TdO_6-2011 - Ortho Academy
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TdO_6-2011 - Ortho Academy
Anno VI ISSN 1970-741X Le Fratture di Bacino Allergie ai Metalli EDITORIALE Recentemente abbiamo presentato, nelle pagine di questo Giornale, un’iniziativa web dell’editore Griffin: il sito OrthoAcademy (www.orthoacademy.it), un portale che verrà gradualmente implementato con rassegne della letteratura internazionale, arricchito da casi clinici e ricerche originali e, nell’area riservata agli iscritti, corredato da video chirurgici. Perché questa iniziativa? Le informazioni pubblicate nella letteratura cartacea (dai manuali ai testi alla riviste professionali) rappresentano una fonte autorevole di informazioni per una decisione clinica ottimale. Tuttavia è generalmente difficile poter localizzare tali informazioni rapidamente, per la carenza di un’adeguata indicizzazione e per il problema di mantenere organizzato il materiale stampato. Inoltre passa un sensibile lasso di tempo prima che nuove informazioni vengano pubblicate e, una volta pubblicate, diventano rapidamente datate: senza contare che è piuttosto dispendioso dotarsi di gran quantità di informazioni su stampa in modo accurato e aggiornato, completo e facilmente accessibile. La maggior parte dei medici ha bisogno di consultare altre fonti di conoscenza clinica e di esperienza, almeno occasionalmente. (Per inciso, chi studia o lavora nel campo medico conosce l’importanza di PubMed, il database bibliografico della National Library of Medicine, contenente informazioni sulla letteratura scientifica biomedica dal primo dopoguerra a oggi, con milioni di riferimenti bibliografici derivati da migliaia di periodici e riviste biomediche). Peraltro, è praticamente impossibile per il clinico ricordare Continua a pag. 2 i n t e Poste Italiane Spa - Sped. in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. I comma I, DCB Milano Taxe Perçue La Valutazione Clinico-Metabolica ORTHOviews la Ricerca nel Mondo L ’ Un luogo virtuale dove crescere insieme Numero 6/2011 r v i s t Chirurgia Ricostruttiva a Paolo Rossi Congresso Nazionale SIdA Lo stato dell’arte in chirurgia dell’anca 1-5 ottobre 96° CONGRESSO NAZIONALE SIOT Materiali e rivestimenti in ortopedia Biotecnologie applicate alla traumatologia Rimini, Nuovo Palazzo dei Congressi Presidenti del congresso Francesco Greco, Nicola Pace GUARDA LA PRESENTAZIONE VIDEO SU www.orthoacademy.it Segreteria Organizzativa: Studio Ega Tel. 06.328121 - Fax 06.3240143 www.congressosiot.it/2011 - [email protected] GRIFFIN EDITORE www.griffineditore.it - [email protected] Corsi e Congressi 2 FACTS&NEWS L ’ i n t e r v i s t a nenti. Stesso discorso va fatto per la navigazione. A fronte di un aumentato tempo chirurgico, i risultati non sono diversi da quelli ottenuti con le tecniche convenzionali. La navigazione potrebbe essere utile per un corretto posizionamento delle componenti nelle tecniche mininvasive o nell’impianto di protesi di superficie. Tuttavia restano le perplessità di cui ho parlato prima. Chirurgia dell’anca specialità in forte sviluppo Il punto con l'esperto su accoppiamento dei materiali, soluzioni per il deficit osseo, protesi di superficie, chirurgia mininvasiva, navigazione computer assistita e chirurgia conservativa Uno degli eventi ortopedici più attesi quest’anno si svolgerà a Torino tra il 9 e il 12 settembre: è il congresso della Società italiana dell’anca (Sida), in cui i principali esperti del settore f a r a n n o i l p u n t o s u ll o s t a t o d e l l ’ a r t e e s u l l e prospettive di questa chirurgia. Alla presidenza del congresso un nome illustre: Paolo Rossi, professore ordinario di ortopedia e traumatologia all'Università di Torino e direttore del dipartimento e della prima clinica universitaria presso l’Azienda Ospedaliera Cto - Maria Adelaide di Torino. Professor Rossi, quali caratteristiche sono richieste ai materiali utilizzati nelle protesi d’anca? Le caratteristiche ideali dei materiali utilizzati negli impianti protesici si possono riassumere in cinque punti: ottima osteointegrazione, ottima resistenza a impatti e sollecitazioni cicliche, scarsa produzione di detriti e di ioni, minimo attrito a livello dell’accoppiamento, bassi costi. Gli ultimi quattro riguardano maggiormente l’accoppiamento testina-inserto, mentre osteointegrazione, resistenza e costi sono i fattori più rilevanti per le componenti metalliche (stelo e acetabolo). Tutti i materiali utilizzati devono inoltre essere biostabili e bioinerti. Nonostante il continuo miglioramento delle proprietà biomeccaniche dei materiali, una protesi con tutte queste caratteristiche purtroppo non esiste ancora. Quali accoppiamenti vengono usati e quali sono le loro caratteristiche? Gli accoppiamenti testinainserto più comunemente utilizzati sono metallo-polietilene, ceramica-polietilene, ceramica-ceramica e metallometallo. Gli accoppiamenti con il polietilene sono di nuovo largamente utilizzati, grazie al miglioramento delle proprietà biomeccaniche del polietilene stesso. Alcuni studi di laboratorio e clinici con follow-up lungo (10-22 anni) hanno dimostrato un’usura minima del polietilene di nuova generazione (highly cross-linked ultra high molecular weight Uhmwpe), quasi non misurabile. Rimangono tuttavia ancora dei dubbi a proposito della resistenza a rottura del Uhmwpe, soprattutto in caso di malposizionamento dell’acetabolo e nelle protesi di ginocchio postero-stabilizzate. Anche le nuove ceramiche (in ossido di alluminio) hanno dimostrato minima usura e produzione di detriti. Con i nuovi materiali sono anche disponibili teste in ceramica di grande dimensione. Il rischio di rottura della ceramica è presente, ma molto raro (meno di 1 per 1000). Un altro rischio raro della ceramica è quello dello squeaking, il “cigolio”. Gli accoppiamenti metallometallo, che hanno inizialmente avuto un grande successo grazie alla possibilità di avere ridotta usura, teste di grande dimensione e aumentata motilità, presentano tuttavia rischi di liberazione sierica di ioni metallici, reazioni da ipersensibilizzazione e allergiche. Stiamo andando verso degli standard o ancora tutto dipende dalle preferenze del chirurgo e dalle caratteristiche del caso clinico? Un vero e proprio standard non esiste ancora. La netta superiorità di un accoppiamento sugli altri non è ancora stata dimostrata. Cosa comporta l’utilizzo della vitamina E? Uno di problemi principali legati all’utilizzo del polietilene è rappresentato dalla sua ossidazione. Tale fenomeno rende complessi anche i processi di sterilizzazione del polietilene stesso. L’utilizzo della vitamina E (o alfa-tocoferolo), inserita nella polvere di polietilene prima della consolidazione, sembra ridurre in vitro questo processo di ossidazione e aumentare resistenza e longevità dell’inserto. Tuttavia la reale efficacia di tale aggiunta è supportata da poche evidenze in vivo. I materiali hanno importanza anche relativamente al deficit osseo. Quali sono i principali sostituti d’osso, biologici e non biologici, e quali problematiche presentano? La revisione di vecchi impianti protesici, con perdita di bone stock, è un problema con cui ci si confronta frequentemente nella pratica clinica e con cui ci si confronterà sempre di più data l’attuale tendenza a impiantare protesi d’anca in pazienti giovani con alte richieste funzionali, ovviamente quando non ci sono altre opzioni terapeutiche. La perdita di bone stock rende il reimpianto molto difficile. Quando possibile, l’utilizzo di innesti d’osso autologo od omologo rimane la prima scelta. Diverse tecniche chirurgiche sono state descritte per colmare difetti di bone stock con innesti ossei e tra queste ne ricordiamo alcune. L’impaction grafting è indicato nei deficit ossei di dimensioni ridotte, in cui delle chip di osso, generalmente più grandi di 5 mm, vengono impattate a livello del difetto. Le principali complicanze di questa tecnica sono rappresentate dalla subsidenza dello stelo e dalle fratture intra e post-operatorie. I cortical strut allograft, vere e proprie stecche di osso corticale, vengono utilizzati per trattare difetti ossei non contenuti o circonferenziali a livello del femore o in caso di fratture periprotesiche, con limitatissimo bone stock. Vengono fissati all’osso ospite con dei cerchiaggi. In caso di perdite ossee minori, il difetto può essere colmato con impianti protesici specificamente disegnati o, se la perdita d’osso è soltanto metafisaria, può essere semplicemente usato un impianto da revisione con presa diafisaria. Nei casi più gravi può essere preso in considerazione l’utilizzo di protesi da grandi resezioni (le protesi da tumore per intenderci). Anche a livello acetabolare si possono adottare diverse soluzioni, dall’impaction grafting, agli anelli da revisione (Muller o Burke-Schneider), a grandi innesti ossei omologhi con reimpianto protesico in uno o due step. I risultati di tali revisioni sono in genere molto inferiori ai primi impianti, ma accettabili considerando solitamente il grave quadro clinico iniziale. Che cos'è la protesi di superficie e a quali esigenze viene incontro? Premetto che io non uso la protesi di superficie, che è stata ideata per permetterne l’impianto in pazienti giovani - qualora non siano indicate altre opzioni terapeutiche -, in modo da preservare il bone stock e permettere una più facile revisione. La protesi di superficie è costituita da una cup metallica e da una testa metallica con un piccolo stelo, che viene inserita sul collo del femore del paziente, preservando la maggior parte del collo stesso. Al momento questo intervento è gravato da una percentuale di complicanze che, a mio avviso, sono ancora troppo alte per giustificarne un ampio utilizzo. Tra queste ricordiamo la frattura del collo femorale, la mobilizzazione dell’impianto, il dolore inguinale e la liberazione di ioni metallici. Quando ci saranno più studi in letteratura, con follow-up più lunghi e minori complicanze, probabilmente mi “convertirò” anch’io. Quali le altre novità nella chirurgia dell’anca? Tra le novità - che vere e proprie novità non sono, perché vengono ormai dibattute da anni, senza ancora una vera e propria soluzione - troviamo le tecniche mininvasive e la navigazione. Le tecniche mininvasive propongono l’impianto protesico attraverso una o due mini incisioni; tuttavia non hanno dimostrato netta superiorità rispetto alle tecniche convenzionali da nessun punto di vista: perdita ematica e risultati a breve e medio termine. Hanno inoltre una curva d’apprendimento più lunga e possono essere responsabili di malposizionamento delle compo- 3 Accanto allo sviluppo della chirurgia protesica, si sta affermando anche la chirurgia conservativa dell’anca. Meglio le tecniche artroscopiche o a cielo aperto? Segue da pag. 1 tutte le informazioni disponibili su tutte le patologie che ha la probabilità di incontrare, ovvero tutti i test alternativi e l’arsenale farmacologico a disposizione. Verosimilmente, persino gli esperti di un determinato settore hanno solo informazioni selezionate, che a loro volta possono essere non sistematiche, non rappresentative e viziate. Del resto, un medico che si dedicasse all’approfondimento accurato di un singolo caso probabilmente potrebbe seguire pochissimi pazienti e non accumulerebbe l’esperienza necessaria a gestire un’attività clinica come è richiesta nell’attuale contesto sanitario. Insomma, da sempre il problema è il reperimento di fonti sicure e il confronto - anche trasversale - tra le informazioni: a questo provvede l’editoria medica che, in buona sostanza, si può dire sia nata con la pubblicazione di rassegne e casi clinici. Ecco che cos’è, venendo al dunque, il nostro OrthoAcademy: un database di rassegne e casi clinici. Va detto che l’editoria medica internazionale nel tempo, e in modo particolare nell’ultimo decennio, è diventata più rigorosa e, basandosi sull’analisi delle evidenze, tende a pubblicare in prevalenza revisioni sistematiche. La preparazione di revisioni sistematiche presuppone però la padronanza di una metodologia di lavoro per certi versi complessa, tanto per gli autori quanto per i fruitori, motivo che ci ha portato a prediligere, per OrthoAcademy, la selezione di rassegne per così dire “narrative”. Non abbiamo la pretesa né l’obiettivo di costruire un “sistema esperto”, vale a dire uno di quei programmi di supporto alla decisione clinica che, di vario tipo e differente complessità, oggi vengono progettati e organizzati proprio per spostare e trasferire nella pratica clinica le evidenze della letteratura internazionale. Ritengo personalmente che in Italia introdurre in modo molto veloce strumenti di questo tipo sia alquanto incauto: natura non facit saltus, e la legge evolutiva della sanità italiana prevede ancora parecchi passaggi intermedi attraverso i gradi inferiori della scolarità informatica prima di arrivare a livelli davvero sofisticati. Tuttavia è giusto adeguarsi all’utilizzo di strumenti multimediali per l’informazione e la ricerca di dati: i più evoluti (forse i più giovani, sulla base di competenze elettroniche maggiori e di un minor... occhio clinico) saranno presto in grado di padroneggiare le fonti non cartacee approvvigionandosi con velocità incredibilmente maggiore di dati e notizie scientifiche. Chissà, forse è vero (almeno in parte) che il futuro dell’informazione sta nella rete. Per ora, e per i prossimi anni, utilizziamo la rete a supporto della carta, o meglio per ottimizzare la fruizione dei contenuti delle pubblicazioni cartacee. OrthoAcademy non è certo uno strumento di precisione ma vuol essere interattivo, almeno nel senso di accogliere volentieri suggerimenti e critiche costruttive dei lettorinavigatori. Torneremo comunque sull’argomento più volte, seguendo il percorso di crescita e di sviluppo del nostro portale, in parallelo allo sviluppo delle potenzialità della rete e alla maturazione delle competenze elettroniche dei medici fruitori. (Paolo Pegoraro) La chirurgia conservativa dell’anca rappresenta un argomento molto vasto, che include tutta una serie di patologie. Nel trattamento dell’epifisiolisi, nelle forme più gravi, e della displasia dell’anca sintomatica dell’adolescente e del giovane adulto, la chirurgia a cielo aperto rimane il gold standard nel trattamento. Le opzioni terapeutiche includono osteotomie e riorientamenti della testa femorale in caso di epifisiolisi e osteotomie femorali e periacetabolari nel caso della FACTS&NEWS diplasia d’anca sintomatica. Dove attualmente sta nascendo il dibattito è nel caso di impingement femoro-acetabolare, in cui le tecniche artroscopiche si sono aggiunte a quelle a cielo aperto. L’impingement femoro-acetabolare è una malattia dell’anca che deriva da una non perfetta conformazione dell’acetabolo o della testa del femore o di entrambi, che entrano