Alla ricerca del tempo perduto (dal centrodestra)

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Alla ricerca del tempo perduto (dal centrodestra)
Domenicale
WWW.SECOLODITALIA.IT
d’Italia
CON IL PDL
ANNO LX N.251
SPED. IN A.P. - DL 353/2003 (CONV.IN L. 27/02/2004 ART. 1, COM. 1, DCB) ROMA
del
Dal 1994 al 2011:
9 anni al governo
tre legislature
e troppe missioni
incompiute
3
Paolo Liguori:
«Il lato positivo?
Il centrodestra
è ormai una realtà
consolidata»
5
domenica 18/11/2012 1 EURO
Alla ricerca
perduto
(dal centrodestra)
tempo
Parola di Mastella,
ministro con Prodi
e con Berlusconi:
«Fare le riforme?
È impossibile»
7
Anniversari:
tutti pazzi per
Proust, lo scrittore
più citato
e meno letto
13
Il genio dissacrante
di Benito Jacovitti
in mostra
a Roma
all’Ara Pacis
16
2
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
In mostra 85 opere
di Giorgio Morandi
Bologna
Oggi, domenica 18, alle 11
Conclusi il trasferimento da
Palazzo d’Accursio e i lavori di
riallestimento, saranno visibili al
MAMbo (Museo d’Arte Moderna
di Bologna) 85 opere di Giorgio
Morandi, riorganizzate in un
percorso espositivo che trova
collocazione all’interno della
Collezione Permanente
rinnovata nelle sue sezioni.
Interverranno il sindaco Virginio
Merola, l’assessore alla Cultura,
Politiche giovanili e Rapporti
con l’università Alberto Ronchi,
l’assessore agli Affari
istituzionali, Servizi demografici,
Turismo, Attività produttive,
Commercio e Legalità Nadia
Monti, Lorenzo Sassoli de
Bianchi e Gianfranco Maraniello,
rispettivamente presidente e
direttore della Galleria d’Arte
Moderna, e il garante
testamentario Carlo Zucchini.
L’ingresso al pubblico alla
Collezione Permanente sarà
gratuito per l’intera giornata di
domenica, dalle 11 alle 20.
Si discute di “Recessione,
come uscirne”
Roma
Lunedì 19, alle 18.30
All’auditorium dell’Ara Pacis, in
via di Ripetta 190, si terrà il
dibattito “Recessione, come
uscirne”, che si svolge
nell’ambito della rassegna
RomaIncontra.
Si presenta il libro
“Quattro anni per Roma”
Roma
Martedì 20, alle 18.30
Presso la Residenza di Ripetta,
in via Ripetta 231, il Centro
studi Cives organizza la
presentazione del libro “Quattro
anni per Roma. Fatti e progetti
della giunta Alemanno”, curato
dal sindaco di Roma e dedicato
alle iniziative realizzate da
Roma Capitale e ai progetti
futuri per la città. Con Gianni
Alemanno ne discutono Daniela
Alleruzzo, Eugenio Battelli,
Reyna Torrones, Corrado
Ruggeri e Andrea Augello.
I “Tesori del patrimonio
culturale albanese”
Roma
Mercoledì 21, alle 10
Al Complesso del Vittoriano si
Il convegno
Opera, Muti presenta
il “Simon Boccanegra”
Roma
Lunedì 26, alle 18
Nel segno di Giuseppe Verdi
prende il via martedì 27
novembre la nuova stagione
2012-2013 del Teatro dell’Opera.
Sul podio il più prestigioso e
applaudito interprete verdiano,
il maestro Riccardo Muti, che –
in omaggio al Bicentenario
verdiano – dirigerà “Simon
Boccanegra”, “I due Foscari” e
“Nabucodonosor”. Muti
presenterà il “Boccanegra” in
una conferenza che terrà lunedì
26, alle 18, nell’aula magna del
Rettorato dell’università La
Sapienza, in piazzale Aldo Moro.
Con La Nuvola Di Magritte
di Fabio Massimo Caruso
Roma
Fino al primo dicembre
La Biblioteca Angelica – Galleria
Angelica, uno dei luoghi
espositivi più belli della
Capitale, accoglierà, sino al 1
dicembre la personale di Fabio
Massimo Caruso: 30 opere su
tela e 50 tra disegni e bozzetti
per raccontare un percorso
artistico dal 1992 ai giorni
nostri.
Energia
per
tutti
MILANO
MERCOLEDÌ 21
NOVEMBRE
Energythink
Nell’Aula Magna
Gobbi dalle ore 9, o
lavori della
conferenza
Energythink saranno
aperti da Andrea
Sironi, Sabina Ratti,
e Rossella Muroni. A
seguire l’intervento
del ministro Andrea
Riccardi intervistato
da Lucio Caracciolo.
La sessione tematica
sarà invece aperta
dall’intervento di
Barbara Buchner. A
seguire, George Yaw
Obeng. Chiuderà la
sessione Vijay Modi.
La conferenza sarà
chiusa dagli studi e
dalle ricerche
sviluppati da
ricercatori e docenti,
con l’intervento
conclusivo di Pippo
Ranci Ortigosa.
apre la mostra “Tesori del
patrimonio culturale albanese”,
che andrà avanti fino al 6
gennaio. La rassegna propone
un excursus nel patrimonio
archeologico e storico-culturale
dell’Albania per riscoprire e
promuovere la componente
europea dell’identità culturale
del Paese.
Antonia Basciani
ggi 1,3 miliardi di
persone vivono senza
elettricità, mentre 2,7
miliardi si affidano a biomasse
tradizionali per cucinare e per il
riscaldamento: il 95% di questi
vive nei paesi in via di
sviluppo, dove ogni anno circa
1,4 milioni di persone
muoiono a causa dell’uso
domestico di biomasse
tradizionali.
Come garantire a miliardi di
O
Quotidiano di Alleanza Nazionale
GIORNALE MURALE
REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA
N. 16225 DEL 23/2/76
Redazione Via della Scrofa 43 - 00186 Roma tel. 06/6889921
fax 06/6861598 - mail: [email protected]
(www.energythink.it) dedicata
alla sfida sull’accesso universale
a servizi energetici sostenibili.
In continuità con il convegno
Energythink organizzato a
Venezia lo scorso marzo e dopo
la conferenza Onu di Rio+20,
nell’Aula Magna Gobbi dalle
ore 9 la conferenza affronterà il
tema da prospettive diverse,
dalle frontiere tecnologiche,
alle problematiche sociali,
ambientali ed economiche:
l’obiettivo è promuovere una
riflessione, a partire dagli
persone l’accesso a servizi
energetici moderni, senza
conseguenze sul fronte del
cambiamento climatico e
tenendo conto degli aspetti
economici, tecnologici e
geopolitici?
