Bollettino di informazione sull`attualità giurisprudenziale straniera
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Bollettino di informazione sull`attualità giurisprudenziale straniera
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA aprile 2012 a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig con il coordinamento di Paolo Passaglia FRANCIA 1. Decisione n. 2012-649 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla semplificazione del diritto ed all’alleggerimento delle formalità amministrative Rapporto di lavoro – Orari di lavoro – Legge che consente modifiche senza che sia richiesto l’assenso di tutti i dipendenti dell’impresa – Asserita violazione della libertà contrattuale – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Sussistenza di un interesse generale – Rigetto. 2. Decisione n. 2012-650 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla disciplina del servizio ed all’informazione dei passeggeri nelle imprese di trasporto aereo di passeggeri ed a varie disposizioni nel campo dei trasporti Sciopero – Legge che introduce obblighi di informazione preventiva imposti ai lavoratori del settore aereo – Previsione del potere di sanzione disciplinare avverso il lavoratore che non adempia agli obblighi – Asserita violazione del diritto di sciopero – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Proporzionalità della disciplina rispetto agli obiettivi di tutela dell’ordine pubblico in aeroporto – Rigetto. 3. Decisione n. 2012-652 DC del 22 marzo 2012, Legge relativa alla protezione dell’identità Documenti d’identità – Legge che prevede la raccolta e la conservazione dei dati di carattere personale, anche biometrici – Creazione di una banca dati centrale – Possibilità di accesso non limitata alla verifica dell’identità delle persone – Asserita violazione del diritto alla riservatezza – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Sproporzione tra gli obiettivi perseguiti e la compressione dei diritti individuali – Incostituzionalità. 4. Decisione n. 2012-227 QPC del 30 marzo 2012, Sig. Omar S. Cittadinanza – Acquisto per matrimonio – Condizioni –Effetti del loro venir meno – Contestazione dell’acquisto – Asserita violazione del diritto alla riservatezza – Questione prioritaria di costituzionalità – Rigetto – Questione sollevata d’ufficio sul rispetto del diritto di difesa – Rigetto – Riserva di interpretazione. 5. Decisioni relative alle elezioni presidenziali aprile 2012 1 GERMANIA 1. Ordinanza del 5 marzo 2012 (2 BvR 1464/11) Procedura penale – Patteggiamento – Inefficacia della rinuncia ai mezzi di impugnazione – Situazione di dubbio in ordine alla sussistenza di un patteggiamento – Mancanza di una adeguata valutazione da parte dei giudici dei fatti processuali – Asserita violazione del diritto ad un equo e giusto processo – Ricorso diretto – Accoglimento. REGNO UNITO 1. W (Algeria) (FC) and BB (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department (Respondent); PP (Algeria) (FC) (Appellant) v Secretary of State for the Home Department (Respondent) (formerly VV (Jordan) (FC) and PP (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department (Respondent)); Z (Algeria) (FC), G (Algeria) (FC), U (Algeria) (FC) and Y (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department (Respondent), [2012] UKSC 8, del 7 marzo 2012 Stranieri – Allontanamento di stranieri sospettati di terrorismo – Rimpatrio verso Paesi in cui si pratichi la tortura – Procedimento dinanzi alla Special Immigration Appeals Commission – Testimonianza – Condizione dell’anonimato assoluto posta dal potenziale testimone – Adozione di una ordinanza della Commission volta ad imporre l’anonimato – Corte suprema – Riconoscimento di tale potere in capo alla Commission – Limiti. 2. In the matter of S (A Child), [2012] UKSC 10, del 14 marzo 2012 Minori – Sottrazione di minore da parte della madre ed allontanamento verso altro Stato – Imposizione del rientro nello Stato di residenza abituale della famiglia – Condizioni – Articolo 13(b) della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori – Approccio interpretativo – Necessaria valutazione della situazione in cui venga a trovarsi il minore – Criteri. 3. Flood (Respondent) v Times Newspapers Limited (Appellant), [2012] UKSC 11, del 21 marzo 2012 Giornalismo – Articolo giornalistico di contenuto diffamatorio – Giustificazione della condotta del giornalista – Condizioni – Necessario bilanciamento tra contrapposti interessi. SPAGNA 1. STC 20/2012, del 16 febbraio Processo civile – Persone giuridiche soggette all’imposta sulle società e con un fatturato alto – Instaurazione di un giudizio – Assoggettamento a tasse giudiziarie – Asserita violazione del diritto alla tutela giurisdizionale – Giudizio in via incidentale – Sussistenza di limiti al principio di gratuità della giustizia – Rigetto. 2. STC 22/2012, del 16 febbraio Sanità – Istituti legittimati a gestire cellule e tessuti umani – Disciplina – Norme statali recanti principi generali, di coordinamento e di disciplina dei controlli – Asserita violazione delle competenze normative della Comunità autonoma di Madrid – Conflitto positivo di aprile 2012 2 competenza – Rigetto. 3. STC 37/2012, del 19 marzo Giurisprudenza – Ricorso nell’interesse della legge – Doctrina legal del Tribunale supremo – Asserita violazione di norme costituzionali – Giudizio in via incidentale – Ammissibilità del ricorso avente ad oggetto l’interpretazione della legge – Valore vincolante della doctrina legal – Rigetto nel merito – Opinioni dissenzienti. STATI UNITI 1. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-699, del 26 marzo 2012; Zivotofsky, by his parents and guardians, Zivotofsky et ux. v. Clinton, Secretary of State Stato civile – Legge sulla registrazione su documenti ufficiali del luogo di nascita – Nascita a Gerusalemme – Possibilità di richiedere la registrazione di Israele come luogo di nascita – Rigetto della richiesta per l’esistenza di una policy governativa contraria – Ricorso di fronte ai giudici federali – Asserita esistenza di una political question – Corte suprema – Esclusione – Rinvio del caso al giudice di primo grado. 2. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-1024, del 28 marzo 2012; Federal Aviation Administration et al. v. Cooper Risarcimento dei danni – Privacy Act – Utilizzo della locuzione “actual damages” – Ambiguità – Corte suprema – Interpretazione che, nel dubbio, deve essere favorevole alla parte pubblica – Limitazione ai danni patrimoniali ed esclusione dei danni non patrimoniali. aprile 2012 3 FRANCIA a cura di Charlotte Bontemps di Sturco 1. Decisione n. 2012-649 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla semplificazione del diritto ed all’alleggerimento delle formalità amministrative Rapporto di lavoro – Orari di lavoro – Legge che consente modifiche senza che sia richiesto l’assenso di tutti i dipendenti dell’impresa – Asserita violazione della libertà contrattuale – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Sussistenza di un interesse generale – Rigetto. Tra le diverse questioni di costituzionalità sollevate contro la legge oggetto del ricorso dei parlamentari1, una è di particolare rilievo. Il riferimento va alla contestazione dell’articolo 45 della legge, che permette, completando l’articolo L 3122-6 del codice del lavoro, agli accordi collettivi di ridistribuire gli orari di lavoro su un periodo che va da un minimo di una settimana ad un massimo di un anno senza che tale ridistribuzione sia considerata come una modifica del contratto di lavoro, che richiederebbe l’accordo preliminare di tutti i dipendenti. Il legislatore ha inteso superare l’orientamento della sezione sociale della Corte di cassazione 2, riaffermando la possibilità per l’accordo collettivo, in un quadro legislativo determinato, di imporsi sul contratto di lavoro individuale3. I ricorrenti invocavano la violazione della libertà contrattuale. Il Conseil constitutionnel ha sottolineato che il legislatore non può arrecare ai contratti legalmente conclusi una lesione che non sia giustificata da un interesse generale sufficiente, a pena di violare le esigenze costituzionali discendenti dagli articoli 4 e 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e, per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori alla determinazione collettiva delle loro condizioni di lavoro, dall’ottavo comma del Preambolo della Costituzione del 1946. Ciò posto, il Conseil ha però evidenziato che il legislatore ha inteso con questa norma rafforzare gli accordi collettivi relativi alla modulazione degli orari di lavoro al fine di permettere l’adattamento dei ritmi di lavoro dei dipendenti alla evoluzione dei ritmi di produzione dell’impresa. Una tale soluzione, che permette di prescindere dall’accordo di ogni dipendente, è comunque subordinata all’esistenza di un accordo collettivo, applicabile all’impresa, che la autorizzi. Inoltre, i dipendenti a tempo parziale sono esclusi dall’applicazione di questa norma. In ragione di ciò, si è concluso che le disposizioni contestate erano giustificate da un interesse generale 1 I quali contestavano anche la procedura seguita per l’approvazione della legge, la sua complessità e la sua assenza di omogeneità, il carattere regolamentare di alcune disposizioni e l’assenza di legame diretto con l’oggetto della legge di alcuni emendamenti adottati (a quest’ultimo proposito si sono avute le uniche dichiarazioni di illegittimità rese dal Conseil). 2 Cass. Ch. Soc., 28 settembre 2010, n. 08-43.161. 3 CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012-649 DC du 15 mars 2012, Loi relative à la simplification du droit et à l’allègement des démarches administratives, in http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseilconstitutionnel/root/bank/download/2012649DCccc_ 649dc.pdf, p. 3. aprile 2012 4 sufficiente e che non arrecavano alla libertà contrattuale una lesione contraria alla Costituzione (Considérant 14). 2. Decisione n. 2012-650 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla disciplina del servizio ed all’informazione dei passeggeri nelle imprese di trasporto aereo di passeggeri ed a varie disposizioni nel campo dei trasporti Sciopero – Legge che introduce obblighi di informazione preventiva imposti ai lavoratori del settore aereo – Previsione del potere di sanzione disciplinare avverso il lavoratore che non adempia agli obblighi – Asserita violazione del diritto di sciopero – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Proporzionalità della disciplina rispetto agli obiettivi di tutela dell’ordine pubblico in aeroporto – Rigetto. La legge relativa all’organizzazione del servizio ed all’informazione dei passeggeri nelle imprese di trasporto aereo di passeggeri ed a varie disposizioni nel campo dei trasporti è stata sottoposta al controllo del Conseil constitutionnel in seguito ad un ricorso di parlamentari e senatori. L’oggetto della legge risponde a un triplice fine: introdurre nuove norme nel Codice dei trasporti, inserendo un capitolo relativo all’informazione dei passeggeri del trasporto aereo; autorizzare la ratifica di due ordinanze relative al Codice dei trasporti; ed integrare il Codice del consumo al fine di adeguarsi alle norme relative all’informazione dei consumatori sui prezzi e sulle condizioni di vendita per i servizi aerei come previsto dal regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008. I ricorrenti hanno contestato la costituzionalità dell’articolo 2, che ha introdotto nuove regole in materia di sciopero nei trasporti aerei. Il nuovo articolo L 1114-3 del Codice dei trasporti impone ai dipendenti “la cui assenza è tale da incidere direttamente sulla effettuazione dei voli” di informare il loro superiore della loro intenzione di partecipare ad uno sciopero non oltre le quarantotto ore anteriori al suo orario di servizio (comma 1); prevede altresì che il dipendente che ha dichiarato l’intenzione di partecipare allo sciopero, ma che successivamente vi rinuncia, deve comunicarlo almeno ventiquattro ore prima dell’ora prevista per la sua partecipazione allo sciopero (comma 2); lo stesso obbligo spetta al dipendente quando decide di riprendere il servizio (comma 3). Il nuovo articolo L 1114-4 del Codice dei trasporti permette al superiore di sanzionare il dipendente che non abbia adempiuto ad un obbligo previsto all’articolo 1114-3. I ricorrenti invocavano la violazione del diritto di sciopero, garantito dal settimo comma del Preambolo della Costituzione del 1946. Il Conseil constitutionnel ha rigettato la questione, riprendendo – con alcune modifiche – il suo considérant di principio in materia di diritto di sciopero4, secondo il quale “i Costituenti hanno inteso affermare che il diritto di sciopero è un principio di valore costituzionale, ma che ha dei limiti, ed hanno abilitato il legislatore a definirli, operando la conciliazione necessaria tra la difesa 4 Ispirato, peraltro, alla giurisprudenza amministrativa (CE, 7 luglio 1950, Dehaene, Rec. 462), adattata alle esigenze costituzionali. La novità più significativa della decisione qui passata in rassegna è l’estensione del considérant di principio oltre l’ambito dei servizi pubblici. Cfr. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012650 DC du 15 mars 2012, Loi relative à l’organisation du service et à l’information des passagers dans les entreprises de transport aérien de passagers et à diverses dispositions dans le domaine des transports, in http://www.conseilconstitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/2012650DCccc_ 650dc.pdf , p. 2-4 e 7. aprile 2012 5 degli interessi professionali, di cui lo sciopero è un mezzo, e la salvaguardia dell’interesse generale, che lo sciopero può ledere; […] è, a questo titolo, possibile per il legislatore tracciare il limite che separa gli atti ed i comportamenti che costituiscono un esercizio lecito di questo diritto dagli atti e dai comportamenti che ne costituirebbero un uso abusivo” (Considérant 6). Con precipuo riguardo alle disposizioni legislative contestate, il Conseil ha in primo luogo rilevato, riferendosi ai lavori parlamentari, che il legislatore ha inteso istituire un sistema che permettesse alle imprese del settore aereo ed ai passeggeri di essere informati, onde assicurare il “buon ordine” e la sicurezza delle persone negli aeroporti e, quindi, la tutela dell’ordine pubblico, obiettivo di valore costituzionale; il legislatore ha, peraltro, limitato l’applicazione di queste disposizioni ai soli dipendenti la cui assenza sia tale da incidere direttamente sulla effettuazione dei voli5. In secondo luogo, con riguardo agli obblighi di informazione del superiore, il legislatore – ad avviso del Conseil – ha permesso semplicemente l’adozione di una sanzione disciplinare contro il dipendente che, abusando del diritto di sciopero, violi ripetutamente gli obblighi di informazione6. Sulla scorta di questi rilievi, il Conseil ha concluso che le condizioni di esercizio del diritto di sciopero poste dalla legge non sono da ritenersi sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore. 3. Decisione n. 2012-652 DC del 22 marzo 2012, Legge relativa alla protezione dell’identità Documenti d’identità – Legge che prevede la raccolta e la conservazione dei dati di carattere personale, anche biometrici – Creazione di una banca dati centrale – Possibilità di accesso non limitata alla verifica dell’identità delle persone – Asserita violazione del diritto alla riservatezza – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Sproporzione tra gli obiettivi perseguiti e la compressione dei diritti individuali – Incostituzionalità. La legge oggetto del vaglio del Conseil constitutionnel deriva da una proposta di legge7 presentata da un senatore della maggioranza governativa, divenuta, nelle more dell’approvazione, minoranza nella camera alta. Il testo comprende dodici articoli: 5 Il Conseil ha menzionato, al riguardo, il personale che ha un impiego di navigazione o che svolge una delle operazioni di assistenza negli scali menzionata all’articolo L 1114-1, quello che presta servizio a bordo degli aerei, quello deputato alla sicurezza negli aeroporti, al soccorso, alla lotta contro incendi o contro il pericolo di animali. L’articolo L 1114-1 definisce i “dipendenti che concorrono direttamente all’attività di trasporto aereo dei passeggeri” come quelli che “esercitano un’attività di trasporto aereo o che svolgono le funzioni di gestione dell’aeroporto, della sua sicurezza, di soccorso, di lotta contro incendi, di lotta contro il pericolo degli animali, di assistenza a bordo degli aerei nonché di servizi di assistenza agli scali, come il carico, i messaggi e le telecomunicazioni, lo stoccaggio, la manutenzione e l’amministrazione delle unità di carico, l’assistenza ai passeggeri, l’assistenza per i bagagli, l’assistenza per il carburante e l’olio, l’assistenza alle operazioni in pista, la pulizia e il servizio nell’aereo, la manutenzione a bordo, l’assistenza alle operazioni aeree, l’amministrazione del personale di cabina, l’assistenza del personale a terra e l’assistenza del servizio di polizia”. 6 Si noti, peraltro, il testo sembrerebbe non richiedere l’iterazione del mancato adempimento degli obblighi. 7 Come tale non soggetta ad uno studio di impatto da parte del Consiglio di Stato, a differenza di quanto avviene per i progetti di legge. aprile 2012 6 - l’articolo 1° dispone che l’identità di una persona è provata con ogni mezzo (la presentazione di una carta d’identità o di un passaporto valido è al riguardo sufficiente); - l’articolo 2 prevede che la carta d’identità ed il passaporto abbiano un componente elettronico contenente una serie di dati (nome, cognome, sesso, data e luogo di nascita; eventuale nome utilizzato; domicilio; altezza e colore degli occhi; due impronte digitali; una foto); - l’articolo 3 stabilisce la possibilità di aggiungere al documento d’identità un altro componente elettronico che permette un’identificazione a fini commerciali; - l’articolo 4 consente ai funzionari chiamati a rilasciare documenti d’identità di far verificare direttamente i dati dello stato civile fornito dal richiedente; - l’articolo 5 autorizza la creazione di una banca dati, c.d. fichier central commun, composto da tutti i dati delle carte d’identità e passaporti; - l’articolo 6 concerne l’accesso protetto ai dati elettronici da parte degli agenti deputati alla ricerca ed al controllo dell’identità delle persone nonché la consultazione della banca dati in caso di serio dubbio sull’identità o di difficile lettura del documento d’identità; - l’articolo 7 rinvia ad un decreto, adottato previo parere del Consiglio di Stato e della CNIL (Commissione nazionale dell’informatica e delle libertà), la determinazione delle modalità secondo le quali le pubbliche amministrazioni, gli operatori che svolgono una missione di servizio pubblico e gli operatori economici possono consultare la banca dati per accertare la validità del documento d’identità presentato; - l’articolo 8 rinvia ad un analogo decreto la determinazione delle modalità e della durata della conservazione dei dati per attuare le funzioni di cui all’articolo 3; - l’articolo 9 istaura un regime di sanzioni più severo del regime generale in caso di violazione delle banche dati a carattere personale creato dallo Stato; - l’articolo 10 permette agli agenti di polizia ed ai gendarmi di accedere, ai fini della prevenzione e della repressione di diversi reati di particolare gravità8, alla banca dati centrale comune dei passaporti e delle carte d’identità; - l’articolo 11 impone ai giudici che si pronunciano sull’usurpazione di identità di cui sia oggetto una persona di esplicitare l’avvenuta usurpazione nel dispositivo della decisione; - l’articolo 12 precisa che la legge si applica a tutto il territorio nazionale. I ricorrenti hanno contestato gli articoli 5 e 10, ambedue poi dichiarati illegittimi. Il Conseil constitutionnel ha peraltro sollevato d’ufficio la questione di costituzionalità dell’articolo 3, anch’esso dichiarato contrario alla Costituzione. Nel contestare gli articoli 5 e 10, i ricorrenti ritenevano, in primo luogo, che la creazione di una banca dati biometrica concernente quasi tutta la popolazione francese, e le cui caratteristiche rendessero possibile l’identificazione di una persona a partire dalle sue impronte digitali, fosse costitutiva di una violazione del diritto costituzionale alla riservatezza; in secondo luogo, si sosteneva che, nel consentire l’accesso ai dati registrati nella banca dati da parte di agenti di polizia amministrativa e polizia giudiziaria, il legislatore non aveva adottato le garanzie sufficienti contro rischi di abuso. 8 Connessi all’indipendenza della Nazione, all’integrità del territorio, alla garanzia della forma repubblicana delle istituzioni, ai mezzi di difesa e della diplomazia, alla salvaguardia della popolazione in Francia ed all’estero, ad elementi essenziali del potenziale scientifico e economico e ad atti di terrorismo. aprile 2012 7 Il Conseil ha definito il parametro costituzionale in materia. L’articolo 34 della Costituzione, relativo alla riserva di legge, impone al legislatore: di determinare le garanzie fondamentali per l’esercizio delle libertà pubbliche nonché per la procedura penale; di assicurare la conciliazione tra, da un lato, la salvaguardia dell’ordine pubblico e la ricerca degli autori dei reati (entrambe necessarie per assicurare la protezione di principi e diritti costituzionali) e, dall’altro, il rispetto degli altri diritti e libertà costituzionali. In questo ambito, il legislatore dispone di un potere discrezionale limitato dalla necessità di rispettare le suddette esigenze costituzionali. L’articolo 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino impone, inoltre, al rispetto del diritto alla riservatezza. Sulla scorta di questo inquadramento, si è posto il principio secondo il quale la raccolta, la registrazione, la conservazione, la consultazione e la comunicazione di dati di carattere personale devono essere giustificate da un motivo di interesse generale e devono essere attuate in modo adeguato e proporzionato a questo obiettivo. Ora, di per sé, la creazione di una banca di dati di carattere personale, destinata a preservare l’integrità dei dati necessari per l’attribuzione dei documenti d’identità e per l’espatrio, ha certamente l’effetto di rendere più affidabili e sicuri tali documenti nonché quello di migliorare l’efficienza della lotta contro la frode, di talché può dirsi giustificata da ragioni di interesse generale (Considérants 8 e 9). Il Conseil ha però valutato nel suo complesso le caratteristiche della banca dati, rilevando che: (1) tale banca dati avrebbe raccolto i dati concernenti quasi tutta la popolazione francese; (2) tra i dati registrati, i dati biometrici (tra cui le impronte digitali) sono particolarmente sensibili; (3) la legge permette l’interrogazione della banca dati anche a fini diversi della sola verifica dell’identità di una persona; e (4) la legge autorizza la consultazione o l’interrogazione della banca dati non solo per la verifica dell’identità di chi presenta un documento d’identità ma anche per altri fini di polizia amministrativa e giudiziaria (Considérant 10). Tenendo conto della natura dei dati registrati, dell’ampiezza della banca dati, delle sue caratteristiche tecniche e delle condizioni poste al suo accesso, ha concluso che l’articolo 5 della legge si poneva in contrasto con il diritto al rispetto della riservatezza in modo sproporzionato al fine perseguito, donde la dichiarazione di illegittimità costituzionale degli articoli 5 e 10, nonché, in via consequenziale, del terzo comma dell’articolo 6, dell’articolo 7 e del secondo periodo dell’articolo 8 (Considérant 11). Il Conseil ha inoltre dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 3, che attribuisce al titolare del documento d’identità la possibilità di introdurre una firma elettronica per operazioni commerciali on line. La illegittimità è stata affermata per il vizio di incompetenza negativa, in quanto la legge non ha precisato la natura dei dati con i quali si poteva attivare tale funzione, né quali fossero le garanzie per assicurare la integrità e segretezza dei dati, né – ancora – quali fossero le condizioni per l’autenticazione della persona, specie per il caso di persone minorenni. Con tali affermazioni, il Conseil constitutionnel si è posto sulla stessa lunghezza d’onda del Consiglio di Stato e della CNIL9, già intervenuti su questioni analoghe. 