Bollettino di informazione sull`attualità giurisprudenziale straniera
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Bollettino di informazione sull`attualità giurisprudenziale straniera
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA febbraio 2012 a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig con il coordinamento di Paolo Passaglia FRANCIA 1. Decisione n. 2011-208 QPC del 13 gennaio 2012, Consorts B. Dogane – Sequestro di merci – Assenza di un obbligo di comunicazione del provvedimento al proprietario e divieto di rivendicazione da parte sua delle merci – Asserita violazione di molteplici norme costituzionali – Questione prioritaria di costituzionalità – Violazione dei diritti di proprietà e ad una tutela giurisdizionale effettiva – Illegittimità costituzionale – Effetti della declaratoria posticipati al 1° gennaio 2013. 2. Decisione n. 2011-212 QPC del 20 gennaio 2012, Sig.ra Khadija A. Procedure concorsuali – Patrimonio dell’impresa – Inserimento dei beni acquisiti dal coniuge con la partecipazione del titolare dell’impresa – Asserita violazione del diritto di proprietà – Questione prioritaria di costituzionalità – Mancata specificazione dei limiti entro cui l’inserimento di beni del coniuge è previsto – Illegittimità costituzionale. 3. Decisione n. 2011-211 QPC del 27 gennaio 2012, Sig. Eric M. Notai – Sanzioni disciplinari – Divieto di assumere la qualifica di pubblico ufficiale o destituzione da tale qualifica – Sanzioni complementari ed accessorie – Carattere automatico di tali sanzioni – Asserita violazione dei principi di necessità e di personalità delle pene – Questione prioritaria di costituzionalità – Sanzione della cancellazione dalle liste elettorali – Carattere autonomamente afflittivo – Applicabilità dei principi di necessità e di personalità – Illegittimità costituzionale. GERMANIA 1. Ordinanza del 28 novembre 2011 (1 BvR 917/09) Libertà di opinione – Manifestazioni di opinioni di estrema destra – Condanna per il reato di vilipendio – Asserita violazione del diritto costituzionalmente tutelato – Ricorso diretto individuale – Constatata mancanza, nella specie, di un pericolo per beni giuridici – Accoglimento. 2. Ordinanza dell’8 dicembre 2011 (1 BvR 1932/08) Telecomunicazioni – Agenzia federale della rete di telecomunicazione – Controllo della posizione sul mercato dei providers di rete di telefonia mobile – Imposizione dell’obbligo, a carico di un provider, di consentire l’accesso alla rete da parte di altri providers – Controllo giurisdizionale del provvedimento – Limitazioni – Asserita violazione del diritto alla tutela Febbraio 2012 1 giurisdizionale effettiva e della libertà di professione – Ricorso diretto individuale – Irricevibilità. 3. Ordinanza del 21 dicembre 2011 (1 BvR 2007/10) Minori – Divieto di usare i solarium pubblici – Asserita violazione della libertà personale, della potestà genitoriale e della libertà di professione – Ricorsi diretti individuali – Irricevibilità. 4. Sentenza del 18 gennaio 2012 (2 BvR 133/10) Misure di sicurezza – Esecuzione – Affidamento a soggetti privati – Asserita violazione della riserva di esercizio da parte di poteri pubblici di funzioni connesse alla titolarità della sovranità – Ricorsi diretti individuali – Possibilità, a certe condizioni, di derogare al principio – Sussistenza, nella specie, delle condizioni richieste – Rigetto. SPAGNA 1. Ordinanza (ATC) 7/2012, del 13 gennaio Stato di allarme – Decreto governativo – Proroga con atto parlamentare – Asserita violazione di diritti fondamentali – Ricorso di amparo – Valore di legge dell’atto parlamentare di proroga – Insindacabilità in sede di amparo – Inammissibilità – Opinione dissenziente. 2. Ordinanza (ATC) 9/2012, del 13 gennaio Revisione costituzionale – Introduzione del principio del pareggio di bilancio – Procedura di approvazione della riforma – Asserita violazione del diritto di partecipazione politica in condizioni di uguaglianza – Ricorso di amparo – Inammissibilità – Opinioni concorrenti. 3. STC 6/2012, del 18 gennaio Tutela del patrimonio storico – Beni provenienti dall’Aragona – Acquisto e conservazione da parte della Catalogna – Esercizio del diritto di retratto da parte dell’Aragona – Asserita violazione del principio di territorialità che si impone alle Comunità autonome – Conflitto positivo di competenze – Accoglimento – Opinioni dissenzienti. 4. Sentenza del 30 gennaio 2012 Attività giornalistica – Utilizzo di telecamera nascosta – Condanna per violazione dei diritti all’intimità ed alla tutela dell’immagine – Asserita violazione del diritto di cronaca – Ricorso di amparo – Conflitto tra diritti che vede prevalere quelli all’intimità ed alla tutela dell’immagine – Rigetto. 5. Notizia sul plenum del Tribunale costituzionale celebrato a Valencia STATI UNITI 1. 565 U.S. ___, dell’11 gennaio 2012; No. 10-553, Hosanna-Tabor Evangelical Lutheran Church and School v. Equal Employment Opportunity Commission et al. Congregazioni e scuole religiose – Insegnante con funzioni (anche) di ministro di culto – Licenziamento – Asserita discriminazione sul lavoro – Ricorso giurisdizionale avverso il licenziamento – I Emendamento – Religion Clauses e ministerial exception – Sindacato Febbraio 2012 2 giurisdizionale sul provvedimento di licenziamento e sulla richiesta di risarcimento danni – Esclusione. 2. 565 U.S. ___, del 18 gennaio 2012; No. 10-545, Golan et al. v. Holder, Attorney General, et al. Proprietà intellettuale – Attuazione della Convenzione di Berna – Protezione di opere straniere in precedenza non protette – Limitazione dei diritti di coloro che già facevano uso di queste opere – Asserita violazione del I Emendamento (Copyright Clause) – Esclusione. 3. 565 U.S. ___, del 23 gennaio 2012; No. 10-1259, United States v. Jones Procedimento penale – Indagini – Apposizione di un dispositivo di localizzazione GPS sull’automobile di un sospettato – Mancato rispetto delle condizioni poste dal mandato di perquisizione – Asserita non riconducibilità dell’apposizione del dispositivo alla nozione di “perquisizione” – IV Emendamento – Nozione di perquisizione da collegare (anche) al diritto di proprietà – Configurabilità dell’intrusione all’interno dell’automobile alla stregua di una perquisizione – Inutilizzabilità, nella specie, dei dati acquisiti. Febbraio 2012 3 FRANCIA a cura di Charlotte Bontemps di Sturco 1. Decisione n. 2011-208 QPC del 13 gennaio 2012, Consorts B. Dogane – Sequestro di merci – Assenza di un obbligo di comunicazione del provvedimento al proprietario e divieto di rivendicazione da parte sua delle merci – Asserita violazione di molteplici norme costituzionali – Questione prioritaria di costituzionalità – Violazione dei diritti di proprietà e ad una tutela giurisdizionale effettiva – Illegittimità costituzionale – Effetti della declaratoria posticipati al 1° gennaio 2013. Il Conseil constitutionnel è stato adito dal Consiglio di Stato, in applicazione dell’articolo 61-1 della Costituzione, in merito alla costituzionalità degli articoli 374 e 376 del codice delle dogane. L’articolo 374 permette all’amministrazione doganale di sequestrare merci senza essere tenuta ad informarne il proprietario, anche qualora il vettore ne comunichi l’identità. L’articolo 376 vieta, invece, al proprietario della merce sequestrata di rivendicarla. Il Conseil è intervenuto su una questione che ha dato luogo ad un lungo contenzioso: dopo aver adito, senza successo, la giurisdizione civile – Cass. Civ. I, 2 ottobre 2001, I, n. 243, p. 153 –, un privato si è rivolto alla giurisdizione amministrativa per chiedere i danni allo Stato; dopo la vittoria in primo grado, in appello è stata sollevata la questione prioritaria di costituzionalità. La questione era motivata dalla asserita violazione del diritto di proprietà, del diritto di difesa, del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, del principio di eguaglianza e del principio di necessarietà delle pene fondato sull’articolo 9 della Dichiarazione dell’uomo e del cittadino. Tali doglianze si collegavano alla giurisprudenza della Corte EDU (peraltro non menzionata nei visas della decisione), che ha sanzionato la Francia proprio per il contenuto degli articoli impugnati (Corte EDU, 23 luglio 2009, caso Bowler International Unit c/ Francia, n. 1946/06)1. Il ricorrente aveva anche presentato una richiesta di ricusazione di un giudice del Conseil, in applicazione dell’articolo 4 del regolamento interno sulla procedura seguita davanti al Conseil constitutionnel in sede di questioni prioritarie di costituzionalità. Il giudice Charasse ha però informato il Presidente del Conseil della sua intenzione di astenersi, quindi il Conseil non si è pronunciato sul punto. Nel merito, sono state accolte le questioni relative ad entrambi gli articoli impugnati. Per quanto riguarda l’articolo 374, il Conseil ha ripreso la posizione tradizionale secondo la quale il diritto di essere informati di una procedura giurisdizionale concernente propri diritti è una componente del diritto alla tutela giurisdizionale. L’articolo 374 consentiva (ma non imponeva) di informare il proprietario della merce sequestrata, per questo si è ritenuto che, “privando [...] il proprietario della facoltà di esercitare un ricorso effettivo contro un provvedimento che lede i suoi diritti, le disposizioni disconoscono l’articolo 16 della Dichiarazione del 1789”. Per quanto riguarda invece l’articolo 376, il Conseil ha dichiarato la sua illegittimità costituzionale sulla base della violazione del diritto di proprietà, in tal modo coronando 1 Per maggiori dettagli al riguardo, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Décision n. 2011-208 QPC du 13 janvier 2012, Consorts B. (Confiscation de marchandises saisies), in Commentaire aux Cahiers, p. 6-8. Febbraio 2012 4 un’evoluzione giurisprudenziale già in atto2. La dottrina tradizionale del Conseil constitutionnel sulla protezione costituzionale del diritto di proprietà ha distinto tra la protezione fondata sull’articolo 17 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (che vieta la privazione della proprietà, “salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previo un giusto e preventivo indennizzo”) e la protezione assicurata sulla base dell’articolo 2 della medesima Dichiarazione (in virtù della quale il Conseil svolge un controllo di proporzionalità, valutando se l’incidenza sulle condizioni di esercizio del diritto di proprietà sia giustificata da un motivo di interesse generale e se sia proporzionata all’obiettivo perseguito). Il Conseil ha applicato questa distinzione utilizzando come criterio discretivo la natura del provvedimento contestato: le “privazioni” della proprietà sono state esaminate utilizzando come parametro l’articolo 17, mentre l’incidenza sulle condizioni di esercizio del diritto di proprietà è stata vagliata in relazione all’articolo 2. Di recente, il Conseil ha però lasciato intendere che l’articolo 17 della Dichiarazione non deve applicarsi a qualunque privazione della proprietà3. Nella decisione qui in rassegna, il Conseil ha consolidato questa evoluzione, innovando rispetto al considérant di principio in materia, onde integrare le privazioni di proprietà che non rientrano nell’articolo 17 nell’ambito dell’articolo 2. All’uopo, si è affermato che, “in assenza di una privazione del diritto di proprietà ai sensi [dell’articolo 17], risulta tuttavia dall’articolo 2 della Dichiarazione del 1789 che le lesioni arrecate a questo diritto debbono essere giustificate da un motivo di interesse generale e proporzionate all’obiettivo perseguito” (Considérant 4). Applicando il principio alla fattispecie, pur riconoscendo che l’articolo 376 perseguiva un interesse generale (quello di lottare contro i reati doganali, mediante la responsabilizzazione dei proprietari delle merci nella scelta dei vettori e la garanzia di fondi a beneficio del fisco), ha rilevato che il divieto generale per il proprietario di rivendicare la propria merce costituiva una lesione del diritto di proprietà sproporzionata rispetto al fine perseguito. In virtù degli articoli 61-1 e 62 della Costituzione, gli effetti della declaratoria di incostituzionalità sono stati dilazionati al 1° gennaio 2013. 