Con lo scopo di affrontare
quest’interrogativo, Eni e
Legambiente, in collaborazione
con l’Università Luigi Bocconi
di Milano, organizzano
mercoledì 21 novembre la V
Conferenza Internazionale
Energythink
Amministrazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/688171
fax 06/68817204 - mail: [email protected]
Tipografie:
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fax 06/32609641
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studenti che parteciperanno al
convegno, su uno dei nodi
principali dello sviluppo e
gettare le basi per nuove
iniziative di cooperazione
internazionale e pubblicoprivate a supporto dell’energia
sostenibile sulla base delle
indicazioni emerse nella
Conferenza Onu di Rio+20. In
questa prospettiva Andrea
Riccardi, Ministro per la
Cooperazione Internazionale e
l’Integrazione interverrà nella
prima parte della conferenza.
Consiglio di Amministrazione
Tommaso Foti (Presidente)
Alberto Dello Strologo
(Amministratore delegato)
Alessio Butti, Antonio Giordano,
Mario Landolfi, Ugo Lisi
Direttore Politico
Marcello De Angelis
Vicedirettore Responsabile
Girolamo Fragalà
Fondatore
Franz Turchi
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Regime Sovvenzionato Sped. Abb. Postale DL
353/2003 (Conv. in L.27/02/2004 n.46) art. 1
comma 1 DCB Roma
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di cui alla Legge 7 agosto 1990 n. 250
3
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
tempo
perduto dal centrodestra
Alla ricerca del
Guido Liberati
lla ricerca del tempo perduto dal
centrodestra. Prendendo spunto
dall’anniversario che riguarda
Marcel Proust, ci si può voltare
indietro per tracciare un bilancio
politico degli anni di governo? Quali e
quante sono state le occasioni perdute
del centrodestra? Che cosa c’è di
buono da registrare degli anni del Polo
della libertà, Cdl poi Pdl? Facciamo un
piccolo esercizio “proustiano” e
torniamo indietro di quattro anni.
Una mattina di marzo del 2008. Le
agenzie di stampa registrano la notizia
che Silvio Berlusconi «alla presenza
degli alleati del Popolo della libertà ha
presentato questa mattina in una
affollatissima conferenza stampa, a
Roma, all’Auditorium di via della
Conciliazione il programma di
governo,sul podio i simboli in formato
gigante del Pdl, della Lega Nord, e del
Mpa e poi un gruppo di ragazzi che
indossavano una felpa blu e la scritta
“Con Silvio Presidente”». Il
programma? Snello, essenziale: undici
pagine in tutto, dove sono delineato in
sette missioni «per il futuro dell’Italia:
la prima, rilanciare lo sviluppo; la
seconda, sostenere la famiglia e dare ai
giovani un futuro; la terza, più
sicurezza e più giustizia. E ancora:
quarta missione, i servizi ai cittadini;
quinta, il Sud; sesta, il federalismo.
Infine, l’ultima missione: un piano
straordinario di finanza pubblica».
A
Le sette missioni del Pdl
Nel 2008 Berlusconi presentava
le sette missioni per il futuro
dell’Italia: missioni che, per sua
stessa ammissione sono fallite.
La nuova sfida è che cosa
salvare di questa esperienza
di governo e da dove ripartire?
Come è andata? I risultati sono sotto
gli occhi di tutti. Il risultato è in
chiaroscuro. Al netto della propaganda
e degli esercizi di ottimismo sfrenato,
se lo stesso Berlusconi intervistato
nell’ultimo libro di Bruno Vespa
riconosce: «Non ce l’ho fatta», si può
ragionare su che cosa non ha
funzionato e perché.
Teresa Alquati proverà a indicare quali
sono state le occasioni mancate sul
piano economico, nell’intervista di
Antonio Rapisarda a Paolo Liguori gli
spunti per capire perché le riforme
promesse non sono arrivate. Di
occasioni mancate del centrodestra in
Europa parla l’europarlamentare
Roberta Angelilli con Adriano Scianca.
Mentre Michele De Feudis in
un’intervista con tanto di questionario
proustiano cerca di capire da Clemente
Mastella, che vanta il record di essere
stato al governo da ministro sia con
Berlusconi che con Prodi, come mai in
Italia è impossibile fare le riforme.
Un bilancio in negativo per il
centrodestra dal 1994 al 2011? Non la
pensa così Renato Brunetta. Secondo
uno studio presentato dal ministro
della Pubblica amministrazione del
governo Berlusconi, ci sono tanti
motivi per promuovere il centrodestra.
Ne elenchiamo alcune attingendo i
dati forniti dalla Free Foundation.
Intanto, Brunetta premette che in 17
anni il centrodestra è stato al governo
effettivamente per “soli” nove anni.
Per la precisione 3361 giorni, pari a tre
Vent’anni sulla scena politica,
nove effettivi di governo
(nell’arco di tre legislature)
il centrodestra ha varato riforme
importanti ma ha lasciato la sensazione
tra gli italiani di un progetto incompiuto
legislature. Brunetta cita «quaranta
riforme che hanno cambiato l’Italia».
Tra queste la riforma della scuola e
dell’università, quella della pubblica
amministrazione, quella della
giustizia, del mercato del lavoro, la
riforma costituzionale, del fisco, del
federalismo e delle pensioni. Tutte
riforme che, tuttavia, da una parte non
sono state metabolizzate, dall’altra
non sono state “comprese” dagli
italiani.
Quelle che invece balzano agli occhi
che hanno migliorato la qualità della
vita dei cittadini sono l’abolizione
della leva obbligatoria, divieto di
fumare nei locali pubblici, abolizione
dell’Ici prima casa (che il governo
Monti ha reintrodotto di fatto
inasprendo l’imposta), patente a
punti, digitalizzazione dei servizi della
pubblica amministrazione e «lotta alla
criminalità senza precedenti». Un
ultimo dato, quest’ultimo, difficile da
rendere tangibile per la vita
quotidiana. La percezione, semmai,
soprattutto nelle grandi città è quella
di una minore sicurezza rispetto agli
anni passati. E la percezione, alla fine
diventa sostanza. Parecchie occasioni
perdute, dunque, ma visto che è il
momento di ripensare e rilanciare un
intero movimento di ideali e di valori,
questa è anche l’occasione per capire
dove si sono commessi sbagli e da
dove ripartire. Perché, per dirla
proprio con Proust: «Disperare è il più
grande dei nostri errori».
