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NEWSLETTER 31-2009 _________________________________________ NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO TERRATERRA - L'ARROSTO AMAZZONICO Che la filiera della bistecca bovina da animali bradi sia una delle maggiori killer dell'Amazzonia brasiliana è chiaro da tempo ma forse mai era stato illustrato tanto bene come nel rapporto di Greenpeace International «Slaughtering the Amazon» (Macellando l'Amazzonia). Il documentatissimo rapporto fa i nomi delle compagnie internazionali di distribuzione che comprano carne e pelli da fornitori del Brasile, diventato il maggior esportatore di carne bovina al mondo a spese degli alberi, della biodiversità, dell'equilibrio idrico, del clima (il paese sudamericano è il quarto produttore mondiale di gas serra proprio a causa della distruzione della foresta). Il rapporto è durissimo: l'industria dei bovini provocherebbe l'80% della perdita dell'Amazzonia e il 14% della perdita mondiale delle foreste. L'area totale di Amazzonia brasiliana ridotta a pascolo è oggi di 240.000 miglia quadrate; più di tutta la Francia. La dove c'era la foresta pascolano stabilmente 80 milioni di bovini. Altre superfici sono occupate dalle coltivazioni di soia. Il rapporto di Greenpeace ha fatto effetto. La Banca mondiale, nientemeno, ha revocato un prestito di 90 miliardi di dollari al gigante brasiliano degli allevamenti Bertin, che nel rapporto degli ambientalisti compare fra gli accusati di deforestazione. Il prestito, garantito dalla International Finance Corporation, sarebbe servito ad ampliare le strutture di trasformazione della carne nell'Amazzonia brasiliana. «Una buona notizia - hanno dichiarato Greenpeace e Friends of the Earth Brasile - e che serva di lezione; peccato che per tanto tempo diverse banche abbiano sostenuto questa compagnia colpevole di attentare al clima». Gli ambientalisti hanno poi chiesto un impegno analogo alla Banca brasiliana per lo sviluppo sociale ed economico (Bndes), che ha garantito nel 2008 prestito a Bertin per circa 1,25 miliardi di dollari. E la pubblica Bndes ha risposto, come riporta la Agenzia Estado: presto esigerà da chi chiede un prestito la tracciabilità dei suoi prodotti, fino al ranch. Un pubblico ministero federale dal canto suo ha avanzato una causa da 1 miliardo di dollari contro l'industria dei bovini per danno ambientale. Inoltre tre grandi catene di supermercati, Wal-Mart, Carrefour e Pão de Açúcar hanno dichiarato la sospensione dei contratti con fornitori implicati nella deforestazione. Anche l'associazione brasiliana dei supermercati (Abras), ammettendo che «non ci sono garanzie che la carne non provenga dall'Amazzonia», ha annunciato ogni cessazione di rapporto con complici accertati della deforestazione. E non solo: Marfrig, il quarto commerciante mondiale di carne bovina, egualmente nominato nel rapporto di Greenpeace, non comprerà più animali allevati in aree all'interno dell'Amazzonia legale. Lavaggio verde a buon mercato? Forse, visto che non esiste un sistema di certificazione per i prodotti carnei o conciari brasiliani, tale da garantire che sono prodotti «con responsabilità», o meglio, se non altro fuori dall'Amazzonia. Un'organizzazione chiamata Aliança da Terra sta lavorando proprio a questo sistema. Nell'attesa, il primo gruppo di distribuzione britannico (e terzo al mondo dopo la statunitense Wal-Mart e la francese Carrefour), ha ammesso che è difficile conoscere la fonte ma «si sta attrezzando». Fra le altre «grandi firme» tirate in ballo - per la carne o il cuoio - nel rapporto di Greenpeace: Adidas/Reebok, Nike, Carrefour, Eurostar, Unilever, Johnson & Johnson, Toyota, Honda, Gucci, Louis Vuitton, Prada, Ikea, Kraft, Tesco and Wal-Mart. Che non vendono solo carne e cuoio. (da Il Manifesto - luglio 2009) GRAN BRETAGNA: TESCO, CRESCONO LE VENDITE DI FAIRTRADE E BIOLOGICO Secondo gli ultimi dati ricavati dall’analisi del punto vendita Tesco, gruppo di distribuzione britannico attivo a livello internazionale, primo gruppo di distribuzione del paese, con più di duemila punti vendita, gli acquirenti preferiscono, di nuovo, il Fairtrade e l’acquisto di prodotti da agricoltura biologica. Contrariamente, una precedente indagine aveva rivelato che i consumatori evitavano acquisti troppo dispendiosi e quindi l’alta qualità del prodotto. Al fine di aumentare, nuovamente, le vendite di alimenti biologici e equo-solidali, i punti vendita Tesco hanno smentito i dati negativi offrendo un migliore servizio con il risultato di un aumento