Alla ricerca del tempo perduto (dal centrodestra)
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Alla ricerca del tempo perduto (dal centrodestra)
Domenicale WWW.SECOLODITALIA.IT d’Italia CON IL PDL ANNO LX N.251 SPED. IN A.P. - DL 353/2003 (CONV.IN L. 27/02/2004 ART. 1, COM. 1, DCB) ROMA del Dal 1994 al 2011: 9 anni al governo tre legislature e troppe missioni incompiute 3 Paolo Liguori: «Il lato positivo? Il centrodestra è ormai una realtà consolidata» 5 domenica 18/11/2012 1 EURO Alla ricerca perduto (dal centrodestra) tempo Parola di Mastella, ministro con Prodi e con Berlusconi: «Fare le riforme? È impossibile» 7 Anniversari: tutti pazzi per Proust, lo scrittore più citato e meno letto 13 Il genio dissacrante di Benito Jacovitti in mostra a Roma all’Ara Pacis 16 2 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 In mostra 85 opere di Giorgio Morandi Bologna Oggi, domenica 18, alle 11 Conclusi il trasferimento da Palazzo d’Accursio e i lavori di riallestimento, saranno visibili al MAMbo (Museo d’Arte Moderna di Bologna) 85 opere di Giorgio Morandi, riorganizzate in un percorso espositivo che trova collocazione all’interno della Collezione Permanente rinnovata nelle sue sezioni. Interverranno il sindaco Virginio Merola, l’assessore alla Cultura, Politiche giovanili e Rapporti con l’università Alberto Ronchi, l’assessore agli Affari istituzionali, Servizi demografici, Turismo, Attività produttive, Commercio e Legalità Nadia Monti, Lorenzo Sassoli de Bianchi e Gianfranco Maraniello, rispettivamente presidente e direttore della Galleria d’Arte Moderna, e il garante testamentario Carlo Zucchini. L’ingresso al pubblico alla Collezione Permanente sarà gratuito per l’intera giornata di domenica, dalle 11 alle 20. Si discute di “Recessione, come uscirne” Roma Lunedì 19, alle 18.30 All’auditorium dell’Ara Pacis, in via di Ripetta 190, si terrà il dibattito “Recessione, come uscirne”, che si svolge nell’ambito della rassegna RomaIncontra. Si presenta il libro “Quattro anni per Roma” Roma Martedì 20, alle 18.30 Presso la Residenza di Ripetta, in via Ripetta 231, il Centro studi Cives organizza la presentazione del libro “Quattro anni per Roma. Fatti e progetti della giunta Alemanno”, curato dal sindaco di Roma e dedicato alle iniziative realizzate da Roma Capitale e ai progetti futuri per la città. Con Gianni Alemanno ne discutono Daniela Alleruzzo, Eugenio Battelli, Reyna Torrones, Corrado Ruggeri e Andrea Augello. I “Tesori del patrimonio culturale albanese” Roma Mercoledì 21, alle 10 Al Complesso del Vittoriano si Il convegno Opera, Muti presenta il “Simon Boccanegra” Roma Lunedì 26, alle 18 Nel segno di Giuseppe Verdi prende il via martedì 27 novembre la nuova stagione 2012-2013 del Teatro dell’Opera. Sul podio il più prestigioso e applaudito interprete verdiano, il maestro Riccardo Muti, che – in omaggio al Bicentenario verdiano – dirigerà “Simon Boccanegra”, “I due Foscari” e “Nabucodonosor”. Muti presenterà il “Boccanegra” in una conferenza che terrà lunedì 26, alle 18, nell’aula magna del Rettorato dell’università La Sapienza, in piazzale Aldo Moro. Con La Nuvola Di Magritte di Fabio Massimo Caruso Roma Fino al primo dicembre La Biblioteca Angelica – Galleria Angelica, uno dei luoghi espositivi più belli della Capitale, accoglierà, sino al 1 dicembre la personale di Fabio Massimo Caruso: 30 opere su tela e 50 tra disegni e bozzetti per raccontare un percorso artistico dal 1992 ai giorni nostri. Energia per tutti MILANO MERCOLEDÌ 21 NOVEMBRE Energythink Nell’Aula Magna Gobbi dalle ore 9, o lavori della conferenza Energythink saranno aperti da Andrea Sironi, Sabina Ratti, e Rossella Muroni. A seguire l’intervento del ministro Andrea Riccardi intervistato da Lucio Caracciolo. La sessione tematica sarà invece aperta dall’intervento di Barbara Buchner. A seguire, George Yaw Obeng. Chiuderà la sessione Vijay Modi. La conferenza sarà chiusa dagli studi e dalle ricerche sviluppati da ricercatori e docenti, con l’intervento conclusivo di Pippo Ranci Ortigosa. apre la mostra “Tesori del patrimonio culturale albanese”, che andrà avanti fino al 6 gennaio. La rassegna propone un excursus nel patrimonio archeologico e storico-culturale dell’Albania per riscoprire e promuovere la componente europea dell’identità culturale del Paese. Antonia Basciani ggi 1,3 miliardi di persone vivono senza elettricità, mentre 2,7 miliardi si affidano a biomasse tradizionali per cucinare e per il riscaldamento: il 95% di questi vive nei paesi in via di sviluppo, dove ogni anno circa 1,4 milioni di persone muoiono a causa dell’uso domestico di biomasse tradizionali. Come garantire a miliardi di O Quotidiano di Alleanza Nazionale GIORNALE MURALE REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI ROMA N. 16225 DEL 23/2/76 Redazione Via della Scrofa 43 - 00186 Roma tel. 06/6889921 fax 06/6861598 - mail: [email protected] (www.energythink.it) dedicata alla sfida sull’accesso universale a servizi energetici sostenibili. In continuità con il convegno Energythink organizzato a Venezia lo scorso marzo e dopo la conferenza Onu di Rio+20, nell’Aula Magna Gobbi dalle ore 9 la conferenza affronterà il tema da prospettive diverse, dalle frontiere tecnologiche, alle problematiche sociali, ambientali ed economiche: l’obiettivo è promuovere una riflessione, a partire dagli persone l’accesso a servizi energetici moderni, senza conseguenze sul fronte del cambiamento climatico e tenendo conto degli aspetti economici, tecnologici e geopolitici? Con lo scopo di affrontare quest’interrogativo, Eni e Legambiente, in collaborazione con l’Università Luigi Bocconi di Milano, organizzano mercoledì 21 novembre la V Conferenza Internazionale Energythink Amministrazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/688171 fax 06/68817204 - mail: [email protected] Tipografie: Soc. Tipografico Ed. Capitolina Spa Via G. Peroni, 280 Roma Abbonamenti e diffusione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68899237 