2. Decisione n. 2011-212 QPC del 20 gennaio 2012, Sig.ra Khadija A. Procedure concorsuali – Patrimonio dell’impresa – Inserimento dei beni acquisiti dal coniuge con la partecipazione del titolare dell’impresa – Asserita violazione del diritto di proprietà – Questione prioritaria di costituzionalità – Mancata specificazione dei limiti entro cui l’inserimento di beni del coniuge è previsto – Illegittimità costituzionale. La Corte di cassazione ha sollevato una questione prioritaria di costituzionalità (Cass., Com. 2 novembre 2011, n. 1123) avente ad oggetto l’articolo 624-6 del codice di commercio. 2 Cfr. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Decisione n. 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, Sig. Jean-Jacques C., già oggetto di segnalazione, a suo tempo, in questo Bollettino. 3 Cfr. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Decisione n. 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, cit., nonché Decisione n. 2011-177 QPC del 7 ottobre 2011, Sig. Eric A. Febbraio 2012 5 L’articolo, che si applica in ambito fallimentare, permetteva di reintegrare nel patrimonio dell’impresa del debitore i beni acquisiti dal coniuge (non coinvolto nella procedura concorsuale) con la partecipazione finanziaria del debitore. Emergeva, a questo proposito, una differenza di concezione della proprietà tra diritto civile (il proprietario è colui che risulta tale sull’atto di acquisto) e diritto commerciale (il proprietario è colui che ha provveduto finanziariamente all’acquisto). La ricorrente, coniuge del debitore, invocava la violazione del diritto di proprietà e del principio di eguaglianza (in quanto si applicava solo ai beni del coniuge e non, ad esempio, a quelli dei figli del debitore). Il Conseil constitutionnel ha seguito la sua giurisprudenza pregressa relativa al diritto di proprietà, come risultante dalla decisione n. 2011-208 QPC (oggetto di segnalazione in questo stesso numero del Bollettino), aggiungendo che spetta al legislatore, in applicazione dell’articolo 34 della Costituzione, determinare i principi fondamentali del regime della proprietà, dei diritti reali e delle obbligazioni civili e commerciali, e definire la disciplina relativa all’acquisto ed alla conservazione della proprietà. Sulla scorta di queste premesse, il Conseil ha ritenuto che la disposizione, in queste circostanze particolari, aveva “come effetto quello di individuare il vero proprietario del bene, non in colui che le norme di diritto civile individuano come tale, bensì in colui che ha fornito dei valori che hanno permesso l’acquisto”; di conseguenza, la disposizione “non implica una privazione della proprietà ai sensi dell’articolo 17 della Dichiarazione del 1789” (Considérant 5). Si è poi considerato che la disposizione perseguiva un fine di interesse generale, consentendo, a seconda dei casi, la continuazione delle imprese o il soddisfacimento dell’interesse del creditore. Ciò posto, rilevando che la disposizione permetteva di integrare all’attivo tutti i beni acquistati durante il matrimonio con valori rientranti formalmente nel patrimonio del coniuge, quali che fossero la causa di questo apporto, il momento dell’acquisto dei valori e la loro origine, nonché l’attività dal coniuge svolta (senza prendere in considerazione l’entità della partecipazione di questi al finanziamento del bene), il Conseil ha tuttavia sottolineato come si producesse una violazione del diritto di proprietà che appariva sproporzionata riguardo al fine perseguito, donde l’illegittimità costituzionale delle disposizioni contestate. 3. Decisione n. 2011-211 QPC del 27 gennaio 2012, Sig. Eric M. Notai – Sanzioni disciplinari – Divieto di assumere la qualifica di pubblico ufficiale o destituzione da tale qualifica – Sanzioni complementari ed accessorie – Carattere automatico di tali sanzioni – Asserita violazione dei principi di necessità e di personalità delle pene – Questione prioritaria di costituzionalità – Sanzione della cancellazione dalle liste elettorali – Carattere autonomamente afflittivo – Applicabilità dei principi di necessità e di personalità – Illegittimità costituzionale. Il Conseil constitutionnel è stato adito dalla Corte di cassazione (Cass. Civ. I, sentenza n. 1112 del 27 ottobre 2011) di una questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto l’articolo 4 dell’ordinanza n. 45-1418 del 28 giugno 1945, relativa alla responsabilità disciplinare dei notai e di alcuni ufficiali ministeriali. Questa ordinanza prevede, agli articoli 2 e 3, che possano essere pronunciate (da una camera disciplinare o da un tribunale) sanzioni disciplinari anche per fatti extra-professionali; le sanzioni possono implicare il divieto di assumere e/o la destituzione dalla qualità di pubblico ufficiale. Febbraio 2012 6 L’articolo 4 prevede, inoltre, che possano essere pronunciate alcune sanzioni complementari (l’ineleggibilità temporanea, per un massimo di dieci anni, negli organismi rappresentativi: comma 1) ed accessorie (l’ineleggibilità perpetua negli organismi rappresentativi e, in caso di destituzione, la cancellazione dalle liste elettorali: commi 2 e 3). Il ricorrente riteneva che i comma 2 e 3 dell’articolo 4 violassero il principio di necessità e di personalità delle pene di cui all’articolo 8 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Il Conseil constitutionnel ha rigettato la questione relativamente al comma 2 mentre l’ha accolta con riguardo al comma 3. Si è dapprima precisato che il principio costituzionale si applica alle pene e alle sanzioni che abbiano carattere afflittivo. Proprio a questo riguardo, il Conseil ha considerato che l’ineleggibilità definitiva negli organismi rappresentativi, pur essendo dichiarata in modo automatico, “non ha come fine quello di assicurare una repressione supplementare dei professionisti che sono già stati oggetto di sanzioni disciplinari”, giacché mira, da un lato, “a trarre le conseguenze della perdita del titolo di ufficiale pubblico o di ufficiale ministeriale” e, dall’altro, “a garantire l’integrità e la moralità dei professionisti che siedono negli organi rappresentativi della professione, escludendo quelli che sono stati oggetto delle condanne disciplinari più severe”. Queste considerazioni hanno condotto ad affermare che l’ineleggibilità prevista dal comma 2 non costituisce una sanzione avente carattere afflittivo, donde il rigetto della questione di costituzionalità (Considérant 4). Di contro, per quanto concerne la cancellazione dalle liste elettorali previsto dal comma 3, si è rilevato che la finalità perseguita dal legislatore non fosse quella di garantire l’integrità e la moralità indispensabile all’esercizio della funzione di ufficiale pubblico: l’ineleggibilità, dunque, andava ad assumere un carattere afflittivo autonomo (Considérant 5). L’articolo 8 della Dichiarazione del 1789 impone che una privazione di diritti civili sia adottata su decisione di un giudice, con valutazioni relative alle circostanze del caso di specie. La disposizione contestata, invece, non prevedeva l’intervento del giudice, né poteva essere modulata (tanto che si rivelava addirittura più severa delle sanzioni comminate in sede penale, limitate entro i dieci anni e modulabili da parte del giudice). Da questa constatazione si è dedotta l’illegittimità costituzionale della disposizione. Il Conseil constitutionnel ha precisato gli effetti della sua declaratoria, rendendola efficace nei confronti del ricorrente e permettendo a chi sia stato colpito da una tale sanzione di chiedere, sulla base della sua decisione, di essere nuovamente iscritto sulle liste elettorali per godere dei diritti civili (Considérant 8). Febbraio 2012 7 GERMANIA a cura di Maria Theresia Rörig 1. Ordinanza del 28 novembre 2011 (1 BvR 917/09) Libertà di opinione – Manifestazioni di opinioni di estrema destra – Condanna per il reato di vilipendio – Asserita violazione del diritto costituzionalmente tutelato – Ricorso diretto individuale – Constatata mancanza, nella specie, di un pericolo per beni giuridici – Accoglimento. Il Tribunale costituzionale federale ha accolto un ricorso diretto contro una condanna per il reato di favoreggiamento del vilipendio dello Stato federale, che è stata ritenuta incompatibile con la libertà di opinione. Oggetto del procedimento penale era il testo di un volantino con cui si diffondevano opinioni riconducibili all’estrema destra e per la cui diffusione la ricorrente era stata ritenuta responsabile in quanto presidente del consiglio di un’associazione distrettuale del partito di estrema destra NPD. Il volantino, con il titolo Georg Elser – eroe o assassino?, era stato distribuito da persone rimaste ignote dopo la première dello spettacolo Georg Elser – da solo contro Hitler. Il testo parla dell’attentato del “comunista” Georg Elser contro Hitler e del fatto che varie persone innocenti siano rimaste uccise in tale occasione. Il testo del volantino mirava a criticare il sistema della Repubblica federale tedesca, che sollecita gli alunni a glorificare alla stregua di eroi persone come Elser, mentre – secondo gli autori del testo incriminato – gli assassini di persone innocenti non dovrebbero in alcun modo essere presi ad esempio. Il Tribunale costituzionale, accogliendo il ricorso, ha cassato la condanna del giudice penale; la pretura dovrà pertanto emettere una nuova decisione sulla questione. Il testo del volantino, che conteneva soprattutto manifestazioni di opinioni, è, a giudizio del Tribunale, tutelato dalla libertà di opinione, che trova i suoi limiti, tra l’altro, nelle leggi generali. La sentenza di condanna, sancendo l’applicabilità, in riferimento alla distribuzione del volantino, della normativa penale che punisce il vilipendio dello Stato federale, non ha considerato in maniera adeguata – secondo il Bundesverfassungsgericht – la portata del principio della libertà di opinione. La libera espressione di un’opinione non può essere impedita di per sé, ma solo nel caso in cui, in relazione alle modalità di diffusione, possa sorgere in concreto, e secondo una valutazione di carattere probabilistico, un pregiudizio per beni giuridici. Nel caso in questione, il superamento di tale confine si sarebbe potuto affermare solo qualora si fosse riscontrato un pregiudizio effettivo nei confronti dello Stato, da intendersi come un pericolo, anche indiretto, per l’esistenza della Repubblica federale, per la funzionalità dei suoi componenti e delle istituzioni statali nonché per la sua pace. Ciò non si poteva però, ad avviso del Tribunale di Karlsruhe, affermare con riferimento ai volantini in questione, dotati di una natura meramente polemica. 