Fatica su Componenti - Università di Bologna
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Fatica su Componenti - Università di Bologna
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA DOTTORATO DI RICERCA IN MECCANICA DEI MATERIALI E PROCESSI TECNOLOGICI - XVII ciclo - Tesi di Dottorato in: MECCANICA DEI MATERIALI Fatica su Componenti simulazione e prove sperimentali Autore: Dott. Ing. Maria Teresa Cascella Coordinatore Tutore: Prof. Ing. Alessandro FREDDI Prof. Ing. Sergio CURIONI Esame Finale Anno 2005 2 a mamma e papà e a tutti coloro che mi hanno supportato in questi anni 3 Si ringrazia per il supporto fornito 4 1. SIMULAZIONE DI FATICA ......................................................................7 1.1 FATICA OLIGOCICLICA - METODO DELLA DEFORMAZIONE LOCALE ................................................................................................................ 8 1.1.1 Comportamento ciclico del materiale in campo elasto-plastico .............. 8 1.1.2 Fattori di concentrazione ........................................................................ 10 1.1.3 Comportamento a fatica del materiale ................................................... 11 1.1.4 Sequenze di carico di ampiezza variabile .............................................. 13 1.2.1 Disegno del modello solido del componente con un programma CAD 3D .......................................................................................................................... 18 1.2.2 Analisi FEM con valutazione delle tensioni sull’intero componente ..... 19 1.2.3 Esportazione dati ..................................................................................... 20 1.2.4 Calcolo delle tensioni e deformazioni reali utilizzando l’iperbole di Neuber e l’equazione di Ramberg-Osgood ...................................................... 21 1.2.5 Calcolo della vita residua del componente elemento per elemento utilizzando la formula di Manson-Coffin con un apposito codice di calcolo .. 21 1.2.6 Mappatura della vita residua sul modello del componente per facilitarne la valutazione.................................................................................................... 22 1.2.7 Calcolo del danno accumulato con la regola di Palgrem-Miner ............. 23 1.2.8 Mappatura del danno complessivo.......................................................... 23 1.3 APPLICAZIONE DEDICATA AL COMPONENTE, QUADRO RIASSUNTIVO ................................................................................................... 25 1.4 SCELTA LEGGE APPROSSIMANTE ........................................................ 28 1.4.1 Teoria di Siebel/Stieler............................................................................ 28 1.4.2 Teoria di Dietmann.................................................................................. 28 1.4.3 Teoria di Heywood.................................................................................. 28 1.4.4 Teoria FKM............................................................................................. 28 1.4.5 Teoria di Bollenrath/Troost ..................................................................... 29 1.4.6 Teoria di Eichlseder................................................................................. 29 1.4.7 Teoria di Neuber...................................................................................... 29 2. PROVE DI FATICA ..................................................................................30 2.1 - STUDIO DEI PARAMETRI DI PROVA ................................................... 30 2.1.1 – Carico ................................................................................................... 31 2.1.2 - Attrezzatura di afferraggio, accoppiamento.......................................... 32 2.1.3 – Lubrificazione ...................................................................................... 33 2.1.4 - Temperatura .......................................................................................... 34 2.1.5 - Frequenza .............................................................................................. 34 2.1.6 - Interazione fra i diversi parametri......................................................... 34 2.2 ANALISI DEI DATI ..................................................................................... 36 2.2.1 Metodo della prova a gradini: Stair-case................................................. 38 2.2.2 Metodo Dixon.......................................................................................... 40 2.2.3 Metodo Hodge - Rosenblat ..................................................................... 42 2.2.4 Two-Point Strategy.................................................................................. 42 2.2.5 Metodo Boundary.................................................................................... 42 5 2.2.6 Metodo Probit.......................................................................................... 45 2.2.7 Valutazione comparativa......................................................................... 47 3. - PROVE SU BIELLE MOTORE..............................................................49 3.1 – STUDIO BIBLIOGRAFICO DEL PROBLEMA ...................................... 49 3.1.1 Carico critico ........................................................................................... 49 3.1.3 Superfici di contatto ................................................................................ 51 3.1.4 Forma e materiale.................................................................................... 51 3.1.5 Comportamento a fatica .......................................................................... 52 3.2 BIELLE IN ALLUMINIO PER USO AGRICOLO...................................... 53 3.2.1 Introduzione............................................................................................. 53 3.2.2 Rilievi dimensionali ............................................................................... 53 3.2.3 Metodologia di prova - Impostazione dei parametri di prova................ 54 3.2.4 Esecuzione delle prove............................................................................ 57 3.2.5 Quadro riassuntivo .................................................................................. 59 3.2.6 Risultati di prova ..................................................................................... 60 3.2.7 Valutazione del limite di fatica ............................................................... 67 3.2.8 Considerazioni conclusive....................................................................... 72 3.3 - BIELLE IN ACCIAIO PER MOTORI MOTOCICLISTICI ...................... 73 3.3.1 Calcolo tensioni al piede ......................................................................... 73 3.3.2 Impostazione del carico e frequenza di prova......................................... 75 3.3.3 Risultati delle prime sperimentazioni...................................................... 76 3.3.4. Stati tensionali sul piede in trazione....................................................... 84 CONCLUSIONI .............................................................................................86 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................87 6 1. SIMULAZIONE DI FATICA Con lo sviluppo di metodi di progettazione quali il Safe-life (Progettazione a vita finita), Fail-safe (Progettazione sicura rispetto al danno) e Damage tolerant (Progettazione con accettazione del danno), che non presuppongono più la durata infinita del componente o della struttura, la previsione della vita sotto carico ha assunto un’importanza sempre crescente per prevedere la vita di un componente con metodi che pongano in relazione lo stato di sollecitazione con il numero di cicli a rottura o per prevedere la velocità di propagazione di un eventuale difetto e quindi il momento in cui esso diventa critico. La previsione di vita a fatica può divenire complicata quando gli elementi da provare non sono provini, ma componenti con una loro complessità geometrica poiché in questi casi diventa difficile valutare i fattori di concentrazione delle tensioni e non è possibile escludere a priori la possibilità di locali plasticizzazioni anche lavorando con carichi limitati. La vita di un componente si divide in tre stadi: - Vita fino alla comparsa di un difetto visibile; - Propagazione subcritica del difetto; - Propagazione critica del difetto fino alla frattura del componente. 7 1.1 FATICA OLIGOCICLICA - METODO DELLA DEFORMAZIONE LOCALE Quello che si studia nella teoria esposta di seguito è il primo stadio, che spesso costituisce la parte maggiore della vita del componente. E’ necessario creare modelli che siano in grado di prevedere la porzione di vita a partire dalla conoscenza di parametri sperimentali sui materiali. Bisogna inoltre tener conto della variazione di ampiezza dei carichi nel tempo perché, in questo caso, il danno per ciclo è funzione di tutta la storia di carico precedente. Si parla infatti di “memoria del materiale” per indicare quel fenomeno per cui, al variare dell’ampiezza del carico, il materiale tende comunque a ripercorrere i cicli di carico precedenti. Così, se ad esempio ad un carico maggiore non completo si sussegue un carico minore, quando si ritorna al ciclo maggiore, il materiale “ricorda” la storia di tensione precedente e si riporta sul ciclo di isteresi precedente. Il metodo per la previsione di vita a fatica oligociclica si compone dei seguenti passi: 1. Descrizione del comportamento ciclico del materiale in campo elasto-plastico. 2. Simulazione della concentrazione. discontinuità geometrica con opportuni fattori di 3. Simulazione del comportamento a fatica del materiale, in funzione del numero di cicli, fino alla comparsa del primo difetto. 4. Estensione del metodo alle sequenze di carico di ampiezza variabile. 5. Valutazione del danno accumulato. Tali passi costituiscono l’argomento dei prossimi paragrafi 1.1.1 Comportamento ciclico del materiale in campo elasto-plastico Considerando il caso monoassiale, la curva ciclica tensione – deformazione viene ottenuta con i seguenti passaggi: - Si applica al provino una serie di cicli di deformazione imposta di ampiezza costante registrandone la tensione corrispondente. - Quando i cicli di isteresi si stabilizzano, si ripete l’esperimento con un nuovo provino e con una deformazione imposta di ampiezza superiore alla precedente e si registra un secondo ciclo di isteresi. - L’inviluppo delle cuspidi di tutti i cicli di isteresi stabilizzati è la curva ciclica tensione – deformazione del materiale. 8 Il motivo dell’uso di un nuovo provino per ogni prova è dato dal fatto che, usando lo stesso provino, questo risulterebbe “allenato” dai carichi precedenti, inficiando il risultato della prova. In Figura 1 è mostrato il ciclo di isteresi ottenuto con un solo carico, in Figura 2 è invece rappresentato l'inviluppo dei vari cicli. Figura 1 Figura 2 Considerando che spesso, con deformazione imposta, la tensione tende a variare fino talvolta alla rottura del provino, si ricorre ad un definizione convenzionale di stabilità del ciclo assumendo come stabile quel ciclo che corrisponde alla metà del numero dei cicli che generano il primo difetto visibile. Lavorando in campo elasto – plastico, l’espressione analitica della deformazione [1] è data dalla somma di due termini, uno valido in campo elastico e l’altro in campo plastico: 1 [1] σ σ n' εt = εe + ε p = + E K' Con: εt deformazione totale imposta vera εe deformazione elastica vera εp deformazione plastica vera K’ coefficiente di plasticità a fatica n’ esponente di incrudimento ciclico Si può dimostrare che in campo elastico conta soltanto il primo termine, mentre in campo plastico contano entrambi, ma di più il secondo termine. 