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Gli Stornelli del Manzoni Anno IV Numero II Gli Stornelli del Manzoni Editoriale Un editoriale politico di Nitore Artico Questo numero esce con un mai visto ritardo sulle elezioni e sui commenti, cercherà quindi di guardare al fenomeno concluso, nello spirito di un anno solare appena sorto. Lo scorso gionalino era infatti già in stampa alla pubblicazione dei risultati. Sul sito del Corriere, il 14 Novembre, Annachiara Sacchi scrisse: “Licei: rivincita di destra e cattolici In primo piano anche liste antipolitiche e goliardiche [...] Il vento dell’antipolitica soffia anche sui giovani. E sui licei. [...] Perdono quota i collettivi di sinistra, nascono liste goliardiche, vincono gli apolitici, risorge (in sordina) la destra. [...] Carlo Pedretti (preside del Parini) spiega: «Sono passati quasi 40 anni dal ‘68. E rispetto ad allora mancano le idee, i progetti, la prospettiva. [...] I collettivi sono orfani della sinistra. [...] Vediamo un ritorno all’apolitìa: di fronte allo spettacolo penoso dei politici, i giovani si ritraggono»”. Peccato che con l’attenzione che la giornalista ha sempre dedicato a ogni pseudonovità del nostro liceo, stavolta non si sia preoccupata di dare nemmeno un trafiletto all’evento manzoniano. Dall’intervista-video comparsa sul sito, si sente che il Manzoni è rimasto una “roccaforte della sinistra” (quale non si specifica... qualcuno obietti pure che la sinistra è una). Di fatto, non ha vinto né una lista cattolica, né una lista “apolitica”. Attenendoci infatti al Devoto Oli, scopriamo i significati delle parole: apolitico agg. (pl.m. -ci). Estraneo o indipendente rispetto alle manifestazioni o agli interessi della politica militante. politica s. f. 1. Teoria e pratica che hanno come oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello Stato e la direzione della vita pubblica. Non abbiamo uno stato, ma abbiamo un liceo. Non abbiamo destra e sinistra, ma abbiamo antiscuola e proscuola. Non abbiamo Casa e Unione, abbiamo una specie di Collettivo e una specie di Circolo aperto. Il Collettivo cerca di resistere alla storia, il Circolo pretende di spingerla. Lo scopo di entrambi è politico e rivolto alle necessità della scuola. Ma cosa c’è da fare? Creare svago e comunicazione dove gli studenti vogliono averne e non possono... Propaganda o reclutamento? Tutti abbiamo creduto alla massa, e alla massa abbiamo parlato. Ma chi legge non è una massa, no? Tu, adesso, non mi sembri autorizzato a sentirti parte di una massa, no? Hai diritto a svagarti e a comunicare... ma è così che va, o lo puoi o lo vuoi, le due cose insieme no, eh? Oppure non scrivi sul giornalino perché ci lavorano i cattivi? O perché ti sta antipatico Tommaso Sciotto, il Direttore del Giornalino? O perché sei un pigrone nichilista amorfo ed alienato? O perché devi studiare? O perché non sai scrivere? Perché, Tommaso Sciotto? Ma te li ricordi i suoi vecchi articoli? Impari a scrivere scrivendo e leggendo agli altri il tuo pezzo e galleggiandoti quando piace o sprofondandoti quando no. Sorga dalla vergogna uno stile tremebondo, balzando come un piccione verso l’Überpiccion! Ora fuori dalla massa. Al mio tre. Tre. Sommario 2 - Editoriale 3 - Attualità/Cultura 10 - Cinema 12 - Videogiochi 13 - Bloc Note 16 - Racconti 21 - Poesie 23 - Saga 24 - Bacheca Copertina di Tommaso Sciotto Impaginazione di Tommaso Sciotto con Giorgia Stefani e Lea Di Salvatore Correzione bozze di Francesca De Prez, (in caso di errori non corretti la colpa è del soprascritto Sciotto) II Gli Stornelli del Manzoni Scuola CONSULTA DEGLI STUDENTI Lista 2 Machimiconsulta?! Lista 1 No slogan Jacopo Lanza Gionata Cavallini Benedetta Ziglioli 287 261 34 CONSIGLIO D’ISTITUTO Lista 1 Innovazione Politica Creativa Lista 2 No Slogan Lista 3 Siamo Come Sei Aldo Sghirinzetti Davide Canzano Amar Hadzihasanovic Zoe Ann Greenslade Veronica Berni Benedetta Ziglioli Antonio Cammaroto Anna Bonadimani Federica Grassi 177 175 174 116 174 Gianmarco Peterlongo 158 Claudia Negri 128 Pietro Panizza 113 34 20 11 8 Sembra ieri - Passato, presente e futuro(?) del movimento studentesco di Lorenzo Parigi 2ªF Quest’anno le elezioni liceali hanno visto risultati quantomeno inaspettati. Malgrado tutto infatti, nei giorni precedenti al voto, era diffusa l’aspettativa di una conferma della maggioranza degli anni passati. Senza esprimere il mio giudizio politico, spero e credo che ciò che è avvenuto sia utile a fare chiarezza. Una chiarezza e una consapevolezza della propria identità che non trovo nelle espressioni di coloro che raccolgono o credono di raccogliere un certa eredità movimentista di lungo corso. Una chiarezza che però manca e non dovrebbe mancare ad ognuno, giovando oggi ognuno dei vecchi successi di quella tradizione, così come subendone i fallimenti. Dunque: correva l’anno 1968, i movimenti erano nati già da qualche anno, ma in quei fatidici dodici mesi le visioni e il respiro della contestazione si ampliarono, straripanti di ideali e volontà di azione. Un’ondata che travolse il mondo intero. L’unità d’intenti fu individuata nella lotta all’atteggiamento autoritario dell’istituzione, fosse essa scuola, fabbrica o famiglia, con l’obiettivo di una riorganizzazione sociale, quando non anche politica, su base egualitaria e non più classista. Da subito tuttavia si distinsero due differenti weltanschauung, sia nell’interpretazione dei traguardi da raggiungere che dell’approccio alla protesta, le quali si diffusero diversamente da una parte e dall’altra dell’Oceano Atlantico. Emblematico di questa incolmabile (non troppo, artisticamente parlando) spaccatura è il magnifico film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, nel quale i due ragazzi protagonisti dell’amore sfrenato e liberatorio nella polvere della Death Valley, incarnano le due diverse anime del Sessantotto. Lui è il seguace della lotta violenta, autonomo e individualista, fautore di idee che attecchiranno maggiormente in Europa; mentre lei è la pacifista figlia dei fiori, simbolo americano di una sfiducia nel grande “sogno”. Mentre negli Stati Uniti, quindi, ci si unì contro la guerra nel Vietnam e in difesa 3 dei diritti civili, incorporando inoltre idee e risorse umane degli afroamericani; in Europa la maggiore sensibilità al carattere politico della protesta favorì la divisione e la formazione di gruppi sempre più ideologizzati. In nessun paese europeo però, la contestazione risultò così lunga e lacerante come in Italia, dove perdurò per tutti gli anni settanta e oltre. Le cause furono da un lato l’approccio ideologico e la chiusura dei vari gruppi, ma buona parte della responsabilità va agli strateghi della cosiddetta “strategia della tensione”: un’escalation di stragi civili in territorio italiano ordite dalle maggiori potenze della NATO ed eseguite da gruppi neofascisti con il supporto logistico della CIA. La loro finalità era quella di delegittimare il forte Partito Comunista Italiano (34 % nel 1976) e istituire un stato di polizia o un regime militare in un paese strategico nella geopolitica della Guerra Fredda, quale era l’Italia. Le principali “Stragi di Stato” avvennero alla Banca dell’Agricoltura di Milano nel Gli Stornelli del Manzoni 1969, in Piazza della Loggia a Brescia e sul treno Italicus in viaggio presso Bologna nel 1974, alla Stazione di Bologna nel 1980. Fu così che iniziarono gli scontri dei militanti della nuova sinistra con quelli di estrema destra, con la polizia, tra di loro. Dal ’67 al ’70 nacquero: Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaria e vari gruppi marxisti-leninisti (ML), della cui orbita entrò a far parte anche il vecchio Movimento Studendesco.Essi furono fortemente critici verso il Partito Comunista, troppo istituzionalizzato, e verso la sua area giovanile e movimentista rappresentata dalla FGCI (Federazione dei Giovani Comunisti). Più la tensione cresceva, più lo scontro s’inaspriva e la ritmica, inesorabile successione delle stragi “nere” finì con il sortire il risultato sperato, l’entrata di un numero crescente di militanti di sinistra nella nebbia della lotta armata . E così la clandestinità accolse in ordine di tempo: il Gruppo XXII Ottobre, i Gruppi D’Azione Partigiana, le Brigate Rosse e in seguito Prima Linea, fondata nel 1976 da fuoriusciti di Potere Operaio e di Lotta Continua, sciolta quello stesso anno. Inoltre il 1976 vide la nascita di Autonomia Operaia: essa più che un movimento fu un area nella quale confluirono le frange della sinistra extraparlamentare più critiche nei confronti dei “riformisti”, identificati con il PCI e i suoi gruppi di riferimento. Oggi si tende ad identificare l’Autonomia con gli scontri di piazza, con la P38, con un’idea della politica anti-istituzionale, Scuola assoluta e con una forte impronta “militare”; tuttavia in quel grande e confuso calderone emersero due anime distinte e contrastanti, che andarono a caratterizzare il nuovo Movimento del ’77. Da una parte c’era la frangia violenta, quella degli assalti alle armerie e degli spari in manifestazione; dall’altra si fece avanti un’interpretazione della lotta fondata sulla provocazione culturale, sul sovvertimento del linguaggio, che si propose di utilizzare forme di aggregazione politica decisamente alternative alla tradizione della nuova sinistra: penso agli Indiani Metropolitani o ai periodici di controinformazione come A/traverso, attivi soprattutto nell’area bolognese. Purtroppo il filone creativo finì presto schiacciato dall’Autonomia violenta, e molti giovani senza obiettivi caddero nel giro dell’eroina. Sul finire dei Settanta l’azione sempre più folle e audace delle BR finì inoltre per causare l’implosione di un grandissima parte del movimento, e il caso Moro decretò di fatto la fine dei gruppi della sinistra extraparlamentare, per lasciare 4 spazio alla sola Democrazia Proletaria, una coalizione elettorale attiva per tutti gli anni ’80. Sul versante giovanile si dette invece inizio all’esperienza dei Centri Sociali, nati come forme aggregative di quartiere. Per anni essi hanno introdotto nuovi sistemi di azione politica diffusa, ma oggi appaiono sempre più influenzati da diversi gruppi e inseriti all’interno di una rete frantumata e debole. Ad oggi dunque, del prolifico e policromo Movimento del ’77, sopravvive più che altro molto del peggio: espressioni politiche come i Collettivi di scuola, che si richiamano a quella eredità, manifestano una visione della democrazia abbastanza zoppicante, una pratica politica poco permeabile alle istanze “reali” degli studenti, perseverando strenuamente in una ritualità di iniziative (picchetto, occupazione a scadenza...). Tuttavia oggi c’è anche chi si richiama all’”innovazione”, parola chiave, che si coniuga un po’ con tutto, ma che spesso cela obiettivi contrastanti o poco chiari. Va innanzitutto specificata la direzione verso la quale si intende innovare, per non cadere nell’odierna ambiguità di parole come “riforma e “riformista”. Se quindi coloro che si dichiarano sostenitori di una svolta (a partire dagli organi di stampa che avete in mano), puntassero a ricercare quanto di “innovativo” la storia del movimento abbia prodotto sul piano culturale, delle forme di comunicazione e del linguaggio, oltrepassando magari gli orizzonti del “nuovismo” democratico... Gli Stornelli del Manzoni Attualità/Cultura Bullismo nelle strade di Cip, Ciop e l’allegra consorteria del bosco È sempre più in aumento il fenomeno del bullismo nelle strade della nostra città. Per bullismo si intende il comportamento di ragazzetti che non hanno niente di meglio da fare che andare in giro armati con lame di varia natura a importunare, infastidire e rapinare i ragazzi più giovani e indifesi. Questi ragazzi tra i tredici e i diciassette anni si divertono in questo simpatico modo. La cosa buffa è che, parlando di bulli, generalmente pensiamo a zone di periferia, poco e mal frequentate e molto degradate; ma essi sono presenti anche in luoghi ben più centrali e “in”: Colonne, Duomo, via Torino, corso Vercelli, corso Como...zone frequentatissime dai giovani. Ovviamente, è inutile dire che chi minaccia raramente è da solo, e mai e poi mai importunerebbe qualcuno che vagamente potrebbe controbatterlo: gli infami, infatti, si muovono in branco (migliore definizione per un insieme di cani) e attaccano solamente i ragazzi dai 14-15 anni in giù. Possiamo tranquillamente affermare che sono dei vigliacchi e dei codardi. Forti coi deboli e deboli coi forti: questa è la semplice morale che permette a questi esseri di proliferare. Sorge spontanea una domanda: perché? Perché minacciano e rubano nonostante una buona parte di loro provenga da famiglie agiate e benestanti? Il problema è che loro non vivono questi atti come furto e minaccia, ma come semplice passatempo per il sabato pomeriggio. Inoltre si divertono in questo modo per dimostrare la loro superiorità e per sentirsi “fighi”. Probabilmente nessuno gli ha mai spiegato che “figo” non è chi ruba, chi minaccia, chi picchia supportato da cinque, sei, certe volte anche di più compari, ma chi queste ingiustizie le combatte. Ancora peggiore di questi bulli è chi non aiuta quelli che si trovano in difficoltà. Quando un ragazzino minacciato da qualcuno chiede aiuto a un passante, vorremmo sapere da questo se non aiutandolo per caso non provi un minimo senso di colpa. Oltre a rubare soldi, occhiali griffati e iPod, hanno creato un vero e proprio mercato nero, nelle loro scuole: 20 euro un paio di Gucci, 50 un Nokia, tanto per fare un esempio. Le scuole sono teatro anche dell’altro lato del bullismo. Non l’estorsione, ma la violenza fatta senza ragione. Un esempio è ciò che è successo l’8 novembre a Tortolì, in Sardegna: nel corso di un banale diverbio davanti alla scuola, causato, pare, da alcuni apprezzamenti sulla ragazza di un giovane, questi (18enne) ha tirato fuori un coltello a serramanico e ha colpito il 16enne che aveva “sgarrato”. Questi casi non sono isolati, anzi...esempi di violenza fatta solo per “far brutto” si trovano dappertutto. Il problema, pensiamo, è la mentalità che questi bulletti adottano. Non si può rapinare un ragazzino solo per essere notati. Non si può pugnalare un ragazzo solo perché ha affermato che la propria ragazza è gnocca. Non si può. 5 Comportare a comportarsi come animali. La legge punisce (o dovrebbe punire) questi atti. È breve il passaggio tra una minaccia ad un ragazzino fatta tanto per fare a minacce regolari ed organizzate (tanto per fare un esempio: la banda di piazza XXV aprile, che ogni sabato si piazza lì e aspetta tutti i ragazzi che dallo Shocking vanno al Tocqueville...). Il primo è idiozia, il secondo reato. E questo non lo capiscono, essendo idioti; o se lo capiscono lo commettono per il gusto di violare la legge, essendo ulteriormente idioti. Ma illegale non è figo. Illegale è semplicemente sbagliato. Abbiamo deciso di scrivere questo articolo perché siamo stati tutti, o per lo meno conosciamo tutti bene, vittime di questi soprusi, definiamoli così. Vorremmo la vostra opinione, il vostro parere, le vostre esperienze in merito. Come è possibile combattere questo fenomeno? Come faccio ad uscire con un mio amico, con la mia ragazza, con qualsiasi persona senza che una banda di idioti non mi rovini il pomeriggio? Come ci si può difendere da 8 energumeni che affermano di ammazzarti se non dai loro l’I-Pod? Se avete una risposta, ammesso che ce ne sia una, fatela sapere a tutti.Da questo sondaggio possiamo dedurre che non è vero che tutti gli studenti