2. Ordinanza dell’8 dicembre 2011 (1 BvR 1932/08) Telecomunicazioni – Agenzia federale della rete di telecomunicazione – Controllo della posizione sul mercato dei providers di rete di telefonia mobile – Imposizione dell’obbligo, a carico di un provider, di consentire l’accesso alla rete da parte di altri providers – Controllo giurisdizionale del Febbraio 2012 8 provvedimento – Limitazioni – Asserita violazione del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva e della libertà di professione – Ricorso diretto individuale – Irricevibilità. Il Tribunale costituzionale federale ha ritenuto irricevibile un ricorso diretto avente ad oggetto la regolamentazione del mercato delle telecomunicazioni da parte dell’Agenzia federale della rete per l’elettricità, il gas, la telecomunicazione, la posta e le ferrovie. Ai sensi della legge federale sulla telecomunicazione, tale Agenzia è, tra l’altro, responsabile per la regolamentazione della concorrenza. In tale veste, ha i poteri di stabilire quali siano i mercati di telecomunicazione da assoggettare ad una regolamentazione e di effettuare un’analisi ed un controllo del mercato stesso, segnatamente per ciò che attiene alla sussistenza di una effettiva concorrenza tra gli operatori ed alla presenza di eventuali posizioni dominanti. Alla fine del 2005, l’Agenzia aveva accertato che alcuni providers di rete di telefonia mobile – tra cui la ricorrente – avevano una posizione particolarmente forte nel mercato di interesse. Pertanto, nel 2006, l’Agenzia aveva emesso, ai sensi della legge sulla telecomunicazione, un provvedimento, di rilevante portata economica, che imponeva, tra l’altro, alla ricorrente l’adempimento di alcuni obblighi diretti a permettere l’accesso di altri providers alla sua rete, con tariffe che sarebbero state oggetto di un previo controllo ed assenso da parte dell’Agenzia stessa. La ricorrente aveva presentato, senza successo, un ricorso contro il provvedimento de quo presso la Corte federale amministrativa. Quest’ultima aveva peraltro ritenuto che il provvedimento dell’Agenzia potesse essere controllato solo in maniera limitata, giacché all’Agenzia spetta un margine di valutazione circa la definizione e l’analisi del mercato: l’Agenzia non avrebbe dunque esorbitato dai limiti posti all’esercizio discrezionale del proprio potere. La ricorrente – ritenendo di essere stata lesa nel suo diritto costituzionale ad una tutela giurisdizionale effettiva e, inoltre, nella sua libertà di professione – ha interposto ricorso diretto presso il Bundesverfassungsgericht. Il Tribunale ha ritenuto che il ricorso fosse da ritenersi irricevibile, che non sussistessero i presupposti per poterlo accogliere e che, in ogni caso, la ricorrente non fosse stata lesa nei suoi diritti fondamentali. In particolare, ad avviso dei giudici costituzionali, la ricorrente non era lesa nel proprio diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva (art. 19, comma 4, LF). L’obbligo per i magistrati di controllare, in punto di fatto e di diritto, i provvedimenti amministrativi impugnati non esclude che il legislatore possa assegnare all’amministrazione dei margini di azione, di determinazioni discrezionali e di valutazione che limitino l’ambito di controllo degli atti dell’esecutivo da parte del potere giudiziario. La tutela giurisdizionale effettiva viene violata solo se un magistrato assume erroneamente un “diritto all’ultima parola” in capo ad un’autorità amministrativa che non trova alcuna base legale oppure se questi, alla luce del medesimo presupposto, omette in radice l’esame di legittimità della decisione amministrativa. Ad ogni modo, la previsione di un esonero dal controllo giudiziario necessita di una valida giustificazione per il superamento del principio dell’effettiva tutela giurisdizionale. Alla luce di ciò, la valutazione della Corte federale amministrativa, che ha riconosciuto in capo all’Agenzia un margine di valutazione in relazione alla definizione ed all’analisi del mercato, non è criticabile dal punto di vista costituzionale. In considerazione di una visione sistematica della legge sulla telecomunicazione, della ratio sottesa alle norme rilevanti ed anche del contesto, cui non è estraneo il diritto dell’Ue, l’attribuzione di un ampio margine di valutazione in capo all’Agenzia in questa materia risulta sostenibile. Inoltre, la limitazione (che non è comunque una esclusione) del Febbraio 2012 9 controllo giudiziario risulta anche giustificata in quanto i criteri per la regolamentazione del mercato dipendono essenzialmente da valutazioni economiche. Per altro verso, né le decisioni impugnate né la normativa sottostante hanno leso la ricorrente nella sua libertà di professione di cui all’art. 12, comma 1, LF, poiché l’ingerenza in tale ambito era giustificata. La regolamentazione del mercato delle telecomunicazioni, ai sensi della relativa legge, persegue, con l’obiettivo di tutelare gli interessi dei consumatori e di garantire la leale concorrenza, finalità di assoluto rilievo per il bene comune. Il provvedimento con cui si sono imposti obblighi circa l’accesso di terzi alla rete della ricorrente non è stato ritenuto sproporzionato rispetto alla libertà di professione della stessa. Le conseguenze finanziarie del provvedimento, in particolare derivanti dalla necessità di un assenso sulle tariffe previste per l’accesso, non sono state considerate inadeguate. La ricorrente non è stata costretta ad un sacrificio finanziario eccezionale a favore della comunità, semplicemente le è stata resa impossibile una gestione potenzialmente lucrativa dei prezzi a danno dei clienti di altri providers di rete di telefonia mobile1. 3. Ordinanza del 21 dicembre 2011 (1 BvR 2007/10) Minori – Divieto di usare i solarium pubblici – Asserita violazione della libertà personale, della potestà genitoriale e della libertà di professione – Ricorsi diretti individuali – Irricevibilità. Il Tribunale costituzionale federale ha respinto alcuni ricorsi diretti contro il divieto per minori di frequentare o utilizzare i solarium e altri locali aperti al pubblico ove vengano impiegate le c.d. lampade abbronzanti. Tale divieto è stato introdotto nel 2009 nella legge per la tutela delle persone contro le radiazioni non-ionizzanti. Una dei ricorrenti, nata nel 1994, che frequentava saltuariamente i solarium pubblici, riteneva che tale divieto ledesse la sua libertà personale. I suoi genitori sostenevano altresì la violazione della loro potestà genitoriale, poiché il divieto, a loro avviso sproporzionato, impediva loro di acconsentire all’uso dei solarium da parte della figlia. Infine, un gestore di solarium, a sua volta ricorrente, lamentava la lesione del proprio diritto alla libertà di professione. Il Tribunale costituzionale ha ritenuto che i ricorsi fossero da ritenersi irricevibili per mancanza dei presupposti per un accoglimento. L’incidenza sulla libertà personale è giustificata alla luce dell’obiettivo legittimo della legge di tutelare i minori contro radiazioni UV che, secondo una valutazione del legislatore non criticabile dal punto di vista costituzionale, possono causare, soprattutto nell’età adolescente, danni alla pelle con gravi conseguenze per la salute. In relazione a tale importante obiettivo, nell’interesse della comunità, il divieto è proporzionato e necessario. La limitazione della libertà personale – che non è comunque irrilevante, giacché incide sulla gestione della propria apparenza e del tempo libero – non appare eccessiva. A tutela della gioventù e del suo regolare sviluppo – che è un interesse di rango costituzionale atto a giustificare l’ingerenza nei diritti fondamentali – il legislatore può prevedere anche misure che incidono più profondamente sulla libertà personale (la quale comprende solitamente pure la libera scelta di esporsi a certi rischi per la propria salute). Inoltre, in base al fatto che le campagne informative non hanno avuto un grande riscontro, il legislatore poteva assumere 1 Si segnala che il Tribunale costituzionale, con ordinanze del 21 dicembre 2011, facendo riferimento alla motivazione dell’ordinanza di cui nel testo, ha dichiarato irricevibili i ricorsi diretti di altri tre providers di telefonia mobile (1 BvR 1933/08, 1 BvR 1934/08 e 1 BvR 1935/08). Febbraio 2012 10 che i minori non avessero ancora la necessaria maturità e capacità di comprensione per rinunciare liberamente all’uso dei solarium. Anche l’ingerenza nella potestà genitoriale di cui all’art. 6, comma 2, LF è stata considerata giustificata. Poiché i genitori possono, se ritengono, consentire ai propri figli l’uso di solarium nell’ambito privato, l’ingerenza è molto limitata; il legislatore poteva in effetti optare anche per un divieto assoluto, senza distinguere tra minori in relazione alla sussistenza o meno del consenso genitoriale alla sottoposizione a raggi UV. Infine, per i suddetti motivi legati alla tutela della gioventù, neppure l’ingerenza nella libertà di professione dei gestori di solarium è stata ritenuta sproporzionata. 4. Sentenza del 18 gennaio 2012 (2 BvR 133/10) Misure di sicurezza – Esecuzione – Affidamento a soggetti privati – Asserita violazione della riserva di esercizio da parte di poteri pubblici di funzioni connesse alla titolarità della sovranità – Ricorsi diretti individuali – Possibilità, a certe condizioni, di derogare al principio – Sussistenza, nella specie, delle condizioni richieste – Rigetto. Il Tribunale costituzionale federale ha ritenuto che la normativa del Land Hessen che autorizza la “privatizzazione” di alcune misure di sicurezza alternative alla detenzione per i malati di mente sia conforme alla Legge fondamentale. Il Tribunale ha, infatti, respinto un ricorso diretto di un paziente contro un provvedimento che ordinava provvisoriamente, in un caso di periculum in mora, l’esecuzione di una misura di sicurezza coercitiva da parte del personale di una clinica privata. Secondo il Bundesverfassungsgericht, la norma scrutinata non viola il principio costituzionale di cui all’art. 33, comma 4, LF, secondo cui “l’esercizio delle competenze che sono emanazione diretta della sovranità deve essere di regola affidato, come compito permanente, agli appartenenti al pubblico impiego, che si trovano in un rapporto di servizio e di fedeltà di diritto pubblico”. Il potere, sancito dalla normativa del Land, di emettere provvedimenti provvisori a titolo di misure di sicurezza ovvero di trasferire determinati compiti statali a soggetti privati appare rientrare, nel caso concreto, in una ammissibile eccezione al suddetto principio costituzionale. Anche se tale tipo di eccezione necessita di una giustificazione valida, che non può ravvisarsi in semplici motivi fiscali ovvero di risparmio per la mano pubblica, i costi e l’utilità dell’impiego di soggetti privati nell’esecuzione di misure di sicurezza rispetto all’impiego di soggetti pubblici possono, tuttavia, essere presi in considerazione, sempre che non conducano a pregiudizi apprezzabili in merito allo svolgimento dei compiti in cui la sovranità si esprime. Nel caso del Land Hessen, la privatizzazione è stata mossa dalla avvertita opportunità di mantenere un collegamento tra gli enti presso cui sono custoditi i delinquenti e le cliniche che operano nel settore delle misure di sicurezza; la conseguente sinergia è stata, infatti, ritenuta una garanzia ed un miglioramento della qualità delle misure di sicurezza. In considerazione di ciò e delle esperienze avute nel passato in relazione ad eccezioni al principio di cui all’art. 33, comma 4, LF, la privatizzazione in esame, che è, in realtà, solo formale, rientra nel margine decisionale del Legislatore e del Governo, anche alla luce del fatto che le cliniche private in questione sono comunque in mano pubblica e sono quindi prive di scopi commerciali. Altrimenti detto, nel caso di specie, non si può parlare di una “svendita” di compiti sovrani a favore di forze ed interessi che caratterizzano la competizione dell’economia