9 Portando le cuspidi inferiori dei cicli di isteresi nell’origine, le cuspidi superiori del ciclo si collocano su di una curva che è in rapporto di 2:1 rispetto alla curva ciclica ed è quindi descritta dalla stessa equazione a patto di sostituire alle variabili σ ed ε le variabili σ/2 e ε/2. Le curve ascendenti e discendenti del ciclo di isteresi sono descritte dalle equazioni [2] e [3]: ε −εr [2] 2 εr − ε [3] 2 1 σ − σ r σ − σ r n' = + 2E 2K ' 1 σ − σ σ r − σ n' = r + 2E 2K ' Con: σr e εr coordinate delle cuspidi. Le due relazioni sopra sono sintetizzate nell’espressione [4] di Ramberg e Osgood: 1 ∆ε t ∆ε e ∆ε p ∆σ ∆σ n ' = + = + 2 2 2 2E 2K ' [4] 1.1.2 Fattori di concentrazione In presenza di una discontinuità geometrica è necessario quantificarne l’effetto sullo stato tensionale e deformativo, infatti, le tensioni all’intaglio spesso superano il limite elastico. Al fondo dell’intaglio, cioè, si ha la creazione di una zona plastica mentre il materiale circostante continua a deformarsi elasticamente. In questo caso, non essendo corretto usare un unico fattore Kt, si utilizza la teoria di Neuber che definisce due nuovi fattori di concentrazione delle tensioni e delle deformazioni [4] e [5]: [5] σ = Kσ ⋅ S [6] ε = Kε ⋅ e con: Kσ ≠ K ε S ed e tensione e deformazione nominali. Il legame fra Kσ e Kε validi in campo non lineare e Kt valido in campo lineare è: [7] K ε ⋅ K σ = K t2 10 Nel caso di carichi variabili con valori di tensione e deformazione al fondo dell’intaglio legati da cicli di isteresi, tutte le relazioni scritte sopra sono valide a patto di riferirle al sistema di riferimento situato sulle cuspidi del ciclo. Vengono quindi riscritte secondo [8] e [9]: [8] Kε = ∆ε ∆e [9] Kσ = ∆σ ∆S Queste due equazioni, messe insieme, danno vita all'iperbole definita dall'equazione [10]: [10] ∆ε ⋅ ∆σ = K t2 ⋅ ∆e ⋅ ∆S Si ottiene un sistema nelle due incognite ∆σ e ∆ε la cui prima equazione è l’iperbole di Neuber [10], mentre la seconda è l'equazione di Ramberg e Osgood [4] che descrive il ciclo di isteresi. Graficamente, quindi, dall'intersezione fra le due curve si trovano le due incognite. 1.1.3 Comportamento a fatica del materiale Una volta ottenuti i parametri dei cicli di isteresi locali, con relazioni sperimentali si può valutare il numero di cicli effettuabili fino alla comparsa del primo difetto visibile, ovvero, la vita del componente. Le relazioni sperimentali sono caratteristiche del materiale e possono essere ricavate da prove di fatica su provini non intagliati. La simulazione delle curve di fatica può avvenire in termini di ampiezza della deformazione come anche della tensione, ma trattando la fatica a basso numero di cicli (N < 105), è preferibile ragionare in termini di deformazione a causa delle locali plasticizzazioni. La curva viene rappresentata dalla relazione di Manson e Coffin [11]: [11] ∆ε ∆ε e ∆ε p + = 2 2 2 σ'f b c = ⋅ (2 N ) + ε ' f ⋅(2 N ) E Con: σ’f coefficiente di resistenza a fatica ε’f coefficiente di duttilità a fatica c, b esponenti di fatica 11 I parametri introdotti non sono indipendenti fra loro, come si nota dalle relazioni [12] e [13]: [12] n' = [13] K'= b c σ'f (ε ' ) n' f In realtà, grazie alla ampia letteratura in merito, i coefficienti per i materiali classificati sono reperibili facilmente da tabelle. In Figura 3 vi è la rappresentazione grafica della curva di Manson e Coffin. Figura 3 Si è anche osservato sperimentalmente che la presenza di una tensione locale media di trazione nel ciclo di isteresi riduce sensibilmente la vita del componente a parità di deformazione ciclica imposta, mentre il contrario avviene con una tensione media di compressione. Nel caso di tensione media non nulla la relazione di fatica viene modificata [14]: [14] ∆ε σ ' f −σ m b c = ⋅ (2 N ) + ε ' f ⋅(2 N ) 2 E Nell’immagine seguente (Figura 4) si nota l’effetto della tensione media: 12 Figura 4 1.1.4 Sequenze di carico di ampiezza variabile La teoria di Neuber, che è approssimata, porterebbe, nel caso di cicli di ampiezza variabile, a risultati non corrispondenti alla realtà. Infatti, per il già citato “effetto memoria” del materiale, la costruzione di ognuno dei cicli di isteresi corrispondenti ai cicli di carico, è influenzata dai cicli di carico precedenti. E’ necessario allora impiegare dei metodi di conteggio dei cicli di carico che riducano la storia di carico effettiva ad una serie di cicli chiusi in modo da evitare la costruzione di cicli locali diversi dalla realtà. Sono stati messi a punto diversi metodi di conteggio che vanno sotto il nome generico di rainflow, nome derivato dall’analogia idraulica messa in luce dai ricercatori giapponesi Matsuishi e Endo nel loro studio originario. L'analogia è curiosa e vale la pena di essere citata: i due ricercatori, in un giorno di pioggia, hanno notato lo scorrere dell'acqua sulle punte di una pagoda che idealmente creava delle superfici chiuse; il significato della chiusura dei cicli viene chiarito dalla Figura 5 e dalla Figura 6 immaginando di ruotare di 90° il grafico che raffigura un ciclo di carico in funzione del tempo. Figura 5 Figura 6 13 I metodi di conteggio più utilizzati sono: • Il Rainflow che è ben rispondente ai risultati sperimentali ed è inoltre facilmente inseribile nel calcolatore. Suddivide la storia di carico in cicli completi cominciando a contare dal picco più alto e procedendo verso il minore. • Il Range-pair che è di più semplice applicazione manuale, ma più difficile da inserire nel calcolatore. Esamina prima i cicli di ampiezza minore eliminandoli di volta in volta fino ad avere solo un ciclo di ampiezza massima. Si ottengono in genere gli stessi risultati del Rainflow. • Il Race-track che non è propriamente un metodo di conteggio, quanto un metodo per trascurare i cicli di piccola ampiezza, che si ritiene provochino danni di piccola entità sul materiale. La storia di carico viene traslata verso l’alto e verso il basso per creare una pista di altezza s il cui tracciato medio è la storia di carico originale. Vengono considerati soltanto i cicli per i quali un ipotetico corridore che percorre la pista così creata sia costretto a cambiare direzione. Dopo è comunque necessario utilizzare uno dei metodi di conteggio già descritti. 1.1.5 Danno accumulato Con il termine danno si intende il processo che porta ad una riduzione della vita di un componente dovuta alle sollecitazioni cicliche applicate. Poiché il danno aumenta con il passare del tempo di applicazione del carico, è più corretta la denominazione “danno accumulato”. Le teorie che approssimano i risultati sperimentali sono molte ma presentano ancora un margine di incertezza tale che nessuna teoria è universalmente accettata. Quella maggiormente utilizzata è la teoria di Palgrem-Miner che assume che il danno D dopo un numero di cicli n con livello di tensione o deformazione i è definito [15]: [15] ni Ni D= Con Ni numero totale dei cicli a rottura per il livello i. Quando si trattano carichi di differente ampiezza, la somma dei rapporti ciclici relativi ai vari livelli di tensione nella sequenza di applicazione del carico è uguale ad 1 in corrispondenza della fine vita del pezzo [16]: m [16] ni ∑N i =1 =1 i 14 1.1.6 Approccio sperimentale La teoria sintetizzata fino ad ora va, come già detto, sotto il nome di "Metodo della deformazione locale" perché presuppone una locale plasticizzazione del materiale ed è stata sviluppata proprio per questo caso. Dalle equazioni [4] e [11] si nota invece come la teoria sia valida anche in campo esclusivamente elastico e per questo da alcuni anni a questa parte gli studi e le esperienze in questo campo si sono moltiplicati in particolare da parte della SAE. La convenienza del metodo sta nel poter studiare il comportamento a fatica non solo di provini, ma anche di componenti perché la curva tensione/deformazione che si ottiene per i provini (o che si trova direttamente in letteratura) viene utilizzata insieme con la curva tensione/deformazione dei componenti. La corrispondenza fra le due curve è assicurata dalla scelta opportuna dei fattori di concentrazione. Purtroppo è necessario un importante studio preliminare sulla distribuzione delle tensioni nel componente per individuare le zone di concentrazione delle tensioni e quindi i relativi fattori di concentrazione. I modelli matematici necessari, ad esempio ad elementi finiti, si scontrano con quello che è il maggiore limite della teoria. L'anello debole della catena costituita dalle equazioni riportate nel paragrafo precedente è l'iperbole di Neuber, legge strettamente empirica che introduce delle approssimazioni molto spinte e che quindi non trova sempre rispondenza nella realtà. Per ovviare a questi problemi si può cercare, nei casi in cui è possibile, di evitare l'utilizzo dell'equazione di Neuber rilevando direttamente le deformazioni sul componente mediante sensori affidabili come gli estensimetri. Per individuare qualitativamente le zone in cui incollare gli estensimetri si possono utilizzare metodi semplici e poco costosi come l'applicazione di rivestimenti fragili. Con misure sperimentali è possibile tracciare l’andamento della deformazione locale in funzione della tensione nominale, cioè del carico applicato. In questo modo si traccia la curva di calibrazione valida per un dato materiale e un dato intaglio. Si costruiscono poi in successione i cicli di isteresi per arrivare alla determinazione della storia di tensione locale senza far uso dell’iperbole di Neuber dato che è già noto l’andamento della deformazione locale al fondo dell’intaglio. Siccome la teoria ipotizza che il legame tra tensione e deformazione sia una proprietà del materiale, la curva ciclica può essere determinata su provini non intagliati e per ricavare la storia di tensione si impone al provino l’andamento ε - t e si misura l’andamento σ - t. La Figura 7 e la Figura 8 riportano lo schema del metodo. Dalle immagini si nota il doppio procedimento dovuto, come detto prima, all'utilizzo congiunto di un 15 provino liscio e di un provino con intaglio che simula il componente e che viene strumentato con un estensimetro al fondo dell'intaglio. Figura 7 Sono evidenti i quattro passaggi: a) Assegnazione della storia di carico in funzione del tempo b) Misura della deformazione locale al fondo dell’intaglio c) Costruzione della storia di deformazione in funzione del tempo d) Costruzione del ciclo di isteresi carico-deformazione 16 Figura 8 I passaggi sono: a) Imposizione della storia di deformazione in funzione del tempo b) Misura della tensione in un provino non intagliato c) Costruzione della storia di tensione in funzione del tempo d) Costruzione della curva di isteresi tensione-deformazione 17 1.2 APPLICAZIONE E SIMULAZIONE I passi appena descritti possono essere notevolmente semplificati associando alle leggi teoriche uno studio con elementi finiti. In particolare, si riscontrano notevoli vantaggi semplificando l’utilizzo dell’iperbole di Neuber. E’ infatti notevolmente difficile, trattando componenti a geometria complessa, valutare in modo teorico il valore dei fattori di concentrazione delle tensioni. Non si trovano, infatti, in letteratura, studi in questo senso. In ogni caso, bisognerebbe limitare lo studio alle zone del componente più sollecitate, da valutare preliminarmente con metodi sperimentali o teorici. Anche lo studio con elementi finiti, da solo, non appare adeguato perché limita la trattazione del carico al caso statico. Unendo deformazione locale ed elementi finiti si può pervenire alla previsione della vita residua di un componente comunque complesso senza tralasciarne alcuna zona. Il metodo proposto è stato testato con un provino di forma particolare che lo ha reso adatto anche a prove sperimentali con estensimetro incollato. 