4
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
Il centrodestra al governo
ha avuto tante intuizioni,
ma è mancata la fase
realizzativa.
Serviva più coraggio. Ad
esempio per selezionare i
settori in cui l’Italia può
ancora essere vincente,
sostenendoli e rendendoli
sempre più competitivi. Ed
aiutando gli altri a
rinnovarsi, a trasformarsi.
È mancato il coraggio di
affrontare, a muso duro,
personaggi come
Marchionne, De Benedetti,
Tronchetti Provera.
Si è stati pavidi anche sulla
riforma del mercato del
lavoro e delle pensioni,
lasciando poi che
fosse Elsa Fornero
a compiere il disastro con
interventi pessimi
economia:
serviva più coraggio
Bocciati in
Teresa Alquati
ent’anni dopo al punto di
partenza», cantava Guccini. E
il centrodestra, dopo 20 anni
di governo (seppure non continuativi) si
ritrova con l’economia italiana al punto
di partenza. E pure peggio. La
rivoluzione liberale di Berlusconi? Non
se n’è saputo più nulla. La lotta
tremontiana al mercatismo, annunciata
nei libri dell’ex ministro? Rimasta sulle
carte e mai attuata. Il federalismo come
motore del risanamento e della
responsabilità? Trasformato in nuove
occasioni di spreco.
Difficile trovare risultati davvero positivi
nell’era economica berlusconiana.
Indubbiamente non era facile lavorare
ad un progetto quando le componenti
erano così distanti. Liberisti assoluti,
sostenitori di una politica sociale,
assistenzialisti ad ogni costo: non c’è
stata la capacità di scegliere una linea e
si è andati avanti a colpi di
compromessi che aumentavano i costi e
non individuavano soluzioni per lo
sviluppo. Ed ora, nel momento della
resa dei conti finale, ci si dimentica
anche delle (poche) cose ben fatte.
Come le “Tremonti bis, ter” eccetera
eccetera. Da lì si potrebbe ripartire, per
un’Italia che non si rassegna alla povertà
imposta da Monti ma che punta a
risollevarsi. L’idea di favorire gli
investimenti era giusta, una strada da
perseguire e da proseguire.
Ma alla luce dei tagli montiani alla
scuola sul fronte della ricerca e
dell’innovazione, persino la pessima
«V
In molte occasioni
non si è andati
molto oltre
le dichiarazioni
d’intenti
e i roboanti
proclami
riforma Gelmini appare accettabile.
Perché un’Italia che non voglia
trasformarsi nel Bangladesh d’Europa
deve, obbligatoriamente, investire in
ricerca ed innovazione. Non ci sono
altre strade. Il centrodestra, però, non è
andato molto oltre le dichiarazioni
d’intenti ed i roboanti proclami. Certo, i
privati hanno fatto la loro parte
nell’evitare investimenti nel settore, ma
è mancata la spinta politica. Si è
preferito lasciare che, a livello locale, si
creasse occupazione nel settore
pubblico, con posti di lavoro totalmente
improduttivi. E lo stesso è avvenuto nel
privato: si son difesi settori praticamente
morti, e spendendo cifre folli, invece di
puntare sulla riconversione. Garantendo
occupazione, ma spostandola verso
comparti con prospettive di crescita.
Tanto per chiarire: l’Alcoa non aveva
futuro, ma non si è investito nulla per
creare un’alternativa in grado di
assorbire i lavoratori destinati ad uscire
dall’azienda.
Anche in altri comparti, come il
turismo, è evidente che il confronto con
il disastro degli attuali incompetecnici
premia il centrodestra e la Brambilla.
Ma se il raffronto lo si fa con la
situazione internazionale, si nota
l’ennesimo flop. Mancanza di idee,
mancanza di professionalità, perché si è
continuato a premiare i soliti noti ed i
soliti nomi. Senza criterio, senza
competenze. Dilettanti allo sbaraglio. E
questo nonostante si fosse compresa
l’importanza del turismo per il futuro
dell’Italia.
Tante intuizioni, dunque, ma è mancata
la fase realizzativa. Serviva più coraggio.
Ad esempio per selezionare i settori in
cui l’Italia può ancora essere vincente,
sostenendoli e rendendoli sempre più
competitivi. Ed aiutando gli altri a
rinnovarsi, a trasformarsi. È mancato il
coraggio di affrontare, a muso duro,
personaggi come Marchionne, De
Benedetti, Tronchetti Provera.
Così come è mancato il coraggio per
attuare una riforma del mercato del
lavoro e delle pensioni, lasciando poi
che fosse Elsa Fornero a compiere il
disastro con interventi pessimi. Eppure
proprio l’urgenza degli interventi e la
gravità della crisi avrebbe permesso (ed
obbligato) ad interventi coraggiosi e
radicali. Partendo dal presupposto che
l’Italia può avere un’industria,
un’agricoltura ed un settore servizi
soltanto se punta sulla qualità. E la
qualità non si ottiene con l’aumento
delle ore lavorate - contrariamente a
quello che pensa Grilli – ma
migliorando la qualità del lavoro.
Favorendo la creatività anche nei lavori
di fabbrica. Il patron della Azimut
Benetti (produzione di yacht), alle prese
con una ristrutturazione interna causata
dalla crisi del mercato italiano, ha
proposto un percorso di sacrifici da
entrambe le parti, ma offrendo ai
rappresentanti dei lavoratori un posto
nel consiglio d’amministrazione. Una
strada coraggiosa, ma che il centrodestra
avrebbe dovuto fare propria. Per lo
meno quella parte del centrodestra che
ha superato il fallimentare slogan
"laissez faire", visto che il mercato, da
solo, ha prodotto disastri.
6
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
Angelilli: “Troppe occasioni
perdute anche in Europa”
Credo che soprattutto sui temi legati alla
crisi bisognasse cavalcare con forza il
tema dell’economia sociale di mercato,
ovvero la conciliazione degli obiettivi e
dei tempi del mercato con le esigenze
della coesione sociale e della solidarietà.
Penso alla difesa del lavoro, in senso
generale.
Adriano Scianca
uando l’Europa non esisteva, la
destra l’ha invocata in ogni
manifestazione, canzone e
sezione. Poi, quando l’Ue ha preso
davvero corpo, ci si è accontentati di
galleggiare, rinunciando ad avere un
ruolo di vero protagonismo. Roberta
Angelilli, vicepresidente del Parlamento
europeo ma prima ancora esponente
politico che viene dalla militanza, tutto
questo lo sa bene. E ai suoi colleghi del
Ppe dice: «Ci siamo lasciati sfuggire molte
occasioni, potevamo e dovevamo essere
protagonisti nel combattere la crisi».