4. Decisione n. 2012-227 QPC del 30 marzo 2012, Sig. Omar S. Cittadinanza – Acquisto per matrimonio – Condizioni –Effetti del loro venir 9 Per maggiori dettagli sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della CNIL, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012-652 del 22 marzo 2012, Loi relative à la protection de l’identité, in http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/ download/2012652DCccc_652dc.pdf. aprile 2012 8 meno – Contestazione dell’acquisto – Asserita violazione del diritto alla riservatezza – Questione prioritaria di costituzionalità – Rigetto – Questione sollevata d’ufficio sul rispetto del diritto di difesa – Rigetto – Riserva di interpretazione. La Corte di cassazione ha sollevato una questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto gli articoli 21-2 e 26-4 del Codice civile. Nella decisione di rinvio, peraltro, la Corte di cassazione non ha precisato su quale versione degli articoli la questione si appuntava, nonostante gli stessi avessero subito modifiche nel corso del tempo: pur essendo jus receptum che il Conseil non si pronuncia sull’individuazione della norma applicabile al giudizio a quo, nella specie il Conseil ha precisato di doversi pronunciare solo sulle disposizioni nella loro redazione applicabile al giudizio10, ovvero sull’articolo 21-2 nella redazione risultante dalla legge n. 98-170 del 16 marzo, relativa alla cittadinanza, e sull’articolo 26-4 nella redazione risultante dalla legge n. 2006-911 del 24 luglio 2006, relativa all’immigrazione e all’integrazione. Il primo articolo permette di acquisire la cittadinanza francese al coniuge di una persona francese tramite “dichiarazione”, purché sussistano le seguenti condizioni: (1) la dichiarazione deve essere registrata almeno un anno dopo il matrimonio; (2) al momento della registrazione, la convivenza della coppia non deve essere cessata; e (3) il coniuge francese deve avere conservato la sua cittadinanza francese. Il secondo articolo dispone che la dichiarazione possa essere contestata dal Pubblico ministero, anche se non è stato opposto un rifiuto alla registrazione della dichiarazione, in caso di falsità o di frode, entro il termine di due anni dalla loro scoperta; prevede altresì che costituisce una presunzione di frode la cessazione della convivenza nei dodici mesi che seguono la registrazione della dichiarazione. Il ricorrente invocava genericamente la violazione della protezione della riservatezza. Il Conseil constitutionnel ha dichiarato le disposizioni contestate conformi alla Costituzione. In primo luogo, si è precisato che né il rispetto della riservatezza né alcuna altra esigenza costituzionale impone che il coniuge di una persona di cittadinanza francese possa per ciò stesso acquisire la cittadinanza francese. Le condizioni poste dall’articolo 21-2 del Codice civile, così come le modalità di contestazione da parte del pubblico ministero in caso di mancanza dei requisiti legali, di falsità o di frode non ledono dunque la riservatezza. In secondo luogo, si è considerato che la presunzione di frode posta dall’articolo 26-4 del Codice civile quando la convivenza della coppia cessi meno di dodici mesi dopo la registrazione della dichiarazione è destinata, per un verso, ad ostacolare l’acquisizione della cittadinanza francese tramite mezzi fraudolenti e, per l’altro, a proteggere il matrimonio contro fini diversi da quelli suoi propri: il bilanciamento operato dal legislatore tra le esigenze di ordine pubblico ed il rispetto della riservatezza è stato ritenuto equilibrato (Considérants 8 e 9). Il Conseil constitutionnel ha poi sollevato d’ufficio11 la questione relativa al rispetto del diritto di difesa da parte del combinato disposto dei due commi dell’articolo 26-4 del Codice civile. 10 CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012-227 QPC du 30 mars 2012, M. Omar S. (Conditions de contestation par le Procureur de la République de l’acquisition de la nationnalité par mariage), in http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/2012227QPCccc_227qpc.pdf, p. 3. 11 In applicazione del regolamento del 4 febbraio 2010 sulla procedura seguita davanti al Conseil constitutionnel per le questioni prioritarie di costituzionalità. aprile 2012 9 Isolatamente intese, tanto la disposizione che permette al Pubblico ministero di contestare la registrazione della dichiarazione a decorrere del giorno della scoperta della falsità o della frode quanto quella che istituisce una presunzione semplice di frode qualora sia cessata la convivenza della coppia nei dodici mesi che seguono la registrazione sono state considerate conformi alla Costituzione. Con precipuo riguardo all’applicazione combinata delle due disposizioni, essa potrebbe condurre, “per il solo fatto che la convivenza abbia cessato nell’anno che segue la registrazione della dichiarazione della cittadinanza, a stabilire norme probatorie aventi come effetto quello di imporre ad una persona che ha acquisito la cittadinanza francese in ragione del suo matrimonio di essere in misura di provare […] che alla data della dichiarazione tesa all’acquisizione della cittadinanza, la vita comune tra i coniugi, sia materiale che affettiva, non era cessata”; si attribuirebbe, così, al pubblico ministero un vantaggio al Pubblico ministero che lederebbe in modo eccessivo il diritto di difesa del neo-cittadino (Considérant 13). Il Conseil ha quindi precisato l’interpretazione da dare al combinato disposto dei due commi, nel senso di permettere di applicare la presunzione di frode o di falsità solo nei giudizi instaurati entro i due anni che seguono la dichiarazione: per quelli instaurati successivamente, la presunzione non potrà applicarsi, e spetterà dunque al Pubblico ministero provare le allegazioni di falsità o di frode. 5. Decisioni relative alle elezioni presidenziali Il Conseil constitutionnel ha adottato diverse decisioni nel mese di marzo a proposito delle elezioni presidenziali che si svolgeranno il 22 aprile ed il 6 maggio prossimi. In applicazione dell’articolo 3 della legge n. 62-1292 del 6 novembre 1962, relativa all’elezione del Presidente della Repubblica a scrutinio universale, il Conseil constitutionnel ha, il 19 marzo, adottato la decisione che stabilisce la lista dei candidati alle elezioni. Ha così verificato le presentazioni dei candidati da parte degli eletti abilitati a tale fine (almeno cinquecento), inviate al Conseil tra il 24 febbraio ed il 16 marzo alle ore 18. Accertata la regolarità delle candidature ed il rispetto da parte dei candidati dei requisiti sostanziali e di forma12, ha poi stabilito, per sorteggio, come determinato da una sua decisione del 24 febbraio 1981, l’ordine della lista dei candidati alle elezioni del Presidente della Repubblica: Eva JOLY, Marine LE PEN, Nicolas SARKOZY, Jean-Luc MELENCHON, Philippe POUTOU, Nathalie ARTHAUD, Jacques CHEMINADE, François BAYROU, Nicolas DUPONT-AIGNAN e François HOLLANDE. Il 22 marzo si è pronunciato su quattro reclami contro la decisione del Conseil constitutionnel del 19 marzo, nessuno dei quali è stato accolto. Il 31 marzo, sono state pubblicate sul Journal Officiel le liste dei cinquecento sottoscrittori – sorteggiati dal Conseil constitutionnel – che hanno presentato i candidati all’elezione del Presidente della Repubblica13. 12 Per maggiori dettagli al riguardo, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Séance du 19 mars 2012 Etablissement de la liste des candidats à l’élection présidentielle, in http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseilconstitutionnel/root/bank/download/Listecandidats 2012ccc_2012listecandidats.pdf. 13 Sul limite di cinquecento sottoscrizioni pubblicate, il Conseil si è espresso nella decisione n. 2012-233 QPC del 21 febbraio 2012, Pubblicazione del nome e della qualità dei cittadini eletti abilitati aventi presentato un candidato all’elezione del Presidente della Repubblica, oggetto di segnalazione nel precedente numero di questo Bollettino. aprile 2012 10 aprile 2012 11 aprile 2012 12 GERMANIA a cura di Maria Theresia Rörig 1. Ordinanza del 5 marzo 2012 (2 BvR 1464/11) Procedura penale – Patteggiamento – Inefficacia della rinuncia ai mezzi di impugnazione – Situazione di dubbio in ordine alla sussistenza di un patteggiamento – Mancanza di una adeguata valutazione da parte dei giudici dei fatti processuali – Asserita violazione del diritto ad un equo e giusto processo – Ricorso diretto – Accoglimento. Il Tribunale costituzionale federale chiarisce in quale misura il giudice dell’impugnazione è obbligato a vagliare i fatti (procedurali) quando verifica la sussistenza della conclusione di un accordo processuale (c.d. patteggiamento) tra le parti coinvolte nel procedimento penale, tenuto conto che un tale accordo rende la eventuale rinuncia ai mezzi di impugnazione inefficace. L’accordo tra le parti di un processo penale sulle conseguenze di un giudizio penale, ossia il c.d. patteggiamento, è disciplinato, dal 4 agosto 2009, nell’art. 257c del Codice di procedura penale (StPO). Ai sensi dell’art. 302, comma 1, per. 2, StPO, le parti del processo non possono validamente rinunciare ai mezzi di impugnazione loro spettanti contro la condanna, se quest’ultima è stata preceduta da un tale accordo. Ai sensi dell’art. 273, comma 1a, StPO, il giudice deve assicurare che lo svolgimento ed il contenuto di un accordo di patteggiamento tra le parti venga documentato nel verbale dell’udienza dibattimentale oppure che venga documentato il fatto che non sia stata trovato alcun accordo tra le parti. Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato alla reclusione di 2 anni e 10 mesi in base alla confessione relativa alla commissione di diversi reati. Dopo la pronuncia della sentenza e la revoca dell’ordine di custodia preventiva, sia la Procura della Repubblica che il ricorrente avevano rinunciato ai mezzi di impugnazione. Nonostante la rinuncia, il ricorrente aveva successivamente impugnato la sentenza sostenendo che la sua rinuncia fosse da ritenersi inefficace, in quanto alla condanna si era giunti a seguito di un accordo tra le parti del processo. Né il verbale dell’udienza principale né la sentenza contenevano però alcun riferimento, in senso positivo o negativo, ad accordi tra le parti. Il verbale riportava solamente che l’udienza principale era stata interrotta prima della costituzione del ricorrente ai fini di un “colloquio legale”, il cui contenuto e svolgimento veniva però descritto dai soggetti coinvolti in maniera diversa e contrastante. Secondo la dichiarazione scritta del difensore del ricorrente, le parti si sarebbero accordati sulla determinazione del grado della pena e sulla contemporanea revoca dell’ordine di custodia, mentre la rappresentante della Procura della Repubblica negava un vero e proprio colloquio riguardante il grado della pena; le parti, secondo la Procura, avrebbero discusso principalmente sul perdurare della custodia preventiva e l’eventuale sua revoca. Il presidente del collegio dei giudici non era stato in grado di ricostruire la vicenda. Il tribunale dell’impugnazione aveva respinto l’appello, in quanto inammissibile per esservi stata una valida rinuncia ai mezzi di impugnazione da parte del ricorrente, il quale non aveva fornito alcuna prova sull’intervenuto accordo sulla pena. Neppure il reclamo immediato presso la corte d’appello (Oberlandesgericht) aveva avuto successo. La decisione del giudice dell’impugnazione aprile 2012 13 con cui era stata affermata la piena efficacia della rinuncia ai mezzi di impugnazione non era stato infatti, ritenuta criticabile, giacché, per un verso, il verbale di udienza non conteneva le indicazioni richieste dall’art. 273, comma 1a, StPO, né, per altro verso, il ricorrente non era riuscito – alla luce delle dichiarazioni contrastanti del difensore e della Procura della Repubblica – a dimostrare la conclusione di un accordo mediante le c.d. “prove libere” (Freibeweisverfahren). Adito con ricorso diretto individuale, il Tribunale costituzionale federale ha cassato l’ordinanza emessa dalla corte d’appello, in quanto lesiva del diritto fondamentale ad un giusto ed equo processo penale per il ricorrente (art. 2, comma 2, per. 2, in combinato disposto con l’art. 20, comma 3, LF). La corte d’appello dovrà pertanto nuovamente pronunciarsi sulla questione. Secondo i giudici costituzionali, l’ordinanza cassata si è infatti posta in contrasto, in maniera non accettabile dal punto di vista costituzionale, con gli obblighi di valutazione dei fatti da parte dei magistrati. Sotto questo aspetto, non potevano non rilevare, in particolare, le affermazioni poco plausibili della rappresentante della Procura della Repubblica che, da un lato, insisteva sulla carcerazione preventiva e, dall’altro, aveva chiesto la revoca della custodia. Una simile circostanza avrebbe dovuto indurre ulteriori verifiche inerenti ai fatti processuali. La corte avrebbe, tra l’altro, dovuto sentire i giudici non togati ed i cancellieri che avevano preso parte all’udienza. Peraltro, il dubbio sull’esatta ricostruzione dei fatti non avrebbe dovuto essere valutato pregiudizialmente a sfavore del ricorrente: sebbene non si possa generalmente censurare, dal punto di vista costituzionale, il fatto che l’eventuale dubbio circa la ricostruzione di fatti processuali (non chiarito nell’ambito della c.d. prova libera) possa essere stato valutato a sfavore dell’imputato, ciò non può valere nei casi in cui la mancata chiarezza sullo svolgimento dei fatti sia dipeso, come accaduto nella specie, da una violazione di un obbligo di documentazione e verbalizzazione previsto per legge. aprile 2012 14 REGNO UNITO a cura di Sarah Pasetto 1. W (Algeria) (FC) and BB (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department (Respondent); PP (Algeria) (FC) (Appellant) v Secretary of State for the Home Department (Respondent) (formerly VV (Jordan) (FC) and PP (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department (Respondent)); Z (Algeria) (FC), G (Algeria) (FC), U (Algeria) (FC) and Y (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department (Respondent), [2012] UKSC 8, del 7 marzo 2012 Stranieri – Allontanamento di stranieri sospettati di terrorismo – Rimpatrio verso Paesi in cui si pratichi la tortura – Procedimento dinanzi alla Special Immigration Appeals Commission – Testimonianza – Condizione dell’anonimato assoluto posta dal potenziale testimone – Adozione di una ordinanza della Commission volta ad imporre l’anonimato – Corte suprema – Riconoscimento di tale potere in capo alla Commission – Limiti. La Corte suprema ha riconosciuto alla Special Immigration Appeals Commission (d’ora innanzi, SIAC) il potere di emettere ordinanze volte a garantire in via assoluta ed irrevocabile la riservatezza dell’identità di un testimone convocato dagli imputati a rischio di espulsione. Nella specie, i ricorrenti erano individui sospettati di terrorismo, cittadini algerini. Il Ministro degli interni inglese, avendo ricevuto dal governo algerino un’attestazione formale del suo impegno a non sottoporre i sospettati a tortura una volta rimpatriati, aveva deciso nel senso del loro allontanamento dal Regno Unito e del rimpatrio verso l’Algeria. I ricorrenti si erano opposti in base all’articolo 3 CEDU, affermando che, nonostante l’attestazione del governo algerino, la tortura da parte di agenti statali era invece assai diffusa nella prassi e nessun agente statale era mai stato perseguito in merito; a favore della loro tesi, i ricorrenti avevano convocato un testimone, il quale aveva richiesto, però, come condizione imprescindibile per la propria deposizione, un’ordinanza della stessa SIAC che garantisse in maniera assoluta ed irrevocabile il suo anonimato. I ricorrenti avevano proposto lo svolgimento di un’udienza riservata nel corso della quale la SIAC ed il convenuto potessero valutare l’effettiva rilevanza della testimonianza. In tal modo, l’identità del testimone sarebbe stata conosciuta solamente dalla SIAC stessa e dalle parti della controversia, senza essere in alcun modo resa nota al di fuori del processo; allo stesso tempo, il Ministro avrebbe comunque avuto la possibilità di ribattere contro le prove prospettate. Il Ministro degli interni si era opposto, non solo all’emissione di una tale ordinanza nel caso di specie, ma anche al riconoscimento, in generale, del potere della Commission di adottare una simile ordinanza, poiché ciò avrebbe potuto generare una situazione in cui il Ministro stesso si sarebbe trovato in possesso di informazioni che avrebbero potuto indicare, in qualche modo, l’esistenza di una minaccia terroristica all’estero o qualche altra forma di rischio per la sicurezza nazionale, ma che, in ragione dell’ordinanza di assoluta ed irrevocabile riservatezza, non avrebbe potuto comunicare al Paese estero in questione, il che avrebbe comportato un grave pericolo per i futuri rapporti diplomatici del Regno Unito. Se è vero che, in assenza dell’ordinanza, non avrebbe potuto nemmeno acquisire le informazioni, ad avviso del Ministro l’ordinanza peggiorava soltanto la aprile 2012 15 situazione di fronte ai Paesi esteri, poiché nel caso estremo prospettato non avrebbe potuto affermare di non essere a conoscenza della minaccia, con effetti disastrosi qualora questa si fosse concretizzata. La Corte suprema ha riconosciuto in limine come il caso la ponesse “dinanzi a ciò che [poteva] solamente essere ritenuta la più sgradevole delle scelte”, e che era “il male minore ciò che la Corte [doveva] cercare, e non soluzioni perfette”. La Corte ha, all’unanimità, respinto le argomentazioni del Ministro degli interni, stabilendo che, “sicuramente, deve costituire una difesa sostanziale contro qualsiasi doglianza di natura diplomatica il fatto che il Ministro degli interni fosse soggetto ad un’ordinanza definitiva ed assoluta che impediva [la comunicazione dell’informazione]”. D’altra parte, come tra l’altro evidenziato dai ricorrenti, esistono numerosi atti internazionali che esortano gli Stati ad assicurare che i testimoni siano tutelati contro maltrattamenti o intimidazioni, soprattutto nel contesto dei diritti umani1. In sostanza, la Corte ha considerato le preoccupazioni del Ministro degli interni insufficienti a giustificare un diniego, opposto ai ricorrenti ed alla SIAC, dei possibili benefici della testimonianza. La Corte ha riconosciuto la natura “radicale” di tali tipi di ordinanze e le difficoltà che esse possono comportare, ovvero la possibilità che tali ordinanze possano contravvenire ai principi più basilari di giustizia trasparente; inoltre, anche se in seguito all’udienza di valutazione delle prove la SIAC può decidere di non tener conto delle prove ivi ascoltate, risulta difficile in pratica ignorarle del tutto; senza contare, poi, che il Ministro degli interni non sarebbe in grado, nel corso di una tale udienza, di valutare la veridicità delle prove e non sarebbe dunque in una posizione adeguata per controbattervi. Pur alla luce di tutto ciò, tali considerazioni non sono state ritenute prevalenti rispetto alla necessità imperativa di assicurare il più possibile che la SIAC giunga alla decisione giusta sulla questione relativa all’articolo 3, e dunque sulla necessità di ottenere tutte le prove necessarie al fine di adempiere ad un tale compito. La Corte, pur con molte riserve, ha stabilito che la SIAC ha la facoltà di emettere tali tipi di ordinanze, e che in alcuni casi ciò potrebbe essere addirittura opportuno. Tale potere deve però essere impiegato in via eccezionale e, prima di emettere un’ordinanza in tal senso, la SIAC deve richiedere la divulgazione più completa possibile da parte del ricorrente del contenuto della testimonianza, delle circostanze precise che inducono il testimone a temere rappresaglie causate dalla sua deposizione, del modo in cui il ricorrente ed i suoi difensori legali sono venuti a conoscenza delle prove in possesso del testimone e di quali misure hanno intrapreso per incoraggiarlo a deporre secondo le modalità consuete previste per questo tipo di testimonianza (ovvero con l’uso di ordinanze volte a tutelare l’anonimato ed udienze private). In ogni caso, il Ministero degli interni deve avere la facoltà di tentare di persuadere la SIAC a sospendere il provvedimento in modo da poter agire in base alle informazioni acquisite, o almeno a non tener conto della testimonianza. Altrimenti detto, il potere della SIAC va esercitato in modo ragionevole ed anche sensibile, in base all’ampia discrezionalità riconosciutale. La Corte ha enunciato chiaramente che la decisione stabilita non è in alcun modo fondata sul potere del Ministro degli interni di instaurare la c.d. closed material procedure dinanzi alla SIAC, che comporta l’uso di testimonianze e prove tenute riservate, e rivelate solamente al difensore dell’imputato (c.d. special advocate); la decisione non è dunque motivata da alcun desiderio di “pareggiare” i poteri tra le parti, poiché tali poteri non sono comparabili. Infatti, il Ministro degli 1 La Corte cita, ad esempio, l’articolo 13 della Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, ed il Principio 3(b) del Protocollo di Istanbul per un’efficace indagine e documentazione sulla tortura o su altro trattamento o pena crudele, disumano o degradante (v. paragrafo 15 della sentenza). aprile 2012 16 interni, in quanto carica pubblica, è necessariamente vincolato all’obbligo di agire nell’interesse pubblico, circostanza che non si applica all’imputato. 