clamoroso delle vendite, secondo il Talking Retail. Ad esempio, il consumo di birra Fairtrade, vino e alcolici è aumentato di oltre il 50% negli ultimi anni, e la produzione stessa di alimenti Fairtrade è aumentata del 15%, quanto ai prodotti biologici, anche questi, dal mese di novembre, sono aumentati del 52%. Stephanie Stewart, manager nel settore marketing della Tesco, ha dichiarato che, nonostante sia ancora prematuro pensare che la recessione, in merito alle vendite del prodotto Fairtrade e biologico, sia rientrata, di sicuro, l'aumento della domanda su prodotti bio etici e solidali offre ottimi risultati e buone prospettive per il futuro. (da Bioagricultura Notizie - luglio 2009) ENERGIA DA BIOMASSE DI ORIGINE AGRICOLA “Le imprese che si riferiscono a Confagricoltura credono nel capitolo energetico per la diversificazione dell’attività e del reddito, in un ottica di contenimento dei costi, aumento della competitività e recupero della domanda energetica, che è in grado di dare un contributo determinante al processo di sviluppo del Paese”, così Federico Vecchioni, presidente dell’Organizzazione agricola al primo posto in Italia per rappresentatività dei datori di lavoro nel settore, ha garantito l’impegno di 546 mila imprese sul tema strategico delle risorse energetiche e del relativo impatto sull’ambiente. Intervenendo alla presentazione del Rapporto Enea “energia e ambiente 2008” Vecchioni ha sottolineato la volontà di Confagricoltura di affiancare il sistema produttivo con lo sviluppo di sistemi a biomassa, biogas e fotovoltaici. Al presidente di Enea, Luigi Paganetto, che sottolineava come investire in tecnologie legate alle nuove frontiere dell’energia può essere la via per uscire dalla crisi economica, il numero uno di Confagricoltura ha annunciato che 120 imprese associate realizzeranno la prima rete di produzione energetica da biomasse di origine agricola, con un investimento di 600 milioni di euro e 170 megawatt di potenza installata. Una risposta operativa al “green new deal”, che ha come obiettivo la correzione dei maggiori squilibri del sistema in fatto di risparmio e abbattimento della CO2. “Il completamento del quadro normativo sulla produzione di energia da biomassa, con la pubblicazione del disegno di legge 1195 recentemente approvato al Senato – ha affermato Vecchioni - darà nuovo impulso allo sviluppo delle agroenergie, che si affiancherà ai notevoli risultati già raggiunti con il fotovoltaico e l’eolico in agricoltura. Un sistema di incentivi chiaro e stabile negli anni dà infatti una visione non più utopistica che consentirà alle imprese di pianificare gli investimenti nel lungo periodo. Tenendo presente che, superato il passaggio iniziale, più le tecnologie avanzano, più il ricorso agli incentivi può essere ridimensionato”. La comunità agricola diventerà quindi un alleato ancor più prezioso all’interno di un quadro normativo che consente una riformulazione economica del rapporto col territorio. Vecchioni ha poi espresso il suo sconcerto per il fatto che 600 milioni di euro dei fondi rotativi, ossia finanziamenti di credito agevolati per le imprese che vogliono promuovere sistemi di cogenerazione ad alta efficienza, giacciano fermi, mentre le imprese di Confagricoltura sono pronte ad entrare in questa partita. “Deve essere definitivamente modificato – ha concluso Vecchioni – l’approccio ideologico che considera l’agricoltura non compatibile con la produzione di energia, a discapito di quella alimentare. Le moderne tecnologie consentono la coesistenza di entrambe le attività, senza contare che 350.000 ettari di terreno pubblico inutilizzati possono essere restituiti alla comunità agricola. Inoltre – ha concluso il presidente di Confagricoltura – a proposito dell’emissione di CO2 va ricordato che la maggior parte dei boschi italiani è privata, un patrimonio che va preservato, così come deve essere premiato chi ne ha cura”. ENERGIA: LE RINNOVABILI AGRICOLE TRIPLICHERANNO IN 10 ANNI Se la sfida dell’energia si può vincere solo investendo sull’innovazione tecnologica, ben venga l’invasione della campagna in città in risposta a quella delle città che hanno cementificato i terreni agricoli. E’ quanto rileva la Coldiretti in riferimento alla proposta lanciata dall’Enea nel “Rapporto energia e ambiente” di realizzare una “vertical farm” per Milano nella sede dell’Expo 20015, cioè una struttura di 30 piani, ciascuno dei quali occupato da una serra per prodotti agricoli che possono soddisfare la domanda di 40.000 consumatori, utilizzando energia rinnovabile, non