fax 06/6871594 mail: [email protected] Monza Stampa srl Via Buonarroti, 153 Monza Editore SECOLO D’ITALIA SRL Conc. Pubblicità: Minimega Pubblicità Lungotevere delle navi, 30 00196 Roma tel 06/32696311 fax 06/32609641 [email protected] studenti che parteciperanno al convegno, su uno dei nodi principali dello sviluppo e gettare le basi per nuove iniziative di cooperazione internazionale e pubblicoprivate a supporto dell’energia sostenibile sulla base delle indicazioni emerse nella Conferenza Onu di Rio+20. In questa prospettiva Andrea Riccardi, Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione interverrà nella prima parte della conferenza. Consiglio di Amministrazione Tommaso Foti (Presidente) Alberto Dello Strologo (Amministratore delegato) Alessio Butti, Antonio Giordano, Mario Landolfi, Ugo Lisi Direttore Politico Marcello De Angelis Vicedirettore Responsabile Girolamo Fragalà Fondatore Franz Turchi Distributore esclusivo per l’Italia: Parrini & C. Via di S.Cornelia 9 00060 Formello (Rm) - tel. 0690778.1 Abbonamento cartaceo annuo per l’Italia 150,00 euro da versare sul c/c postale 92203058 Regime Sovvenzionato Sped. Abb. Postale DL 353/2003 (Conv. in L.27/02/2004 n.46) art. 1 comma 1 DCB Roma La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla Legge 7 agosto 1990 n. 250 3 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 tempo perduto dal centrodestra Alla ricerca del Guido Liberati lla ricerca del tempo perduto dal centrodestra. Prendendo spunto dall’anniversario che riguarda Marcel Proust, ci si può voltare indietro per tracciare un bilancio politico degli anni di governo? Quali e quante sono state le occasioni perdute del centrodestra? Che cosa c’è di buono da registrare degli anni del Polo della libertà, Cdl poi Pdl? Facciamo un piccolo esercizio “proustiano” e torniamo indietro di quattro anni. Una mattina di marzo del 2008. Le agenzie di stampa registrano la notizia che Silvio Berlusconi «alla presenza degli alleati del Popolo della libertà ha presentato questa mattina in una affollatissima conferenza stampa, a Roma, all’Auditorium di via della Conciliazione il programma di governo,sul podio i simboli in formato gigante del Pdl, della Lega Nord, e del Mpa e poi un gruppo di ragazzi che indossavano una felpa blu e la scritta “Con Silvio Presidente”». Il programma? Snello, essenziale: undici pagine in tutto, dove sono delineato in sette missioni «per il futuro dell’Italia: la prima, rilanciare lo sviluppo; la seconda, sostenere la famiglia e dare ai giovani un futuro; la terza, più sicurezza e più giustizia. E ancora: quarta missione, i servizi ai cittadini; quinta, il Sud; sesta, il federalismo. Infine, l’ultima missione: un piano straordinario di finanza pubblica». A Le sette missioni del Pdl Nel 2008 Berlusconi presentava le sette missioni per il futuro dell’Italia: missioni che, per sua stessa ammissione sono fallite. La nuova sfida è che cosa salvare di questa esperienza di governo e da dove ripartire? Come è andata? I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il risultato è in chiaroscuro. Al netto della propaganda e degli esercizi di ottimismo sfrenato, se lo stesso Berlusconi intervistato nell’ultimo libro di Bruno Vespa riconosce: «Non ce l’ho fatta», si può ragionare su che cosa non ha funzionato e perché. Teresa Alquati proverà a indicare quali sono state le occasioni mancate sul piano economico, nell’intervista di Antonio Rapisarda a Paolo Liguori gli spunti per capire perché le riforme promesse non sono arrivate. Di occasioni mancate del centrodestra in Europa parla l’europarlamentare Roberta Angelilli con Adriano Scianca. Mentre Michele De Feudis in un’intervista con tanto di questionario proustiano cerca di capire da Clemente Mastella, che vanta il record di essere stato al governo da ministro sia con Berlusconi che con Prodi, come mai in Italia è impossibile fare le riforme. Un bilancio in negativo per il centrodestra dal 1994 al 2011? Non la pensa così Renato Brunetta. Secondo uno studio presentato dal ministro della Pubblica amministrazione del governo Berlusconi, ci sono tanti motivi per promuovere il centrodestra. Ne elenchiamo alcune attingendo i dati forniti dalla Free Foundation. Intanto, Brunetta premette che in 17 anni il centrodestra è stato al governo effettivamente per “soli” nove anni. Per la precisione 3361 giorni, pari a tre Vent’anni sulla scena politica, nove effettivi di governo (nell’arco di tre legislature) il centrodestra ha varato riforme importanti ma ha lasciato la sensazione tra gli italiani di un progetto incompiuto legislature. Brunetta cita «quaranta riforme che hanno cambiato l’Italia». Tra queste la riforma della scuola e dell’università, quella della pubblica amministrazione, quella della giustizia, del mercato del lavoro, la riforma costituzionale, del fisco, del federalismo e delle pensioni. Tutte riforme che, tuttavia, da una parte non sono state metabolizzate, dall’altra non sono state “comprese” dagli italiani. Quelle che invece balzano agli occhi che hanno migliorato la qualità della vita dei cittadini sono l’abolizione della leva obbligatoria, divieto di fumare nei locali pubblici, abolizione dell’Ici prima casa (che il governo Monti ha reintrodotto di fatto inasprendo l’imposta), patente a punti, digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione e «lotta alla criminalità senza precedenti». Un ultimo dato, quest’ultimo, difficile da rendere tangibile per la vita quotidiana. La percezione, semmai, soprattutto nelle grandi città è quella di una minore sicurezza rispetto agli anni passati. E la percezione, alla fine diventa sostanza. Parecchie occasioni perdute, dunque, ma visto che è il momento di ripensare e rilanciare un intero movimento di ideali e di valori, questa è anche l’occasione per capire dove si sono commessi sbagli e da dove ripartire. Perché, per dirla proprio con Proust: «Disperare è il più grande dei nostri errori». 