sono completamente contrari alla riforma, mentre possiamo notare un malcontento comune per la non funzionalità dei debiti; molti alunni ritengono che gli esami a settembre siano un rimedio estremo e che si dovrebbe trovare invece una via di mezzo. Gli Stornelli del Manzoni Attualità/Cultura I monaci birmani di Maryam Turrini 1ªF L’effetto che hanno suscitato sul mondo è enorme. È il risultato di una grande coerenza e sincera religiosità che li accompagna nella vita. I monaci di Birmania attraversano con la loro ferma opposizione l’intero Occidente, anche se in tutti i modi vengono ostacolati dal regime che li opprime sia fisicamente che psicologicamente. Non hanno avuto paura di manifestare la propria identità religiosa né gli ideali che stanno alla base della loro esistenza. Il “sacrificio” che compiono ha riscontrato l’attenzione dei media di tutto il mondo e ha colpito la sensibilità delle persone. Nonostante le critiche internazionali, i generali continuano ad incarcerare oppositori e manifestanti; all’inizio la situazione era abbastanza tranquilla provocando solo la sorpresa del regime, il secondo giorno ci furono i primi tre arresti che accentuarono la proteste. Poi cominciarono i gas lacrimogeni e le prime repressioni armate; il terzo giorno i cittadini hanno fatto da scorta ai monaci che manifestavano. Sono tornati in piazza il 31 ottobre senza particolari problemi o ostacoli. Qui al Manzoni abbiamo potuto parlare dei fatti di cronaca grazie ad un giornalista, che essendo stato presente nel luogo dell’accaduto e avendo osservato gli avvenimenti da vicino, ci ha illustrato la situazione. Nelle foto li si vede mentre marciano decisi sotto la pioggia, rasati e con quella tunica color ruggine; sono i rappresentanti del Buddismo che si è mantenuto nella sua integrità e non si è piegato sotto la brutalità dell’attuale regime. Si tratta di persone che hanno che gliela vogliono sottrarre; e tutto ciò sebbene siano monaci che siamo abituati a identificare come persone del tutto isolate e distaccate dalla realtà terrena. Infatti, essi colpiscono con la loro presenza apparentemente silenziosa, tanto scomoda per alcuni, ma che in realtà comunica una decisione forte e ferma. Oltre ai riti di contemplazione che praticano distaccati dal mondo, i monaci riescono quindi a conciliare la propria religiosità anche scendendo in piazza e agendo quindi in modo concreto e pratico. Dimostrano che in ogni ambito della vita possono mantenere e manifestare la propria identità, in questo senso testimoniano l’unità tra azione e contemplazione, poiché infatti da monaci si interessano a questo mondo terreno, in una prospettiva unicamente religiosa. Il loro comportamento pacifico ha fatto riflettere e comprendere che si può opporsi con forza anche senza fare uso della violenza, anzi la loro serietà e il loro silenzio sono stati più efficaci di qualsiasi arma. L’atteggiamento che hanno assunto non ha nulla di egocentrico, ma è tutto incentrato sullo scopo, cioè il mantenimento della propria identità ed integrità religiose attraverso l’opposizione al regime. I monaci hanno suscitato delle riflessioni perché si contrappongono ad una visione errata della religione che fa uso di violenza per imporre il proprio credo e che purtroppo è molto diffusa oggi. Sia i gruppi fondamentalisti e integralisti, sia tutti coloro che non sanno testimoniare la propria fede perché troppo omologati in un sistema ideologico, avendo perso la loro vera identità spirituale, sono portatori di prospettive contrapposte ad una tranquilla e serena pratica della religione, di cui sono invece un esempio i monaci. Questi ultimi non rappresentano solo una opposizione nei confronti di un regime autoritario e accentratore, ma anche per quelle strumentalizzazioni dei culti a fini politici ed economici o frutto di una interpretazione errata dei testi sacri, che provocano la diffusione di pregiudizi e stereotipi controproducenti per la vita di un normale religioso. come base della dittatura socialista) si ribadisca la supremazia dell’uomo e non di Dio e rimane scandalizzato dal fatto che Dio è stato scritto con la minuscola. In poche parole, le uniche due cose positive del trattato del Lanzin le bolla come eresie! Proseguendo sul volantino, salta subito all’occhio la frase: ”Scientificamente non è ancora possibile dire cosa ha detto o non detto Buddha. Questo vale anche, in misura minore, per Maometto e il Corano!” Innanzitutto la fede NON si può misurare con la scienza(e un cattolico come Padre Gheddo dovrebbe saperlo), e poi nemmeno di Gesù Cristo si ha la prova scientifica di ciò che ha detto o fatto in realtà, né tantomeno possiamo dimostrare che la Bibbia sia stata effettivamente rivelata da Dio. In poche parole il suo è un discorso che non sta in piedi,anche perché poi aggiunge “tutto ciò (la mancanza di prove su ciò che ha detto Buddha) non impedisce al buddhismo birmano di sopravvivere”: ci mancherebbe pure che le religioni non sopravvivessero perché non si possono dimostrarne scientificamente i principi. Ma la cosa su cui avrei più da ridire, in quando buddhista, è quando dice che questa religione predica un’accettazione passiva per assicurarsi una rinascita più felice: questa affermazione non è di certo nella natura buddhista, altrimenti si svuoterebbe completamente il significato del Karma e del principio di causa. principi di vita molto differenti da quelli occidentali, per esempio concepiscono la pace come serenità spirituale e non come “pacifismo”, e non pensano alle parole “libertà” o “indipendenza” di se stessi in quanto individui ma a favore del culto che rappresentano. I monaci si sono dimostrati dei religiosi non emarginati dal contesto sociale, anzi ne hanno preso parte egregiamente manifestando con forza la propria volontà. Essi non sono avulsi dalla realtà del mondo odierno, ma partecipano alle questioni politiche, tengono alla loro libertà religiosa, e si oppongono a coloro Questione di karma di Jessica Guarnieri 2ªH Durante l’assemblea di istituto sulla Birmania, è passato un volantino di Manzoni CL. Il volantino in questione è un resoconto di Padre Gheddo, missionario del Pime, che tenta di spiegare cosa c’è alla base della tragedia che sta dilaniando la Birmania (nota soprattutto per la recente ribellione dei monaci buddhisti): tuttavia non solo non è molto ferrato sulla religione dei suddetti monaci, ma tenta in ogni riga di ribadire la supremazia del cristianesimo. Partiamo dal male ‘minore’: nella critica che fa alla via birmana del socialismo si sofferma soprattutto sul fatto che nel “Programma del Lanzin” (nel quale sono esposte le idee di base da cui partire per una società nuova, varato nel 1962 6 Gli Stornelli del Manzoni Piccola spiegazione sul significato di karma: ognuno di noi crea il proprio karma; i pensieri, le parole e le azioni del passato hanno formato la nostra realtà presente, mentre ciò che diciamo e facciamo nel presente influenzerà il nostro futuro. L’influenza del karma si estende da una vita alla successiva, permanendo durante lo stato di latenza tra la morte e la rinascita, mentre la legge del karma determina le circostanze della propria nascita e della propria natura individuale e rende conto delle differenze degli esseri viventi e degli ambienti in cui vivono: il karma positivo nasce dalla buona volontà e dalla compassione; quello negativo dall’avidità, dalla collera e dalla stupidità. Se il buddhismo predicasse l’accettazione passiva, come caspita potremmo immettere cause positive nella nostra vita che alleggeriscano il karma e ci Attualità/Cultura assicurino una rinascita più vicina alla via dell’illuminazione? Trascorrendo la vita come delle amebe forse? Ed è anche questo che sta alla base del motivo per cui i bonzi sono scesi in strada accanto al popolo,assecondando lo spirito della bodhisattva,che è appena un gradino sotto il raggiungimento della Buddhità, nonchè il desiderio di aiutare gli altri a sostituire la sofferenza con la felicità:quelli che si trovano in questo stato di bodhisattva traggono la più grande gioia e soddisfazione nel dedicarsi alla felicità altrui,spesso a spese del proprio benessere o della propria vita. Quindi non c’è da stupirsi se i bonzi han deciso di protestare, anzi, ce ne sarebbe nel caso se ne fregassero altamente di ciò che accade alla popolazione. Loro non protestano per motivi religiosi,non scendono in piazza in nome della fede,ma lo fanno per motivi sociali(e poi anche loro fanno parte di quella popolazione sottomessa che muore di fame). Da un articolo de ‘Il Giornale’,un monaco risponde a una domanda postagli in un’intervista:«Monaci e civili sono come moglie e marito, la nazione è come una grande famiglia, se qualcuno sta male tutti finiscono con il soffrire. Se la crisi economica rende impossibile la vita dei cittadini è difficile illudersi che i monaci possano star bene. I miei confratelli soffrono per la povertà del Paese e anche per la mancanza di libertà. Esattamente come i cittadini. Dunque è logico che in momenti come questi i monaci stiano al fianco dei loro compatrioti e protestino assieme a loro». trovò ad essere il capo di un Ordine. I modi di vivere il Buddismo sono, ancora oggi, fondamentalmente due: l’appartenenza all’Ordine composto da monaci (bhiksu) o monache (bhiksuni) e la confraternita dei laici (upasaka). Non avendo lo stato monacale un valore di investitura divina, il monaco può tornare allo stato laicale se non ha più intenzione di seguire le regole dell’ordine. I testi canonici del Buddismo considerati autentici sono raccolti in due Canoni: Pali e Sanscrito. Il primo rappresenta una sintesi delle dottrine predicate dal Buddha o a lui attribuite e delle teorie della scuola Hinayana. Il secondo è nato invece circa sei secoli dopo la morte del Buddha, varia molto come suddivisione e denominazione da Stato a Stato ed è sostanzialmente legato alla scuola Mahayana. Il Buddismo si pone come filosofia di vita e soprattutto come pratica meditativa. Per questo il Buddha non negò esplicitamente l’esistenza degli dei bramani che, a parer suo, sono completamente ininfluenti sulla vita dell’uomo e stabilì che il cammino che porta alla salvezza, l’uomo deve trovarlo da solo. Le dottrine del buddismo sono riassunte nel dharma (insegnamento o vie del Buddha) e comprendono : le quattro nobili verità, l’ottuplice sentiero e il nirvana. Le prime riguardano le quattro verità fondamentali dell’esistenza, che il Buddha ritiene essere caratterizzata dal duhka(dolore) provocato dal trishna(desiderio) che può cessare solamente grazie all’Ottuplice Sentiero. Questo è il mezzo pratico che il Buddha pone per arrivare all’eliminazione dei desideri. Seguendo queste otto strade l’uomo giunge alla perfezione, eliminando le tre radici del male: concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale), e sprofonda così nel Nirvana che, diversamente interpretato da ogni scuola buddista, non è uno “stato”, bensì una“condizione”di assenza (non c’è morte e vita, gioia e dolore...). Sul piano del comportamento sociale il Buddismo riconosce l’uguaglianza formale di tutti gli uomini (“formale” perché di fatto con la dottrina della “non resistenza al male” esso disarma spiritualmente il popolo di fronte agli sfruttatori) questo perché, dipendendo dalla propria volontà, ogni singolo può raggiungere la salvezza morale. Non si difende dal male ricevuto, non si vendica, non condanna chi commette un omicidio. Nel complesso il buddista ha un atteggiamento di indifferenza per il male, limitandosi a non compierlo. D’altra parte -dice il Buddismo- “chi ha sana la mente non compete col mondo né lo condanna: la meditazione gli farà conoscere che nessuna cosa è quaggiù durevole, salvo gli affanni del vivere”. Il buddista sostanzialmente è convinto che chi compie il male, vedendo la nonreazione da parte di chi lo subisce, ad un certo punto si renderà conto che è inutile continuare a compierlo. Il Buddismo di Federica Piron e Paola Croci 2ªE Il Buddismo è la prima religione universale apparsa nella storia, ed è una delle più importanti dell’Asia. Il Buddha, personaggio storico accertato, il cui nome era Siddharta Gautama, visse nell’India del Nord nel VI sec. a.C. e nacque dalla regina Maya, moglie del nobile Suddhodana. Prima di intraprendere la sua ricerca spirituale, il Buddha viveva nell’agio presso il palazzo del padre, seguendo l’educazione necessaria a divenire, un giorno, re di una regione che oggi corrisponde al Nepal. Poco prima di compiere trent’anni il principe Siddharta, incontrando gente afflitta da malattia, vecchiaia e morte, ne fu molto impressionato. Allo stesso modo rimase profondamente ammirato dalla serenità di un saggio eremita. Abbandonò casa e famiglia, in cerca di una soluzione definitiva alle grandi sofferenze del mondo. Intraprese in tale ricerca diverse pratiche spirituali ed incontrò molti maestri, finché, insoddisfatto di quanto sperimentato, cercò la sua via: una via di mezzo tra l’estremo ascetismo e una vita legata ai piaceri dei sensi. Sotto l’albero della Bodhi (risveglio) raggiunse infine l’illuminazione, diventando noto come il Buddha, il Risvegliato.Alla morte il Buddha non lasciò successori e la comunità continuò ad operare insieme riunendosi anche in tre concili dove redisse un Corpus Canonico codificato. In principio, il Buddha non ebbe quindi in mente d’imporre una disciplina monastica, ma dovette farlo quando si 7 Gli Stornelli del Manzoni Attualità/Cultura Calcio vs sport alternativi di Erika Poletti 4ªE Questa è un’aperta critica verso il calcio e la società d’oggi, ma non arrabbiatevi prima di averla letta: vi rivelerà più di quanto possa sembrare. Click.. scandalo calcistico per la serie A...click.. tifosi manifestanti a San Siro, gravi disastri...click... vediamo ora i risultati delle partite di campionato....Click. Che noia. Il calcio si vede dappertutto: sui giornali, in tv, ancora un po’ le facce dei calciatori ce le stampano sulla cartigienica. Io sinceramente sono stufa. Poi non so voi. Di tutti questi scandali, dei tifosi che più che tifosi mi sembrano degli animali in gabbia. Beh, certo, distruggono tutto ciò che gli capita fra le mani. Tra gli scandali più gravi c’è Calciopoli (72 partite sotto inchiesta in sole 2 stagioni), negli anni ’80 per il doping e bilanci truccati. Ma allora siamo solo noi? No. Anche in Spagna e Francia si sono dovuti fare i conti con parecchi episodi di razzismo. E poi, detto fra di noi, non è che i calciatori li paghino un po’ tantino?! Beh ditemelo se sbaglio! Insomma poi è ovvio che non gli viene più voglia di far nulla! E poi, questi tifosi. A me non sembra che vadano allo stadio proprio per tifare la loro squadra, forse più per annientare gli avversari...io li chiamerei sporchi assassini..