producendo rifiuti waste, azzerando le emissioni ed evitando che i prodotti abbiano un elevato contenuto di energia come quello collegato al trasporto dalla campagna alla città. Ma se questo è un esempio estremo di razionalizzazione e di risparmio di energia – prosegue la Coldiretti – è indubbio che la produzione di energia rinnovabile proveniente dall’agricoltura italiana è destinata a triplicare nei prossimi dieci anni con circa centomila posti di lavoro disponibili. Lo sviluppo delle energie rinnovabili prodotte nelle campagne italiane raggiungerà nel 2020 sottolinea la Coldiretti - una percentuale dell’8 per cento del totale, rispetto all’attuale 2 per cento, per un totale di 15,5 milioni di tonnellate petrolio equivalente (MTEP) prodotte. Con oltre il 70 per cento il maggiore contributo viene dalle biomasse combustibili provenienti dal legno, dalle colture erbacee, dai residui agroalimentari e dai reflui degIi allevamenti, ma non trascurabile è il contributo dei carburanti con il 20 per cento, mentre il restante 10 per cento è ottenuto - precisa la Coldiretti - attraverso solare, eolico ed idroelettrico. Per il nostro Paese è particolarmente importante la produzione di energia da biomasse di origine agricola, ottenute nell’ambito di filiere corte, che risponde a criteri di sostenibilità ambientale perché - conclude la Coldiretti - garantisce la riduzione delle emissioni da trasporto che caratterizzano i grandi impianti alimentati con biomassa importata e ottenuta in modo non sostenibile (deforestazione, sostituzione di coltivazioni a fini alimentari, ecc.). (da Asterisco Informazioni - luglio 2009) UN'ABITUDINE MORTALE - COME LA MENTE SEGUE I CONDIZIONAMENTI Noi viviamo in base alle abitudini. Molti però non se ne rendono conto. Molte di queste abitudini, pur essendo dannose per noi stessi e per il pianeta in generale, non vengono neanche messe in discussione, perché sono talmente radicate che il solo dubitare della loro verità produrrebbe in noi un cambiamento di paradigma interiore troppo vasto. Non mi sto riferendo qui ad abitudini che più o meno consciamente sappiamo essere dannose ma che ugualmente attuiamo, come il fumare o bere alcolici. Molto spesso si arriva a convincersi che fumare fa bene, piuttosto che cambiare noi stessi o fare un piccolo sforzo per chiederci quali siano i motivi profondi che ci portano a distruggere il nostro corpo. La nostra resistenza al cambiamento è così grande che preferiamo mantenere in vita abitudini dannose piuttosto che cambiare. Lo facciamo continuamente in ogni campo della nostra vita. Una delle cose che diamo per scontate e che invece non lo sono per niente, è il consumo di carne. Siamo abituati fin dalla nascita a consumare pezzi di animali morti, offerti in maniera che non ricordano minimamente la loro origine. Quelle poltiglie presentate come indispensabili al corretto svezzamento dei nostri bambini, non sono forse parti degli stessi animali che insegniamo ai nostri stessi figli ad amare? La schizofrenia morale comincia molto presto. Ed insieme ad essa l’abitudine a considerare ovvio il consumo di altri esseri senzienti. Se poi l’abitudine è convalidata da dati scientifici sulla necessità del consumo di carne, allora il gioco è fatto. Nessuno avrà più bisogno di chiedersi se sta facendo una cosa buona o meno. Se quell’abitudine sia o meno conforme alla sua natura. Così il nostro cervello crea autostrade che segue agevolmente e solo raramente si chiede se non sia più giusto cambiare percorso. Ma le abitudini, come si formano, così possono essere cambiate. Cosa ci fa cambiare? Una presa di coscienza dell’inutilità di quella abitudine, uno shock emotivo, un forte vantaggio al cambiamento, una motivazione più o meno cosciente. Una volta che hai preso la decisione profonda di cambiare una certa abitudine, comincerai ad attrarre cose che ti porteranno nella direzione voluta, e molti muri mentali ed energetici che ostacolavano la tua presa di coscienza cominceranno a crollare. Una parte importante di questo processo è quello di ascoltare le proprie intuizioni invece di seguire sempre i condizionamenti esterni. Di fronte al banco macelleria grondante sangue del supermercato, nel momento in cui allunghiamo la mano per impossessarci della vaschetta contenente parti di animale ucciso, potremmo chiederci: “Ma chi l’ha detto che è giusto mangiare cadaveri? E se io fossi nato in un posto in cui non fosse mai esistita questa abitudine, mi sembrerebbe altrettanto naturale pensare ad altre creature come a cibo?” Se io fossi stato educato