4 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 Il centrodestra al governo ha avuto tante intuizioni, ma è mancata la fase realizzativa. Serviva più coraggio. Ad esempio per selezionare i settori in cui l’Italia può ancora essere vincente, sostenendoli e rendendoli sempre più competitivi. Ed aiutando gli altri a rinnovarsi, a trasformarsi. È mancato il coraggio di affrontare, a muso duro, personaggi come Marchionne, De Benedetti, Tronchetti Provera. Si è stati pavidi anche sulla riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, lasciando poi che fosse Elsa Fornero a compiere il disastro con interventi pessimi economia: serviva più coraggio Bocciati in Teresa Alquati ent’anni dopo al punto di partenza», cantava Guccini. E il centrodestra, dopo 20 anni di governo (seppure non continuativi) si ritrova con l’economia italiana al punto di partenza. E pure peggio. La rivoluzione liberale di Berlusconi? Non se n’è saputo più nulla. La lotta tremontiana al mercatismo, annunciata nei libri dell’ex ministro? Rimasta sulle carte e mai attuata. Il federalismo come motore del risanamento e della responsabilità? Trasformato in nuove occasioni di spreco. Difficile trovare risultati davvero positivi nell’era economica berlusconiana. Indubbiamente non era facile lavorare ad un progetto quando le componenti erano così distanti. Liberisti assoluti, sostenitori di una politica sociale, assistenzialisti ad ogni costo: non c’è stata la capacità di scegliere una linea e si è andati avanti a colpi di compromessi che aumentavano i costi e non individuavano soluzioni per lo sviluppo. Ed ora, nel momento della resa dei conti finale, ci si dimentica anche delle (poche) cose ben fatte. Come le “Tremonti bis, ter” eccetera eccetera. Da lì si potrebbe ripartire, per un’Italia che non si rassegna alla povertà imposta da Monti ma che punta a risollevarsi. L’idea di favorire gli investimenti era giusta, una strada da perseguire e da proseguire. Ma alla luce dei tagli montiani alla scuola sul fronte della ricerca e dell’innovazione, persino la pessima «V In molte occasioni non si è andati molto oltre le dichiarazioni d’intenti e i roboanti proclami riforma Gelmini appare accettabile. Perché un’Italia che non voglia trasformarsi nel Bangladesh d’Europa deve, obbligatoriamente, investire in ricerca ed innovazione. Non ci sono altre strade. Il centrodestra, però, non è andato molto oltre le dichiarazioni d’intenti ed i roboanti proclami. Certo, i privati hanno fatto la loro parte nell’evitare investimenti nel settore, ma è mancata la spinta politica. Si è preferito lasciare che, a livello locale, si creasse occupazione nel settore pubblico, con posti di lavoro totalmente improduttivi. E lo stesso è avvenuto nel privato: si son difesi settori praticamente morti, e spendendo cifre folli, invece di puntare sulla riconversione. Garantendo occupazione, ma spostandola verso comparti con prospettive di crescita. Tanto per chiarire: l’Alcoa non aveva futuro, ma non si è investito nulla per creare un’alternativa in grado di assorbire i lavoratori destinati ad uscire dall’azienda. Anche in altri comparti, come il turismo, è evidente che il confronto con il disastro degli attuali incompetecnici premia il centrodestra e la Brambilla. Ma se il raffronto lo si fa con la situazione internazionale, si nota l’ennesimo flop. Mancanza di idee, mancanza di professionalità, perché si è continuato a premiare i soliti noti ed i soliti nomi. Senza criterio, senza competenze. Dilettanti allo sbaraglio. E questo nonostante si fosse compresa l’importanza del turismo per il futuro dell’Italia. Tante intuizioni, dunque, ma è mancata la fase realizzativa. Serviva più coraggio. Ad esempio per selezionare i settori in cui l’Italia può ancora essere vincente, sostenendoli e rendendoli sempre più competitivi. Ed aiutando gli altri a rinnovarsi, a trasformarsi. È mancato il coraggio di affrontare, a muso duro, personaggi come Marchionne, De Benedetti, Tronchetti Provera. Così come è mancato il coraggio per attuare una riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, lasciando poi che fosse Elsa Fornero a compiere il disastro con interventi pessimi. Eppure proprio l’urgenza degli interventi e la gravità della crisi avrebbe permesso (ed obbligato) ad interventi coraggiosi e radicali. Partendo dal presupposto che l’Italia può avere un’industria, un’agricoltura ed un settore servizi soltanto se punta sulla qualità. E la qualità non si ottiene con l’aumento delle ore lavorate - contrariamente a quello che pensa Grilli – ma migliorando la qualità del lavoro. Favorendo la creatività anche nei lavori di fabbrica. Il patron della Azimut Benetti (produzione di yacht), alle prese con una ristrutturazione interna causata dalla crisi del mercato italiano, ha proposto un percorso di sacrifici da entrambe le parti, ma offrendo ai rappresentanti dei lavoratori un posto nel consiglio d’amministrazione. Una strada coraggiosa, ma che il centrodestra avrebbe dovuto fare propria. Per lo meno quella parte del centrodestra che ha superato il fallimentare slogan "laissez faire", visto che il mercato, da solo, ha prodotto disastri. 