(un po’ pesante?!). E dov’è finito lo spirito di squadra? Quello per cui si sta zitti durante un inno nazionale e non si fischia come degli idioti solo perché non si sa come passare il tempo. Insomma dov’è finita l’emozione per una partita, il desiderio di vincere insieme? Credo che pur di vincere si faccia fin troppo. Beh, forse se l’esito di una partita valesse milioni, ci penserei anche io due volte prima di perdere. O forse sto parlando tanto per nulla, magari c’è davvero qualcuno che ha capito che non c’è solo il calcio. Non so se ve ne siete accorti... Qualcuno ha forse notato che siamo campioni del mondo di pallavolo da 2 anni? E’ inutile che vi scervellate per trovare una risposta. No, certo. E pensare che quando abbiamo vinto il mondiale di calcio ce l’hanno menata per un anno intero. Pensandoci però, non possiamo mica lamentarci. Il calcio rispecchia perfettamente ciò che è la società di oggi: falsa nel suo interno, che pur di arrivare ai propri scopi è disposta a tutto; assetata di potere e di denaro. E per fortuna che, grazie alla mia esperienza ho potuto conoscere altri sport che spero vi incuriosiscano almeno tanto da non farvi addormentare nelle righe seguenti e vi facciano accendere quella famosa lampadina che c’è nel nostro cervello, ma che troppo spesso è occupata a pensare quanti punti ha il Milan nel campionato. Ci sono sport che forse la maggio parte di voi non conosce, dove non spirito della gara, il rispetto per l’avversario, prevalgono su tutto. Un esempio di questo sono l’hurling (mai sentito nominare vero?!), il rugby (ben più noto) e il football gaelico, che a dispetto di quanto molti pensano, non ha nulla a che fare con il calcio. Ecco un rapido accenno al rugby, che anche se qui in Italia si vede poco, in Irlanda ad esempio è lo sport nazionale. Si gioca in 15, la palla è ovale e la partita dura circa 80 minuti divisi in due tempi. Lo scopo è come in tutti gli altri sport, fare più punti, segnando le mete, ovvero portando la palla oltre la linea di fondo. La meta per i rugbisti non è il semplice fare punto: è campo cancellato, la scomparsa totale dell’avversario. Nel rugby il capitano non è solo quello con la fascia bianca al braccio, che nel calcio sta ad indicare il più pagato. E’ quello che quando pensi di mollare lo guardi e ti senti un verme. La logica del rugby può essere definita quasi primitiva, è una guerra: bisogna far indietreggiare il nemico fino a schiacciarlo contro il muro che ha alle spalle. Nessuno potrebbe mai osare paragonarlo al calcio. L’hurling invece è uno sport molto particolare, di origine irlandese. E’ simile all’hockey su prato: si gioca in 15 con una mazza, chiamata hurley e costruita tradizionalmente con la radice di frassino e una palla di cuoio, 8 chiamata sliotar. Bisogna mandare quest’ultima fra due paletti, o sopra o sotto la sbarra. Questo gioco merita il titolo di palla più veloce in termini di gioco. Un buon colpo può raggiungere la velocità di 150 Km/h (nessuno lo sapeva vero?!). Spesso la palla è così veloce che non la si vede volare. La precisione e la destrezza in questo sport valgono quanto la forza di muscoli in altri. Nonostante ci siano molti club, l’Irlanda è l’unica squadra che ha una nazionale. Associato all’hurling spesso incontriamo un altro sport molto veloce e spettacolare, il calcio gaelico, lo sport più caro agli irlandesi. A prima vista il calcio gaelico appare come una combinazione fra il calcio ed il rugby: i giocatori avanzano con la palla sul campo trasportandola, calciandola e passandosela con la mano fra compagni di squadra. Il fuorigioco non esiste e i punti si contano nella stessa maniera dell’hurling. L’atmosfera che c’è quando si gioca la finale a Dublino è indescrivibile: almeno un quarto della città si trova allo stadio. Se i tifosi calcistici italiani e non passano le giornate successive alle partite a criticare gli arbitri, nel calcio gaelico la situazione è ancora più incandescente: gli arbitri vengono spesso criticati e contestati per le loro decisioni. Una leggenda metropolitana assai diffusa (ma falsa) racconta di un arbitro chiuso nel vano di un automobile dopo una partita di club nella Contea di Wicklow da giocatori non soddisfatti. In realtà ciò non avviene mai: le regole sia nel calcio gaelico che ne l rugby vengono seguite molto rigidamente e nessuno si sognerebbe mai (come oggi succede troppo spesso nel calcio), di aggredire un albitro sia verbalmente che fisicamente. Attualità/Cultura La stupidità è anche virtuale - tratto da “Il bimbominkia (nonciclopedia.it) di Federico Di Matteo 5ªG Dalla creazione degli SMS, ai giochi ondine fino alle chat community, si è potuto chiaramente vedere l’avvento di un nuovi gruppi di persone (soprattutto giovani), chiamati “bimbiminkia”. Questi sono persone odiosissime che spendono la maggior parte del tempo davanti ad aggeggi virtuali, e rompendo i maroni a tutte le persone in contatto con loro, gasandosi con storie inventate. Il linguaggio di queste persone si pensa derivi dal greco,poiché si trovano molte contrazioni, da “tvb” a “cm va?” e cose più incomprensibili, fino alla caduta delle vocali(“k s f?” traduzione “che si fa”). Altre cose più recenti sono il cambio della negazione “no” con “nuuuuuuuuuuuuuuuu”. Hanno ormai dimostrato che per un italiano è più facile apprendere il cinese che il linguaggio dei bimbominkia. Oltretutto questi bimbominkia si credono superiori, quindi in grado si poter sfottere tutti, ma alla fine finiscono per essere sfottuti loro. Una cosa che differenzia il bimbominkia è anche l’appoggio che da per qualsiasi novità di successo, senza curarsi se la cosa sia di suo gradimento o vada contro i suoi ideali. Infatti è classico dei bimbominkia femmina (senza offesa) andare in giro ascoltando i Tokio Hotel o altri gruppi, sperando un giorno di poterli incontrare, e perciò ogni volta che questi idoli vengono offesi (come succede ogni volta che leggete questo articolo), si accaniscono contro colui che li ha offesi (cioè io). Secondo alcuni sondaggi (non chiedetemi chi li ha svolti) siamo arrivati a tali conclusioni: -Quando un bimbominkia non sa cosa dire,sfotte l’interlocutore -Chi sfotte qualcuno è un bimbominkia -Chi sfotte un bimbominkia è un bimbominkia -Poiché sfotto i bimbominkia con questo articolo, io sono un bimbominkia -Siamo tutti bimbominkia -La mattina guardano deliziati i puffi e alla sera dragonball.guardano anche “mister lui”, e gli piace quasi quanto i puffi. -I bimbiminkia inviano in genere 3512 trilli al giorno. Nel week-end alcuni arrivano anche a 9843. -Il bimbominkia tifava Juventus prima di calciopoli. Ora tifa Inter. -Io tifo Milan. Storia degli scioperi - Prima parte di Diego Begnozzi 5ªC Scioperare: deriva dal latino exoperare, composto di ex ed operare (lavorare), quindi significa non lavorare. Lo sciopero è un’astensione collettiva dal lavoro. Questa pratica oggi è riconosciuta dallo Stato (art. 41 della Costituzione: “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”), ma il cammino per arrivare a questo risultato è stato molto lungo e arduo. Il primo sciopero di cui si hanno notizie avvenne sotto il regno di Ramses III, verso il 1180 a.C. Accadde che i contadini che costruivano la tomba sotterranea del Faraone non ricevettero il salario (pagato principalmente in cibo) che spettava loro. Bene, questi contadini decisero di interrompere il lavoro, sedersi, ed aspettare che il Faraone pagasse i salari. Ovviamente non esistevano sindacati od organizzazioni che avessero programmato il tutto, ma nonostante “l’improvvisazione” il primo sciopero noto della storia funzionò, infatti agli scioperanti furono consegnati grano ed orzo. Inoltre pare che nei mesi successivi siano stati organizzati altri scioperi, in quanto continuavano a non essere pagati. E la cosa interessante è che nessuno venne punito! (sempre secondo quello che ci è stato tramandato, ma va anche detto che gli scribi erano tutti pagati dal Faraone che certamente non voleva fare brutta figura con i posteri...). Andando avanti negli anni, uno sciopero passato alla storia è quello compiuto dai plebei romani nel 494 a.C. (questo evento viene più comunemente chiamato secessione, ma si possono ravvisare analogie con gli scioperi odierni). Riassumendo una storia molto complicata, si può dire che a Roma erano presenti due classi sociali: patrizi e plebei. I primi, discendenti dei fondatori della città, erano gli unici che detenevano il potere politico. Infatti come consoli e senatori, le massime cariche della repubblica, erano eleggibili solo patrizi. I plebei, esasperati da questa situazione, decisero di scioperare e si ritirarono sull’Aventino. Grazie alla mediazione di Agrippa, la plebe interruppe il suo sciopero e tornò in città. Da quell’anno fu istituita la carica di tribuno della plebe, il protettore dei diritti della plebe. Nella storia romana ci furono molti altri scontri fra le due classi sociali, che spesso sfociarono nel sangue. Tornando agli scioperi, per trovare le prime forme di associazione simili ai 9 moderni sindacati bisogna andare nel 1300, con la nascita delle corporazioni. Esse erano gruppi di lavoratori che si associavano per tutelare gli interessi inerenti la propria professione. Esistevano corporazioni per quasi tutti i mestieri: si andava dalla Corporazione dei Medici a quella dei Sarti. Corporazione famosa fu quella dei Ciompi. I Ciompi erano gli addetti alla filatura della lana, ed erano nei più bassi gradini della scala sociale. Venivano pagati molto poco, e l’inflazione che colpì l’Europa verso il 1350 li rese ulteriormente poveri. A Firenze la situazione degenerò in quello che fu definito “Tumulto dei Ciompi”, ovvero uno sciopero generale presto trasformatosi in una vera e propria ribellione, che portò Michele di Lando, leader della Corporazione, ad insediarsi al Palazzo dei Priori. I ricchi, esautorati, capirono che la situazione si sarebbe risolta sa sola, e così fu. La rivolta, infatti, non ebbe un esito felice. Di Lando non seppe gestire bene l’enorme potere che aveva nelle sue mani, scontentando sia i ricchi che i poveri. La rivolta fu facilmente domata da una coalizione della borghesia medio-alta. Gli Stornelli del Manzoni Ciclopedia del Cinema B di Elia Zenoni 2ªH Braveheart: Film storico di ambientazioni scoscese, amato dai fan di Scorsese, è un classico pippone scozzese. Comunque ci recita l’impiegato di Dio, Mel Gibson, che è anche il reg ist ratore...i l regista. Regia...bella, la storia è di questi in gonna che sfidano il freddo e siccome gli inglesi, invidiosi della loro impavidità, gli bruciano le case in modo da alzare la temperatura e rendere innocuo il freddo scozzese, questi vanno su tutti i furia cavallo del west e gliele danno di santa cagione. Naturalmente però gli inglesi se la prendono di rimbalzo con la bella mogliettina di Mel e le spezzano i dischi dei Simple Minds. Siccome la mogliettina di Mel era l’unica donna scozzese apprezzabile, essa aveva tanti amici, non so se mi spiego; quindi quando Mel vuole vendicarsi della vendetta, molti sono a seguirlo (come molti sono a precipitarsi a casa della moglie appena lui è assente). Così si macellano tantissimo e le budella schizzano ovunque, e alla fine Mel ringrazia dio per tutto quel sangue. Solo che mentre sta sbudellando con un’ascia un inglese già morto da qualche settimana, i figliuoli suoi (di Mel) lo vedono e rimangono turbati. Ma almeno con l’impresa lui riesce a salvare il figlio maggiore demente. Poi fortunatamente alla fine della guerra arrivano i francesi con le navi e salvano....no aspetta...c’è qualcosa che non va, questo è Il Patriota... dio mio siamo già alla P!!! No non è possibile, un momento fa ero alla...alla... sarà meglio ricominciare dalla A, cribbio sul naviglio!! A cavallo della tigre: Guardate che il titolo non c’entra una cazzuola col film. O sono orbo o proprio non c’entra. Di cavalli e di tigri non se ne vedono. In compenso l’ho visto due volte quindi posso dirvi qualcosa di più. Si insomma è un film italiano di quelli un po’ italiani anni ’90 che parla di sti due...no scusa di sto qua che è in prigione perché ha organizzato una rapina con la fidanzata che poi si tiene i soldi mentre lui lo beccano e viene coinvolto in un’evasione da due tipi Cinema poco raccomandabili, si insomma degli albanesi. Così scappa e diventa amico di uno degli albanesi che poi si scopre essere una brava persona, nonostante albanese, e lo aiuta a tornare in patria ma mi sa che muore prima (l’albanese) e quindi boh. Si perché c’aveva qualcosa ai denti e poi c’è una scena coi tralicci e i neon, si perché si fanno un bel viaggio a piedi, i due. Allora poi lui torna da lei che sta con un altro che è un pirla in una casa con vista mare ed arriva la polizia e poi c’è il finale a sorpresa che però non mi ricordo, forse lui si getta da qualche rupe, non lo so, fate un po’ voi. Auguri professore: Credo che sia il continuo tematico de La Scuola con Silvio Orlando...però non mi ricordo una grancassa sapete? Anastasia: Ma si! Questo è il classicone polpettone pirandella!!! Bello, si, si. La storia di Anastasia la conoscete vero? C’hanno fatto anche il cartone! Si è la storia di questa qui che assomiglia alla figlia di una regina di non so dove là ad est e in pratica si cerca la figlia che non so perché si era persa o perduta o smarrita e allora ci sono sti qui che per beccarsi la grana la prendono e la convincono a fare la burlata per infinocchiare la regina decrepita ma poi si scopre che è proprio lei la reginetta perché aveva una tossicina stitica che la si riconosce subito yeah! Si che poi lei si innamora di uno dei coniurati! Che poi è il fantomatico Jour Brinner!! Il rapato arrapante! Si insomma questa è roba grossa, roba molto grossa. L’anatra all’arancia: Uhm...ragazzi, non so se avete presente, zio nababbo, è una di quelle cose che non ti dimentichi. Naturalmente non sto parlando del film ma della pietanza, che te credevi?! Beh se proprio però devo parlare del film (e con quel saporino agrodolce, non so se mi spiego, uhm) posso dire che si tratta di una commedia all’italiana inizio anni ’90 (e l’arancia...uhm, che sublime animale!); di ambientazione coniugale sviluppa il tema della gelosia (unite poi il tutto con il più nobile dei frutti; l’anatra) dal punto di vista dell’absurdus sentimentale. Insomma una commedia frizzante (consiglio la degustazione della pietanza in ambiente rilassato e poco luminoso) non priva di arguta ironia (fiammeggiate, 10 pulite e lavate l’anatra asciugandola alla perfezione) e di ironica arguzia (quindi mettetela a rosolare in una pirofila con olio e burro). E’ stato definito dai critici (appena la doratura sarà uniforme, mettetela a cuocere in forno a calore moderato) un inno alla famiglia ed al matrimonio indissolubile (passate al setaccio il fondo di cottura e aggiungetevi il succo filtrato di due arance con la parte gialla della buccia di limone tagliata a listerelle sottili e scottata in acqua bollente). La regia di Luciano Salice (in una piccola casseruola fate sciogliere due zollette di zucchero sfregate sulla scorza d’arancia e allungate il “caramello” così ottenuto con l’aceto) permette ai due interpreti principali, Monica Vitti ed Ugo Tognazzi (la salsa all’arancia va versata sui pezzi di anatra trinciata disposti su di un largo piatto di servizio), di recitare (decorate il bordo del piatto con gli spicchi delle rimanenti arance, sbucciate e private dei semi) nonostante l’acquolina in bocca. L’amore è eterno finché dura: Seh, è arrivato il geniaccio. Alice e Martin: No, vi prego, ma che arazzo di film è? Ma probabilmente non l’ho nemmeno visto! Ma si figurati che è pure un film francese, cioè PUPPA che me lo vedo. Ho avuto brutte esperienze con i film francesi; da piccolo sognavo spesso di essere in un film francese e praticamente io ero lì, prendevo i miei salatini, un aperitivo, un sorrisino qua e là, e non succedeva nulla, ma proprio nulla!!! Un incubo che non dimenticherò mai! Alien: Il capolavoro tensionico (si potrà dire?). Sto parlando del primo, non dei successivi che sò delle stronzate...non mi ricordo nemmeno i titoli (mica li ho visti!), ma son roba tipo “Alien vs Woody Allen” e “Alien: il ritorno del micio cibernetico”. Comunque io sto parlando del vero Alien, quello vecchio. Che c’è da dire? Va visto, questo è certo. Ma