sinfonica - Orchestra Filarmonica Marchigiana
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sinfonica - Orchestra Filarmonica Marchigiana
ministero per i beni e le attività culturali regione marche assessorato alla cultura sinfonica BACH-BAHRAMI pianoforte Ramin Bahrami primo violino concertatore Alessandro Cervo venerdì 7 febbraio, ore 21.15 Fabriano, Teatro Gentile domenica 9 febbraio, ore 17.00 Fermo, Teatro dell’Aquila In collaborazione con Fondazione G.M.I - sede di Fermo lunedì 10 febbraio, ore 21.00 Jesi, Teatro Pergolesi orchestra filarmonica marchigiana filarmonicamarchigiana.com Programma M. Angeloni (Jesi, 1977 ) Sinfonia degli arrivi – Azione rituale per orchestra J. S. Bach (Eisenach, 1685 – Lipsia, 1750) Concerto per pianoforte (clavicembalo) e orchestra in re min., BWV 1052 I. Allegro II. Adagio III. Allegro Concerto per pianoforte (clavicembalo) e orchestra in re magg., BWV 1054 I. [Allegro] II. Adagio e piano sempre III. Allegro - intervallo - Concerto per pianoforte (clavicembalo) e orchestra in fa min., BWV 1056 I. [Allegro] II. Largo III. Presto F. J. Haydn (Rohrau, Austria, 1732 – Vienna, 1809) Sinfonia n. 45 in fa diesis min. Hob. I:45 “degli addii” I. Allegro assai II. Adagio III. Menuet: Allegretto IV. Finale: Presto - Adagio Note Ogni partenza, come è ovvio, presuppone un arrivo, così come ogni separazione un incontro, un movimento di aggregazione. Da qui l’idea di introdurre il concerto di questa sera con un brano che facesse da contrappeso all’ultima opera in programma, la celebre Sinfonia degli addii di Haydn, e desse così l’avvio ad un percorso musicale inglobante i tre concerti di Bach entro una sorta di “apparizione scenica”, con un ingresso e un congedo rappresentati da due momenti sinfonici. Il brano commissionato dalla FORM al compositore jesino Matteo Angeloni assolve egregiamente tale funzione. Sinfonia degli arrivi – Azione rituale per orchestra è infatti una composizione in tutto e per tutto speculare all’Adagio finale della sinfonia di Haydn. Essa ne recupera il materiale di base scomponendolo ed elaborandolo nell’ambito di strutture ritmiche, armoniche e timbriche di derivazione stravinskiana che, contrariamente agli Addii, procedono per accumulazione invece che per dissoluzione: dall’iniziale sommesso battito solitario del timpano, seguito dall’ingresso degli archi per successive stratificazioni, al primo apparire dell’incipit del tema del finale haydniano, intonato dal fagotto sugli armonici degli archi come un’eco che giunga da lontano, fino alla sua piena, luminosa affermazione alle trombe sull’onda di un lungo climax ascendente. Scrive lo stesso compositore: «La Sinfonia è insieme evocazione rituale e rappresentazione del passaggio primordiale dall’oscurità alla luce. L’armonia iniziale, “notturna”, si completa a poco a poco, continuando ad affiorare per mezzo di violente fratture. Attraverso la bipartizione del pezzo si assiste al progressivo risveglio e al successivo scatenarsi delle forze naturali, alla lotta degli elementi – frammenti violenti, ritmo barbarico, lacerti di straniate melodie – per lasciare il posto, infine, ai luminosi accordi finali». Tutta la musica di Bach, dalle più elaborate composizioni polifoniche per tastiera ai concerti concepiti nell’agilissimo, animoso stile italiano, possiede in sommo grado una qualità che la rende assolutamente unica: la densità. Densità di materia e di spirito, di tempo e di spazio, di suono e di pensiero, di emozione e di riflessione. Nessun compositore è capace di condensare i complessi e misteriosi meccanismi che regolano l’universo in una sola linea melodica come sa fare Bach, né di stratificare, rigenerandoli