6 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 Angelilli: “Troppe occasioni perdute anche in Europa” Credo che soprattutto sui temi legati alla crisi bisognasse cavalcare con forza il tema dell’economia sociale di mercato, ovvero la conciliazione degli obiettivi e dei tempi del mercato con le esigenze della coesione sociale e della solidarietà. Penso alla difesa del lavoro, in senso generale. Adriano Scianca uando l’Europa non esisteva, la destra l’ha invocata in ogni manifestazione, canzone e sezione. Poi, quando l’Ue ha preso davvero corpo, ci si è accontentati di galleggiare, rinunciando ad avere un ruolo di vero protagonismo. Roberta Angelilli, vicepresidente del Parlamento europeo ma prima ancora esponente politico che viene dalla militanza, tutto questo lo sa bene. E ai suoi colleghi del Ppe dice: «Ci siamo lasciati sfuggire molte occasioni, potevamo e dovevamo essere protagonisti nel combattere la crisi». Q Il centrodestra e l’Europa: si è trattato di un connubio riuscito o forse si poteva fare di più e di meglio? Io credo che in generale il Partito popolare europeo avrebbe potuto fare di più. Anche perché abbiamo avuto e abbiamo tuttora molti governi nazionali di centrodestra in Europa, il presidente della Commissione, Barroso, viene dalla nostra famiglia politica così come, nei primi due anni, abbiamo avuto un presidente del Parlamento, Buzek, che veniva dal Ppe. Insomma, c’erano tutte le condizioni per fare molto... E invece? Diciamo che si poteva avere una regia più decisa, non tanto politicamente quanto sui valori fondamentali. Facciamo degli esempi. La nuova prospettiva «Bisogna essere protagonisti, non subire. Seguire i processi decisionali e cercare di condizionarli. Se il potere è a Bruxelles, è a Bruxelles che bisogna fare pressione» La vicepresidente del Parlamento europeo striglia i suoi colleghi del Ppe: «Ci siamo lasciati sfuggire molte occasioni, potevamo e dovevamo essere protagonisti nel combattere la crisi» ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. Ecco, una cosa del genere è cruciale e si tratta di un fatto concreto, che incide sull’economia, non di parole al vento... Il Ppe è stato troppo timido su questi temi? Sì, ma non tanto dal punto di vista legislativo, dove sono state fatte cose corrette. Complessivamente, tuttavia, non c’è stata una strategia forte, si è un po’ giocato di rimessa, lasciando agli altri un ruolo più aggressivo e incisivo. Ecco, questa è stata la nostra criticità. Su temi come la disoccupazione giovanile bisogna essere più chiari e più forti. Se invece dovesse tracciare un bilancio personale della sua esperienza al Parlamento europeo che somme tirerebbe? Io mi sono concentrata molto su tutto il pacchetto crisi-disoccupazione, ma anche sulla tutela dei minori, per esempio. Ho sempre cercato di far partecipare le persone alle decisioni che le riguardavano, perché le idee devono circolare e soprattutto bisogna far sì che i giovani non concepiscano le istituzioni come qualcosa di lontano verso cui maturare sfiducia. L’Ue, in tutte le sue articolazioni, sembra ancora un mondo lontano, freddo, slegato dall’Europa reale, quella dei popoli e dei lavoratori. Si può fare qualcosa per accorciare le distanze? Quello che in effetti dovrebbe fare il Ppe è utilizzare tutti gli strumenti possibili per avvicinare le strutture europee ai cittadini. Penso al diritto di iniziativa legislativa europea, che ci potrebbe permettere di lavorare non tanto sulle proposte di generici “cittadini” quanto sulle istanze che vengono dal tessuto produttivo. Tutto questo garantirebbe una maggiore partecipazione dell’Europa reale, quella che lavora e produce. Per esempio – e questo è un punto a nostro favore – penso alla direttiva europea sui Nei confronti dell’Ue la sfiducia sembra ancor più marcata che verso le istituzioni nazionali, a dir la verità... Vede, fino a qualche anno fa si diceva che il 75% delle nostre leggi venissero da Bruxelles. Ora credo che si sia giunti in prossimità del 100%. Un atteggiamento tutto italiano e che altrove non si registra è quello che subisce passivamente questo stato di cose. E invece bisogna essere protagonisti, non subire. Seguire i processi decisionali e cercare di condizionarli. Se il potere è a Bruxelles, è a Bruxelles che bisogna fare pressione. Altri sono più presenti non solo nelle istituzioni, ma anche nelle manifestazioni europee, nella consapevolezza diffusa. È su questo che dovremmo lavorare di più. 5 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 Antonio Rapisarda on è stato tempo sprecato». Paolo Liguori, direttore di New Media di Mediaset, scrittore e polemista, non reputa i vent’anni di centrodestra italiano come una sfilza di occasioni mancate. Ragion per cui, proustianamente, pensa che ragionare sul passato sia necessario non solo per valutare al meglio il proprio percorso ma anche per “scoprire” le occasioni che anche la stessa esperienza del governo Monti può portare. «N Liguori, lei dice che il centrodestra non ha perso tempo. Perché? Ha speso vent’anni per riconoscersi, per esistere. “Per la rivoluzione vent’anni liberale non bastano” In che senso? Questa parte di opinione pubblica non ha avuto una vita facile. È stata segnata in negativo dal dopoguerra. Il suo blocco non è nato come gli altri, intendo la Dc e il Pci, da un clima favorevole a un certo punto del ‘900. Possiamo dire che il centrodestra non era previsto neanche nella Costituente. Perché non ha partecipato alla sua formulazione. Si può sostenere, allora, che una formazione cattolica, liberale e nazionale inedita ha “usato” questi vent’anni per nascere. Sono in tanti a scrivere, invece, che il centrodestra non è mai nato… È così se guardiamo il bicchiere mezzo vuoto. Certo, le grandi riforme liberali annunciate da Berlusconi non sono state fatte. Ma, per chi guarda il bicchiere mezzo pieno, la nascita stessa del centrodestra è un grande progetto. Un esempio? Grazie a questo è stata scongelata un’importante cultura politica come quella della destra. Poi è stato ritirato fuori un pensiero liberale che era stato emarginato e sbeffeggiato. E, infine, grazie a questo centrodestra è stato mantenuto un asse sui valori che in una realtà profondamente secolarizzata rischiavano la scomparsa. Da qui occorre ripartire. Ma perché, allora, tanti dirigenti del centrodestra si affrettano a recitare il proprio funerale politico? Perché sono poco colti e perché sono in tanti a essere così. Sono pochi quelli che hanno una cultura sufficiente per comprendere il portato dell’innovazione politica che hanno rappresentato. All’inizio erano molto presi dalla rivoluzione liberale. Poi sono fatti prendere dalla spirale odio-vendetta, giocando sul campo preferito della sinistra: ossia