1.2.1 Disegno del modello solido del componente con un programma CAD 3D Il modello va disegnato con un programma CAD tridimensionale per poter avere la percezione del componente. Grande vantaggio dei cad tridimensionali è infatti quello di dare dei disegni molto somiglianti al pezzo reale. Disegno del modello 18 1.2.2 Analisi FEM con valutazione delle tensioni sull’intero componente Il disegno va quindi importato in un programma ad elementi finiti e viene discretizzato ed analizzato. I dati uscenti in tensione e deformazione vengono prelevati dai file di testo del codice stesso. Modello discretizzato e schema dei carichi Mappa delle tensioni 19 1.2.3 Esportazione dati I dati degli elementi finiti, cioé tensione e deformazione di ogni singolo elemento vengono importati in un apposito codice di calcolo. # Elemento 10224 13675 13772 13767 14866 13494 14297 9914 10614 12546 11409 7239 13362 11562 12543 10920 12621 11221 12239 12619 14829 13154 10263 11310 12626 12551 14919 11256 9911 13237 11809 14746 9912 14416 14410 12378 9120 12635 12549 11389 10343 12043 12025 13347 9046 ...... Solid Max Prin Strain Solid Max Prin Stress 0,0825 600 0,0815 6293 0,0799 6214 0,0796 6626 0,0795 6308 0,0792 5923 0,0787 6140 0,0783 6049 0,0783 6481 0,078 6051 0,0746 5795 0,0744 5883 0,0741 5693 0,0731 5697 0,0729 5960 0,0728 5966 0,0728 5817 0,0726 5549 0,0722 5646 0,0721 5981 0,0721 5691 0,072 5568 0,0718 5644 0,0715 6064 0,0714 5768 0,0666 5187 0,0661 5114 0,0655 5112 0,065 4909 0,0646 5351 0,0639 4953 0,0637 4947 0,0635 4815 0,0634 5148 0,063 4880 0,0628 4939 0,06 4850 0,0599 4738 0,0595 4422 0,0594 4656 0,0589 4890 0,0589 4760 0,0586 4673 0,0586 4786 0,0582 4447 ...... ...... Tensione e deformazione per elemento 20 1.2.4 Calcolo delle tensioni e deformazioni reali utilizzando l’iperbole di Neuber e l’equazione di Ramberg-Osgood Con i dati di tensione e deformazione ottenute si calcolano quelle reali. Pulsanti per il calcolo 1.2.5 Calcolo della vita residua del componente elemento per elemento utilizzando la formula di Manson-Coffin con un apposito codice di calcolo In cascata viene calcolata la vita residua. Pulsanti per il calcolo 21 # Elemento Solid Max Prin Strain Solid Max Prin Stress 10224 0,0825 600 13675 0,0815 6293 13772 0,0799 6214 13767 0,0796 6626 14866 0,0795 6308 13494 0,0792 5923 14297 0,0787 6140 9914 0,0783 6049 10614 0,0783 6481 12546 0,078 6051 11409 0,0746 5795 7239 0,0744 5883 13362 0,0741 5693 11562 0,0731 5697 12543 0,0729 5960 10920 0,0728 5966 12621 0,0728 5817 11221 0,0726 5549 12239 0,0722 5646 12619 0,0721 5981 14829 0,0721 5691 13154 0,072 5568 10263 0,0718 5644 11310 0,0715 6064 12626 0,0714 5768 12551 0,0666 5187 14919 0,0661 5114 11256 0,0655 5112 9911 0,065 4909 13237 0,0646 5351 11809 0,0639 4953 14746 0,0637 4947 9912 0,0635 4815 14416 0,0634 5148 14410 0,063 4880 12378 0,0628 4939 9120 0,06 4850 12635 0,0599 4738 12549 0,0595 4422 11389 0,0594 4656 N 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 7 7 7 7 7 7 7 7 7 7 7 7 7 7 7 8 9 9 9 8 9 9 9 9 9 9 10 10 10 10 Manson-Coffin 2,17543E+12 5,14953E+11 0,079816774 0,079175864 0,079391547 0,079636552 0,07943945 0,078808349 0,078152114 0,078472972 0,075156926 0,074315814 0,07478168 0,073006939 0,073599877 0,073479584 0,073166546 0,073098658 0,072855706 0,072476751 0,072866175 0,072429793 0,072358843 0,072078805 0,072221392 0,065691687 0,065585091 0,065128015 0,064042201 0,063738273 0,06354554 0,063613266 0,063442995 0,063293594 0,062958004 0,063703569 0,059559461 0,059205523 0,059806888 0,059550407 Calcolo vita 1.2.6 Mappatura della vita residua sul modello del componente per facilitarne la valutazione I risultati vengono riportati nel codice ad elementi finiti e riassociati agli elementi corrispondenti. 22 Mappa della vita residua 1.2.7 Calcolo del danno accumulato con la regola di Palgrem-Miner 1.2.8 Mappatura del danno complessivo Nel caso di leggi di carico complesse, queste possono essere scomposte in carichi elementari utilizzando il metodo Rain-Flow. E’ importante notare come, pur mantenendo gli stessi carichi, cambiando le condizioni di vincolo, lo stato tensionale e quindi la vita residua cambia notevolmente. Nelle immagini sotto si notano le tensioni e la vita del provino caricato nei due fori con carico elastico e senza ulteriori vincoli. Mappa vita Mappa tensioni 23 Nelle immagini seguenti sono presenti le tensioni e la vita dello stesso provino, sotto gli stessi carichi, ma completamente vincolato (incastrato) al bordo verticale sinistro. Mappa tensioni Mappa vita 24 1.3 APPLICAZIONE RIASSUNTIVO DEDICATA AL COMPONENTE, QUADRO I passi precedenti vanno necessariamente integrati con altri legati al particolare componente: 1. Esame delle analisi teoriche e sperimentali già effettuate sul componente 2. Caratterizzazione del componente − Tipo di materiale − Uniformità del materiale − Presenza di tensioni residue − Altro 3. Caratterizzazione del materiale − Ricerca bibliografica − Prove statiche − Prove a fatica − Prove in temperatura 4. Analisi sperimentale del componente − Determinazione dello stato deformativo nelle zone critiche (individuate da FEM) − Determinazione delle condizioni di temperatura − Valutazione delle condizioni di vincolo Possibilità di semplificare l’indagine numerica individuando aree limitate utilizzabili nel calcolo 25 Prove sperimentali 26 MODELLO PREVISIONE DI VITA QUADRO RIASSUNTIVO ESAME ANALISI GIA' EFFETTUATE SUL COMPONENTE CARATTERIZZAZIONE DEL COMPONENTE CAD 3D disegno modello solido ANALISI FEM mappa delle tensioni e deformazioni CALCOLO TENSIONI REALI Iperbole di Neuber ∆ε ⋅ ∆σ = (K t ⋅ ∆S )2 E 1 CARATTERIZZAZIONE DEL MATERIALE ∆ε ∆σ ∆σ n ' = + 2 2E 2K' CALCOLO DEFORMAZIONI REALI equazione di Ramberg-Osgood ANALISI SPERIMENTALE DEL COMPONENTE CALCOLO VITA PREVISTA Legge di Manson-Coffin ∆ε σ ' f −σ m b c = ⋅ (2 N ) + ε ' f ⋅(2 N ) E 2 ANALISI FEM mappa della vita vita prevista per altri carichi vita prevista per altri carichi CALCOLO DANNO ACCUMILATO Regola di Palgrem-Miner ANALISI FEM mappa del danneggiamento 27 D= ni Ni 1.4 SCELTA LEGGE APPROSSIMANTE La regola della deformazione locale può non essere la più opportuna. Qualora vi sia da tener conto soprattutto dello stato tensionale si può ricorrere ad altre teorie e il codice sceglierà di volta in volta la più opportuna. 1.4.1 Teoria di Siebel/Stieler n χ = 1 + sG ⋅ χ ' 1.4.2 Teoria di Dietmann c nχ = 1 + 1 Rm mD ⋅ c2 ρ 1.4.3 Teoria di Heywood nρ = 1 + 2 ⋅ a ** 1 ⋅ 1 − ρ Kt 1.4.4 Teoria FKM nχ = 1 + χ '⋅mm ⋅10 Rm − aG + bG MPa 28 1.4.5 Teoria di Bollenrath/Troost 1 145 nρ = 1− 1 1+ Rm Rm 1370 + ρ 10 1.4.6 Teoria di Eichlseder χ ' σ bf nχ = 1 + − 1 ⋅ 2 σ d tf KD 1.4.7 Teoria di Neuber nρ = 1 + s⋅ρ * ρ 29 2. PROVE DI FATICA 2.1 - STUDIO DEI PARAMETRI DI PROVA Quando si effettuano prove di fatica bisogna necessariamente tenere conto dell’influenza di molti fattori. Questi si suddividono in parametri operativi o esterni e parametri costruttivi o interni. I primi sono quelli che vanno studiati e regolati per ottenere delle prove corrette, mentre i secondi vanno tenuti presente perché le prove abbiano un’effettiva utilità nel miglioramento del prodotto. Va quindi perseguita in primo luogo la messa a punto dei parametri esterni identificata come obiettivo intermedio, ed in secondo luogo quella dei parametri interni, l’obiettivo finale. Le considerzioni fatta qui, pur avendo carattere generale, vengono riferite al caso biella motore, successivamente analizzato in dettaglio. I parametri esterni, di cui viene riportata di seguito una breve panoramica con particolare attenzione alla loro importanza, sono: Modalità di applicazione del carico Frequenza del carico ciclico Temperatura Lubrificazione Modalità di afferraggio Tolleranze di accoppiamento E’ possibile che durante le prove si verifichi l’esistenza di parametri operativi prima non considerati che quindi vengono valutati di volta in volta. Per quanto riguarda i parametri interni il discorso è più complesso perché viene coinvolto il processo produttivo del componente. Fra questi si annoverano: Errori di forma Anomalie metallurgiche Fattori di intaglio Nuove tecnologie di fabbricazione 30 2.1.1 – Carico Quando si stabilisce il carico a cui sottoporre un componente durante la prova, si possono seguire due strade: la prima cerca di simulare il più possibile le condizioni di esercizio dal punto di vista dell'entità del carico applicato e delle sue modalità di applicazione. Questa strada presenta però l'inconveniente di non riuscire a stabilire la reale potenzialità del componente e quindi determina la resistenza dei prototipi che in genere non rappresentano le situazioni estreme dei parametri interni che si verificheranno in una produzione di grande serie; inoltre, il tempo di prova rischia di diventare troppo lungo. La seconda strada introduce delle semplificazioni dal punto di vista dell'applicazione del carico, perché trascura le sollecitazioni di entità manifestamente inferiore, ma porta la sollecitazione applicata a valori che trascendono le condizioni di esercizio, riuscendo così a tener conto della dispersione del livello di qualità interna. Nel caso in esame, pur sapendo che la biella è dotata nella realtà di un moto rotatorio ed è quindi sottoposta ad un carico che si scompone in una componente assiale e in una componente flessionale, si può affermare che, in generale, quest'ultima è poco influente sulla resistenza del componente, una volta evitato il pericolo di risonanza dovuto al cosiddetto "colpo di frusta", quindi in regimi di rotazione medio-bassi. Le prove possono quindi pianificarsi in regime monoassiale valutando il rapporto di tensione più opportuno. Figura 1.1 31 Le bielle lavorano soprattutto in compressione, ma la compressione è anche il caso più favorevole nelle prove di fatica perché dà vita ad una tensione media negativa che innalza il limite di fatica. Il contrario avviene per la trazione come si nota nella Figura 1.2. Figura 1.2 Per quanto riguarda la variabilità necessaria in una prova, è possibile mantenere costante il rapporto di tensione variando di volta in volta il carico medio, oppure mantenere costante il carico medio e variare il rapporto di tensione. Mantenere il carico medio è più usuale ed il valore tipico di tale carico è 1,5 ÷ 2 volte il carico di esercizio. Quando si trattano provini, in genere per valutare il comportamento a fatica si utilizza il carico completamente alternato (R = -1), ma può essere più opportuno considerare il caso più sfavorevole di carico pulsante di trazione (R = 0). Nel caso di prove su componenti il cui comportamento in esercizio è noto, il carico a cui sottoporli può essere quello che maggiormente simula le condizioni di esercizio. Ma, nello specifico, è più opportuna una soluzione di compromesso tra i due casi estremi di sola trazione e di sola compressione. Il primo è infatti il più sfavorevole dal punto di vista della resistenza, ma non interviene sulle tolleranze di accoppiamento, il secondo, favorevole per la resistenza, può essere influenzato dalla comparsa dei giochi che nel tempo danno vita a fratture per urti ripetuti. 