in una dimensione superiore incorruttibile, stili, generi ed epoche distanti nel tempo. La sua è davvero, come è stato osservato, musica divina: non tanto e non limitatamente per l’ispirazione religiosa di molte sue composizioni, quanto piuttosto per la proprietà di tutta la sua opera, da quella sacra a quella profana, di riflettere l’occhio onnisciente di Dio, la pluralità di vie del cosmo infinito nell’unità della visione del Creatore. Ciò impressiona soprattutto quando Bach, come nel caso dei concerti per clavicembalo (oggi eseguiti anche al pianoforte), abbandona le vette metafisiche della fuga per incamminarsi lungo vie più umane ed accessibili. Vie che per lui significano soprattutto quelle percorse dai maestri italiani, Vivaldi in prima linea, lastricate di fuoco, passione, sangue, dolcezza, grazia, eleganza. La melodia italiana, leggera e perfetta, facile e naturale ma tendente a svilupparsi in una sola dimensione, acquista infatti nelle mani di Bach una plasticità nuova e, grazie al suo innesto nelle maglie di un formidabile impianto contrappuntistico, una profondità e una consistenza che le erano ignote. Così nell’imponente Concerto in re min. BWV 1052 – il “sovrano del cembalo”, come lo definisce Piero Buscaroli – dove l’irrequieto motivo d’apertura, esposto all’unisono da tutti gli strumenti alla maniera vivaldiana, si alimenta della potente energia di un re minore che ha i nobili tratti dell’antico primo modo gregoriano, il modo proprio della divinità. Questa energia divina scorre ovunque, continua e inarrestabile, nel denso tessuto contrappuntistico dell’opera (salvo ancorarsi di tanto in tanto, come nelle antiche salmodie, ad una sola nota ribattuta con straniante effetto di sospensione, quasi di incantamento) assorbendo tutte le passioni umane nel suo flusso perpetuo. Ed anche quando si tratta di lavori meno austeri, quali il luminoso Concerto in re magg. BWV 1054, splendido adattamento per tastiera del Concerto per violino in mi magg. BWV 1042, o del Concerto in fa min. BWV 1056, semplice, lineare, asciutto nella sua fedele aderenza ai modelli meridionali (specie nella delicata linea cantabile, ricca di fioriture patetiche, del Largo, in seguito recuperata ed assegnata all’oboe nella Cantata BWV 156), Bach ingloba sempre l’umano nel contesto di un complesso pensiero musicale polifonico che, fondendo in un’unità superiore il rigore nordico con la leggerezza italiana, rivela la sua straordinaria capacità di visione oltre il contingente. Ci fu un momento nella vita di Haydn, precisamente fra gli anni 1766-1772, in cui il compositore, tendente per indole e per scelta poetica a rappresentare in musica una visione serena e luminosa del mondo, espresse apertamente il “lato oscuro” dell’esistenza in un certo numero di sinfonie di carattere tenebroso scritte in tonalità minori che una parte della storiografia (a dire il vero con una certa approssimazione) ha voluto assimilare all’estetica dello Sturm und Drang (Tempesta e Assalto), il noto movimento artistico-letterario sviluppatosi nella seconda metà del Settecento che, sulle orme di Rousseau, esaltava la bellezza selvaggia della natura contro le convenzioni del classicismo razionalista. Fra queste sinfonie un posto particolare spetta alla n. 45 in fa diesis min.: per l’insolita, oscura tonalità d’impianto, per la forza drammatica dei temi musicali, per la ricca elaborazione motivica nell’ambito di percorsi armonici vari e imprevedibili, per i ritmi concitati e impetuosi dei movimenti allegri e, naturalmente, per lo straordinario doppio finale che le è valso l’appellativo di “Sinfonia degli addii”. Sulla composizione di questo finale, tutte