Q
Il centrodestra e l’Europa: si è trattato di un
connubio riuscito o forse si poteva fare di più
e di meglio?
Io credo che in generale il Partito
popolare europeo avrebbe potuto fare di
più. Anche perché abbiamo avuto e
abbiamo tuttora molti governi nazionali
di centrodestra in Europa, il presidente
della Commissione, Barroso, viene dalla
nostra famiglia politica così come, nei
primi due anni, abbiamo avuto un
presidente del Parlamento, Buzek, che
veniva dal Ppe. Insomma, c’erano tutte le
condizioni per fare molto...
E invece?
Diciamo che si poteva avere una regia più
decisa, non tanto politicamente quanto
sui valori fondamentali.
Facciamo degli esempi.
La nuova prospettiva
«Bisogna essere protagonisti,
non subire. Seguire i processi
decisionali e cercare
di condizionarli. Se il potere
è a Bruxelles, è a Bruxelles
che bisogna fare pressione»
La vicepresidente del Parlamento europeo
striglia i suoi colleghi del Ppe:
«Ci siamo lasciati sfuggire molte occasioni,
potevamo e dovevamo essere protagonisti
nel combattere la crisi»
ritardi dei pagamenti nelle transazioni
commerciali. Ecco, una cosa del genere è
cruciale e si tratta di un fatto concreto,
che incide sull’economia, non di parole
al vento...
Il Ppe è stato troppo timido su questi temi?
Sì, ma non tanto dal punto di vista
legislativo, dove sono state fatte cose
corrette. Complessivamente, tuttavia, non
c’è stata una strategia forte, si è un po’
giocato di rimessa, lasciando agli altri un
ruolo più aggressivo e incisivo. Ecco,
questa è stata la nostra criticità. Su temi
come la disoccupazione giovanile bisogna
essere più chiari e più forti.
Se invece dovesse tracciare un bilancio personale della sua esperienza al Parlamento
europeo che somme tirerebbe?
Io mi sono concentrata molto su tutto il
pacchetto crisi-disoccupazione, ma anche
sulla tutela dei minori, per esempio. Ho
sempre cercato di far partecipare le
persone alle decisioni che le
riguardavano, perché le idee devono
circolare e soprattutto bisogna far sì che i
giovani non concepiscano le istituzioni
come qualcosa di lontano verso cui
maturare sfiducia.
L’Ue, in tutte le sue articolazioni, sembra ancora un mondo lontano, freddo, slegato dall’Europa reale, quella dei popoli e dei lavoratori. Si può fare qualcosa per accorciare le distanze?
Quello che in effetti dovrebbe fare il Ppe
è utilizzare tutti gli strumenti possibili
per avvicinare le strutture europee ai
cittadini. Penso al diritto di iniziativa
legislativa europea, che ci potrebbe
permettere di lavorare non tanto sulle
proposte di generici “cittadini” quanto
sulle istanze che vengono dal tessuto
produttivo. Tutto questo garantirebbe una
maggiore partecipazione dell’Europa
reale, quella che lavora e produce. Per
esempio – e questo è un punto a nostro
favore – penso alla direttiva europea sui
Nei confronti dell’Ue la sfiducia sembra ancor più marcata che verso le istituzioni nazionali, a dir la verità...
Vede, fino a qualche anno fa si diceva che
il 75% delle nostre leggi venissero da
Bruxelles. Ora credo che si sia giunti in
prossimità del 100%. Un atteggiamento
tutto italiano e che altrove non si registra
è quello che subisce passivamente questo
stato di cose. E invece bisogna essere
protagonisti, non subire. Seguire i
processi decisionali e cercare di
condizionarli. Se il potere è a Bruxelles, è
a Bruxelles che bisogna fare pressione.
Altri sono più presenti non solo nelle
istituzioni, ma anche nelle manifestazioni
europee, nella consapevolezza diffusa. È
su questo che dovremmo lavorare di più.
5
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
Antonio Rapisarda
on è stato tempo sprecato».
Paolo Liguori, direttore di New
Media di Mediaset, scrittore e
polemista, non reputa i vent’anni di
centrodestra italiano come una sfilza di
occasioni mancate. Ragion per cui,
proustianamente, pensa che ragionare sul
passato sia necessario non solo per valutare al
meglio il proprio percorso ma anche per
“scoprire” le occasioni che anche la stessa
esperienza del governo Monti può portare.
«N
Liguori, lei dice che il centrodestra non ha perso
tempo. Perché?
Ha speso vent’anni per riconoscersi, per
esistere.
“Per la rivoluzione
vent’anni
liberale
non
bastano”
In che senso?
Questa parte di opinione pubblica non ha
avuto una vita facile. È stata segnata in
negativo dal dopoguerra. Il suo blocco non è
nato come gli altri, intendo la Dc e il Pci, da
un clima favorevole a un certo punto del
‘900. Possiamo dire che il centrodestra non
era previsto neanche nella Costituente. Perché
non ha partecipato alla sua formulazione. Si
può sostenere, allora, che una formazione
cattolica, liberale e nazionale inedita ha
“usato” questi vent’anni per nascere.
Sono in tanti a scrivere, invece, che il centrodestra
non è mai nato…
È così se guardiamo il bicchiere mezzo vuoto.
Certo, le grandi riforme liberali annunciate
da Berlusconi non sono state fatte. Ma, per
chi guarda il bicchiere mezzo pieno, la
nascita stessa del centrodestra è un grande
progetto. Un esempio? Grazie a questo è stata
scongelata un’importante cultura politica
come quella della destra. Poi è stato ritirato
fuori un pensiero liberale che era stato
emarginato e sbeffeggiato. E, infine, grazie a
questo centrodestra è stato mantenuto un
asse sui valori che in una realtà
profondamente secolarizzata rischiavano la
scomparsa. Da qui occorre ripartire.
Ma perché, allora, tanti dirigenti del centrodestra
si affrettano a recitare il proprio funerale politico?
Perché sono poco colti e perché sono in tanti
a essere così. Sono pochi quelli che hanno
una cultura sufficiente per comprendere il
portato dell’innovazione politica che hanno
rappresentato. All’inizio erano molto presi
dalla rivoluzione liberale. Poi sono fatti
prendere dalla spirale odio-vendetta,
giocando sul campo preferito della sinistra:
ossia quello del mancato riconoscimento.
Del resto una sinistra nata, come è nata in
Italia, dal Pci non riconosce altro che se
stessa.
E Berlusconi in tutto questo?