2.1.2 - Attrezzatura di afferraggio, accoppiamento Il modo di vincolare la biella alla macchina di prova ha una notevole importanza dal punto di vista dei risultati che si possono ottenere. I vincoli significativi per le prove in oggetto sono due: la cerniera e l'incastro. Considerando le due estremità della biella, le combinazioni di vincolo sono quindi quattro. La combinazione che simula le condizioni di esercizio è quella con due cerniere ai due 32 occhi di biella: da questa non si può prescindere nel pianificare una campagna di prove. Successivamente, per andare ad indagare zone particolari della biella, si può ricorrere ad una delle altre combinazioni che, di fatto, escludono dalla prova la parte che viene vincolata rigidamente per concentrarsi su quella lasciata libera. La variazione delle tolleranze di accoppiamento ha influenza in quanto il gioco provoca un lavoro d’urto al cambiamento della direzione della forza. Gli effetti si hanno soprattutto nella zona cerchiata nella Figura 1.3, nell’analoga zona al piede e sulla resistenza delle viti di serraggio. Dal diagramma di forzamento delle viti, si nota infatti come queste ultime vengano alleggerite in esercizio quando stringono degli elementi rigidi e quindi risultino sfavorite dal gioco che impedisce il collegamento rigido. Figura 1.3 2.1.3 – Lubrificazione La lubrificazione ha essenzialmente lo scopo di diminuire l’attrito e dissipare il calore. Con la diminuzione dell’attrito si tenta di impedire l’innesco di fenomeni di usura e di fatica per sfregamento comunemente denominato fretting. Il fretting è un fenomeno che si verifica quando due superfici a contatto hanno piccole oscillazioni relative (anche inferiori a 10-5 mm). Nel caso di materiali diversi a farne le spese è ovviamente il materiale meno resistente. E’ importante considerare, poi, la stretta relazione fra la lubrificazione, la temperatura e le tolleranze di accoppiamento, come si nota nei paragrafi successivi. Un’altra importante opportunità è la possibilità di innalzare la temperatura del componente in prova riscaldando il lubrificante. 33 2.1.4 - Temperatura L’influenza della temperatura non è trascurabile, soprattutto parlando di un componente come la biella, perché il suo aumento è causa di dilatazioni differenziali. Le dilatazioni termiche sono dipendenti oltre che dalla temperatura, dal coefficiente di dilatazione del materiale, quindi, accoppiando tra loro materiali diversi o comunque con un diverso coefficiente di dilatazione, si ha una variazione dell’accoppiamento nel senso di una variazione del gioco o dell’interferenza. Entrambe le conseguenze hanno importanza nei risultati di una prova soprattutto per quei materiali con elevato coefficiente di dilatazione termica. Le dilatazioni termiche possono anche dar vita a tensioni rilevanti causate da deformazioni impedite, come è il caso dell’accoppiamento biella-bronzina. 2.1.5 - Frequenza La norma UNI 3964 considera trascurabile l’influenza della frequenza di applicazione del carico ciclico sui risultati fino a valori dell’ordine dei 100 Hz. In linea di principio, l’aumento della frequenza del carico ciclico aumenta la resistenza del materiale metallico alla fatica perché diminuisce la durata di applicazione del carico massimo. D’altro canto, elevando troppo la frequenza, il calore prodotto per fenomeni di isteresi non viene più sufficientemente eliminato per convezione e irraggiamento, cosa che può provocare un sensibile riscaldamento locale del materiale, da cui una diminuzione di resistenza a fatica dovuta all’effetto della temperatura. Fino a valori dell’ordine dei 100 Hz i due effetti sostanzialmente si compensano. Per valori della frequenza superiori ai 100 Hz, non è più possibile trascurare l’aumento della temperatura e i risultati della prova ne possono venire inficiati. 2.1.6 - Interazione fra i diversi parametri La matrice seguente stabilisce una correlazione a priori fra i diversi parametri sulla base di considerazioni teoriche allo scopo di fornirne una visione più immediata, il tutto dopo aver definito il materiale e il trattamento superficiale. 34 Tolleranze Afferraggi Lubrificazione Temperatura Frequenza Carico Carico Frequenza Temperatura Lubrificazione Afferraggi Tolleranze = correlazione molto forte = correlazione forte = correlazione debole = correlazione molto debole Come è ovvio, la variazione di alcuni parametri ha necessariamente influenza su alcuni altri. E’ una circostanza da tener presente quando si pianificano delle prove perché può essere necessario effettuare alcune prove indagando anche la variabilità di alcuni parametri. Va comunque aggiunto che la particolare situazione di prova su componente, può introdurre nuove correlazioni tra le variabili di influenza, o mascherarne altre. 35 2.2 ANALISI DEI DATI Prima di effettuare una prova di fatica, la tensione applicata è nota e la vita del componente è sconosciuta, mentre, dopo la prova, si conosce la vita e la tensione diventa la variabile indipendente. Questa asserzione, vera dal punto di vista statistico, non lo è da quello fisico perché in realtà la variabile non è la tensione, ma la velocità di propagazione della microfrattura. Il tracciamento della curva σ/N, necessario per valutare il comportamento a fatica del componente a partire dai dati di tensione e numero di cicli di carico, può essere ottenuto con sufficiente affidabilità anche con sole 10 prove (Figura 2.1). Figura 2.1 Purtroppo, l’inevitabile dispersione dei dati, costringe ad un elevato numero di prove e quello che si ottiene non è più l’interpolazione di una curva di Wöhler, quanto piuttosto una banda di resistenza che assomiglia ad una di quelle in Figura 2.2 a seconda del tipo di materiale. 36 Figura 2.2 Come si nota, per tracciare una banda, vengono utilizzati 10 provini per 13 livelli di tensione, quindi 130 provini in totale anche senza aver considerato la zona a basso numero di cicli che in normali condizioni di esercizio non interessa. Il numero dei provini è considerato comunque sempre troppo basso, infatti i limiti superiore e inferiore non sono chiamati, come vorrebbe la teoria, linea del 100% e dello 0%, ma, rispettivamente, linea del 99% e dell’1%, intendendo con queste percentuali la probabilità di rottura. Se il diagramma è del Tipo I, il limite di fatica è ben definito dal ginocchio del limite inferiore e l’area compresa fra le due curve a destra del numero di cicli limite è detta zona di transizione perché separa la zona superiore in cui si hanno tutte rotture e la zona inferiore in cui si hanno tutte non rotture. Il diagramma di Tipo II è un po’ più complesso perché il numero di cicli a rottura può essere troppo elevato e bisogna sceglierne uno di esercizio. Inoltre il ginocchio della curva non è ben definito. In questo caso, il limite di fatica individuato dal ginocchio della curva inferiore, viene definito limite di fatica tecnologico e questo, insieme con il limite di fatica definito dal numero di cicli limite, delimita la zona detta di transizione tecnologica che è strettamente dipendente dal numero di cicli scelto. Come già detto, il tipo di diagramma dipende dal materiale e precisamente, il primo è tipico dell’acciaio non legato, il secondo dell’alluminio e del rame. Ovviamente la probabilità di frattura aumenta con l’incremento della tensione. Analiticamente si calcola per ogni livello di tensione: PF = 100 ⋅ (3r − 1) (3n + 1) PF (r = 0) = 0,5PF (r = 1) = 100 (3n + 1) 37 con: PF probabilità di frattura n numero dei provini per ogni livello r numero di provini rotti per ogni livello Il tracciamento dei diagrammi di fatica è un procedimento lungo, ma necessario per caratterizzare un componente per la prima volta. Una rappresentazione in scala doppio logaritmica (tensioni e numero di cicli) permette di trasformare tutte le curve in segmenti di retta. In questo modo, si può tracciare il diagramma anche con pochi dati teorici o sperimentali. E’ sufficiente infatti la conoscenza di due soli punti: il primo corrisponde al carico di rottura statico ed è associato ad un numero di cicli minimo, ma non nullo; il secondo corrisponde all’inizio del tratto rettilineo del diagramma e ha per coordinate il limite di fatica ed il numero di cicli associato alla vita infinita del componente, generalmente compreso fra 5 x 106 e 1 x 107. Successivamente si può ricorrere a metodi di analisi dei dati che permettano di contenere il numero delle prove e quindi anche il tempo di prova, confortati anche dalla minore dispersione dei risultati che si verifica quando si testano componenti invece che provini. I metodi statistici hanno comunque il vantaggio di porre al riparo dalla naturale dispersione di dati che, per quanto ridotta, come accennato sopra, è sempre presente. Ci sono varie procedure di prova per determinare il valor medio della tensione che causa la rottura. Di seguito viene riportata una breve panoramica sui metodi di prova attualmente più accreditati. E’ da precisare che, quando si parla di rottura, si intende il cedimento strutturale causato dalla comparsa di una fessura ingegneristicamente rilevante, anche se questa non porta alla frattura completa del componente. 2.2.1 Metodo della prova a gradini: Stair-case E’ il metodo descritto nella norma UNI 3964. Necessita di un numero di provini piuttosto limitato che va dai 15 ai 25. Il primo componente di un lotto è soggetto ad un valore stimato della tensione che si spera sia quello tale da garantire al componente la vita preventivata. Se si rompe, al secondo componente va applicata una tensione ridotta di una quantità prefissata, mentre se il primo componente non si rompe nel corso della vita preventivata, il secondo va sottoposto ad una tensione maggiore della stessa quantità prefissata. In definitiva, ogni componente del lotto va sottoposto ad una tensione maggiore o minore del precedente, a seconda che questo sia rimasto non rotto oppure si sia rotto. Ovviamente minore è l’incremento di tensione utilizzato, più precisi sono i risultati, ma anche maggiore il numero dei provini da utilizzare. Il metodo è anche fortemente condizionato dal numero dei provini utilizzati. Quello che si ottiene è una scheda del tipo riportato in Tabella 2.1. 