2. In the matter of S (A Child), [2012] UKSC 10, del 14 marzo 2012 Minori – Sottrazione di minore da parte della madre ed allontanamento verso altro Stato – Imposizione del rientro nello Stato di residenza abituale della famiglia – Condizioni – Articolo 13(b) della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori – Approccio interpretativo – Necessaria valutazione della situazione in cui venga a trovarsi il minore – Criteri. La Corte suprema chiarisce il diritto applicabile in materia di sottrazione internazionale di minori, già affrontato dalla stessa Corte nel caso In re E, del 2011, la cui interpretazione da parte della Court of Appeal nel caso di specie aveva lasciato però margini di incertezza. Il caso, interessante già in ragione della materia trattata, ha assunto un particolare rilievo anche perché la Corte suprema ha espresso il proprio disaccordo con un principio tratto dalla giurisprudenza della Corte EDU. La ricorrente era una cittadina britannica ed australiana trasferitasi in Australia assieme al primo marito. Nel 2008, tre anni dopo il trasferimento, la coppia aveva divorziato, ed alla fine di quell’anno la donna aveva intrecciato una relazione con un cittadino australiano, dal quale aveva avuto un figlio. All’inizio del rapporto, l’uomo aveva confidato alla donna di essere stato eroinomane tra il 1994 ed il 1998 e di essere stato affetto da epatite C. In seguito alla separazione dal primo compagno, la donna aveva sviluppato forme di ansia e depressione, per le quali aveva assunto farmaci fino alla gravidanza; in seguito alla gravidanza la donna aveva anche sostenuto un trattamento di psicoterapia che era proseguito, telefonicamente, anche dopo il suo ritorno in Inghilterra. I primi mesi della seconda relazione e quelli della gravidanza erano stati segnati dalle gravi difficoltà economiche in cui versava l’impresa dell’uomo, culminate, nel maggio 2009, con il fallimento dell’impresa. Da quel momento, le spese domestiche erano state sostenute essenzialmente dalla donna, che lavorava come infermiera, e dai debiti contratti dalla famiglia; le difficoltà economiche avevano portato l’uomo a ricadere in problemi di abuso di alcool e stupefacenti. Avendolo sorpreso nell’atto di fare uso endovenoso di stupefacenti, nel gennaio 2011, la donna aveva richiesto un’ordinanza restrittiva con cui all’uomo venisse impedito l’accesso nell’abitazione familiare. Tre giorni dopo l’emissione dell’ordinanza, nel febbraio 2011, la donna aveva fatto ritorno in Inghilterra portando con sé il figlio, senza il consenso del padre né il permesso di una corte australiana, contravvenendo dunque all’articolo 3 della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori2. La donna ha ribattuto che un’ordinanza di ritorno immediato del minore in Australia ai sensi della Convenzione avrebbe comportato un “fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque al rischio di trovarsi in una situazione intollerabile”. Il medico e la psicologa della madre avevano entrambi affermato che un suo rientro in Australia, ed il conseguente timore per lo stato mentale e per le azioni del padre, unitamente alla lontananza dalla propria famiglia, avrebbero comportato una ricaduta in depressione, il che avrebbe potuto incidere negativamente sulla sua capacità di accudire il figlio. Tale prognosi era stata avvalorata 2 Nel Regno Unito, la Convenzione è stata recepita attraverso il Child Abduction and Custody Act 1985. aprile 2012 17 anche dallo psichiatra nominato d’ufficio da entrambe le parti, il quale aveva diagnosticato che la madre soffriva della c.d. sindrome da donna malmenata (Battered Women’s Syndrome) e che aveva sviluppato in seguito stress patologico. Lo stesso psichiatra riteneva che la misura necessaria per tutelare la madre contro tali eventualità sarebbe stata la cura psichiatrica del padre. Il giudice di prima istanza non aveva ordinato il rientro del figlio in Australia, ma il giudice della Court of Appeal aveva invece disposto in tal senso. La Corte suprema ha accolto all’unanimità l’appello della madre contro la decisione della Corte d’appello che aveva ordinato l’immediato ritorno del bambino in Australia. Con l’occasione, è stata chiarita la portata della suddetta sentenza In re E. In quel caso, la Corte aveva stabilito che il testo dell’articolo 13(b) della Convenzione, sul quale si fondava la difesa della madre, era chiaro nell’indicare che la giustificazione per il comportamento tenuto dalla madre era invocabile solamente in circostanze limitate. La Corte aveva proseguito stabilendo che, allorché fossero in discussione pretesi maltrattamenti domestici, la corte doveva prima accertare se essi potessero comportare un grave rischio che il minore si trovasse in una situazione intollerabile; in caso affermativo, la corte avrebbe dunque dovuto stabilire come tutelare il minore dal rischio. Se il minore non poteva essere tutelato, allora la corte avrebbe dovuto esaminare se gli addotti maltrattamenti fossero reali. Nel caso presente, il giudice di primo grado, in seguito ad un’attenta disamina del materiale probatorio, aveva concluso che molte delle gravi contestazioni mosse dalla ricorrente nei confronti del convenuto non potevano essere negate e che la ricorrente era stata in grado di dimostrare di essere stata vittima di abusi significativi da parte del compagno. La Court of Appeal aveva brevemente trattato la natura del rapporto tra i genitori, ma non aveva fatto alcun riferimento ai numerosi fatti che fondavano la tesi della madre, non giungendo quindi a percepire che i timori della madre derivavano da elementi più importanti di mere congetture, ed omettendo altresì di dare la giusta rilevanza alle prove mediche. La Court of Appeal aveva precisato che la questione cruciale era quella di determinare se le preoccupazioni e l’ansia della madre fossero realistiche e ragionevoli; approccio che, tuttavia, mal si conciliava con quanto stabilito nel precedente giurisprudenziale In re E, nel quale la Corte suprema aveva stabilito che una giustificazione del comportamento tenuto ai sensi dell’Articolo 13(b) poteva essere fondata sulle preoccupazioni di un genitore circa un ritorno, con il proprio figlio, nel Paese di residenza abituale, che non erano necessariamente basate su un rischio obiettivo nei suoi confronti ma che erano comunque tali da destabilizzare, con ogni probabilità, le sue capacità di accudire il bambino, a tal punto da rendere la situazione del bambino intollerabile. Nella prospettiva del caso In re E, la questione cruciale consisteva, dunque, nella valutazione di ciò che sarebbe probabilmente accaduto una volta genitore e figlio avessero fatto ritorno nel Paese: nel caso in cui il genitore avrebbe sofferto di ansie tali da ledere la propria salute mentale e da rendere intollerabile la situazione per il figlio, allora il ritorno non poteva essere ordinato; la ragionevolezza o meno del genitore non era rilevante. In ogni caso, nella specie, la fonte delle ansie provate della madre era proprio il padre. Il grado in cui le ansie potevano ragionevolmente dirsi fondate era rilevante non da un punto di vista oggettivo, ma ai fini dell’accertamento dello stato mentale della madre. La Corte suprema ha espresso la propria disapprovazione per il rovesciamento, da parte della Court of Appeal, della valutazione del rischio per la madre effettuata dal giudice di prima istanza. aprile 2012 18 La Corte suprema ha anche richiamato, in una postilla all’argomentazione, la giurisprudenza della Corte EDU3 secondo la quale, in un caso riguardante la Convenzione sulla sottrazione di minori, l’articolo 8 CEDU era tale da richiedere un esame approfondito delle circostanze oggettive del caso; senza entrare in dettaglio, la Corte suprema ha ritenuto che né la Convenzione sulla sottrazione, né la CEDU, rendono necessaria una tale indagine. 3. Flood (Respondent) v Times Newspapers Limited (Appellant), [2012] UKSC 11, del 21 marzo 2012 Giornalismo – Articolo giornalistico di contenuto diffamatorio – Giustificazione della condotta del giornalista – Condizioni – Necessario bilanciamento tra contrapposti interessi. La sentenza tratta della c.d. “giustificazione Reynolds”, vale a dire la giustificazione che può addursi per la divulgazione di affermazioni diffamatorie allorché questa sia effettuata nell’interesse pubblico ed il divulgatore abbia agito in maniera responsabile nella verifica della veridicità delle informazioni ottenute. Tale privilege è stato rinvigorito dalla Corte suprema dopo che la Court of Appeal, ne aveva escluso l’applicabilità al caso di specie, esclusione che rischiava di limitare in maniera significativa la libertà di stampa. La causa di giustificazione era stata introdotta dalla House of Lords nella sentenza Reynolds v Times Newspapers and others, del 1999, dove si era affermato che “l’elasticità dei principi di common law permette che le interferenze con la libertà di espressione siano circoscritte a ciò che si rende necessario nei singoli casi di specie” e che doveva essere “dato il giusto peso all’importanza della libertà di espressione dei mezzi d’informazione su tutte le questioni di interesse pubblico”. Su questa base, si era stabilito che la pubblicazione di materiale diffamatorio doveva ritenersi tutelato se la pubblicazione fosse nell’interesse pubblico e se il divulgatore avesse agito in maniera responsabile nella divulgazione. Il caso giunto alla cognizione della Corte suprema sollevava tre questioni di principio relative al Reynolds privilege: come valutare il significato e le implicazioni possibili di un articolo giornalistico rivelatosi diffamatorio; come determinare la sussistenza di un interesse pubblico; quando definire responsabile la condotta del giornalista. Per quanto attiene alla prima questione, la gravità delle affermazioni divulgate è un elemento importante nel bilanciamento tra l’interesse pubblico ad avere informazioni ed i possibili danni derivanti da una diffamazione. In questo tipo di casi, si è soliti procedere in via preliminare alla determinazione dell’esistenza del Reynolds privilege, ma ciò rende necessario determinare il significato e le possibili implicazioni dell’articolo giornalistico (ciò che sarà utile anche durante la fase dell’accertamento relativo alla terza questione). In certi casi, infatti, un articolo giornalistico può avere più di un significato: per questa evenienza, la Corte suprema ha stabilito che il giornalista è tenuto a tenerli in considerazione tutti in sede di verifica della veridicità delle informazioni e nella decisione di pubblicare. Con riferimento all’interesse pubblico, la parte asseritamente danneggiata aveva argomentato che, pur trattando l’articolo di una tematica di interesse pubblico, quale la corruzione nelle forze di polizia, le affermazioni in esso contenute non lo erano. La Corte non ha disconosciuto la fondatezza 3 Neulinger e Shuruk c. Svizzera e X c. Latvia, entrambi del 2011. aprile 2012 19 di tale asserzione, ma ha sottolineato la necessità di prestare attenzione alle circostanze peculiari del caso. La vicenda era di notevole importanza pubblica e le affermazioni diffamatorie contenute nell’articolo costituivano parte della notizia. Esse erano state divulgate con l’obiettivo legittimo di assicurarsi che su certe vicende venissero svolte indagini, avendo il giornalista avuto valide ragioni per dubitare che fino a quel momento non ci fossero state. Anche l’identificazione nominativa dell’individuo in questione era giustificata, sia perché sarebbe stato identificato comunque da parte dei suoi colleghi, sia perché non si poteva rischiare che altri membri della sua unità venissero sospettati. Sulla condotta del giornalista, ed in particolare sulla verifica della veridicità delle informazioni che si impone al fine di adempiere ai requisiti del giornalismo responsabile, la Corte ha affermato che il caso di specie non coinvolgeva un reportage, ovvero una pubblicazione giornalistica nel quale l’interesse pubblico sta nel fatto stesso che una certa affermazione venga fatta. In un caso come quello di specie, l’interesse pubblico riguardava il contenuto delle affermazioni e la loro veridicità; pertanto, il Reynolds privilege sarebbe stato applicabile solo se il giornalista riteneva onestamente e ragionevolmente che i fatti pubblicati fossero veritieri. In concreto, i fatti che sembravano suffragare le informazioni ottenute erano veritieri ed erano stati verificati. Era ragionevole, dunque, per il giornalista, concludere circa il carattere non diffamatorio delle affermazioni che inseriva nell’articolo. Nella decisione, la Corte suprema ha più in generale proposto un bilanciamento tra i diritti dell’agente di polizia diffamato, sanciti dall’articolo 8 CEDU, e quelli del giornalista, tutelati dall’articolo 10 CEDU. La Corte ha ammonito contro una assimilazione eccessiva tra la diffamazione ed altri casi in cui è necessario operare un bilanciamento del