fin da piccolo ad amare veramente gli animali, ad avere un rapporto di rispetto e di fratellanza, non potrei mai pensare ad essi come cibo. Vedere trasformate creature meravigliose, che celebrano la vita, in pezzi informi di cadaveri da introdurre nella mia pancia, mi sembrerebbe un’alienazione della mia natura. Solo la necessità di sopravvivere mi porterebbe a tanto. Ma oggi questa necessità non c’è più, almeno nei paesi sviluppati tecnologicamente. E paradossalmente è proprio qui che il consumo di carne sale vertiginosamente. Ed anche le malattie moderne: obesità, diabete, ipertensione, infarti, arteriosclerosi ecc… Se ci pensate bene, siamo condizionati a fare certe scelte perché abbiamo acquisito abitudini a noi estranee, ed accettate, anzi incoraggiate, dalla società. Ma nessuno può costringerci a continuare su questa strada. Noi possiamo decidere ad ogni istante se seguire pedissequamente abitudini sbagliate o se cambiare rotta, scegliendo la strada meno ovvia ma più ecologica in senso ampio. Spetta a noi informarci e poi, armati di coraggio, cambiare per vivere meglio in un mondo dove tutti vivono meglio. L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. Per abitudine si vive accanto a persone odiose, si impara a portar le catene, a subir ingiustizie, a soffrire, ci si rassegna al dolore, alla solitudine, a tutto. L’abitudine è il più spietato dei veleni perché entra in noi lentamente, silenziosamente, cresce a poco a poco nutrendosi della nostra inconsapevolezza e quando scopriamo di averla addosso ogni fibra di noi s’è adeguata, ogni gesto s’è condizionato, non esiste più medicina che possa guarirci. (Oriana Fallaci) (da Promiseland News - luglio 2009) IL TEMPO DEL RACCOLTO - LA MAGIA DELLE PIANTE E’ il plenilunio il momento più adatto per la raccolta di quasi tutte le erbe e le radici. Questa abitudine risale a quando non esistevano fonti luminose alternative alla fiaccola e il colmo di luna favoriva il riconoscimento delle varie piante. Ma la ragione principale è che in queste notti il cambiamento di direzione degli impulsi della Luna si fa sentire più intensamente rispetto a quelle di Luna nuova, infondendo così forze maggiori alle erbe raccolte. Le erbe contengono principi attivi si sa, ma esiste l’ipotesi che sappiano trasmettere potere ed energia poiché li attingono direttamente dalla terra. Dal corpo della Dea quindi, di cui ne sarebbero un’emanazione. Non è solo il plenilunio a essere preso in considerazione per la raccolta delle piante, ma anche il cosiddetto periodo balsamico, quando cioè il loro profumo e le sostanze nutritive che contengono sono più attivi. I fiori quando sbocciano; i frutti e i semi nel momento della completa maturazione; le erbe, le foglie e tutte le parti verdi nei loro periodi di crescita, in primavera inoltrata e in estate; le cortecce e i rami in primavera, quando la linfa è abbondante; radici, tuberi e rizomi nel loro riposo vegetativo che avviene in autunno o in inverno. Quando prendiamo un vegetale dalla terra, dobbiamo farlo con rispetto e delicatezza, evitando di danneggiare la pianta nella sua interezza. Qualcosa poi andrebbe sempre offerto in cambio secondo un’usanza antica che non appartiene solamente alle Figlie della Dea ma che veniva osservata anche dagli Indiani d’America. Un indiano Navajo chiamato Jimmie C. Begay, collaboratore di una rivista pubblicata dal popolo dei Mohawk scrive che “quando togliamo qualcosa alla terra, dobbiamo anche restituirle qualcosa. Noi e la terra dovremmo essere compagni con uguali diritti (…) e dobbiamo dare a nostra Madre, la Terra, sempre, tanto quanto le abbiamo tolto”. Se avessimo sempre fatto così, ora non dovremmo affrontare la crisi delle risorse e probabilmente neppure le conseguenze catastrofiche dell’inquinamento. Quando abbiamo consapevolezza e partecipazione intima al respiro del tutto, non ci è possibile ferirne nessuna parte senza sentire anche noi il dolore che così provochiamo. Poiché siamo un corpo unico con la terra e ogni vita che la abita. (da Promiseland News - luglio 2009) QUOTE LATTE. FISCHER BOEL PRESENTA REPORT: "NO A FORTEZZA EUROPA O FORTEZZA ITALIA" "Non possiamo volere una 'fortezza Europa' o una 'fortezza Italia'. Anche l'Italia ha bisogno di latte importato per i suoi formaggi di qualità" e "qualsiasi protezionismo alle frontiere sarebbe contrario alla natura dell'unione di blocco esportatore". Lo ha detto il commissario all'agricoltura Mariann Fischer Boel presentando alla stampa il rapporto sulla situazione del mercato del latte e sulle possibili