Sussidio didattico per le scuole

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Sussidio didattico per le scuole
QUADERNI DI APPROFONDIMENTO
TESSUTI
D’AFRICA - 1
Bogolan - Kente - Kuba
Sussidio didattico per le scuole
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TESSUTI D’AFRICA N. 1
Liberamente composto attraverso ricerche testuali nel web in italiano ed in francese
1. I Bogolan del Mali
I tessuti, presso le popolazioni del Mali, rivestono una grande importanza nella società, sia come
manifestazione visibile dello status sociale di chi lo porta, sia come elemento propiziatorio e rituale
in numerosi momenti della vita dell′individuo.
La tecnica del bogolan è un procedimento antico proprio delle popolazioni Bambara, Malinké,
Sénoufo, Bobo e Dogon, che vivono nel Mali o nelle regioni immediatamente confinanti.
Il termine “bogolan” è una parola bambara composto da “bogo”, l’argilla, e un suffisso di
derivazione “lan”, che indica lo strumento che permette di ottenere un risultato. “Bogolan” significa
dunque “fatto con l’argilla”. Il tessuto utilizzato è tradizionalmente cotone, la cui filatura è eseguita
dalle donne che, sedute a terra, tirano, torcono e avvolgono con gesti antichissimi il filo intorno a un
fuso. La tessitura, invece, è riservata esclusivamente agli uomini. Essi utilizzano un particolare
telaio orizzontale dotato di licci e pedali. Con il ritmico movimento dei piedi realizzano una banda
di stoffa bianca lunga 27 metri e larga una dozzina di centimetri, che sarà poi tagliata e cucita a
mano per la confezione degli abiti.
Il procedimento di decorazione avviene in più fasi successive. La stoffa dapprima viene lavata in
acqua, asciugata al sole, e tinta di giallo con un’infusione, preparata con foglie di betulla africana e
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salice della savana. Viene poi realizzato il disegno, utilizzando un bastoncino e il fango nero di
pozzo, raccolto un anno prima e fermentato in una giara. Possono essere fatti successivi bagni nella
tinta gialla e applicazioni di fango, in base alla tinta bruna che si vuole ottenere. In questo modo si
ottengono segni gialli su fondo marrone. Con l′applicazione sui segni di una soluzione di arachidi,
soda caustica, crusca di miglio e acqua, il giallo si muta in marrone, e solo dopo una settimana di
asciugatura al sole e un ulteriore lavaggio, emerge un disegno bianco su fondo scuro.
L′uso dei bogolan è legato a momenti significativi della vita adulta, in particolare alla perdita di
sangue. Per gli uomini, è usato nella caccia e nei rituali evocativi: il tessuto protegge i cacciatori
dalle influenze negative dell′energia vitale sprigionate dall′animale ucciso, assorbendola nel tessuto,
tra le fibre e i meandri dei disegni. Per le donne è legato alla cerimonia di passaggio all′età adulta.
Questa prevede l′escissione, che elimina le forze disordinate e impure dell′infanzia, e che
rappresenta un′offerta religiosa per ristabilire l′ordine perduto. Un tessuto con fondo rosso e disegni
neri chiamato basiae (sangue), raccoglie il sangue, e servirà da abito alla ragazza nel periodo di
reclusione che segue l′operazione. Questi panni sono composti da sette strisce, secondo un uso
simbolico dei numeri: il 3 rappresenta l′elemento maschile, il 4 quello femminile; dunque il sette è
segno di completezza e di saggezza ottenuta nell′età adulta. Il tessuto viene considerato, come la
placenta, il "doppio" dell′uomo; per questo viene conservato con molta cura. Se viene derubato e
manipolato, gli effetti maligni possono manifestarsi sul suo gemello umano.
Quando il cacciatore, la ragazza o lo sciamano indossano il bogolan, si rivestono degli esseri e degli
eventi che hanno presieduto alla creazione del mondo: il colore bruno, quello della terra e dei
disegni, viene dal pozzo, luogo sacro di ogni villaggio, dove sono riunite tutte le anime dei bambini
che devono ancora venire al mondo, è simbolo del ventre umido della donna. Il bruno è anche il
colore dell′acqua nera, nella quale vive il Dio stesso. Portando su di sé le impronte di fango seccato
che hanno imbevuto le fibre del suo panno, la donna è protetta dalla forza divina per le nascite a
venire e bagnata di un′umidità simbolica, associata, nel pensiero bambara, alla fecondità. L′acqua e
la terra umida sono i due elementi fondamentali della genesi del mondo, a partire dai quali la vita è
possibile. La lettura dei tessuti bogolan ci dona la rivelazione di una concezione di generazione
degli uomini che passa attraverso l′universo acquatico. L′idea della genesi, presente già nei
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materiali, è ripresa anche dai disegni. I motivi dei bogolan costituiscono una grammatica di segni o
meglio ancora una scrittura. I Bambara li chiamano sèbèn den, i fanciulli della scrittura.