in conflitto nell'escursione articolare. L’impingement può essere cam (“a camma”), quando la testa femorale non presenta una conformazione perfettamente sferica o pincer (“a tenaglia”), quando l’acetabolo ricopre eccessivamente la testa del femore. In alcuni casi entrambe le malformazioni possono essere associate. La lussazione chirurgica dell’anca, le tecniche artroscopiche e le tecniche combinate sembrano tutte migliorare la sintomatologia dei pazienti con impingement femoroacetabolare e nessuna ha dimostrato di essere significativamente superiore alle altre. Tuttavia gli approcci artroscopici sembrano essere gravati da una minore percentuale di complicanze e da un più veloce recupero post-operatorio. Renato Torlaschi IL CONGRESSO SIDA DI TORINO Il congresso della Società italiana dell'anca (Sida) si terrà a Torino presso il Molecular Biotechnology Center (Mbc) della Scuola universitaria - interfacoltà per le biotecnologie (via Nizza, 52) nelle giornate di venerdì 9 e sabato 10 settembre. Il meeting sarà incentrato sullo stato dell'arte e sulle prospettive della chirurgia dell'anca. L'aspetto delle innovazioni in ambito medico e ortopedico in particolare merita una riflessione da parte del professor Paolo Rossi, direttore del dipartimento e della prima clinica ortopedica dell'Università degli Studi di Torino, presidente del congresso e della Società scientifica. «La nostra è una scienza a elevato impatto tecnologico - spiega il chirurgo - dove le conquiste in questo ambito spesso si confondono con operazioni di marketing. Ecco allora la necessità di assumere una precisa rotta di comportamento verso le innovazioni: prima fermarsi a capire, criticare, valutare e solo alla fine muoversi verso il nuovo». È una riflessione che sarà alla base di tutte le relazioni congressuali, che si concentreranno in particolare sulle soluzioni chirurgiche e protesiche. Tra gli altri temi affrontati, segnaliamo: la diagnosi, la terapia conservativa, il resurfacing, gli interventi di revisione e un’importante riflessione sui registri protesici, con l'intervento di esperti di diversa estrazione professionale. Nell’ambito del congresso, in uno spazio dedicato, è prevista un’esposizione di prodotti farmaceutici e diagnostici, apparecchiature elettromedicali e pubblicazioni scientifiche. Per informazioni: OIC srl Tel. 055.50351 - Fax 055.5001912 [email protected] - www.chirurgiaanca.com 4 FOCUS ON Fratture di bacino Trattamento complesso e in due step Alberto Nicodemo Dall'intervento salvavita in pronto soccorso al trattamento definitivo, affidato a chirurghi estremamente esperti e super specializzati A Orbassano, vicino a Torino, presso l’Azienda ospedaliero universitaria San Luigi Gonzaga, esiste un centro di riferimento per la patologia traumatica e ricostruttiva dell’anca e del bacino. Diretto da Alessandro Massè, offre la possibilità di trasferimento e trattamento a tutte le altre strutture che ne facciano domanda per un loro paziente. Il dottor Alberto Nicodemo fa parte di questo team specialistico e ci offre un approfondimento delle tematiche cliniche affrontate nel centro piemontese. Dottor Nicodemo, parliamo di fratture di bacino. Ha qualche dato epidemiologico da fornirci? Le fratture di anello pelvico sono lesioni rare, con un’incidenza inferiore al 5% di tutte le fratture. Questa percentuale sale però al 20% se consideriamo i politraumi. La mortalità per shock emorragico supera in alcune casistiche il 10%. Secondo quali dinamiche avvengono queste fratture? Sono quasi sempre conseguenti a traumi a elevata energia come incidenti motociclistici e automobilistici o cadute dall’alto. Esistono pericoli legati a certe attività sportive? Queste fratture sono raramente conseguenti ad attività sportiva. Possono però saltuariamente verificarsi in alcuni sport particolarmente violenti come l’hockey e il football americano o attività sportive che comportino elevate velocità, come lo sci e la mountain bike. Qual è lo stato dell’arte relativamente al trattamento di queste fatture? Al contrario di ciò che è capitato con il trattamento delle fratture acetabolari, che è stato codificato già negli anni Settanta da Letournel, per il trattamento delle fratture pelviche solo negli ultimi anni sono state formulate delle regole universalmente riconosciute. Fino a pochi anni fa non era infrequente sentir dire che questi pazienti erano “troppo gravi” per essere operati o che il trattamento chirurgico non dava comunque risultati superiori a quello conservativo. La letteratura internazionale e anche noi con la revisione dei nostri casi abbiamo dimostrato il contrario. Se queste fratture sono trattate correttamente, i risultati funzionali possono essere buoni o ottimi. Grazie a questa standardizzazione, si stanno veri- ficando notevoli miglioramenti nella cura di questi pazienti, anche se, a mio modo di vedere, tanto deve essere ancora fatto. Quali evoluzioni si stanno attualmente verificando in questo tipo di chirurgia? L’argomento è ultimamente molto vivo, con numerose pubblicazioni scientifiche che propongono nuovi tipi di trattamento. Tra tutti cito il sistema di navigazione per le osteosintesi più complesse, che però necessita ancora di alcuni miglioramenti, e tutti i sistemi di riduzione e sintesi mininvasiva che, quando applicabili, evitano ingenti sanguinamenti intraoperatori. Si ricorre inoltre all’utilizzo dell’angiografia nel controllo del sanguinamento in fase acuta. Passi avanti devono essere fatti anche nella gestione e cura delle lesioni urolo- EPIDEMIOLOGIA DELLE COMPLICANZE NELLA CHIRURGIA DELLA PELVI È il dottor Alberto Nicodemo a presentarci i risultati di uno studio effettuato dall’équipe del centro di chirurgia del bacino e dell’anca del reparto di ortopedia dell’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, guidato dal professor Alessandro Massè. «Da un recente lavoro di revisione di 129 fratture instabili di anello pelvico da noi trattate è emersa una frequenza di lesioni vescicali e uretrali del 9% circa e di lesioni neurologiche periferiche del 6,5% - ci ha spiegato Nicodemo -. Queste lesioni sono più frequenti nelle fratture con maggiore scomposizione. Le lesioni urinarie sono frequentemente associate a quelle dell’ambito sessuale. Un dato molto interessante emerso dal nostro studio è che la qualità della riduzione della frattura è correlata in modo statisticamente significativo con l’outcome funzionale sia nell’ambito osteomuscolare sia in quello sessuale e urinario» ha concluso il chirurgo. R. T. UN CASO CLINICO PARTICOLARMENTE SUGGESTIVO Paziente maschio di 55 anni, con frattura scomposta Fig. 1: la ricostruzione TC-3D mostra una frattura scomposta di anello pelvico tipo C3 Fig. 2: taglio TC che evidenzia le lesioni posteriori (frattura ala sacrale a destra + lussazione sacro iliaca a sinistra) Fig. 1 Fig. 3 Fig. 3: il fissatore esterno è stato applicato in urgenza, la riduzione e sintesi posteriore con viti sacro-iliache e placca transiliaca è stata invece eseguita a distanza di alcuni giorni dal trauma Fig. 4: risultato a 3 mesi circa Fig. 2 Fig. 4 5 FOCUS ON giche, neurologiche e sessuali associate frequentemente a queste fratture e che spesso sono responsabili di esiti molto invalidanti. Purtroppo la sperimentazione in questo campo, almeno in Italia, ha poche risorse a disposizione, al contrario di quello che succede ad esempio per la chirurgia protesica, dove le aziende produttrici, per motivi commerciali, sono disposte a investire molto di più. Ci può descrivere le due fasi tipiche per il trattamento delle fratture di bacino? Come ho già detto, questi pazienti sono quasi sempre vittime di gravi incidenti e spesso hanno più lesioni associate. Per questo motivo le lesioni instabili di anello pelvico sono trattate in due fasi. Nella fase acuta si applicano i principi del “damage control orthopaedics”, effettuando interventi poco IL CENTRO PER LA PATOLOGIA TRAUMATICA E RICOSTRUTTIVA DELL’ANCA E DEL BACINO A sinistra il professor Reinhold Ganz di Berna, a destra il professor Alessandro Massè invasivi e rapidi per stabilizzare la frattura senza traumatizzare ulteriormente il paziente. Quando le condizioni generali sono migliorate si riduce e stabilizza la frattura in modo definitivo, la maggior parte delle volte con un’osteosintesi interna. In questa fase gli interventi sono complessi, possono essere piuttosto invasivi e utilizzano strumentari e mezzi di osteosintesi dedicati. Per questi motivi il trattamento non in acuto dovrebbe essere gestito da ortopedici super specializzati nella chirurgia pelvica. Riassumendo si può dire che l’intervento ortopedico può essere considerato inizialmente quasi un gesto rianimatorio che ha lo scopo di contenere il sanguinamento, mentre successivamente serve a contenere gli esiti e migliorare il risultato funzionale finale. Quanto è utile riferirsi a protocolli? Il nostro gruppo, guidato dal professor Alessandro Massè, lavora all’ospedale San Luigi di Orbassano (Torino) dove ogni anno sono inviati da altri ospedali del Piemonte e da altre Regioni circa 70 pazienti con fratture di anello pelvico e acetabolo per il trattamento definitivo. Fino ad oggi abbiamo trattato più di 400 casi. I pazienti, alcuni giorni dopo l’intervento, vengono nuovamente inviati negli ospedali di provenienza. Grazie a questa esemplare collaborazione tra colleghi e ospedali riusciamo ad affrontare la patologia traumatica, ma ad avere spazio anche per le nostre altre attività che sono la chirurgia protesica e la chirurgia conservativa dell’anca. Quest’ultima in particolare è un argomento molto attuale, che portiamo avanti grazie alla collaborazione con il professor Reinhold Ganz di Berna e con il Gruppo italiano di chirurgia conservativa dell’anca (Gicca). Scopo di questo trattamento è la correzione delle deformità articolari per evitare di arrivare alla sostituzione protesica, o perlomeno ritardarla il più possibile. Le patologie più frequentemente affrontate sono la displasia dell’anca, l’epifisiolisi e il conflitto femoroacetabolare, che trattiamo con tecniche a cielo aperto, mininvasive e artroscopiche. Abbiamo anche la fortuna di lavorare con degli specializzandi che ci aiutano quotidianamente nell’attività clinica e chirurgica oltre che in quella scientifica, che ha prodotto su questi argomenti numerose pubblicazioni e relazioni a congressi. Tutti questi temi saranno affrontati come capita da tre anni a questa parte dal corso di chirurgia traumatica e conservativa dell’anca e del bacino che si svolge nel Polo Universitario all’interno del nostro ospedale per un ristretto numero di ortopedici che vogliono cimentarsi con una chirurgia molto difficile e affascinante al tempo stesso. Dott. Alberto Nicodemo L’utilizzo di un protocollo di gestione dei traumi dell’anello pelvico è fondamentale in acuto, quando bisogna essere rapidi ed efficaci. Considerando che in questa fase intervengono più specialisti - anestesista, chirurgo generale, ortopedico, radiologo - non si devono aver dubbi su chi è il team leader e quali sono le priorità. Esistono moltissimi protocolli di questo genere; noi utilizziamo quello da noi ideato in collaborazione con anestesisti e chirurghi generali del Cto di Torino nel 2004 e pubblicato nel 2008 sul Journal of Orthopaedics and Traumatology. Esso è il risultato della nostra esperienza personale e della revisione della letteratura internazionale e ha dato fino ad oggi ottimi risultati. Deve essere però chiaro che non esiste un protocollo ideale, ma si deve scegliere quello più adattabile alla struttura nella quale si lavora e alle proprie capacità. Come avviene tipicamente il decorso post-operatorio? Molto dipende dalla presenza o meno di lesioni associate, ma in linea di massima dopo la sintesi definitiva il carico è proibito dal lato affetto per due o tre mesi. Nelle lesioni più complesse si limita anche la flessione dell’anca nei primi 40 giorni. Frequentemente sono necessarie delle trasfusioni post operatorie. Quali sono le principali complicanze? Le complicanze in questi traumi purtroppo non sono rare. Dal punto di vista scheletrico possono esitare delle dismetrie e dolori cronici soprattutto in sede sacroiliaca, ma molto gravi sono anche le disfunzioni della sfera urologica e sessuale e le lesioni neurologiche in generale. Queste ultime possono essere anche conseguenti a stiramenti di radici o nervi periferici che si verificano durante le procedure chirurgiche, con conseguenti problemi sensitivi o motori agli arti inferiori. Il trattamento di queste complicanze richiede a volte ulteriori interventi chirurgici, come può capitare per le lesioni uretrali. Anche in questo caso è importante la collaborazione con altre specialità. Qual è l’importanza della specializzazione in questo campo e qual è il ruolo dei centri specialistici? Nella fase acuta qualunque ortopedico di pronto-soccorso dovrebbe essere in grado di gestire una frattura di anello pelvico, ad esempio applicando un fissatore esterno. È compito delle scuole di specializzazione formare i giovani ortopedici in tal senso, considerando che questa è una delle poche procedure ortopediche potenzialmente salvavita. Il discorso è completamente diverso per il trattamento definitivo. Essendo lesioni rare, ma molto complesse e gravate da numerose complicanze anche di tipo iatrogeno, non devono essere trattate da chi affronta quattro o cinque casi l’anno. Il valore della super specializzazione in questo campo è già riconosciuto anche all’estero. In Inghilterra esistono ad esempio degli ospedali di riferimento in cui lavorano dei “pelvic team”. In Italia da questo punto di vista siamo ancora indietro, anche se devo dire che il gruppo nel quale lavoro costituisce un riferimento per questa patologia per tutto il Piemonte e non solo. Voglio ricordare che per il buon funzionamento del nostro team non è sufficiente il lavoro che noi svolgiamo in sala operatoria, ma serve anche quello degli anestesisti, dei nostri strumentisti, che ormai hanno un’ottima padronanza degli strumenti utilizzati nella chirurgia pelvica, e degli infermieri e fisioterapisti che gestiscono nel pre e post operatorio questi pazienti. Renato Torlaschi EDITORIA SCIENTIFICA REALIME, LA RIVISTA DI REAL LIFE MEDICINE Forse troppo spesso sottovalutati, i case report esprimono a pieno la loro valenza didattica nel momento in cui riescono a chiarire la successione delle tappe logiche del ragionamento clinico alla luce dei fatti. Sono queste le premesse da cui nasce ReaLiMe - Real Life Medicine, esperienze cliniche a confronto - l’iniziativa editoriale di Agave Farmaceutici, che mira a sviluppare la condivisione e il confronto sulla pratica clinica in ortopedia. Casi clinici: utilità nell’era dell’Ebm Chi segue le riviste di medicina sa che vale la pena di dedicare del tempo alla lettura di casi clinici. Negli ultimi anni