedono in gioco costruttori come BMW e Volvo. In una categoria a sé stante rientrano poi i motori boxer. Sei cilindri a V: il primo sulla Lancia Aurelia Tra i motori a sei cilindri, dunque, sono quelli a V ad essere di gran lunga più diffusi. A questo proposito è interessante osservare che, per quanto riguarda la disposizione e il numero dei cilindri, mentre quasi tutte le altre soluzioni erano già 76 state debitamente studiate e adottate nella pratica, per vedere il primo motore di questo tipo prodotto in gran serie è stato necessario attendere il 1950, anno nel quale ha fatto la sua comparsa la Lancia Aurelia. In precedenza la Lancia, azienda davvero benemerita per la validità delle sue realizzazioni e per gli schemi tecnici innovativi con i quali esse erano realizzate, aveva prodotto una serie di raffinati motori a V stretto, creando in pratica una classe a sé stante e indicando una strada che molti anni dopo è stata imboccata dalla Volkswagen per i suoi VR6 e VR5. Dal 1922 al 1949 la casa torinese aveva costruito V4 e dei V8, con angoli tra le due linee di cilindri, alloggiate nella stessa fusione, compresi tra 17° e 24° (per quanto riguarda i V4 ha poi proseguito con le famose Appia e Fulvia). Nel motore della Aurelia, progettato dall’ing. Francesco De Virgilio, la V tra le due bancate di cilindri non era “stretta” ma aveva un angolo di 60°. Con questa vettura la Lancia ha indicato una soluzione costruttiva che successivamente è stata adottata da un numero via via crescente di altri costruttori. Fino ad allora i motori a sei cilindri, tanto di serie quanto da competizione, avevano impiegato una architettura in linea. La soluzione proposta dalla casa torinese era razionale e aveva notevoli punti di forza. Non tutti però hanno saputo apprezzare in tempi brevi i vantaggi che essa offriva. I sei cilindri in linea hanno infatti continuato a dominare I motori a sei cilindri in linea sono sempre stati apprezzati per la loro eccellente equilibratura, superiore non solo a quella dei quadricilindrici con eguale architettura, ma anche a quella dei V8. Sono però molto lunghi, il loro albero a gomiti poggia su sette supporti (indispensabili, a meno che le prestazioni non siano modeste) e il peso tende ad essere considerevole. L’idea della Lancia era quella di realizzare un motore con questo frazionamento dotato di una maggiore compattezza. Disponendo i cilindri a V sicuramente l’ingombro longitudinale risulta nettamente inferiore; inoltre l’albero può essere più corto e rigido e poggiare su quattro supporti di banco soltanto. Per l’Aurelia è stata scelta la soluzione più “rigorosa”, che nel caso di un frazionamento su sei cilindri prevede due bancate inclinate tra loro di 60°. In questo modo si ottiene l’equidistanza tra le fasi utili, ovvero tra gli “scoppi” del motore, e le forze d’inerzia risultano equilibrate (ma non le coppie); l’albero a gomiti deve però essere dotato di sei perni di manovella, ovvero uno per ogni biella. Risultati analoghi si possono ottenere con una V di 120°, che può anche permettere l’impiego di un albero più rigido e semplice, con tre soli perni di manovella (su ognuno dei quali lavorano affiancate due bielle). Il motore però risulta Lo stato dell’arte nel campo dei motori a sei cilindri a V (in questo caso di 60°) è ben mostrato da questa recente realizzazione della Ford, con distribuzione bialbero e quattro valvole per cilindro 77 Nel V6 realizzato per la Renault, la Peugeot e la Volvo negli anni Settanta l’angolo tra le due bancate era di 90° e la distribuzione monoalbero, con comando a catena nettamente più largo, e ciò rende l’architettura in questione non molto appetibile, per un normale impiego automobilistico (e infatti non la usa nessuno). Giova però ricordare che il campionato mondiale di Formula Uno del 1961 è stato conquistato dalla Ferrari utilizzando, in quasi tutte le gare, un motore nel quale la V era appunto di 120°. V6 con angolo a 90° Molti V6 moderni adottano un angolo tra le bancate dei cilindri di 90°, che consente di impiegare per i basamenti le stesse linee sulle quali si lavorano i V8 (e permette di ottenere un minore ingombro in altezza rispetto ai motori con V di 60°). In questo caso sono possibili due diverse 78 Tecnica Periodico elettronico di informazione motociclistica “ Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Il