Berlusconi io lo vedo tra i visionari. Ma poi,
come tutti i rivoluzionari, è rimasto
prigioniero dello stesso grande cambiamento
che ha portato. È chiaro: l’idea che sia la
stessa persona che dà l’avvio alla rivoluzione
quella che poi la completa porta
inevitabilmente a una sorta di
autodistruzione, perché per completarla ci
vuole più di mezzo secolo. Berlusconi ha
pensato a una rivoluzione talmente radicale
che è impossibile realizzarla in due decenni.
Però la prima parte gli è riuscita: ha fatto
nascere il centrodestra.
Il resto toccherebbe ad Alfano?
Alfano, a modo suo, molto istintivamente fa
parte di questo processo. L’incontro dei
moderati, dal Pdl a Casini, è necessario. Sono
state le antipatie personali – gli screzi tra
Il parere di Paolo Liguori
«Silvio Berlusconi ha pensato
a una rivoluzione talmente
radicale che è impossibile
realizzarla in due decenni. Però
la prima parte gli è riuscita: ha
fatto nascere il centrodestra»
Berlusconi, Casini e Frini – ad ostacolare in
questi anni il processo.
posizione netta di sostegno rispetto a questi
obiettivi che sono propri.
Come vede le primarie del Pdl?
Mi sembrano uno strumento risibile. Il
centrodestra è per natura carismatico. Se
dobbiamo farle che si facciano tra un
esponente del centrodestra e Monti, non le
primarie dei nanetti. Talmente è vero questo
che tutti dicono “se si candida Berlusconi
non si fanno le primarie”.
Non è comprensibile che non sia stato digerito il
“commissariamento” del governo Berlusconi?
Capisco, ma adesso è tempo di intestarsi
l’agenda Monti proprio sui punti cari al
centrodestra. Su questo occorre dire: noi
votiamo un premier che ci garantisce questo
programma. Può anche darsi che il leader
politico non sia lo stesso che siederà a
palazzo Chigi. Ma toccherà poi a questo
leader stabilire i passaggi successivi per
formare una nuova classe dirigente.
Scusi, ma che c’entra Monti?
Berlusconi è fatto di due materie. Una
carismatica, l’altra programmatica. L’unico
che dal punto di programmatico può
continuare il percorso e contrastare una
demagogia statalista si chiama Mario Monti.
Draghi potrebbe essere il leader carismatico
se volesse scendere in politica. Insomma, un
leader carismatico nel centrodestra, almeno al
momento, non c’è.
Sul governo tecnico i toni sono stati duri però.
Il giudizio sul governo Monti va rivisto. Ci
sono alcune operazioni strutturali che, come
molti osservatori hanno riconosciuto, non
solo altro che la prosecuzione del governo
Berlusconi. Cose che, è chiaro, in Italia erano
impensabili. Prendiamo i tagli alla spesa: non
li avrebbe fatti nessuno, loro li stanno
facendo con tutte le difficoltà. Oppure i tagli
per la spesa alla politica. Ecco, non capisco
perché il centrodestra non assume una
Una legislatura costituente insomma.
Legislatura costituente perché l’offerta dei
partiti nati dalla Costituzione è esaurita.
Bisogna fare una nuova Carta, riscrivere tutto.
Chi è allora che ci ha fatto perdere tempo in tutti
questi anni?
In questi vent’anni siamo stati dietro a
corporazioni e poteri che hanno frenato il
Paese. Sono stati i sindacati, la concertazione,
il dibattito continuo e autoreferenziale dei
partiti. E qui la concezione della politica
come professione è stata la vera malattia.
Proprio qua i dirigenti dovrebbero ricordare
come l’elettore di centrodestra non può
tollerare certe cose. Penso a quell’antico
motto caro ai vecchi liberali: “Sei entrato con
le pezze al culo e adesso sei ricco. E come sei
diventato così? Con i soldi della politica?”.
7
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
Michele De Feudis
n viaggio politico dalla Democrazia
cristiana alla fondazione del Ccd,
all’Udr e all’Udeur, intervallate dagli
incarichi di ministro del Lavoro con il primo
esecutivo Berlusconi e della Giustizia con il
secondo governo Prodi. Europarlamentare
eletto con il Pdl, Clemente Mastella, classe
1947 da Ceppaloni (Benevento), è un
testimone disincantato della Seconda
Repubblica, della quale proustianamente ne
analizza il declino prima di raccontarsi
secondo il canone del questionario ispirato
dallo scrittore parigino.
U
“Toccare Welfare
e
Giustizia?
Impossibile”
La stagione iniziata con Tangentopoli e con l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi sembra alle battute finali. Da protagonista di questa era repubblicana, quali scelte non rifarebbe?
Non so se rifarei il ministro della Giustizia. Il
tentativo di sanare la frattura tra magistratura
e politica è stata un’operazione impossibile,
nonostante la mia buona volontà nella
cercare una ricostruzione del rapporto in
ottica democratica.
Nel 1994 ricoprì l’incarico di ministro del Lavoro.
Perché questo settore è così difficile da riformare?
Ci sono incrostazioni incredibili, ogni
interlocutore è affezionato alla propria
routine quotidiana. Come i malati di diabete
a cui vietano il dolce. Ogni volta che si
toccano alcuni tasti, tutto si complica. Ci
sono gli interessi del mondo imprenditoriale
che non coincidono con quelli del mondo
dei dipendenti. Mancando una politica
consapevole del proprio primato, si stenta
nel concretizzare e capitalizzare le
opportunità di migliorare il contesto del
lavoro in Italia.
Di questa prima esperienza di governo, conserva qualche aneddoto?
Sì, la stima dell’allora segretario confederale
della Cgil, Sergio Cofferati, che mi ha
definito «il miglior ministro del Lavoro». Ai
tempi c’era la querelle sulla riforma delle
pensioni. Giuliano Ferrara di intesa con
Silvio Berlusconi preparò un comunicato di
Palazzo Chigi per chiudere il rapporto con i
sindacati addebitandolo loro la
responsabilità della rottura delle relazioni
con il governo. Mi opposi a questo indirizzo.
La mia posizione fu apprezzata da Cofferati,
il comunicato non venne più diramato e fu
possibile evitare una frizione tra mondo
politico e sindacato.
Da ex titolare del dicastero di via Arenula, come
interpreta il vento giustizialista che periodicamente torna a soffiare contro i palazzi della politica?
Non abbiamo avuto la riforma protestante, e
culturalmente c’è chi lega indissolubilmente
l’idea morale e la legalità: da qui viene una
precisa impostazione culturale dell’ottica
giudiziaria.