privata e che potrebbero effettivamente risultare in Febbraio 2012 11 contrasto con obiettivi legittimi e con la tutela dei diritti delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale. Il Tribunale costituzionale ha evidenziato quali siano i requisiti necessari per la delega di compiti statali a soggetti privati, non senza rilevare la necessità di predisporre precauzioni, come ad esempio l’istituzione di un servizio di emergenza per il caso di scioperi, che non possono ovviamente escludersi nel settore privato. Il Tribunale ha ricordato, in particolare, come gli atti espressione di sovranità necessitino di una legittimazione democratica in relazione alla quale spetta al Parlamento un obbligo di osservazione e controllo: la possibilità di controllare lo svolgimento dei compiti in parola non deve essere pregiudicata; la delega di compiti statali a soggetti privati non deve condurre ad una “fuga” della mano pubblica dalle proprie responsabilità statali. In proposito, si è riconosciuta la rispondenza della normativa del Land Hessen a tali requisiti. Nel caso in esame, il necessario livello di legittimazione appare infatti garantito, poiché i direttori dell’ente privato ed i suoi medici con funzioni dirigenziali sono stati nominati da un ente pubblico. I direttori nominati dall’ente pubblico conservano, poi, il diritto di proposta circa la scelta del personale della clinica. Infine, i soggetti privati sono vincolati, oltre che al rispetto della legge, alle direttive dell’ente pubblico che li controlla. Infine, ogni ingerenza in diritti fondamentali necessita quanto meno di una direttiva da parte di un funzionario o di un impiegato pubblico. In tal senso, deve essere garantito che i dipendenti della clinica privata (che non siano i direttori nominati dall’ente pubblico) non abbiano alcun margine decisionale e di discrezionalità circa l’esecuzione di misure coercitive e incidenti sui diritti fondamentali. Con riferimento all’adozione di misure provvisorie e preventive di sicurezza, deve essere prevista in ogni caso l’immediata comunicazione alla direzione. Febbraio 2012 12 SPAGNA a cura di Carmen Guerrero Picó 1. Ordinanza (ATC) 7/2012, del 13 gennaio Stato di allarme – Decreto governativo – Proroga con atto parlamentare – Asserita violazione di diritti fondamentali – Ricorso di amparo – Valore di legge dell’atto parlamentare di proroga – Insindacabilità in sede di amparo – Inammissibilità – Opinione dissenziente. Il plenum del Tribunale costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso di amparo presentato da 322 controllori del traffico aereo nei confronti dell’acuerdo del plenum della Camera dei deputati del 16 dicembre 2010, con cui era stata autorizzata la proroga dello stato di allarme dichiarato con il regio decreto n. 1673/2010, del 4 dicembre. Il 3 dicembre 2010, a seguito dell’abbandono del posto di lavoro del 70% dei controllori di volo al servizio dell’ente pubblico statale AENA, si dovette chiudere lo spazio aereo spagnolo. Il giorno dopo, il Governo dichiarò lo stato di allarme per la normalizzazione del servizio pubblico essenziale del trasporto aereo. Questa situazione doveva protrarsi per quindici giorni, tuttavia l’esecutivo chiese alla Camera di prorogarla per altri quindici. Nel loro ricorso, i controllori di volo adducevano: che non erano stati rispettati i requisiti stabiliti dalla legge orgánica n. 4/1981, del 1º giugno, sugli stati di allarme, eccezione ed assedio per poter dichiarare lo stato di allarme e per prorogarlo; che era priva di fondamento legale la nomina del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dell’Aria come autorità delegata del Governo; che la decisione di militarizzare tutti i controllori di volo aveva violato i loro diritti fondamentali alla tutela giurisdizionale ed al giudice ordinario predeterminato dalla legge (art. 24 Cost.), alla libertà di espressione (art. 20 Cost.), nonché i diritti di riunione e manifestazione (art. 21 Cost.), il diritto di associazione (art. 22 Cost.), il diritto di elettorato passivo (art. 23 Cost.), la libertà sindacale ed il diritto di sciopero (art. 28 Cost.) e, infine, il diritto di petizione (art. 29 Cost.). La maggior parte di queste doglianze era stata in qualche modo suggerita da interventi della dottrina costituzionalistica nei giorni che avevano seguito la dichiarazione dello stato di allarme. Il Tribunale costituzionale ha dichiarato che l’acuerdo del plenum della Camera dei deputati del 16 dicembre 2010 non è suscettibile di impugnazione attraverso il ricorso di amparo, poiché non rientra nella categoria “decisioni o atti [definitivi] senza valore di legge, emanati dalle Cortes o da uno qualsiasi dei suoi organi [….] che violano diritti e libertà” di cui all’art. 42 della legge orgánica n. 2/1979, del 3 ottobre (d’ora in avanti, LOTC). Secondo il plenum, quando la Costituzione e la LOTC utilizzano l’espressione “valore” o “rango” di legge si riferiscono ad un genus formato da norme, decisioni e atti equiparati dalla Costituzione alla legge parlamentare, nonché da atti, decisioni o risoluzioni non identificati come tali dalla Costituzione né dalla LOTC, ma che, avendo questo stesso “valore” o “rango”, precluderebbero l’accesso alla giurisdizione costituzionale attraverso il ricorso di amparo” (FJ 3). Appartengono a questa categoria, le “decisioni o atti parlamentari che, senza essere leggi o fonti equiparate alla legge, possono, conformemente alla stessa Costituzione, interessare norme legislative o assimilate, cioè stabilire eccezioni, sospenderle o modificare legittimamente la loro applicabilità” (FJ 3). Febbraio 2012 13 In questo senso, gli acuerdos della Camera con cui si approvi la proroga dello stato di allarme sono “decisioni o atti parlamentari che, benché non siano stati emanati nell’esercizio della potestà legislativa della Camera né rivestano, di conseguenza, la forma di legge, configurano il regime giuridico dello stato di emergenza dichiarato, ripercuotendosi sul regime di applicabilità di determinate norme giuridiche, ive comprese quelle di rango legislativo, norme alle quali […] possono, a condizioni tassativamente poste, derogare durante il periodo di validità dello stato di emergenza […]. Data la loro qualità di decisioni o di atti parlamentari con valore di legge, la via per impugnarli davanti alla giurisdizione costituzionale non è […] il ricorso di amparo di cui all’art. 42 LOTC, […], ma il ricorso in via principale […] o il ricorso in via incidentale” (FJ 4). Il giudice costituzionale Luis Ignacio Ortega Álvarez ha redatto un’opinione dissenziente all’ordinanza, cui hanno aderito i giudici Javier Delgado Barrio e Pablo Pérez Tremps. A loro avviso, non si può affermare il rango di legge di un atto parlamentare che proroga la vigenza di una norma senza rango di legge (un decreto del Governo approvato in Consiglio dei ministri), senza apportare alcuna novità normativa che riguardi i diritti interessati dalla dichiarazione dello stato di allarme o l’ambito territoriale di applicazione. Inoltre, per la rilevanza costituzionale dei temi prospettati, il ricorso doveva essere ammesso e deciso con sentenza. 2. Ordinanza (ATC) 9/2012, del 13 gennaio Revisione costituzionale – Introduzione del principio del pareggio di bilancio – Procedura di approvazione della riforma – Asserita violazione del diritto di partecipazione politica in condizioni di uguaglianza – Ricorso di amparo – Inammissibilità – Opinioni concorrenti. Il plenum del Tribunale costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso di amparo n. 52412011, presentato da due deputati di Esquerra Republicana-Izquierda Unida-Iniciativa Per Catalunya, gruppo parlamentare della Camera dei deputati1. Nel ricorso si contestava la legittimità degli atti del plenum e dell’ufficio di presidenza della Camera che hanno determinato il procedimento da seguire per la revisione dell’art. 135 Cost., ed in primis la scelta dell’iter ordinario di revisione costituzionale (art. 167 Cost.)2. A loro avviso, 1 La presente segnalazione è stata inclusa anche nel quaderno di documentazione su L’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Costituzione spagnola, febbraio 2012. 2 Secondo l’art. 167 Cost.: “1. I progetti di revisione costituzionale dovranno venire approvati a maggioranza dei tre quinti di ogni Camera. Ove non si raggiunga un’intesa fra queste, sarà esperito un tentativo mediante la costituzione di una Commissione paritetica di deputati e senatori, che presenterà un testo da votarsi dalla Camera dei deputati e dal Senato. 2. Ove non si ottenga l’approvazione mediante il procedimento di cui al precedente comma, e sempre ove il testo abbia ottenuto il voto favorevole della maggioranza assoluta del Senato, la Camera potrà approvare la revisione a maggioranza dei due terzi. 3. La revisione approvata dalle Cortes Generales verrà sottoposta a referendum di ratifica quando lo richiedano, entro i quindici giorni dalla sua approvazione, un decimo dei membri di una delle due Camere”. L’art. 168 Cost. stabilisce un procedimento aggravato per la riforma costituzionale: “1. Ove venga proposta la revisione totale della Costituzione o quella parziale riferita al Titolo preliminare, al Capitolo secondo, Sezione prima, del Titolo I o al Titolo II, dovrà procedersi all’approvazione del progetto con maggioranza dei due terzi di ogni Camera e quindi all’immediato scioglimento delle Cortes. 2. Le Camere elette dovranno approvare quanto deciso e procedere allo studio del nuovo testo costituzionale, che dovrà venire approvato a maggioranza dei due terzi in ogni Camera. 3. La riforma approvata dalle Cortes Generales sarà sottoposta a referendum di ratifica”. Febbraio 2012 14 l’iniziativa, posta in essere dai gruppi parlamentari socialista e popolare alla Camera, celava una revisione del Titolo preliminare3 e dei diritti fondamentali dei deputati e dei cittadini. Inoltre, contestavano l’approvazione dell’iniziativa di riforma costituzionale “con lettura unica” e con procedura di urgenza, il che aveva comportato l’abbreviazione dei termini per la presentazione degli emendamenti. Tutto ciò avrebbe impedito che il progetto di riforma dell’art. 135 Cost. venisse adeguatamente dibattuto, con conseguente violazione del diritto dei ricorrenti di partecipazione politica in condizioni di uguaglianza (art. 23, comma 2, Cost.). Il Tribunale costituzionale non ha riscontrato la violazione di alcun diritto fondamentale. a) Sul procedimento ordinario di revisione costituzionale (FJ 2) Il plenum del Tribunale costituzionale avalla la decisione dell’ufficio di presidenza della Camera, che, “con scrupoloso rispetto di quanto disposto negli artt. 167 e 168 Cost., poteva qualificare la riforma solo come soggetta al procedimento ordinario di revisione costituzionale”4. “Il testo costituzionale stabilisce di maniera precisa la finalità delle due forme di revisione previste, in funzione degli oggetti su cui [la revisione] si può produrre, per cui, riconoscendo la fondatezza della pretesa dei ricorrenti, si altererebbe l’equilibrio ricercato dal costituente, correndo [così] il rischio di lasciare alla discrezionalità dell’organo direttivo della Camera la determinazione del procedimento di riforma costituzionale”5. b) Sull’esame del testo della riforma in lettura unica (FJ 3) I ricorrenti ritenevano inadeguato l’esame in lettura unica, perché la riforma costituzionale non ha, in sé e per sé, quelle caratteristiche contenutistiche e di formulazione che potrebbero consigliare una scelta di questo tipo6. Tuttavia, il Tribunale costituzionale ha ribadito che “né dalla lettura del testo costituzionale nel suo insieme, né in special modo dal Titolo X, che la stessa Costituzione dedica alla sua possibile riforma, né dall’art. 146 del regolamento della Camera dei deputati [d’ora in avanti, RCD] si desume che l’approvazione della riforma costituzionale sia esclusa dall’esame in lettura unica. […] L’unica specialità procedurale vietata dalla Norma fondamentale con riferimento alla riforma costituzionale è il divieto di approvazione da parte di una Commissione legislativa permanente (art. 75, comma 3, Cost.), allo scopo di garantire l’intervento del plenum della Camera”, intervento assicurato nell’esame in lettura unica. 