la validità dei case report è stata spesso messa in dubbio. Forse perché in passato i casi descritti in letteratura si sono soffermati su manifestazioni “bizzarre” di disturbi o di patologie se non su episodi assolutamente sorprendenti, sovente riscontrabili nella pratica clinica quotidiana. Eppure il caso clinico serve moltissimo. È utile a riconoscere e descrivere una nuova malattia; a individuare effetti sconosciuti di farmaci, sia indesiderati sia benefici; ad approfondire la patogenesi delle malattie; a riconoscere manifestazioni rare delle patologie; a supportare l’attività formativa del medico. In medicina occorre raggiungere evidenze su cui poter basare le decisioni cliniche. È su questo concetto che si fonda la medicina basata sulle evidenze (Ebm), che organizza e struttura le decisioni mediche sul processo sistematico di reperimento, valutazione e uso dei risultati della ricerca. Ma, in assenza di trial clinici più importanti, spesso i report di casi singoli sono l’unica evidenza disponibile. Per questo oggi si valorizza l’osservazione dei casi clinici come realtà di prima linea in grado di offrire elementi preziosi per prendere decisioni mediche. Si parla pertanto di Real Life Medicine (Rlm): in pratica, un impegnativo lavoro sul campo. Spesso molte differenze tra Ebm e Rlm sono determinate da fattori del tutto personali, socioeconomici o geografici, di cui occorre tener conto per mediare e integrare queste due vie, che portano entrambe a una decisione clinica. In apparenza l’una sembra interpretare la scienza e l’altra l’intuizione e la pratica, ma insieme concorrono a una visione più ampia della medicina. Non a caso, alcune prestigiose riviste hanno mantenuto la tradizione del case report: le più emblematiche sono certamente il New England Journal of Medicine e Lancet. ReaLiMe nasce quindi con ottimi precedenti e illustri progenitori per dare spazio alla professionalità che si misura quotidianamente sul campo. Il progetto editoriale L’oggetto d’attenzione è l’apparato osteo-muscolo-tendineo, ovvero l’articolazione nel suo complesso in quanto vero e proprio organo. Un board scientifico di primo piano selezionerà i casi in pubblicazione su ogni numero della Rivista. L’intento di ReaLiMe è quello di stimolare il confronto, il dibattito, lo scambio di idee, e tutto ciò è amplificato dal sito www.realime.it, dove è possibile partecipare alla discussione e leggere on line la Rivista. Al termine di ogni anno di pubblicazioni, il board premierà il miglior caso clinico - il più originale, il più curioso e stimolante, in definitiva quello che ha qualcosa da insegnare. 7 FACTS&NEWS Al Galeazzi si studia l'allergia ai metalli Nasce un Centro interdisciplinare per la prevenzione e la diagnosi delle allergie ai metalli con cui sono costruite le protesi chirurgiche N egli ultimi anni una sempre maggiore attenzione è stata riservata ai materiali utilizzati per le protesi ortopediche che, pur mostrando generalmente una buona biocompatibilità, per il contatto con i tessuti biologici e per l’azione meccanica possono andare incontro a corrosione, degradazione e usura, con conseguente produzione di detriti e ioni metallici. Metalli e polimeri sono i principali materiali di cui sono costituite le protesi che, in contatto con fluidi biologici, possono rilasciare ioni e molecole in grado di attivare non solo il sistema immunitario e indurre una reazione di ipersensibilità di tipo ritardato (Dht, delayed type hypersensitivity), ma anche alterazioni infiammatorie legate alla reazione macrofagica dei tessuti periprotesici. I materiali a rischio I metalli ortopedici riconosciuti come i più comuni sensibilizzanti sono il nichel (Ni), il cobalto (Co) e il cromo (Cr), mentre il titanio (Ti) e il vanadio (V) appaiono come allergeni di secondo piano. Fino ad oggi sono stati tenuti in scarsa considerazione i biomateriali polimerici (cementi ossei acrilici) che, pur non essendo facilmente suscettibili a una degradazione, possono anch’essi essere la causa di reazioni immunologiche e infiammatorie pari a quelle legate ai metalli. Le dimensioni del problema Le prime segnalazioni di dermatiti legate alla sensibilizzazione ai materiali degli impianti risalgono al 1966. Successivamente diversi case report hanno documentato sia forme localizzate, interessanti la cute sovrastante l’impianto (eczema, prurito), sia forme generalizzate (prurito diffuso, eczema, orticaria, vasculite). Malgrado la sostanziale prevalenza della sensibilizzazione ai metalli dopo un impianto protesico, le sensibilizzazioni sintomatiche che si presentino come complicanze dermatologiche sono comunque rare e si stima che insorgano in meno dell’1% dei pazienti. L’ipersensibilità di tipo IV, o Dht, sembra invece giocare un ruolo chiave nell’influenzare la performance dell’impianto: dati derivanti da diversi studi riportati in letteratura hanno evidenziato una più alta percentuale di sensibilizzazione ai metalli (60%) nei pazienti con una minor durata o perdita della protesi. La maggior parte degli autori attribuisce alla risposta immunologica locale una probabile importanza nell’iniziare o accelerare tutti quegli eventi che portano al fallimento o a un accorciamento della vita della protesi. Quale strumento per la diagnosi? Ancora oggi si discute su quali siano i test (in vivo o in vitro) più idonei ad evidenziare una sensibilizzazioni ai metalli delle protesi. I test allergologici in vivo effettuati direttamente sul paziente (test epicutanei a lettura ritardata) per la facilità di esecuzione e per il costo limitato sembrano a tutt’oggi i più adatti per essere usati come screening in pazienti canditati a un intervento protesico, e potrebbero essere annoverati tra gli esami di routine prericovero almeno in quei pazienti con note anamnestiche positive per allergie intercorrenti (vedi box a lato). Da tener presente che tali test devono essere a nostro avviso assolutamente eseguiti in quei pazienti nei quali si debba re-intervenire per una revisione o per una seconda protesizzazione. I test in vitro effettuati sui linfociti dei pazienti (Ltt, lymphocyte transformation test) sono considerati da alcuni autori ancora più sensibili rispetto ai test epicutanei sopra citati. Tali indagini, essendo dei test che utilizzano dei traccianti radioattivi, prevedono però laboratori I PRINCIPALI METALLI CONTENUTI NELLE PROTESI, CAUSA DI ALLERGIA Nichel, Cromo, Cobalto, Vanadio, Titanio particolarmente attrezzati e alti costi di effettuazione. Pertanto devono essere ritenuti test di approfondimento o di conferma solo per pochi allergeni e in casi selezionati o per sensibilizzazioni non facili da dimostrare, con il solo patch test (es. titanio) per problemi tecnici. La ricerca del Galeazzi Allo scopo di individuare in maniera prospettica o attuale l’eventuale allergia ai componenti delle protesi e valutarne il reale impatto sulla qualità della vita del paziente e sulla performance della protesi abbiamo istituito presso l’Irccs Ortopedico Galeazzi di Milano un Centro interdisciplinare per la prevenzione e la diagnosi dell’allergia ai metalli, in collaborazione con allergologi, ortopedici e dermatologi sotto l’egida della Società italiana di dermatologia allergologica professionale e ambientale (Sidapa). Tra le finalità del Centro si annoverano non solo la ricerca nel campo dell’allergologia diagnostica ma anche lo studio e l’affinamento di metodiche con lo scopo di semplificare e diffondere la possibilità di diagnosticare la presente o possibile allergia ai metalli contenuti nelle protesi di qualunque tipo ed interessanti qualsiasi organo e numerose branche medico-chirurgiche (ortopedia, odontostomatologia, cardiologia, patologia vascolare, gastroenterologia e urologia). Inoltre il Centro contempla anche la pubblicazione e la diffusione di articoli scientifici di implantoprotesi e diagnostica allergologica. Ci proponiamo infine di organizzare convegni e corsi di aggiornamento sulle nuove acquisizioni e tecniche sviluppate in tema di protesizzazione ortopedica e prevenzione nel- Il professor Gianfranco Altomare è responsabile del servizio di dermatologia e malattie a trasmissione sessuale dell'Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano ed è docente alla scuola di specializzazione in dermatologia e venereologia dell'Università degli studi di Milano l’ambito dell’allergologia ai metalli. Il particolare interesse allo sviluppo e alla finalità del Centro stesso consentirà di interessare giovani specialisti con l’istituzione di borse di studio e assegni di ricerca finanziati da enti e istituzioni che presentino interessi convergenti. Ci auguriamo inoltre che questo sia un primo passo per l’istituzione di altri centri simili o di strutture interessate a far convergere presso di noi dati riguardanti problemi allergologici legati alla protesizzazione, per istituire un domani un registro nazionale che possa evidenziare il reale impatto di questi eventi avversi sull’impianto stesso e sulla qualità di vita del paziente. Prof. Gianfranco Altomare ALLERGENI TESTATI AL GALEAZZI (TEST EPICUTANEI) • nichel • cobalto • bicromato di potassio o cromo cloruro • molibdeno o molibdato di ammonio • manganese ossido • vanadio cloruro • titanio biossido titanio IV ossido • rame • niobio • benzoilperossido • idrochinone • Metilmetacrilato • Idrossietilmetacrilato • nn dimetilparatoluidina • gentamicina + eventuali altri allergeni in base ai dati anamnestici 8 FACTS&NEWS Si apre il confronto sulla chirurgia articolare Le Società scientifiche Sia e Sigascot aprono i lavori del congresso di Palermo, nel quale i maggiori esperti mediterranei di chirurgia articolare si confronteranno sulle diverse esperienze cliniche «Dopo circa due anni di preparazione, annunci e rinvii, in un momento non certo sereno in buona parte dell’area mediterranea dal punto di vista politico, dal 16 al 18 giugno si svolgerà a Palermo il primo congresso di chirurgia articolare dei Paesi del Mediterraneo». Sono le parole di Vincenzo Adriano Paolillo, che presiederà il congresso con Antonino Niceforo, affiancati da Raul Zini e Claudio Zorzi, presidenti rispettivamente di Sia - Società italiana di artroscopia – e di Sigascot - Società italiana di artroscopia, traumatologia dello sport, chirurgia di ginocchio e tecnologie ortopediche. Tabloid di Ortopedia ha intervistato il dottor Paolillo per fare il punto sulla chirurgia articolare e per capire meglio cosa ci riserva un congresso che presenta molti aspetti particolari e di sicuro interesse. Responsabile dell’Unità operativa di chirurgia e artroscopia del ginocchio presso la Nuova casa di cure Demma di Palermo, Vincenzo Adriano Paolillo vanta un’esperienza quasi trentennale nella chirurgia articolare del ginocchio, di cui è certamente uno tra i più stimati esperti, non solamente in campo nazionale. Dottor Paolillo, quali motivi alla base dell'organizzazione di un congresso di questo tipo? Per la prima volta punteremo lo sguardo verso il sud del mondo, verso quei Paesi tanto vicini a noi e al tempo stesso, fatta qualche eccezione, poco conosciuti dal punto di vista professionale. Per la Sia è una vera e propria sfida, una scommessa che vuol vincere e per la quale ha messo a punto il “Progetto del Mediterraneo”, del quale è responsabile il dottor Antonino Niceforo, che mira a creare rapporti solidi e duraturi con i chirurghi articolari che operano nell’area mediterranea, finalizzati a una crescita culturale e professionale reciproca. Il Congresso rappresenta un primo passo verso la costruzione di scambi scientifici che, ne siamo certi, oltre a riaffermare l’ottimo livello della nostra comunità medica, servirà a creare e condividere progetti comuni per ciò che riguarda la formazione e perfezionamento dei chirurghi articolari. A condividere motivazioni e finalità del progetto è stata la Sigascot, che con il proprio contributo scientifico ha dato ulteriore spessore all’iniziativa. La tematica è tra le più attuali... L’innalzamento della vita media e l’aumento di esposizione a occasioni traumatiche (motorizzazione, sport ecc.) che caratterizzano le società del benessere hanno determinato un sensibile incremento di patologie degenerative e traumatiche che colpiscono l’apparato locomotore. Quotidianamente nei nostri ambulatori o corsie ci confrontiamo con pazienti che, in misura sempre crescente, necessitano di chirurgia protesica, di trapianto meniscale, condrale o di una plastica legamentosa. Anche in questo settore si sta sempre più andando verso la specializzazione su una singola articolazione. Cosa ne pensa? Ormai il paziente non si rassegna più al fatto che una limitazione funzionale possa in qualche modo pregiudicare la sua normale vita di relazione, ivi compresa quella sportiva; richiede ai chirurghi articolari, oggi più che mai, interventi tempestivi e appropriati che possano permettergli un più rapido e ottimale ritorno alle proprie attività. Per ottenere questo risultato, a mio avviso, è importante seguire l’esempio dei colleghi americani, ovvero prediligere e perfezionarsi verso la chirurgia di una singola articolazione, anche se magari non in modo così spinto ed esagerato... Ricordo a tal proposito le enormi difficoltà incontrate da un noto chirurgo americano, esperto nella chirurgia protesica del ginocchio, di fronte a una banale meniscectomia selettiva in artroscopia: temo, ogni volta che ritorno negli Stati Uniti, di trovare chirurghi ortopedici per il ginocchio destro e per il sinistro. Al di là delle battute, sono convinto che l’esperienza e Vincenzo Adriano Paolillo un’ottima manualità si acquisiscano solo dedicandosi quotidianamente preferibilmente a una sola articolazione, e ciò ci viene richiesto dagli stessi pazienti, che pretendono dal chirurgo il più alto livello di specializzazione. Infatti oggi è sempre più frequente imbattersi in pazienti che chiedono al proprio medico curante di essere indirizzati allo specialista della spalla, anca o ginocchio per il trattamento della propria patologia, piuttosto che al chirurgo ortopedico in senso lato. Un altro fenomeno è il ruolo sempre più ampio della biologia... Il trattamento di lesioni osteo-condrali, capsulo-legamentose, tendinee o meniscali trova oggi interessanti ed entusiasmanti nuove possibilità. L’orientamento riparativo che ne ha caratterizzato l’impostazione terapeutica sta progressivamente cedendo il passo alla ricerca della rigenerazione tissutale. Dunque non si tratta più di sostituire o vicariare le strutture lese o degenerate bensì di puntare alla loro rigenerazione. La bioingegneria e soprattutto l’ingegneria tissutale, applicata all’ortopedia, aprono una nuova frontiera verso la medicina rigenerativa, il cui fine è la ricostruzione biologica dei tessuti dell’apparato locomotore. Ecco dunque imporsi l’impiego delle cellule (fattori di crescita-staminali) e