come posso recensire un film che ha già recensito Guzzanti quando imita Ghezzi? A proposito andatevelo a vedere su you tube (“Guzzanti-Ghezzi recensisce Alien” per gli stolti). Comunque stupendo, grande tensione, mitica la scena in cui esce dalla pancia e ancor più leggendaria la scena del gatto, che, per chi l’ha visto, se ci pensate, è la causa efficiente di quasi tutte le migliori scene di tensione; insomma è fondamentale. Lode al director’s cat (eh eh...). Gli Stornelli del Manzoni Ararat: Ora vi dico una cosa, sedetevi, poggiate il palmo della mano destra sul palmo della mano sinistra senza farvi cadere il foglio dalle mani e poi fate un bel respiro. Cinema Fatto?. Ecco. Bravi.. NELLA COLONNA SONORA CI SONO I SYSTEM OF A DOWN...cos’è st’agitazione, calma. Ehmbeh è logico dato che il film parla dello sterminio degli Armeni e i System of a Down sono di origine armena. Comunque sia, oltre a ciò è un bel film, interessante soprattutto per chi non sa nulla su uno dei più grandi genocidi della storia (si non metterti a Sono tutti sprofondati nel grigiore e nella pena del loro animo stagnante nella precarietà del nulla, nella loro misera impotenza, nel loro panico di solitudine, nella loro ricerca di qualcosa, di qualcuno, di qualunque cosa, di qualsiasi qualcuno, nella loro vita, nella nostra vita, la vita tocca a tutti, o è un diritto di tutti? O una fortuna di tutti? Questi personaggi sembrano annegati nella più instabile insicurezza, sono sull’orlo, sull’orlo di una sconfinata pozzanghera di non senso, l’unico antidoto rimasto per oscurare i dolorosi conflitti fisici ed emotivi è la rassegnazione, presa di non posizione, stato di giustificazione all’impotenza e allora che restino immobili, impiastricciati di muta insofferenza, diventano il paesaggio fermo di un treno in corsa, il mondo ci rotola intorno ma rimaniamo lì, al nostro posticino comodo di sempre, rassegnati, siamo noi, chi siamo noi? Siamo proprio quelli lì?Quella tristezza malaticcia? Quegli innamorati carichi di aspettativa e delusione? Quelli lì che tremano per un incubo e uccidono gli innocenti? Quelli lì che nemmeno lo psicanalista non sopporta più? Mah...forse si. Questo film riesce a falsificare la vita per renderla ciò che è, impossibile, assurda, una farsa, uno spettacolo lugubre e grottesco di attori grigi e verdognoli, così monotoni, imprevedibili, contradditori, così somiglianti e lontani. È un film che consiglio a chi cerca sempre di interpretare, di dare un senso, di guardare dietro e trovare l’originalità e l’autenticità di un’opera così semplice e complicata allo stesso tempo. È un film che ha la libertà di venir interpretato, di venir sfogliato nelle sua varietà di voci, di venir aperto con qualsiasi chiave di lettura, è un film per tutti, dedicato alla fantasia di tutti. Io, aiutata dal titolo originale, ho identificato il suo messaggio globale con la vita, con me, con te, con noi. Siamo scolpiti sullo schermo con qualcosa che accomuna tutti, l’umanità, il piacere e il dolore di vivere. La nostra grottesca presenza sul mondo, il nostro estenuante sforzo di comunicazione preferita, il silenzio, comodo e noioso, ma poi si scorge uno spiraglio di brillante speranza, di dolce ottimismo, c’è un anziano che suona una tromba, un tamburo, una batteria, lui suona e di fronte a lui, una finestra, dietro questa, la vita, inzuppata di pioggia e calpestata dai tuoni, allora è meglio rimanere a suonare...e lui suona, suona, continua a suonare, sente solo la melodia del suo strumento, solo lui, e qualcuno là intorno, si accorgono della straordinarietà della vita, un’illusione? A un certo punto però un uomo si sveglia, ha fatto un incubo, c’erano dei rumori, tutti vanno a controllare il cielo, ci sono degli aerei... You the Living di Anna Crosta 2ªA Un uomo è appisolato in una stanza, accartocciato sul divano, c’è un tavolo, lo spazio restante, vuoto. Geometria casalinga, così artficiosamente armonica, così terribilmente muta. Non è giovane, né molto anziano, pare un cucciolo d’uomo incastrato nella nudità dei suoi cuscini. Improvvisamente, balzando, si sveglia, ricorda di un uncubo, ha sognato...che cosa ha sognato? L’essenzialità agghiacciante della camera si colma di una confusione contorta e itinerante...”You the living” comincia così, squallidamente, con un uomo in canottiera seduto sul letto spaventato e perplesso. Da questa quotidianità e normalità nascono, in un vorticare lento e fitto di atmosfere ferme, individui, uomini, donne, chi consumato dalle rughe, chi illuminato dal pallore metallico di una giovinezza lucida e piatta, striscianti sull’immobilità di uno sfondo nebbioso e spoglio, lo riempiono, lo svuotano, si incrociano, respirano, parlano, piangono, ridono, suonano, suonano sempre, col pensiero, con la speranza, con la musica, e appoggiati sulle loro note d’emotiva rassegnazione compiono l’impresa più ardua dell’esistenza, vivere. “You the living”( la cui traduzione italiana risulta eccessivamente artefatta e poco significativa), è una minuscola ma abbagliane perla di un cinema che grazie alla sua essenzialità e genuinità permette di cogliere il suo significato fondante, di rendersi bello, originale, spontaneo e unico mettendoci di fronte alla semplicità del quotidiano, mostrandoci la banalità di vivere, il tutto avvolto da un clima assurdo, paradossale, surreale che non fa altro che rivelarci per quello che non sappiamo di essere. Individua quelli che sono i sentieri più oscuri e scoscesi dell’esistenza ma nello stesso tempo i più normali, i più soliti, i più umani, nel senso proprio della parola. Ci sbatte in faccia lo spaccato impressionante e inquietante di una società umana sconfitta, desolata, assente, rassegnata. 11 Gli Stornelli del Manzoni Cinema Videogiochi Presentazione Rubrica “So Trash So Rude” di Filippo “Mr. Fix-It” Siracusa (ex Filippo “Rude Boy” Siracusa) 2ªB Salve amici lettori! Devo ammettere: un mio articolo, sul numero precedente, mancava a causa di piccole divergenze avute da me con alcuni componenti del giornalino; ma la voglia di scrivere ha trionfato come S. Giorgio sul drago. Così, ho deciso di abbassare di un poco il livello di cultura del giornalino, pensando di creare una nuova rubrica cinematografica. Ma non film d’essai, anzi, tutt’altro. Come ben si può intendere dal titolo, tratterò il cinema Trash Italiano anni ’60-’70-‘80, così troppo spesso ignorato ed insultato, che però ha dato alla luce dei proiettori grandi “capolavori”. Farcito di umorismo stupido come la Commediasexy, di Buoni-Cattivi non sempre divisi da una linea netta come gli Spaghetti Western (ma non quelli di Sergio Leone, che più che Trash sono capolavori) e di umorismo grottesco come i Poliziotteschi, questo genere ha segnato e descritto com’era la vera Italia, i desideri nascosti di molti Italiani e l’ipocrisia, e, diciamocela tutta, sono una pietra miliare del cinema Italiano. Si pensi che attori del calibro di Diego Abatantuono (che poi ha fatto film come Mediterraneo e Marrakech Express) sono nati e cresciuti grazie a questi film. E poi sono film semplici, di un’ironia spesso molto popolare non incomprensibile ed accessibili a tutti. Questo non vuol dire che non apprezzi le altre commedie, quelle più cervellotiche, badate bene; però rido e mi diverto grazie anche a film come “L’Onorevole con l’Amante Sotto il Letto” o “Il Ras Del Quartiere”. E poi, come faccio da più di due anni – infatti i primi tempi trattavo anche io temi di grande importanza e di alto livello – cerco di dare una pausa alla mente dell’attento lettore, che rischia di esplodere con tutti questi temi così seri trattati dai miei “colleghi”. Perciò spero che i miei consigli siano apprezzati, e che vi godiate la mia rubrica. Ah, un’ultima puntualizzazione: di certo non tratterò i film nuovi dei Vanzina, ma solo quelli vecchi; infatti, un tempo, grazie alla loro originalità, al loro umorismo nuovo, avevano un senso: oramai i loro film sono semplicemente farciti di insulse volgarità continue e di nessun elemento ilare, a mio parere (MIIICHELLINGUAGGIOFFORBITO!). Videogiochi di Giuseppe Cassone 4ªG Non è molto tempo che scrivo per questo giornalino, ma credo che mi abbiate più o meno conosciuto dal mio primo articolo del primo numero. Be’ sono ancora qui, Cassone Giuseppe pronto per placare la vostra sete di videogiocatori! Ho ricevuto molte richieste di consigli da alcuni di voi, perciò tratterò gli argomenti che mi avete indicato come più interessanti. Inizierei dalla domanda base che un videogiocatore vero si pone in questo periodo ricco di nuovi titoli molto allettanti: è meglio il nuovo Pro Evolution Soccer Stagione 2008 o Fifa 2008? Per dare un’adeguata risposta ho pensato di creare una piccola griglia che vi illustro di seguito: Fifa 2008 - Sembra di giocare contro un macaco. - Grafica con gravi pecche (come si fa a farmi Kakà che indossa la parrucca di Pirlo!) - Aggiornamenti precisissimi (stiamo sempre parlando della Fifa!) - Maglie troppo rigide e scarpini che sembrano padelle in acciaio inox! - Esaltante telecronaca di Fabio Caressa e Giuseppe Bergomi. Voto finale: 8 PES 2008 - Intelligenza artificiale a dir poco sorprendente - Grafica eccellente ma troppo simile a quella della versione precedente - Campionati e licenze aggiornatissimi - Maglie e scarpini riprodotti al dettaglio! - Telecronaca a dir poco soporifera del solito Marco Meccia. Voto finale: 9 Commento: PES e il team Konami risultano anche quest’anno i vincitori! Fifa ha fatto notevoli e ammirevoli passi avanti che non sono però stati sufficienti per avere il titolo di miglior simulatore calcistico 2008. Approfitto della situazione per tenervi lontani da certi titoli. Questa volta ho preparato delle regole d’oro che vi spiegheranno come evitare le truffe: controllate sempre la casa produttrice del gioco: evitando le sconosciute; procuratevi se vi è possibile delle recensioni sul gioco che vi interessa prima di comprarlo; se vi recate in un centro specializzato come EB Games o GameStop, chiedete consiglio ai commessi: lavorano in quei negozi perché di videogiochi sanno il fatto loro; non esitate a recarvi da me in momenti di indecisione. Per questo mese vi consiglio di procurarvi una copia di PES 2008 (50,00 euro) e il cofanetto Half Life The Orange Box (49,90 euro) che racchiude 4 splendidi CD che compongono la mitica saga di Half Life. Come il mese scorso segue all’articolo una serie di titoli che compongono una guida all’acquisto molto utile: Sport: - Fifa 2008 - Pro Evolution Soccer 2008 - NBA Live 2008 - NHL 2008 - F1 2008 Strategia: - The Settlers - Tzar: Excalibur e il Re Artù Sparatutto: - Call of Duty 4 - Medal of Honor: Airborne - F.E.A.R. - Half Life Simulatori: - The Sims 2 - Singles - Desperate Housewives Spero di avervi aiutato anche per questo mese a capire il mondo di videogiochi che vi circonda. Ricordatevi di venire in 4a G se avete bisogno. Ciao amici videogiocatori! Il prossimo mese, su questa rubrica, un sacco di sorprese!! 12 Gli Stornelli del Manzoni Bloc Note Depeche Mode di Michele Di Masi 3ªD La carriera dei Depeche Mode iniziò ufficialmente nel 1980 dopo che fu ingaggiato come cantante Dave Gahan, un diciottenne ancora sconosciuto nel mondo della musica, che poi divenne ed è tuttora una delle più grandi voci del panorama britannico, quanto a calore, timbro romantico e struggente, ma capace di impersonare ancora oggi quell’ideale di musica elettronica, che spesso è confusa con musica dance (molto lontana dal farsi considerare musica). Salta subito all’occhio il nome caratteristico della band, tratto da un’omonima rivista di moda francese dell’epoca, che può essere tradotto come «gazzettino di moda», ma che viene spesso erroneamente tradotto come «moda veloce», «moda pronta» oppure «nuova moda», confondendo la parola francese “depeche” col verbo “se dépêcher” («spicciarsi» o «sbrigarsi»). Definire il genere musicale dei Depeche Mode non è semplice: avendo all’attivo una carriera ultraventennale, 21 album e 70 milioni di cd venduti nel globo, il loro stile ha subito molte variazioni; però posso tracciare dei termini guida: Synth Rock, Synth Pop o New Wave...a voi la scelta. Generalmente sono collocati nell’ambito elettronico tra gruppi storici come Kraftwerk, Massive Attack, Radiohead e Boards Of Canada. I temi trattati dal quartetto britannico variano con la loro età; si passa da un amore giovanile come nel singolo celebre “Just can’t get enough” (1980) a temi più intimi come “Precious” (2005) oppure legati alla famiglia o su problemi esistenziali/religiosi come “Personal Jesus” o “Enjoy the silence” (1991). Caratteristico del loro stile sono i testi ben curati di Martin Gore, abile chitarrista, bassista, tastierista e cantante del gruppo, e del cantante Dave Gahan. Strumentalmente si affidarono all’inizio ai cosiddetti campionatori, (in inglese Sampler) strumenti musicali elettronici in grado di acquisire campioni audio per riprodurli a differenti altezze (mai visto o sentito uno?allora guardatevi su youtube Jay-Z e i Linkin Park in Numb/ Encore); poi i DM si orientarono sull’uso di sintetizzatori, non dimenticando comunque le loro radici musicali. Perché annoverare i Depeche Mode tra le band più famose al mondo?Trascurando i milioni di album venduti e l’entrata nella hall of fame inglese, il quartetto inglese vanta:importanti innovazioni in campo musicale, singoli che hanno fatto la storia (e portato guadagni agli imitatori: confrontate “Personal Jesus” con “Beware the dog” di Jamelia e ascoltate gli innumerevoli orrendi re-make di “Enjoy the silence”!). Non solo, vantano dei video musicali molto innovativi, realizzati dal più grande fotografo degli ultimi 40 anni, Anton Corbijn, autore di alcuni tra i più grandi concerti e video (vedi U2, Coldplay, Rolling Stones). Non esiste solo Lachapelle!! Alcune coordinate: ascoltate i seguenti album “Construction time again, Violator,Ultra o Playing The Angel” per ascoltare il meglio del quartetto,secondo me, oppure i singoli del “best of” tra cui precious, never let me down again,new life, barrel of a gun,personal jesus,strangelove,just can’t get enough,policy of truth, everything counts...scusate sono davvero molti... a voi l’ardua sentenza!Date un ascolto... non vi lasceranno indifferenti... Avenged Sevenfold fanno schifo, l’acuto lettore avrà certamente capito dov’è l’errore sostanziale in questo aforisma ( o aforismo, come sottolinea Giulia La Scala): una persona in teoria non dovrebbe svegliarsi un bel giorno e dire ‘’Massi voglio farmi crescere i capelli lunghi, vestirmi di nero, bere birra come un idrovora e diventare Metallaro!’’ ma dovrebbe seguire i propri gusti musicali o linee di pensiero o compagnia o checcazzonesò, di certo non decidere a caso pensando che sia una cosa tanto immediata. Un altro esempio di Poser sono quei personaggi che purtroppo esisteranno sempre nonostante le guerre e le carestie: i True... ovvero quelli che dicono frasi del tipo ‘’ non ha i capelli lunghi... è un Poser!’’ e vogliono far vedere al mondo che loro sono tanto diversi dagli altri... che sono speciali... A mio parere chi vuole far vedere al mondo di essere un metallaro ( o punk o emo o qualsiasi genere possa venirvi in mente) comportandosi in modo forzato ostentando la propria ignioranza coperta da un’ego mostruoso sono solo da compatire o disprezzare; queste persone si definiscono ‘’True’’... ma di reale non hanno proprio nulla. Quindi paradossalmente più si è True più si è Poser... Ma io mi chiedo... è così necessario incasellare e catalogare le persone per quello che ascoltano o per come si vestono? È necessario vivere in questo ambiente, dove tutti credono di essere meglio degli altri, dove non si sa mai chi ha torto e chi ha ragione perché tutti sono così assordati dalle loro stesse urla stentoree da non sentire altra ragione se non la loro? Sui Poser di Giacomo (Sommo) Sommella 1ªD Dato che la parola ‘’Poser’’ viene stuprata e utilizzata almeno 20 volte al giorno da un metallaro medio ( o anche da quelli che non sanno nemmeno cosa dicono e ripetono come pappagalli questa parola che sembra gli piaccia molto lo stesso) vorrei spiegare il vero significato dell’appellativo tanto amato da metallari ( io stesso lo utilizzo molto spesso in modo scherzoso) e dai vari uccelli canterini della fauna italiana. La parola Poser è traducibile dall’inglese ‘’ colui che assume una posa’’, quindi una persona che si fa trascinare in mode come possono essere quella truzza, quella punk, metal o emo senza di per sé ‘’crederci’’ realmente; riporto una frase letta su Msn mesi fa scritta da un mio amico per farvi capire meglio: ‘’quando stavo decidendo se essere punk o metal ascoltavo gli Avenged Sevenfold’’... tralasciando che gli 13 Gli Stornelli del Manzoni Bloc Note Commento sul gruppo - Death di Giacomo (Sommo) Sommella 1ªD Non credo ci sia una frase adatta per cominciare questo articolo. I Death sono forse il gruppo più sobrio, illuminato e geniale del nostro tempo, o se vi sembra troppo, solo del metal. Il gruppo si formò nell’87 grazie a Chuck Schuldiner, chitarrista, voce, e scrittore del gruppo nonché genio assoluto; questo grande artista non solo compose delle canzoni dalla coerenza e bellezza sconcertante, ma scrisse inoltre dei testi per le proprie canzoni simili a poesie (molti peraltro ispirati alla filosofia di Nietzsche). I Death possiedono le migliori qualità che un qualsiasi gruppo desidererebbe vantare: anima, talento, tecnica, genio e passione ( non solo Schuldiner ma anche tutti gli altri membri del gruppo che purtroppo però sono oscurati dal genio accecante di Chuck). La prima volta che ascoltai i Death, rimasi assolutamente esterrefatto quasi sbigottito da una così potente passione penosa ma allo stesso tempo piacevole trasmessa dai Cd “The Sound Of Perseverance”, ”Symbolic”, “Individual Thought Pattern” o “Human”, che sono l’emblema stesso di ciò che amo e ammiro del metal. Chuck Schuldiner, morto all’età di trentaquattro anni per un tumore al cervello, lasciò questo mondo nel 2001 creando una voragine nel mondo del Death metal che nessuno è ancora riuscito a colmare. Non riesco nemmeno a descrivere il disprezzo per quelle persone che danno soldi a degli idioti patentati come Vasco Rossi o altri fantocci come lui che garantiscono a queste persone un incasso mensile medio di quello che prenderebbe un impiegato in 50 anni di lavoro, mentre dei geni assoluti diventati grandi solo grazie alla loro grandissima capacità creativa debbano morire per un’operazione che nn possono pagarsi. Invito tutti voi ad ascoltare questo gruppo che ha cambiato il mio modo di vedere ascoltare la musica, e spero la cambi anche a voi (anche se magari non è il vostro genere). Questa è arte, questo è metal. Radiohead - In Rainbows di Tommaso Sciotto 2ªE (con la partecipazione di Amar Hadzihasanovic 3ªB nel tradurre i testi originali, ma le grossolanità saranno di Sciotto) Quattro anni di attesa, appagati. Per me che ascolto i Radiohead dal 2005, due. Ma proprio appagati. In / Rainbows, o In Rain/Bows, o In Rainbow/s o In Rainbows/ o In Rain_ Bows (come su copertina) è uscito il 10 ottobre 2007, in due modalità. 1) Cofanetto contenente cd, vinile, cd bonus (otto canzoni extra, artwork, foto), libretto dell’artwork e libretto dei testi. Spedito dall’Inghilterra intorno al 3 dicembre. Prezzo £40. 2) In forma di download dal sito ufficiale. A offerta libera. “Pay what you want”, “It’s up to you”, “No, it’s really up to you”. Questo compariva sulla schermata del sito nella pagina dalla quale il download veniva effettuato. Uno si chiede quale major possa aver permesso una cosa del genere? E appunto i due fattori che rendono l’uscita del settimo album in studio dei Radiohead “semplicemente l’evento più importante nella storia recente del buisness discografico” (Time 1-102007), sono appunto il prezzo e la casa discografica. Nessuno il primo, nessuna la seconda. Con Hail to the thief (or, The Gloaming), il contratto per sei album, che la EMI/ Capitol aveva stipulato con i Radiohead nel lontano 1992, era scaduto, e molti presumevano un’uscita via download del settimo album, magari su iTunes Music Store o simili. Con l’uscita del disco il 28 dicembre (dopo natale, altra provocazione anticommerciale), il disco non è più stato disponibile a offerta libera sul sito. Il download digitale è su iTunes Music Store, insieme ai podcast (disponibili comunque gratis anche senza acquisto) delle pre-registrazioni dei nuovi brani (uscito per capodanno come filmato unico su Youtube sotto il nome di “Scotch Mist”). Il disco nei negozi, invece, è un kit 14 per farsi da soli l’album. Scatola del materiale, busta del CD, libretto e adesivi per copertina, retro e bordi. L’uscita di In Rainbows ad offerta libera è stata anche discussa dall’Università di Pennysilvania, e da diversi esperti di economia, che l’hanno trovata un’idea geniale sotto ogni aspetto. Ma cosa ha portato alla rottura con la EMI Records, casa dei sei album precedenti dei Radiohead? I Radiohead, per il nuovo album, avevano chiesto di poter avere un maggiore controllo sul proprio lavoro, la EMI non si è mostrata interessata, e il gruppo, potendoselo permettere, non ha firmato. Come fine della relazione, la EMI ha pubblicato un cofanetto dei sei album da Pablo Honey a Hail to the Thief La band più interessante e innovativa del rock ha superato un nuovo orizzonte. E ora, l’album. Dieci canzoni. Traduco e commento le prime cinque. 15 Step, Bodysnatchers, Nude, Weird Fishes/Arpeggi, All I Need. Gli Stornelli del Manzoni Bloc Note 15 step Com’è che finisco dove sono partito? Com’è che finisco dove ho sbagliato? Non toglierò più gli occhi dalla palla. Prima mi srotoli, poi tagli il filo. Eri a posto, che è successo? Il gatto ti ha preso la lingua? Ti si è disfatto il laccio? Uno per uno, arriva a noi tutti. È soffice come il tuo cuscino. Eri a posto, che è successo? Eccetera eccetera. Manie per qualunque cosa. Quindici passi, poi una goccia pura. Una relazione sembra andare. Poi, all’improvviso, lei non parla più, e lui “Non andava tutto bene? Starò attento al gioco, adesso! Prima spieghi il problema, poi mi pianti”. Fa per parlargli, troppe manie, troppe paranoie: quindici passi di silenzio, poi una goccia di pura verità. Bodysnatchers Nude Non capisco cos’è che ho sbagliato. Tutto un buco. Controlla il polso*. Batti le palpebre, una volta per “sì”, due per “no”. Non ho idea di quello che sto dicendo. Sono intrappolato in questo corpo e non riesco ad uscirne. Hai ucciso il suono, strappato la spina dorsale. Una pallida imitazione, coi bordi segati via. Non ho idea di quello che stai dicendo. Muovi la bocca solo con una mano su per il culo. È uscita, per te, la luce? Perché per me, la luce, è uscita. È il ventunesimo secolo. Può seguirti come un cane. Mi ha messo in ginocchio. Hanno preso una pelle e mi ci han ficcato dentro. Le linee avvolte intorno alla mia faccia, visibili a chiunque altro. Sono una bugia. L’ho visto arrivare! L’ho visto arrivare! L’ho visto arrivare! Non farti grandi idee, non si realizzeranno. Ti dipingi di bianco e riempi di rumore, Ma qualcosa mancherà sempre. Ora che l’hai trovato, non c’è più. Ora che lo senti, non ci riesci davvero. Sei uscito dai binari. Quindi non farti grandi idee, non si realizzeranno. Andrai all’inferno, per quel che la tua sporca mente sta pensando. Parla di uno che si ritrova in dei panni che non gli appartengono, irreversibilmente in trappola. Comunicazione, verità, identità, tutto in mille pezzi, rovinio nella voragine. Angoscia pura, la canzone si intrufola nel cervello, per non uscirne più. L’ho anche imparata sulla chitarra. *”Check for pulse” significa lett. “controlla se c’è pulsazione”. “Controlla il polso” rende meglio l’idea di suono, ed è più usato. Sopravvalutare logora. Chi meglio di un uomo, si illude? Perde di mira il vero obiettivo, corre troppo, deraglia. Nutre fantasie, guarda il mondo e non vi vede più nulla. E chi, meglio di una donna, illude? Puro spazio all’immaginazione. Magra consolazione, cui fa eco il pentimento, quando l’inferno della solitudine spalanca le fauci. Weird Fishes/Arpeggi Nel punto più profondo dell’oceano, il fondo del mare, i tuoi occhi mi fan voltare. Perché dovrei stare qui? Sarei pazzo a non seguirti dove mi porti. I tuoi occhi mi volgono a un fantasma che seguo fino al bordo della terra, e cado giù. Tutti se ne vanno, se ne hanno l’occasione, E questa è la mia occasione. Sono mangiato da vermi e strani pesci, pizzicato da vermi e strani pesci. Toccherò il fondo, e evaderò. 15 Sembra davvero di stare sott’acqua. Un amore è morto, il narratore è perduto, vuole seguire la sua amata dove il suo sguardo lo porta, nel punto più profondo dell’oceano, al bordo della terra (nell’antica concezione circondato d’acqua). Cade giù, tocca il fondo, trova scampo, mangiucchiato da vermi e strani pesci (altri scampi? Non affogatemi, ho toccato il fondo). All I Need Sono il prossimo atto, che attende nelle ali. Sono un animale chiuso nella tua auto rovente. Sono tutti i giorni che scegli di ignorare. Sei tutto ciò di cui ho bisogno. Sono in mezzo alla tua foto, sdraiato tra i giunchi. Sono una falena che vuol partecipare della tua luce. Sono un insetto che cerca di uscire dalla notte. Mi attacco solo a te perché non esiste un’altra. Sei tutto ciò di cui ho bisogno. Sono in mezzo alla tua foto, sdraiato tra i giunchi. È tutto giusto, tutto sbagliato, tutto giusto, tutto sbagliato. Una canzone d’amore. A una che non ne tiene conto. Thom è un un insetto attaccato alla sua luce, in preda al dubbi e rimorsi (tutto giusto e meritato/ sbagliato). Così rassegnato e avvilito il testo, così catartica la musica. Il vibrafono sul rhodes è la voce della perfezione. Gli Stornelli del Manzoni Rac_conti Morte sulla strada - Parte seconda di Luca Ziviani 3ªD “Mi spieghi cosa...?!”, chiedeva Valentina, disperata, e preoccupata perché la velocità del veicolo era, di notte, su una statale a due corsie, già a cento all’ ora. Alessio, inoltre, con gli occhi spalancati e vitrei, le mani tremanti sul volante, aveva tutta l’ aria di essere fuori di testa. “Dimmi cosa è successo e, per l’ amor di Dio...rallenta!”, esclamò la ragazza piangendo, temendo per la propria vita e pregando, altra cosa che non faceva da quando aveva sette anni. Ma era troppo tardi. Improvvisamente, nel chiaro dei fari, nel mezzo della strada, apparve un’ altra figura, che stava agitando le mani. Ma Alessio, nel pieno del delirio di chi è disposto a tutto per portare a casa la pelle, non si fermò per evitarla, e con un fragoroso suono di metallo e tessuti organici, un corpo si spiattellò contro il vetro anteriore della macchina e lì vi rimase, la faccia morta rivolta verso l’ interno del mezzo. Metà dell’ involucro che una volta ospitava l’ anima di un ragazzo era ora premuto conto il vetro, a osservare in modo ironico e blasfemo il pilota che lo aveva investito. E che ora non si era ancora fermato. Valentia aveva urlato (che eufemismo: più propriamente aveva lacerato l’ aria intorno a lei): non si può dire se nel comprendere che il suo ragazzo aveva totalmente perso la testa, o per il mezzo cadavere che aveva inondato di sangue parte del vetro anteriore e del cofano, questo anche con qualche parte di fegato e intestino, o per il sangue che toglieva gran parte della visuale o perché Alessio, imperterrito e spiritato, o indemoniato, continuava a viaggiare. E Valentina piangeva, e si disperava, e Dio sa senza volerlo, era costretta a osservare costantemente l’ abominio che le si presentava davanti. La macchina viaggiava nella notte, sempre in mezzo al bosco, ormai disperatamente conscio dell’ orrore compiutosi dentro di sé. Era come una prigione. E dentro di essa un’ altra prigione, targata NI 763 BU. “Nonvogliomorirenonvogliomorirenonvogliomorire...”, disperata litania nella mente di una ragazza sull’ orlo di impazzire, proprio come la persona accanto a lei. Ma non c’era tempo di compatire lui. Doveva essere salvata lei. Ma come? Lui era un muro di agghiacciante e terribile silenzio, vicario tra vita e morte, bastava un nonnulla, una sbandata, e... no. Era passata la parte del “Santo dio!” ed era cominciata la parte del “E ora?”. Gia, e ora?... tanto per cominciare, allacciamoci le cinture... lo fece, giusto in tempo per pentirsene, per pentirsi, poco dopo, di essere viva. Davanti a lei, un misto di rosso, cadavere squartato, nero, bianco. Non sapeva perché, non lo seppe mai, ma ad un tratto Alessio, forse troppo assorto nei suoi pensieri di morte, prese male una curva... e la macchina sbandò. Prima girò troppo a destra, Alessio provò a sterzare, poi troppo a sinistra, Alessio provò a sterzare, ormai assatanato e irriconoscibile, il cadavere scomparve dal cofano per la forza centrifuga della curva, il rumore stridente dei freni, l’ asfalto pareva urlare, un albero sempre più vicino, sempre più vicino davanti... Valentina urlò e chiuse gli occhi. Fracasso, caos, uno strattone, altro fracasso. Quando riaprì gli occhi, non seppe dire se sentirsi sollevata o sciagurata. Accanto a lei Alessio giaceva inerte contro l’ airbag, che evidentemente era entrato in funzione. La sua faccia era girata verso di lei, orribilmente bianca, con gli occhi che la fissavano, le braccia penzoloni che oscillavano come un freddo pendolo. Molto probabilmente tra i rumori dovette aver sentito almeno un “crack”, perché la posizione del collo di Alessio e era del tutto innaturale e grottesca. Non aveva indossato le cinture, e tutti sanno che l’ airbag senza cinture... il suo pensiero passò ad altro: l’ albero schiacciato contro la macchina, la carrozzeria deformata, la macchina ferma. Si, la macchina ferma. Era quasi del tutto al buio, perché i fanali anteriori non funzionavano; ma a questo ci avrebbe pensato dopo. Ora era salva. Bastava togliersi la cintura, aprire la porta e uscire... ma la cintura non si slacciava. Riprovò con calma, poi un po’ più nervosa, poi schizzata, poi stanca. Disperata, si abbandonò allo schienale e pianse. Alessio la fissava morto. Nel frattempo, poco più oltre, una figura si avvicinava alla macchina. Avendo visto cos’ era successo, aveva deciso d’ affettarsi. Correva verso l’ abitacolo e nel silenzio nella notte i suoi passi echeggiavano... suoni di 16 speranza per Valentina. Attraverso il vetro la ragazza vedeva la persona avvicinarsi, nero nel nero, e subito si tranquillizzò, avrebbe ricevuto aiuto. Essendo stremata, non pensò neppure di aprire la portiera... si abbandonò di nuovo allo schienale, cercando invano di non pensare a nulla. I passi erano più vicini. Valentina, gli occhi socchiusi, sorrideva appena. I passi erano molto più vicini e nitidi. Il respiro della ragazza si faceva più lento, il petto si alzava e scendeva ad un ritmo sempre meno veloce. I passi erano a pochi metri. Respirando, la ragazza sentiva già l’ aria di libertà e i muscoli, fino a quel momento tesi come i cavi del ponte di Brooklyn, ad uno ad uno si rilasciavano. I passi erano prossimi alla porta, e si fermarono a pochi centimetri da essa. La porta si aprì, Valentina guardò distrattamente