campionato mondiale di Formula Uno del 1961 è stato conquistato dalla Ferrari utilizzando, in quasi tutte le gare, un motore nel quale la V era appunto di 120° soluzioni, per quanto riguarda l’albero a gomiti. Una prevede tre soli perni di manovella, disposti a 120° uno dall’altro, su ciascuno dei quali sono montate affiancate due bielle (che “servono” due cilindri, ognuno dei quali appartiene a una bancata diversa). In questo caso l’albero è particolarmente rigido e di semplice fabbricazione, ma non si può ottenere l’equidistanza tra le fasi utili. Gli “scoppi” sono infatti distanziati di 150°…90°…150°…90°… Le forze d’inerzia sono equilibrate, ma una coppia non è bilanciabile. L’altra soluzione prevede un albero con tre manovelle, ognuna delle quali è dotata di due perni “sfalsati”, in quanto separati uno dall’altro di 30°, cosa che consente di ottenere una distanza angolare uniforme tra le fasi utili (con gli scoppi che 79 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Tecnica Periodico elettronico di informazione motociclistica aveva la geometria più semplice, con tre soli perni di manovella. Si rinunciava quindi alla regolarità ciclica e, anche se erano altri tempi, non si può dire che la cosa sia piaciuta proprio a tutti gli utenti. Nel corso degli anni Sessanta alcuni costruttori europei hanno essi pure imboccato la strada del V6. Basta ricordare la Ford, con una V di 60°, e la Fiat Dino, frutto di un accordo con la Ferrari, con una V di 65° (quest’ultimo motore si è poi evoluto in quello che ha equipaggiato la famosa Stratos). I sei cilindri a V spopolano a partire dagli anni Settanta La Renault ha aperto la strada dei motori Turbo in Formula Uno con questo sei cilindri a V di 90°, per anni grande protagonista della scena agonistica si susseguono ogni 120°). A parità di diametro dei perni l’albero ha una rigidezza minore. Pure in questo caso le forze d’inerzia sono equilibrate, ma non le coppie. Le vibrazioni sono piuttosto contenute, ma negli ultimi anni alcuni costruttori hanno comunque ritenuto opportuno dotare di un albero ausiliario di equilibratura i loro motori realizzati con questo schema. La raffinata Aurelia è stata per diverso tempo una delle migliori vetture della sua categoria. Dati gli ottimi risultati ottenuti, nel 1957 la Lancia ha adottato un motore avente una architettura analoga anche per la sua nuova ammiraglia, ossia la Flaminia. Nella prima metà degli anni Cinquanta la casa torinese ha realizzato pure alcune formidabili vetture da corsa, per le gare della categoria Sport, che si sono imposte in competizioni durissime e di straordinario prestigio come la Mille Miglia, la Targa Florio e la Carrera Panamericana e che erano munite di motori a sei cilindri a V di 60° (dotati in questo caso di distribuzione bialbero). 80 Ferrari segue l’esempio di Lancia Dopo il ritiro della casa torinese dalla attività agonistica è stata la Ferrari a realizzare motori da competizione di questo tipo, iniziando ben presto la serie dei suoi Dino, nei quali l’angolo tra le due bancate di cilindri era di 65° (l’apertura leggermente maggiore pare agevolasse la realizzazione di condotti di aspirazione dall’andamento vantaggioso e il piazzamento dei carburatori) . Nel 1958 il titolo iridato è stato conquistato da Mike Hawthorn alla guida di una splendida monoposto azionata da uno di questi V6. In seguito la casa di Maranello ha impiegato motori di tipo analogo, ma con una cilindrata di 1500 cm3, per le sue monoposto di Formula Uno che hanno gareggiato nei primi anni Sessanta; di tali unità motrici sono state realizzate due versioni, con angolo tra le bancate rispettivamente di 65° e di 120°. Tornando alle vetture di serie, nel 1962 la Buick ha messo in produzione un sei cilindri di 3,2 litri nel quale la V era di 90°; l’albero a gomiti Nel decennio successivo vanno segnalati il motore francese PRV (destinato a Peugeot, Renault e Volvo), con V di 90°, e l’Alfa Romeo, con V di 60°, destinato ad avere una lunga e fortunata carriera. Nel 1977 il V6 di 90° della Buick è stato dotato di un albero con perni di manovella sfalsati, per ottenere l’equidistanza tra le fasi utili. Nello stesso periodo ha fatto la sua comparsa sulle piste il 1500 turbo della Renault, con sei cilindri a V di 90°. Per buona parte degli anni Ottanta i mondiali di Formula Uno sono stati appannaggio dei motori