terapia genica nonché degli scaffold sintetici e biomimetici, verso i quali si guarda con entusiasmo ma anche con cautela in attesa di definitive conferme scientifiche. Sarà possibile in un futuro prossimo fare a meno delle protesi o delle ricostruzioni legamentose ad esempio? Forse sì, ma l’attuale entusiasmo non ci deve distogliere da quelli che sono allo stato attuale limiti scientifici, etici, giuridici ed economici di tale impiego. Renato Torlaschi LA RICOSTRUZIONE DEL LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE A Palermo, al primo congresso di chirurgia articolare dei Paesi del Mediterraneo, uno degli argomenti al centro della discussione sarà la ricostruzione del legamento crociato anteriore, che rappresenta una delle più frequenti patologie articolari con la quale gli ortopedici si confrontano giornalmente. Sulla chirurgia di questo legamento sono numerosissimi i lavori scientifici, i corsi e i congressi che si tengono a livello nazionale e internazionale. Un tema, questo delle lesioni del Lca, sul quale Vincenzo Adriano Paolillo, che presiederà il congresso con Antonino Niceforo, vanta una notevole esperienza, clinica e didattica. «Per quanto si possa considerare chirurgia routinaria, essa resta comunque complessa e destinata a chirurghi esperti, poiché non è scevra da insidie che solo i professionisti più abili riescono a gestire senza compromettere l’esito positivo dell’intervento - spiega il chirurgo -. La ricostruzione del Lca ci pone di fronte a problematiche legate alla scelta del trapianto, alla tecnica d’impianto, al tensionamento e fissazione del neolegamento e al protocollo riabilitativo. La prima problematica, dunque, è quella legata al tipo di trapianto da utilizzare: autograft, allograft o sintetico. Per quanto gli allograft siano affidabili sotto tutti i punti di vista e ormai largamente impiegati non soltanto nelle lesioni complesse o nelle revisioni, restano gli autograft, ove possibile, la prima scelta nella ricostruzione del Lca, poiché i tempi di maturazione e osteo-integrazione sono ridotti rispetto agli allograft e i risultati a distanza considerati mediamente migliori. I legamenti artificiali, anche se quelli di ultima generazione sembrano aver risolto buona parte dei problemi che ne avevano decretato il fallimento (degradazione del materiale, sinoviti croniche reattive), lasciano ancora oggi gran parte degli ortopedici alquanto scettici su un loro ampio impiego. Personalmente - dice Paolillo - preferisco utilizzarli nei pazienti oltre i 40-50 anni». Ma i dubbi sono anche relativi alla tecnica chirurgica. Come ci ha spiegato Vincenzo Adriano Paolillo, che l’impianto vada fatto in artroscopia sono tutti d’accordo, ma le diverse varianti tecniche utilizzabili dividono i chirurghi articolari. «Dalla consolidata ricostruzione a un fascio che prevede l’esecuzione di un tunnel tibiale e femorale (o, più frequentemente, half tunnel) si fa oggi sempre più strada la ricostruzione a doppio fascio, che invece prevede l’esecuzione di due tunnel tibiali e due half tunnel femorali. In questo caso, oltre al fascio antero mediale (ricostruzione a singolo fascio) verrebbe ricostruito anche il postero-laterale, realizzando pertanto una ricostruzione “anatomica” e quindi più vicina a quella fisiologica. Le due varianti di ricostruzione possono eseguirsi con tecnica out-in, in-out e all-inside. Quest’ultima è possibile solo grazie a uno specifico strumentario dedicato». Sempre secondo il chirurgo siciliano, la fissazione del neo-legamento rappresenta ancora oggi, anche se in misura nettamente inferiore rispetto al passato, l’anello debole dell’impianto. Lo dimostra l’attenzione che i ricercatori mettono da anni nel progettare sistemi di fissazione sempre più sicuri e affidabili, grazie anche ai nuovi materiali (biomateriali) che li costituiscono. «Nonostante sia una chirurgia difficile e non priva di complicanze oltre che di problematiche, la ricostruzione del Lca a mio parere rappresenta in assoluto uno degli interventi maggiormente gratificanti per un chirurgo articolare - dice Paolillo -. Ridare la corretta stabilità articolare significa poter riprendere a camminare correttamente, correre e saltare, gesti certamente importanti per tutti ma che per uno sportivo assumono una valenza ben più grande e profonda, che investe non soltanto lo stato fisico ma anche quello psicologico dell’atleta. Gli studi di biomeccanica, la bioingegneria e la biotecnologia hanno tracciato un solco profondo, una via che ha radicalmente modificato le prospettive future in ortopedia. Guardiamo pertanto con interesse e fiducia a tali ricerche, per poter offrire sempre ai nostri pazienti le soluzioni più valide a risolvere ogni tipo di lesione articolare, ma al tempo stesso attenti a non cadere in facili entusiasmi, le cui ricadute negative potrebbero determinare battute d’arresto nel processo di crescita scientifica». R. T. ORTHOviews Review della letteratura internazionale ANCA S PA L L A Molte applicazioni e poche La revisione degli interventi complicanze per l’artroscopia di stabilizzazione della spalla d’anca in età evolutiva L’anca può essere affetta da una serie di patologie, sempre più spesso trattate chirurgicamente con procedure artroscopiche. Alcune di queste caratterizzano in particolare l’ambito pediatrico ed evolutivo, come l’epifisiolisi, l’osteocondrosi o la displasia congenita. Con l’estendersi del ricorso all’artroscopia si sono evidenziati, oltre ai vantaggi, diverse complicanze segnalate da molti studi scientifici. Mancava però un approfondimento che affrontasse nello specifico le complicanze dell’artroscopia d’anca nei bambini e degli adolescenti: se ne è incaricato un team di ortopedici di Boston, che hanno progettato uno studio retrospettivo i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Pediatric Orthopaedics. Il campione esaminato è stato costituito da 218 artroscopie d’anca effettuate su 175 pazienti al massimo diciottenni, lungo un periodo di nove anni. Le complicanze complessivamente individuate sono state dell’1,8%: una percentuale bassa e molto vicina a quella riscontrata da altri studi che avevano preso in esame procedure artrosocpiche praticate su pazienti adulti (Clarke et al: 1,6%; Griffin e Villar: 1,4%). I 218 interventi sono stati indirizzati al trattamento di una grande varietà di patologie. La principale indicazione alla chirurgia è stata la lesione del labbro cotiloideo, isolata in 131 casi e associata ad altre patologie in 37. Le lesioni del labbro, infatti, si accompagnano spesso a lesioni cartilaginee localizzate alla testa femorale o all’acetabolo. Nonostante le lesioni isolate siano in genere caratterizzate da prognosi decisamente migliore, nel complesso dei soggetti esaminati con lesione labrale si sono avute solo due complicanze, di paralisi transitoria del nervo pudendo, entrambe in presenza di lesione isolata. Le altre patologie che avevano determinato la decisione di intervento sono state: malattia di Perthes, displasia dell’anca, artrite reumatoide giovanile, lassità capsulo-legamentose, frattura osteocondrale, sinovite dell’anca, necrosi avascolare, lesione condrale e tendinite dell'ileopsoas. Le sole due complicanze osservate in questi interventi sono state: un caso di rottura degli strumenti in articolazione e uno di ascesso formatosi intorno alla sutura artroscopia. Forse per il numero non elevatissimo di pazienti esaminati, i ricercatori non hanno riscontrato nessuna delle complicazioni segnalate talvolta in letteratura per procedure artroscopiche effettuate su soggetti adulti, come: lesioni cutanee da trazione, lesioni neurologiche da stiramento, lesioni neurovascolari maggiori, rigidità o instabilità articolare, rottura del collo del femore (dopo fresatura per conflitto femoro-acetabolare), ematomi post-chirurgici, necrosi avascolare della testa del femore, ipotrofia muscolare della coscia. I risultati ottenuti sono stati commentati molto favorevolmente dagli autori della ricerca. Dall’elenco delle indicazioni chirurgiche traspare la versatilità dell’uso delle procedure artroscopiche e nel complesso si dimostra che «l’artroscopia in età evolutiva è una procedura sicura con un numero relativamente basso di complicazioni, destinata a espandersi grazie al suo utilizzo come strumento diagnostico e terapeutico». Giampiero Pilat Nwachukwu BU, McFeely ED, Nasreddine AY, Krcik JA, Frank J, Kocher MS. Complications of hip arthroscopy in children and adolescents. J Pediatr Orthop. 2011 Apr-May;31(3):227-31. Negli ultimi due decenni, in letteratura si è sviluppato un dibattito in merito alle tecniche chirurgiche di stabilizzazione della spalla. Già nel 1993 Green e Christensen propugnavano i vantaggi delle procedure artroscopiche, sostenendo che riducessero la durata degli interventi, la perdita ematica, l’utilizzo di farmaci anestetici, il periodo di ospedalizzazione e le complicanze. Le tecniche chirurgiche si sono affinate negli anni, gli strumentari sono migliorati e le conoscenze delle patologie articolari sono aumentate, così come l’esperienza dei chirurghi nella tecnica artroscopica. Nelle lesioni capsulolabrali acute e negli episodi post-traumatici, la stabilizzazione artrosocopica della spalla si è così progressivamente affermata fino a essere riconosciuta da molti equivalente, in termini di risultati, alla chirurgia a cielo aperto. Le controversie si sono però rivolte altrove e oggi si cerca di capire quali siano le indicazioni migliori nei casi di instabilità cronica e nel trattamento delle recidive dopo una prima chirurgia artroscopica. Elementi utili alla discussione sono forniti da un articolo comparso su The american journal of sports medicine, la pubblicazione ufficiale dell’associazione ortopedica americana per la medicina dello sport. Vi si discute di uno studio condotto in Germania, presso il centro di chirurgia muscolo-scheletrica dell’Università di Berlino, in cui si sono analizzati i risultati di interventi chirurgici di revisione di stabilizzazione artroscopia di spalla, con utilizzo delle ancore di sutura. Lo studio è stato condotto su 40 pazienti suddivisi in due coorti omogenee per età e genere: i soggetti del gruppo 1 sono stati sottoposti a intervento primario mentre sugli appartenenti al gruppo 2 si sono effettuati interventi di revisione, con la medesima tecnica chirurgica. Il periodo minimo di followup è stato di 24 mesi, durante il quale i pazienti dei due gruppi sono stati sottoposti a controlli a entrambe le spalle. La valutazione è stata effettuata tramite una serie di schede con cui si è attribuito un punteggio alla funzionalità, al dolore, alla stabilità e alla mobilità, consentendo in ultima analisi di verificare il successo dell’intervento. Si tratta di una lunga serie di strumenti, come le schede di Rowe, di Walch-Duplay, il Melbourne Instability Shoulder Score o il Western Ontario Shoulder Instability Index, a cui si sono aggiunte radiografie standard per determinare la presenza di eventuali segni di osteoartrosi. Nonostante l’evidente limite dato dal numero piuttosto esiguo di pazienti analizzati, che non permette valutazioni statisticamente significative, lo studio fornisce indicazioni interessanti. In nessuno dei due gruppi si sono osservate dislocazioni ricorrenti, ma l’intervento di stabilizzazione di instabilità recidiva ha avuto globalmente un esito meno positivo rispetto a quello primario: infatti i test di apprensione sono risultati positivi in due pazienti del gruppo 2 e più in generale, al di là dei riscontri oggettivi, i soggetti sottoposti a revisione hanno soprattutto espresso una peggiore valutazione soggettiva dei risultati ottenuti con l’intervento. G. P. Krueger D, Kraus N, Pauly S, Chen J, Scheibel M. Subjective and objective outcome after revision arthroscopic stabilization for recurrent anterior instability versus initial shoulder stabilization. Am J Sports Med. 2011 Jan;39(1):71-7. 12 ORTHOviews ORTHOviews Cortisonici Antiepilettici (fenitoina, carbamazepina, barbiturici) Un protocollo per la valutazione clinico-metabolica del paziente sottoposto a chirurgia ortopedica Antidepressivi (inibitori selettivi del re-uptake della serotonina) Antiretrovirali (tenofovir) Inibitori di pompa protonica (omeprazolo, pantoprazolo) Inibitori dell’aromatasi (anastrazolo, letrozole, exemestano) Analoghi del GnRH (goserelin, buserelin, flutamide) Progesterone (medrossiprogesterone acetato) La Società scientifica multidisciplinare OrtoMed propone un percorso ideale di valutazione del paziente da sottoporre a intervento o reintervento di chirurgia ortopedica Eparine non frazionate Inibitori della calcineurina (es. ciclosporina A) Tiazolinedioni (rosiglitazone, pioglitazone) Tab. 3: l’elenco dei farmaci osteopenizzanti Fonte: www.quadernidellasalute.it 1 FABBISOGNO QUOTIDIANO DI CALCIO FASCE DI ETÀ O CONDIZIONI FISIOLOGICHE mg/die LATTANTE 0-6 mesi 6-12 mesi 400 600 BAMBINO 1-6 anni 7-10 anni 800 1000 ADOLESCENTI 11-17 anni 1200 UOMINI 18-29 anni 30-59 anni >= 60 anni 1000 800 1200-1500 DONNE 18-29 anni 30-59 anni >= 50 anni Gravidanza Allattamento Donne in menopausa con ERT 1000 800 1200-1500 1200 1500 1500 Tab. 1: il fabbisogno quotidiano di calcio varia per genere, periodo di vita e condizioni fisiologiche • Raloxifene • Estrogeni/ormone terapia ANABOLICI DOPPIA AZIONE • Stronzio Ranelato riore a quella riscontrabile nella popolazione pediatrica di riferimento. Questi dati suggeriscono che soggetti con scoliosi idiopatica adolescenziale possono avere un deficit di mineralizzazione con bassa BMD, anche per alterazioni meccaniche e, successivamente, un mancato o ridotto raggiungimento di un PMO adeguato in un’età giovane-adulta. Una correlazione diretta fra Op/Opm e scoliosi idiopatica dell’adulto è stata descritta con elevata incidenza in donne in post menopausa. Il picco di massa ossea Il PMO è la massima quantità di mineralizzazione scheletrica che viene fisiologicamente raggiunta in età giovane-adulta, intorno alla metà della terza decade di vita. Il raggiungimento di un PMO adeguato e il mantenimento dello stesso in età matura, rappresentano momenti importanti per un equilibrio ideale fra parametri quantitativi e qualitativi dello scheletro, mantenendone l’integrità e riducendone la fragilità. Ma quali sono i fattori che possono alterare il raggiungimento e il mantenimento del PMO? L'ambiente e le abitudini di vita - ad esempio una scarsa esposizione solare, un inadeguato apporto di calcio con la dieta (tab. 1), una scarsa attività fisica -, abitudini comportamentali come il fumo e l'abuso di alcol, condizioni quali la magrezza, il ritardo puberale, la gravidanza, particolari patologie (tab. 2), l’uso di farmaci ad azione osteopenizzante, tra più importanti i glucocorticoidi, (tab. 3) e la menopausa (precoce e non). PATOLOGIE OSTEOPENIZZANTI MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE Iperparatiroidismo Ipogonadismo Tireotossicosi Iperadrenocorticismo Diabete tipo I Anoressia nervosa Ipofosfatasia DISORDINI DEL COLLAGENE Osteogenesis Imperfecta S. Ehlers-Danlos S. Marfan ALTERAZIONI NUTRIZIONALI Sindromi da malassorbimento Celiachia Deficit di calcio Alcolismo ALTRE CONDIZIONI Artrite reumatoide Mieloma multiplo Trapianto d’organo Malattie infiammatorie intestinali Tab. 2: l’elenco delle condizioni osteopenizzanti La Società italiana di ortopedia e medicina (OrtoMed) OrtoMed è una società scientifica multidisciplinare nata nel 2009 sotto l’impulso di Marco Italo Gusso, con lo scopo di sostenere e essere attivi nella ricerca scientifica nel settore delle malattie metaboliche dell’osso e delle loro ricadute in campo ortopedico. «OrtoMed colma un vuoto nel nostro Paese, che è quello che considera l’ortopedico come il chirurgo dell’osso, e non lo prende in considerazione quando si parla di metabolismo osseo» spiega Gusso. Oggi presieduta da Paolo Tranquilli Leali, la Società scientifica è impegnata a identificare i centri italiani attivi nella realizzazione di un connubio scientifico e clinico tra scienze ortopediche chirurgiche e scienze metaboliche, allo scopo di offrire modelli di gestione clinica delle fratture da fragilità. «Le statistiche ci dicono che nel 2052 in Italia avremo più del 30% della popolazione sopra gli ottant’anni e noi ortopedici opereremo quasi solo fratture di femore e protesi negli anziani - spiega il professor Tranquilli Leali -. Quindi è necessario assolutamente riuscire a influire su questo trend, sia riducendo il numero delle fratture che si svilupperanno, sia aumentando la velocità di guarigione di queste fratture e la qualità della stessa». Uno dei progetti della società scientifica è il Bone care nurse: supervisionato da Cristiana Casentini, infermiera professionale, si propone di costruire un percorso clinico organizzativo affinché anche il personale infermieristico possa lavorare attivamente e con una chiara specificità alla gestione del paziente fratturato, risolvendo tra l’altro anche il problema della compliance alla terapia farmacologica, vera sfida nella terapia dell’osteoporosi. Organo ufficiale di OrtoMed è la rivista Clinical cases in mineral and bone metabolism, un periodico di elevata qualità scientifica in ambito nazionale e internazionale diretto da Maria Luisa Brandi. Con periodicità quadrimestrale vengono presentati in lingua inglese articoli originali, review e case report sui maggiori argomenti riguardanti i disordini del metabolismo elettrolitico e minerale. Sono riportati anche i più attuali studi sperimentali e clinici inerenti queste patologie e le relative nuove acquisizioni in ambito terapeutico. Da giovedì 15 a sabato 17 dicembre 2011 a Firenze (Palazzo degli Affari) si terrà il VI congresso OrtoMed Per informazioni: www.ortomed-siom.com La valutazione clinica in chirurgia ortopedica A tutt’oggi è purtroppo ancora frequente che soggetti sottoposti a chirurgia ortopedica abbiano un elevato rischio, sottostimato e/o non riconosciuto, di essere affetti da Op/Opm, con conseguenze negative in termini di stabilizzazione, osteointegrazione e di riuscita dell’intervento stesso. La maggior parte dei pazienti con fratture da fragilità viene dimessa senza una valutazione osteometabolica accurata e senza pertanto l’individuazione di fattori causali la frattura stessa. In un’alta percentuale di pazienti la diagnosi di Op/Opm non è posta e, di conseguenza, non viene attuata alcuna terapia farmacologica e non vengono prescritti farmaci efficaci nel ridurre il rischio fratturativo (tab. 4). Per tutti questi motivi è molto importante una valutazione clinica/osteometabolica del paziente sottoposto a interventi di chirurgia ortopedica. Essendo il chirurgo ortopedico il medico che per primo gestisce clinicamente questi pazienti, la Società italiana di ortopedia e medicina (OrtoMed) Il percorso diagnostico proposto da OrtoMed si articola in sette fasi: I) Valutazione clinica II) Individuazione dei fattori di rischio III) Misurazione della Bmd IV) Esecuzione di esami radiologici V) Esecuzione di test biochimici VI) Interventi non farmacologici e farmacologici VII) Follow-up • Denosumab Tab. 4: i principi attivi dei farmaci impiegati nella terapia dell’osteoporosi e per la riduzione del rischio fratturativo Da sinistra a destra la professoressa Maria Luisa Brandi, il dottor Alberto Falchetti e la dottoressa Roberta Cosso 2 Scoliosi e osteoporosi Ad esempio i rapporti tra picco di massa ossea (PMO) e densità minerale ossea (BMD) in soggetti affetti da scoliosi idiopatica adolescenziale non sono stati finora adeguatamente indagati, nonostante sia stata descritta una ridotta BMD con una prevalenza di Op pari al 25%, significativamente supe- ESTROGENO AGONISTI/ANTAGONISTI (SERM) UN PROTOCOLLO PER LA VALUTAZIONE CLINICO-METABOLICA DEL PAZIENTE ANTICORPO MONOCLONALE ANTI-RANKL Inibitori tirosinochinasi (imatinib) e in maschi e femmine con cause di secondarietà della stessa. L’Opm è più frequente nei soggetti anziani di entrambe i sessi. Op e Opm sono rare in età infantile e adolescenziale in cui, tuttavia, esistono condizioni patologiche (congenite o acquisite) predisponenti a fragilità scheletrica che, a causa del fisiologico invecchiamento, tenderà a peggiorare. Aminobisfosfonati: • Alendronato (orale) • Risedronato (orale) • Ibandronato (orale o IV) • Zoledronato (IV) Ormoni tiroidei (L-tiroxina a dosi soppressive) ROBERTA COSSO1 ALBERTO FALCHETTI2, 3 MARIA LUISA BRANDI2 Casa di cura Villa Erbosa, Bologna e Club masteristi Società OrtoMed SOD malattie del metabolismo minerale e osseo, AOUC Firenze 3 Commissione osteoporosi Società OrtoMed ANTIRIASSORBITORI/ANTICATABOLICI • Teriparatide [rhPTH (1-34)] • Paratormone 1-84 Inibitori delle lipasi (orlistat) Chemioterapici (metotressato) Secondo la definizione stabilita dalla Consensus conference del National Institutes of Health (Nih) del 2001, l'osteoporosi (Op) è una condizione caratterizzata da una riduzione della massa ossea cui si associa un’alterazione della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità dell’osso e del rischio di frattura. L’ o s t e o ( p o r o ) m a l a c i a (Opm) è invece una condizione di insufficiente mineralizzazione della matrice organica del tessuto osseo, con conseguente rallentamento della produzione della matrice ossea stessa e alterazione dei normali processi di ossificazione. Entrambe sono patologie metaboliche dello scheletro che rappresentano importanti problemi di salute pubblica. L’Op è prevalente in donne in post menopausa FARMACI PER LA TERAPIA DELL’OSTEOPOROSI FARMACI OSTEOPENIZZANTI L AVO RO O R I G I N A L E 13 propone che, in strutture ortopediche specializzate, vengano istituiti protocolli clinici omogenei che implementino la diagnosi e il trattamento dell’Op/Opm. Viene quindi suggerito un protocollo multidisciplinare per la valutazione clinico-metabolica del paziente, da effettuarsi prima dell’intervento di chirurgia e nel successivo follow-up, considerando l’eventuale introduzione di una terapia medica mirata. I vantaggi del protocollo proposto da OrtoMed Attraverso questo approccio metodologico potrà essere valutata l’incidenza reale di Op/Opm in questa popolazione di pazienti e rapportata nel followup all’outcome clinico. La diagnosi permetterà anche di impedire o quantomeno rallentare la comparsa dell’Op/Opm, oltre a correggere i fattori di rischio o eliminare quelli modificabili come il fumo, l’abuso di alcol, i rischi ambientali di cadute. Potranno inoltre essere istituiti interventi non farmacologici, a partire da una dieta appropriata, con adeguato apporto di calcio, supportata da una moderata attività fisica. Una dieta adeguata con giusto apporto di calcio e vitamina D può essere infatti utile per ottimizzare il PMO, per mantenerlo e per prevenire le fratture da fragilità. Sarà possibile inoltre istituire interventi farmacologici avendo oggi a disposizione una vasta gamma di farmaci efficaci nel ridurre significativamente il rischio relativo di fratture da fragilità e nel favorire l’osteointegrazione dei mezzi di sintesi. È quindi fondamentale che tutti gli specialisti, al momento della chirurgia, non si trovino più “inaspettatamente” di fronte a un tessuto osseo fragile, che possa inficiare la riuscita dell’intervento stesso. Sarà importante identificare il più precocemente possibile i soggetti a rischio per Op/Opm al fine di mettere in atto tutte quelle misure e strategie idonee per ottenere il miglior risultato possibile dell’intervento chirurgico, effettuare un adeguato follow-up e ridurre il rischio relativo di nuove o ulteriori fratture da fragilità, utilizzando presidi terapeutici efficaci. II) Individuazione dei fattori di rischio Importante è la loro individuazione. Oggi abbiamo a disposizione degli algoritmi che permettono di valutare a 10 anni il rischio di frattura di femore (Frax), uno strumento che il sanitario può utilizzare on line (www.shef.ac.uk/frax). III) Misurazione della Bmd Rappresenta un buon indicatore per un aumentato rischio fratturativo. Il gold standard per la valutazione della BMD è la tecnica DXA. Il rischio di frattura aumenta in modo esponenziale con valori densitometrici di T-score <-2,5 deviazioni standard (Ds), che secondo l’Oms rappresentano il valore soglia per diagnosticare la presenza di osteoporosi. Più il T-score diminuisce, più aumenta il rischio di frattura. Il rischio relativo di frattura aumenta di 1,5-3 volte per ogni Ds di riduzione (circa il 10%) del valore della BMD. IV) Esecuzione di esami radiologici Rx standard e, nello specifico, esame morfometrico dei corpi vertebrali: utile complemento per la diagnosi di microfratture, prevalentemente asintomatiche e misconosciute. V) Esecuzione di test biochimici Permette una diagnosi di Op secondaria e in particolare di deficit di vitamina D, largamente presente nella popolazione Italiana. Particolarmente utili sono i marcatori del turnover osseo, identificabili in marcatori di neoformazione (es. fosfatasi alcalina ossea) e di riassorbimento (es. piridinoline urinarie), che permettono una predizione di perdita ossea, di frattura, nonché il monitoraggio della terapia con predizione della risposta e miglioramento della compliance. LETTURE CONSIGLIATE • Cheng JC, Guo X. Osteopenia in adolescent idiopathic scoliosis. A primary problem or secondary to the spinal deformity? Spine (Phila Pa 1976). 1997 Aug 1;22(15):1716-21. • Cheng JC, Guo X, Sher AH. Persistent osteopenia in adolescent idiopathic scoliosis. A longitudinal follow up study. Spine (Phila Pa 1976) 1999 Jun 15;24(12):1218-22. • NIH Consensus Development Panel on Osteoporosis Prevention, Diagnosis, and Therapy. JAMA. 2001 Feb 14;285(6):785-95. • Osteoporosi e malattie metaboliche dell'osso. Clinica e diagnostica a cura di C. Albanese, R. Passariello, SpringerVerlag, Italia, 2009. I) Valutazione clinica Anamnesi familiare e fisiologica (in particolare pubertà e comportamento alimentare), storia di fratture da fragilità personali e/o familiari; storia di rachialgie acute e/o croniche; esame obiettivo generale, con attenzione alla valutazione dell’indice di massa corporea, riduzione staturale, accentuazione di cifosi dorsale, spinalgia alla digitopressione e motilità del rachide. • Adami S, Bertoldo F, Brandi ML, Cepollaro C, Filipponi P, Fiore E, Frediani B, Giannini S, Gonnelli S, Isaia GC, Luisetto G, Mannarino E, Marcocci C, Masi L, Mereu C, Migliaccio S, Minisola S, Nuti R, Rini G, Rossini M, Varenna M, Ventura L, Bianchi G; Società Italiana dell'Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro. Guidelines for the diagnosis, prevention and treatment of osteoporosis. Reumatismo. 2009 Oct-Dec;61(4):260-84. • Quaderni del Ministero della Salute, n° 4, 2010. Appropriatezza diagnostica e terapeutica nella prevenzione delle fratture da fragilità da osteoporosi. www.quadernidellasalute.it VI) Inter venti non farmacologici e farmacologici Eliminazione di fattori di rischio modificabili (fumo, abuso di alcol, rischi ambientali di cadute) e dieta adeguata con giusto apporto di calcio e vitamina D, ma anche equilibrata come contenuto di proteine, carboidrati e lipidi possono essere utili per ottimizzare il PMO anche in età giovanile. Quando necessari si ricorrerà all’utilizzo di farmaci efficaci nel ridurre il rischio fratturativo (tab. 4). VII) Follow-up Valutazione clinica e della risposta e aderenza ai trattamenti. 15 CORSI E CONGRESSI Perdite di sostanza in chirurgia della mano I due presidenti del congresso della Società italiana di chirurgia della mano: a sinistra Italo Pontini, a destra Bruno Battiston La chirurgia ricostruttiva si avvale oggi di nuove tecniche e coglie sempre più le opportunità offerte dai progressi dell’ingegneria dei tessuti. Sono questi i temi che verranno approfonditi nel prossimo congresso della Società italiana di chirurgia della mano Dal 6 all’8 ottobre si svolgerà a Torino, presso il Centro congressi unione industriale, il 49° congresso nazionale della Società italiana di chirurgia della mano (Sicm). Tabloid di Ortopedia ha intervistato Bruno Battiston, che sarà alla presidenza dell’evento assieme al collega Italo Pontini, responsabile del servizio di chirurgia della mano del Cto Maria Adelaide di Torino. Direttore del centro di ortopedia e traumatologia a indirizzo traumatologia muscolo scheletrica presso l’azienda ospedaliera Cto Maria Adelaide di Torino, Battiston e il suo team vantano una notevole esperienza sulle tematiche più innovative della chirurgia ricostruttiva e delle lesioni del sistema nervoso periferico. Dottor Battiston, l’argomento centrale del congresso di Torino sarà la ricostruzione delle perdite di sostanza dell’arto superiore. Come mai è stato scelto questo tema? Aumentano sempre più nella nostra attività chi- rurgica le possibilità di ricostruire morfologicamente e funzionalmente lesioni anche molto gravi, con perdite di sostanza tissutale. Nasce quindi la necessità di chiarire con precisione gli strumenti che abbiamo a disposizione, i risultati ottenibili e di conseguenza le indicazioni precise a ricostruire IL 49° CONGRESSO SICM Il congresso della Società italiana di chirurgia della mano (Sicm) si terrà a Torino dal 6 all’8 ottobre e, oltre ad affrontare l’argomento delle perdite di sostanza, che costituisce il tema principale, dedicherà ampio spazio alla presentazione di esperienze originali e approfondimenti su patologie della mano e dell’arto superiore che presentano ancora aspetti controversi di diagnosi o trattamento. Ciò avverrà attraverso corsi di istruzione, sessioni di comunicazioni libere raggruppate per argomenti, presentazioni di case report. «La riparazione dei tessuti verrà affrontata da letture specifiche che metteranno a fuoco lo stato