Adesso il partito degli Onesti, l’Italia dei Valori,
è al centro di una serie di inchieste giudiziarie…
Perché nessuno se ne è accorto prima? Sento
dire che sul piano giudiziario Di Pietro è
stato assolto, ma sul piano giudiziario c’è un
trattamento tra figli e figliastri. Basta vedere
quello che è successo a Bari con l’assoluzione
di Nichi Vendola, sentenziata da un gup che
è legato da amicizia alla sorella del
governatore. Provi ad immaginare cosa
sarebbe successo se la mia segretaria, come
per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani,
fosse stata accusata di truffa e il mio capo
della segreteria politica si fosse chiamato
Filippo Penati: mi avrebbero mandato nelle
patrie galere per trent’anni.
C’è un antidoto a questa deriva?
La politica “forte” deve dialogare con la
magistratura e farla rientrare nell’ordine
anziché accettarne il potere. Lo dicevano i padri
costituenti. Nell’ambito politico si è contenti se
la magistratura prende lo scalpo di un
concorrente interno o esterno. E questa non è
la strada giusta.
Clemente Mastella
«Quando ero nel governo
Berlusconi, Cofferati disse
che ero il miglior ministro del
Lavoro della storia, ma non si
poteva toccare niente»
«Se tornassi indietro non rifarei
il Guardasigilli, tra toghe
e politica il dialogo è impossibile»
«Provi ad immaginare cosa
sarebbe successo se la mia
segretaria, come per il segretario
del Pd Pier Luigi Bersani, fosse
stata accusata di truffa e il mio
capo della segreteria politica si
fosse chiamato Filippo Penati: mi
avrebbero mandato in galera»
Con le prossime elezioni di primavera…
L’orizzonte che vedo è di un grande disagio.
C’è un rancore sociale non prosciugato che si
indirizzerà nell’astensione o andrà al
movimento di Beppe Grillo. C’è una parte,
invece, che pur un po’ di diffidenza, riserverà
attenzione a chi si propone con un programma
concreto a tutela del futuro dei nostri figli.
Queste persone vanno incoraggiate. Adesso
bisogna dare un’idea alta alla politica.
Tra i temi della campagna elettorale ci sarà anche
la “questione sovranità”?
La sovranità è limitata sul piano economico
rispetto all’Europa. Finanche alla Grecia è stato
garantito il diritto di andare al voto, idem in
Spagna. Dopo il governo Berlusconi, bisognava
andare alle elezioni. Mario Monti è bravo,
avrebbe potuto fare come Tommaso Padoa
Schioppa, il ministro dell’economia. Ma la
politica deve avere il primato.
Andando al questionario di Proust, quale è il di-
fetto personale che deplora di più?
La goliardia.
Quale difetto deplora negli altri?
Il non avere la schiena dritta e la fronte alta,
rimanendo legati baroccamente ai poteri
stagionali.
In quale personaggio della finzione si riconosce?
Amo Masaniello: fu fregato dai suoi, ma
diede un minimo di svolta alla vicenda
meridionale e napoletana.
Quale persona viva ammira di più? Quale disprezza?
Ammiro l’ex cancelliere tedesco Helmut
Kohl: fece l’unità europea, pur sapendo di
perdere le successive elezioni. Non disprezzo
nessuno.
Il più grande rimorso?
Per attaccare me, hanno colpito la mia
famiglia. Non riuscirò mai a perdonare,
nonostante sia cattolico.
Il suo maggior successo?
Sono partito da un paesino di seicento
abitanti e sono stato l’ago della bilancia della
politica italiana per dieci anni: è stato un
innegabile traguardo.
Dove desiderebbe vivere?
A Ceppaloni, o a Loano, cittadina dove vive
la mia nipotina.
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DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
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DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
Comi
che illuminò la cultura
Quel “lampadario” di
Nella biografia
di Michael White
“La vita di J.R.R.
Tolkien” le origini
di una vocazione
inattesa. L’autore
del “Signore degli
Anelli” mentre
correggeva i compiti
dei suoi allievi
improvvisamente
scrisse su un foglio:
«In un buco sotto
terra viveva uno
hobbit...»
Alberto Samonà
La vita (oltre le opere) di
Annalisa Terranova
ggi il genere fantasy è il più venduto
e il più letto di tutte le forme
letterarie e «molti dei suoi autori
non farebbero fatica ad ammettere di avere
un grande debito nei confronti di Tolkien»:
così Michael White traccia un bilancio
dell’opera di J.R.R. Tolkien nelle ultime
pagine della sua biografia dedicata
all’autore de “Il Signore degli Anelli” (“La
vita di J.R.R. Tolkien”, Bompiani, pp. 272, €
12). Eppure il successo per lui giunse molto
tardi, quando aveva ormai 65 anni, era
vicino alla pensione e non vedeva l’ora di
dedicarsi al “Silmarillion”, il libro che
considerava più importante e più
impegnativo. Chiunque si cimenti con gli
eventi che hanno contrassegnato la vita di
Tolkien resta colpito dall’ordinarietà della
sua esistenza tranquilla, metodica,
professorale, circondata da amicizie
selezionate e la potenza fantastica dei
mondi alternativi che furono il prodotto
della sua sub-creazione. Una vocazione che
lo travolse, inaspettata e non cercata,
quando mentre correggeva i compiti dei
suoi allievi improvvisamente scrisse su un
foglio: «In un buco sotto terra viveva uno
hobbit...». Tolkien si dedicò alla mitologia
perché, semplicemente, ne sentiva il
bisogno. Certo, avverte White, l’infanzia
non proprio felice di Tolkien deve avere
avuto un peso notevole nella scelta di
O
Un’infanzia infelice
Maturò una visione pessimistica
sul mondo e sugli uomini,
base essenziale della sua futura
idea della letteratura
come “consolazione”
per gli spiriti immersi
nella mediocrità del presente
Tolkien, per gli amici Ronald
“rifugiarsi” in mondi fiabeschi e
incontaminati. Tolkien aveva perso il padre
all’età di soli quattro anni e fu l’adorata
mamma Mabel a incoraggiarlo a leggere i
grandi libri per l’infanzia ma anche lei,
costretta a una vita di disagi dai parenti che
non avevano gradito la sua conversione al
cattolicesimo, si spense precocemente. La
venerazione per la figura materna fu
trasferita sulla donna amata, Edith Bratt, che
aveva tre anni di più di Tolkien e che
divenne per lui oggetto di un amore
esclusivo nonostante la separazione tra i
due giovani imposta dal tutore di lui, che
insistette perché Tolkien perfezionasse i suoi
studi senza occuparsi di distrazioni
amorose. È in questa fase che matura
l’interesse di Tolkien per le saghe
cavalleresche: sia il grande classico
dell’inglese antico “Beowulf” sia “Sir
Gawain e il Cavaliere Verde” (una nuova
edizione di quetsto poema fu da lui curata
più tardi, nel 1922) appassionavano il
giovane studioso di filologia. Ma Ronald,
come tutti lo chiamavano, non dimenticò la
sua Edith, riuscendo a sposarla nel 1916. Ci
fu poi la devastante esperienza della guerra
che vide Tolkien combattere nella battaglia
della Somme. Una fase che indusse il futuro
scrittore a maturare una visione pessimistica
sul mondo e sugli uomini, base essenziale
della sua futura idea della letteratura come
“consolazione” per gli spiriti immersi nella
mediocrità del presente.