sovralimentati mediante turbocompressore, per i quali uno schema a sei cilindri a V è stato adottato da Ferrari, Porsche-TAG e Honda (negli ultimi due casi con un angolo tra le bancate di 80°). Per i V6 di serie, gli anni Novanta sono stati davvero un periodo d’oro. In aggiunta a quelli dei principali costruttori giapponesi, da poco comparsi, sono entrati in scena anche i motori realizzati dalla Audi e dalla Mercedes (a V di 90°) e quello della Opel (con un inedito angolo di 54°). Oggi nel panorama automobilistico mondiale spiccano eccellenti V6, con angolo tanto di 60° (sono i più numerosi) quanto di 90°, anche se la loro popolarità appare leggermente in declino. Non si deve però dimenticare che le monoposto di Formula Uno a partire dal 2014 sono dotate di motori turbo con sei cilindri aV 81 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Formula 1 Formula 1 come potrebbe essere la Ferrari del 2015 di Gabriele Pirovano | Molte saranno le novità che caratterizzeranno la Ferrari da Formula 1 del 2015. Scopriamo realisticamente come potrebbe essere la prossima Rossa grazie ai disegni di Gabriele Pirovano L a Ferrari del 2015 sarà molto diversa da quella di oggi. La F14T si è rivelata sbagliata in alcune aree tecniche ben precise, la nuova del 2015 sarà diversa soprattutto in queste zone. MOTORE: sbagliata la disposizione dei vari elementi che compongono la Power Unit. Turbina troppo piccola, turbina -compressore - MGU-H ravvicinati e collocati tutti al posteriore mentre la Mercedes ha questi elementi molto separati tra loro, in particolare la MGU-H è posta davanti al motore. La Ferrari ha spostato quest’anno il serbatoio dell’olio dietro al motore (l’anno scorso era davanti al motore) all’interno del cambio mentre la Mercedes e tutte le altre l’hanno mantenuto davanti al motore. CARICHI: molto lunghi, collocati verticalmente con andamento molto complicato. L’eccessiva lunghezza disperde potenza mentre la Mercedes adotta scarichi molto corti e lineari. 82 SOSPENSIONI: Ferrari e Caterham sono le uniche monoposto con sospensioni anteriori di schema Pull-rod a tirante. Scelta probabilmente sbagliata per le attuali F1 (l’anteriore in uscita di curva non è stabile e soprattutto Raikkonen non riesce a manternere la vettura lineare con la pista ma sbanda parecchio). L’anno prossimo dovrebbe tornare al sistema Push-rod come quelle dei team vincenti. AERODINAMICA: sbagliata soprattutto nella zona anteriore, il musetto molto corto e basso non permette il passaggio di aria verso il fondo scocca. Anche la Mercedes ha un muso in questo stile ma grazie ad una loro interpretazione del regolamento che sfrutta la zona dei piloni come parte del muso ha una altezza dello stesso molto più elevata che convoglia molta più aria al fondo rispetto a quello della Rossa. Potremmo vedere un muso stile Mercedes o forse a becco in stile Williams. 83 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Ci sono geni della tecnica in F1? Scalabroni: «Sì, ma ce n’è soltanto uno» Formula 1 aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb bbbbbbbbbbbbbbb di Paolo Ciccarone | Secondo l’ingegner Scalabroni, ex progettista Ferrari, Williams e McLaren, in Formula 1 esiste un vero e proprio genio della tecnica, che fa la differenza sulla monoposto schierata in pista. Ecco di chi si tratta C i sono geni in F.1? Secondo l’ingegner Enrique Scalabroni, ex progettista Ferrari, Williams e McLaren, sì. Ed è solo uno. Adrian Newey. Newey ha una visione d’insieme Il perché lo spiega lo stesso ingegner argentino: «Semplicemente perché la F.1 è un progetto complesso, difficile e con tante aree da tenere sotto controllo». Uno come Newey ha una visione completa della macchina, sa di sospensioni, aerodinamica e meccanica, le guida ed è pure bravo, ha la passione per quello che fa, ma soprattutto ha una visione, una cultura del rischio che lo porta a sviluppare certi concetti». «Magari non saranno vincenti al primo colpo ma state sicuri che sa dove arrivare e come arrivarci». «Questo fa la differenza fra un ingegnere progettista come lui e gli altri. La differenza, infatti, è che un tecnico procede per sperimentazione, raccoglie dati, li confronta e cerca di intuire quale è la strada da seguire, poi verifica i numeri e nel caso fa delle modifiche. Ma non avrà mai il colpo di genio alla Newey che intuisce cosa fare e come mentre gli altri, o partono da concetti espressi e sviluppati da colleghi oppure si affidano ai numeri e alla simulazioni». 