quello del mancato riconoscimento. Del resto una sinistra nata, come è nata in Italia, dal Pci non riconosce altro che se stessa. E Berlusconi in tutto questo? Berlusconi io lo vedo tra i visionari. Ma poi, come tutti i rivoluzionari, è rimasto prigioniero dello stesso grande cambiamento che ha portato. È chiaro: l’idea che sia la stessa persona che dà l’avvio alla rivoluzione quella che poi la completa porta inevitabilmente a una sorta di autodistruzione, perché per completarla ci vuole più di mezzo secolo. Berlusconi ha pensato a una rivoluzione talmente radicale che è impossibile realizzarla in due decenni. Però la prima parte gli è riuscita: ha fatto nascere il centrodestra. Il resto toccherebbe ad Alfano? Alfano, a modo suo, molto istintivamente fa parte di questo processo. L’incontro dei moderati, dal Pdl a Casini, è necessario. Sono state le antipatie personali – gli screzi tra Il parere di Paolo Liguori «Silvio Berlusconi ha pensato a una rivoluzione talmente radicale che è impossibile realizzarla in due decenni. Però la prima parte gli è riuscita: ha fatto nascere il centrodestra» Berlusconi, Casini e Frini – ad ostacolare in questi anni il processo. posizione netta di sostegno rispetto a questi obiettivi che sono propri. Come vede le primarie del Pdl? Mi sembrano uno strumento risibile. Il centrodestra è per natura carismatico. Se dobbiamo farle che si facciano tra un esponente del centrodestra e Monti, non le primarie dei nanetti. Talmente è vero questo che tutti dicono “se si candida Berlusconi non si fanno le primarie”. Non è comprensibile che non sia stato digerito il “commissariamento” del governo Berlusconi? Capisco, ma adesso è tempo di intestarsi l’agenda Monti proprio sui punti cari al centrodestra. Su questo occorre dire: noi votiamo un premier che ci garantisce questo programma. Può anche darsi che il leader politico non sia lo stesso che siederà a palazzo Chigi. Ma toccherà poi a questo leader stabilire i passaggi successivi per formare una nuova classe dirigente. Scusi, ma che c’entra Monti? Berlusconi è fatto di due materie. Una carismatica, l’altra programmatica. L’unico che dal punto di programmatico può continuare il percorso e contrastare una demagogia statalista si chiama Mario Monti. Draghi potrebbe essere il leader carismatico se volesse scendere in politica. Insomma, un leader carismatico nel centrodestra, almeno al momento, non c’è. Sul governo tecnico i toni sono stati duri però. Il giudizio sul governo Monti va rivisto. Ci sono alcune operazioni strutturali che, come molti osservatori hanno riconosciuto, non solo altro che la prosecuzione del governo Berlusconi. Cose che, è chiaro, in Italia erano impensabili. Prendiamo i tagli alla spesa: non li avrebbe fatti nessuno, loro li stanno facendo con tutte le difficoltà. Oppure i tagli per la spesa alla politica. Ecco, non capisco perché il centrodestra non assume una Una legislatura costituente insomma. Legislatura costituente perché l’offerta dei partiti nati dalla Costituzione è esaurita. Bisogna fare una nuova Carta, riscrivere tutto. Chi è allora che ci ha fatto perdere tempo in tutti questi anni? In questi vent’anni siamo stati dietro a corporazioni e poteri che hanno frenato il Paese. Sono stati i sindacati, la concertazione, il dibattito continuo e autoreferenziale dei partiti. E qui la concezione della politica come professione è stata la vera malattia. Proprio qua i dirigenti dovrebbero ricordare come l’elettore di centrodestra non può tollerare certe cose. Penso a quell’antico motto caro ai vecchi liberali: “Sei entrato con le pezze al culo e adesso sei ricco. E come sei diventato così? Con i soldi della politica?”. 7 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 Michele De Feudis n viaggio politico dalla Democrazia cristiana alla fondazione del Ccd, all’Udr e all’Udeur, intervallate dagli incarichi di ministro del Lavoro con il primo esecutivo Berlusconi e della Giustizia con il secondo governo Prodi. Europarlamentare eletto con il Pdl, Clemente Mastella, classe 1947 da Ceppaloni (Benevento), è un testimone disincantato della Seconda Repubblica, della quale proustianamente ne analizza il declino prima di raccontarsi secondo il canone del questionario ispirato dallo scrittore parigino. U “Toccare Welfare e Giustizia? Impossibile” La stagione iniziata con Tangentopoli e con l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi sembra alle battute finali. Da protagonista di questa era repubblicana, quali scelte non rifarebbe? Non so se rifarei il ministro della Giustizia. Il tentativo di sanare la frattura tra magistratura e politica è stata un’operazione impossibile, nonostante la mia buona volontà nella cercare una ricostruzione del rapporto in ottica democratica. Nel 1994 ricoprì l’incarico di ministro del Lavoro. Perché questo settore è così difficile da riformare? Ci sono incrostazioni incredibili, ogni interlocutore è affezionato alla propria routine quotidiana. Come i malati di diabete a cui vietano il dolce. Ogni volta che si toccano alcuni tasti, tutto si complica. Ci sono gli interessi del mondo imprenditoriale che non coincidono con quelli del mondo dei dipendenti. Mancando una politica consapevole del proprio primato, si stenta nel concretizzare e capitalizzare le opportunità di migliorare il contesto del lavoro in Italia. Di questa prima esperienza di governo, conserva qualche aneddoto? Sì, la stima dell’allora segretario confederale della Cgil, Sergio Cofferati, che mi ha definito «il miglior ministro del Lavoro». Ai tempi c’era la querelle sulla riforma delle pensioni. Giuliano Ferrara di intesa con Silvio Berlusconi preparò un comunicato di Palazzo Chigi per chiudere il rapporto con i sindacati addebitandolo loro la responsabilità della rottura delle relazioni con il governo. Mi opposi a questo indirizzo. La mia posizione fu apprezzata da Cofferati, il comunicato non venne più diramato e fu possibile evitare una frizione tra