3 Più in particolare, dell’art. 1, comma 1, Cost., secondo cui “la Spagna si costituisce come Stato sociale e democratico di diritto, che propugna come valori superiori del suo ordinamento giuridico la libertà, la giustizia, l’uguaglianza e il pluralismo politico”. 4 L’Ufficio di Presidenza aveva replicato alle doglianze degli attuali ricorrenti rilevando che la pretesa connessione dell’art. 135 Cost. con altri articoli della Costituzione non si poteva desumere né dal testo costituzionale, né dalla giurisprudenza costituzionale, né dalla posizione della dottrina. 5 Ad ogni modo, il Tribunale costituzionale riconosce che il collegamento con altri articoli potrebbe condizionare la scelta dell’uno o dell’altro procedimento di riforma, tant’è che nella dichiarazione 1/1992, del 1° luglio, lo stesso Tribunale ha costatato che, non essendo coinvolto alcun altro articolo della Costituzione, ma solo l’art. 13, comma 2, Cost., la forma da seguire era quella indicata dall’art. 167 Cost. (v. il FJ 6 della dichiarazione suddetta). 6 Secondo l’art. 150, comma 1, RCD, “quando la natura del progetto o della proposta di legge presa in considerazione lo suggerisca o la sua semplicità di formulazione lo consenta, l’Assemblea della Camera, su proposta dell’Ufficio di Presidenza, sentita la Giunta dei Portavoce, potrà decidere che venga direttamente esaminato in lettura unica”. Febbraio 2012 15 Inoltre, a differenza dei regolamenti di taluni parlamenti di Comunità autonome, il RCD non ha stabilito un elenco di materie escluse da questo tipo di esame e le norme parlamentari non prevedono che l’Ufficio di Presidenza della Camera debba motivare la proposta che una determinata iniziativa sia esaminata in lettura unica. D’altra parte, può dirsi che i diritti dei deputati siano stati garantiti: i deputati, infatti, hanno avuto l’opportunità di intervenire nella fase plenaria ed hanno potuto manifestare con il voto la propria opposizione alla proposta di lettura unica. Febbraio 2012 16 c) Sull’esame con procedimento di urgenza e sulla conseguente abbreviazione dei termini per la presentazione di emendamenti (FJ 4) Il Tribunale costituzionale osserva che l’Ufficio di Presidenza non deve motivare o giustificare la sua decisione, bensì adottarla in funzione della richiesta dei soggetti legittimati 7. Peraltro, il procedimento di urgenza era nella specie giustificato, poiché era stato annunciato pubblicamente il termine della legislatura, con la imminente convocazione di elezioni anticipate. Proprio per quest’ultima circostanza, esistevano ragioni di eccezionalità che abilitavano l’Ufficio di Presidenza a ridurre a metà il termine di presentazione di emendamenti (artt. 94 e 91, comma 2, RCD). Inoltre, la perentorietà dei termini non ha comunque ostacolato l’esercizio delle facoltà dei ricorrenti durante il procedimento legislativo8, come dimostra la presentazione di un loro emendamento integralmente sostitutivo del testo da approvare. d) Sull’inammissibilità dell’emendamento presentato dai ricorrenti integralmente sostitutivo del testo da approvare (FJ 5) Il Tribunale costituzionale ribadisce che la decisione dell’Ufficio di Presidenza era giustificata, poiché i ricorrenti non avevano presentato un testo alternativo a quello in discussione, bensì una iniziativa di riforma radicalmente diversa. Dalla giurisprudenza costituzionale si evince la legittimità della dichiarazione di inammissibilità di emendamenti che non abbiano legami con l’iniziativa in corso (STC 23/1990, del 15 febbraio, FJ 5), a conferma della necessaria omogeneità degli emendamenti con l’iniziativa che si intende modificare (STC 119/2011, del 5 luglio, FJ 5). e) I votos particulares L’ordinanza reca tre opinioni concorrenti, del Vice presidente Eugeni Gay Montalvo e dei giudici costituzionali Pablo Pérez Tremps e Luis Ignacio Ortega Álvarez. Eugeni Gay Montalvo ritiene che nella motivazione dell’ordinanza si doveva analizzare se la votazione del plenum della Camera con cui si era deciso l’esame dell’iniziativa in lettura unica rispettasse effettivamente i presupposti previsti dall’art. 150 RCD (natura dell’iniziativa o semplicità della sua formulazione). Pablo Pérez Tremps ha criticato che si dichiarasse inammissibile una richiesta di amparo che rispondeva ai requisiti processuali e che possedeva una chiara rilevanza costituzionale, poiché riguardava questioni su cui quasi non esiste giurisprudenza costituzionale: lo svolgimento del procedimento parlamentare di riforma costituzionale, la posizione dei rappresentanti del popolo in tale procedimento ed il rispetto dei diritti fondamentali dell’art. 23 Cost. Il Tribunale doveva, dunque, condurre un esame completo del caso e decidere con sentenza. Luis Ignacio Ortega Álvarez aderisce alle considerazioni del giudice Pérez Tremps ed insiste su due altri punti: il Tribunale costituzionale doveva stabilire esplicitamente una riserva di cognizione ed esame del contenuto delle riforme costituzionali e doveva stabilire criteri di differenziazione tra procedimenti parlamentari legislativi, in cui le Cortes agiscono come potere costituito, e procedimenti di riforma costituzionale, in cui le Cortes agiscono come potere costituente. 7 Secondo l’art. 93, comma 1, RCD: “su richiesta del Governo, di due gruppi parlamentari o di un quinto dei deputati, l’Ufficio di Presidenza della Camera potrà decidere che un argomento venga esaminato con procedimento di urgenza”. 8 Il Tribunale costituzionale ha già chiarito in passato che il procedimento di urgenza e l’abbreviazione dei termini non violano i principi costituzionali che informano il procedimento legislativo, inteso come procedimento di formazione della volontà della Camera (STC 234/2000, del 3 ottobre, FJ 13). Febbraio 2012 17 3. STC 6/2012, del 18 gennaio Tutela del patrimonio storico – Beni provenienti dall’Aragona – Acquisto e conservazione da parte della Catalogna – Esercizio del diritto di retratto da parte dell’Aragona – Asserita violazione del principio di territorialità che si impone alle Comunità autonome – Conflitto positivo di competenze – Accoglimento – Opinioni dissenzienti. Il plenum del Tribunale costituzionale ha accolto il conflitto positivo di competenze presentato dal Governo catalano nei confronti del Governo dell’Aragona, che aveva esercitato il diritto di retratto in relazione all’acquisto da parte della Catalogna di alcuni beni del Monastero di Sigena, sito in Aragona. Il Tribunale costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’esercizio del diritto di retratto. La maggior parte dei beni artistici del Monastero di Sigena, la cui costruzione risale al secolo XII, andò distrutta durante la guerra civile e quelli superstiti erano custoditi dalle suore dell’Orden de San Juan de Jerusalén. La comunità religiosa si era trasferita in Catalogna nel 1970 ed aveva depositato i beni che erano stati successivamente venduti in diversi musei catalani. Giunta la notizia della compravendita al Governo dell’Aragona, questo aveva tentato di esercitare il diritto legale di retratto9 perché riteneva che fossero beni di interesse culturale, appartenenti ad un monumento nazionale della sua Comunità autonoma. Inoltre, l’art. 71, comma 45, del suo Statuto di autonomia lo autorizzava a porre in essere le “politiche necessarie volte a recuperare il patrimonio aragonés che si trovi ubicato fuori dal territorio dell’Aragona”. Per parte sua, il Governo catalano sosteneva di aver acquistato i beni nell’esercizio delle sue competenze in materia di preservazione del patrimonio, che, in virtù dell’art. 127 del suo Statuto di autonomia, si estendono al patrimonio culturale ubicato nel suo territorio, a prescindere dalla sua origine. Il Tribunale costituzionale ha escluso dal thema decidendum due questioni di legalità ordinaria: la natura giuridica dei beni venduti (cioè, se si trattava di beni di interesse culturale o meno) e la natura e limiti del diritto di retratto come strumento riconosciuto alla pubblica amministrazione per la tutela del patrimonio culturale (FJ 2). Ciò nondimeno, è entrato nel merito del ricorso, in ossequio ad una nozione lata di conflitto positivo di competenze (artt. da 62 a 67 LOTC), che ammette tanto il conflitto da rivendicazione quanto quello da interferenza, purché risulti violato il sistema di ripartizione delle competenze posto dal c.d. bloque de la constitucionalidad (FJ 3). Nel caso di specie, è stata apprezzata la rilevanza costituzionale del conflitto perché, nel suo ricorso, il Governo catalano ha insistito sul fatto che il Governo dell’Aragona, esercitando il diritto di retratto, ha proiettato fuori dal suo territorio le sue competenze in materia di patrimonio storico e culturale, limitando quelle della Catalogna (FJ 4). Per la giurisprudenza costituzionale, il territorio è un elemento che delimita le competenze delle Comunità autonome nei loro rapporti con le altre Comunità e con lo Stato, ma il principio territoriale non può essere interpretato “in termini che impediscano alle istanze autonomiche di adottare decisioni nell’esercizio delle proprie competenze le cui conseguenze possano proiettarsi su altri luoghi del territorio nazionale” (FJ 6). 9 L’art. 40 del regio decreto n. 111/1986, del 10 gennaio, prevede che la vendita di un bene di interesse culturale debba essere notificata formalmente alla Comunità autonoma competente in materia di tutela del patrimonio storico, che potrà esercitare i diritti di prelazione e retratto di cui all’art. 38, comma 4, della legge n. 16/1985, del 25 giugno, sul patrimonio storico spagnolo. Febbraio 2012 18 In concreto, il Tribunale costituzionale considera che, poiché l’obiettivo delle competenze autonomiche in materia di tutela del patrimonio storico è la preservazione dei beni che lo compongono, trattandosi nella specie dell’esercizio di competenze da parte di più soggetti su uno stesso spazio fisico ed essendo mancato il ricorso a tecniche di collaborazione tra Comunità autonome, “prevale la competenza che spetta alla Catalogna […]. Certamente, esercitando la sua competenza in materia di patrimonio storico sui beni che si trovano nel suo territorio – indipendentemente da quale sia la loro origine –, la Catalogna svolge la funzione di preservazione del patrimonio storico ed artistico della Spagna, e, in quest’ottica, poiché i beni riguardanti questa controversia si trovano in adeguate condizioni di conservazione in Catalogna, risulta congruente con l’obiettivo costituzionale che gli stessi restino nella Comunità autonoma in cui si trovano” (FJ 8). La sentenza reca le opinioni dissenzienti del giudice costituzionale Elisa Pérez Vera, cui aderisce il giudice Ramón Rodríguez Arribas, e del giudice costituzionale Francisco José Hernando Santiago, cui aderisce il giudice Francisco Pérez de los Cobos Orihuel. In entrambi i casi, si sostiene l’assenza di rilevanza costituzionale del caso, che riguarderebbe solo questioni di legalità ordinaria. Sarebbe stato diverso se il Tribunale costituzionale, invece di limitarsi a risolvere il concreto destino di questi beni, avesse operato una vera delimitazione delle competenze delle due Comunità autonome, perché il rischio è che le competenze dell’Aragona, trattandosi di beni in possesso di istituzioni pubbliche della Catalogna, vengano svuotate oppure che venga imposto il ricorso a tecniche di collaborazione con altre Comunità autonome. 