84 Il genio fa la differenza «Quando porti un pezzo in galleria del vento sono tantissimi parametri da seguire, controllare, numeri da verificare, è davvero tutto molto complicato e non è facile, la F.1 di oggi è davvero una grande sfida per i tecnici. Ecco però che se c’è la scintilla del genio, le cose cambiano». «Vedo le Red Bull, le ammiro per le soluzioni scelte, per il modo in cui sono costruite, altre macchine come Mercedes ad esempio, sono fatte bene, hanno soluzioni interessanti ma si capisce come sia il frutto di un lavoro di gruppo mentre la prima è il frutto di una visione». Quindi secondo Scalabroni il genio si distingue dal tecnico normale per come affronta e risolve i problemi. Infatti dalla teoria alla pratica cambiano molte cose, bastano piccole differenze per trovarsi distanti decimi dai primi oppure in prima fila. In un circuito con otto dieci curve al massimo, prendere due decimi vuol dire accusare in ogni curva un distacco di pochi millesimi, una inezia curva per curva che diventa grande a fine giro ed enorme a fine gara. La differenza fra il colpo di genio e lo sviluppo tecnico. 85 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Campioni Periodico elettronico di informazione motociclistica Alessandro Zanardi. Non ti fermi mai, quali sono le tue prossime sfide? «Ho naturalmente intenzione di continuare ed arrivare ai giochi di Rio De Janeiro del 2016. Nel frattempo ho mantenuto un ottimo rapporto con BMW – abbiamo vissuto dei bellissimi momenti insieme nella mia storia più recente, perché dopo il mio incidente ho accettato la loro offerta per ricominciare a correre nel WTCC dove siamo riusciti a tornare a vincere contro tutte le aspettative. C’era molta gente piuttosto scettica sulle mie possibilità – non solo di vittoria, ma anche di essere competitivo in un campionato tanto duro come era il WTCC quando ci siamo impegnati con BMW» «Nonostante tutte le difficoltà abbiamo lavorato con tenacia, migliorando giorno dopo giorno e trovando una soluzione che mi ha consentito di guidare al meglio delle mie capacità, tanto da poter riassaggiare lo champagne sul podio nel 2005, ad Oschersleben. Abbiamo vinto diverse altre gare, ma nel frattempo ho scoperto l’hand-cycling e ho pensato che sarebbe stato davvero bello poter raccontare ai miei nipoti – se sarò così fortunato da averne – tutta la mia vita sportiva, mettendoci magari una partecipazione alle paralimpiadi. Ma per migliorare il mio livello, e confrontarmi con gli atleti più forti a livello internazionale dovevo fare una scelta; a fine 2009 ho deciso di abbandonare le corse in auto e concentrarmi di nuovo sul paraciclismo» Specialità dove Zanardi ha vinto un paio di medaglie prima di tornare dietro al volante... «Si, non solo sono riuscito a partecipare ai giochi di Londra, ma ho vinto due medaglie d’oro – sia nella cronometro che nella gara su strada – è stato fantastico, per l’esperienza ma anche per il tempismo. Come ciclista sono molto giovane Alessandro Zanardi «Tutto quello che ci capita può trasformarsi in un’opportunità» di Emiliano Perucca Orfei | Il campione paralimpico, due volte vincitore della CART e pilota della Blancpain GT ci parla delle sue passioni, della sua filosofia di vita e della magia della pista di Brands Hatch I ncredibile Zanardi. Un vincente come pilota, come atleta e soprattutto come persona, capace di affrontare qualunque impresa e qualunque esito con il sorriso sulle labbra. Uno di quei rari campioni non consumati dalla propria motivazione, che trovano invece stimoli positivi da qualunque situazione, successo o difficoltà che sia. E’ naturale, quando uno ha passato quello che ha passato lui e ne è uscito vincitore, in piedi su 86 gambe che forse non saranno le sue, ma che ha saputo piegare alla sua indomita volontà grazie anche all’aiuto di quell’altro grande sognatore che è il dottor Claudio Costa, il medico dei piloti del Motomondiale. Lo abbiamo incontrato negli Stati Uniti, dove in occasione dei Mondiali di Handbike di Greenville il pilota di Castelmaggiore ha visitato gli stabilimenti BMW, parlandoci delle sue mille iniziative ed attività, con un occhio al passato e due al futuro. Iniziando naturalmente dalla Handbike, in cui ci parla dei suoi obiettivi. 