tipo suddetto: “la creazione del Reynolds privilege era il frutto della constatazione, da parte della House of Lords, che la normativa sulla diffamazione non prestava attenzione sufficiente alla rilevanza della libertà di espressione sancito dall’articolo 10 CEDU”. aprile 2012 20 SPAGNA a cura di Carmen Guerrero Picó 1. STC 20/2012, del 16 febbraio Processo civile – Persone giuridiche soggette all’imposta sulle società e con un fatturato alto – Instaurazione di un giudizio – Assoggettamento a tasse giudiziarie – Asserita violazione del diritto alla tutela giurisdizionale – Giudizio in via incidentale – Sussistenza di limiti al principio di gratuità della giustizia – Rigetto. Il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto la questione sollevata in via incidentale dal Juzgado de Primera Instancia n. 8 di La Coruña avente ad oggetto l’art. 35, comma 7, par. 2, della legge n. 53/2002, del 30 dicembre, recante misure fiscali, amministrative e di ordine sociale. La norma contestata ha creato una tassa giudiziaria per l’esercizio del diritto di azione nei processi civili e amministrativi, cui sono state assoggettate le persone giuridiche con fini di lucro, soggette all’imposta sulle società e con un fatturato netto nel periodo impositivo precedente superiore a sei milioni di euro. Ad avviso del giudice proponente, la norma si poneva in contrasto con il diritto di accesso alla giustizia, uno dei profili del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24, comma 1, Cost. Il Tribunale costituzionale ha circoscritto il thema decidendum all’analisi della legittimità costituzionale della tassa che grava sulla presentazione della domanda nel processo civile1, unico aspetto della norma applicabile nel processo a quo. Nell’atto di promovimento non sono stati sollevati dubbi riguardo alla finalità della tassa giudiziaria di “finanziare il servizio pubblico dell’Amministrazione della giustizia da parte dei soggetti che più beneficiano dell’attività giurisdizionale”. A questo proposito, il Tribunale costituzionale ha ricordato che “la giustizia può essere dichiarata gratuita, come ha fatto la legge n. 25/1986 [legge di soppressione delle tasse giudiziarie]; ma è palese che la giustizia non sia gratuita. Se i soggetti coinvolti non pagano il costo del funzionamento della giustizia, il potere giudiziario deve essere finanziato mediante imposte versate dai contribuenti. Nonostante sia evidente che la giustizia, in quanto garanzia dello Stato di diritto, implica benefici collettivi che trascendono l’interesse del singolo, il suo finanziamento puro, mediante imposte [generali], comporterebbe che cittadini che non si rivolgono mai ai tribunali contribuiscano a finanziare le attività svolte dai tribunali e dagli organi di giustizia a beneficio di coloro che chiedono giustizia una volta, più volte oppure molte volte. Optare per un modello di finanziamento della giustizia civile mediante imposte o per un altro modello in cui i soggetti coinvolti debbono sostenere le spese che la loro domanda di giustizia genera mediante tasse o contributi, oppure [prediligere] uno qualunque dei possibili modelli misti, dove il funzionamento dei tribunali della giurisdizione civile è finanziato parzialmente a carico di imposte e tasse pagate da chi risulta beneficiario dell’azione giudiziaria […] è una decisione che in democrazia [...] spetta al legislatore. 1 Il cancelliere non dà corso alle domande civili che non siano accompagnate dal documento che prova il pagamento della tassa giudiziale e le domande saranno dichiarate inammissibili dal tribunale trascorsi i 10 giorni previsti per sanare il mancato pagamento. aprile 2012 21 “[...] Parimenti, la libertà di configurazione della disciplina da parte del legislatore raggiunge il versante della spesa pubblica. [...] La Costituzione non ha sancito la gratuità dell’amministrazione di giustizia, bensì «un diritto alla gratuità della giustizia […] nei casi e con le forme che il legislatore determini» (art. 119 Cost.). Il legislatore potrà attribuire il beneficio del patrocinio gratuito alle persone che possiedano le caratteristiche ed i requisiti che si ritengano rilevanti, potrà modulare la gratuità in funzione del tipo di giurisdizione coinvolta – penale, del lavoro, civile, etc. – o anche [a seconda] del tipo di processo nonché, ovviamente, in funzione delle risorse economiche di cui possa disporre in ogni momento” (FJ 8). Nella fattispecie, considerando che sono soggette al pagamento della tassa giudiziaria solo le persone giuridiche che fatturano più di sei milioni di euro l’anno, il regime stabilito “è pienamente rispettoso delle previsioni costituzionali sulla gratuità della giustizia. Come già dichiarato nella sentenza n. 117/1998, del 2 giugno, il contenuto indisponibile del diritto alla giustizia gratuita è solo riconducibile alla persona fisica, l’unica di cui può parlarsi del «livello minimo di sussistenza personale o familiare» cui si riferisce l’art. 119 Cost., e che, a differenza delle persone giuridiche, non è una creazione del legislatore (FFJJ 4 e 5). Malgrado il diritto alla tutela giurisdizionale protegga tanto le persone fisiche quanto le persone giuridiche […], non si deve dimenticare che la situazione delle une e delle altre è diversa riguardo alla gratuità della giustizia. “Questi criteri sono stati confermati pienamente dalla Corte EDU. Nell’ordinanza O’Limo contro Spagna, del 24 novembre 2009 (causa n. 33732/05), questa ha concluso che il sistema stabilito dal legislatore spagnolo per agevolare l’assistenza legale gratuita offre «garanzie sostanziali» per il diritto di accesso ai tribunali, nonostante ne rimangano esclusi le società commerciali o le associazioni che […] non sono di pubblica utilità (§ 25) […]. “Ad ogni modo, dalla nostra prospettiva, dobbiamo evidenziare che non viola la Costituzione una norma di rango legislativo che sottoponga enti commerciali, con un elevato volume di fatturazione, al pagamento di alcune tasse che servono per finanziare i costi generati dall’attività svolta per giudicare le domande che liberamente decidono di presentare dinanzi ai tribunali della giurisdizione civile per difendere i loro diritti ed interessi legittimi” (FJ 9). La tassa risulterebbe, invece, illegittima se si dimostrasse che l’ammontare è tanto elevato da ostacolare in concreto l’accesso alla giurisdizione o che lo ha ostacolano in termini irragionevoli in un caso concreto (FJ 10). A sostegno della sua tesi, il Tribunale costituzionale menziona anche la sentenza della Corte EDU Kreuz contro Polonia, del 19 giugno 2001 (causa n. 28249/95), e ribadisce che i suoi criteri sono condivisi dall’Unione europea, alla luce di come l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, sul diritto alla tutela giurisdizionale, è stato interpretato nella sentenza DEB Deutsche Energiehandels- und Beratungsgesellschaft mbH della Corte di giustizia, del 22 dicembre 2010 (causa n. C-279/09). In quest’ultima pronuncia non si discute il finanziamento dell’attività giurisdizionale da parte delle imprese che instaurano liti civili, ma si stabilisce che il principio di tutela giurisdizionale impone che una persona giuridica che invochi nel processo diritti riconosciuti dal diritto comunitario possa ottenere la dispensa del pagamento anticipato delle spese processuali (solo) se tale pagamento, anteriormente alla sentenza, costituisca un ostacolo insuperabile per il suo accesso alla giustizia. Tale affermazione si pone in piena sintonia con le esigenze desumibili dall’art. 24, comma 1, della Costituzione spagnola (FJ 10). 2. STC 22/2012, del 16 febbraio aprile 2012 22 Sanità – Istituti legittimati a gestire cellule e tessuti umani – Disciplina – Norme statali recanti principi generali, di coordinamento e di disciplina dei controlli – Asserita violazione delle competenze normative della Comunità autonoma di Madrid – Conflitto positivo di competenza – Rigetto. Il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto il conflitto positivo di competenza con cui la Comunità autonoma di Madrid chiedeva che fosse dichiarata la violazione delle sue competenze in materia di sanità conseguente al regio decreto n. 1301/2006, del 10 novembre, con cui si stabiliscono le norme sulla qualità e la sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, la valutazione, la lavorazione, la preservazione, la conservazione e la distribuzione di cellule e di tessuti umani e con cui si approvano le norme di coordinamento e di attuazione per il loro uso su esseri umani. Il regio decreto disciplina le attività collegate all’utilizzo di cellule e tessuti umani ed i prodotti elaborati da loro derivati, quando siano destinati ad applicazioni sull’uomo. Il sistema di accreditamento, designazione, autorizzazione o licenza degli istituti legittimati a gestire i tessuti è gestito dalle Comunità autonome. Ad avviso dei rappresentanti della Comunità di Madrid, lo Stato avrebbe disciplinato la materia in un modo tanto esaustivo da ledere la competenza autonomica di autorganizzazione. In particolare, le doglianze hanno riguardato: la cadenza con cui le autorità autonomiche debbono realizzare le ispezioni periodiche negli istituti; la fissazione dei termini di validità delle autorizzazioni per gli istituti; la possibilità di estendere il controllo a terzi che abbiano stabilito rapporti contrattuali con gli istituti; l’impossibilità di ottenere l’autorizzazione per istituti aventi fini di lucro; il sistema di scambio di informazioni con l’Organizzazione nazionale dei trapianti. Nel sistema costituzionale e statutario di ripartizione delle competenze in materia di sanità, spettano allo Stato la determinazione delle bases (principi normativi generali che conformano oppure disciplinano una determinata materia), il coordinamento generale (consistente nel fissare i mezzi ed i sistemi di interrelazione che rendano possibile l’informazione reciproca, l’omogeneità tecnica su alcuni aspetti e l’azione congiunta delle autorità statali e autonomiche nell’esercizio delle rispettive competenze) e l’alta ispezione (strumento di verifica o controllo che può portare, se del caso, ad attivare i controlli costituzionalmente stabiliti a beneficio delle Comunità autonome, ma che non può sostituirli) (FJ 3). Innanzi tutto, il regio decreto n. 1301/2006 ha sancito che le autorità autonomiche competenti effettueranno ispezioni periodiche per garantire che gli istituti autorizzati adempiano ai requisiti del decreto ed applichino le misure di controllo di qualità sollecitate. L’intervallo tra due ispezioni sarà di due anni (art. 35, comma 4). Il Tribunale costituzionale ha considerato che lo stabilimento di una certa periodicità nelle ispezioni non viola le competenze di esecuzione della Comunità di Madrid. La previsione, pur non rientrando nell’alta ispezione che spetta allo Stato, rientra comunque nella competenza di coordinamento generale della sanità. Si tratta, infatti, di una norma di sicurezza che mira a stabilire un criterio comune di controllo o di valutazione dell’efficacia su tutto il territorio dello Stato (FJ 5). In secondo luogo, le attività con cellule e tessuti umani si possono realizzare solo nei centri o unità sanitarie autorizzati dalle autorità competenti ed il regio decreto specifica il termine di validità delle autorizzazioni: tra due e quattro anni (artt. 14, comma 2, e 26, comma 2). Neanche in questo caso si constata una violazione delle competenze autonomiche relative all’organizzazione dei piani di ispezione dell’Assessorato della sanità. Secondo il plenum del Tribunale costituzionale, il termine aprile 2012 23 di validità minimo e massimo forma parte del contenuto della autorizzazione che si concede ed è una norma básica, in quanto risponde alla necessità di garantire su tutto il territorio dello Stato