Ma quale fu l’impulso iniziale che lo spinse
verso la sua avventura letteraria? Questa la
risposta del suo biografo: «Il suo desidero di
creare una mitologia dell’Inghilterra» che
non aveva un testo epico di riferimento. Tra
gli autori che lo ispirarono ci fu il barone
Dunsany, un accademico che nella seconda
metà dell’Ottocento diede alle stampe una
raccolta di brevi storie fantastiche e coniò
un’espressione calzante per descrivere il
genere di mondi in cui ambientava i suoi
racconti: “al di là dei campi che
conosciamo”, in luoghi dove le regole
ordinarie e razionali non hanno più valore.
Il secondo autore cui Tolkien fu debitore,
soprattutto per quanto riguarda lo stile, è
William Morris, che nei suoi romanzi
trasferisce l’immaginario medievale
mescolato a un mondo alternativo
completamente creato da lui. A partire dal
1914 Tolkien si cimenta con gli Elfi e le
Terre Immortali, buttando giù il primo
nucleo di quello che diventerà poi “Il
Silmarillion”. Appunti e note che chiamava
scherzosamente “le mie spiritosaggini con il
linguaggio delle fate”.
L’insegnamento prima a Leeds e poi a
Oxford fu per lui un’ennesima, importante
scoperta: divenne consapevole della sua
capacità di trasmettere agli studenti la
passione per la materia, la letteratura
inglese, indagata con veemente efficacia. «Di
tutte le lezioni tenute da Tolkien - racconta
White - quelle su Beowulf erano le più
Una scena del film
“Lo Hobbit” di Peter
Jackson (in uscita
il 13 dicembre nei
cinema italiani)
tratto dall’omonimo
romanzo di Tolkien
memorabili...». Entrava in aula silenzioso
per poi declamare l’inizio del poema con le
possenti praole dell’originale anglosassone.
L’uditorio ne era completamente
affascinato. In quello stesso periodo ha
inizio l’amicizia con C.S. Lewis, lo scrittore
delle “Cronache di Narnia”, e la formazione
del cenacolo lettarario degli Inklings, con le
bevute al pub “Bird and baby” che è oggi
meta privilegiata dei pellegrinaggi turistici
dei cultori dell’opera tolkieniana. Ma
Ronald non dimenticava la sua famiglia,
scrivendo ai suoi quattro figli le Lettere di
Babbo Natale che arrivavano puntualmente
ogni anno a casa Tolkien dal Polo Nord, né
esauriva nella sola scrittura la sua vena
artistica: amava anche disegnare draghi,
folletti e altre strane creature, immagini che
vennero poi usate per illutsrare “Lo Hobbit”.
Ma furono gli anni Trenta e Quaranta i più
creativi della sua vita, quelli in cui
sbocciarono le idee che sono al fondo delle
opere che gli procurarono una solida fama
di scrittore. Il primo lettore de “Il Signore
degli Anelli” fu proprio l’amico C.S. Lewis
che lo salutò come un capolavoro
enucleando, nella sua critica, gli elementi
che avrebbero reso il romanzo un
fenomeno mondiale: «Questo libro è stato
come un fulmine a ciel sereno... In
un’epoca quasi patologica nel suo
antiromanticismo come la nostra,
improvvisamente è tornato il romanzo
eroico, fastoso, eloquente e audace...».
icorre in questi giorni il
centesimo anniversario
della pubblicazione della
raccolta “Il lampadario”, prima
opera di Girolamo Comi, poeta e
scrittore salentino ed esponente,
fra l’altro, del “Gruppo di Ur”
fondato negli anni venti da Julius
Evola. Una personalità
controversa, quella di Comi, che
si attesta nel panorama letterario
del Novecento come quella di
uno spirito libero e in continua
ricerca. La critica letteraria più
recente ha paragonato la sua
poesia a quella mistica del
francese Renè Daumal, con una
ricchezza di suggestioni
simbolico-spirituali che
richiamano, a tratti, le liriche
persiane e quelle dei Sufi. Comi
non è solo poeta, ma è
essenzialmente un interprete del
ventesimo secolo, che viene da
lui letto con gli occhi di chi si
accorge di vivere in un’epoca di
decadenza.
“Il lampadario”, pubblicato a
Losanna un secolo fa, ottiene
immediatamente i favori dei
critici, che sottolineano l’affinità
della sua poesia alle suggestioni
simboliste fatte proprie
dall’ambiente poetico romano.
Sono gli anni del suo periodo
parigino, dove Comi
approfondisce proprio il
simbolismo francese, e dove
conosce e frequenta alcuni fra i
più interessanti intellettuali del
tempo, fra cui Verhaeren,
Claudel, Gourmont e Paul Valéry.
Rientrato in Italia, partecipa alla
Prima Guerra Mondiale e
successivamente si stabilisce a
R
Compie 100 anni
Esattamente
un secolo fa
venne pubblicato
“Il lampadario”
di Girolamo
Comi, poeta
e scrittore salentino
ed esponente, fra
l’altro, del “Gruppo
di Ur” fondato
negli anni venti
da Julius Evola.
La critica letteraria
più recente ha
paragonato la sua
poesia a quella
mistica del francese
Renè Daumal, con
una ricchezza di
suggestioni
simbolico-spirituali
che richiamano,
a tratti, le liriche
persiane
e quelle dei Sufi
Roma, dove entra in contatto con
il poeta Arturo Onofri, con il
quale nasce una vera e propria
intesa spirituale. Entrambi vicini
a Evola, frequentano insieme gli
ambienti esoterici della Capitale.