87 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito da un punto di vista dell’esperienza – riuscire a completare la mia curva d’apprendimento così in fretta per poter dare il meglio delle mie prestazioni esattamente in tempo con la gara più importante della mia carriera, quella di Londra ovviamente, è stato fantastico. Qualcosa che abbiamo cercato di pianificare, certo, ma… un po’ di fortuna nella vita, ogni tanto, aiuta. Considero già il solo fatto di aver scoperto questa disciplina un dono, perché molte delle cose che ci succedono nella vita sono legate al nostro destino» Si può trovare un parallelismo con la ritrovata carriera a quattro ruote di Alessandro, che dopo aver vinto a Londra, proprio sul tracciato di Brands Hatch, quest’anno vi ha corso una bellissima gara nella Blancpain GT Series. «E’ vero – Brands Hatch è un posto quasi magico 88 Campioni Periodico elettronico di informazione motociclistica per me. Già nel 1991, quando ci sono stato per la prima volta come astro nascente della Formula 3. Ero arrivato lì sulla scia di alcune belle prestazioni che mi erano valse l’attenzione dei Team Manager di Formula 1, ma tutti mi aspettavano al varco, perché Brands Hatch è considerata una pista molto difficile, di quelle che mettono in mostra il vero talento dei piloti. E’ stata la mia fortuna, perché non mi limitai a conquistare la pole position, ma rifilai un secondo netto al primo degli inseguitori, Damon Hill, che era in prima fila con me. E’ stato uno dei momenti con cui mi sono garantito un futuro negli sport motoristici» «Ed è stato a Brands Hatch nel 2007, quando correvo nel WTCC, che mi si è avvicinato un amico, rappresentante di uno dei miei sponsor, chiedendomi di andare a New York per fare un discorso al loro Pasta Party (le tradizionali mangiate di carboidrati che gli atleti fanno il giorno prima delle gare sulle lunghe distanze) del sabato sera. Risposi che andava bene, ma già che andavo a New York perché non fare la maratona? Credeva che stessi scherzando, mentre ero serissimo – la settimana prima avevo letto un vecchio numero di Autosprint in cui Clay Regazzoni raccontava della sua gara su una hand-cycle alla Maratona di New York. E’ così che ho scoperto di poter correre lì, ci sono andato e ho finito per vincere – ecco da dove è partito tutto. L’idea, di fatto, è nata a Brands Hatch» «Da lì poi ho deciso di tentare la qualificazione per le Olimpiadi e così come tutto è partito da Brands Hatch, in un certo senso il destino si è anche compiuto lì – certo, non ho abbandonato l’attività, sto continuando, ma la partecipazione alle Olimpiadi era il mio orizzonte, il punto che volevo raggiungere. Sei mesi prima delle paralimpiadi annunciarono il luogo in cui si sarebbe corsa la gara di paraciclismo: quando sentii che si trattava del circuito di Brands Hatch pensai all’ironia della cosa. Il resto è storia – è stato un momento bellissimo, sono tornato a Brands per correre su tre invece che quattro ruote» Come per chiudere un cerchio, dopo le vittorie nel paraciclismo si è riaperta la porta delle gare su quattro ruote. «Nel 2013 mi sono confermato campione del mondo in Canada, sia nella cronometro che su strada, e nell’inverno mi è arrivato una telefonata da BMW, teoricamente per farmi gli auguri, visto che era il 23 ottobre. Colui che mi aveva telefonato era il capo delle operazioni di Mercedes ai tempi in cui… li prendevo a calci nel sedere nella 89 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Campioni Periodico elettronico di informazione motociclistica mia condizione. E forse faccio più cose adesso di quante non ne facessi prima – non mi è rimasto molto da dimostrare, tranne forse essere il primo uomo su Marte, magari parlerò con il presidente Obama per proporre la mia candidatura (ride, ndr) » «Sono felicissimo, faccio di tutto al top delle mie possibilità e sono brand ambassador di una Casa come BMW, cosa che mi riempie d’orgoglio perché oltre ad avere un marchio di grande prestigio la considero un po’ una seconda famiglia. In loro ho trovato la stessa curiosità che ho avuto io dopo il mio incidente, persone interessate a studiare la mia proposta di tornare a mettermi in gioco, trovare il modo di correre ed essere competitivo ai massimi livelli. E non è certo una decisione facile da prendere per una grande casa come BMW, perché