38 TENSIO NE APPLIC ATA ORDINE DELLE PROVE N/mm2 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 0 X O X 2 0 3 1 4 2 2 4 0 2 σ4 σ3 σ2 ESITO X X O X O σ1 X X O X σ0 X O X O O X O X O O ΣnI=1 ΣnI=9 1 X = componente rotto O = componente non rotto Tabella 2.1 Per il calcolo del limite di fatica, i dati vengono analizzati in termini di eventi meno frequenti cioè rottura o non rottura. Il valor medio di tensione è dato da: A ± 0,5 N σ D (50% ) = σ 0 + d osservando che: σ0 è il livello di ampiezza di sollecitazione più basso N = Σni è il numero totale degli eventi meno frequenti A = Σini è la somma dei prodotti del numero di eventi meno frequenti presenti in ciascun livello per il numero d’ordine del livello stesso d è l’incremento di tensione: il suo valore deve essere compreso fra 0,5s e 2s (s è la deviazione standard), ma viene frequentemente usato d = 10 N/mm2 o d = 20 N/mm2 il numero d’ordine si calcola a partire dal livello più basso di tensione che è contrassegnato dal numero 0 il segno è positivo o negativo a seconda che l’evento meno frequente sia la non rottura o la rottura 39 Il valor medio del limite di fatica appena calcolato corrisponde ad una probabilità di rottura pari al 50%, ma è possibile trovare anche i valori corrispondenti alla probabilità di sopravvivenza rispettivamente del 10% e del 90% con formule dipendenti dalla deviazione standard: σ D (10% ) = σ D (50% ) + 1,28s σ D (90% ) = σ D (50% ) − 1,28s E’ evidente che ai fini della progettazione il valore significativo è la σD(90%). La norma UNI 3964 prescrive di esprimere i valori del limite di fatica arrotondati al più vicino multiplo di 5 N/mm2. Accanto al metodo Stair-case classico appena descritto, si collocano altri due metodi che vanno sotto il nome generico di Stair-case breve. Sono metodi utilizzati correntemente nell'industria automobilistica italiana e danno risultati che si discostano da quelli di uno Stair-case classico di meno del 5%. Vengono descritti nei due paragrafi che seguono. 2.2.2 Metodo Dixon Necessita di un numero massimo di 10 provini, ma viene applicato con successo anche con un numero inferiore, generalmente 6. Si procede in questo modo: si sollecita un provino con un certo carico che si suppone superiore al limite di fatica cercato fino alla rottura; si diminuisce il carico della quantità d e si sollecita un altro provino. Si va avanti fino a quando non si verifica la prima "non rottura". A quel punto, si torna ad aumentare il carico della quantità d e si analizza il comportamento del provino: se questo si rompe, il successivo viene sollecitato ad un livello di carico inferiore, se invece non si rompe, il successivo viene sollecitato ad un livello di carico superiore, esattamente come avviene nello stair-case normale. I risultati vengono analizzati con la relazione: σ D (50%) = σ f + K ⋅ d con: σD(50%) limite di fatica σf ultimo livello di tensione d passo tra i livelli di tensione K coefficiente funzione della sequenza di risposta Il valore del parametro K si trova in Tabella 2.2. 40 Tabella 2.2 Analizzando l’esempio del paragrafo precedente, ci si sarebbe potuti fermare alla sesta prova e, dalla tabella si sarebbe trovato K = 0.372 Una volta ricavato il limite di fatica, si trovano i valori corrispondenti alla probabilità di rottura del 10% e del 90% con le stesse formule usate per lo Staircase classico. 41 Ovviamente questo metodo, come anche quello che segue, sono tanto più precisi quanto più piccolo è l’incremento di tensione utilizzato, ma per avere un incremento piccolo è necessario avere già una stima del limite di fatica. 2.2.3 Metodo Hodge - Rosenblat Tale metodo, sempre utilizzando 6 provini, fa una media delle tensioni al primo cambiamento di risposta e calcola il limite di tensione con la formula: N /2 σ D (50%) = ∑ i =1 (σ a + σ b )i N con: σa e σb valori di tensione al cambiamento di risposta N numero di provini utilizzati 2.2.4 Two-Point Strategy E’ un metodo simile ai precedenti, e richiede un numero basso di provini. Stabilisce due livelli di tensione vicini al 50% di probabilità di rottura: la prima tensione che, dopo aver provocato tutte non rotture, provoca una rottura e la prima tensione, più alta della precedente, che, dopo aver provocato tutte rotture, produce una non rottura. Dopo aver individuato questi due livelli, si procede con le prove testando almeno 6 componenti per ciascuno di essi. In questo modo si ottiene una stima del limite di fatica. Gli svantaggi evidenti di questo metodo sono due: il primo è che conoscere solo il limite di fatica non dà informazioni sufficienti sulla curva, il secondo è che nella scelta dei due livelli di tensione possono intervenire fattori fortuiti che finirebbero col portare l’indagine su tensioni non significative. 2.2.5 Metodo Boundary Anche questo metodo utilizza soltanto due livelli di tensione, ma questi sono posizionati al limite superiore e inferiore della zona di transizione o della zona di transizione tecnologica del componente. Il metodo è validato da numerosi studi ed utilizzato con successo. Inoltre il numero di prove da effettuare è limitato in quanto è necessario testare un massimo di 10 componenti per ogni livello, oltre quelli utilizzati per trovare il primo livello. Il modo di procedere è il seguente: un campione del lotto viene sottoposto a una tensione pari a circa RP0,001 fino alla vita prevista; poi, se non si è rotto, il successivo campione viene sottoposto ad una tensione maggiore di un incremento di tensione, altrimenti ad una tensione minore. La valutazione di RP0,001 può creare qualche incertezza, ma sostanzialmente, ai fini del metodo è sufficiente partire da un intorno del limite di elasticità. Il primo livello 42 viene individuato quando un componente ha un comportamento opposto a quello che lo ha preceduto, mentre il secondo livello di tensione si trova ad una distanza D dal primo che viene valutata con le formule seguenti: r D = 1 − ⋅ d ⋅ σ a n r ≤ 0,5n r D = − ⋅ d ⋅σ a n r ≥ 0,5n con: σa primo livello di tensione n numero di provini per ogni livello r numero di provini rotti (nel primo livello) d ampiezza della regione di transizione m fattore moltiplicativo da applicare a 10 per ottenere n Il valore degli ultimi due parametri dipende dal tipo di provino o componente testato e si trova in letteratura in apposite tabelle come la Tabella 2.3 sotto riportata. Tabella 2.3 La Figura 2.3 mostra due esempi di applicazione del metodo, la prima volta partendo da una tensione minore della zona di transizione, la seconda da una tensione maggiore: 43 Figura 2.3 Nel secondo caso, nel livello di tensione più basso si sono verificate troppe rotture e questo fa pensare che la tensione sia troppo alta. Per questo motivo è buona norma scegliere un valore del parametro d maggiore del previsto, se il secondo livello di tensione è il minore. La scelta opposta va effettuata se il secondo livello di tensione è il più alto. Questo può influenzare i risultati anche se non in maniera determinante, ma è una situazione che va tenuta presente perché l’incertezza costringe talvolta a tracciare un terzo livello di tensione e quindi a fare più prove di quelle preventivate. I risultati vanno riportati in scala logaritmica come si nota nella Figura 2.4. L’interpretazione è molto semplice ed immediata, in quanto è sufficiente intersecare la retta ottenuta con la tensione applicata per ottenere la probabilità di rottura o viceversa. 44 Figura 2.4 2.2.6 Metodo Probit E' necessario un numero consistente di provini suddivisi in gruppi. I gruppi di componenti sono testati a differenti livelli di tensione distribuiti intorno al livello di tensione che si stima possa dare la vita richiesta, e la prova si interrompe quando il componente non si rompe alla vita prevista. Come risposta si ottiene una curva di distribuzione normale di percentuali di rottura in funzione delle tensioni applicate (Figura 2.5). 45 Figura 2.5 La resistenza media a fatica alla vita prevista è la tensione corrispondente al 50% di rotture. Per ottenere risultati significativi sono necessari circa 20 provini ad almeno 5 diversi livelli di tensione, quindi, come già detto, un numero di prove consistente. Esiste anche una procedura di prova che permette di ottenere una curva σ/N con una probabilità di resistenza superiore. Tale procedura è basata sul fatto che se alcuni provini nominalmente identici sono testati contemporaneamente con tensioni uguali su macchine di prova nominalmente identiche, il provino più debole si rompe per primo. Gruppi di provini vengono testati a diversi livelli di tensione; non appena un provino in ogni gruppo si rompe, le prove di quel gruppo vengono interrotte e la vita corrispondente alla tensione applicata è quella del provino rotto. La curva σ/N ottenuta interpolando questi punti ha la probabilità di sopravvivenza: 1 1 n p= 2 con: n numero dei componenti del gruppo. Se ad esempio sono stati utilizzati 4 provini per ogni livello di tensione, ci si aspetta che l’84% del materiale testato abbia un limite di fatica che si trova al di sopra della curva del 50%. Per avere una curva del 95% sono necessari almeno 13 provini per ogni livelli di tensione. 46 In definitiva, il metodo è piuttosto affidabile, ma non può certamente essere annoverato fra i metodi di prova veloci. 2.2.7 Valutazione comparativa Il presente paragrafo ha l’obiettivo di fornire un aiuto nella scelta valutazione di pregi e limiti dei metodi di prova descritti. METODO Stair-case Dixon Hodge - Rosenblat Two-point strategy Boundary Probit Curva σ/N VANTAGGI - numero di provini ridotto - metodo sperimentato - risultati significativi - risultati affidabili - numero di provini molto ridotto - metodo sperimentato - risultati significativi - risultati affidabili - numero di provini molto ridotto - metodo sperimentato - risultati significativi - risultati affidabili - numero di provini ridotto - numero di provini ridotto metodo sperimentato risultati significativi risultati affidabili metodo sperimentato risultati significativi risultati affidabili metodo sperimentato risultati significativi risultati affidabili 47 SVANTAGGI - dipendenza dei risultati dal numero dei provini e dall’incremento di tensione - dipendenza dei risultati dal numero dei provini e dall’incremento di tensione - dipendenza dei risultati dal numero dei provini e dall’incremento di tensione - risultati poco significativi - possibili errori nell’impostazione della prova - possibile variazione del numero di prove rispetto a quello preventivato - numero di provini elevato - numero di provini elevato METODO Dixon Hodge-Rosenblat Stair-case Boundary Curva σ/N Probit Two-point strategy + + + + + + + + + + + + 48 + + + + + + - + + + + + + - Numero di prove Letteratura Affidabilità Significatività VALUTAZIONE + + + + - 3. - PROVE SU BIELLE MOTORE 3.1 – STUDIO BIBLIOGRAFICO DEL PROBLEMA FIG. 1 - BIELLA 3.1.1 Carico critico Le condizioni di carico generalmente considerate critiche hanno il loro valore massimo in tre posizioni: punti morto superiore, punto morto inferiore, Ovviamente il tipo di esercizio condiziona pesantemente il carico che può diventare critico. Ad esempio, in motori lenti come possono essere i grandi diesel, non sarà necessario considerare le forze di inerzia, che sono invece parte essenziale della progettazione di un motore veloce come quelli da competizione. Le forze di inerzia sono tradizionalmente calcolate con una schematizzazione a masse concentrate, ma se si vuol conoscere il componente più approfonditamente perché sia possibile svilupparlo ed ottimizzarlo, questa semplificazione può rivelarsi troppo spinta e diventa essenziale rivolgersi a strade alternative. Una soluzione valida è dividere il componente in molte parti con il metodo di Mohr e trattarle come un numero elevato di masse concentrate (Fig. 2). 49 FIG. 2 – BIELLA DIVISA IN PARTI CON IL METODO DI MOHR Se supponiamo di dividere il componente in un numero molto grande di elementi, la precisione aumenta molto perché il sistema diventa assimilabile ad uno a masse distribuite. Naturalmente molte considerazioni teoriche possono essere evitate grazie ai programmi esistenti in commercio, ma utilizzando il calcolo analitico manuale si può avere la percezione delle differenze che si ottengono cambiando il numero di elementi. Il calcolo delle tensioni di trazione e di compressione che hanno il massimo ai due punti morti è molto più semplice. 