la qualità e la sicurezza dei tessuti e delle cellule. In effetti, l’autorizzazione amministrativa è uno strumento di intervento, di natura preventiva, che protegge l’interesse generale; ed è proprio la tutela dell’interesse generale ciò che giustifica che lo Stato fissi un periodo di validità delle autorizzazioni che permettono di portare a termine attività collegate all’approvvigionamento, allo stoccaggio ed alla distribuzione di cellule e tessuti umani. Fissare un periodo di validità per l’autorizzazione superiore a quattro anni può diminuire la garanzia che l’attività venga posta in essere con le necessarie condizioni di qualità e sicurezza. Inoltre, fissare un periodo di validità non inferiore a due anni è in intima connessione con l’art. 35, comma 4, che prevede che le garanzie di qualità e sicurezza siano ispezionate dalle autorità in periodi che non eccedano i due anni, per cui risulta coerente che le autorizzazioni siano vigenti, come minimo, durante quel periodo (FJ 6). In terzo luogo, l’art. 35, comma 6, del regio decreto n. 1301/2006 prevede che l’ispezione riguarderà, non solo gli istituti, ma anche i terzi con cui siano stati stabiliti rapporti contrattuali attinenti alle infrastrutture, ai documenti ed alle informazioni relativi alla materia trattata dalla norma statale. Questa previsione implicherebbe un notevole cambiamento nell’ambito dei programmi di ispezione, oltrepassando il limite oggettivo finora proprio delle bases, con conseguente compressione della capacità di organizzazione della Comunità autonoma. Ciò posto, il plenum ritiene che la determinazione dell’ambito obiettivo e soggettivo dell’attività di ispezione costituisca comunque un elemento normativo básico che spetta allo Stato, nella misura in cui tende a fissare un ambito comune in materia di ispezioni a partire dal quale ogni Comunità autonoma potrà sviluppare le proprie competenze (FJ 7). In quarto luogo, l’art. 3, comma 5, del regio decreto n. 1301/2006 impone che gli istituti autorizzati non possano avere fini di lucro, potendo soltanto recuperare i costi effettivi dei servizi prestati per la realizzazione delle attività autorizzate. Per la Comunità di Madrid questa disposizione limita la possibilità che si stabiliscano imprese dedicate al deposito di cellule del cordone ombelicale, dato che non si prevede un beneficio commerciale, di talché si limita indirettamente la libertà di impresa dell’art. 38 Cost. Il Tribunale costituzionale non entra nel merito della questione, adducendo il fatto che non si rivendica l’esercizio di una competenza autonomica (FJ 8). Infine, gli artt. 26 comma 4, 30, comma 2, 13 e 28 del regio decreto n. 1301/2006 stabiliscono un sistema di scambio e comunicazione di informazioni. In questo caso, non si pone in questione la decisione statale di centralizzare in un registro nazionale l’informazione sugli istituti e sulle unità o centri autorizzati di approvvigionamento e di applicazione di cellule e tessuti umani: ad essere contestato è il circuito nell’ambito del quale l’informazione viene comunicata. In particolare, si ha l’obbligo di comunicare l’informazione all’Organización Nacional de Trasplantes da parte sia dell’autorità sanitaria competente che delle unità di coordinamento di trapianti delle Comunità autonome. Secondo il plenum, il fatto che la norma statale stabilisca un tale sistema di informazione risponde alla necessità di stabilire meccanismi di informazione coordinati tra i diversi organi competenti in materia, perché solo così l’Organizzazione nazionale dei trapianti può adempiere alla sua funzione di coordinare le attività di donazione, estrazione, preservazione, distribuzione e trapianto di organi, tessuti e cellule nell’insieme del sistema sanitario spagnolo. Trattasi, pertanto, di una manifestazione della funzione di coordinamento costituzionalmente attribuita allo Stato in materia sanitaria. Il fatto che il sistema di informazione previsto può porre eventuali problemi di funzionamento alla Comunità autonoma, esigendo una doppia comunicazione all’Organizzazione aprile 2012 24 nazionale di trapianti da parte di due organi della Comunità, non rileva in sede di giudizio del Tribunale costituzionale, donde il rigetto della doglianza della Comunità di Madrid (FJ 9). 3. STC 37/2012, del 19 marzo Giurisprudenza – Ricorso nell’interesse della legge – Doctrina legal del Tribunale supremo – Asserita violazione di norme costituzionali – Giudizio in via incidentale – Ammissibilità del ricorso avente ad oggetto l’interpretazione della legge – Valore vincolante della doctrina legal – Rigetto nel merito – Opinioni dissenzienti. Il 19 marzo il plenum del Tribunale costituzionale si è riunito a Cadice in occasione del bicentenario della promulgazione della Costituzione spagnola del 1812. Nell’occasione, ha respinto la questione sollevata in via incidentale dal Juzgado de lo Contencioso-administrativo n. 1 di Elche, avente ad oggetto l’art. 81 del texto articulado della legge sul traffico, sulla circolazione dei veicoli a motore e sulla sicurezza stradale, approvato con regio decreto legislativo n. 339/1990, del 2 marzo, e l’art. 132 della legge n. 30/1992, del 26 novembre, recante il regime giuridico delle amministrazioni pubbliche e della procedura amministrativa comune, così come interpretati dalla sala amministrativa del Tribunale supremo (nelle sentenze del 15 dicembre 2004 e del 22 settembre 2008). Il giudice proponente riteneva violati gli artt. 9, comma 3 (principio di certezza del diritto), 117, comma 1 (indipendenza giudiziaria), e 123, comma 1 (supremazia del Tribunale costituzionale in materia di garanzie costituzionali) della Costituzione. Sussidiariamente, sollevava identiche doglianze di legittimità nei confronti dell’art. 100, comma 7, della legge n. 29/1998, del 13 luglio, che disciplina la giurisdizione contenzioso-amministrativa (d’ora in avanti, LJCA). L’oggetto del giudizio riguardava la prescrizione delle infrazioni e delle sanzioni amministrative ed il silenzio amministrativo, ma la decisione riguarda essenzialmente l’art. 100, comma 7, LJCA, secondo cui “la sentenza [del Tribunale supremo] emessa [nei ricorsi nell’interesse della legge] rispetterà, in ogni caso, la situazione giuridica privata derivata dalla sentenza impugnata e, in caso di accoglimento del ricorso, il dispositivo fisserà la doctrina legal. In quest’ultimo caso, la sentenza sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale dello Stato e, una volta pubblicata, sarà vincolante per tutti i giudici e tribunali inferiori di grado della giurisdizione amministrativa”. La sentenza desta notevole interesse perché il Tribunale costituzionale si è pronunciato sul valore delle sentenze che accolgono ricorsi di cassazione nell’interesse della legge e sulla possibile violazione da parte loro del principio costituzionale dell’indipendenza giudiziaria (art. 117, comma 1, Cost.). Inoltre, è stato chiarito che gli organi giudiziari possono utilizzare il giudizio in via incidentale quando dubitano della legittimità dell’interpretazione data dal Tribunale supremo all’accogliere un ricorso nell’interesse della legge. a) Sul valore della giurisprudenza del Tribunale supremo come fonte del diritto e sulla possibilità di adire il Tribunale costituzionale attraverso il giudizio in via incidentale (FJ 2) L’avvocato dello stato e il pubblico ministero avevano propugnato rispettivamente l’inammissibilità del ricorso del giudice a quo e la sua infondatezza, giacché i dubbi di costituzionalità non si proiettavano sulle norme applicabili alla fattispecie ma sull’interpretazione data dal Tribunale supremo nel giudicare due ricorsi nell’interesse della legge. Per contro, il plenum del Tribunale costituzionale, pur riconoscendo che l’interpretazione giurisprudenziale di una norma non può essere oggetto di una “questione di incostituzionalità”, ribadisce la singolarità della aprile 2012 25 doctrina legal fissata dal Tribunale supremo nelle sentenze di accoglimento di ricorsi di cassazione nell’interesse della legge. Questa, secondo quanto disposto dal legislatore, “concretizza il contenuto normativo” delle norme applicabili al caso di specie, per cui “non solo ha il valore complementare dell’ordinamento giuridico che l’art. 1, comma 6, del codice civile riconosce alla giurisprudenza del Tribunale supremo”, ma gode di “vera e propria forza vincolante per i giudici ed i tribunali inferiori di grado”, che, di conseguenza, devono attenersi all’interpretazione legale data dal Tribunale supremo. Il plenum riconosce che, in casi di questo tipo, il fulcro del giudizio in via incidentale non è la legittimità di una semplice interpretazione giurisprudenziale del Tribunale supremo, ma la legittimità di norme il cui contenuto preciso è quello che il Tribunale supremo ha stabilito all’accogliere un ricorso nell’interesse della legge. L’organo inferiore è obbligato ad applicare le norme con il contenuto stabilito dalla sala amministrativa del Tribunale supremo, pena la violazione del diritto alla tutela judicial efectiva (art. 24, comma 1, Cost.), e, nel caso in cui dubiti della legittimità della doctrina legal del Tribunale supremo, non può disapplicarla, ma è obbligato a rivolgersi al Tribunale costituzionale attraverso il giudizio in via incidentale. b) Sulla possibile violazione del principio costituzionale dell’indipendenza giudiziaria (FFJJ 37) Prima di pronunciarsi su questo argomento, il Tribunale costituzionale traccia le caratteristiche del ricorso per cassazione nell’interesse della legge nella giurisdizione amministrativa, che è sussidiario rispetto al ricorso per cassazione e che ha sempre avuto natura eccezionale, sia perché la legge limita i soggetti legittimati a presentarlo, sia per i suoi effetti. La finalità delle sentenze di accoglimento è quella di stabilire una giurisprudenza con valore vincolante, tenendo ferma la forza di giudicato della decisione oggetto di impugnazione. Alla tradizionale funzione nomofilattica di protezione del diritto che è propria del ricorso per cassazione, nel ricorso per cassazione nell’interesse della legge si aggiunge una funzione integratrice o di omogeneizzazione del diritto, a garanzia dell’applicazione uniforme della legge su tutto il territorio nazionale ed al fine di evitare il perpetuarsi di criteri interpretativi erronei e gravemente dannosi per l’interesse generale (FJ 3). D’altra parte, senza l’indipendenza giudiziaria non si ha Stato di diritto, elemento essenziale di uno Stato costituzionale (FFJJ 4-6). L’indipendenza giudiziaria (art. 117, comma 1, Cost.) connota tutti i giudici e magistrati nell’esercizio della funzione giurisdizionale ed implica che essi siano sottoposti unicamente ed esclusivamente alla legge, senza essere vincolati ad ordini, istruzioni o indicazioni di alcun potere pubblico, ivi compresi i tribunali superiori di grado 2. Ciò nondimeno, il Tribunale costituzionale ritiene che la natura vincolante che ha per gli organi giudiziari inferiori la doctrina legal che il Tribunale supremo stabilisce quando accoglie ricorsi nell’interesse della legge nella giurisdizione amministrativa non viola l’indipendenza giudiziaria, perché la sua natura vincolante, voluta dal legislatore, ha come finalità quella di “preservare interessi costituzionalmente garantiti, come il principio di certezza del diritto (art. 9, comma 3, Cost.) e l’applicazione uniforme del diritto su tutto il territorio nazionale (artt. 1, comma 1, 14 e 139, comma 1, Cost)”. Inoltre, il plenum sostiene che la loro indipendenza sia garantita anche dalla possibilità che i giudici hanno di 2 L’indipendenza giudiziaria permette che gli organi giudiziari inferiori dissentano, mediante un ragionamento fondato in punto di diritto, da quanto sostenuto da tribunali superiori e anche dalla stessa giurisprudenza del Tribunale supremo, se del caso, senza che si violi il principio di uguaglianza nell’applicazione della legge né quello di tutela giurisdizionale. aprile 2012 26 sollevare una “questione di incostituzionalità” quando ritengano che la dottrina del Tribunale supremo possa essere illegittima (FJ 7). Infine, per quanto riguarda la specifica problematica della “questione di incostituzionalità”, il Tribunale costituzionale dichiara che la doctrina legal del Tribunale supremo sul computo dei termini di prescrizione delle infrazioni e delle sanzioni amministrative, secondo cui il ritardo dell’Amministrazione nella risoluzione esplicita di un recurso de alzada contro una risoluzione sanzionatrice non produce prescrizione, non è contraria al principio di certezza del diritto (art. 9, comma 3, Cost.) né alla giurisprudenza costituzionale sul silenzio amministrativo (FJ 8). Il precetto normativo è, infatti, enunciato con sufficiente chiarezza ed elimina qualsiasi ombra di incertezza sul contenuto e sulla portata della fissazione del dies a quo nel computo del termine di prescrizione delle infrazioni e delle sanzioni amministrative. Su quest’ultimo punto non si è avuta l’unanimità: sono quattro i giudici costituzionali (il vicepresidente Eugeni Gay Montalvo ed i giudici costituzionali Pablo Pérez Tremps, Adela Asua Batarrita e Luís Ortega Álvarez) che hanno redatto opinioni dissenzienti, in cui si argomenta il contrasto della dottrina legale del Tribunale supremo con il principio di certezza del diritto. aprile 2012 27 STATI UNITI a cura di Sarah Pasetto 1. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-699, del 26 marzo 2012; Zivotofsky, by his parents and guardians, Zivotofsky et ux. v. Clinton, Secretary of State Stato civile – Legge sulla registrazione su documenti ufficiali del luogo di nascita – Nascita a Gerusalemme – Possibilità di richiedere la registrazione di Israele come luogo di nascita – Rigetto della richiesta per l’esistenza di una policy governativa contraria – Ricorso di fronte ai giudici federali – Asserita esistenza di una political question – Corte suprema – Esclusione – Rinvio del caso al giudice di primo grado. Il ricorrente dinanzi alla Corte suprema è nato a Gerusalemme; la madre aveva chiesto che il luogo di nascita del richiedente venisse indicato come “Israele”, in una certificazione consolare di nascita all’estero ed anche sul passaporto, ai sensi del Foreign Relations Authorization Act, Fiscal Year 2003. L’Act stabilisce, alla section 214(d), che “ai fini della registrazione della nascita, della certificazione della nazionalità, o del rilascio di un passaporto di un cittadino statunitense nato nella città di Gerusalemme, il Segretario, su richiesta del cittadino o del tutore legale del cittadino, può registrare Israele come il luogo di nascita”. Nella specie, i funzionari del governo statunitense avevano però respinto la richiesta in base ad una policy dello State Department che proibisce la registrazione di Israele come luogo di nascita per coloro che sono nati a Gerusalemme. La District Court, in primo grado, ha respinto il ricorso del richiedente affermando che si trattava di una questione politica non sottoponibile a giudizio, vertendosi dello status politico della città di Gerusalemme. In secondo grado, la D.C. Circuit Court aveva confermato tale sentenza, motivando la propria decisione sul fatto che la Costituzione conferisce all’esecutivo il potere esclusivo di riconoscere la sovranità di Stati esteri, e che l’esercizio di un tale potere non può essere controllato dalle corti. La Corte suprema ha ripercorso la propria giurisprudenza, per evidenziare che una disputa “solleva una questione politica […] se vi è una ‘attribuzione costituzionale testualmente dimostrabile della questione ad un dipartimento politico; oppure se mancano standards per la sua risoluzione conoscibili e gestibili dagli organi di giustizia’”1. Le corti inferiori avevano affermato la sussistenza nella specie di una questione politica perché, secondo la Corte suprema, avevano mal compreso la problematica sottesa alla controversia, presumendo che la risoluzione della richiesta dei Zivotofsky avrebbe reso necessaria una definizione, da parte del potere giudiziario, della policy statunitense nei confronti dello status della città di Gerusalemme. In realtà, nel caso di specie si richiedeva ben altro, e cioè semplicemente se Zivotofsky potesse far valere il proprio diritto fondato su una legge di scegliere se far registrare Israele come luogo di nascita sul suo passaporto, ciò che rientra chiaramente nei limiti del potere giudiziario. Inoltre, poiché l’interpretazione della section 214(d) di cui sopra non era contestata dalle parti, l’unica vera questione che doveva essere decisa in via giudiziaria era la costituzionalità della legge. Al riguardo, non vi era alcuna “attribuzione costituzionale testualmente dimostrabile della questione 1 Nixon v. United States, 506 U.S. 224, 228 (1993). aprile 2012 28 ad un dipartimento politico”: almeno sin dai tempi della sentenza Marbury v. Madison, la Corte suprema ha riconosciuto che è di competenza del potere giudiziario determinare la costituzionalità di una legge. Né sussisteva una “mancanza di standards per la sua risoluzione conoscibili e gestibili dagli organi di giustizia” per risolvere la questione, come dimostrato dal fatto che entrambe le parti avevano avanzato argomentazioni giuridiche dettagliate sulla costituzionalità o meno della section 214(d). Poiché le corti inferiori erano giunte erroneamente alla conclusione che il caso sollevava una questione politica, e non avevano pertanto esaminato il merito della vicenda, la Corte suprema, ribadendo di essere una corte “di controllo finale e non di esame iniziale”, ha rinviato il caso al giudice di primo grado. 2. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-1024, del 28 marzo 2012; Federal Aviation Administration et al. v. Cooper Risarcimento dei danni – Privacy Act – Utilizzo della locuzione “actual damages” – Ambiguità – Corte suprema – Interpretazione che, nel dubbio, deve essere favorevole alla parte pubblica – Limitazione ai danni patrimoniali ed esclusione dei danni non patrimoniali. Un pilota sieropositivo, parte convenuta dinanzi alla Corte suprema, ha omesso di divulgare la sua malattia alla Federal Aviation Agency, ente incaricato tra l’altro di certificare l’idoneità al lavoro di piloti, rilasciando all’uopo certificazioni mediche. All’epoca dei fatti, la Agency non rilasciava certificati medici di idoneità ad individui sieropositivi. Il pilota aveva ottenuto l’idoneità ed aveva continuato a lavorare. Successivamente, il pilota aveva chiesto ed ottenuto sussidi sanitari a lungo termine presso la Social Security Administration in ragione della sua malattia. In seguito, il Department of Transportation aveva avviato un’indagine per identificare i piloti inidonei per motivi medici: il Department e la Administration si erano scambiati i rispettivi dati ed il pilota era stato così identificato. La sua licenza era stata revocata ed era stato condannato al pagamento di una multa e ad un periodo di libertà vigilata. Il pilota aveva denunciato i tre enti coinvolti per aver asseritamente violato il Privacy Act del 1974, che contiene un elenco dettagliato di condizioni per la gestione dei dati in possesso di organi del potere esecutivo. L’Act permette ricorsi per ottenere risarcimenti per danni effettivi (c.d. actual damages) se il Governo viola intenzionalmente le condizioni poste dall’Act con ripercussioni negative per l’individuo. Il pilota aveva asserito che l’illecita divulgazione al Department of Transportation di informazioni mediche riservate aveva comportato altresì danni psicologici ed emotivi. Il giudice di primo grado aveva stabilito che il Governo aveva violato l’Act ma, vista l’ambiguità della locuzione “actual damages”, l’immunità sovrana doveva portare ad un’interpretazione a favore del Governo, donde l’affermazione secondo cui l’Act non autorizzava il risarcimento di danni non materiali. La Corte d’appello del Ninth Circuit aveva invece escluso l’ambiguità della locuzione, donde la risarcibilità anche dei danni derivanti da sofferenze psicologiche ed emotive. La Corte suprema ha rovesciato la decisione giudice di secondo grado, con una opinion redatta dal Justice Alito cui hanno aderito altri quattro giudici; una opinion dissenziente è stata sottoscritta da tre giudici2. 2 La Justice Kagan non ha partecipato alla discussione del caso. aprile 2012 29 Facendo riferimento alla propria giurisprudenza, la Corte suprema ha rilevato che una limitazione dell’immunità sovrana dello Stato deve essere espressa in termini chiari e non ambigui nel testo della legge; qualsiasi ambiguità deve quindi essere risolta a favore dello Stato. Quando il Congresso statunitense ha utilizzato la locuzione “actual damages”, era “presumibilmente consapevole” di ciò che avrebbe significato, ed ha dunque implicitamente adottato “anche l’insieme di principi collegati a ciascuna parola, sviluppatisi nel contesto giuridico dal quale le parole stesse sono state estrapolate”. Nella specie, il significato delle parole “actual damages”, anche nel contesto giuridico, è ben lungi dall’essere inequivocabile. Anche se la locuzione è stata spesso interpretata nel senso di includere danni non patrimoniali, non sono mancati casi di interpretazioni più restrittive, per far riferimento solamente a danni patrimoniali. Data la natura “camaleontica” del termine, lo si deve leggere nel contesto legislativo nel quale compare. Il Privacy Act ha obiettivi simili alla normativa sulla diffamazione ed ai torts sulla riservatezza. La previsione che esso reca secondo cui i richiedenti possono ottenere un risarcimento minimo di $ 1.000 se sono in grado di dimostrare di aver subito almeno in qualche misura dei danni materiali, “rispecchia” i torts di common law di libel per quod e slander3, in seguito ai quali i richiedenti possono ottenere un risarcimento per “danni generali” (general damages) se sono in grado di dimostrare preventivamente di aver subito danni c.d. “speciali” (special damages). I danni speciali, limitati alle perdite di ordine pecuniario, devono essere oggetto di una richiesta specifica avanzata al giudice e debbono essere provati; i danni generali, invece, riguardano le perdite di natura non pecuniaria e non devono essere né specificamente richiesti né provati. Questo schema è stato dalla Corte esteso attraverso una assimilazione degli “actual damages” di cui al Privacy Act agli “special damages”, con la duplice conseguenza di limitare i danni a quelli patrimoniali e di imporre al richiedente la prova dei danni concretamente subiti. La assimilazione è stata suggerita anche dall’uso promiscuo che il Congresso, in altre circostanze, ha fatto degli aggettivi “actual” e “special” riferiti ai “damages”. D’altra parte, in casi di diffamazione e privacy inerenti al common law, i danni speciali ed i danni generali sono gli unici modi per ottenere risarcimenti: poiché il Congresso ha espressamente escluso risarcimenti per danni generali, è ragionevole dedurre che il Congresso abbia inteso i danni “actual” di cui al Privacy Act come “danni speciali derivanti da danno pecuniario comprovato”. La Corte ha ammesso che l’interpretazione contraria non è del tutto inconcepibile. Poiché, però, il Congresso non ha agito in maniera inequivocabile, la Corte ha adottato l’interpretazione restrittiva sull’assunto che la limitazione delle prerogative sovrane dello Stato richiede una esplicitazione che, nella specie, non era data. 3 I torts citati possono essere tradotti, non senza approssimazione, come diffamazione circostanziata per scritto e diffamazione orale. aprile 2012 30
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