verso destra, e , per l’ ultima volta nella sua vita, finchè le fu possibile, urlò. Una macchina, una Opel Zafira, percorreva la statale percorsa la notte precedente da una Punto targata NI 763 BU, ma nella direzione opposta alla Fiat. A bordo, una donna guidava ascoltando il giornale orario. La strada aveva da poco cominciato ad inoltrarsi in un bosco di castagni, di giorno molto più mansueti, ma memori dell’ orrore; ad un tratto vide, schiacciata contro un albero, una Fiat Punto. Sussultò, parcheggiò appena fu possibile, scese dalla macchina e si diresse verso il luogo dell’ incidente. L’ abitacolo era situato per metà sul bordo sinistro della strada, per come l’ aveva visto la signora percorrendo la strada, per metà, quella anteriore, sulla striscia di terreno che separa il cemento dal bosco. Mentre si avvicinava la donna urlava :“Ehi, c’ è qualcuno?”, ma senza ricevere risposta. Si avvicinò ancora un po’ e urlò di nuovo, ma senza ricevere risposta nemmeno stavolta. Quando fu ancora un po’ più vicina, l’ attanagliò un fetore di... boh, non seppe spiegarselo, ma era nauseabondo. Fermandosi, esitando, e riprendendo a camminare si avvicinò alla macchina dal lato del guidatore. Quando fu vicina ebbe tremò... perché quel sangue sul parabrezza? Poi un sussulto, il pilota è morto!...Poi... quando posò gli occhi sul sedile del passeggero, senza volerlo, vomitò. Gli Stornelli del Manzoni /Racconti La vie di Rossana Martinelli 5ªC C’era un pianoforte a coda in mezzo a un parco ricoperto di neve, e quel nero lucido contrastava col bianco immacolato della natura. Quello era un parco ai confini del mondo, intrappolato in un quadro espressionista, disertato alla guerra e alla pace, disertato ai passaggi dell’uomo, visitato soltanto da neve intonsa che arricchiva ogni volta l’altezza dei pini marittimi, delle panchine, dell’erba, talvolta ricoperta da coltre uniforme, talvolta separata in singoli fili di fiocchi di neve in cristalli. Quello era un parco disertato agli uomini. Un giorno passò un pianista. Fu il giorno in cui troppi si chiesero perché mai in un parco contenente solo un pianoforte avrebbe dovuto passare proprio un pianista. Quello era un parco abbandonato da tutto, tranne da quella sottile coerenza che rende ogni giorno un po’ meno nulla del ieri. Egli sedette sullo sgabello di velluto nero, poggiò le mani sui tasti, pelle chiara, vestito scuro, capelli di pece, camicia candida. Erano mani gelate dal freddo, che in un istante composero sui tasti del piano una canzone che a mai nessuno fu dato di trascrivere. Fu in quel istante che la neve iniziò a sciogliersi lentamente, rivelando d’essere raggruppata in forme fini a se stesse, senza nessun albero o panchina o filo d’erba vero sotto, solo forme nevicate nella loro integrità. Il pianista smise a metà d’uno spartito la musica, la smise per sempre, e svanì, nel suo tempo, lasciando ricostruirsi quel parco evanescente che nonostante la sua mancanza di senso profondo meritava d’esistere, non fosse altro che per donargli la parvenza d’una speranza. C’era un pianoforte a coda in mezzo a un parco ricoperto di neve, e quel nero lucido contrastava col bianco immacolato del mondo. riempiva la bocca di lunghi sproloqui altisonanti, proposti però con grande solennità, come fossero verità assolute. Con lei erano due ometti magri e storti che amavano passare il tempo tra il gioco d’azzardo e il fumo. Il primo, il più trasandato dei due, si chiamava Menefreghismo e con aria distratta e superba si portava sempre appresso una compagna rozza e pesantemente truccata di nome Indifferenza. Il secondo invece, Opportunismo, aveva un’aria più scaltra e posata, al tavolo vinceva quasi sempre e rideva con un ghigno artefatto, simile a quello dei cattivi nei cartoni animati. A tutti loro si accompagnavano poi una madre e una figliola dal portamento stanco e annoiato, spesso vestite di grigio: si trattava della matrona Abitudine e della figliola Pigrizia. Tutti costoro conducevano una vita noiosa e ripetitiva ma a furia di elemosinare e importunare erano riusciti a portare la loro mala influenza in molti paesi. Idealismo stando con loro si faceva sempre più confuso e finì con il raccontare all’amata febbricitante delle sue nuove conoscenze per chiederle consiglio su come comportarsi con loro. Intraprendenza si appassionò ai discorsi dell’adorato compagno ma, anche per colpa della malattia, non seppe giudicare severamente quei farabutti e anzi rimase ammaliata dai racconti e pregò Idealismo di presentarle i suoi amici. Fu così che i due amanti e il manipolo degli accattoni divennero un tutt’uno, tra la febbre e la cattiva influenza nessuno fu più in grado di metter giudizio nelle nuove imprese e figli e nipotini della coppia per generazioni crebbero tra le braccia di Ignoranza, coccolati da Abitudine e Pigrizia, educati da Menefreghismo e compagni. L’atmosfera festosa dell’infanzia di Idealismo si trasformò in un ambiente cupo di noia e grigiore, le piazze si svuotarono prima di persone e poi di contenuti, ma in pochi sembrarono accorgersi del peggioramento. Un bel giorno però Idealismo trovò per strada un libro e ci si appassionò tanto che volle leggerlo ad alta voce ai compari e in particolare all’amata che da tempo non riusciva più da sola ad apprezzare queste cose. Nei lunghi monologhi di Idealismo, mentre Intraprendenza sembrava risorgere da un lungo letargo, Ignoranza sbuffava infastidita, Menefreghismo e Indifferenza chiacchieravano in fondo alla sala per conto loro, Opportunismo protestava su molte cose e pretendeva di travisare le parole del lettore, mentre Abitudine e Pigrizia sonnecchiavano. Fu faticoso, ma Idealismo riuscì a finire il libro anche grazie all’aiuto delle vecchie cugine Curiosità e Determinazione e allora ne volle un altro e poi un altro e un altro ancora e sulla stessa onda riscoprì la gioia della politica, della musica, del teatro, della filosofia e di un’infinità di mondi che gli aprirono coscienziosamente le porte di una nuova era, mentre l’amata finalmente guariva. Il mito della rinascita di Giorgia Stefani 2ªD C’era una volta Idealismo, un giovane di umili origini alto e allampanato con lo sguardo spesso rivolto al cielo e alle stelle. Pur rimanendo sempre sognatore, questi era capace di grande vitalità ed entusiasmo e quotidianamente si tuffava nella ricerca di nuove ambiziose imprese. Fu così che un giorno si imbatté in Intraprendenza, una giovane colta e curiosa, sempre infervorata dalla necessità di mettere qualche cosa a posto. Bastò poco perché tra i due nascesse un appassionato legame: Intraprendenza era rimasta affascinata dai profondi respiri e dai mirabolanti discorsi del compagno e Idealismo dal canto suo non aveva saputo resistere al vortice di animosità in cui la bella lo trascinava. I due diventarono una cosa sola e il loro amore crebbe nelle piazze e nelle scuole, dove molti li ammirarono discutere e scherzare, suonare e correre insieme. Con il tempo però Intraprendenza si fece sempre più debole e stanca, arrivò ad ammalarsi gravemente e rimase bloccata a letto. Idealismo allora, pur restandole sempre accanto, dovette cercarsi qualche altra nuova compagnia, almeno per non trascorrere da solo le lunghe ore in cui l’amata doveva riposare. Accade perciò che gira e rigira Idealismo venne in contatto con un gruppo di loschi figuri che vivevano di stenti elemosinando ospitalità a destra e a manca. Tra loro v’era una signora grande e grossa, Ignoranza, che si 17 Racc ont_i Gli Stornelli del Manzoni 40 Anni di Victor Campagna 3ªD (Non 2ªA! Tutta colpa di Sciotto!) I 40 anni: sono passati 40 anni. E sono ancora qui: la guerra è finita ed io sono ancora qui ad aspettare Dio. Ne hanno fucilati 20, 30 imprigionati, 40 deportati, 800 feriti. Io sono sopravvissuto con altri 4: Thomas, Stesicoro, Don Licurgo ed un bimbo. Il bimbo si chiama Ilio... è tuo nipote, ricordi? Stearns è morto: una mina l’ha spento. Ho pianto per ottantamila anni la sua morte. E sono ancora qua: da 40 anni. Ho paura anche dei topi. Un giorno vidi Ilio affacciarsi alla finestra della mia capanna grigia, in cui eravamo tutti rifugiati. Io lo presi per il braccio con forza e lo allontanai dalla finestra. Gli dissi che se non voleva fare la fine di Stearns doveva stare attento, che non poteva prendersela con comodo, che eravamo in guerra. Lui mi guardò con gli occhi lucidi e disse una frase che ancora adesso ricordo: “ma la luce è bella!” Io lasciai il suo braccio ed andai verso la finestra. In effetti le luci erano belle. In quel momento non riuscivo a pensare alla guerra, alla morte, alle urla, ai pianti: potevo pensare solo a quegli zampilli di elettroni, così leggeri, piccoli e lontani. Non ne avevo paura: i rumori sembravano cicale cresciute troppo che cantavano. Il giorno dopo mi alzai. Vidi Ilio giocare con il suo giocattolo preferito: un soldatino piccolo, ammaccato e tutto nero. Giocava con la guerra, ma rimaneva tenero. Stesicoro era sull’amaca, steso, con una sigaretta in bocca. Canticchiava qualcosa che non ricordo. Thomas guardava la finestra. Io non facevo nulla: ero solo seduto sul letto. “Cos’è successo Thomas?”, chiesi stropicciandomi gli occhi. “Nulla... Nulla... Solo spari su spari.” “Dov’è il Don?” “è fuori...” “Cosa?! È fuori?! Ma è scemo? E se lo prendono? Eh? Se lo prendono che facciamo? Non ha nessuno che lo accompagni?” “Sì: c’è Marcello.” Feci cenno di sì con la testa. Ero sollevato che fosse con Marcello: era il migliore dei miei uomini. Ed io lo conoscevo bene: da trenta anni. Ci siamo conosciuti in terza media, alla Cardarelli di Milano. Una scuola di merda, ma con dei buoni professori. Ma non importa. Siamo entrati nell’esercito insieme, come due pazzi. Sì: abbiamo fatto una grande cazzata. Il problema è che ce ne siamo resi conto troppo tardi. D’un tratto si spalancò la porta: era il don. Era tutto sudato e perso. In volto aveva dipinto la paura. “Ci hanno sorpresi! Ci hanno sorpresi! Stavamo cercando un po’ di legna e ci hanno sorpresi!”, urlò Don Licurgo. “Calmati, calmati!”, feci io avvicinandomi e cingendolo col braccio. “Adesso Marcello dov’è?” “L’hanno preso”, rispose guardando per terra. “Thomas! Stesicoro! Prendete i fucili e venite con me!” “Sì”, dissero in coro. “Vengo anche io!”, disse Ilio. “NO” urlai, “ci saresti solo d’impaccio. Non fare l’idiota. Starai qui col Don” Ilio guardò a terra, evidentemente offeso. Io lo ignorai. Uscimmo senza sapere bene dove andare, ma ci andammo. Ci dirigemmo verso la foresta. Il campo avversario non era lontano: doveva essere a 1 km dalla capanna. Il tempo era umido e c’era nebbia. D’un tratto sentimmo delle voci tra cui riconobbi quella di Marcello. Lo vidi, circondato dagli avversari. Saranno stati una ventina. Gli chiedevano dove fosse il nostro accampamento. Lui non rispondeva: diceva solo che si dichiarava prigioniero politico. Dopo pochi minuti si misero in linea, marziali e feroci. Gli chiesero un’ultima vota di dirgli dove eravamo. Lui rispose: “Mettetemi tutte le vostre fottute pistole in gola e uccidetemi! Io non parlerò!” Allora prese a ridere. Uno di loro si avvicinò e gli sparò. Noi non potevamo fare nulla: saremmo morti tutti. Allora osservammo e basta. Tornammo alla capanna senza farci vedere. Io pensavo che Marcello sia stato un eroe e che si meritasse una medaglia, ma non l’avrebbe mai ricevuta perché era un soldato ed i soldati hanno il compito di morire. Così, finiti nella capanna rimanemmo noi 5; gli altri erano morti, tutti. E siamo ancora qui: la guerra è finita e noi siamo qui da 40 anni. Alla fine è inutile recriminare: abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo difeso la patria, abbiamo lottato. Eppure che cosa abbiamo ottenuto da tutto ciò? Abbiamo 18 idealizzato la lotta con musiche africane. Ma a che è servito ora che siamo qui, inerti, soli e affamati? Non sappiamo nemmeno dove siamo: sappiamo solo che siamo in una foresta, che il nemico non c’è più e che non crediamo più nell’arrivo di dio. È lontano. Non lo sentiamo. Adesso sappiamo bene cosa fare: o suicidarci o correre. Thomas opta per la seconda, io per la prima. Don Licurgo si proclama per la vita, perché ancora spera. Ogni volta che parla, che fa sermoni di speranza, lo guardiamo e abbassiamo il capo, cercando qualcos’altro da fare. Sai: a volte lo invidio. Almeno lui ha una qualche speranza: in fondo è più vivo di noi. Tende ancora verso un qualche ideale spento. Noi non vediamo più la fiaccola della libertà, della patria, della ricchezza: vediamo solo quelle urla, quei pianti, quei cadaveri puzzolenti e schifosi, morsi dal vento e dalle mosche. L’unica cosa che ci distingue dai morti è che ci muoviamo. II Oggi non c’è altro: il monte è vuoto, come al solito, e noi siamo sul punto di spirare. Solo Ilio dimostra vivacità: è ancora un bambino. Quanto lo invidio. Gioca sempre con quel suo soldatino. Eppure la guerra è finita. Thomas e Stesicoro sono acciaccati, ma forti ancora. È come se si fosse fermato il tempo: mi ricordo come fosse ieri l’Esecuzione. Non abbiamo il coraggio di parlare della morte di Marcello se non chiamandola così: l’Esecuzione. È stata crudele perché era un nostro amico. Sì, ne sono morti tanti, molti più di lui. Ma lui era Lui: era mio amico, era mio parente. Fa male saperlo morto. Oggi abbiamo deciso di andare fuori per l’ennesima esplorazione. Ogni volta ci dirigiamo verso la foresta e ogni volta ci troviamo all’inizio della foresta di fronte alla capanna, senza saperne il perché. Così ogni volta entriamo nella capanna, ci sediamo attorno al tavolo e tacciamo, mentre Don Licurgo prega e Ilio gioca. Sapevamo che la nostra ora era vicina: non riuscivamo a capire quando, ma non ci era dato saperlo. Don Licurgo diceva che non importava, che in fondo ci saremmo uniti a dio quel giorno, che lui ci aspettava lì, che non Gli Stornelli del Manzoni c’era altra situazione. Ma ciò non ci consolava: era un circolo vizioso. Ormai io avevo 70 anni, Thomas 95, Stesicoro 100, Ilio 40, Don Licurgo 119. Eppure non siamo cambiati per nulla: in 40 anni abbiamo mantenuto lo stesso aspetto. Sembra di essere in un limbo. Non sappiamo nemmeno se il tempo sia quello che pensiamo che sia, perché di solito corrisponde al nostro invecchiare; ma noi non invecchiamo, quindi non sappiamo bene se sia corretto dire che sono passati 40 anni. Sì, pensiamo di essere sul punto di morire, ma non moriamo mai. Ogni giorno sentiamo l’anima che sta per uscire come un vomito, ma non esce mai del tutto: si sospende all’altezza del Ra/cco nti palato e scende di nuovo giù. Solo una piccola parte esce. Ci nutriamo solo di legna e cenere. Ormai ci siamo abituati, nonostante all’inizio fosse difficile. III Succedesse qualcosa, anche negativa, sarei contento. Davvero. Invece mi annoio. Anzi: ci annoiamo. Siamo tutti i giorni al punto di partenza, letteralmente. Entriamo nella foresta, avanziamo e ci troviamo ancora davanti alla capanna. Che schifo. Non mi piace: è una brutta situazione. È, come dire, fastidiosa. Alla fine abbiamo deciso di fare qualcosa per risolvere questa situazione. Ci siamo seduti attorno al tavolo. Ci siamo guardati. Abbiamo preso la pistola e ci siamo sparati. Quando mi accasciai al suolo stetti un po’ a terra, inconscio. Dopo un po’ rinvenni e mi rialzai. Con me vidi rialzarsi Don Licurgo, Ilio, Stesicoro e Thomas. Non potevamo nemmeno morire. Ci mettemmo a piangere. Tutti, in coro. Sì: eravamo un coro stonato. Il direttore era Marcello, me lo ricordo bene. Ma Marcello era morto. Quindi non avevamo più alcun controllo: eravamo senza vita. Le pistole non servivano. “Le pistole non servono”, dissi piantando gli occhi a terra. “Già”, rispose Stesicoro. Don Licurgo prese in mano un mestolo e lo picchio contro il tavolo. Ecco cosa accade a coloro che se ne stanno sul tetto indossando solo un paio di mutandoni fucsia a pois rossi di Francesca De Prez 2ªC È u na serata d i g iug no e, i n u n paese lonta no lonta no, u n l ieve vent icel lo sf iora appena i tet t i del le g ra ziose v i l let te d i u n qua r t iere residen zia le. Tut to appa r i rebbe ug ua le al sol ito, per così d i re nor ma le, se u n sig nore su l la qua ra nt i na da l l’aspet to st ravaga nte non se ne stesse i n pied i propr io su u no d i qu i tet t i. L’aspet to assa i pa r t icola re d i questo bel l’i nd iv iduo è dato pr i nc ipa l mente da l le m i rabola nt i muta nde f ucsia a pois rossi che i ndossa con g ra n f ierezza, pr ivo d i og n i a lt ro i ndu mento. È u na cosa assoluta mente sca nda losa : i mpossibi le che passi i nosser vata i n u n qua r t iere così per bene ; i n fat t i, casua l mente, u na ser ie d i persone ha i n quest i mag ic i ista nt i la possibi l ità d i a m m i ra re l’uomo completa mente i m mobi le (sa rà i l f reddo?) , ma a l contempo nat u ra le nel suo appogg ia rsi con u n gom ito a l ca m i no acca nto a lu i. <<Gua rda l ì !