soluzioni alla crisi che era stato chiesto alla commissione dal Consiglio europeo. Nel rapporto, la commissione elenca il catalogo delle misure disponibili per contribuire ad alleviare la difficile situazione degli allevatori". La commissione continuerà ad usare strumenti come l'intervento, gli aiuti allo stoccaggio privato e le restituzioni all'esportazione, ha continuato il commissario, che ha invece escluso categoricamente la possibilità di un ritorno agli aiuti allo stoccaggio dei formaggi. Nel documento si ipotizza il ricorso ad un piano di abbattimento, "ma io sono contraria. in primo luogo perché non abbiamo soldi, in secondo luogo perché sarebbe difficile spiegare ai consumatori che paghiamo gli allevatori per abbattere gli animali e far così alzare il prezzo del latte, in terzo luogo perché destabilizzerebbe il mercato della carne". La stessa netta contrarietà Fischer Boel l'ha espressa circa una possibile riduzione delle quote: "Gli allevatori vorrebbero subito essere compensati e non ci sono risorse in cassa per farlo". "So che alcuni stati membri vorrebbero riaprire la discussione in materia, ma per farlo ci sarebbe bisogno di una proposta della commissione e noi non intendiamo presentare tale proposta", ha specificato. Nel documento si propone di aumentare il massimale degli aiuti di stato per gli allevatori da l atte da 7500 euro a 15000 euro. Tra le altre proposte c'è anche quella di imporre il pagamento del superprelievo al singolo allevatore anche se il quantitativo massimo di riferimento nazionale non è stato superato. COLDIRETTI: “NESSUNO VUOLE FORTEZZA ITALIA, MA VOGLIAMO SAPERE CHE LATTE IMPORTIAMO” "l'Italia tra i grandi paesi produttori (Germania, Francia e Spagna) è l'unico dove la commissione europea ha rilevato un aumento dei prezzi al consumo per latte e formaggi, secondo i dati a febbraio 2009". E’ quanto ha affermato la Coldiretti nel commentare la comunicazione del commissario europeo Mariann Fischer Boel che prevede la proposta dell'istituzione di un sistema di monitoraggio dei prezzi delle derrate alimentare al fine di accertare se non ci siano pratiche potenzialmente anticoncorrenziali nelle catena di distribuzione, in particolare del latte e dei prodotti lattiero caseari. In Italia - sottolinea la Coldiretti, impegnata in una mobilitazione nazionale - il latte viene pagato in media agli allevatori italiani 0,31 euro al litro mentre sugli scaffali arriva a 1,35 con un ricarico del 350 per cento dalla stalla allo scaffale. Oggi il latte agli allevatori italiani viene pagato meno di venti anni fa con le speculazioni che sono favorite dalla mancanza di trasparenza sulla provenienza della materia prima. Nessuno vuole la Fortezza Italia o Europa, ma i consumatori italiani e le imprese vogliono sapere dove e come è prodotto il latte che importiamo. Questo - conclude la Coldiretti - è un diritto sacrosanto di trasparenza e informazione che nessun regolamento comunitario può negare. (da Bioagricultura Notizie - luglio 2009) COMMISSIONE UE, 28 MILIONI DI EURO PER SOSTENERE LA PROMOZIONE DEI PRODOTTI AGRICOLI I 16 programmi selezionati riguardano prodotti biologici, lattiero-caseari, carne, vino, frutta e verdura, olio di oliva, miele e fiori. Più di 62 milioni di euro, è questo il budget per il programma. La Commissione europea ha approvato 16 programmi in 12 stati membri (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Latvia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Regno Unito) per fornire informazioni e promuovere i prodotti agricoli nell'Ue. Il preventivo totale dei programmi, della durata di uno a tre anni, è di 62.1 milioni di euro, il contributo EU sarà di 27.8 milioni. I programmi selezionati riguardano prodotti organici, prodotti lattiero-casearii, carne, vino, frutta e verdura, olio di oliva, miele e fiori. "Sono felice che questa decisione riguardi anche la promozione dei prodotti lattiero-caseari, ha dichiarato il commissario per l'agricoltura e lo sviluppo rurale Mariann Fischer Boel. "Visto che il 22 luglio abbiamo annunciato che la promozione è uno dei mezzi con cui vogliamo aiutare i nostri produttori del settore lattiero ad uscire dall'attuale crisi. Stiamo ora lanciando una procedura accelerata per incrementare il supporto alla promozione dei prodotti lattiero-casearii, con un preventivo di 20 milioni di euro”. Il 17 dicembre 2007 il Consiglio ha unito le due regolazioni esistenti Ue sulle misure di fornitura di informazioni e di promozione in una singola regola Ue 3/2008, una regola che copre sia il mercato interno