3.1.2 Prove di laboratorio Oltre ai calcoli, rivestono una particolare importanza anche le prove di laboratorio. Queste devono cercare di riprodurre i carichi che si verificano nella realtà, o perlomeno, parte di essi. I due casi, carico assiale e inerziale, devono essere considerati separatamente. Le prove effettuate usualmente in azienda sono generalmente di tipo assiale su banco prova monoassiale. E’ anche possibile effettuare prove su banco monoassiale che tengano conto della flessione causata da forze inerziali e sono basate su una particolare posizione del componente sul banco prova. (Fig. 3). 50 FIG. 3 – ATTREZZATURA PER SIMULAZIONE DI CARICO INERZIALE L’angolo di inclinazione, come anche il carico a cuo sottoporre il componente, vengono definiti da considerazioni teoriche. 3.1.3 Superfici di contatto Il contatto tra occhio piccolo (piede) e spinotto, è una zona critica a causa della difficoltà nella lubrificazione e quindi del fretting. La boccola interposta può anche provocare problemi di bilanciamento.. 3.1.4 Forma e materiale Ci sono molte differenti tipi di bielle motore in accordo al loro utilizzo. Ce ne sono di materiali diversi come acciaio, alluminio, titanio, ghisa. In Fig.4 una curiosità: assemblaggio sferico. FIG. 4 – ASSEMBLAGGIO SFERICO NASA 51 3.1.5 Comportamento a fatica Le bielle devono essere progettate per resistenza a fatica. E inparticolare: fatica a basso numero di cicli per bielle da competizione e ad alto numero di cicli per motori di utilizzo comune. La previsione di vita nei codici FEM non è ancora molto considerata, ma accanto a vecchie e consolidate teorie se ne fanno strada di nuove che permettono una previsione di vita più precisa. 52 3.2 BIELLE IN ALLUMINIO PER USO AGRICOLO 3.2.1 Introduzione Sono stati utilizzati 38 campioni così suddivisi: 8 campioni per messa a punto macchina di prova da parte dei tecnici CERMET e dei tecnici Amsler 11 campioni per la costruzione di una curva di Wöhler di primo tentativo 19 campioni per metodo stair-case Sono state impiegate quindi 30 bielle per la caratterizzazione vera e propria e 8 per la messa a punto del sistema. Il tempo complessivo impiegato è stato di 71 giorni di cui: di 24 h - 63 giorni per le prove. Ogni giorno è considerato come intervallo 8 giorni per la messa a punto del sistema Il programma di lavoro ha previsto: 1. Controlli preliminari (dimensionali e metallurgici) 2. Esecuzione delle prove 3. Controlli finali 4. Analisi dei dati In tutte le fasi è stato affiancato uno studio teorico finalizzato a stabilire di volta in volta la metodologia più opportuna e a correggere eventuali errori di impostazione. 3.2.2 Rilievi dimensionali Su tutte bielle in esame sono stati effettuati controlli rugosimetrici e dimensionali per verificare se discrepanze geometriche e/o anomalie superficiali influenzassero l’esito delle prove e/o eventuali cedimenti inattesi (Foto 2.1, 2.2 e 2.3). I rilievi effettuati non sembrano in prima approssimazione avere una correlazione diretta con le rotture riscontrate, fatta eccezione che per la simmetria dell’occhio piccolo. Questa infatti, pur rientrando nei limiti previsti, causa, tra le bielle esaminate, una differenza di spessore proprio in corrispondenza della zone di rottura nell’occhio piccolo, comportando così una diversità di sezione resistente. 53 Figura 2.1 – Controllo dimensionale (MMC) Figura 2.2 – Controllo di rugosità Figura 2.3 – Controllo al rotondimetro 3.2.3 Metodologia di prova - Impostazione dei parametri di prova - Carico applicato La biella ha come carichi di esercizio massimo e minimo (che si presentano disgiunti): Carico massimo (trazione) Fmax = 3,2 kN Carico minimo (compressione) Fmin = -38 kN 54 Da questi carichi si ottiene un rapporto di carico R = -11,87 E quindi un’ampiezza di carico Fa = 20,6 kN E un carico medio Fm = -17,4 kN Il modo di procedere concordato all’origine col Committente prevedeva di mantenere costante il rapporto di carico e di variare l’ampiezza di carico e di conseguenza il carico medio. Trattandosi di prove accelerate l’ampiezza di carico doveva essere incrementata con opportuni fattori di sicurezza. Giudicando inopportuno il rapporto di carico derivante dalle condizioni di esercizio per il rischio di instabilità per carico di punta, si è scelto di procedere con un rapporto di carico: R = -5 Tale valore ben si adatta al caso di una biella sollecitata prevalentemente in compressione, senza rischi di inflessione per carico di punta, ma senza eliminare la componente di trazione. A partire dall’ampiezza e dal rapporto di carico, sono state calcolate tutte le condizioni di carico necessarie alla prova. La procedura scelta ha comportato l’esecuzione di prove isolate a varie ampiezze di carico per esplorare il campo del basso numero di cicli e per tracciare una curva di Wöhler di primo tentativo. Individuato così il valore indicativo del limite di fatica sono state condotte altre prove con metodo stair-case per definirlo con maggior precisione e in modo referenziato. La tabella 3.1 riporta lo schema della procedura di prova. 55 PROCEDURA DI PROVA PROVE ISOLATE CURVA DI WÖHLER APPROSSIMATA LIMITE DI FATICA DI TENTATIVO PROVE STAIR-CASE CALCOLO LIMITE DI FATICA CURVA DI WÖHLER Tabella 3.1 – Schema procedura di prova - Frequenza Il vibroforo Amsler HFP 5100, nella configurazione con tre masse appese, si è attestato su una frequenza di circa 96 Hz. Lubrificazione e Temperatura L’olio è stato tenuto ad una temperatura di 60°C per avere le condizioni ottimali di viscosità e per uniformare la temperatura in tutta la biella: sulle superfici di contatto fra occhi e perni l’olio ha avuto la funzione di raffreddamento, sul fusto quella di riscaldamento. L’olio utilizzato è del tipo SAE 5W-40. Per valutare il salto termico su tutta la biella sono state effettuate prove con termocoppie, collocate alle due estremità e nel centro del fusto. Sono stati analizzati due casi particolari: olio a 100°C e olio a temperatura ambiente. Nel caso con olio a 100°C le tre parti della biella sono arrivate alla stessa temperatura (80°C) dopo circa un’ora di funzionamento come si nota in figura 3.1. Il gradiente termico fra olio e biella è dovuto al fatto che la temperatura dell’olio viene rilevata dalla centralina direttamente nel serbatoio, mentre la biella si trova a valle dei tubi di collegamento. Nel caso senza olio, la biella non si è discostata dalla temperatura ambiente. 56 Temperature [°C] THERMOCOUPLES RESULTS 100 80 PIEDE 60 FUSTO 40 TESTA 20 0 0 1200 2400 3600 Time [s] Figura 3.1 – Temperatura rilevata dalle termocoppie Il caso utilizzato con olio a 60 °C è certamente intermedio rispetto a quelli considerati, e ciò rimuove di fatto la preoccupazione che la biella potesse sviluppare gradienti di temperatura nelle varie parti durante la prova. 3.2.4 Esecuzione delle prove La biella è stata vincolata e lubrificata come da figure 3.2 e 3.3. 57 Figura 3.2 – Afferraggi e lubrificazione Figura 3.3 – Ugello per lubrificazione La macchina di prova è stata impostata con un limite di 107 cicli e un controllo sulla frequenza di 2 Hz, in modo che la prova si fermasse al primo comparire della cricca. In figura 3.4 è riportato un esempio di andamento di frequenza: la traccia nera indica l’ampiezza massima dell’oscillazione ∆F e quella verde indica la frequenza f. Figura 3.4 – Grafico di prova La frequenza ha un calo con pendenza costante durante tutta la prova, mentre precipita all’apertura di una cricca superando il limite di 2 Hz. La configurazione di prova è raffigurata in figura 3.5. 58 Figura 3.5 – Installazione macchina di prova in CERMET 3.2.5 Quadro riassuntivo La tabella 3.2 riporta un sunto delle condizioni di prova. CARICO FREQUENZA R = -5 96 Hz Fa = 20,6kN x Limite 2 Hz SN NUMERO CICLI AFFERRAG GI Limite 107 cicli Perni: Biella incernierata LUBRIFICA ZIONE Olio SAE 5W- 60° C 40 Tabella 3.2 – Condizioni di prova 59 TEMPERA TURA 3.2.6 Risultati di prova Il prospetto seguente riporta la distribuzione delle rotture in funzione della condizione di carico applicata. Per convenzione, la legge di carico applicata viene espressa in termini di carico medio Fm, e di semiampiezza di pulsazione Fa: ad esempio la condizione Fm –20 / Fa 30 equivale a una pulsazione sinusoidale del carico tra -50 e + 10 kN, come mostrato in figura 3.6. Fmax = 10 kN F = 0 kN Fa ∆F Fm = - 20 kN Fmin = -50 kN t Figura 3.6 - Convenzioni per l'espressione delle condizioni di carico in prova Nel caso considerato, quindi, la condizione di carico applicata sulla biella in prova è di trazione / compressione, con un rapporto di carico 1:5 tra i due tipi di sollecitazione. Il prospetto seguente, tabella 3.3, riepiloga la distribuzione dei risultati, in termini di bielle integre e rotte, rispetto alla condizione di carico applicata: 60 Fm [kN] Fa [kN] ∆F [kN] Numero Numero Occhio totale integre totale rotture piccolo -18,5 27,8 55,5 1 === === -19,0 28,5 57,0 1 1 1 -19,5 29,2 58,5 6 1 1 -20,0 30,0 60,0 4 6 4 -20,5 30,8 61,5 === 1 1 -21,0 31,5 63,0 === 1 1 -22,0 33,0 66,0 === 1 1 -24,0 36,0 72,0 === 2 === -30,0 45,0 90,0 === 1 === -32,0 48,0 96,0 === 1 1 -36,0 54,0 108,0 === 1 === -44,0 66,0 132,0 === 1 1 -54,0 81,0 162,0 === 1 1 Occhio grande === === === 2 === 1 === 2 1 === 1 === === Tabella 3.3 – Riepilogo risultati Le bielle sono state identificate come rotte, quando nel corso di una prova si produceva una caduta di frequenza superiore a 2 Hz. Un successivo controllo con liquidi penetranti a contrasto di colore, condotto sulle bielle classificate come integre a fine prova secondo il criterio sopra indicato nella fase di determinazione del limite di fatica con metodo stair-case, ha evidenziato 5 campioni con sottili indicazioni, come mostrato in Figure 3.7 e 3.8. Figura 3.7 - Indicazioni su biella 22 classificata integra a fine prova 61 Figura 3.8 - Indicazioni su biella 24 classificata integra a fine prova Considerando l'effetto relativamente contenuto sulla frequenza prodotto dall'apertura di queste cricche, si può ritenere in prima approssimazione che la loro comparsa sia avvenuta in fase avanzata del ciclo di prova, e che pertanto l'effetto di questa anomalia sul calcolo del limite di fatica sia costituito da una lieve sovrastima. Nella procedura di prova è stata introdotta una verifica dell'integrità della biella a fine ciclo, mediante opportuni controlli non distruttivi. Le posizioni su cui sono state rilevate rotture sulle bielle nel corso o al termine delle prove sono state codificate come da schema seguente (Figura 3.9): 11 rotture 7 rotture E (0) F (1) B (2) D (1) A (6) C (3) G (1) H (4) 8 rotture su 23 prove con |Fm| < 24 kN 3 rotture su 23 prove con |Fm| < 24 kN Figura 3.9 - Schematizzazione delle zone di rottura Per convenzione il lato con le posizioni identificate con le lettere maiuscole corrisponde a quello che porta il “codice stampigliato” al centro del fusto. Le posizioni del lato opposto sono identificate con le medesime lettere seguite da un apice. 