certo, un’impresa Indycar, dove fornivano i loro motori. All’epoca non ero certo il suo migliore amico, ma evidentemente aveva un certo rispetto per me come pilota – di fatto chiuse le telefonata dicendomi “Mi piacerebbe moltissimo averti fra i miei piloti”, a cui ho risposto “Perché non me l’hai chiesto allora? Avete quella bellissima Z4, perché non me la fai provare?” E’ rimasto stupito del fatto che avrei accettato una loro offerta, e un mese dopo mi sono trovato coinvolto nel progetto del Blancpain GT Sprint Championship» «La settimana scorsa ero in Slovacchia con la mia Z4, con cui però sono rimasto coinvolto in un brutto incidente alla prima curva – una vera sfortuna, perché ero convinto di poter fare anche meglio di quanto non avevo fatto a Brands Hatch dove ho conquistato un quinto posto. Penso che avrei potuto vincere, perché sapevo che la BMW era la macchina da battere in Slovacchia grazie alla capacità di risparmiare le gomme. Lì il consumo degli pneumatici è un problema, e in gara si è visto: BMW ha fatto doppietta, ma con due macchine che in griglia partivano dietro di me. Un peccato, è stato un errore mio, sono cose che 90 del genere aumenta la tua visibilità in maniera positiva, ma il rovescio della medaglia è che se avessi avuto un incidente, se mi fossi fatto male sarebbe stato un disastro. Tutti i responsabili BMW si sono seduti con me attorno ad un tavolo e alla fine hanno deciso di darmi fiducia – credo che in un qualche modo la tecnologia BMW si sia in qualche modo fusa con la curiosità italiana, permettendoci di trovare una soluzione per farmi tornare ad essere più o meno il pilota che ero prima. Non sono mai stato il pilota migliore del mondo, ma sono sempre abbastanza bravo da vincere gare con il materiale giusto – situazione che siamo riusciti a replicare, perché ci siamo goduti i nostri successi e spero che ne collezioneremo altri. O perlomeno, questo è il nostro obiettivo» capitano in gara, ma avrò l’occasione di rifarmi già fra due settimane a Portimao» E’ un periodo molto impegnativo per Zanardi, fra gare, competizioni e tante altre avventure. Come fai a trovare il tempo per tutto, fra allenamenti, impegni familiari e quant’altro? «Beh, non posso certo lamentarmi, sono una persona molto fortunata – credo che ogni cosa che ti capita nella vita, almeno finché hai ancora la tua vita, può trasformarsi in un’opportunità. Non mi piace neanche parlare di quello che mi è capitato perché normalmente ricevo talmente tanti complimenti per quello che ho fatto ovunque vada che credo sia più di quanto mi meriti. Per farla breve, credo che tutto quello che ci capita sia un’opportunità, perché tutte le attività in cui sono coinvolto ora sono direttamente legate alla mia condizione. Ho una vita meravigliosa, in cui ho successo perché amo quello che faccio e il mio unico merito è stato probabilmente quello di mantenere la mia curiosità – non mi sono concentrato su ciò che avevo perso, ma su quello che mi rimaneva, su quello che potevo fare nella 91 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Campioni Periodico elettronico di informazione motociclistica vita, vedendola in piedi poco dopo. E’ impossibile non provare qualcosa di enorme davanti a cose come queste: quel padre è un esempio molto più forte di quello che può essere Alex Zanardi, ma d’altro canto il personaggio Alex Zanardi ha una tale esposizione mediatica – sono dappertutto, come il prezzemolo – che posso raggiungere molte più persone. Quindi, se qualcuno nella sua vita mi vede al volante della mia Z4 o a correre sulla mia hand-bike e in quel gesto vede qualcosa di più di quello che sto fisicamente facendo, traendone ispirazione non posso che esserne orgoglioso, e ringraziare Dio per avermi dato – sia pure indirettamente – un potere tanto grande. Ma io sono solo Alex Zanardi, un fortunato bastardo che ha la possibilità di fare tutto quello che vuole e di essere pagato per farlo!» Dove si trova l’ispirazione per continuare a competere e a vincere come fa Zanardi? «Capisco la domanda, perché quello che vedete di me sono le mie gare, le imprese sportive. Ma per me non è che l’ultimo passo, l’orizzonte La curiosità sorge quasi spontanea: come è stato accolto Zanardi dalle comunità del paraciclismo e dell’automobilismo dopo l’incidente? «E’ difficile dare una valutazione obiettiva, perché dopo quello che mi è