>> escla ma esa ltato u n bi mbet to d i set te a n n i, quasi ot to, sporgendosi da l la f i nest ra del la sua ca mera. La g iova ne baby-sit ter che bada a lu i g ua rda a n noiata verso i l pu nto i nd icato da l d ito teso del raga zzi no ma, non appena vede quel t u rbi n io d i muta ndon i f ucsia su l pa io d i ga mbe schelet r iche del sig nore su l tet to, t rasc i na dent ro i l bi mbo e ch iude velocemente le tappa rel le : i gen itor i del piccolo l’av rebbero sic u ra mente l icen ziata se avesse per messo a l loro pa rgolo d’oro d i assistere a quel l’i ndeg no spet tacolo ! I l v iso quasi sch iacc iato cont ro i l vet ro, u n quat tord icen ne sba r ra g l i occh i a l la v ista d i quel t ipo così st ra no appogg iato i n modo ta l mente d isi nvolto a u n ca m i net to. I l raga zzo resta i m mobi le a g ua rda re per c i rca nova ntac i nque second i, poi si rende conto che sono g ià le nove e d iec i e sta i n i zia ndo i l suo prog ra m ma prefer ito su mt v, qu i nd i prov vede a i ncol la rsi d i nuovo a l piccolo scher mo. Indescrivibile la smorfia di disgusto sul viso della vecchia e irragionevole “gattaia” del quartiere quando scorge un uomo seminudo sul tetto della casa di fronte. Ma la cosa che le fa 19 più ma le a l c uore è vedere i l suo adorato Gr ig i no m iagola re e fa re le f usa, st r usc ia ndosi sug l i st i nch i d i quel lo sconosc iuto. <<Gr ig i no, se non tor n i subito qu i non t i vor rò più bene ! !>> u rla l’a n zia na sig nora a l l’a n i ma le. Q uesto non le da ascolto e, d i conseg uen za, la don na dec ide d i non volerg l i più bene. Un t u r ista g iapponese sperduto, a l la r icerca del l’a lbergo, quel la f resca serata d i g iug no passa propr io da quel qua r t iere l ì. I mpossibi le per i l suo sg ua rdo a l lenato non nota re l’uomo i n boxer f ucsia a poi rossi e, non facendosi sf ugg i re l’occasione, lo fotog ra fa con g ra nde ent usiasmo. Sfor t u nata mente g l i occh i del t ipo su l tet to sono ch ia r i e qu i nd i molto fotosensibi l i : i l fash del la macch i na fotog ra f ica lo acceca e, non vedendo più nu l la, lo s vent u rato cade nel ca m i net to d i f ia nco a sé. Sa rà mor to?, v ien da ch iedersi. A l la f i ne non i mpor ta, perché t ut to si è s volto i n u n paese lonta no lonta no da qu i. E soprat t ut to i l f ucsia non fa penda nt con i l rosso. Gli Stornelli del Manzoni Rac co/nti L’acceso cammino Le simpaticissime ganasce del signor Piccione di Francesco Fiero di Tommaso Sciotto 2ªE Avanzava affamato. Mangiava l’asfalto come cereali, e non avanzava niente. Nonostante questo avanzava affamato. L’incedere dei passi, incessante, il cedere della gamba, a tratti, le edere distrutte a calci. Fissava giù, per terra, non guardava mai dritto. E i ciottoli intanto ballavano mentre lui passava, nella ghiaia fattoria. La polvere saliva, sempre più. La saliva invece non polvere. Polvere di desiderio, generata dalla velocità con cui le sue gambe divoravano il terreno. E in sottofondo di bicchiere, il rumore dell’accendino che infuocava l’estremità della sigaretta. La sigaretta però non andava alla bocca. No. Una volta accesa, veniva buttata a terra, per il gusto di schiacciarla con la scarpa, farci un giro sopra e alzare ancora polvere. Allungò il passo, che diventò “passooooooo”, il ritmo si fece più spedito, con tanto di francobollo. Cominciarono a sentirsi i primi “Uff, uff”. Era contento di quella stanchezza. Voleva distruggere la milza, a furia di correre. Correva l’anno 2007. Gli anni corrono ma non si stancano mai. A un certo punto inciampò. Cadde a terra malamente, ma il suo buonumore non si placava per così poco, anzi. Era aumentato. Del 5%. Tu guarda di che è capace l’inflazione. Una pulita ai pantaloni e di nuovo in marcia, da uomo maturo, testardo, petardo, abelardo, convinto interamente dei suoi mezzi. Altra sigaretta. Accesa. Spenta. Buttata a terra. Giro con la scarpa. Altro periodo concernente “Sigarettaaccesa-spenta-buttata a terra-giro con la scarpa”. Aperto. Chiuso. Buttato all’angolo. Giro di parole. L’orizzonte il desiderio, il cielo l’obiettivo, i passi robotici governati da un istinto estinto, ancora un paio. Raggiunse la cima, la raggiunse. La punta, il picco. La piccola punta, temperata poco, iraconda. Si appoggiò a terra piegando le gambe e incrociandole, poi chiuse gli occhi lentamente e respirò a pieni polmoni. Sospirava, in effetti. Li riaprirà seduto lì, gli occhi, sul suo incubo a due ruote. La fine. La fine del sogno di un paraplegico. Era sempre sera, sempre quella tarda serata di stanchezza. Un sonnellino tra i bracci carmini della poltrona, impolverato dalla stoffa, arruffato dal giradischi, dondolato dagli spifferi - dolce, solitaria, stanchissima sera. Ma deve sempre svitare qualcosa nel collo, dio Acciacco? “A chi lo dite!” borbottava il signor Piccione. Con le piume rigonfie, rintanato come un gufo nel cavo del suo tronco, al calduccio della stufa troneggiava, bofonchiando quasi fosse una teiera. Una carie profonda fino alle caviglie lo incatenava a uno stato di perplessità nauseante. “Proprio a me una carie? Che non ho denti? Bah, a volte perdo le staffe, meglio non pensarci”. Il signor Piccione non era una specie di mutante. Semplicemente, un piccione ad ormoni accelerati. Tanto accelerati che avevano superato la velocità della luce, piegato lo spaziotempo, navigato le ere in cui i piccioni vivevano a fianco dei dinosauri, solcato l’etere, penetrato un buco nero per precipitare dal punto opposto dell’universo esattamente sulla poltronuccia (carminia) di casa. Giusto un po’ più grande, quanto un uomo col torcicollo. “Che sia la c-carie-a-paralizzar-mi... la ce..rv- la cerv- la c...croc...-BRBRBR!” . . . Clack clack. . . . Cielo, avete visto? Comodo come un pescecane, rapido come una lucertola, al signor Piccione il becco ricresce in un istante! “Via il dente via il dolore! Meglio pensare alla partita di stasera: devo recarmi all’Olympia Stadium entro le otto. Sarà meglio che mi prepari”. Calza la maschera, spicca il volo, squarcia le nuvole. Si appoggia a un traliccio per sistemarsi la cravatta, poi riparte. I suoi occhiali da aviatore gli danno un’aria così squisitamente eroica... Più in alto, signor Piccione! Piomba in mezzo al campo. È nello stadio. Questo edificio, nel raggio di ettari, era l’unico ancora di asfalto. A cagion di ciò spiccava (per qualità, certo non per dimensione) tra i sottilissimi alveari di resina e vetro che ricoprivano il paese del signor Piccione, eleganti come petali di cera su lame di sangue. 20 Com’era bello arrivare quelle due ore prima che lo stadio si popolasse! Il signor Piccione, con il ventre sul centro di centrocampo, ascoltava nel tremore del suolo gli pneumatici dei veicoli asmatici forzati per le fittissime vie di Capo Fagioli. Su undici tra quei miliardi di roboanti motori avanzavano loro, gli eroi, mentre su undici tra quei miliardi di esausti macinacaffè arrancavano i barbaracci. Carezzato dalla brezza autunnale, trasaliva giusto cinque minuti prima che i tifosi accedessero alla tribuna, si nascondeva in bagno e ne usciva con aria circostanziale dopo quel quarto d’ora che lo avrebbe confuso tra la folla. La partita era troppo emozionante. Perché a Capo Fagioli, il semplice “calcio” era stato diviso in due categorie: “nelle costole” e “nel basso ventre”. Preferita del signor Piccione era, come si conviene, la prima categoria. Fiotti di sangue si dipartivano dalla lingua dei poveri gladiatori, affranti come buoi di gomma. Restavano in ginocchio, con la testa a torre di Pisa, dimostrando una fermezza ma no stoica, marmorea. “Il sangue, potenza di Dio!”, diceva un professore di scienze, al liceo di cui il signor Piccione era custode. Erano certo altri tempi, prima che un Ministro della Pubblica Istruzione distruggesse tutto. Fino allora, al Liceo non ci andava nessuno, e i professori passavano le giornate a darsi i bacini sulle guance. Quando Letizia Moratti seminò il panico: disintegrò con la Turboignoranza gli istituti professionali e i cittadini si rifugiarono nei ginnasi antiatomici. Per completare le sezioni richieste dall’affluenza, otto Saggi dovettero estendere a due le lettere per sezione. Presto le coppie finirono, e fu necessario passare a terne, poi quaterne, con tutte le possibili combinazioni interne. Le lettere continuarono ad aumentare, finché non bastò più la carta per le etichette, e si passò a incidere. Si combinò per ogni sezione l’intero alfabeto, ma finì lo spazio incidibile sulla porta, anche per tutte le correzioni dei poveri commessi, counfsi dlal’impnesbaile quatntià di caratetri. Eserciti A.T.A. furono ricoverati in ospedali psichiatrici: per indicare i reparti, non sarebbero bastate le lettere dell’alfabeto, dannati ospedali. Ma questo è un problema loro. E poi, un paziente fa l’altro. Gli Stornelli del Manzoni R_accont i Poesie Antologia Poetica di Emiliano Mariotti 1ªF Quanto al liceo, l’alfabeto terminò davvero. Furono allora abilitati tutti i caratteri e simboli, § $ £ & ∫ √ ® @ ¶ † © ecc. ecc. Fu integrato il greco, poi il cirillico, l’armeno, il siriano, l’arabo, l’hindi, il thaana, il telugu, il malayalam, il tagalog, il bopomofo, nulla da fare. Ci si ritrovò in una Torre di Babele, con classi di migliaia di studenti e un ultimo piano che non era mai l’ultimo, da cui niente piccionaia. Cosa restava, al signor Piccione, custode di un universo in espansione, costretto a vegliare al livello del mare, col nido che usciva dal sistema solare? Cosa restava, al signor Piccione, privato delle sue scale di mogano, dei suoi termosifoni profumati da anni di scorze d’agrumi essiccate, del suo lavandino di ceramica blu? Dove si sarebbe accovacciato a meditare, anni luce dal suo balconcino su un mare di foglie verdi ormai distante qualche diametro di galassia? Dove si trovava, adesso, quella grata ingrata e corrosa da infinite carezze dell’infanzia, quando sognava cornicioni segreti, inesplorati, tutti suoi, a un battito d’ala dalle sbarre? Erano le lacrime di quei ricordi, gelate come finissime stalattiti, che lo inchiodavano ai battenti del vulcano logaritmico. Era il suo carcere, non più il suo Nido. Il Suo, Nido. Mille e mille rivoluzioni terrestri di eccellente lavoro (che per un piccione celero-quantistico potrebbe essere il tempo di asciugarsi le piume in un minuto dopo il bagno nel barile). . . che ne fu? Dimissioni rassegnate, Dio, è troppo stanco! Questo stupido disco in propilene che i gestori dello stadio osano chiamare sedile, scomodo come neanche gli scogli di Acifortino, ma dove siamo cresciuti? Questa società non funziona! . . . Che importa. Così morbido, il fremito delle piume, quando sente la fine. . . . La partita si concluse con un pareggio. Per la prima volta, la squadra di casa era stata superata in classifica. Dall’alto dello spalto, gioì il signor Piccione. I suoi eroi, certo non erano “gli eroi” di cui tanto si parlava. IP IP - I Pic Cioni! Quest’anno, avevano davvero meritato la torta. Gonfiò il torace, dispiegando le ali. L’effondersi del suo cuore spalancò un’anima di calore e dolcezza tanto profondi da produrre un’ola immensa, che attraversò lo stadio, tutto, in entrambe le direzioni. E anziché infrangersi contro se stessa dal lato opposto dell’anello, l’onda proseguì: metà defluì verso il limite esterno, e metà verso quello interno, nei versi opposti, accelerando. Il signor Piccione era già alto nel cielo, quando guardò giù, e vide. “In fisica ciò non avverrebbe!” considerò. “Già, ma questa è metafisica!” rispose Dio. “E adesso muori!” ingiunse il dio Acciacco. ... Clack. Sei un dipinto di Ivan Ferrari 3ªA Occhi di tempera scura, sorriso fuggiasco: tu sei un dipinto. Non mi sembri materia, sole negli occhi, mi sembri Arte. Un’immagine lontana, un concetto inafferrabile; solo queste cose eri prima, ma ora sei anche segni, piccoli simboli di suoni, parole scritte da me. Sei un dipinto perduto nel buio. Capelli che nuotano nell’aria. Sei un dipinto pensabile nella luce. Mani che carezzano il vento. Un pensiero è dentro di me. Può essere fuori? Un pensiero lontano e vicino. Tu lontana e vicina. Sei un ritratto: non sei nella carta, non nella penna o sul tavolo, non in questa casa... Un po’ di te è nel mio cuore, ma il resto dov’è? Dove sei tu? 21 AGENORE Intriso di porchetta viaggia verso Caccamo il vecchio sarto armeno. Ed è subito circo. LURIDI Steso sulla nuda pietra. Rombanti motori rimbombano nel garage: Dio è morto? ARNIA DI API Lontano, oltre Merano: un bosco ameno, bestie sgozzate. L’ora del miracolo. ARTICOLO DI RIVISTA Alba polare. Una mosca sconquassa la palude zigzagando. Effimero è il burro di yak. LISTINO PREZZI Sdentato, sbrindellato, avanza carponi, si blocca poi sospira, osserva crolla nella melma della vita. ARMIGERO LENTIGGIONOSO Tu, che ribaldo e baldanzoso, ti aggiri fra i vespasiani, sappi: non sei l’unico. AGNOSTICO SUL BALCONE Natura morta. Un cardellino svolazza, esanime esamina. Non c’è scampo: è finito nel sugo. LANTERNE In un cinema, la sala buia è vuota; qualcuno sospira. Il vecchio cow-boy non ne può più. Si spegne il neon dell’insegna del bar. Dipingo di Leopoldo Morara 4ªD Dipingo la mia ombra nei tuoi occhi Per lasciarti solo un’immagine sfocata di me Per nascondermi, per celare la mia identità. Lasciandoti solo il mio puro gelo sulle labbra. Gli Stornelli del Manzoni Il Buio di Ivan Ferrari 3ªA Toltagli la luce, il mondo cambia. Un’ombra solida e uniforme si condensa in un sentore stantio di morte. I diurni rifuggono nel sonno e una vita cieca ne prende il posto sul trono atavico della Terra. Essa brulica e si moltiplica nel buio. Il buio che è come una cosa viva e ti cattura, ti avvolge, ti soffoca, ti muta nel suo nuovo regno. D’improvviso ti ritrovi solo e atterrito e guardi il tuo caro mondo con gli occhi sbarrati di una bestiola presa in trappola. Ti sembra di fissare con orrore le sinistre cavità di un teschio. E ti senti sbalzato, assorbito nel vuoto ghiacciato delle sue orbite. Le alte piante vengono scosse al soffio di un vento implacabile. Sembrano sospirare mestamente, lì, fuori dalla tua finestra, animate da forze proprie, antiche e immense. La vastità del buio fuori è come un abisso infinito che si