mondo politico e sindacato. Da ex titolare del dicastero di via Arenula, come interpreta il vento giustizialista che periodicamente torna a soffiare contro i palazzi della politica? Non abbiamo avuto la riforma protestante, e culturalmente c’è chi lega indissolubilmente l’idea morale e la legalità: da qui viene una precisa impostazione culturale dell’ottica giudiziaria. Adesso il partito degli Onesti, l’Italia dei Valori, è al centro di una serie di inchieste giudiziarie… Perché nessuno se ne è accorto prima? Sento dire che sul piano giudiziario Di Pietro è stato assolto, ma sul piano giudiziario c’è un trattamento tra figli e figliastri. Basta vedere quello che è successo a Bari con l’assoluzione di Nichi Vendola, sentenziata da un gup che è legato da amicizia alla sorella del governatore. Provi ad immaginare cosa sarebbe successo se la mia segretaria, come per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, fosse stata accusata di truffa e il mio capo della segreteria politica si fosse chiamato Filippo Penati: mi avrebbero mandato nelle patrie galere per trent’anni. C’è un antidoto a questa deriva? La politica “forte” deve dialogare con la magistratura e farla rientrare nell’ordine anziché accettarne il potere. Lo dicevano i padri costituenti. Nell’ambito politico si è contenti se la magistratura prende lo scalpo di un concorrente interno o esterno. E questa non è la strada giusta. Clemente Mastella «Quando ero nel governo Berlusconi, Cofferati disse che ero il miglior ministro del Lavoro della storia, ma non si poteva toccare niente» «Se tornassi indietro non rifarei il Guardasigilli, tra toghe e politica il dialogo è impossibile» «Provi ad immaginare cosa sarebbe successo se la mia segretaria, come per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, fosse stata accusata di truffa e il mio capo della segreteria politica si fosse chiamato Filippo Penati: mi avrebbero mandato in galera» Con le prossime elezioni di primavera… L’orizzonte che vedo è di un grande disagio. C’è un rancore sociale non prosciugato che si indirizzerà nell’astensione o andrà al movimento di Beppe Grillo. C’è una parte, invece, che pur un po’ di diffidenza, riserverà attenzione a chi si propone con un programma concreto a tutela del futuro dei nostri figli. Queste persone vanno incoraggiate. Adesso bisogna dare un’idea alta alla politica. Tra i temi della campagna elettorale ci sarà anche la “questione sovranità”? La sovranità è limitata sul piano economico rispetto all’Europa. Finanche alla Grecia è stato garantito il diritto di andare al voto, idem in Spagna. Dopo il governo Berlusconi, bisognava andare alle elezioni. Mario Monti è bravo, avrebbe potuto fare come Tommaso Padoa Schioppa, il ministro dell’economia. Ma la politica deve avere il primato. Andando al questionario di Proust, quale è il di- fetto personale che deplora di più? La goliardia. Quale difetto deplora negli altri? Il non avere la schiena dritta e la fronte alta, rimanendo legati baroccamente ai poteri stagionali. In quale personaggio della finzione si riconosce? Amo Masaniello: fu fregato dai suoi, ma diede un minimo di svolta alla vicenda meridionale e napoletana. Quale persona viva ammira di più? Quale disprezza? Ammiro l’ex cancelliere tedesco Helmut Kohl: fece l’unità europea, pur sapendo di perdere le successive elezioni. Non disprezzo nessuno. Il più grande rimorso? Per attaccare me, hanno colpito la mia famiglia. Non riuscirò mai a perdonare, nonostante sia cattolico. Il suo maggior successo? Sono partito da un paesino di seicento abitanti e sono stato l’ago della bilancia della politica italiana per dieci anni: è stato un innegabile traguardo. Dove desiderebbe vivere? A Ceppaloni, o a Loano, cittadina dove vive la mia nipotina. 8 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 9 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 Comi che illuminò la cultura Quel “lampadario” di Nella biografia di Michael White “La vita di J.R.R. Tolkien” le origini di una vocazione inattesa. L’autore del “Signore degli Anelli” mentre correggeva i compiti dei suoi allievi improvvisamente scrisse su un foglio: «In un buco sotto terra viveva uno hobbit...» Alberto Samonà La vita (oltre le opere) di Annalisa Terranova ggi il genere fantasy è il più venduto e il più letto di tutte le forme letterarie e «molti dei suoi autori non farebbero fatica ad ammettere di avere un grande debito nei confronti di Tolkien»: così Michael White traccia un bilancio dell’opera di J.R.R. Tolkien nelle ultime pagine della sua biografia dedicata all’autore de “Il Signore degli Anelli” (“La vita di J.R.R. Tolkien”, Bompiani, pp. 272, € 12). Eppure il successo per lui giunse molto tardi, quando aveva ormai 65 anni, era vicino alla pensione e non vedeva l’ora di dedicarsi al “Silmarillion”, il libro che considerava più importante e più impegnativo. Chiunque si cimenti con gli eventi che hanno contrassegnato la vita di Tolkien resta colpito dall’ordinarietà della sua esistenza tranquilla, metodica, professorale, circondata da amicizie selezionate e la potenza fantastica dei mondi alternativi che furono il prodotto della sua sub-creazione. Una vocazione che lo travolse, inaspettata e non cercata, quando mentre correggeva i compiti dei suoi allievi improvvisamente scrisse su un foglio: «In un buco sotto terra viveva uno hobbit...». Tolkien si dedicò alla mitologia perché, semplicemente, ne sentiva il bisogno. Certo, avverte White, l’infanzia non proprio felice di Tolkien deve avere avuto un peso notevole nella scelta di O Un’infanzia infelice Maturò una visione pessimistica sul mondo e sugli uomini, base essenziale della sua futura idea della letteratura come “consolazione” per gli spiriti immersi nella mediocrità del presente Tolkien, per gli amici Ronald “rifugiarsi” in mondi fiabeschi e incontaminati. Tolkien aveva perso il padre all’età di soli quattro anni e fu l’adorata mamma Mabel a incoraggiarlo a leggere i grandi