capitato sono stato soggetto ad una tale esposizione mediatica che vengo riconosciuto e stimato più della media, e forse più di quanto mi meriti. Però nella maggior parte delle gare, soprattutto nel paraciclismo dove i tifosi sono più vicini, vedo che c’è sostegno e incitazione verso tutti gli atleti. Certo, forse ho portato un po’ di visibilità in più a certi sport – sto cercando di rispondere alla domanda senza autoincensarmi, ma è difficile – perché soprattutto in Italia la gente mi riconosce quasi ovunque vada e mi chiede un autografo o mi racconta, lacrime agli occhi, quanto la mia storia lo abbia ispirato» «Però possiamo trovare ispirazione 92 di obiettivi che mi sono preposto. Mi diverto in tutto il percorso che mi porta alla gara, non solo nella gara. Certo, una volta che arrivo alla gara è il risultato a diventare importante ma se non mi fossi goduto ogni singolo giorno delle mie avventure, dei miei sacrifici, della mia preparazione, non sarebbe stata la stessa cosa. Non sono salito sulla hand-bike per vincere due medaglie d’oro, ho vinto due medaglie d’oro perché mi piaceva andare sulla mia hand-bike! E’ la stessa cosa quando corro in macchina – certo, correre è bello, e vincere, battere tutti i tuoi avversari, ti dà una sensazione fantastica ma per esempio, il primo test di quest’anno a Vallelunga, dopo quattro anni di assenza dalle gare… quando stavo lì, seduto nell’abitacolo, in una bella giornata, con l’erba verde, il cielo azzurro e 500 cavalli sotto il sedere con cui giocare a mio piacimento… beh, ero felice come un maiale nel fango! Era bellissimo, quando è questo l’approccio il successo non è che la logica conseguenza di quello che si fa. Non è questione di determinazione, impegno o cose del genere: lo fai perché ami farlo, e non solo in Alex Zanardi, ma in tante persone attorno a noi, in una madre che si alza la mattina anche se è malata per andare a lavorare per mantenere la sua famiglia. Nel mio percorso di riabilitazione ho incontrato persone meravigliose: un giorno, a Imola, vidi un uomo che teneva in braccio una bambina – non capivo perché fosse lì finché non ho visto che la bimba non aveva le gambe. Stava piangendo, ma quando mi sono avvicinato l’ho visto girarsi e guardarmi con un sorriso che contrastava con le lacrime. Gli chiesi se stava bene, lui mi rispose che era il giorno più felice della sua vita. Sua figlia era nata senza gambe, e i dottori gli avevano detto che avrebbero dovuto aspettare fino ai quattro anni per darle le prime protesi – il giorno era arrivato. Il dottore gli aveva chiesto “E le scarpe?”. Lui aveva dovuto correre fuori per comprare un paio di scarpe per sua figlia per la prima volta nella sua 93 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Campioni Periodico elettronico di informazione motociclistica risvegliato gradualmente perché potessi scoprire da lei come erano andate le cose prima di rendermene conto in prima persona. Poi ho scoperto i dettagli – che il mio cuore si era fermato sette volte, che mi avevano dovuto trasfondere una quantità incredibile di sangue dopo aver resistito oltre 15 minuti con meno di un litro in corpo. Una cosa incredibile, la scienza non contemplava la possibilità di sopravvivenza per una persona nelle mie condizioni, men che meno un recupero delle funzionalità degli organi interni e del cervello come è stata la mia. Insomma, dopo quel momento avevo una vaga idea di cosa mi era capitato, ed ero così felice di essere vivo, quindi mettermi al lavoro per riorganizzare le cose della mia vita non è stato un progetto, un’attività necessaria quanto un vero e proprio dono che avevo ricevuto – poter continuare la mia vita, non dover ripartire. Ecco perché non mi sono fermato, perché mi sono concentrato su quello che potevo fare, sono stato così determinato per arrivare dove potevo: avevo visto altra gente tornare ad avere una certa qualità di vita, ed essendo una persona molto ottimista ho pensato dentro di me di poter fare di più» se hai sufficiente talento prima o poi il tuo giorno arriverà. Credo che la parola che definisce tutto questo sia “passione”» Non molti però riescono a trovare la forza per maturare l’approccio di Zanardi alla sua nuova condizione «Beh, ognuno di noi è unico, diverso da tutti gli altri. Reagiamo ognuno a modo suo, e il più delle volte non sappiamo nemmeno come reagiremmo