riflette nel buio interno dove i mobili e i familiari oggetti intorno a te sembrano del tutto fuori dal loro spazio, appoggiati ai muri che spirano freddo dalla loro superficie mutata in una viscida e organica corteccia. Cosa celano ora le altre stanze vuote e i legni scricchiolanti degli armadi? Dentro di loro si agita una parte di te stesso... Tra i vestiti che vi hai gettato alla rinfusa il buio ha fatto nascere una chimera che si dimena orribilmente e divora lesta la tua fantasia, quando l’allunghi nella sua direzione. Se ne nutre, la maledetta... si nutre di te. La tua disperata fantasia urla lo sgomento che respiri. Qualcosa di antichissimo ti pulsa dentro, nelle incognite profondità del tuo corpo. Dietro ogni angolo il buio è più spesso e giureresti di poterlo accarezzare. Come giureresti di vederne promanare quei brevi movimenti. Movimenti schivi, silenziosi e misurati, i movimenti dei predatori. Questo buio è il predatore e, se lo vedi, ti ha preso. Poesie Ode ad un passato recente Poesia sul Natale di Victor Campagna 3ªD Ritorna a passi grevi l’inverno bardato Di voti, vuoti e lavori Ritorna per la mia felicità l’inverno Con sciarpe di calore umano e guanti di carezze gioiose Ritorna minaccioso l’inverno Carico di malanni, armato di fortunali letali Avanza alla carica l’inverno Protetto dalle nubi colossali, scortato dai venti elettromagnetici Brande un’arma mortale, il Natale... Con esso soldi stillerà alla società, annebbierà le coscienze Miete vittime l’inverno impietoso Come una macchina perfetta sevizia i corpi Come un killer irato distrugge l’ambiente Come una famelica fabbrica divora vite, sogni e speranze. Rimane l’inverno. Alberga indifferenza,cambiamenti per pochi. Solitudine a volontà Natale e famiglie, alberi e giunchiglie, calorie e sensi di colpa a volontà I panettoni giungono come nunzi, le decorazioni suonano le trombette I soldi si stendono come tappeti leziosi ,la golosità getta fiori per le strade L‘avidità apre le porte del regno e urla “L’inverno è qua! Croce e delizia!!!” S’è salvata, quell’onda di sole: s’è messa in quell’angolo, protetta dalla sparuta folla, che ardeva immensa, che osservava curiosa quel volto madido di altura, strano e gentile, feroce e dolce, come una mansueta pantera. Era sola, lassù, bella, come una cascata estiva, che fioriva accanto agli artifici delle stelle. La luna l’osservava, meravigliata e meravigliosa, dando voti a sproposito, coiti nascosti ed eiaculazioni passate: ogni cosa era erotica, ma dolce, quasi errante. Come un vento stretto dalle mani del destino, ella va, con corsa maledetta, senza fermarsi: vede solo un avanti perpetuo, un sogno ardito, un casolare vacillante, lei, lì, seria e assorta, a volte vola in un riso, quasi esterna, moglie del sole, figlia della luna, fumo delle nuvole, cielo del mare, ogni masticata affermazione: lei sosta lì, erosa dall’attimo, come al solito, figlia del vento, figlia del mare; sosti qui, ora, accanto a me, con un gomito sullo stomaco, dolce e forte, quasi mortale, quasi divina, quasi eterna: sei te, veramente semplice, come un bacio. Confusione di Rossana Martinelli 5ªC Sospesa a dubbio o domanda, tale nuvola all’alba, distesa. Cercava tra rimpianti ed attese, libertà e paure, inversioni di rotta. Tempesta di mare gorgoglia e ghermisce la nave, tuttavia il sole rimane, ostinato. Libertà d’odio, d’amore, di caso, di schiera, di errore -di un altro?a tutta una vita il beneficio del dubbio. 22 di Michele Di Masi 3ªD Alla finestra di Victor Campagna 3ªD Sono momenti strani in cui non capisci cosa sia la vita: sai solo che sarai sotto il volto delle tende... sotto la luna... ad aspettare... il parco vuoto... le luci dei lampioni ancora vive... ed io aspetto... invidiando le facce dei felici. Questi sono momenti infelici... strani e infelici. Quasi morti... ed io... davanti alla finestra... aspetto sotto il vento del tempo In attesa d’una chiamata, in attesa di qualsiasi braccio. Ma non arriva e si fa tardi... la barba cresce... ed io aspetto... inerte. Gli Stornelli del Manzoni Saga Sinossi dei primi due episodi. Ivan scarica un gran pugno sul volto del baffuto Dott. Giuseppe Mengele, poi chiede la mano della di lui figlia. Quello acconsente e invita tutti a un Natale sul Monte Orso - purché Nevio rimanga con lui. Eva ascolta Peter Gabriel e Pedro gioca a Sonic & Knuckles. Pedro, Dario, Ringo e Nevio sono nipoti di Ivan. Eva la sua fiancée. Bear Mountain - episodio 3 di Ibrahim Muhamed Ahradji Cargo, cargo, gigante dei cieli! Quanto immenso tu voli! Consegni la posta, consegni le merci, così oggi come nel dicembre del 1958! «I’m dreaming of a White Christm--», virata, sobbalzo. «Ehi, pilota! Piano, lì». «Papà, stiamo arrivando, guarda». «Sì: riconosco la caratteristica pianta alata. Meraviglioso!». Opaco oltre il finestrino; luminoso di avvenire; il grande cantiere di Brasília, la pista protesa verso l’aeroplano. Esotici pennuti s’avvicendano, turisti delle cose umane la novità, la curiosità; poi fuggono, con la polvere balzano ai lati. La strada si apre al maestoso atterraggio. Attrito stridente di freni e riposo. Toot. O Aeroporto Internacional de Brasília dá-lhe as boas-vindas... «Capitano, congratulazioni. Ottimo volo. Bravo». «Buona permanenza a voi, dottore». «Come on, Giuseppe». Tlac di cinture slacciate. Dalla foschia di luce artificiale, verde nel verde, emerse un vecchio decorato dei gradi di colonnello. A passi sincroni lo incorniciavano due soldati semplici. «Rodolfo! Ma perché non hai preso un volo di linea!» «È dura da noi. L’America è ingiusta, così... si risparmia. Piuttosto il vostro aeroporto è uno spettacolo: avanguardia funzionale, bellissimo. Sono felice di vederti». «Potevo farti finanziare dal ministero, e...», l’occhio di Giuseppe si pianta sui fucili, il discorso si blocca contro i timpani spenti. Armi. Spettacolo meccanico inquietante sensuale. Scorre per la mente una pellicola, mille scenari possibili di morte grottesca, buffa e straziante, una rassegna di corpi pucciati nel sangue tipo pane nel sugo. «Queres um também, rapaz?» ridacchia il soldato. L’umanità per un secondo accantonata sentenzia: pensieri impuri; scuoterli via, tornare alle conversazioni degli adulti, il suo mondo a venire. «...la costruzione di questa incredibile capitale, l’immagine che ne viene è quella di un paese in crescita». «Penso che finché i soldi per finanziarsi se li stampa... Cinquant’anni in cinque, figuriamoci. E poi conosci la politica dei tuoi Stati Uniti», qui l’aeroporto termina, in cinque si dirigono a un veicolo, «Credimi, dureremo un lustro, due al massimo. Vargas aveva... Qualcosa dovrà cambiare». S’accomodarono sui sedili scomodi della camionetta. Turbava il silenzio soltanto il grattare del motore in accensione. Nuova occasione per estraniarsi: Giuseppe agguanta il borsone di cuoio con il logo Luftwaffe, vi rovista dentro, ne cava fuori un rotocalco per la gioventù, acquistato prima di partire. Senza mutare l’espressione pensierosa o volgere lo sguardo: «Dunque è così che la vedi», interviene Rodolfo. Sospensione, «Ma, neppure se riuscissi a trovare il tuo nuovo eroe?». Teatralmente esasperato, il colonnello: «No. Non qui! Conosco il tuo amore per il Brasile – lo condivido. Ma non è momento, proprio. E mi dispiace!». Gli occhi vibravano letteralmente di energia. «Guarda piuttosto altrove. Non so quanto tu possa aver saputo degli eventi di Cuba...» «Certo, intendi la guerriglia contro Batista», con aria di sicurezza. Rovesciato dall’umiltà, «No, ne so quasi niente. Ma pensavo a un conflittuccio locale, uno di quelli che i regimi sedano facilmente». «Sono tornato da lì tre giorni fa. Non chiedermi come, ma sono riuscito a contattare il 26 luglio». Le rivelazioni sono più che mai succose, se schiaffate come trote in faccia a un addormentato. Attese l’effetto. «Hai avuto colloquio con il generale Castro?», eccolo, «E tutti gli altri? Capirai perfettamente che muoio dal desiderio di apprendere come». Compiaciuto, «Ti basti sapere che Santa Clara è alle strette. Se il caro Fulgencio non s’inventa qualcosa, entro una settimana Guevara e i suoi dovrebbero entrare. A quel punto L’Avana è a due passi». Si accende un sigaro, «Quelli sì, che potrebbero sorprenderci. Se una di queste rivoluzioni funziona, chissà...». L’aver appreso tali informazioni di prima mano – e il sigaro che lo rendeva trascurato e fascinoso - ponevano il colonnello in una condizione di superiorità assolutamente inaccettabile per un intellettuale come il Dott. Rodolfo Mengele. Il fatto lo metteva a disagio. Controbattere con osservazioni 23 argute era urgente, e imprescindibile. Obietta: «A meno che non si mettano con i sovietici. Sarebbero guai per tutti. Ma forse tu desideri il conflitto nucleare su scala mondiale, ne avresti tanti dei tuoi eroi! Ah! Ah!», che smacco per il colonnello. Due boccate di fumo. «Per prima cosa, si metteranno indubbiamente con i sovietici. Almeno in un primo momento». Guarda fuori, mormora: «Uh, siamo quasi arrivati», poi continua, «In secondo luogo: i miei eroi non sono martiri. I martiri, o sono sfortunati, o sono idioti». Il veicolo accostò uno dei deserti marciapiedi della città-cantiere. Il colonnello aprì la portiera. «Ci vediamo, Rodolfo. Uno di questi giorni dovremo parlare di lui». Il giovane Giuseppe Mengele, assorto nelle strisce di Mandrake the Magician, si trovò tutt’a un tratto trapassato dalla traiettoria del suo indice. «Sai chi era quell’uomo, Giuseppe? Prova a indovinare». Inutili indovinelli inindovinabili! «Dimmelo, papà». «Quello, ragazzo», pausa, «era un grand’uomo». Si ferma finché la suspense non è al grado giusto, «Quello era Don Diego de la Vega – il fuorilegge conosciuto come Zorro». Giuseppe sbuffò come una caldaia in procinto di esplodere, facendo strage di tecnici. «Di tutte questa...», si alza dal letto, «A parte che Zorro non esiste: ma le sue avventure sono ambientate all’inizio del diciannovesimo secolo, quindi è anche morto». «E invece era proprio lui! Maledetta la mia stupida incredulità», sprofondato nella poltrona rossa di casa sua, in grembo un volume rilegato in cuoio nero, di fronte un caminetto acceso. Attorno, un salotto d’epoca già addobbato per Natale. «Basta parlare di me. Dimmi, tua madre, piccino?» «Il mio zio ha detto che è partita per un viaggio molto lungo» risponde Nevio, vocina infantile. «Oh. Poveri noi». Solleva gli occhiali da lettura sulla fronte corrugata. «Lo vuoi un po’ di cognac? Ah, no: sei troppo piccolo». Gli Stornelli del Manzoni Bacheca FUORI TARGET - LE NUOVE GENERAZIONI SI RACCONTANO IN VIDEO Edizione 2008 I giovani, il loro mondo, le loro abitudini, le loro passioni. Un argomento che viene analizzato e studiato, descritto e definito molto spesso attraverso stereotipi e cliché che non fanno altro che immobilizzare un universo che, per sua natura, è in continua evoluzione. E troppo spesso le nuove generazioni sono bersaglio inconsapevole dei media, subendo passivamente i messaggi senza sapere come reagire a questi attacchi. Manca un momento in cui la parola passa ai giovani, in cui possano esprimersi e raccontare in prima persona i propri pensieri, le proprie emozioni, senza che questo sia giudicato “utile per fini commerciali”. Fuori Target nasce da questa mancanza, con queste esigenze. Un momento liberatorio e provocatorio, rivolto a tutti quei giovani che non vogliono sentirsi ingabbiati, che non si accontentano di come vengono descritti dai media, che sentono l’esigenza di esprimersi e di raccontarsi. Fuori Target offre la possibilità di maturare critica e autonomia, e li incoraggia a non accettare passivamente orientamenti e modelli stereotipati, ponendosi come soggetti attivi della comunicazione. Non solo li spinge a sviluppare la creatività, a sperimentare e a mettere in gioco le proprie capacità, ma anche a porsi in modo critico nei confronti della dilagante cultura delle immagini. Fuori Target è: • un festival di cinema rivolto alle opere di registi, videomaker e operatori dell’immagine di prima generazione; • una rassegna in cui i giovani raccontano in video il loro mondo, le loro storie, il loro immaginario; • un laboratorio dove approfondire le tematiche legate all’immagine L’edizione 2008 La seconda edizione di Fuori Target si svolgerà dal 28 al 30 marzo 2008. Non solo cinema dei giovani ma anche cinema per i giovani: incontri e workshop con esperti, professori e tecnici; occasioni di scambio e di confronto fra i registi di nuova generazione e personalità dello spettacolo; rassegne tematiche legate al mondo dell’animazione e della musica; CONCERTI e DJ SET . La nuova edizione è ancora in costruzione e aperta alla collaborazione e al suggerimento di tutti, perché questa sia un’iniziativa che veramente appartenga ai giovani, che sia lo specchio di un mondo ancora sconosciuto, un’occasione di conoscenza e presa di coscienza, per chi guarda ma soprattutto per chi fa l’immagine. Il bando Il bando di partecipazione è rivolto a opere video prodotte in ambito scolastico ed extrascolastico, realizzate da giovani di età compresa tra i 14 e i 20 anni, in Italia, ed ultimate dopo il 1° gennaio 2007. Sono ammesse al concorso opere di ogni genere ( fiction, video inchiesta, animazione, videoclip, spot, mobile phone movie...) e formato. Il bando si chiuderà alla fine di febbraio 2008. Per informazioni chiedere a Irene Belluzzi II E, o contattare direttamente: Ufficio stampa esterni - tel/fax 02 713 613 - via Paladini, 8 - 20133 Milano www.esterni.org - www.designpubblico.it - www.milanofilmfestival.it - [email protected] UNIVERSITÁ BICOCCA - RADIO DI ATENEO Cari studenti, L’esperienza della scuola superiore per molti di voi sta per giungere al termine. Dopo l’ultima grande fatica della maturità, sarete proiettati in nuovo universo, ricco di nuove esperienze, saperi, conoscenze: l’Università. Un mondo decisamente diverso, che ai più risulterà affascinante e veramente formativo, un luogo dove la cultura più avanzata incontra le vostre esperienze quotidiane, fatte di studio, esami, ma anche divertimento, amicizie, amore, ecc.. Per vivere meglio l’Università e per unirne concretamente i vari saperi che la compongono, alcuni studenti universitari, tra cui il sottoscritto, nel 2005 fondarono una web radio d’ateneo, la chiamarono B-Radio e si posero l’obiettivo di fare la prima radio d’ateneo milanese, cosa che effettivamente avvenne nell’aprile 2006. Per continuare a vivere e migliorare nel tempo, B-Radio ha bisogno continuamente di nuove risorse, giovani volenterosi che per pura passione si mettono a fare la radio, magari a casa propria. Sono infatti solamente necessari un PC, un software di registrazione, un microfono e tanta fantasia per fare un programma radiofonico sul web! Ed eccoci arrivati al senso di questo articolo: per tutti coloro che andranno a studiare in Università Bicocca, ma non solo vista la mole di collaborazioni esterne, preghiamo di ascoltare B-Radio, di comunicare con lei, di provarci a farne parte quando farete parte del circuito universitario. Ad alcuni di noi, questa esperienza ha cambiato la vita. Potete trovarci sul web all’indirizzo www.b-radio.it e potete scriverci all’indirizzo [email protected] , risponderemo ad ogni vostra domanda. B-Radio. Your Favorite Station, Music Satisfaction! David Marelli 24
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come possesso profondo dell’individuo, deposito dei suoi valori, fonte di una disciplina in grado di produrre frutti in ogni ambito professionale”.
Tuttavia, dopo circa 1000 giorni passati sui banc...