dell’arte e le possibili innovazioni - ci ha spiegato Bruno Battiston, presidente del congresso assieme a Italo Pontini -. Sarà poi compito di altri relatori quello di suggerire i percorsi nella ricostruzione delle differenti regioni anatomiche utilizzando le diverse tecniche a seconda del problema specifico di quel settore anatomico e del tipo di lesione che si è prodotta». Una lettura magistrale metterà a fuoco il tema del trapianto di mano alla luce dell’ultimo caso effettuato in Italia, sottolineando le indicazioni (ricostruzione di amputazioni bilaterali) e i risultati ottenibili grazie soprattutto ai progressi in campo immunologico. Pur essendo un congresso nazionale, l’interesse verrà ulteriormente accresciuto dalla partecipazione della delegazione di un’altra società europea. Una sessione verrà infatti dedicata alla presentazione di esperienze di chirurghi della mano della Società greca. Per informazioni e iscrizioni: StudioProgress Tel. 030.290326 - Fax 030.40164 [email protected] - www.sicm.it o meno gravi lesioni in campo traumatologico od oncologico. Quali tipi di pazienti sono interessati da queste procedure innovative? Si tratta di pazienti che hanno subito lesioni traumatiche ad alta energia, con distruzione di uno o più tessuti, oppure soggetti affetti da gravi neoplasie che richiedono ampie demolizioni chirurgiche. Queste lesioni in passato avevano come destino finale un grave esito funzionale o addirittura l’amputazione del segmento danneggiato. Quali sono le problematiche in ambito traumatologico? Il salto di qualità dato dalle tecniche di microchirurgia ricostruttiva ha consentito non solo il salvataggio di importanti lesioni devascolarizzanti attraverso delicate rivascolarizzazioni, ma anche la sostituzione dei tessuti danneggiati grazie all’apporto di tessuti ben vascolarizzati prelevati a distanza (lembi liberi). Soprattutto ha permesso la restituzione della funzione - e non solo della morfologia del segmento danneggiato - mediante la ricostruzione di nervi periferici o l’apporto di lembi muscolari reinnervati a supplire l’unità muscolo-tendinea danneggiata. E quali le applicazioni in ambito oncologico? La possibilità di ricostruire asportazioni di importanti “blocchi” di tessuto ha cambiato non solo la prognosi funzionale dei pazienti, ma ha anche influenzato la programmazione chirurgica, consentendo interventi con maggiore radicalità. Protesi articolari modulari consentono di adattare il progetto ricostruttivo all’ampiezza della demolizione richiesta. L’apporto di tessuti ben vascolarizzati permette inoltre di affrontare localmente in modo efficace le terapie richieste dai pro- tocolli oncologici, come la radioterapia. Questo difficile campo chirurgico sarà trattato nel congresso insieme al Club italiano oncologia muscolo scheletrica (Ciosm), società superspecialistica che raggruppa i migliori esperti in questo settore e che lavorano ormai da anni sulla condivisione di linee guida nella diagnosi e nel trattamento della patologia. Le novità derivano principalmente dalle tecniche chirurgiche o dai progressi legati alla biologia dei tessuti e alla disponibilità di materiali artificiali? Le principali novità, oltre alla descrizione di nuovi lembi o la costruzione di protesi articolari sempre più sofisticate, consistono soprattutto in un approccio diverso alla ricostruzione attraverso l’integrazione di tecniche chirurgiche, di sistemi stimolanti la rigenerazione tessutale (Vac, scaffolds per la rigenerazione dermica o per quella nervosa), l’impiego di tessuti di banca e di fattori di crescita tissutale. Si parla sempre più spesso di medicina rigenerativa e talvolta di vera e propria ingegneria tissutale. In una ricostruzione di un difetto creato dall’asportazione di un tumore è ormai consuetudine la programmazione di un “assemblaggio” costituito da un tessuto di banca, ad esempio un tendine, coperto e rivascolarizzato da un lembo libero. Ha citato le banche dei tessuti: in che modo vengono utilizzate? Nei Centri regionali autorizzati vengono preparati e “stoccati” componenti fondamentali per tutte le possibili riparazioni e addirittura, su richiesta dei chirurghi che devono effettuare una ricostruzione, vengono prelevati appositamente e preparati blocchi di tessuti “personalizzati” per un certo paziente e una ben precisa lesione: segmenti scheletrici, articolazioni con inserzioni legamentose e Gli approfondimenti sul sistema nervoso periferico pubblicati in queste pagine si riferiscono all’esperienza e alle ricerche nel settore condotte presso l'unità operativa complessa di traumatologia del Cto di Torino che, insieme all'unità operativa distrettuale di microchirurgia e all'unità operativa complessa di chirurgia della mano, porta avanti da molti anni esperienze cliniche e ricerche sperimentali, in modo particolare nel settore della ricostruzione del sistema nervoso periferico. SUTURE NERVOSE TERMINO-LATERALI Di recente è stata descritta una nuova tecnica di riparazione nervosa in grado di risolvere lesioni da avulsione o con moncone nervoso prossimale non reperibile per poter effettuare una riparazione nervosa tradizionale di tipo termino-terminale: la sutura “terminolaterale”. La coaptazione di un moncone nervoso distale danneggiato a un nervo sano vicino ha dato origine a rigenerazione nervosa in molti lavori sperimentali e i primi report clinici sembrano suggerire un ruolo promettente per questa nuova tecnica, che rappresenta un paradosso in quanto si richiede a un nervo sano di rigenerare in un’altra branca nervosa, fenomeno non automatico nei processi riparativi del nostro corpo. Uno dei punti principali in favore di questa tecnica sembra essere la possibilità di recuperare la funzione di un nervo danneggiato senza perdere la funzione di un nervo donatore (come neurotizzatore o anche solo usato come innesto). Lo sprouting degli assoni che dal nervo sano vanno al moncone suturatogli in termino-laterale appare avvenire a livello dei nodi di Ranvier. Per comprendere realmente i meccanismi di reinnervazione e l’efficacia funzionale delle nuove fibre nervose che crescono verso il bersaglio (muscolo o cute denervata) gli esperti del Cto di Torino hanno eseguito ricerche sperimentali che hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica, tanto da indurli successivamente ad applicare questa riparazione anche in casi clinici. I ricercatori hanno poi recentemente rivisto insieme a un altro centro di riferimento (quello dell'ospedale di Legnano) i primi casi clinici operati. Dal 1999 al 2001 hanno trattato 25 casi di lesione del plesso brachiale utilizzando una sutura termino-laterale da sola o insieme ad altre metodiche ricostruttive. Solo una parte ha però mostrato buoni risultati, indipendentemente dal livello di lesione o del nervo utilizzato. «Quindi - commentano al Cto - si tratta di una tecnica valida ma che presenta ancora alcune incognite, perché non siamo in grado di decidere noi quale componente del nervo sano entrerà a reinnervare il nervo danneggiato: riteniamo che sia una tecnica in più nel nostro armamentario chirurgico, ma da utilizzare quando non siano possibili altre metodiche ricostruttive». 16 CORSI E CONGRESSI tendinee e altro ancora. Al Cto di Torino è presente una fra le prime banche a livello internazionale dedicata al prelievo e conservazione della cute da cadavere. Nata più per il trattamento dell’ustionato, consente oggi copertura temporanea di difetti cutanei importanti, in attesa di successivi innesti o lembi. Ricostruzione articolare, nervosa e osteotendinea: quali problematiche pone ciascun tipo di tessuto e a che punto siamo nella capacità di ripristinarne l’anatomia e la funzionalità? Ovviamente ogni tessuto o struttura pone problemi specifici. La riparazione del mantello cutaneo – e quindi la copertura delle strutture nobili sottostanti – verrà affrontata in una tavola rotonda al congresso. L’introduzione di tecniche come la Vacuum Assisted Closure (Vac), che stimola la formazione di tessuto di granulazione ben vascolarizzato o di membrane costruite in laboratorio a base di acido ialuronico o di altro tipo, ha ridotto in parte l’utilizzo di interventi chirurgici maggiori. Negli ultimi anni viene sempre più utilizzato un template biodegradabile a base di collagene per la rigenerazione dermica che funge da scaffold per l’invasione cellulare e la crescita di neocapillari, preparando un letto ideale per l’applicazione successiva di innesti cutanei. In questo congresso si cercherà di definire meglio quando possiamo riparare con tec- niche poco invasive e che non richiedono il sacrificio di tessuti da altre zone donatrici, oppure quando è necessario ricorrere a lembi cutanei per garantire una ricostruzione funzionalmente valida, come accade ad esempio in zone che richiedono tessuto soffice e plicabile per consentire movimento articolare o scorrimento di gruppi tendinei. Nelle ricostruzioni articolari a livello dell’arto superiore, il recupero della mobilità deve essere ottenuto scegliendo impianti protesici che siano allo stesso tempo dotati di una buona stabilità intrinseca. La problematica ricostruttiva può cambiare in un soggetto molto giovane, nel quale si cerca di scegliere una soluzione più duratura rispetto a una protesi, ricorrendo quindi a soluzioni biologiche come allograft (innesti massivi di banca), eventualmente rivascolarizzati con innesti ossei trasferiti con tecniche microchirurgiche. Per i difetti ossei diafisari, oltre alle consolidate tecniche di rigenerazione ossea tramite trasporto con fissazione esterna, si fa sempre più strada il concetto di riparazione tramite tecniche di ingegneria tessutale, per cui viene creata una "camera biologica" a livello del difetto contenente fattori di crescita e cellule staminali. Una lettura magistrale del congresso verterà proprio su quest’ultima frontiera. Le ricostruzioni muscolotendinee richiedono talora semplici trasposizioni tendinee locali, ma si può arrivare alla trasposizione di un gruppo muscolare libero, a cui vengono restituite con tecniche microchirurgiche la vascolarizzazione e l’innervazione. Ancora, elemento fondamentale per il recupero funzionale di una grave lesione demolitiva è il ripristino dei nervi periferici danneggiati. Specialmente a livello dell’arto superiore una buona riparazione nervosa è importante non solo per il ripristino motorio ma anche per il recupero della sensibilità. Una mano che presenta buoni movimenti ma non ha sensibilità è un organo cieco, la cui funzionalità è notevolmente ridotta. Le ricostruzioni di un nervo periferico mediante tecniche tradizionali, come suture o innesti nervosi, spesso sono insufficienti di fronte a un danno molto esteso. Un aiuto può essere dato da tecniche innovative come le neurotizzazioni con altri rami nervosi integri o le suture termino-laterali. Anche questo è un argomento che sarà ampiamente discusso nella tavola rotonda. Rigenerazione cutanea e degli altri tessuti: qual è la realtà oggi e quali le prospettive? Si parla tanto di rigenerazione tessutale, argomento estremamente affascinante ma che per il momento presenta ancora parecchie incognite e tanta ricerca ancora da fare. Parecchie cose sono già una realtà consolidata, ad esempio l’utilizzo di proteine come la Bmp, che ha capacità osteoinduttive e che viene impiegata per stimolare in modo rilevante le capa- cità riparative del tessuto osseo. In molti altri casi quanto viene proposto non ha ancora una valenza definita e manca di evidenze scientifiche. È proprio su queste nuove frontiere che ci si confronterà nella tavola rotonda. Dottor Battiston, quali difficoltà deve affrontare oggi uno specialista in questo settore? Le difficoltà maggiori nella chirurgia ricostruttiva di queste complesse lesioni sono di tipo organizzativo: la creazione di reti per le emergenze che convoglino le lesioni traumatiche nei centri di II livello accreditati e in grado di affrontare ricostruzioni complesse è un percorso ancora da completare. Anche nel caso di lesioni tumorali si devono seguire ormai percorsi spesso ben definiti che portano i pazienti a essere trattati da gruppi di lavoro interdisciplinari costituiti da oncologo, radiologo, chirurgo ortopedico e chirurgo plastico, microchirurgo. La destinazione di risorse adeguate è poi un problema quotidiano, specie quando la soluzione ricostruttiva ideale richiede strumenti e tecniche sofisticate e spesso molto costose. Funzionalità ed estetica: quanto e come convergono nel lavoro degli specialisti della mano e dell’arto superiore? Il recupero morfologico e funzionale di queste lesio- LE LESIONI NERVOSE PERIFERICHE: STORIA DI UN TRATTAMENTO La prima descrizione organica del sistema nervoso periferico, con l’identificazione del midollo e delle radici nervose con la distinzione fra componente motoria e sensitiva, risale a Herophilus nel III secolo a.C. Bisogna però attendere Galeno (131-201 d.C.) per una più organica descrizione delle strutture nervose e per le prime descrizioni di riparazioni chirurgiche dagli incredibili risultati. Nel corso dei secoli si raccolgono indicazioni di specifici trattamenti, come la sutura nervosa attuata da Paolo di Aegina (625-690 d.C.) , ma la prima chiara descrizione organica di una riparazione nervosa deve essere attribuita ai persiani (Rhazes 850-923, Avicenna 980-1036, Ali Abu Ibn Sina 980-1037). I trattamenti chirurgici, scarsi nei risultati e funestati dalle frequenti infezioni, portarono i chirurghi del Medioevo a rifiutare la riparazione nervosa. Notevole impulso al trattamento delle lesioni nervose, durante il XX secolo, viene dato nei periodi bellici, durante la prima guerra mondiale per il notevole numero di casi, ma soprattutto durante la seconda guerra mondiale, per la possibilità di controllare le infezioni e successivamente con l’introduzione dell’uso in sala operatoria del microscopio. La sutura nervosa o neurorraffia richiede ormai sempre l’utilizzo di mezzi di ingrandimento. Il forte ingrandimento facilita la valutazione dello stato del nervo e dei suoi fascicoli mentre il medio e il piccolo ingrandimento consentiranno di effettuare la sutura con buona definizione e profondità di campo. Negli anni sono state proposte diverse tecniche di sutura, ma in ogni caso va ricordato che la neuroraffia deve essere eseguita in modo atraumatico, con materiali inerti che non evochino reazioni da corpo estraneo e in assenza di tensione che produrrebbe un’importante reazione cicatriziale in grado di “strozzare” il nervo e impedire la rigenerazione assonale. Ulteriore fondamentale evoluzione nel trattamento chirurgico è stata l’introduzione degli innesti nervosi autologhi (Millesi, 1967) per colmare perdite di sostanza nervosa senza dover effettuare suture sotto tensione o per poter riparare lesioni in precedenza irreparabili. L’innesto si comporta come un tratto di