se ci trovassimo nelle condizioni con 94 cui qualcun altro è costretto a misurarsi. Se io avessi visto quello che mi è capitato succedere a qualcun altro avrei sicuramente fatto parte della schiera di chi dice “Wow, guarda quel tipo – io non ce l’avrei mai fatta a fare quello che ha fatto lui” ma… è successo a me, e sicuramente non avevo pianificato né il mio incidente né la mia reazione successiva. Quello che posso dirvi è che uscito dal coma, nel mio letto d’ospedale, mia moglie mi ha detto cosa mi era successo – era una cosa voluta, i medici mi hanno E sicuramente ci è riuscito, viste le prestazioni dimostrate tanto al volante che in sella. Che differenza c’è, a proposito, in termini atletici nei due sport? «Fisicamente è molto diverso: chiaramente competere nel paraciclismo è più impegnativo. Ci sono tanti tipi di discipline raccolte sotto l’egida delle Paralimpiadi, in certune il livello non è elevatissimo e lo si vede dal fatto che sfortunatamente a volte arriva alle un ex campione dello sport tradizionale e batte i record con un margine incredibile, il che fa chiedere se ci si trova davanti ad un mostro o se, più semplicemente, il livello della competizione non fosse esattamente irresistibile. Nel paraciclismo credo che invece il livello sia piuttosto alto, soprattutto nella mia categoria anche se la partenza non è affollatissima, soprattutto perché è molto costoso per le squadre schierare i propri atleti quindi i team portano solo quelli che hanno una reale possibilità di fare bene. Ma siamo piuttosto veloci – le nostre velocità medie arrivano a 45 km/h su distanze di 20 km, sono numeri interessanti anche per i ciclisti, figuratevi per uno che spinge la sua bici con le braccia! E molto impegnativo, bisogna allenarsi molto, con metodo e grande regolarità. Fortunatamente ho un ottimo allenatore, che ha 16 anni meno di me – ironico, di solito è il contrario – e lavoriamo molto bene insieme» «Psicologicamente, invece, è quasi facile rispetto agli sport motoristici – si tratta di una forma di competizione in cui non si possono commettere errori. Non è un match di tennis, in cui uno può sbagliare un colpo, mandare la palla in rete, imprecare, magari rompere la racchetta per poi riprendere, ritrovare la concentrazione e magari vincere comunque l’incontro. Negli sport motoristici quando sbagli e finisci nella ghiaia è finita, arrivederci – nel migliore dei casi bisogna aspettare due settimane per avere una seconda opportunità, ma quella è comunque sprecata per sempre. Psicologicamente è uno sport durissimo, ma anche fisicamente è diventato più impegnativo che in passato – quello che faccio ora, nel Blancpain GT Series è molto duro per via del caldo: l’aria raggiunge i 50°, ci sono parti dell’abitacolo dove la temperatura arriva a 65° - l’altro giorno sono sceso dalla macchina e la suola in gomma delle mie scarpe si era sciolta, anche se ovviamente non me ne sono accorto mentre guidavo (ride, ndr). Per cui si, è molto stancante soprattutto per una persona come me, senza gambe: gli arti sono le zone del corpo in cui il sangue si rinfresca maggiormente durante la circolazione. Non avendo le gambe sono un po’ come un motore a cui manca una parte del radiatore, ma certo, fisicamente non fatico come faccio quando sono impegnato in una gara di hand-bike, magari quando sono il favorito e gli avversari si alleano contro di me come succederà qui a Greenville. Vediamo se ce la farò a finire un’altra volta con il sorriso sulle labbra!» 95 Ricevi Automoto.it Magazine » Spedizione su abbonamento gratuito Periodico elettronico di informazione motociclistica Campioni EDITORE: CRM S.r.l., Via Melzo 9 - 20129 Milano P. Iva 11921100159 REDAZIONE Ippolito Fassati Emiliano Perucca Orfei Alessandro Colombo Aimone Dal Pozzo Francesco Paolillo Andrea Perfetti Matteo Valenti GRAFICA Thomas Bressani COLLABORATORI Massimo Clarke (Tecnica) Enrico De Vita Claudio Pavanello (Epoca) Alfonso Rago Antonio Gola COPYRIGHT Tutto il materiale contenuto su Automoto.it Magazine è oggetto di diritti esclusivi di CRM S.r.l. con sede in Milano, Via Melzo 9. Ne è vietata quindi ogni riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione scritta di CRM S.r.l. Automoto.it Via Melzo 9- 20129 Milano Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003 Capitale Sociale Euro 10.000 i.v. Email: [email protected] 96 97