Essi veicolano un messaggio spiegato da un proverbio o da una canzone, celebrano un evento
storico, lodano le qualità di un eroe e il suo coraggio. Sono anche metafore che proteggono.
Generalmente il nome di un segno rinvia a un significato simbolico particolare, ma il rapporto tra il
segno e il suo significato non è mai assoluto e varia a seconda della collocazione dei segni nella
composizione e secondo l’origine dell’artista e la sua formazione.
La decorazione più frequente è costituita da piccoli punti bianchi disposti in diagonale, chiamata
tiga fara nin, piccolo guscio d’arachide. Può evocare la baya, la cintura di perle che orna i fianchi
delle donne e il cui tintinnio ritma le attività durante la giornata e invita l’uomo all’amore.
Il bordo inferiore è daguma bolo o senkorola, che significa “il bordo a terra” o “vicino ai piedi”.
Il pannello centrale è chiamato fini ba, il grande tessuto o la madre della stoffa. Vi si trova il tema
più importante, che dona il nome al tessuto e che acquista valore in base alla sicurezza del tratto, la
regolarità del disegno, la conoscenza e l’utilizzo dei segni, il rispetto nella disposizione dei segni,
l’adeguamento senza equivoci al tema scelto, la qualità dei colori (la densità del nero, il contrasto
col bianco).
Alcuni segni evocano personaggi o divinità, altri segni prevedono più di una versione; alcuni hanno
la funzione di valorizzare il lavoro, altri segni portano insegnamenti per i bambini e indicano quanto
sia necessario essere stabili nel carattere e avere un’identità sicura e definita. I segni sul bogolan
possono rappresentare anche elementi geografici come montagne, laghi e fiumi o evocare schemi
spaziali e traiettorie. Alcuni bogolan possono richiamare il disordine delle erbe secche della
boscaglia, e indicare, attraverso linee geometriche, il cammino sicuro del cacciatore che lo deve
attraversare.
La capacità di decifrare i disegni è riservata a pochi, in seguito a una lunga iniziazione. Conoscere e
interpretare la simbologia dei disegni e dei colori permette di comprendere chi lo porta: l′identità, il
ruolo sociale, la funzione religiosa, il tipo d′iniziazione, la partecipazione a certi culti. I colori stessi
hanno una loro simbologia, che si ritrova in tutta l’Africa sudanese occidentale. L′ocra rossa è il
colore del sangue e del sole; il nero è l′acqua, la vegetazione, l′oscurità; il bianco rappresenta il Dio
stesso, la luce e la purezza.
Per i Bambara i segni non corrispondono a delle lettere alfabetiche ma a dei mitogrammi, ispirati ad
un alfabeto, che formano una simbologia complessa. Sono la scrittura di una società, o meglio la
letteratura di un’epoca, il cui ricordo, talvolta, si è perso nella tradizione. Ma il segno è rimasto e si
reinventa in ogni composizione, in ogni panno, nella relazione con gli altri simboli e nella creazione
sempre originale e fantasiosa di nuovi significati.
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2. I Kente di Togo e Ghana
Il Kente è un tessuto composto da bande cucite multicolore di cotone o seta, molto famoso per il
simbolismo cromatico e figurativo.
Alla tessitura lavorano solamente artigiani uomini e per un vestito completo maschile (solitamente
lungo sei metri) occorre circa un mese di lavoro.
Origine
La prima citazione scritta di questo termine (nella forma kintee) risale al 1847, impiegata per
nominare un tipo di tessuto presente nella città di Popo, oggi in Togo. Si tratterebbe quindi di un
tessuto Ewé, una popolazione togolese, ma anche gli Ashanti del Ghana rivendicano la paternità del
tessuto. Secondo la tradizione dei primi la parola sarebbe la composizione dei verbi ke e te, “aprire”
e “chiudere”, termini usati per indicare la salita e la discesa dei fili del telaio impiegati per la
tessitura. Secondo le fonti Ashanti invece, il tessuto originale era di rafia, materiale un tempo
impiegato per fabbricare cesti e materassi, detti appunto kenten e kete nella lingua locale. Un’altra
versione ashanti rimanderebbe ad una frase il cui significato è: “qualunque cosa succeda, non si
strapperà”. Un’ultima etimologia fa risalire la parola kente alla lingua del popolo Fanti del Ghana, i
quali vedendo i tessuti ashanti, senza avere una tradizione di tessitura nel proprio bagaglio culturale,
avrebbe erroneamente definito “cesti” questi tessuti, pensando si trattasse della stesa cosa.