che i paesi terzi (vedi IP/07/699). Le misure finanziate in questo contesto possono consistere in azioni promozionali o di pubblicità, in particolare quelle che evidenziano i vantaggi dei prodotti di Ue, particolarmente in termini di qualità, igiene, sicurezza alimentare, nutrizione, etichettatura, protezione degli animali e/o dell' ambiente. Queste misure possono anche riguardare la partecipazione a eventi e fiere, campagne di informazioni sul sistema UE delle denominazioni d'origine protetta (Dop), le indicazione geografica protetta (Igp) e la specialità tradizionale garantita (Stg), le informazioni sui sistemi di etichettatura Ue e l'agricoltura biologica, campagne informative sul vino di qualità prodotto in regioni determinate (Vqprd ) sono alcune delle possibilità. L'Ue finanzia fino a 50% il costo di queste misure (fino a 60% per i programmi che promuovono il consumo di frutta e di verdura tra i bambini o che interessano informazioni sul bere responsabilmente e i danni collegati al consumo eccessivo di alcool), il resto sarà finanziato dalle organizzazioni di settore che le propongono o dagli Stati membri. Ogni anno, entro il 30 novembre, le organizzazioni professionali interessate possono presentare le loro proposte agli Stati membri, questi devono quindi inviare alla Commissione la lista dei programmi che hanno selezionato e una copia di ogni programma, successivamente la Commissione valuterà i programmi e deciderà la loro eleggibilità. (dal Bollettino Bio Greenplanet - luglio 2009) PIANO SEMENTIERO PER IL BIOLOGICO, RIUNITO IL COMITATO DI PROGETTO Si è svolta nei giorni scorsi, presso la Sala dei ministri del ministero delle Politiche agricole, la prima riunione operativa del comitato di progetto del "Piano sementiero nazionale per l'agricoltura biologica", la cui gestione operativa è stata affidata dal Mipaaf all'Ente nazionale delle sementi elette (Ense). Nel corso della riunione, spiega un comunicato, sono state avviate le attività operative del progetto ponendo come obiettivo generale il definitivo abbandono del sistema delle "deroghe" per l'approvvigionamento delle sementi e dei materiali vegetali da riproduzione da parte dei produttori biologici italiani. Il comitato - sottolinea la nota - si è posto lo scopo prioritario di attivare tutte le attività necessarie a garantire alle aziende produttrici le sementi e il materiale vivaistico certificato come biologico. Il comitato ha inoltre stabilito come seconda priorità per il progetto la risoluzione della criticità per la zootecnia biologica, della presenza di soia di mais contaminati da ogm nei concentrati e mangimi destinati alla alimentazione del bestiame. (da Bioagricultura Notizie - luglio 2009) SOLO GLI SCARTI Immaginate di avere fame, di non avere un quattrino e di non poter chiedere un prestito. Immaginate, in altre parole, di essere in una città sconosciuta a caccia di cibo. All'elemosina c'è un'alternativa più dignitosa, mostruosamente ovvia, sorprendentemente rivoluzionaria: andare al supermercato. O meglio, andate nel retro del negozio a scoprire, fra i cassonetti dell'immondizia, i tesori di una silenziosa tragedia quotidiana. Tonnellate di prodotti alimentari assolutamente commestibili sono gettate via, ogni sera, in tutto il mondo occidentale. Nel pomeriggio di un giorno qualsiasi in uno dei tanti Waitrose - catena up-market britannica - nella campagna del Sussex, non troppo lontano da Brighton, abbiamo fatto la spesa fra i rifiuti per almeno 100 euro mettendo in fila: tre confezioni di formaggio cheddar organico grattugiato, un ananas, fette di tacchino bio, una confezione di panna, quattro pizze, due sandwich con humus, un pacco di pan carrè, due chili di carote, due di zucchine, uno di cavolfiori, mezzo chilo di salsicce, verdure tagliate e confezionate, un pollo satay, mezzo chilo di carne trita, un salamino italiano e due mazzi di gladioli non ancora fioriti. Tutto perfettamente confezionato, scaduto da 24 ore oppure in scadenza quel giorno stesso o nei mesi a venire. Tutto commestibile, eccezion fatta per la carne trita di inquietante pallore. L'ananas era perfetto, gusto intenso, sapore allappante. Provato per credere. «Non è andata molto bene. Questa è una spesa mediocre. Da Spitafield, a Londra, sono tornato a casa con 25 cesti di mango delizioso. Il cassonetto aiuta la maturazione». Tristram Stuart, 32 anni, una laurea a Cambridge, militante Freegan, ovvero divoratore di quanto è gettato via, per scelta ecologista e non politico-ideologica, si concede a farmi da guida nel mondo della