libri per l’infanzia ma anche lei, costretta a una vita di disagi dai parenti che non avevano gradito la sua conversione al cattolicesimo, si spense precocemente. La venerazione per la figura materna fu trasferita sulla donna amata, Edith Bratt, che aveva tre anni di più di Tolkien e che divenne per lui oggetto di un amore esclusivo nonostante la separazione tra i due giovani imposta dal tutore di lui, che insistette perché Tolkien perfezionasse i suoi studi senza occuparsi di distrazioni amorose. È in questa fase che matura l’interesse di Tolkien per le saghe cavalleresche: sia il grande classico dell’inglese antico “Beowulf” sia “Sir Gawain e il Cavaliere Verde” (una nuova edizione di quetsto poema fu da lui curata più tardi, nel 1922) appassionavano il giovane studioso di filologia. Ma Ronald, come tutti lo chiamavano, non dimenticò la sua Edith, riuscendo a sposarla nel 1916. Ci fu poi la devastante esperienza della guerra che vide Tolkien combattere nella battaglia della Somme. Una fase che indusse il futuro scrittore a maturare una visione pessimistica sul mondo e sugli uomini, base essenziale della sua futura idea della letteratura come “consolazione” per gli spiriti immersi nella mediocrità del presente. Ma quale fu l’impulso iniziale che lo spinse verso la sua avventura letteraria? Questa la risposta del suo biografo: «Il suo desidero di creare una mitologia dell’Inghilterra» che non aveva un testo epico di riferimento. Tra gli autori che lo ispirarono ci fu il barone Dunsany, un accademico che nella seconda metà dell’Ottocento diede alle stampe una raccolta di brevi storie fantastiche e coniò un’espressione calzante per descrivere il genere di mondi in cui ambientava i suoi racconti: “al di là dei campi che conosciamo”, in luoghi dove le regole ordinarie e razionali non hanno più valore. Il secondo autore cui Tolkien fu debitore, soprattutto per quanto riguarda lo stile, è William Morris, che nei suoi romanzi trasferisce l’immaginario medievale mescolato a un mondo alternativo completamente creato da lui. A partire dal 1914 Tolkien si cimenta con gli Elfi e le Terre Immortali, buttando giù il primo nucleo di quello che diventerà poi “Il Silmarillion”. Appunti e note che chiamava scherzosamente “le mie spiritosaggini con il linguaggio delle fate”. L’insegnamento prima a Leeds e poi a Oxford fu per lui un’ennesima, importante scoperta: divenne consapevole della sua capacità di trasmettere agli studenti la passione per la materia, la letteratura inglese, indagata con veemente efficacia. «Di tutte le lezioni tenute da Tolkien - racconta White - quelle su Beowulf erano le più Una scena del film “Lo Hobbit” di Peter Jackson (in uscita il 13 dicembre nei cinema italiani) tratto dall’omonimo romanzo di Tolkien memorabili...». Entrava in aula silenzioso per poi declamare l’inizio del poema con le possenti praole dell’originale anglosassone. L’uditorio ne era completamente affascinato. In quello stesso periodo ha inizio l’amicizia con C.S. Lewis, lo scrittore delle “Cronache di Narnia”, e la formazione del cenacolo lettarario degli Inklings, con le bevute al pub “Bird and baby” che è oggi meta privilegiata dei pellegrinaggi turistici dei cultori dell’opera tolkieniana. Ma Ronald non dimenticava la sua famiglia, scrivendo ai suoi quattro figli le Lettere di Babbo Natale che arrivavano puntualmente ogni anno a casa Tolkien dal Polo Nord, né esauriva nella sola scrittura la sua vena artistica: amava anche disegnare draghi, folletti e altre strane creature, immagini che vennero poi usate per illutsrare “Lo Hobbit”. Ma furono gli anni Trenta e Quaranta i più creativi della sua vita, quelli in cui sbocciarono le idee che sono al fondo delle opere che gli procurarono una solida fama di scrittore. Il primo lettore de “Il Signore degli Anelli” fu proprio l’amico C.S. Lewis che lo salutò come un capolavoro enucleando, nella sua critica, gli elementi che avrebbero reso il romanzo un fenomeno mondiale: «Questo libro è stato come un fulmine a ciel sereno... In un’epoca quasi patologica nel suo antiromanticismo come la nostra, improvvisamente è tornato il romanzo eroico, fastoso, eloquente e audace...». icorre in questi giorni il centesimo anniversario della pubblicazione della raccolta “Il lampadario”, prima opera di Girolamo Comi, poeta e scrittore salentino ed esponente, fra l’altro, del “Gruppo di Ur” fondato negli anni venti da Julius Evola. Una personalità controversa, quella di Comi, che si attesta nel panorama letterario del Novecento come quella di uno spirito libero e in continua ricerca. La critica letteraria più recente ha paragonato la sua poesia a quella mistica del francese Renè Daumal, con una ricchezza di suggestioni simbolico-spirituali che richiamano, a tratti, le liriche persiane e quelle dei Sufi. Comi non è solo poeta, ma è essenzialmente un interprete del ventesimo secolo, che viene da lui letto con gli occhi di chi si accorge di vivere in un’epoca di decadenza. “Il lampadario”, pubblicato a Losanna un secolo fa, ottiene immediatamente i favori dei critici, che sottolineano l’affinità della sua poesia alle suggestioni simboliste fatte proprie dall’ambiente poetico romano. Sono gli anni del suo periodo parigino, dove Comi approfondisce proprio il simbolismo francese, e dove conosce e frequenta alcuni fra i più interessanti intellettuali del tempo, fra cui Verhaeren, Claudel, Gourmont e Paul Valéry. Rientrato in Italia, partecipa alla Prima Guerra Mondiale e successivamente si stabilisce a R Compie 100 anni Esattamente un secolo fa venne pubblicato “Il lampadario” di Girolamo Comi, poeta e scrittore salentino ed esponente, fra l’altro, del “Gruppo di Ur” fondato negli anni venti da Julius Evola. La critica letteraria più recente ha paragonato la sua poesia a quella mistica del francese Renè Daumal, con una ricchezza di suggestioni simbolico-spirituali che richiamano, a tratti, le liriche persiane e quelle dei Sufi Roma, dove entra in