Quest’ultima spiegazione può essere la più accreditata, dal momento che né nella lingua éwé né in
quella ashanti esiste il termine kente per nominare i propri tessuti, per i primi sono avɔ, per i secondi
ntoma o ntama. La maggior parte degli Ewé sostiene che il tessuto sia originario della città di
Agotime, per gli Ashanti proviene dalla loro città di Bonwire.
In realtà è molto probabile che il tessuto si sia diffuso attraverso scambi culturali tra i due popoli.
Secondo la leggenda, condivisa da entrambi, due amici andati in foresta alla ricerca di selvaggina
avrebbero trovato un ragno gigante (il famoso Ananse) intento a tessere la propria tela.
Di ritorno dal villaggio imitarono l’opera dell’animale per confezionare una stoffa e così sarebbe
stato creato il primo kente offerto al re; egli, ammirato per la bellezza del dono, avrebbe
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immediatamente promosso i tessitori al rango della nobiltà ed essi sarebbero diventati gli unici sarti
ufficiali del sovrano, chiunque avrebbe osato imitarli sarebbe stato messo in prigione.
Questa leggenda mostra quindi l’importanza del tessuto kente attribuita dai re e dalla nobiltà Akan
Ashanti.
Funzioni ed utilizzo
Il Kente non è un semplice capo d’abbigliamento, ma rappresenta un vero e proprio codice di
condotta comunicato attraverso le forme e gli animali in esso presenti.
Tra gli Ashanti il tessuto è indossato dalla famiglia reale e dai nobili nel corso di cerimonie e
processioni; in occasioni di funerali reali, solo il capo defunto può essere vestito con il kente,
mentre i familiari portano abiti di colore nero o marrone. Il tessuto è anche impiegato anche per
ricoprire i recipienti contenenti medicine e amuleti considerati di origine divina.
Tra gli Ewè il tessuto non è esclusivo dei sovrani, ma è riservato a occasioni importanti come
matrimoni, ordinazioni sacerdotali, riti di iniziazione, cerimonie per la nascita di gemelli, festival e,
contrariamente ai vicini Ashanti, per i funerali.
Varietà
Tra gli Ewè le differenze nelle forme e nell’uso sono più numerose rispetto agli Ashanti, non
essendo condizionati nelle scelte dai sovrani e dalla loro corte.
Tra questi ultimi i diversi tipi di tessuto sono infatti associati ad avvenimenti storici, a re, regine
madri, proverbi, elementi naturali, animali e piante.
Tessuto Akan
Tessuto Ewè
Simbologia dei colori
In accordo con il proverbio “Il tessuto parla più della bocca”, i diversi colori trasmettono differenti
messaggi. In particolare:
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- Il bianco è il colore della purezza, dell’innocenza, della spiritualità e della pace. Poco utilizzato
nei kente, a volte presente solo in filigrana, questo colore rimanda alla sfera del sacro e delle
divinità;
- Il giallo, colore dell’oro, simbolizza la ricchezza in tutte le sue forme (finanziaria, spirituale,
intellettuale, etc. …), soprattutto quelle del re che lo sfoggia nel corso delle cerimonie pubbliche.
È anche associato alla generosità della terra, così come ai raggi del sole per ricordare tutte le virtù
del sovrano, dal potere agli onori, dallo status sociale elevato alla gloria ed alla purezza spirituale.
- Il nero è il colore del lutto e dell’oscurità, del male, ma anche del mistero e dei segreti. Viene
utilizzato prevalentemente nei riti di iniziazione e di purificazione; si tratta di un colore ambivalente
che oscilla tra oscurantismo ed energia spirituale necessaria per accedere al sapere nascosto.
Dal momento che combina positività e negatività, è temuto e rispettato nello stesso tempo; la sua
presenza discreta nei tessuti ricorda a tutto il popolo che sono i notabili i guardiani del trono.
- Il verde è simbolo della vita, della crescita e dell’armonia; esso rimanda alla foresta, al fogliame,
alla nascita ed alla giovinezza. Allo stesso modo richiama la prudenza e l’umanità, il lavoro dei
campi ed il rinnovamento spirituale. Associato al blu ed al giallo indica che la ricchezza e la nobiltà
si fondano sull’umiltà e sull’equilibrio.
