Comunicazione visiva Il corso di Comunicazione visiva di quest
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Comunicazione visiva Il corso di Comunicazione visiva di quest
Università di Bologna - Dipartimento di Filosofia e comunicazione a.a. 2013/14 - 1ª settimana per le lauree di Scienze della comunicazione (6 cfu), DAMS (6 cfu integrati, assieme a 6cfu del corso di Analisi della comunicazione visiva nel corso di Filosofia del linguaggio C.I. di 12 cfu) Comunicazione visiva Il corso di Comunicazione visiva di quest’anno è su Far vedere / Grafica, immagini, foto di persone, di eventi, di architettura. Gli studenti DAMS per la parte di Filosofia del linguaggio devono vedere il programma del corso Filosofia del linguaggio (1). Testi/Bibliografia Massimo Hachen Scienza della visione (Milano Apogeo 2006). William A. Ewing Faccia a faccia (Milano Contrasto due 2011). S. Rossi e M. Sordi Lo spazio visivo della città (Alinea Firenze 2006). Inoltre, i materiali del corso, messi settimanalmente on line. Metodi didattici Oltre alla lezione frontale, gli studenti saranno richiesti di leggere alcuni testi e di discuterne pubblicamente. Modalità di verifica dell'apprendimento La prova d'esame consiste nella compilazione di un paper (una tesina) lungo tra le 1750 e le 1850 parole, o tra gli 11 e i 13mila caratteri, tutto compreso, nome, cognome, corso di studio, titolo, bibliografia. Il paper mi va inviato per posta elettronica al massimo 7 giorni prima dell'appello a paolo.leonardi ::at:: unibo.it. L'argomento del paper va concordato preventivamente con me, anche per posta elettronica. L’argomento è a libera scelta, ma la presentazione e l’analisi deve usare i testi e i materiali del corso. In alcuni casi, oltre alla tesina ci sarà anche un colloquio orale. La tesina deve usare almeno 4 immagini scattate dallo studente (con indicazione della data e dell'ora dello scatto, nonché del luogo) o grafici da lui realizzati. La qualità dell’impostazione grafica del paper stesso è parte della valutazione d’esame. Strumenti a supporto della didattica Lezione frontale. Materiali e appunti disponibili on line. Tutti i materiali, le prove d'esame e gli avvisi si trovano al seguente URL: 2 http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/index.html Orario di ricevimento Consulta il sito web di Paolo Leonardi Ecco il calendario del corso: 18 novembre 19 20 25 26 27 2 dicembre 3 4 9 10 11 16 17 18 Presentazione generale del corso Aspetti grafici 1: Edward Tufte Aspetti grafici 2: Giovanni Lussu Scienza della visione 1 2 3 4 Ritrarre una persona 1 2 3 Ritrarre una città 1 2 3 Lezione di Giorgia Aiello Conclusioni Nel mio sito personale, http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/index.html, trovate un link a una pagina che dice cosa mi aspetto dai vostri paper. Innanzitutto, mi aspetto che siano ben scritti. In tutti i vostri corsi di laurea la conoscenza dell’italiano è il punto centrale, quello che il mondo si aspetta da voi una volta laureati è che scriviate e parliate bene. Per scrivere e parlare bene c’è un solo metodo: scrivere ogni giorno una pagina almeno, e curare quello che si dice, stare attenti alla propria precisione sintattica e lessicale. Un paper con più di 5 errori di italiano è da riscrivere, cioè passa all’appello successivo. Oltre alla presentazione del programma, che quest’anno è meno focalizzato che negli anni scorsi, ma più strutturato toccando diverse parti importanti della comunicazione visiva, e non una sola, vorrei soffermarmi oggi su un punto particolare, che è molto rilevante nel momento dell’esame. Da quest’anno ho deciso che non solo dico, ma 3 davvero valuto la impaginazione delle tesine. L’aspetto