contatto con il poeta Arturo Onofri, con il quale nasce una vera e propria intesa spirituale. Entrambi vicini a Evola, frequentano insieme gli ambienti esoterici della Capitale. Nel 1930 vede la luce Il Cantico del tempo e del seme (oggi pubblicato in Introduzione alla magia), in cui si teorizza l’annullamento dell’io nell’universo della natura. Comi (con lo pseudonimo Gic) e Onofri (Oso) sono fra i più attivi esponenti del sodalizio magicoesoterico radunato attorno al «Gruppo di Ur», anche se rispetto a Julius Evola risultano entrambi intellettualmente autonomi. Comi, dal paganesimo delle origini, si accosta progressivamente verso quello che diverrà il suo «cattolicesimo aristocratico». Aderisce tiepidamente al Fascismo, anche se rifiuta la tessera del Pnf, ma incomincia a collaborare con «Il Regime Fascista», diretto da Roberto Farinacci, dove scrive per il celebre inserto Diorama filosofico. La sua conversione al cattolicesimo lo allontana progressivamente dall’ambiente evoliano. Dopo la guerra fonda la rivista letteraria «L’Albero» e dà vita all’Accademia Salentina, cenacolo frequentato da letterati e artisti di tutta Italia. L’ultima sua opera, Fra Lacrime e Preghiere, è del 1967, un anno prima della morte. L’ultimo periodo della sua vita lo conduce in povertà a Lucugnano, sostenuto da un modesto aiuto pubblico e dai suoi concittadini. 10 Stupidità Gianfranco Marrone BOMPIANI pp 176 DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 euro 12 La stupidità vince. Bisogna farsene una ragione. Nell’attuale società dei media e dei consumi gli stupidi sono diventati una folla cianciante che dichiara bellamente la propria deficienza intellettiva e sentimentale, esibendola come un valore. Il servizio divino dei greci Friederich Nietzsche ADEPHI pp 287 euro 18 La mia piccola stella Sébastien Chabal BALDINI & CASTOLDI pp 283 euro 17,50 Il peso della grazia Christian Raimo EINAUDI pp 464 euro 21 La domenica delle scope Roberto Covaz LEG pp 101 euro 14 Le lezioni sul culto greco, che Nietzsche tenne tra il 1875 e il 1878, furono le ultime della sua carriera di docente di filologia classica a Basilea, e testimoniano il nuovo orientamento lontano dalle tonalità della “Nascita della tragedia”. Sotto i capelli lunghi, dietro la barba da orco, c’è un operaio giunto al rugby per caso. Un uomo divertente e autoironico. Autobiografia di Sébastien Chabal, il rugbista più famoso di Francia si racconta fuori dal campo. Storia d’amore, tutt’altro che semplice. Tema centrale, l’affidarsi a un’altra persona. Smettere di difendersi è gesto estremo, pratica desueta e misteriosa. «Ma come si fa a sapere che non si va da nessuna parte se non si percorre una via fino in fondo?» Il 13 agosto 1950 sul confine tra Gorizia e la neonata Nova Gorica, migliaia di goriziani, rimasti in Jugoslavia dopo il 17 settembre 1947, superano il confine per abbracciare parenti e amici e comprare beni prima di necessità. A cominciare dalle scope di saggina. Angelo Spaziano uando un popolo individualista come il nostro perde la fiducia in se stesso e nelle istituzioni che lo reggono, l’immoralità diventa una forma di vivere civile e la mediocrità invade la cosa pubblica». Parole di Curzio Malaparte tratte da “La rivolta dei santi maledetti”. L’aforisma è contenuto nella pagina d’apertura di “Foibe, una tragedia annunciata. Il lungo addio italiano alla Venezia Giulia”, scritto da Vincenzo Maria de Luca, edito da Settimo Sigillo. L’autore non è uno storico rodato, ma un libero professionista che ama dilettarsi della materia, padroneggiandola però da vero intenditore. Ne è risultato un manuale agile, completo e usufruibile specialmente dai più giovani, le vere vittime dell’ostracismo in cui è stata condannata l’intera vicenda. Per decenni infatti si è assistito a una damnatio memoriae degli avvenimenti narrati nel libro di de Luca. Vale a dire che dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale la parola d’ordine è stata chiara e categorica per chiunque: tutto quello che poteva solo richiamare la memoria delle imprese compiute dai “liberatori” slavocomunisti nella Venezia Giulia, in Istria e nella Dalmazia dal 1945 in poi andava rimosso o cancellato. E se proprio si era obbligati a trattare l’argomento l’imperativo era deformare, alterare, mistificare i fatti, se non negarli tout court. Il «Q Foibe, c’è ancora da leggere massacro di decine di migliaia di persone rastrellate un po’ ovunque per la regione, legate col filo spinato, passate per le armi e precipitate (a volte ancora vive!) nei profondi burroni disseminati per l’altopiano carsico. Le foibe, appunto. Il tutto al fine di alterare l’identità etnica, culturale e storica della provincia, che grazie all’aberrante sillogismo un italiano, un fascista si è ritrovata in breve tempo completamente slavizzata e pronta per essere gentilmente regalata al compagno Tito. L’operazione di rimozione collettiva di quell’olocausto riuscì alla perfezione. Tanto che quando nel 1996 “Area”, rivista d’attualità politica, decise di pubblicare un “focus” sulle verità negate, e per l’argomento intraprese un monitoraggio mirato sui manuali di storia, il risultato fu sconcertante: se andava bene la parola “foibe” era completamente ignorata. Se andava male i massacri giuliano-dalmati risultavano opera dei La tragedia nascosta Con “Foibe, una tragedia annunciata. Il lungo addio italiano alla Venezia Giulia” Vincenzo Maria de Luca arricchisce il filone storiografico su una pagina dimenticata del nostro dopoguerra nazisti. Al tentativo di rimettere in carreggiata verità e buon senso, i magliari autori delle veline di partito spacciate per trattati di storia si sollevarono inviperiti gridando al revisionismo, o a un rigurgito di fascismo: «Noi abbiamo detto il necessario», fu la scandalizzata giustificazione. L’importanza del libro di de Luca sta nella vastità del percorso storico offerto. Un percorso al termine del quale si ha una chiara idea dell’accaduto.