le biografie haydniane riportano, come è noto, un curioso aneddoto. Nell’estate del 1772, l’epoca a cui risale la stesura del lavoro, Haydn si trovava al servizio come maestro di cappella presso la corte del principe Nikolaus Esterházy, un aristocratico illuminato di spirito liberale ma anche piuttosto autoritario ed esigente, al punto da costringere il compositore e i musicisti al suo servizio a prolungare in quel periodo la loro attività ben oltre il tempo previsto. Grande era dunque, fra di essi, la nostalgia di casa e il desiderio di manifestare al principe, senza troppo irritarlo, la necessità di partire. Haydn allora, cui non mancava certo il senso dell’umorismo, escogitò una sorta di scherzosa allusione musicale: un finale di sinfonia a sorpresa che, dopo un impetuoso Presto, si acquietava improvvisamente in un Adagio mentre i musicisti, ad uno ad uno, smettevano di suonare e spento il lume del proprio leggio se ne andavano, dicendo così “addio” al loro amato principe. Esterházy, fortunatamente, la prese bene; anzi: fu così divertito da quella curiosa pantomima che acconsentì di buon grado alle legittime richieste dei suoi dipendenti. Ma la straordinarietà di questo finale va ben oltre il dato aneddotico. Esso infatti introduce per la prima volta in una sinfonia, proprio in dirittura d’arrivo, ovvero nel luogo tradizionalmente riservato alla massima velocità, un inatteso, brusco rallentamento del tempo che produce nell’animo un effetto ambiguo; poiché se da un lato, con la sua ironia gestuale, compensa il carattere fondamentalmente tragico dell’opera, dall’altro, con il suo congedarsi dalla scena musicale dileguandosi malinconicamente a poco a poco nel buio, lo riafferma ad un livello più sottile e profondo. Tutto questo moltissimo ˇ tempo prima che un altro musicista geniale, Cajkovskij, decidesse di spegnere la sua sesta e ultima creazione sinfonica, la Patetica, in un lento, estenuante, doloroso addio al mondo. Cristiano Veroli Ramin Bahrami pianoforte Ramin Bahrami è considerato uno tra i più interessanti interpreti bachiani viventi a livello internazionale. “Un mago del suono, un poeta della tastiera… artista straordinario che ha il coraggio di affrontare Bach su una via veramente personale…”, secondo il Leipziger Volkszeitung. La ricerca interpretativa del pianista iraniano è attualmente rivolta alla monumentale produzione tastieristica di Johann Sebastian Bach, che Bahrami affronta con il rispetto e la sensibilità cosmopolita della quale è intrisa la sua cultura e la sua formazione. Le influenze tedesche, russe, turche e naturalmente persiane che hanno caratterizzato la sua infanzia, gli permettono di accostarsi alla musica di Bach esaltandone il senso di universalità che la caratterizza. Nato a Teheran, Bahrami dopo la rivoluzione politica del suo Paese trova rifugio in Italia, dove può studiare il pianoforte e diplomarsi con Piero Rattalino al Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Approfondisce gli studi all’Accademia Pianistica “Incontri col Maestro” di Imola e con Wolfgang Bloser alla Hochschule für Musik di Stoccarda. Si perfeziona con Alexis Weissenberg, Charles Rosen, András Schiff, Robert Levin e in particolare con Rosalyn Tureck, l’artista che più di altri ha contribuito a far conoscere la modernità dell’opera pianistica di Bach attraverso i suoi studi e le sue esecuzioni Ramin Bahrami è stato insignito del Premio “Città di Piacenza–Giuseppe Verdi” dedicato ai grandi protagonisti della scena musicale, riconoscimento assegnato prima di lui a Riccardo Muti, Josè Cura, Leo Nucci e Pier Luigi Pizzi. Ramin Bahrami incide esclusivamente per Decca-Universal. La sua discografia