62 Come si può notare, le rotture sono prevalentemente concentrate nella zona dell'occhio piccolo, in particolare per i carichi medi inferiori. Ai carichi medi maggiori, la distribuzione delle rotture si equilibra tra occhio piccolo e occhio grande. Su questa distribuzione influisce certamente il danneggiamento da fretting che colpisce in prevalenza l'occhio piccolo, essendo più critiche in quella zona le condizioni di contatto con il perno dell'afferraggio. Nella tabella 3.4, vengono riportate le distribuzioni delle rotture in funzione della condizione di carico applicata e della posizione di innesco. Nella posizione E - E 1 non si sono sviluppate rotture nel corso delle prove. 63 Posizio- Aspetto ne A – A1 B – B1 C – C1 D – D1 Numero Legge di carico (kN) totale rotture 6 2 3 1 64 Numero parziale Fm -19,5 / Fa 29,2 (∆F 58,5) Fm -20,0 / Fa 30,0 (∆F 60,0) Fm -22,0 / Fa 33,0 (∆F 66,0) Fm -32,0 / Fa 48,0 (∆F 96,0) Fm -44,0 / Fa 66,0 (∆F 132,0) Fm -54,0 / Fa 81,0 (∆F 162,0) 1 Fm -20,0 / Fa 30,0 (∆F 60,0) Fm -20,5 / Fa 30,8 (∆F 61,5) 1 Fm -19,5 / Fa 29,2 (∆F 58,5) Fm -20,0 / Fa 30,0 (∆F 60,0) 1 Fm -21,0 / Fa 31,5 (∆F 63,0) 1 1 1 1 1 1 1 2 Posizio- Aspetto ne Numero Legge di carico (kN) totale rotture Numero parziale F - F1 1 Fm -20,0 / Fa 30,0 (∆F 60,0) 1 G – G1 1 Fm -20,0 / Fa 30,0 (∆F 60,0) 1 H – H1 4 Fm -24,0 / Fa 36,0 (∆F 72,0) Fm -30,0 / Fa 45,0 (∆F 90,0) Fm -36,0 / Fa 54,0 (∆F 108,0) 2 1 1 Tabella 3.4 – Aspetto delle rotture La direzione di propagazione delle fratture è la stessa per tutte le zone di innesco al piede di biella: le cricche si originano a partire dalla superficie interna dell'occhio, in corrispondenza della zona di contatto tra biella e perno di afferraggio, e procedono attraversando la sezione resistente. Diverso è il caso di una delle bielle sottoposte al carico Fm –20,0 / Fa 30,0 in cui la cricca, pur presentandosi nella zona A – A1, non è partita dalla superficie dell’occhio, ma si è enucleata sul fusto, non arrivando alla superficie (figura 3.10). 65 Figura3.10 – Rottura su biella 27 Le fratture alla testa di biella seguono il caso precedente quando si sono verificate nelle zone F – F1, D – D1, G – G1, mentre nella zona H – H1, la fessura è partita dalla zona filettata per poi propagarsi verso l’occhio. Il fenomeno è evidente in figura 3.11. ZONA DI Figura 3.11 – Superficie di frattura in zona H – H1 66 Controlli a campione sulla durezza delle bielle testate, sia tra quelle integre a fine prova sia tra quelle fratturate, hanno infine evidenziato valori distribuiti in modo non univoco nell'intervallo 140 ÷ 155 HBW. 3.2.7 Valutazione del limite di fatica Come già accennato, la metodologia di prova ha seguito un preciso ordine logico: - prove isolate - prove stair-case - Prove isolate Alcune bielle sono state testate a vari carichi per tracciare una curva di Wöhler di tentativo. In questa fase è stata esplorata soprattuto la zona dei carichi medio-alti. Si è ottenuta la curva di figura 3.12. Load range [kN] WÖHLER CURVE 250 200 150 R = -5 100 50 0 1000 10000 100000 1E+06 1E+07 Cycles number Figura 3.12 – Curva di Wöhler di tentativo Bisogna notare che, per uniformarsi con le convenzioni generali, nelle curve e nel successivo stair-case si fa riferimento non all’ampiezza di carico nel senso descritto prima, ma al suo doppio, cioè l’ampiezza totale di carico ∆F. 67 - Prove Stair-Case Successivamente si è impostata una serie di prove con metodologia staircase in accordo con la norma UNI 3964. In figura 3.13 sono indicati i risultati di prova su cui si basano le elaborazioni successive. STAIR-CASE 63,0 Load range [N] 61,5 60,0 58,5 57,0 55,5 54,0 52,5 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 Specimen number Figura 3.13 – Schema stair-case In accordo con la UNI 3964 i valori sono poi stati posti in tabella in modo da potervi valutare il limite di fatica. 68 CARICO APPLICA TO ORDINE DELLE PROVE kN 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 61,5 60 58,5 ESITO X O X X O X X 57 O X 55,5 X O X O X O O O O O X O 1 0 6 2 1 6 1 1 0 1 ΣnI=9 ΣnI=1 0 X = componente rotto O = componente non rotto I=9 N A B 1 4 16 6 18 27 1 2 4 1 1 1 0 0 0 Σn Σi xnI=25 2 Σi xnI=48 Si ottiene un valor medio del limite di fatica (possibilità di rottura del 50%): σ D (50% ) = 58,9 kN Il calcolo della deviazione standard non è reso possibile dal mancato verificarsi della disuguaglianza alla sua base. Diviene comunque possibile calcolarla prendendo in considerazione 17 provini invece di 19. In tal caso, non si ha variazione nel valor medio, mentre la deviazione standard diventa: s = 3,0 kN 69 Con questa si calcolano anche i valori del limite di fatica con probabilità di sopravvivenza al 10% e al 90%: σ D (10% ) = 62,7 kN σ D (90% ) = 55,1 kN Dalle prove descritte sopra si ottiene la curva di Wöhler di figura 3.14. Figura 3.14 - Curva di Wöhler doppio logaritmica Risultati analoghi si ottengono con il programma SAFD realizzato da Amsler in collaborazione con l’Università di Aachen per analisi statistiche di fatica. In figura 3.15 la curva di Wöhler in scala doppio logaritmica, in figura 3.16 la curva di probabilità di rottura. 70 Figura 3.15 - Curva di Wöhler SAFD Figura 3.16 – Probabilità di rottura SAFD 71 3.2.8 Considerazioni conclusive E’ possibile sviluppare alcune considerazioni. - Rapporto di carico La scelta del rapporto di carico deve in qualche caso prescindere dalle condizioni di esercizio perché, in prove accelerate, possono entrare in gioco fattori che in esercizio di fatto non si verificano. Nel caso presente il pericolo di inficiare la prova per instabilità da carico di punta era sicuramente più gravoso dell’approssimazione dovuta al cambiamento di rapporto di carico. - Condizioni di vincolo L’interfaccia fra gli occhi di biella e i perni è una zona estremamente critica per i fenomeni di fretting che vi si verificano. E’ possibile cercare di ridurre tale fenomeno studiando un diverso tipo di afferraggio. Cambiare le condizioni di afferraggio può diventare necessario quando si vogliono studiare le caratteristiche di resistenza a fatica di parti specifiche della biella: ad esempio, solo eliminando le coppie rotoidali si può provare il fusto. - Lubrificazione L’olio svolge essenzialmente la funzione di controllo temperatura. Non essendo possibile però lubrificare con fluido in pressione la zona di interfaccia tra perno e occhio, si riduce solo parzialmente il rischio fretting. - Temperatura La temperatura in tutta la biella non ha variazioni sostanziali, come verificato con le termocoppie. Rimane qualche dubbio sulla zona di interfaccia fra perni e occhi per via del riscaldamento dovuto al carico e all’alta frequenza ma, vista l'intensità di scambio energetico, non sembra che l'effetto termoelastico nella zona di contatto crei dei gradienti di temperatura rilevanti. 72 3.3 - BIELLE IN ACCIAIO PER MOTORI MOTOCICLISTICI 3.3.1 Calcolo tensioni al piede Il piede di biella viene sollecitato solo al punto morto superiore in fase di incrocio, quando il fusto di biella va in trazione sotto le azioni inerziali. Schematizzazione dell’occhio piccolo di biella. Le linee di forza che sollecitano la biella sono quelle dovute alla massa del pistone completo di fasce elastiche,dello spinotto e di una parte difficile da stimare del piede di biella ,essendo incognita la posizione esatta della massima tensione,che pertanto viene trascurata.Tali azioni generano nell’occhio delle sollecitazioni di trazione e di flessione. Per quanto riguarda la sezione più sollecitata ,considerando il semiocchio di biella come una trave curva iperstatica incastrata al fusto, è quella perpendicolare alla forza d’inerzia;il punto più pericoloso è di questa sezione è quello interno dove il momento flettente,che tende a radrizzare l’occhio, mette in trazione le fibre interne e in compressione quelle esterne. In corrispondenza dell’intradosso le tensioni dovute alla flessione vanno a sommarsi a quelle di sforzo normale (entrambe di trazione); lo forzo normale agente in corrispondenza della sezione B-B vale: N= Fi , PMS 2 = ma r (1 + λ )ω 2 2 Per il calcolo del momento flettente, schematizzando il semiocchio come detto sopra,alcuni autori suggeriscono di assumere una distribuzione di pressioni di contatto , più dolce di quella di un collegamento perno–forcella per la maggior deformabilità dello spinotto e della biella, del tipo: p 0 = pressione massima di contatto p = p 0 cos 2 θ 73 θ = angolo a partire dall’asse di simmetria La risultante delle pressioni di contatto in direzione verticale deve eguagliare il carico inerziale ovvero; π 2 l p ∫ ( p 0 cos 2 θ ) − π dp 2 2 Fi , PMS cosθdθ = Fi , PMS ⇒ p 0 = π 2 = l p ∫ d p cos θdθ 2 − 3Fi , PMS 2l p d p 3 π 2 Questa distribuzione delle pressioni è realistica in fase di compressione del fusto, ma non in fase di trazione dato che le deformate da essa generate nello spinotto e nel piede non sono coerenti. Con questa considerazione si è trovata l’espressione empirica : M f = 0.08Fi , PMS rm che esprime con sufficiente approssimazione il momento ovalizzante nella sezione B-B ( minore di quello dello spinotto per il contributo del fusto). Dato che l’occhio di biella risulta caricato solo al P.M.S. in fase di incrocio, mentre nelle altre posizioni è soggetto a carichi limitati, le tensioni di sforzo normale e quelle di flessione possono considerarsi entrambe facenti parte di un ciclo di fatica dall’origine. Tali tensioni possono essere combinate assieme nella formula: σ = σ N +σ F = Fi , PMS 2A + 0.08 ⋅ Fi , PMS rm W (visto il carattere empirico delle formule , la tensione flessionale viene calcolata senza considerare il semiocchio come una trave curva).Tale tensione va confrontata con la tensione a sforzo normale del materiale; in genere essendo le tensioni flessionali, ed essendo per cicli dall’origine la flessione più critica dello sforzo normale, può essere comparata alla a flessione(per i fori di lubrificazione si può assumere un coefficiente d’ intaglio pari a tre,pensando il piede ad una lastra forata). Azioni totali che si scaricano sulla biella sfruttando il principio della sovrapposizione degli effetti. Lle espressioni che assumono nel caso delle due schematizzazioni prese in considerazione: 1) Biella schematizzata come massa e momento d’inerzia: 1’) Reazioni totali piede S p → b ,tot x = S p → b , gas x + S p → b ,ip x + S p → b ,iG x x + S p → b ,iG y + S p → b , M x = Fgas + Fip + 0 + 0 + 0 x 74 S p →b ,tot y = S p →b , gas y + S p →b ,ip y + S p →b ,iG x y + S p →b ,iG y y + S p →b , M y = − Fgas ⋅ tan( β ) − Fip ⋅ tan( β ) − FG x ⋅ L − dG L ⋅ tan( β ) − FG y ⋅ L − dG M + L L ⋅ cos( β ) 2) Biella schematizzata come massa alterna, massa rotante e momento d’inerzia puro 2’) Reazioni totali piede S p →b ,tot x = S p →b , gas x + S p →b ,ip x + S p →b ,iab x + S p →b ,irbx + S p →b , M ' x = Fgas + Fip + 0 + 0 + 0 S p →b ,tot y = S p →b , gas y + S p →b ,ip y + S p →b ,iab y + S p →b ,irb y + S p →b , M ' y = − Fgas ⋅ tan( β ) − Fip ⋅ tan( β ) − Fiab ⋅ tan( β ) + 0 + M' L ⋅ cos( β ) 3.3.2 Impostazione del carico e frequenza di prova Il ciclo di carico è imposto alla macchina attraverso un apposita programma di interfaccia, fornito dall’azienda stessa, che permette di fissare quelli che sono le sollecitazioni limite alle quali deve essere ‘tirato’ il provino ed il numero di cicli dei quali si compone la prova a fatica. I parametri da fornire sono: il numero di cicli, il valore medio della sollecitazione Fm e i valori massimi e minimi di sollecitazione Fmax e Fmin . Vediamo ora di illustrare a quale tipo di informazioni è possibile accedere e tenere sotto controllo