nervo in degenerazione e fornisce tubi endonevriali ripieni di cellule di Schwann utili a guidare gli assoni e ad avvolgerli di mielina. Vengono utilizzati quali donatori di innesti nervi sensitivi la cui perdita non rappresenti un danno significativo per i pazienti quali il cutaneo mediale dell’avambraccio, il radiale superficiale, il safeno e il surale. ni va di pari passo. L’attenzione sempre maggiore del chirurgo verso un ripristino della funzione deve tenere presente le richieste dei pazienti sempre più preoccupati anche dell’estetica. Nella scelta di una tecnica chirurgica a parità di possibilità ricostruttive si cerca di sceglierne una che non richieda il prelievo da un’altra regione sana o che comunque determini il minor danno possibile a livello della zona donatrice. Anche per l’aspetto morfologico comunque si sono fatti grossi progressi utilizzando tecniche di rigenerazione tessutale, come ad esempio il lipofilling, che punta a migliorare cicatrici o disarmonie morfologiche grazie all’introduzione di centrifugati di cellule del tessuto adiposo contenenti elementi staminali. Renato Torlaschi LA TUBULIZZAZIONE: UN’ALTERNATIVA ALL’INNESTO NERVOSO AUTOLOGO Le lesioni dei nervi periferici con perdita di sostanza vengono trattate con innesti la cui tecnica risulta ben standardizzata e affidabile e i cui risultati sono generalmente buoni. Però l’innesto autologo richiede comunque un allungamento significativo dei tempi chirurgici, una o più incisioni supplementari e produce un danno iatrogeno aggiuntivo (la perdita di un nervo sensitivo). Negli anni diversi autori hanno pertanto sentito la necessità di trovare un’alternativa altrettanto valida. Già agli inizi del Novecento Foramitti utilizzò innesti arteriosi, mentre Wrede (1909) si servì di vene. Nel 1981 Lundborg esaltò i vantaggi della tubulizzazione evidenziando nei suoi studi su camere endoteliali artificiali la ricerca spontanea degli assoni in rigenerazione della propria destinazione (chemiotropismo). Altri autori utilizzarono in seguito con buoni risultati innesti di muscolo fresco o degenerato (Jiming e Glasby, 1986). Ultimamente sono numerosi gli studi relativi a tubuli artificiali vuoti o ripieni di fattori di crescita (Lundborg 1982, Dellon 1990). Tutti questi tipi di “condotti” però sono risultati validi per distanze non superiori ai due centimetri poiché oltre tale lunghezza la maggior parte di essi (vene, arterie, ecc.) si collassano, mentre altri consentono la dispersione assonale. Sulla base di ricerche sperimentali portate avanti a Torino presso il Cto, si è iniziato a utilizzare da alcuni anni la tubulizzazione con “muscolo in vena” i cui primi risultati sono già stati oggetto di pubblicazione. La vena, come molti altri tubuli, funge da guida agli assoni rigeneranti. Il muscolo, che può essere prelevato nella zona di lesione, riempie la vena e non solo le impedisce di collassare, ma fornisce un supporto trofico e di adesione alle fibre rigeneranti sostenendo e fornendo una guida sia agli assoni che alle cellule di Schwann. Il muscolo inoltre permette la diffusione di quelle sostanze neurotropiche rilasciate dal moncone distale che permettono il corretto orientamento degli assoni rigeneranti verso gli organi bersaglio. Le cellule di Schwann e la lamina basale del muscolo sembrano essere gli elementi chiave dell’intero fenomeno rigenerativo. Sottolineiamo i vantaggi di questa metodica: 1) consente riparazioni di perdite di sostanza anche superiori ai due centimetri (che costituiscono generalmente il limite oltre il quale altre tecniche di tubulizzazione descritte non forniscono più risultati); 2) consente di prelevare la vena e il muscolo dalla zona di lesione senza creare (pur limitati) deficit funzionali ed estetici al paziente. Questo può essere utile soprattutto in urgenza per ricostituire la continuità di una perdita di sostanza nervosa senza il sacrificio di un nervo donatore; 3) permette alle fibre nervose rigeneranti di orientarsi all’interno del tubulo e di ricercare la propria destinazione finale, richiamate da segnali chimici o di altro genere provenienti dal segmento nervoso distale (chemiotropismo). 18 CORSI E CONGRESSI Come stabilizzare gli impianti da revisione Su questo argomento sarà focalizzato il prossimo appuntamento dell’Associazione italiana di riprotesizzazione, nell’ambito di una chirurgia difficile ma sempre più necessaria Tabloid di Ortopedia ha intervistato il professor Massimo Innocenti, docente di malattie dell’apparato locomotore alla facoltà di medicina dell’Università di Firenze e direttore della struttura dipartimentale di ortopedia generale 1 dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi. Innocenti è esperto di protesi delle grandi articolazioni, alle quali applica tecniche di chirurgia mininvasiva e computer assistita; ha un'ampia esperienza nell’uso di protesi in materiale ceramizzato e anallergico per la maggiore durata degli impianti; è esperto in chirurgia artroscopica del ginocchio per il trattamento di lesioni legamentose, meniscali e cartilaginee e si interessa di tecniche ricostruttive con cellule staminali e fattori di crescita dell’osso per revisione di protesi, necrosi ossee ed esiti di fratture non consolidate. Il professor Innocenti presiederà a settembre la quinta edizione del congresso dell’Associazione italiana di riprotesizzazione (Air). Professor Innocenti, quanto spesso si presenta la necessità di revisione di un impianto? Attualmente il ricorso alla chirurgia di revisione è sempre più frequente e legato principalmente a due fattori: l’allungamento della vita media e il crescente numero di protesi impiantate in pazienti in giovane età. Gli ottimi risultati che oramai garantiscono le protesi articolari hanno permesso di estendere questo tipo di interventi anche a pazienti relativamente giovani, con elevate richieste funzionali, che espongono tuttavia la loro protesi a maggiori sollecitazioni e quindi a lungo andare ad usura e necessità di revisione. Quali sono le cause prevalenti che portano a un intervento di revisione? È inevitabile che le protesi giungano ad un dato momento al “fine servizio”. Nel 75% dei casi si tratta di scollamento dell’impianto dall’osso, definito “allentamento asettico”; se il paziente è in buone condizioni generali e ha un'età adeguata, occorre una revisione; in altri casi lo scollamento è più precoce e in questo caso costituisce un fallimento. Altre cause possono essere le infezioni; esse incidono in particolari categorie di pazienti, come diabetici, obesi, reumatoidi ed emofilici, raggiungendo in questi soggetti un’incidenza di circa il 6-7%. Con le accortezze necessarie, corretta profilassi antibiotica, uso di caschi o flussi laminari, ridotta invasività chirurgica, nella popolazione non a rischio l’infezione incide circa per l’1% dei casi. Il fallimento può essere determinato da un’instabilità dell’impianto, sotto forma di lussazione nelle protesi di anca o di vario grado di instabilità, comunque sintomatico e causa di deficit funzionale nel ginocchio. Un evento che si riscontra sempre più frequentemente, specie nel paziente più anziano e con fragilità ossea, è costituito dalle fratture periprotesiche, che possono richiedere sia un reimpianto sia un’osteosintesi. Infine esiste una modalità di insuccesso molto difficile da trattare costituito dalla protesi dolorosa, nella quale non sono evidenti le cause del dolore che persiste dopo l’impianto; si ipotizza in questo caso un’infezione torpida, ma va tenuta presente la possibilità di una sensibilità individuale del paziente ai metalli. Si tratta di un argomento molto dibattuto, che richiede un approccio preventivo individuando accuratamente il soggetto a rischio di allergia mediante un’anamnesi accurata e utilizzando quando necessario test diagnostici di studio dell’attività linfocitaria. L’intervento di revisione comporta problematiche differenti rispetto all’intervento primario. Quali, in particolare? Il primo aspetto che va affrontato è la diagnosi della causa di fallimento, che influenza le strategie chirurgiche e la scelta della protesi da revisione. La tecnica chirurgica è sicuramente più complessa, a cominciare dalla via di accesso e dalle modalità di rimozione dell’impianto, che deve essere eseguita con strumentari dedicati, oggi disponibili, allo scopo di non accentuare il deficit osseo presente in maniera più o meno rilevante nei diversi casi. Il deficit di bone stock richiede modelli protesici adeguati, in grado di offrire modalità accessorie di fissazione, ma soprattutto richiede apporto di tessuto osseo o di materiali sintetici in grado di colmare la perdita di tessuto e favorire la fissazione. Proprio su questo argomento si incentrerà il dibattito in occasione del congresso Air di Firenze: ci sarà una sezione dedicata ai materiali con i quali sono costruite le moderne artroprotesi da revisione, una sezione dedicata alle possibilità di stimolazione della crescita ossea mediante l’impiego di fattori di crescita e di cellule e una sezione nella quale si esaminerà la possibilità di incrementare la risposta osteoformativa mediante farmaci. Materiali, fattori biologici e farmaci: quali particolarità riguardano nello specifico gli interventi di revisione? Esiste oggi tutta una serie di materiali metallici altamente biocompatibili con elevate proprietà osteointegrative con cui vengono realizzati i rivestimenti delle superfici protesiche. È importante conoscere 19 quali possibilità vengono offerte al chirurgo. Si dispone inoltre di materiali realizzati specificamente per pazienti allergici al nickel o che comunque abbiano sviluppato una sensibilizzazione in seguito all’introduzione di un precedente dispositivo metallico, anche non ortopedico. I fattori biologici da impiegare nelle revisioni sono gli stessi che si utilizzano per la rigenerazione ossea in qualsiasi altro campo. I fattori di crescita e le cellule staminali hanno dato risultati eccellenti in traumatologia nel trattamento dei difetti di consolidazione; la loro applicazione alle revisioni di protesi, pur non essendo ancora consolidata, appare comunque un tema di grande interesse e le prime evidenze saranno presentate al congresso da importanti chirurghi italiani e stranieri. Abbiamo infine oggi a disposizione un’ampia gamma di farmaci che consentono di regolare il metabolismo osseo. In particolare l’impiego di farmaci antiriassorbitivi o osteoinduttivi, sia nel CORSI E CONGRESSI trattamento precoce dell’allentamento asettico sia nel post operatorio, potrebbe rallentare la cascata di degradazione ossea e permettere una maggiore integrazione dell’impianto all’osso dell’ospite. Anche su questo aspetto ho ritenuto utile che gli autori più accreditati portassero la loro esperienza sulla quale aprire un dibattito. Tornando ai materiali: quali si stanno affermando per gli scaffold? Gli scaffold sono argomento di notevole ricerca in campo delle biotecnologie e sicuramente l’aspetto della rigenerazione tissutale in maggiore sviluppo. Numerosi materiali vengono impiegati per la loro realizzazione tra cui vari tipi di ceramiche, polimeri o materiali compositi costituiti sia da particelle in ceramica che da strutture polimeriche. Particolare attenzione viene rivolta attualmente alle nanotecnologie, ovvero alla fabbricazione di strutture in grado IL V CONGRESSO AIR Il quinto congresso dell’Associazione italiana di riprotesizzazione (Air) si terrà a Firenze da giovedì 22 a sabato 24 settembre. Come è noto la riprotesizzazione articolare è un argomento che, inizialmente di nicchia e trattato in pochi centri specializzati, ha assunto nel tempo un interesse anche numerico crescente e sono sempre di più i chirurghi chiamati ad affrontare questi difficili interventi. «Il congresso si rivolge sia ai più esperti cultori della materia, sia a coloro che desiderano acquisire le conoscenze necessarie per affrontare questo aspetto così complesso dell’ortopedia ricostruttiva; la difficoltà della chirurgia di revisione protesica non deve scoraggiare chi si appresta a costruire la propria carriera di ortopedico e spero che numerosi giovani colleghi adeguatamente formati possano portare avanti sempre meglio questo tipo di chirurgia nei loro ospedali. Credo che questo sia il principale compito della nostra società scientifica superspecialistica» afferma il professor Massimo Innocenti, presidente di questa edizione del congresso Air. Le aspettative riposte nel congresso di Firenze sono la diffusione delle conoscenze, oltre al franco dibattito fra i partecipanti. «Posto che la corretta indicazione e una tecnica chirurgica adeguata costituiscono i capisaldi del successo dell’intervento, ho ritenuto fosse utile affrontare tre aspetti legati alla possibilità del nuovo impianto di ottenere una fissazione ossea valida e duratura nel tempo: i materiali, oggi sempre più evoluti ed efficaci, la componente biologica costituita dalle tecniche in grado di incrementare l’osteogenesi e i farmaci attivi sul metabolismo osseo - ci ha spiegato Innocenti -. Ognuno di questi argomenti sarà trattato dal punto di vista della scienza di base e da quello dell’esperienza clinica». Per informazioni e iscrizioni: CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] - www.riprotesizzazione.eu di mimare il tessuto osseo anche a livello submicroscopico. Che vantaggi offrono i cosiddetti metalli porosi? Anche le superfici di rivestimento delle componenti protesiche vengono oggi realizzate in materiali altamente biocompatibili macro e micro strutturati per accogliere il tessuto osseo. Ciò significa che il titanio e il tantalio, che sono i biomateriali più frequentemente utilizzati per realizzare queste superfici, sono stati lavorati in modo da ottenere delle strutture tridimensionali in grado di mimare l’osso trabecolare. Tali materiali sono chiamati anche metalli trabecolari o porosi proprio per la loro affinità morfologi- ca con l’osso. Grazie a questi il tessuto osseo riesce facilmente a penetrare e crescere all’interno fino a permettere la perfetta integrazione dell’impianto con l’organismo. Professor Innocenti, ci può fare una rassegna delle applicazioni delle tecnologie di ingegneria tissutale? Oggi si parla largamente e a volte impropriamente - di ingegneria tissutale. Quella utilizzata dall’ortopedico nella pratica chirurgica ricostruttiva è una tecnica semplificata, definita anche “in line procedure”, che può essere direttamente eseguita in sala operatoria; si tratta di allestire un composito costituito da uno scaffold, spesso osso di banca morcellizzato, fattori di cre- scita ottenuti dal sangue periferico del paziente sotto forma di plasma ricco di piastrine e cellule staminali o meglio mesenchimali adulte, comunque in grado di proliferare verso la linea osteoblastica, anch’esse ottenute dal paziente attraverso un aspirato di