- Il blu evoca i vasti spazi del cielo e del mare. Rappresenta la comunione, ma anche l’umiltà,
l’autocontrollo, la pazienza e la saggezza; è anche il simbolo di pace, armonia ed amore. Questo
colore è spesso associato al giallo, al bianco ed al rosso per indicare che la ricchezza e la potenza
poggiano sulla spiritualità, che la calma e la stabilità sono le fondamenta del potere.
Altri colori meno frequenti sono
- il grigio, in ricordo dei riti di purificazione;
- il marrone, come la terra madre, associato alle guarigioni;
- il rosa, portato dalle donne, a rappresentare la parte femminile della vita;
- il rosso, come il sangue, ricorda i riti sacrificali e la morte;
- l’argento, in ricordo della luna, è serenità, purezza, gioia.
Simbologia delle forme
Al pari dei colori forme e motivi geometrici costituiscono un codice simbolico; le principali sono
cinque: quadrato, triangolo, rombo, cerchio e croce.
- Quadrato, è il simbolo della terra e del cosmo, i quattro lati rappresentano l’unione di queste due
entità: nascita, esistenza, morte, onori. È associato alla femminilità, perché la donna dona la vita.
Questa forma è
molto presente nei kente, dal momento che gli Ashanti sono una società
matrilineare.
- Triangolo, esprime la vita attraverso i suoi tre lati. La base è la nascita, la venuta la mondo e
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l’esistenza, la realizzazione di sé e del proprio destino; il vertice è la morte fisica e l’innalzamento
spirituale. I tre lati sono anche paragonati alla famiglia, il maschile ed il femminile si uniscono per
generare il bambino così come si ritiene che mente e cuore diano vita alla volontà. In breve, il
triangolo illustra la vita umana.
- Rombo, è molto presente nei kente indossati dai re e dai nobili nel corso di grandi cerimonie.
È il segno della doppia identità del sovrano, uomo (la parte superiore) e capo (quella inferiore).
La figura ha una base comune aperta, ad indicare che il destino dell’uomo e quello del capo sono
legati, ogni gesto del capo ed ogni azione dell’uomo concorrono al prestigio di sé e dell’istituzione
reale.
- Cerchio, rappresenta l’infinito. La forma chiusa non ha né inizio né fine, è assimilato al potere
eterno, al pari della sovranità la cui origine si perde nella notte dei tempi e si perpetua sino alla fine
del mondo. Il cerchio pieno rappresenta l’universo, la società, la comunità degli uomini.
In quasi tutti i kente indossati per l’intronizzazione di un re è presente questa figura, per ricordare al
popolo l’origine divina del sovrano.
- Croce, riporta al movimento dell’acqua e del fuoco come ai quattro punti cardinali. Le braccia
orizzontali stese richiamano la forza vitale, il respiro vitale.
Oggi
L’uso dei kente non è limitato agli Ewè ed agli Ashanti, ma si è diffuso in Ghana ed in Costa
d’Avorio tra altri popoli di origine Akan.
Il tessuto ha anche raggiunto le comunità afroamericane statunitensi, che l’hanno assimilato nel loro
patrimonio culturale considerandolo uno degli elementi più visibili dei contributi africani alla
definizione della loro identità.
L’uso stesso si è democratizzato, non è più riservato solamente ai re; ormai è considerato un capo
d’abbigliamento da indossare in occasioni prestigiose come i matrimoni.
La sua diffusione ha visto anche sorgere delle imitazioni dei tessuti originali, che niente hanno a che
vedere con le lavorazioni tradizionali degli artigiani di Bonwire e Agotime.
Ma in un’epoca di globalizzazione delle merci e di
inevitabile?
liquidazione delle culture, non è forse
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3. I Kuba del Congo
Una delle produzioni tessili più interessanti dell′Africa nera, per quanto riguarda l′uso del segno, è
certamente quella dei velluti dei Kuba, un’insieme di etnie residenti nella zona del fiume Kasai,
nella Repubblica Democratica del Congo (Congo-Kinshasa). Tale produzione, secondo una
tradizione orale, sarebbe stata importata dal re Shyaam a-Mbul a-Ngoong dalle popolazioni a
occidente. Effettivamente nella regione Kwango- Kwilu, presso i Pende, e alla foce dello Zaire,
presso i Kongo, sembra che fossero presenti abiti in velluti di rafia. L′arrivo dei Portoghesi sulle
coste africane già dal XV secolo, la rotta commerciale battuta fin dal XVII secolo che attraversava
l′Africa dalla costa atlantica a quella indiana, la tratta degli schiavi organizzata nell′Ottocento dai
mercanti arabi e swahili nello Zaire sud-orientale, hanno certamente portato queste popolazioni in
contatto con i tessuti arabi e i paramenti liturgici medievali europei. Ne è testimonianza la presenza
di motivi ortogonali, spine di pesce, losanghe e quadrati a quinconce o dentellate, scaglioni, greche
che ricordano addirittura motivi dei mosaici romani. I tessuti Kuba possono quindi considerarsi il
risultato di un sincretismo afro-europeo e arabo-africano.