Nel 1930 vede la luce Il Cantico
del tempo e del seme (oggi
pubblicato in Introduzione alla
magia), in cui si teorizza
l’annullamento dell’io
nell’universo della natura. Comi
(con lo pseudonimo Gic) e
Onofri (Oso) sono fra i più attivi
esponenti del sodalizio magicoesoterico radunato attorno al
«Gruppo di Ur», anche se rispetto
a Julius Evola risultano entrambi
intellettualmente autonomi.
Comi, dal paganesimo delle
origini, si accosta
progressivamente verso quello
che diverrà il suo «cattolicesimo
aristocratico». Aderisce
tiepidamente al Fascismo, anche
se rifiuta la tessera del Pnf, ma
incomincia a collaborare con «Il
Regime Fascista», diretto da
Roberto Farinacci, dove scrive per
il celebre inserto Diorama
filosofico.
La sua conversione al
cattolicesimo lo allontana
progressivamente dall’ambiente
evoliano.
Dopo la guerra fonda la rivista
letteraria «L’Albero» e dà vita
all’Accademia Salentina, cenacolo
frequentato da letterati e artisti di
tutta Italia. L’ultima sua opera,
Fra Lacrime e Preghiere, è del
1967, un anno prima della
morte. L’ultimo periodo della sua
vita lo conduce in povertà a
Lucugnano, sostenuto da un
modesto aiuto pubblico e dai
suoi concittadini.
10
Stupidità
Gianfranco Marrone
BOMPIANI
pp 176
DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012
euro 12
La stupidità vince. Bisogna
farsene
una
ragione.
Nell’attuale
società dei
media e
dei
consumi gli
stupidi
sono
diventati una folla cianciante
che dichiara bellamente la
propria deficienza intellettiva e
sentimentale, esibendola come
un valore.
Il servizio divino dei greci
Friederich Nietzsche
ADEPHI
pp 287
euro 18
La mia piccola stella
Sébastien Chabal
BALDINI & CASTOLDI
pp 283
euro 17,50
Il peso della grazia
Christian Raimo
EINAUDI
pp 464
euro 21
La domenica delle scope
Roberto Covaz
LEG
pp 101
euro 14
Le lezioni sul culto greco, che
Nietzsche
tenne tra il
1875 e il
1878,
furono le
ultime
della sua
carriera di
docente di
filologia
classica a Basilea, e
testimoniano il nuovo
orientamento lontano dalle
tonalità della “Nascita della
tragedia”.
Sotto i capelli lunghi, dietro
la barba
da orco,
c’è un
operaio
giunto al
rugby per
caso. Un
uomo
divertente
e
autoironico. Autobiografia di
Sébastien Chabal, il
rugbista più famoso di
Francia si racconta fuori dal
campo.
Storia d’amore, tutt’altro che
semplice.
Tema
centrale,
l’affidarsi a
un’altra
persona.
Smettere di
difendersi
è gesto
estremo,
pratica desueta e misteriosa.
«Ma come si fa a sapere che
non si va da nessuna parte se
non si percorre una via fino in
fondo?»
Il 13 agosto 1950 sul confine tra
Gorizia e la
neonata
Nova
Gorica,
migliaia di
goriziani,
rimasti in
Jugoslavia
dopo il 17
settembre
1947, superano il confine per
abbracciare parenti e amici e
comprare beni prima di necessità.
A cominciare dalle scope di
saggina.
Angelo Spaziano
uando un
popolo
individualista
come il nostro perde la
fiducia in se stesso e nelle
istituzioni che lo reggono,
l’immoralità diventa una
forma di vivere civile e la
mediocrità invade la cosa
pubblica». Parole di
Curzio Malaparte tratte
da “La rivolta dei santi
maledetti”. L’aforisma è
contenuto nella pagina
d’apertura di “Foibe, una
tragedia annunciata. Il
lungo addio italiano alla
Venezia Giulia”, scritto da
Vincenzo Maria de Luca,
edito da Settimo Sigillo.
L’autore non è uno
storico rodato, ma un
libero professionista che
ama dilettarsi della
materia,
padroneggiandola però
da vero intenditore. Ne è
risultato un manuale
agile, completo e
usufruibile specialmente
dai più giovani, le vere
vittime dell’ostracismo in
cui è stata condannata
l’intera vicenda. Per
decenni infatti si è
assistito a una damnatio
memoriae degli
avvenimenti narrati nel
libro di de Luca. Vale a
dire che dalla fine
dell’ultimo conflitto
mondiale la parola
d’ordine è stata chiara e
categorica per chiunque:
tutto quello che poteva
solo richiamare la
memoria delle imprese
compiute dai “liberatori”
slavocomunisti nella
Venezia Giulia, in Istria e
nella Dalmazia dal 1945
in poi andava rimosso o
cancellato. E se proprio si
era obbligati a trattare
l’argomento l’imperativo
era deformare, alterare,
mistificare i fatti, se non
negarli tout court. Il
«Q
Foibe, c’è ancora da leggere
massacro di decine di
migliaia di persone
rastrellate un po’
ovunque per la regione,
legate col filo spinato,
passate per le armi e
precipitate (a volte ancora
vive!) nei profondi
burroni disseminati per
l’altopiano carsico. Le
foibe, appunto. Il tutto al
fine di alterare l’identità
etnica, culturale e storica
della provincia, che grazie
all’aberrante sillogismo
un italiano, un fascista si
è ritrovata in breve tempo
completamente slavizzata
e pronta per essere
gentilmente regalata al
compagno Tito.
L’operazione di
rimozione collettiva di
quell’olocausto riuscì alla
perfezione. Tanto che
quando nel 1996 “Area”,
rivista d’attualità politica,
decise di pubblicare un
“focus” sulle verità
negate, e per l’argomento
intraprese un
monitoraggio mirato sui
manuali di storia, il
risultato fu sconcertante:
se andava bene la parola
“foibe” era
completamente ignorata.
Se andava male i massacri
giuliano-dalmati
risultavano opera dei
La tragedia nascosta
Con “Foibe, una tragedia
annunciata. Il lungo addio
italiano alla Venezia Giulia”
Vincenzo Maria de Luca
arricchisce il filone storiografico
su una pagina dimenticata
del nostro dopoguerra
nazisti. Al tentativo di
rimettere in carreggiata
verità e buon senso, i
magliari autori delle
veline di partito spacciate
per trattati di storia si
sollevarono inviperiti
gridando al revisionismo,
o a un rigurgito di
fascismo: «Noi abbiamo
detto il necessario», fu la
scandalizzata
giustificazione.
L’importanza del libro di
de Luca sta nella vastità
del percorso storico
offerto. Un percorso al
termine del quale si ha
una chiara idea
dell’accaduto.