spazzatura. Setacciamo insieme il pattume sotto gli occhi del tutto disinteressati dei passanti, che vanno a comperare quello che domani Tristram raccoglierà gratis. Affonda fino ai gomiti, si fa largo, scava e, reperto alla mano, commenta. «Prendiamo questo salame italiano. È stato distrutto un pezzo di foresta amazzonica per far crescere la soya, importata in Europa e usata per sfamare i maiali, poi macellati, lavorati, insaccati, messi in vendita. E buttati via». Tristram ama le immagini forti e, sicuramente, le esemplificazioni, ma siede su un vulcano di dati complessi e di grande impatto messi in ordine in anni di lavoro per dare a una sensazione diffusa - quella dello spreco alimentare - la certezza dello scandalo planetario. Da un terzo a metà del cibo dell'Occidente, sostiene, è gettato via nella lunga filiera che muove dalla produzione per finire nelle dispense dei consumatori. Che le arance in Sicilia e i pomodori in Spagna siano sempre distrutti è noto; che le patate deformi o le mele nane siano spesso eliminate è fatto quasi risaputo; che i supermercati mandino agli inceneritori migliaia di tonnellate di alimenti pronti per la tavola, molto meno…………………..continua a leggere questo articolo cliccando QUI (dal Bollettino Bio Greenplanet - luglio 2009) LIBERIA, SBARCANO I PIRATI DELLA MALESIA sono sempre loro, i gangster del taglio illegale. sono sbarcati in Liberia e hanno fatto bottino: di foreste. Due imprese legate al gigante malese del legno Samling, si sono aggiudicate appetitose concessioni forestali di ben 25 anni, grazie a provvidenziali leggerezze nella gara di appalto. Lo fa sapere Global Witness, con una documentata denuncia alle autorità liberiane. Usando un sistema di scatole cinesi, la Samling è riuscita a fare banco di una buona fetta di foreste liberiane. Si è presentata infatti con due imprese, la Southeast Resources Limited e la Atlantic Resources Limited, che possiede attraverso due consociate (rispettivamente Woodman, e Perkapalan Damai Timar (PDT). La Liberia è ancora in fase di ricostruzione dopo un'aspra guerra civile, che aveva visto il settore del legno coinvolto nel conflitto. Le nuove norme dovrebbero prevenire l'intreccio di corruzione e criminalità che aveva alimentato la guerra civile, ma i baroni del taglio illegale continuano a infiltrarsi, grazie a compiacenti disattenzioni. "L'industria del legname ha giocato un ruolo chiave nel finanziare il conflitto in Liberia, lasciare questo settore in mano a imprese con lo stessa attitudine predatoria, rischia di avere conseguenze catastrofiche - ha commentato Natalie Ashworth, di Global Witness - La Samling è il tipo di impresa che non dovrebbe essere lasciato libero di operare in questo contesto, è la scelta peggiore”. Global Witness ha già dimostrato in passato come la Samling si rifornisse di legname illegale prelevato nel mezzo di un santuario faunistico in Cambogia. Anche in Papua Nuova Guinea e Guyana, l'impresa si è ritrovata coinvolta in casi di taglio illegale. In Malesia invece si è resa nota per le sistematiche violazioni dei diritti degli indigeni Penan. "Ci sono ben poche prove sulla capacità dell'industria forestale di creare sviluppo e ridurre la povertà nei paesi tropicali. Se il governo liberiano ha deciso di cedere le proprie foreste a questa industria, devrebbe almeno assicurare l'esclusione delle imprese con un documentato passato di illegalità, corruzione, conflitti e devastazioni" ha concluso Ashworth. (da Promiseland News - luglio 2009) L'INCURIA CHE UCCIDE I BOSCHI D'ESTATE Tempo di vacanze. Banale ma vero. Milioni di europei del centro e nord Europa trasmigrano verso sud: la Spagna, la Grecia, l'Italia, la Turchia, l'Egitto, il Marocco, la Tunisia, le isole mediterranee. E cosa succede? Succede che laddove ci sono ancora un po' di alberi, della bella e profumata macchia mediterranea, scoppiano puntuali, con le alte temperature estive, gli incendi. Banale, dunque, ma neanche tanto. Perché le vacanze, nonostante la crisi, restano un impressionante fenomeno di massa. E gli incendi? Una parte di essi sono sicuramente legati alla mancanza di educazione ambientale dei turisti: mozziconi di sigarette gettati nei boschi dal ciglio delle strade o nei campeggi, fuochi accesi senza la necessaria esperienza durante un pic-nic e magari non spenti come si deve. Provocare l'incendio di un bosco sotto il sole di fine luglio e d'agosto è troppo facile se non c'è educazione ambientale. Ma è anche troppo dannoso. Un piccolo gesto può provocare un'impressionante escalation di danni. Negli