sangue midollare dalla cresta iliaca. Le cellule staminali sono concentrate per centrifugazione o per filtrazione e applicate direttamente all’interno del difetto osseo da colmare nella stessa seduta operatoria assieme allo scaffold e ai fattori di crescita. Questa è sicuramente una procedura pratica, utile al chirurgo e con buoni risultati clinici. Non fa ancora parte del nostro bagaglio clinico la procedura ben più complessa che prevede invece l’espansione cellulare. Gli studi futuri stanno rivolgendo il loro interesse alla realizzazione di scaffold così definiti intelligenti (smart scaffold) che contengono al loro interno tutte le informazioni necessarie per guidare il processo di rigenerazione ossea. Si tratta infatti di incorporare all’interno degli scaffold dei fattori di crescita che vengono rilasciati lentamente e in modo preordinato, così da richiamare le cellule staminali del paziente e da indirizzarle verso la rigenerazione ossea. Sarà dunque possibile rigenerare osso semplicemente impiantando questi tipi di dispositivi all’interno del difetto. Renato Torlaschi 21 CORSI E CONGRESSI 108° Congresso Spllot In primo piano a sinistra il professor Paolo Cherubino, presidente Spllot; a destra il professor Federico Grassi di Novara, presidente del congresso. Insieme a loro, i componenti del consiglio direttivo della Società scientifica. Le protesi articolari nelle fratture e nei loro esiti sarà il tema attorno al quale si svilupperanno le relazioni del congresso annuale della Società piemontese, ligure e lombarda di ortopedia e traumatologia, che si terrà a Novara da giovedì 15 a sabato 17 settembre presso il campus universitario ex caserma “Perrone”, moderno polo universitario dell’Università del Piemonte Orientale, dotato di una prestigiosa aula magna e di numerose aule didattiche multimediali. «Il tema scelto rappresenta un ideale punto d’incontro tra l’ortopedia e la traumatologia, dove ognuno di noi può trovare spunti di riflessione per la pratica clinica quotidiana» spiega Federico Grassi, presidente del congresso e direttore della struttura complessa di ortopedia e traumatologia dell'Azienda ospedaliero universitaria Maggiore della Carità di Novara. Il chirurgo, che è anche professore ordinario di malattie dell'apparato locomotore all'Università degli studi del Piemonte Orientale "A. Avogadro", guiderà i lavori congressuali affiancato dal presidente onorario dell'evento, Franco Ghisellini, e dal presidente Spllot Paolo Cherubino. Il congresso vedrà alternarsi sul palco numerosi relatori di alto livello che affronteranno la tematica dal punto di vista delle principali articolazioni: anca, ginocchio, spalla, gomito, polso e mano. Da segnalare la sessione di apertura dedicata agli specializzandi: nella mattinata di giovedì i più giovani presenteranno i risultati delle attività scientifiche delle rispettive scuole di ortopedia e le due migliori comunicazioni verranno premiate dalla faculty congressuale. Concluderà i lavori la sessione del sabato mattina dedicata a infermieri e fisioterapisti. «Negli ultimi anni queste categorie professionali hanno partecipato con entusiasmo alle attività scientifiche della Spllot ed è doveroso, da parte mia, impegnarmi ad organizzare delle sessioni che possano soddisfare il loro bisogno di aggiornamento e comunicazione» ha sottolineato Grassi. La riunione della Società scientifica sarà infine l'occasione per eleggere il nuovo consiglio direttivo che sarà in carica per il biennio 2012-2013. Per informazioni Keyword Europa Tel. 02.54122513 - Fax 02.54124871 [email protected] www.keyword-europa.it - www.spllot.it Spine Symposium Torino ospiterà nelle giornate di venerdì 9 e sabato 10 settembre un meeting internazionale di alto livello sulle patologie della colonna vertebrale, che sarà presieduto da Francesco Biroli, direttore dell'unità operativa di neurochirugia degli spedali Riuniti di Bergamo, e da Alessandro Ducati, direttore della clinica di neurochirurgia dell'Università degli studi di Torino. «Per questo simposio abbiamo scelto tre dei più comuni, importanti e controversi temi di chirurgia spinale: le fratture, i tumori e la patologia degenerativa» spiegano i due presidenti. Questi argomenti rappresentano senza dubbio i temi più discussi nei meeting nazionali e internazionali ma il simposio di Torino ha il merito di affrontarli con un approccio e un format didattico ben diverso rispetto a quello a cui siamo abituati. «L'idea alla base dell'organizzazione di questo evento didattico e formativo è quella di offrire ai partecipanti un approccio al problema maggiormente in linea con la nostra pratica clinica» afferma Marco Brayda-Bruno, direttore scientifico del congresso e responsabile della III chirurgia vertebrale dell'Istituto ortopedico Galeazzi di Milano. Direzione scientifica ricoperta insieme a Claudio Lamartina, responsabile della II chirurgia vertebrale presso lo stesso istituto milanese, che ci ha spiegato più nel dettaglio come si svilupperanno i lavori dello Spine Symposium: «Eseguiremo in sala l'analisi di casi clinici, portando tutti gli elementi per effettuare il percorso diagnostico, per stilare il piano di trattamento e per valutare gli outcome clinici, basandoci sia sulle evidenze scientifiche che sull'esperienza personale - ci ha detto il chirurgo vertebrale -. Questo approccio favorirà il dibattito e lo scambio di opinioni, analizzando soprattutto casi complessi, che verranno sottoposti ad analisi critica». Una sessione conclusiva avrà infine l'obiettivo di riassumere i punti chiave emersi dai due giorni di intensi lavori scientifici. Per informazioni My Meeting srl Tel. 051.796971 - Fax 051.795270 [email protected] www.mymeetingsrl.com Congresso Sotic Giunto alla sua settantesima edizione, il congresso nazionale della Società italiana di ortopedia e traumatologia dell'Italia centrale (Sotic) si occuperà del follow up a 10 anni delle protesi di ginocchio e delle fratture di fragilità. L'appuntamento è fissato per giovedì 30 giugno a Pisa, quando Giulio Guido, direttore della clinica ortopedica dell'Università degli studi di Pisa aprirà i lavori del congresso, che si concluderanno nella mattinata di sabato 2 luglio. «Entrambi gli argomenti congressuali sono temi di attualità e di estremo interesse - commenta Guido -. Per quanto riguarda le protesi di ginocchio vorrei che fosse centrata l’attenzione sui risultati di casistiche che abbiano almeno 10 anni di follow up, sperando che un così lungo periodo possa chiarire alcuni aspetti ancora in discussione, quali la cementazione, la protesizzazione della rotula, il sacrificio del crociato posteriore. Per quanto riguarda invece le fratture da fragilità - continua il chirurgo - è certamente un argomento che sta riscuotendo negli ultimi anni un’attenzione da parte di numerosi operatori sanitari e in particolare di noi ortopedici che ci stiamo riappropriando di una patologia, l’osteoporosi, il cui trattamento avevamo demandato ad altri specialisti. Credo quindi che discutere sul trattamento chirurgico e medico, sull’evoluzione del callo osseo nelle fratture da fragilità, sul- Giulio Guido l’efficacia e sull’uso dei vari farmaci che vengono impiegati in queste lesioni, possa essere un motivo di ampia riflessione e confronto per cercare di dare chiarezza a questo argomento». Il congresso Sotic sarà anche teatro dell'ultima lezione accademica del professor Alessandro Faldini, past president Siot, che avrà per titolo «Come è cambiata l’ortopedia in 50 anni» e che segnerà il termine del suo lungo impegno di docenza universitaria. Per informazioni CSR Congressi srl Tel. 051.765357 - Fax 051.765195 [email protected] www.csrcongressi.com 22 CORSI E CONGRESSI Rizzoli elbow advanced course Roberto Rotini Graham JW King Lunedì 5 e martedì 6 settembre presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna si terrà la terza edizione del meeting «Elbow soft tissue reconstruction and arthroplasty», che sarà presieduto da Roberto Rotini, responsabile del servizio di chirurgia della spalla e del gomito dello stesso istituto bolognese. Il corso va idealmente a completare il ciclo di tre corsi avanzati sulla patologia del gomito iniziato nel 2007, anno in cui furono approfonditi i temi dell’artroscopia di gomito con il dottor Shawn W. O’Driscoll della Mayo Clinic di Rochester; il secondo corso, tenutosi nel settembre 2009, con la presenza del dottor John M. Itamura della Southern California University di Los Angeles, delineò invece lo stato dell’arte sulle osteosintesi di gomito e sulle protesi della testa radiale. «In questo terzo corso - spiega Rotini - avremo il piacere di confrontarci con il dottor Graham JW King, leading expert di fama mondiale nel trattamento delle patologie del gomito, che ci porterà l’esperienza del St. Joseph’s Helth Care di London, Canada». Ampio spazio verrà dedicato alla descrizione delle tecniche chirurgiche, grazie anche all’ausilio di filmati e di collegamenti con le sale operatorie del Rizzoli. Il programma del corso si compone globalmente di 7 sessioni, che verteranno, nella prima giornata, sullo studio anatomico e cinematico del gomito, sull’inquadramento dell’instabilità articolare, sulla descrizione delle lesioni tendinee e del loro trattamento (grazie anche alle re-live surgery) e sulla discussione del gomito del tennista. La seconda giornata sarà dedicata a live surgery, re-live surgery e alla discussione sulle tecniche di artroplastica del gomito. «L’impostazione di tutto il corso mira a creare una straordinaria opportunità di interazione dei partecipanti con gli esperti, allo scopo di esaltare l’anima didattica, che da sempre rappresenta l’obiettivo primario di questi meeting» sottolinea Roberto Rotini. Il corso può vantare la partecipazione dei migliori relatori a livello italiano della disciplina e gode inoltre del patrocinio dell'Associazione ortopedici e traumatologi ospedalieri d'Italia (Otodi) e della Società italiana di chirurgia della spalla e del gomito (Sicseg). Per informazioni Symposia srl Tel. 055.4936321 - Fax 0584.1712005 [email protected] - www.symposiaeventi.it IL PROGRAMMA DEL CONGRESSO Il pomeriggio del sabato sarà dedicato ai corsi di istruzione rivolti ad argomenti già conosciuti e all’approfondimento delle nuove tecniche chirurgiche oggi disponibili, quali ad esempio le “Pmcb” (patient matching cutting block), le protesi di anca a conservazione e utilizzo del collo. Protesi totale di gomito di terza generazione Tabloid di Ortopedia Mensile di informazione, cultura, attualità Anno VI - numero 6 - giugno 2011 Direttore responsabile Paolo Pegoraro [email protected] Redazione Andrea Peren [email protected] Tel. 031.789085 96° congresso Siot Il tradizionale appuntamento congressuale con la Società italiana di ortopedia e traumatologia quest'anno arriva in anticipo: si terrà infatti da sabato 1 a mercoledì 5 ottobre a Rimini. Per la prima volta il congresso Siot non si svolge su palcoscenici di grandi città italiane, e la scelta di Rimini è stata una scommessa che i presidenti si augurano, con l’aiuto di tutti, possa risultare vincente. La sede sarà il nuovo palazzo dei congressi: struttura moderna fra le più belle in Europa, grande e funzionale, con sale dotate di tecnologie innovative. «Queste caratteristiche dovrebbero permetterci di avere a disposizione una location ideale per ospitare i lavori del congresso nazionale, appuntamento di riferimento per tutti gli ortopedici italiani» hanno commentato i presidenti del congresso, che sono Francesco Greco, direttore del laboratorio di biomeccanica e biomateriali della clinica ortopedica dell'Università Politecnica delle Marche, e Nicola Pace, direttore del dipartimento dell’apparato locomotore dell’Asl 5 di Jesi. I due chirurghi hanno scelto come argomenti delle main session il tema dei materiali e dei rivestimenti in ortopedia e quello delle biotecnologie applicate alla traumatologia. «Argomenti attualissimi e che tendono a conciliare due aspetti basilari dell'attività chirurgica ortopedica: da una parte la biologia e dell’altra la meccanica spiegano Greco e Pace -. È lo studio, la conoscenza e l’approfondimento di queste due materie che potrà permetterci di crescere continuamente e di poter offrire ai pazienti ogni giorno il massimo possibile per il raggiungimento di quel benessere fisico e psichico che è obiettivo naturale della professione e della società civile a cui tutti apparteniamo». Rottura sottocutanea del tendine distale del bicipite Consulenza grafica Minù Art - boutique creativa. www.minuart.it Hanno collaborato Gianfranco Altomare, Giampiero Pilat, Renato Torlaschi Nelle giornate di sabato e domenica si svilupperanno le riunioni delle società superspecialistiche. Dalla mattina di lunedì prenderanno il via i lavori della main session. Contemporaneamente inizieranno interventi dedicati a vari aspetti professionali tra cui il contratto di lavoro, la compliance e il rapporto con gli specialist aziendali nell’ambito delle attività di sala operatoria. Ci si occuperà anche dell’organizzazione delle banche dell’osso in Italia e della creazione di centri di riferimento regionali per la chirurgia metastatica ossea. Per la prima volta, si affronterà il tema della contestazione medico-legale da parte dell’utenza e si cercherà in particolare di spiegare ai più giovani il comportamento da attuare nell’immediatezza di un evento di questo genere. Un argomento di grande rilievo riguarderà la discussione dei percorsi formativi universitari e superspecialistici del medico ortopedico ospedaliero. Ampi spazi verranno riservati a temi affini all’ortopedia e traumatologia: la radiologia interventistica, le nuove strategie in campo anestesiologico e infine le tecniche riabilitative mirate al più rapido recupero del paziente “fast track”. La collocazione geografica di Rimini al centro della penisola, la bellezza del territorio e le sue ricchezze artistiche, la cucina e rinomata ospitalità della terra di Romagna faranno da cornice a questo evento. Foto Archivio Griffin srl PUBBLICITÀ Direttore commerciale Giuseppe Roccucci [email protected] Vendite Manuela Pavan (Agente) [email protected] Sergio Hefti (Agente) [email protected] Segreteria di redazione e traffico Maria Camillo [email protected] Tel. 031.789085 Abbonamento annuale Italia: euro 2.25 Singolo fascicolo: euro 0.25 Griffin Editore srl Piazza Castello 5/E - Carimate (Como) www.griffineditore.it Tel. 031.789085 - Fax 031.6853110 Associazione Nazionale Editoria Periodica Specializzata L’Editore dichiara di accettare, senza riserve, il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria. Dichiara altresì di accettare la competenza e le decisioni del Comitato di Controllo e del Giurì dell’Autodisciplina Pubblicitaria, anche in ordine alla loro eventuale pubblicazione. 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