4. Sentenza del 30 gennaio 2012 Attività giornalistica – Utilizzo di telecamera nascosta – Condanna per violazione dei diritti all’intimità ed alla tutela dell’immagine – Asserita violazione del diritto di cronaca – Ricorso di amparo – Conflitto tra diritti che vede prevalere quelli all’intimità ed alla tutela dell’immagine – Rigetto. La sala prima del Tribunale costituzionale ha respinto il ricorso di amparo presentato dalla società di produzione audiovisiva Canal Mundo Producciones Audiovisuales S.A. e dalla Televisión Autonómica Valenciana contro le decisioni della sala civile del Tribunale supremo con cui sono state condannate in cassazione per un’intromissione illegittima nei diritti all’intimità ed alla propria immagine (art. 18, comma 1, Cost.) di una estetista10. I ricorrenti ritenevano violato il loro diritto a comunicare liberamente informazione veritiera (art. 20, comma 1, lettera d, Cost.). È la prima volta che il Tribunale costituzionale si pronuncia sull’utilizzo della telecamera nascosta nei servizi giornalistici. Nella specie, una giornalista di Canal Mundo si era recata da una estetista e naturopata, fingendosi interessata ai suoi servizi. La professionista la aveva ricevuta nella parte della sua abitazione adibita a studio e l’incontro era stato integralmente registrato grazie ad una telecamera nascosta. Successivamente, Canal Mundo aveva ceduto la registrazione alla televisione pubblica della Comunità autonoma valenciana, che l’aveva messa in onda durante una trasmissione dedicata ai falsi professionisti del mondo della salute, senza occultare l’immagine né alterare la voce dell’estetista. Durante il dibattito che era seguito alla trasmissione del video, la sua immagine era 10 La sentenza non è stata ancora numerata. Febbraio 2012 19 continuata a comparire in un angolo dello schermo; l’estetista era stata criticata dai partecipanti alla trasmissione perché in passato era stata condannata per abusivismo professionale. I ricorrenti sono stati condannati per violazione del diritto all’intimità, giacché avevano proceduto senza il consenso espresso richiesto ai sensi degli artt. 2, comma 2, e 7, comma 1, della legge orgánica n. 1/1982, del 5 maggio, donde la illegittimità della registrazione nello studio e della diffusione televisiva del video. Non era stata messa in questione né la veridicità del servizio né l’interesse generale ad informare sui rischi dell’abusivismo professionale, ma i giudici hanno sottolineato che dal servizio non si capiva se l’estetista agisse attualmente come fisioterapista senza averne il titolo, né perché fosse stata scelta come esempio pubblico di una prassi da bandire. Inoltre, ritenevano che l’utilizzo della telecamera nascosta non fosse imprescindibile per scoprire quanto accadeva nello studio. La mancanza del consenso aveva comportato anche la violazione del diritto alla propria immagine della professionista. Prima di entrare nel merito del ricorso, il Tribunale costituzionale ha ricordato le linee fondamentali della sua giurisprudenza in materia di conflitto tra la libertà di comunicare informazione veritiera ed i diritti fondamentali all’intimità ed alla propria immagine (FFJJ 3-6). In questo caso, “i ricorrenti hanno insistito sulla veridicità del contenuto del reportage […]. Questo argomento non può accettarsi, non solo perché durante il processo non è stata contestata in alcun momento la veridicità dell’informazione divulgata, adducendo, ad esempio, la manipolazione o alterazione della registrazione delle immagini e del suono ottenuti, ma, fondamentalmente, perché [il] Tribunale [costituzionale] viene reiterando che, quando è compromesso il diritto all’intimità, la cosa determinante per risolvere il conflitto tra diritti è la rilevanza pubblica dell’informazione e non la veridicità del contenuto dell’informazione divulgata, perché, a differenza di quanto accade nelle intromissioni nell’onore, la veridicità non è l’attenuante bensì il presupposto della violazione dell’intimità” (FJ 7). Peraltro, “anche nel caso in cui l’informazione avesse avuto rilevanza pubblica, le circostanze con cui essa era stata ottenuta e registrata, cioè, mediante l’uso di una telecamera nascosta, costituiscono in ogni caso un’illegittima intromissione nei diritti fondamentali all’intimità personale ed alla propria immagine. “Quanto alla violazione dell’intimità, in primo luogo [si respinge l’argomento secondo cui], tanto il carattere accessibile al pubblico della parte dell’abitazione dedicata a studio dell’estetista, quanto l’apparente relazione professionale stabilita tra questa persona e la giornalista che si era presentata come una cliente, abbiano la capacità di collocare l’attività della ricorrente al di fuori dei confini del diritto all’intimità, costituzionalmente protetto anche nei rapporti di natura professionale [...]. Non sussistendo un consenso espresso, valido ed efficace prestato dalla titolare del diritto interessato, è doveroso concludere che si è avuta un’intromissione illegittima nel diritto fondamentale all’intimità personale. “E quanto al diritto alla propria immagine, [si giunge] ad un’identica conclusione […]; la persona registrata surrettiziamente è stata privata del diritto a decidere, nel senso di consentirla o impedirla, sulla riproduzione del suo aspetto fisico e della sua voce, determinanti per la sua compiuta identificazione come persona. “La sentenza impugnata valuta correttamente i dati che ricorrono nella presente fattispecie, e conclude con il rigetto della pretesa prevalenza della libertà di informazione. Conclusione costituzionalmente adeguata, non solo perché il metodo utilizzato per ottenere la captazione intrusiva – la cosiddetta telecamera nascosta – non fosse in assoluto necessaria né adeguata per l’obiettivo di accertare l’attività posta in essere (per questo sarebbe stata sufficiente la realizzazione di interviste ai clienti), ma anche, e soprattutto, perché, che avesse o meno rilevanza pubblica quello Febbraio 2012 20 che su cui indagava la giornalista, ciò che è costituzionalmente proibito è proprio l’utilizzo del metodo stesso (telecamera nascosta)” (FJ 7). 5. Notizia sul plenum del Tribunale costituzionale celebrato a Valencia Le ordinanze qui passate in rassegna sono due delle pronunce decise durante un plenum celebrato il 13 gennaio a Valencia, nella sede del Tribunal Superior de Justicia de la Comunitat Valenciana. È la prima volta che il Tribunale costituzionale si riunisce in camera di consiglio fuori dalla sua sede madrilena. L’iniziativa, voluta dal Presidente Pascual Sala, ha lo scopo di avvicinare il Tribunale costituzionale alla cittadinanza. Il prossimo 19 marzo il plenum si riunirà a Cadice, nel quadro delle celebrazioni per il bicentenario dell’approvazione della prima Costituzione spagnola. Febbraio 2012 21 STATI UNITI a cura di Sarah Pasetto 1. 565 U.S. ___, dell’11 gennaio 2012; No. 10-553, Hosanna-Tabor Evangelical Lutheran Church and School v. Equal Employment Opportunity Commission et al. Congregazioni e scuole religiose – Insegnante con funzioni (anche) di ministro di culto – Licenziamento – Asserita discriminazione sul lavoro – Ricorso giurisdizionale avverso il licenziamento – I Emendamento – Religion Clauses e ministerial exception – Sindacato giurisdizionale sul provvedimento di licenziamento e sulla richiesta di risarcimento danni – Esclusione. Il I Emendamento alla Costituzione rende inammissibili i ricorsi per asserita discriminazione in materia d’impiego presentati da ministri di culto nei confronti dell’organizzazione religiosa di appartenenza1. La sentenza in oggetto può definirsi “storica”, in quanto costituisce la prima occasione in cui la Corte suprema ha avuto modo di pronunciarsi sulla rilevanza della libertà costituzionalmente concessa alle organizzazioni religiose nell’ambito dei procedimenti relativi alla discriminazione sul lavoro. La Hosanna-Tabor Evangelical Lutheran Church and School (di seguito, Hosanna-Tabor), ricorrente presso la Corte suprema, è una congregazione della Chiesa luterana. Gli insegnanti della relativa scuola possono appartenere ad una delle due seguenti categorie: quella degli insegnanti “con vocazione” (called) oppure quella degli insegnanti “laici” (lay). Si ritiene che i primi rispondano ad una “chiamata divina all’insegnamento”, e possono venire ufficialmente designati solo a seguito del completamento di un percorso di formazione teologica; una volta nominati, ottengono il titolo di “ministro del culto”2. Gli insegnanti laici non devono sostenere alcuna formazione e neppure è richiesto che siano di fede luterana. Le due categorie di insegnanti svolgono, più o meno, gli stessi compiti, ma gli insegnanti laici vengono assunti solo se non è disponibile alcun insegnante con vocazione. La Equal Employment Opportunity Commission, parte convenuta nel giudizio dinanzi alla Corte suprema, ha agito per conto della sig.ra Cheryl Perich, la quale, per parte sua, è intervenuta in 1 Il I Emendamento così recita: “Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per riparazione di torti”. Sono rilevanti, ai fini della presente sentenza, le prime tre proposizioni; le prime due sono anche denominate, rispettivamente, Free Exercise Clause ed Establishment Clause, mentre la terza sancisce il diritto alla libertà di associazione. 2 Il percorso di formazione, della durata di sei anni, richiede il completamento di otto corsi di livello universitario su argomenti religiosi relativi alla Chiesa luterana; la nomina richiede, inoltre, la raccomandazione del proprio sinodo di appartenenza (concessa solo a seguito della valutazione dei risultati accademici, delle referenze e degli scritti in materia di religione redatti dal candidato) ed il superamento di un esame presso un’università luterana. Infine, la nomina necessita dell’approvazione da parte della congregazione stessa. Una volta nominata, la persona può essere rimossa dall’incarico solo in base ad una votazione a maggioranza qualificata della congregazione: tale previsione ha lo scopo espresso di permettere di “predicare la Parola di Dio senza timori”. Febbraio 2012 22 giudizio. La Perich era divenuta un’insegnante con vocazione secondo il percorso previsto. Tra le sue mansioni figuravano l’insegnamento di materie sia laiche che religiose, la guida dei suoi alunni nella preghiera quattro volte a settimana e l’accompagnamento degli stessi alla funzione religiosa settimanale organizzata dalla Hosanna-Tabor, funzione che la stessa Perich conduceva circa due volte all’anno3. Alla convenuta era stata diagnosticata una narcolessia ed aveva dovuto assentarsi per malattia per i primi mesi dell’anno scolastico 2004-2005. Nel gennaio 2005, aveva avvisato la scuola di poter riprendere l’insegnamento nel febbraio 2005. La scuola aveva risposto che aveva già assunto un insegnante laico in sua sostituzione per il resto dell’anno scolastico ed aveva espresso dubbi circa l’idoneità della convenuta al lavoro. Tali preoccupazioni avevano indotto la congregazione dei fedeli a chiedere le dimissioni della Perich dalla posizione di insegnante con vocazione, offrendo come contropartita il pagamento di una parte delle spese assicurative per malattia sostenute