ultimi giorni spaventosi incendi hanno incenerito grandi superfici boschive in Sardegna e Corsica, in Spagna e in Grecia. Sei vigili del fuoco sono morti in Catalogna. Case incenerite e animali bruciati in Sardegna. Gli uomini che hanno subìto danni materiali si scagliano contro le autorità; i boschi, dopo il crepitìo delle fiamme, con la fauna annientata o fuggita, i tronchi ridotti a neri moncherini, restano ammutoliti in un silenzio di tomba. Per l'ecosistema mediterraneo è, sia pur su scala minore, una ecatombe. I giornali puntualmente si chiedono di chi sia la colpa. Ma mai nessuno che parli della necessità che si faccia più spesso, in questa Europa che si ritiene tanto civile, una seria educazione ambientale. La causa di fondo è spesso proprio lì: in un turismo che non si pone problemi e genera tragedie, come la morte di un bosco. (dal Bollettino Bio Greenplanet - luglio 2009) BICI E PUNTI DELLA PATENTE: LA SALITA DOPO LA DISCESA Ritiro della patente per chi infrange il codice della strada in bici. Può essere questo il risultato estremo del disegno di legge sulla “sicurezza pubblica” varato dal Senato. Pochi giorni fa il Senato ha varato un disegno di legge che comporterà la sottrazione di punti della patente automobilistica ai ciclisti che non rispettano il codice della strada. Dopo il bike-sharing e il Pony express in bici, ecco che il mezzo di trasporto a due ruote fa qualche passo indietro. Chiunque, muovendosi in bici, infranga il codice della strada, rischia la perdita di punti o addirittura il ritiro del certificato di idoneità alla guida. Una sanzione accessoria che riguarda soltanto chi possiede la patente di guida. I ciclisti che non hanno mai tenuto in mano un volante, invece, non rischiano niente, se non una multa. Ma c’è da meravigliarsi se i ciclisti imboccano le strade contromano salendo anche sul marciapiede? In realtà non rispettano le regole di un gioco a cui non possono onestamente partecipare, perché in pratica non sono previsti. Si trovano in bilico tra automobili e pedoni: a volte invadono i diritti di questi ultimi, ma spesso rimangono incastrati tra tubi di scappamento e clacson. Possono scegliere tra maratone con macchine che sfrecciano ai loro lati o passeggiate a suon di campanellino e lamentele sui marciapiedi. Einstein in bicicletta Nonostante queste difficoltà, la quota di chi fa uso frequente della bici è quasi raddoppiata dal 2002 al 2007: essa rappresenta ormai un mezzo di trasporto per il 23,5% degli italiani (Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti). Un fenomeno in crescita che sembrava potersi espandere anche grazie a due novità dell’ultimo anno, come il bike-sharing e, persino, il corriere a pedali. Si tratta del Pony express in bicicletta che, già attivo a Londra, Parigi, New York, Sydney e Tokyo, quest’anno è giunto anche in Italia. Questo servizio effettua ritiri e consegne di pacchetti contenenti libri, dvd, orologi, chiavi, medicinali per studi professionali, negozi o privati. Tempi e prezzi degli Urban Bike Messengers sono uguali a quelli dei Pony express motorizzati, ma senza l’inquinamento acustico e atmosferico. Anche se nel traffico delle città non si notano molto, gli Urban Bike Messengers sono ormai tanti e i suoi ideatori si dicono soddisfatti. Trattandosi di un lavoro nuovo e semplice da svolgere, in molti hanno colto l’occasione per sottrarsi alla crisi. Il sistema ha quindi preso piede non solo a Milano e a Roma, ma anche in città più piccole come Lugano. Dunque, per la bici come mezzo di trasporto in Italia è un continuo saliscendi. Alle lente conquiste segue qualche sconfitta. È vero che di ciclisti contromano e sui marciapiedi se ne vedono tanti, ma il traffico e la mancanza di piste ciclabili non lasciano molte alternative. A Milano, ad esempio, nonostante il bike-sharing, il Pony express in bici e le restrizioni nella zona ecopass, il mezzo largamente dominante rimane la macchina. Come afferma Roberto Peia, uno degli ideatori di Pony express in bici: “Milano è piatta e piccola, l’ideale per muoversi in bicicletta, se non fosse per le auto”. (dalla Newsletter di Terranauta - luglio 2009) Vogliamo terminare il leggerezza, e Vi proponiamo “Spaghetti di cetriolo e sedano, con cacioricotta e menta”, proprio un piatto estivo e fresco: cliccate QUI per visualizzare la ricetta ___________________________________________________________________ Informiamo tutti i nostri lettori che ci prendiamo una settimana di pausa: saremo di nuovo con voi a metà agosto……ancora buona lettura e buone vacanze a tutti!!