La materia base dei velluti Kuba, chiamati “musese”, è la rafia, una fibra vegetale ottenuta dalle
palme. La parte utile viene staccata dalle foglie più giovani ed essiccata al sole, poi tagliata a strisce
sottili e intrecciata dagli uomini con un semplice telaio, a formare canovacci quadrati di circa 50-70
cm di lato. Per renderlo più morbido e vellutato il tessuto viene immerso nell′acqua, avvolto in
stracci e impilato. Questa stoffa può essere dipinta prima di essere ricamata o una volta completata.
Le tinte sono di origine vegetale o minerale: per il verde è usato l′ossido di rame, per il rosso e il
blu ora sono usati il mercurocromo e il nastro da macchina per scrivere. Se la base viene dipinta
precedentemente il velluto può coprirne solo una parte della superficie, in modo tale che il colore
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della base sia visibile e contribuisca alla costruzione del pattern finale. Se lo sfondo è lasciato al
naturale, il velluto ricoprirà l′intera superficie. La rafia viene separata con un pettine a denti stretti,
per ottenere un filo che viene ammorbidito tra le mani, unito ad altri capi, ritorto e infilato in un
ago. Il ricamo è affidato alle mani delle donne, durante la gravidanza o nei periodi in cui non
possono svolgere lavori pesanti. Questi tessuti erano usati originariamente come offerte per i morti:
ogni defunto doveva essere ricoperto con le stoffe tessute, ricamate e possedute dal suo clan.
Portare i tessuti tradizionali era indispensabile al defunto per essere riconosciuto dagli antenati ed
essere integrato nella loro comunità. Altre funzioni erano quelle di dono o di risarcimento in caso di
divorzio o di adulterio, di materia di scambio o ancora di abiti in caso di cerimonie importanti e di
ricostruzione di eventi mitici. La decorazione a velluto è sempre astratta e geometrica, ma ogni
segno utilizzato ha un particolare significato. Spine di pesce, quadrati, croci, ganci si intersecano e
formano una gran quantità di motivi dai nomi diversi: Molambo (dito), Misinga (lacci), Bisha Koto
(schiena di coccodrillo), Nyinga (fumo), Mikope Ngoma (i tamburi di Mikope).
L′intero tessuto prende il nome dal motivo principale che vi è raffigurato, ma è da notare che
l′assegnamento del nome è sempre un′operazione di interpretazione: lo stesso nome può essere dato
a motivi diversi, così come lo stesso disegno può essere chiamato in modi diversi a seconda
dell′osservatore. Due motivi, presenti soprattutto tra i velluti del sottogruppo Bushoong, sono
particolarmente interessanti per il loro significato religioso: Woot, rappresenta il primo antenato,
capostipite della dinastia Bushoong, che dall′unione con la sorella ha generato tutti gli uomini.
E′ il primo re e il primo padre che veglia su tutti gli uomini, immortale; Imbol, è simbolo del
"mediatore", "colui che fa sapere, informa", ovvero l’intermediario tra gli uomini e la divinità.
L′intrecciarsi dei due simboli rappresenta metaforicamente il legame tra il mondo degli spiriti e
quello degli uomini.
Le composizioni si caratterizzano per la mancanza di simmetria e per la ricercata irregolarità.
Vi è una assoluta mancanza di centro o di bordi, e il disegno si costruisce su linee oblique a
scacchiera. La griglia si realizza come un processo di trasformazione dinamica: le proporzioni dei
quadrati e delle losanghe cambiano e si ingrandiscono da un lato all′altro del tessuto; i disegni
modulari si deformano (la linea di un quadrato si trasforma in una greca); spariscono le figure
principali e lo sfondo si trasforma in una figura; da spuntoni opposti si formano quadrati e altre
figure complesse; Woot e Imbol si fondono l′uno nell′altro. Ogni spazio concorre alla formazione
della decorazione e non vi sono spazi definibili come "vuoti". Vi è un continuo dinamismo degli
spazi e dei segni, che potrebbe avere un significato simbolico, legato ai momenti di transizione e di
trasformazione in cui i tessuti sono impiegati. Di sicuro vi è una apprezzata ricerca estetica e
creativa che rifugge dall′imitazione e dall′iterazione di motivi consolidati. L′arte è tenuta in gran
conto presso i Kuba ed è legata alla dignità regale.