dalla Perich. La convenuta aveva respinto la proposta; recandosi a scuola in febbraio, si era rifiutata di allontanarsene senza una lettera scritta che certificasse la sua presenza al lavoro. La preside aveva quindi informato la Perich che sarebbe stata probabilmente licenziata; la convenuta aveva risposto che, anche sulla base di un parere legale acquisito, avrebbe fatto valere i suoi diritti. La scuola aveva successivamente comunicato che la questione della sua rimozione dall’incarico, motivata ora non più dalla malattia bensì dalla sua insubordinazione e dal danno subito in seguito alla minaccia di azione legale, sarebbe stata sottoposta al voto della congregazione dei fedeli. La congregazione aveva infine deciso a favore della revoca della Perich, e la Hosanna-Tabor le aveva dunque comunicato la cessazione del rapporto di lavoro. La Perich ha asserito di aver subito, a causa della sua malattia, una discriminazione contraria all’Americans with Disabilities Act. La Commission sopra menzionata ha quindi citato in giudizio la Hosanna-Tabor in base alla tesi che il licenziamento costituiva una ritorsione illecita per aver espresso l’intenzione di agire in via giudiziale; ad avviso della Commission, per difendersi dai ricorsi per discriminazione sul lavoro, le organizzazioni religiose potevano invocare la libertà di associazione, tutelata anch’essa dal I Emendamento, senza che ci fosse alcun bisogno di ricavare una regola speciale per l’esclusione dei ministri fondata sull’Establishment Clause. Di contro, la Hosanna-Tabor invocava la c.d. “eccezione ministeriale” (ministerial exception) sancita dal I Emendamento, che avrebbe reso inammissibile l’azione della Commission, poiché il rapporto di lavoro riguardava un’istituzione religiosa ed uno dei suoi ministri di culto. La Hosanna-Tabor ha prevalso in primo grado, ma la Corte d’appello del Sixth Circuit ha annullato la sentenza: pur riconoscendo l’esistenza dell’eccezione ministeriale, la Corte d’appello ha concluso che la Perich non poteva essere considerata un ministro di culto, di talché l’eccezione non era applicabile. All’unanimità, la Corte suprema ha confermato la sentenza della Corte d’appello, ribadendo che tanto le c.d. Religion Clauses quanto la parte relativa alla libertà di espressione del I Emendamento rendono inammissibili le azioni per asserita discriminazione sul lavoro intentate da ministri di culto contro l’istituzione religiosa di appartenenza. Nella opinion principale, redatta dal Chief Justice Roberts, la Corte ha ripercorso le origini e la storia della tutela approntata alla libertà di religione negli Stati Uniti, evidenziando come essa 3 In quanto insegnante con vocazione, aveva il compito di “guidare gli altri verso la maturità cristiana” e di “insegnare la Parola di Dio, le Sacre Scritture, nella loro verità e purezza e così come scritte in tutti i testi simbolici della Chiesa Evangelica Luterana”. Febbraio 2012 23 affondi le proprie radici nel desiderio dei Padri fondatori di evitare le difficoltà nate dalla commistione, in Inghilterra, tra Stato e Chiesa. La Corte ha poi richiamato la propria giurisprudenza, nella quale ha ribadito, sin dalle prime decisioni relative alla distinzione tra Stato e religione, la libertà delle organizzazioni religiose, ovvero l’esonero dal controllo o dalla ingerenza da parte di agenti “temporali”. Inoltre, l’eccezione ministeriale è stata riconosciuta sin dagli anni ’60, all’epoca dell’emanazione del Title VII del Civil Rights Act e di altre norme sulla parità nei rapporti di lavoro, al fine di precludere l’applicazione delle stesse norme ai ricorsi riguardanti i rapporti di lavoro tra le istituzioni religiose ed i loro ministri. La Corte ha avallato un tale riconoscimento, ritenendo che l’imposizione dell’accoglimento di un ministro non desiderato o la sanzione per il suo mancato accoglimento si tradurrebbe in un’interferenza, non già su una semplice decisione di lavoro, ma su una decisione relativa all’ordinamento interno dell’istituzione religiosa, poiché l’istituzione viene privata del controllo sulla selezione degli individui che dovrebbero essere latori dei suoi principi portanti. Opinare diversamente comporterebbe la violazione, da parte dello Stato, delle Religion Clauses. Inoltre, il testo stesso del I Emendamento si oppone alle tesi della parte convenuta di fronte alla Corte suprema, poiché le disposizioni costituzionali mostrano una attenzione particolare ai diritti delle organizzazioni religiose. L’applicazione dell’eccezione ministeriale è stata ritenuta, nella specie, possibile, poiché la Perich era da ritenersi un ministro di culto: il I Emendamento, dunque, obbligava al respingimento della sua istanza. La Perich era effettivamente un ministro di culto perché, innanzitutto, veniva presentata come tale dalla Hosanna-Tabor: le era stato conferito il titolo di ministro e si era stabilito che il suo ruolo dovesse essere ben diverso da quello della maggioranza degli appartenenti alla congregazione. Inoltre, la stessa convenuta si presentava come ministro, sia all’interno della congregazione, sia al suo esterno (accettando formalmente la chiamata al servizio religioso, ma anche, ad esempio, usufruendo di una detrazione fiscale riservata ai soli lavoratori impegnati ne “l’esercizio del ministero di un culto”); infine, i numerosi documenti addotti come prova in giudizio dimostravano che la convenuta si percepiva come un ministro di culto. Anche le mansioni da lei svolte indicavano che il suo ruolo nella perpetuazione del messaggio e nell’adempimento della missione della Chiesa luterana era assai attivo. Nella opinion della Corte suprema, la Corte d’appello aveva errato in quanto aveva trascurato il valore della nomina a ministro da parte della Chiesa, nomina che, seppure formale, avveniva soltanto in seguito all’espletamento di un percorso dalla durata e dal contenuto religioso assai significativi. La medesima corte inferiore, inoltre, aveva dato eccessivo peso all’uniformità tra le mansioni degli insegnanti laici e di quelli con vocazione ed alla limitatezza del tempo dedicato dalla Perich alle attività religiose nell’arco dell’intera giornata scolastica; la Corte suprema ha affermato che tali circostanze, pur se non irrilevanti, dovevano comunque essere prese in considerazione alla luce della natura delle mansioni religiose svolte e degli altri elementi della fattispecie. Dunque, sia il reintegro della convenuta nel posto di lavoro (richiesta originaria della convenuta), sia le sue richieste in subordine di compensazione del mancato reddito e di pagamento di danni punitivi e spese legali, erano stati preclusi dal I Emendamento. Il reintegro sarebbe stato essenzialmente equivalente all’imposizione di un ministro indesiderato, ciò che avrebbe violato la libertà, chiaramente sancita dalle clausole costituzionali sulla religione, della Chiesa luterana di scegliere i propri ministri. L’accoglimento delle richieste poste in via gradata avrebbero integrato una sanzione per la cessazione del rapporto di lavoro con un ministro non desiderato. In sostanza, si richiedeva una valutazione della decisione di cessare il rapporto di lavoro che la ministerial exception ha il precipuo scopo di vietare. Febbraio 2012 24 La Corte suprema ha precisato che la decisione resa riguarda solamente l’inammissibilità dei ricorsi per pretesa discriminazione in materia di lavoro intentati dai ministri di culto contro il licenziamento posto in essere dalla propria Chiesa di appartenenza, alla luce della ministerial exception; la Corte ha avuto cura di precisare di non aver espresso alcuna posizione sul rapporto tra la exception ed altri tipi di ricorso. Febbraio 2012 25 2. 565 U.S. ___, del 18 gennaio 2012; No. 10-545, Golan et al. v. Holder, Attorney General, et al. Proprietà intellettuale – Attuazione della Convenzione di Berna – Protezione di opere straniere in precedenza non protette – Limitazione dei diritti di coloro che già facevano uso di queste opere – Asserita violazione del I Emendamento (Copyright Clause) – Esclusione. Una disposizione di legge che tutela i diritti d’autore relativi ad opere straniere precedentemente assenti non viola l’articolo I, section 8, clause 8 (c.d. Copyright Clause), della Costituzione, né il I Emendamento, che sancisce la libertà d’espressione4. La Corte ha in tal modo confermato il potere del Congresso di garantire a compositori ed autori il monopolio sui diritti di sfruttamento delle proprie opere. La Corte ha stabilito che non esiste alcun diritto costituzionale alla riproduzione o all’uso di opere solo perché non sono protette; dunque, non possono sollevarsi obiezioni avverso il ripristino della tutela dei diritti d’autore: solo il compositore o l’autore dell’opera godono di diritti. La disposizione normativa in questione è la section 514 dello Uruguay Round Agreements Act, emanato per perfezionare l’adesione, avvenuta nel 1989, alla Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche, stipulata originariamente nel 1886 e che costituisce la principale forma di tutela internazionale dei diritti d’autore, soprattutto in seguito agli impegni assunti dagli Stati Uniti nei negoziati multilaterali sul commercio svoltisi in Uruguay nel 1994. La section 514 ha introdotto la tutela dei diritti d’autore relativi ad opere protette nei Paesi d’origine ma che non godevano della tutela negli Stati Uniti per uno dei seguenti motivi: l’opera non era tutelata negli Stati Uniti al momento della pubblicazione; l’opera in questione era una registrazione sonora effettuata prima del 1972; l’autore non aveva adempiuto alle necessarie formalità precedentemente previste nell’ambito del regime di tutela statunitense. Prima dell’adesione alla Convenzione, negli Stati Uniti era vigente un sistema dei diritti d’autore fondato essenzialmente sulla reciprocità tra Paesi. La section ha esteso la tutela già riconosciuta dagli Stati Uniti alle opere di paesi per i quali valeva la condizione di reciprocità ad opere di paesi che abbiano rimosso dal loro ordinamento le eventuali norme incompatibili con la Convenzione di Berna. Dunque, tra gli effetti concreti della section 514, si è avuta anche la riconduzione sotto tutela di opere precedentemente non protette. La legge ha previsto alcune misure per agevolare i soggetti che abbiano acquisito o riprodotto opere poi divenute protette, al fine espresso di evitare incompatibilità con il V Emendamento: ad esempio, tali soggetti potranno riprodurre l’opera fino al momento in cui il proprietario dei diritti ripristinati non comunichi l’intenzione di farli valere, dopodiché i soggetti godranno di un ulteriore anno “di grazia”, durante il quale potranno continuare a riprodurre l’opera; inoltre, i creatori di “opere derivate”, ispirate all’opera tutelata, potranno usufruirne a tempo indeterminato, dietro pagamento, al detentore dei diritti, di una “somma ragionevole”. I ricorrenti dinanzi alla Corte suprema, un gruppo di direttori d’orchestra, musicisti, editori ed altri che usufruivano di opere in precedenza non protette, si opponevano all’introduzione della tutela di cui alla section 514, in quanto contraria alla Copyright Clause ed al I Emendamento alla Costituzione. A loro parere, le opere non protette dovevano rimanere tali per sempre, in quanto una 4 L’articolo 1, section 8, clause 8, stabilisce che “[i]l Congresso avrà facoltà […] di promuovere il progresso della scienza e delle arti utili, garantendo per periodi limitati agli autori e agli inventori il diritto esclusivo sui loro scritti e sulle loro scoperte”. Febbraio 2012 26 loro eventuale protezione si sarebbe