visivo comincia dalla scelta del carattere, qualità e corpo, dalla spaziatura, dai rientri, dal rapporto più in generale fra spazi bianchi e spazi colorati (neri, o neri e a colori, o a colori) in una pagina. Indicare il proprio nome e cognome, e la propria affiliazione. Numerare le pagine. Usare gli stili. Attenzione a caratteri. I caratteri a bastoncino vanno bene per manifesti, internet, titoli; i caratteri con grazia per i testi. Fare attenzione al colore dei caratteri, all’uso di corsivi, grassetti, sottolineato. Un testo che si suppone sia letto per intero non contiene grassetti. Un testo con grassetti consente una lettura diciamo sommaria. Attenti a come disporre il titolo, come disporre un titoletto. Una tesina non è una tesi e non è un libro, Non contiene perciò capitoli, ma solo paragrafi. I vostro deve essere un testo con immagini. Perché aggiungere un’immagine a un testo? (Perché aggiungere un testo a un’immagine?) Ci sono due tipi di immagini, e un numero infinito di tipi misti più o meno vicini a uno di quei due tipi: ci sono immagini indicatrici – nel giornale c’è un articolo che parla di Giorgio Napolitano, e c’è una foto d’archivio del Presidente che accompagna, ovvero segnala, che c’è un articolo che lo riguarda. Ci sono immagini che narrano. C’è stata un’alluvione in Sardegna. Foto del disastro e dei disagi, foto che testimoniano a chi non è in Sardegna cosa è successo. Le immagini dei tipi misti indicano e accennano a qualcosa. Una foto di Napolitano che presenzia all’evento di cui si narra. Come disporre le immagini in un testo. Mettere o non mettere una didascalia. Idealmente le immagini sono motivate e si trovano dove si hanno da guardare. (Come i saluti, che si fanno all’inizio e alla fine di un incontro, o come le storie che si introducono e si commentano.) La qualità di un’immagine. Non si presenta un’immagine di bassa qualità se non c’è un motivo visivo per farlo. Questi sono i due libri di Tufte da cui traggo i materiali che vediamo oggi. Edward R. Tufte Envisioning Information (Cheshire CO Graphics Press 1990). Edward R. Tufte Visual Explanations (Cheshire CO Graphics Press 1997). Tufte esamina molto a lungo due casi che non presenterò qui: gli schemi attraverso i quali il dottor John Snow comprese cosa aveva originato a Londra nel 1854 l’ultima epidemia di colera e il naufragio della navicella 4 spaziale Challenger il 28 gennaio 1986 (l’anno di Chernobyl). Per Tufte un buon grafico deve sfruttare elementi visivi di processazione automatica: direzione, forma, dimensioni e colore. Il grafico deve essere organizzato per esplorare una correlazione ritenuta rilevante e far vedere se c’è o non c’è. Deve correlare un numero di dati significativo (superiore a 20). Allora consentirà, come nessun altro sistema di rappresentazione, di cogliere dati e correlazioni in un colpo d’occhio, senza dover ricorrere a memoria e controlli incrociati, su pagine diverse e in momenti diversi. Inoltre consentirà di discutere i dati esplorandoli tutti insieme, con un colpo d’occhio, esattamente come si può discutere una stessa scena guardandola insieme. Il grafico diventa così uno stesso oggetto manipolabile pubblicamente da persone diverse. Il processare automaticamente un grafico, perché oggetto visivo – che è uno dei suoi pregi – fa sì che risulti difficile mettere in questione le evidenze che ci propone. Vediamo adesso alcuni grafici: 5 6 Questo grafico sarebbe perfetto se anziché presentarci i morti da cancro in cifre assolute per contea, ce li presentasse in tot su mille, perché allora terrebbe conto del fatto che alcune contee sono più abitate di altre, fatto che può rendere un certo numero assoluto di morti proporzionalmente