comprende le Variazioni Goldberg (2004), le 7 Partite (2005), l’Arte della Fuga (2007), la raccolta “Ramin Bahrami plays Bach” (2009), comprendente anche una selezione di esecuzioni dal vivo, le Suite Francesi (2010). Il disco con i cinque concerti per tastiera di J. S. Bach, registrato a Lipsia con Riccardo Chailly alla guida della Gewandhausorchester, uscito per Decca nel giugno 2011, ha meritato le 5 stelle del mensile Amadeus. In novembre 2012 è uscito il suo primo libro edito Mondadori “Come Bach mi ha salvato la vita”, inoltre è uscito l’ultimo cofanetto DECCA “Amare Bach” un doppio CD con tutte le sue registrazioni più famose del Maestro Ramin Bahrami. In dicembre 2012 il debutto al Teatro alla Scala di Milano, serata a favore del Museo Diocesano di Milano, dedicata alla memoria del Cardinale Carlo Maria Martini. Recentemente ha suonato nella sala S. Cecilia in un concerto/evento organizzato dall’Accademia e l’Associazione Onlus Insè in memoria della grande Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina. Dopo il grande successo avuto in occasione della premiazione di Paulo Coelho voluta dalla casa editrice Bompiani presso il Duomo di Milano con l’esecuzione delle Variazioni Goldberg, è uscito il nuovo CD di Ramin Bahrami con le Varizioni a 2 e 3 voci di J. S. Bach e alcune rarità mai incise ad oggi. Alessandro Cervo primo violino concertatore Alessandro Cervo è nato a Napoli nel 1974. Diplomatosi in violino con il massimo dei voti presso il Conservatorio “L. Refice” di Frosinone, si è perfezionato con G. Franzetti, G. Cappone, G. Pieranunzi e L. Spierer. È stato primo violino di spalla di varie orchestre, tra cui l’Orchestra Sinfonica di Roma della Fondazione Cassa di Risparmio (nel periodo 2003-2006), la “Haydn” di Bolzano e Trento, l’Orchestra del Teatro lirico di Cagliari, l’Orchestra Internazionale d’Italia, la “Nuova Scarlatti” di Napoli e l’Orchestra del teatro Marrucino di Chieti con le quali ha spesso suonato come solista e ha eseguito molti importanti “a solo”, tra cui “Vita d’eroe”, “Zaratustra” e “Don Chisciotte” di R. Strauss. Per la stagione 2007-2008 è stato invitato come prima parte all’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo. Collabora con i “Filarmonici di Roma” (Orchestra da camera di S. Cecilia) con i quali si è esibito come solista in sale prestigiose come la “sala Tchaikowsky” di Mosca. Ha effettuato concerti in tutta Europa, Cina, Malesia, Corea, Tailandia, Russia, Stati uniti, Cuba, Brasile, Ecuador, Venezuela e Giordania, collaborando con molti dei maggiori solisti e direttori d’orchestra. È Stato fondatore e primo violino concertatore dell’orchestra da camera “XXI secolo” di Viterbo dal 1996 al 2001. Ha eseguito in prima assoluta brani di A. Clementi, S. Bussotti, F. Pennisi, L. De Pablo, F. Festa, R. Bellafronte e il compositore F. Bastianini gli ha dedicato il proprio concerto per violino, pianoforte e orchestra che ha eseguito a Roma con l’orchestra “Roma Symphonia”. Ha inciso per le case discografiche “Amadeus” “Egea” “Ricordi”, “Dinamic” e “Universal”. Ha tenuto corsi di perfezionamento come docente preparatore degli archi per gli stage internazionali “Spazio Musica” di Orvieto, per il Conservatorio di Fermo e per i Corsi di alto perfezionamento di Saluzzo. Ha inoltre tenuto masterclass a Brasilia e alla “Roosevelt University” di Chicago. Attivo anche nella musica da camera in varie formazioni e soprattutto con il Quintetto Bottesini col quale ha effettuato concerti in diretta su radio euroRAI al Quirinale, in sale prestigiose come quelle del Parco della musica di Roma, di Chicago e di Washington alla presenza del presidente Giorgio Napolitano. Nei