durante lo svolgimento della prova. Innanzitutto la prova parte con una fase preliminare di assestamento nella quale la macchina cerca di accordarsi alla frequenza che permette il raggiungimento e mantenimento della forza Fm voluta; nella prima fase il carico cresce linearmente rispetto al tempo dal valore 0 al valore di Fm con velocità, ad esempio, pari circa a 1KNw/s. Successivamente, per un periodo pari a circa 60 s, il carico comincia ad oscillare attorno al valore Fm con un’ampiezza pari a 8KNw; la macchina cerca di stabilizzare la frequenza per il valore del carico Fm imposto. Una volta completata questa fase, l’ampiezza va sempre aumentando fino al raggiungimento dai valori Fmax e Fmin , mantenendo sempre costante Fm , per un dato valore della frequenza, vicina a quella di risonanza, tipica del provino in esame. La prova prosegue fintantoché non si è in presenza di una qualche anomalia o di una possibile inizio di propagazione di cricca; in corrispondenza di quest’ultimo evento il carico comincia ad oscillare in maniera repentina per poi calare bruscamente. Questo calo di frequenza porta all’arresto automatico della macchina in funzione del ∆f , ovvero il valore di caduta di frequenza, impostato come dato di ingresso del programma.Il valore del ∆f per queste prove è pari a 1,5 Hz ed è stato 75 fissato basandosi sulle prime prove effettuate sulla biella, ritenendo significativa questa caduta di frequenza per il verificarsi di un possibile problema strutturale sul componente stesso. Nella schermata del programma di controllo sono riportati gli andamenti della frequenza e dei valori dei carichi Fm , Fmax e Fmin in funzione rispettivamente del tempo e numero di cicli come mostrato in figura. Schermata del programma di controllo a fine prova Il programma fornisce, inoltre, anche i valori numerici istantanei dagli andamenti delle grandezze suddette, il numero di cicli restanti e il valore della caduta di frequenza. Durante lo svolgimento della prova si è notato un progressivo calo di frequenza all’aumentare del numero di cicli. Questo può essere spiegato tenendo conto che durante la prova avvengono dei fenomeni di microsfregamento tra le superfici che portano a variare le condizioni di contatto e, quindi, portano il sistema ad un progressivo abbassamento di frequenza. Descriviamo ora i tipi di rotture che si sono verificate durante le sperimentazione e la modalità ed il numero di prove eseguite in questa prima parte sperimentale. 3.3.3 Risultati delle prime sperimentazioni Nella tabella seguente vengono riportati i dati relativi alle rotture ottenute sulle bielle considerate per questa prima parte della sperimentazione. I carichi di riferimento, ovvero quelli in corrispondenza delle condizioni di funzionamento critiche, sono stati presi pari a 20 KNw in trazione e 35 KNw in compressione. Il 76 rapporto di carico R è stato fissato per tutte le prove pari a –1,75 dove R è definito come R = σ max σ . min χ N°di cicli compiuti Rotture PROVE PROVA 1 (*) 3 135.953 cicli Viti PROVA 2 2 801.631 cicli piede PROVA 3 2 7.500.000 cicli No PROVA 4 1,75 1.301.282 cicli piede PROVA 5 1,75 1.309.018 cicli piede PROVA 6 1,45 17.848.044 cicli No PROVA 7 1,6 4.333.633 cicli piede Risultati ottenuti in queste prime prove χ è il parametro moltiplicativo con il quale vengono maggiorati i carichi di esercizio mantenendo il rapporto loro R sempre costante pari al valore fissato (*) La prova 1 ha riportato una rottura in corrispondenza delle viti di fissaggio della testa dopo essere stata provata a diverse ‘coppie di carichi’, in trazione e compressione, per poi arrivare a sollecitazioni pari a 3 volte quelle stabilite per le condizioni di funzionamento. Questa, quindi, è stata più che altro una prova durante la quale si è testato il comportamento del complesso macchina provino che ha mostrato un buon adattamento alle varie condizioni di sollecitazione. Una volta fissato il rapporto di carico R, come definito in precedenza, si sono fatti variare i valori limite in trazione e compressione cercando di capire se il vibroforo riusciva, ogni volta, ad accordarsi e mantenere una frequenza tale da garantire il funzionamento in corrispondenza dei carichi voluti. La PROVA 1 è descritta più chiaramente nelle diverse fasi dalla tabella seguente: ∆F [KNw] Fm [KNw] 82,50 55,00 71,50 96,25 110,00 137,50 165,00 -11,25 -7,50 -9,75 -13,13 -15,00 -18,75 -22,50 Fa [KNw] 41,25 27,50 35,75 48,13 55,00 68,75 82,50 Fmax [KNw] Fmin 30,00 20,00 26,00 35,00 40,00 50,00 60,00 [KNw] -52,50 -35,00 -45,50 -61,25 -70,00 -87,50 -105,00 R χ -1,75 -1,75 -1,75 -1,75 -1,75 -1,75 -1,75 1,5 1 1,3 1,75 2 2,5 3 Fasi di cui è composto il primo test effettuato sulla biella 77 Dove: ∆F ;escursione in termini di forze Fa ; ampiezza R ; rapporto di carico χ ;parametro moltiplicativo carichi Fmax ; valore massimo del carico in trazione Fmin ; valore massimo del valore in compressione Fm ; valore medio In tabella sono riportati il numero totale di cicli compiuto dalle bielle, il parametro di maggiorazione dei carichi χ , e le zone nelle quali si sono verificate le rotture. Come si può notare escludendo la PROVA 1, della quale se ne è già spiegata la funzione, le altre riportano delle rotture, quando si verificano, unicamente in corrispondenza del piede di biella e con la stessa modalità. 78 Schermate riguardanti la prima prova svolta sulle bielle Durante la prova 1 si sono raggiunti, poco prima della rottura delle viti, dei valori di carico elevati pari a 105 KNw in compressione e 60KNw in fase di trazione con una frequenza vicina ai 100Hz; questa situazione è rappresentata in figura 3.3.1 79 dove in basso si nota la videata del programma nella fase finale della prova mentre in alto si ha l’andamento riassuntivo delle grandezze a macchina ferma. Nelle immagini seguenti sono illustrate, invece, le rotture verificatesi nella zona del piede ottenute mantenendo una certa condizione di carico per tutto il numero di cicli stabilito. Immagini e schermata del programma relative alla rottura nel piede nella prova 4 80 Rottura del piede verificatasi durante la PROVA 7 Le immagini mostrano che le rotture si sono verificate nelle stesse zone anche se con numero di cicli differenti dato che χ era differente; in particolare, per ciò che 81 riguarda la Prova 7 dove si è assunto χ = 1,6 la biella ha compiuto più di quattro milioni di cicli prima di rompersi. In corrispondenza delle prove 4 e 5, per le quali si è assunto lo stesso valore di χ = 1,75 le rotture si sono verificate con le stesse modalità e per un numero di cicli quasi corrispondente. Come ci si poteva aspettare, la prova 2 , sempre con R=-1,75 come per tutte le altre, ha riportato la rottura del piede per un numero di ripetizioni minore dato che il fattore moltiplicativo dei carichi era maggiore che nelle altre prove ovvero pari a 2. Andamenti riassuntivi al termine della prova 2 La figura mostra la schermata del programma a macchina ferma dopo che si è verificata la rottura nella zona del piede di biella che si è avuta durante la prova2. Come si può notare nella parte sinistra dello schermo è riportato l’andamento della frequenza in funzione del numero di cicli; esso risulta decrescente per l’aumento dei giochi, durante il funzionamento, come spiegato già in precedenza. Per un numero di cicli pari a 801.631 la macchina ha subito un calo di frequenza repentino, come si vede in figura, e si è spenta automaticamente dato che questo ha superato il valore di caduta di ‘sicurezza’ di frequenza ∆f pari a 1,5 Hz. Smontato 82 il provino si è verificata la rottura nella zona del piede di biella; questa è stata il primo tipo di rottura dell’occhio piccolo. Come si già visto durante il capitolo 1 nel quale si è affrontato il calcolo della biella, ed in particolare quello riguardante la zona del piede, la sollecitazione che determina i maggiori problemi all’occhio piccolo è sicuramente quella di trazione. Schematizzando il piede come una trave curvilinea incastrata in corrispondenza del fusto il punto più sollecitato risulta essere quello interno dove, prendendo in considerazione la figura 3.3.4, il momento flettente si somma allo sforzo normale mettendo in trazione le fibre della parte interna dell’occhio e in compressione quella esterna. La sollecitazione considerata in questa schematizzazione è appunto di trazione dovute alle azioni inerziali che si hanno al punto morto superiore in fase di incrocio; quella di compressione, è considerata meno gravosa dato che, data la sua natura, si va a ‘scaricare’ sul fusto della biella creando così minori problemi al piede come illustrato in figura. Schematizzazione del piede e andamento delle linee di forza nel caso di trazione e compressione. Il calcolo delle sollecitazioni del piede in questa modalità non è certo fedele alla realtà ma costituisce comunque un primo metodo di approccio, almeno dal punto di vista qualitativo, al problema delle rotture. Un mezzo sicuramente più affinato per potersi rendere conto di qual è l’andamento delle tensioni sul piede è costituito dal calcolo ad elementi finiti che è stato avviato in parallelo all’attività sperimentale svolta. Il modello quindi è composto, riassumendo, dalla biella, dalla boccola montata con interferenza, dal perno che collega la biella stessa all’afferraggio come mostrato in figura. 83 Immagine del modello che schematizza la geometria reale della macchina 3.3.4. Stati tensionali sul piede in trazione. Carico di Trazione 31,25 kN Tensione secondo Von Mises σVM in MPa σVM=800 MPa 84 Lo stato tensionale prodotto sul piede, in presenza del forzamento della boccola sul piede, da luogo a delle zone piu’ sollecitate che si osservano in figura essere corrispondenti alle zone di rottura che si sono avute durante la sperimentazione. 85 CONCLUSIONI Il lavoro svolto in questi anni si colloca nella necessità di approfondire gli studi di fatica direttamente sui componenti per favorire la progettazione e il controllo degli stessi. Il metodo che si è voluto sviluppare ha affiancato a prove sperimentali, rese in più semplice possibile, calcoli numerici dedicati proprio alla fatica. Lo scopo è stato quello di ottimizzare il componente permettendo tutte le variazioni che il progresso tecnologico e le rinnovate esigenze legislative richiedono, senza penalizzare, ma anzi incrementando la qualità e l’affidabilità del componente stesso o della struttura in cui è inserito. La progettazione a fatica, che è tradizionalmente affrontata dall’industria in modo empirico, spesso semplicemente sovradimensionando i valori uscenti dalla progettazione statica, può essere altrettanto sofisticata con l’utilizzo di programmi dedicati affiancati a prove sperimentali che, al momento si validano l’un l’altro, nell’immediato futuro si completeranno a vicenda. Lo sviluppo di un codice di calcolo è stato svolto nell’ottica di poter in alcuni casi fare a meno addirittura delle prove sperimentali, ma anche queste sono state affrontate con spirito di servizio e sono quindi state ottimizzate. Nell’immediato futuro ci si propone di continuare a validare il metodo per poi poterlo applicare in fase di studio dei componenti e in fase di servizio alle imprese nell’interesse dello sviluppo tecnologico delle stesse. 86 BIBLIOGRAFIA - Don H. Wrigth - TESTING AUTOMOTIVE MATERIALS AND COMPONENTS, SAE (1993) T. Takematsu, V. Vasquez, B. Painter, T. 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