tradotta in una violazione dei diritti di libera espressione degli individui che avevano usufruito delle opere. Con una maggioranza di 6 contro 25, la Corte suprema ha stabilito che le disposizioni costituzionali invocate, per il loro tenore testuale, per la prassi applicativa e per la giurisprudenza della Corte, non sono di ostacolo alla legittimità della section 514. La opinion della maggioranza si è fondata essenzialmente sull’interpretazione della sentenza Eldred v. Ashcroft, dalla Corte pronunciata nel 2003. In tale sentenza si è affermata la costituzionalità, alla luce degli stessi parametri ora invocati, dell’estensione del periodo di validità dei diritti d’autore in corso. Nonostante la diversità delle fattispecie, la maggioranza della Corte ha ritenuto che i principi normativi delucidati nel primo caso potessero essere riproposti. I richiedenti hanno sostenuto l’incompatibilità con la Copyright Clause in ragione del fatto che quest’ultima dispone che il periodo di durata della tutela debba essere “limitato”: l’introduzione di una protezione violerebbe tale limitazione, poiché trasformerebbe un periodo fisso e prevedibile in un periodo che può essere re-impostato oppure fatto rivivere in qualsiasi momento, anche in seguito alla sua ordinaria scadenza. Rifacendosi alla sentenza Eldred, la Corte ha evidenziato che la formulazione costituzionale non va intesa in senso stretto, ma ha piuttosto il significato più ampio di “limitato entro taluni argini”, “ristretto” o “circoscritto”. A parere della Corte, la possibilità che il Congresso estenda a tempo indeterminato la tutela dei diritti d’autore attraverso la disposizione di successivi periodi di tutela è solo “ipotetica” e “assai remota”; lo stesso allineamento degli Stati Uniti con gli altri Paesi aderenti alla Convenzione di Berna è sufficiente a chiarire che il Congresso non era intenzionato a voler creare un regime di diritti d’autore perpetui. Questa interpretazione della Copyright Clause è corroborata anche sul piano storico, potendosi contare numerosi casi in cui il Congresso ha deciso di tutelare opere che in precedenza non lo erano e casi in cui si è estesa la tutela scaduta di invenzioni ed opere. Anche la giurisprudenza della Corte suprema si è orientata nel senso della legittimità di simili condotte. Data l’autorità riconosciuta dalla stessa Corte al Congresso, e data la natura obbligatoria degli impegni presi in Uruguay, la Corte ha deciso di astenersi dal valutare la scelta politica, operata dal Congresso, a favore dell’adesione completa alla Convenzione di Berna a scapito della libera utilizzazione delle opere dell’ingegno. Infine, la parte iniziale della clause, che stabilisce che il diritto esclusivo di sfruttamento delle opere è garantito al fine “di promuovere il progresso della scienza e delle arti”, non rende illegittima la section in questione perché, secondo quanto affermato nella sentenza Eldred, la promozione del sapere e dell’apprendimento non consiste solo nella creazione di nuove opere d’arte, ma anche nella loro divulgazione. In ogni caso, il Congresso ha la facoltà di individuare i sistemi di proprietà intellettuale idonei: la formulazione della clause non contiene alcuna limitazione in tal senso. Alla sentenza Eldred si è fatto riferimento anche per la parte relativa al I Emendamento. La Corte ha riconosciuto che una qualche forma di limitazione alla libertà di parola è un effetto intrinseco ed intenzionale di ogni forma di tutela dei diritti d’autore. Tuttavia, i Padri fondatori stessi avevano percepito anche un altro aspetto del diritto d’autore, ovvero quello di “forza motrice” della libertà di espressione, attraverso la creazione di un incentivo economico a creare e diffondere idee. La Corte ha poi delineato i “contorni tradizionali” della tutela del diritto d’autore, consistenti nella “dicotomia tra idea ed espressione” e nella difesa dell’“uso equo” delle opere, ed ha riconosciuto tali contorni alla stregua di corollari di quanto espresso nel I Emendamento. Nella specie, visti gli obiettivi e le salvaguardie poste a tutela della libertà di espressione già presenti nella 5 La Justice Kagan si è astenuta dal giudizio. Febbraio 2012 27 normativa di protezione del diritto d’autore, non c’è ragione di accordare la protezione rafforzata richiesta dalle parti ricorrenti. La section 514, del resto, non ha influito sugli istituti fondamentali della normativa e, d’altra parte, il Congresso ha anche previsto misure di agevolazione per coloro che possano essere danneggiati dall’adozione dei provvedimenti imposti dalla Convenzione di Berna. La Corte ha respinto anche le argomentazioni secondo le quali i ricorrenti avrebbero posizioni di interesse consolidato sulle opere in precedenza non protette. La mancanza di protezione del diritto d’autore su un’opera ben può essere superata dall’introduzione di un nuovo regime di tutela. Il Congresso ha sovente adattato la normativa sui diritti d’autore per ricomprendervi nuove categorie di opere, come ad es. le opere drammaturgiche (1856), quelle straniere (1891) e quelle architettoniche (1990). La Corte non ha disconosciuto le ripercussioni finanziarie della decisione. Ha però sottolineato come la section 514 non imponga un divieto “a tappeto” sull’uso delle opere; piuttosto, l’uso deve essere retribuito, oppure limitato a ciò che costituisce un “uso equo”, per le opere straniere, alla stregua della pratica già in essere per le opere statunitensi, relativamente alle quali la domanda commerciale non è mai venuta meno. La section si inserisce, in sostanza, in una evoluzione verso un sistema unico di diritti d’autore. 3. 565 U.S. ___, del 23 gennaio 2012; No. 10-1259, United States v. Jones Procedimento penale – Indagini – Apposizione di un dispositivo di localizzazione GPS sull’automobile di un sospettato – Mancato rispetto delle condizioni poste dal mandato di perquisizione – Asserita non riconducibilità dell’apposizione del dispositivo alla nozione di “perquisizione” – IV Emendamento – Nozione di perquisizione da collegare (anche) al diritto di proprietà – Configurabilità dell’intrusione all’interno dell’automobile alla stregua di una perquisizione – Inutilizzabilità, nella specie, dei dati acquisiti. L’apposizione di un dispositivo di localizzazione GPS su un autoveicolo e l’uso dei dati da questo acquisiti costituiscono una “perquisizione” ai sensi del IV Emendamento6. Il Governo statunitense aveva ottenuto un mandato di perquisizione al fine di poter apporre un dispositivo di localizzazione GPS su un autoveicolo intestato alla moglie del sig. Jones. Il mandato autorizzava l’installazione del dispositivo su un veicolo nel District of Columbia entro dieci giorni. L’installazione è però avvenuta nello Stato del Maryland, sull’undicesimo giorno dalla data del mandato. Il Governo ha rintracciato gli spostamenti dell’automobile per ventotto giorni. In base ai dati acquisiti, ha emesso un atto formale d’imputazione nei confronti di Jones e di altri per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La District Court ha in primo grado escluso l’utilizzabilità dei dati ottenuti quando il veicolo era parcheggiato presso il domicilio del convenuto, ma ha dichiarato ammissibili gli altri dati, poiché il convenuto non poteva avere ragionevoli aspettative di privacy quando il veicolo circolava su strade pubbliche. La Corte 6 Il IV Emendamento stabilisce che “[n]on potrà essere violato il diritto dei cittadini di godere della sicurezza personale, della loro casa, delle loro carte e dei loro beni, di fronte a perquisizioni e sequestri ingiustificati; e non si rilasceranno mandati di perquisizione se non su fondati motivi sostenuti da giuramento o da dichiarazione solenne e con descrizione precisa del luogo da perquisire e delle persone da arrestare o delle cose da sequestrare”. Febbraio 2012 28 d’appello del D.C. Circuit ha riformato la sentenza, stabilendo che tutti i dati acquisiti dal GPS erano stati ottenuti mediante l’uso non autorizzato del dispositivo e che erano pertanto inammissibili alla luce dei diritti sanciti dal IV Emendamento. Nella opinion della Corte suprema, redatta dal Justice Scalia, si è stabilito, all’unanimità, che l’apposizione del dispositivo GPS sul veicolo e l’uso dello stesso dispositivo per monitorare gli spostamenti dell’autoveicolo costituiscono una perquisizione ai sensi del IV Emendamento. I Justices Alito e Sotomayor hanno redatto opinioni concorrenti. L’intrusione fisica del Governo su un bene in possesso del convenuto, quale l’autovettura, al fine di ottenere informazioni costituisce una perquisizione. Il Governo ha infatti fisicamente occupato un oggetto di proprietà privata a tal fine. La Corte, facendo ricorso all’original intent, ha ritenuto pacifico che questo tipo di intrusione sarebbe stato considerato protetto dal IV Emendamento anche al momento della sua redazione: in tal senso, viene in rilievo anche la celebre sentenza inglese Entick v Carrington del 1765, da considerarsi la “vera e massima espressione del diritto costituzionale” in merito alla perquisizione ed al sequestro. Il Justice Scalia ha evidenziato il forte legame tra la sentenza inglese e l’Emendamento stesso e tra il diritto alla proprietà (alla cui “sacralità” l’Emendamento accenna) e l’elenco degli oggetti protetti stilato dall’Emendamento. Il radicamento del IV Emendamento nel diritto alla proprietà privata è stato espresso anche nella giurisprudenza della Corte suprema, quanto meno in quella più risalente. Se, fino alla seconda metà del XX secolo, la giurisprudenza si appoggiava essenzialmente sul reato di common law della violazione della proprietà (trespass), in seguito si è registrato uno spostamento a favore di un approccio fondato sulla constatazione che “il IV Emendamento tutela le persone, e non luoghi”, e dunque il canone fondamentale è divenuto quello della tutela delle “ragionevoli aspettative di privacy” che un individuo può nutrire (sentenza Katz v. United States del 1967). Quest’ultimo approccio è stato utilizzato dal Governo statunitense per fondare la tesi secondo cui, dato che il convenuto non poteva avere ragionevoli aspettative di privacy, l’apposizione del dispositivo GPS non poteva costituire una perquisizione. La Corte ha stabilito però di non dover decidere sul punto, poiché l’approccio di cui alla sentenza Katz non ha superato il principio in base al quale, se il Governo commette un’intrusione fisica in un’area costituzionalmente tutelata per ottenere informazioni, tale intrusione può violare il IV Emendamento. In sostanza, l’orientamento emerso dopo la sentenza Katz non è stato ritenuto tale da sovrapporsi, elidendolo, all’approccio tradizionalmente adottato dalla Corte, fondato sul trespass; piuttosto, i due approcci si sono posti in posizione di reciproca integrazione. Altrimenti detto, la Corte deve garantire, di fronte all’intervento governativo, come minimo il mantenimento del grado di privacy che è stato contemplato al momento dell’introduzione del IV Emendamento. Posta l’affermazione di principio, la Corte ha lasciato aperte non poche questioni. Riconosciuta la natura di “perquisizione” all’apposizione di dispositivi GPS nelle autovetture, la Corte ha omesso di chiarire se tali perquisizioni richiedano un mandato e, se del caso, quale standard sia necessario per il rilascio del mandato (in pratica, se è sufficiente dimostrare un nesso di “probabile causalità” oppure solamente di “ragionevole sospetto” in ordine alla commissione da parte del soggetto dei reati per cui è indagato). Febbraio 2012 29
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