suoi concerti alterna preziosi strumenti, in particolare uno “Stefano Scarampella” del 1904, un”Antonio Gragnani” del 1776 e un “Bernardo Calcanius” del 1737. Matteo Angeloni compositore Diplomato presso il Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro in Pianoforte e in Composizione, si è perfezionato con il M° P.N. Masi, conseguendo presso l’Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col maestro” di Imola il diploma Master. Ha inoltre frequentato masterclasses con Enrico Bronzi, Rocco Filippini e con l’Altenberg Trio Wien. Si è esibito per istituzioni come l’Associazione Angelo Mariani di Ravenna (Teatro Alighieri), Ente Concerti di Pesaro (Teatro Rossini), Festival Internazionale “Da Bach a Bartòk” di Imola, Fondazione Toscanini di Parma, Macerata Opera Festival, a San Pietroburgo e Mosca (Theatre “Na Strastnom”), con musicisti che collaborano con le più importanti orchestre (Filarmonica della Scala, Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Orchestra Mozart, Royal Philharmonic e BBC Orchestra di Londra). Le sue Variazioni su un tema di Bartòk sono state eseguite nel concerto di Santa Cecilia 2009 presso l’Auditorium Pedrotti di Pesaro (dir. L. Ferrara); al Teatro Valle di Roma, Giovanni Sollima ha eseguito Run (2012), insieme ad un ensemble di 100 violoncelli. Su commissione del Festival Internacional de Opera “Alejandro Granda” ha orchestrato l’opera in 4 atti Atahualpa (1875) di C. E. Pasta, riscoperta nella sola riduzione per canto e pianoforte; la prima mondiale è avvenuta a marzo 2013 al Gran Teatro Nacional di Lima, con l’Orquesta Sinfonica Nacional e il Coro Nacional del Perù diretti da Manuel Lopez-Gomez, con Vasily Ladyuk, Aris Argiris e Ivan Magrì nei ruoli principali. Questa performance è di prossima uscita in CD. E’ inoltre in preparazione, insieme al compositore P. Marzocchi, la colonna sonora del film German Angst di M. Kosakowski. OrchestraFilarmonicaMarchigiana Violini I Alessandro Cervo ** Giannina Guazzaroni * Alessandro Marra Laura Di Marzio Lisa Maria Pescarelli Cristiano Pulin Violini II Simone Grizi * Laura Barcelli Baldassarre Cirinesi Alberto De Stefani Simona Conti Viole Ladislao Vieni * Massimo Augelli Cristiano Del Priori Claudio Cavalletti Violoncelli Alessandro Culiani * Antonio Coloccia Gabriele Bandirali Nicolino Chirivì Flauto Francesco Chirivì * Oboi Tanja Petrusevska * Marco Vignoli Fagotto Giacomo Petrolati * Corni Alessandro Fraticelli * Roberto Quattrini Trombe Giuliano Gasparini * Manolito Rango Timpani Adriano Achei * Contrabbassi Luca Collazzoni * Andrea Dezi ** Primo Violino Concertatore * Prime parti Ispettore d’orchestra Michele Scipioni prossimi concerti Artista in residenza MILENKOVICH SUONA BRAHMS Ch. W. Gluck Iphigénie en Aulide: Ouverture J. Brahms Concerto per violino e orchestra in re magg., op. 77 L. van Beethoven Sinfonia n. 8 in fa magg., op. 93 Violino Stefan Milenkovich Direttore David Crescenzi giovedì 20 febbraio 2014, ore 21.00 – Macerata, Teatro Lauro Rossi sabato 22 febbraio 2014, ore 21.00 – Pesaro, Teatro Rossini In collaborazione con Ente Concerti Pesaro domenica 23 febbraio 2014, ore 17.00 – Fermo, Teatro dell’Aquila In collaborazione con la Fondazione G.M.I - sede di Fermo martedì 25 febbraio 2014, ore 21.00 – Jesi, Teatro Pergolesi venerdì 28 febbraio 2014, ore 21.15 – Fabriano, Teatro Gentile FORM ORCHESTRA FILARMONICA MARCHIGIANA Via degli Aranci, 2 - 60121 Ancona | Tel. 071 206168 - Fax 071 206730 filarmonicamarchigiana.com | [email protected] supporto informatico e multimediale www.gruppoeidos.it Via Gola della Rossa, 15 - 60035 Jesi Tel. 0731 207079
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