pochi rispetto ai decessi di contee assai meno popolose. Quest’altro diagramma, dovuto a Charles Minard rappresenta l’itinerario e il numero dei soldati dell’Armata francese che invase la Russia nel 1812-13. Riporta, inoltre la temperatura. Il colore chiaro indica il percorso di andata, dal confine polacco a Mosca, e quello in nero il percorso di ritorno. Nel grafico, in basso, sono indicate anche le temperature registrate in alcune località durante la ritirata. Il terzo diagramma invece mostra l’inquinamento a Los Angeles e dintorni dovuto a diversi agenti in diversi momenti del giorno e della notte. Si tratta di un grafico realizzato col computer con rappresentazione 3d. (Più di 28 mila dati.) 7 Il quinto grafico è di E.J. Marey che, nel 1885, rappresenta la tabella di marcia dei treni sulla Parigi-Lione e sulla Lione-Parigi. Nel grafico successivo è stato aggiunto il TGV Parigi-Lione. Il grafico rende sia le soste che la velocità. 8 Questo grafico invece riassume la metereologia di New York per l’anno 1980. Temperature, pioggia, umidità. E la confronta con le medie stagionali. (Più di 21 mila dati.) Ecco infine alcuni grafici scorretti. Il primo mostra l’andamento per il 1976 e 1977 e primi sei mesi del 1978 del turismo via agenzie di viaggio, com’è scritto in piccolo sulle prime tre barre. Ma il punto è che si tratta di un confronto impossibile che suggerisce una crisi che non c’è. 9 Anche questo grafico mente. Le dimensioni relative di un grafico devono rispettare le dimensioni relative dei dati che riporta. Qui un aumento del 708% è rappresentato con un aumento di area del 6700%. 10 I grafici sfruttano la percezione visiva (automatica e più rapida) per trasmettere informazioni, per comunicarle, usando codifiche figurative ad hoc. Un’immagine varia tra due estremi, lo specchio e la mappa. Una foto senza effetti sarebbe il massimo dello specchio. Gombrich, e Goodman, ricostruiscono entrambi l’arte come un processo di, se pure parziale, mappatura, dove la codifica dipende dallo stile, culturale o personale. Ma, naturalmente, ci sono anche le mappe, che sono oggetti visivi specialissimi. Le mappe prototipiche sono quelle geografiche. Incomprensibilmente, è solo nel ‘700 che si sviluppano diagrammi e teorie dei diagrammi che mappano dati diversi da quelli spaziali. Istogrammi, diagrammi a barre, “torte”, diagrammi a dispersione, aree, ecc.. Più recentemente, con l’aiuto del computer, si sono realizzati diagrammi ancora più complessi, con volumi a tre dimensioni per esempio. Come ogni mappa, un diagramma è qualcosa che può servirci ad orientarci, ma se è fatto male può conseguire l’effetto opposto, e farci perdere. C’è dunque un problema molto complesso di progettazione e di scelta rispetto ai dati che si vogliono mostrare e a cosa si vuole capire e far capire dei dati che si codificano nel diagramma. Yu ji tu (I sentieri di Yu) 11 Costa della Cina, carta del National Geographics Sopra due mappe fatte a mille anni di distanza l’una dall’altra. Torniamo a Tufte. Tutti gli esempi che presenterò, tranne alcuni raffronti, sono tratti da Visual Explanations di Tufte. Ciascuna immagine ci insegna qualche aspetto di cui possiamo tenere conto nelle nostre scelte, oltre ad alcune soluzioni davvero inventive, oppure qualche errore che possiamo commettere nelle nostre scelte di comunicazione visiva. Le immagini utilizzano foto, disegni, grafici, ecc., e in complesso danno alcune risposte alla domanda: cosa possiamo mostrare con un’immagine? La scelta di un’immagine va sempre fatta con cura. Un’immagine può essere collocata nel tempo o nello spazio da un’etichetta, che può essere interna all’immagine, o esterna a essa – una didascalia come “Fontana” nell’opera omonima di Duchamp – da una codificazione interna all’immagine stessa, per esempio da un landmark che ne fa parte, come che so le due torri, per indicare Bologna, o dalla presenza di elementi scalari, come un uomo, che ci consente di prendere le misure al resto, o una serie congruente di modelli di automobili degli anni ’60, che ci consente di collocare la foto come una foto di quegli anni. Il più famoso, e più drammatico, esempio che ricordo di etichetta interna all’immagine è la foto di Aldo Moro prigioniero delle Brigate Rosse con in mano Repubblica che 12 “provava” che Moro era vivo il giorno in cui quel numero del quotidiano è uscito. La foto qui di seguito etichetta l’ora in cui è stata ripresa con l’orologio sul mezzogiorno, codifica l’ora con le ombre da sole allo zenit, e contiene elementi scalari, nelle macchine, anni ’60, e nei carri armati sullo sfondo. Praga agosto 1968! Josef Koudelka The Urge to See Se mostrate oggetti le cui misure non sono note, potete farlo con successo mostrandoli tutti insieme nella stessa scala, come in questo catalogo di opere di Giacometti (realizzato da Herbert Matter). Il catalogo funziona 13 molto bene perché sullo sfondo c’è una griglia che indica le grandezze reali, in pollici, delle diverse opere. Dato questo riportato anche inutilmente nel testo. (La prima scultura a sinistra, per esempio, è alta circa 45 cm, la scultura più alta, Uomo che cammina, è di circa 178 cm Questo effetto c’è anche nel murale di Lichtenstein che mostra, in proporzioni corrette rispetto alla grandezza del murale, una scala con un uomo (che finisce il murale stesso) oltre alla finestra. Roy Lichtenstein Mural with Blue Brushstroke 14 L’esempio che segue mostra sempre una quantità, o una proporzione, in un’immagine. La cosa interessante è che mostra l’ampiezza di scala musicale dei diversi strumenti musicali, cioè traspone visivamente un elemento acustico. Qui la scala di raffronto è offerta dalla tastiera del pianoforte, in basso. John R. Pierce The science of musical sound Questa immagine presenta una serie di fotografie di quattro famosi collaboratori di Nixon (John Mitchell, H.R: Haldeman, Charles Colon e John Erlichman), scattate nel 1974, quando la polizia li fermò. Le foto ci 15 offrono esempi di etichettatura interna per la scala in piedi e pollici sullo sfondo che ci consente di misurare l’altezza di ciascuno dei quattro. Purtroppo, le scale non sono identiche e quindi non abbiamo un confronto immediato, per esempio, fra Mithcell, il primo a sinistra, e Haldeman, il primo a destra. Questo è più alto ma la scala ridotta della foto a destra rispetto a quella a sinistra, ce lo fa sembrare più basso dell’altro. Le tre foto per soggetto, inoltre, lo impongono alla nostra attenzione, permettendo un’integrazione di punti di vista e producendo un effetto tridimensionale. La postura evidentemente obbligata – nessun gesto, nessuna mimica, nessuna concentrazione né su altro né su di sé, e dunque forte spersonalizzazione imposta ai soggetti, rendono le pose umilianti. Adesso vorrei soffermarmi su un’altra forma di raddoppiamento, anzi di triplicazione, che integra foto, disegno e testo (didascalia) risolvendo in maniera efficacissima la costruzione di una mappa prima e di una legenda poi che consenta di individuare ciascuno dei personaggi fotografati (146 persone!). Certo, ci si poteva servire solo di una didascalia che, riga per riga, elencasse le persone ritratte, partendo da sinistra a destra. Ma chi guarda avrebbe quasi sempre dovuto contare personalmente le diverse posizioni e i 16 diversi nomi elencati per ricuperare il nome della persona che lo interessava o, viceversa, il suo volto. Il disegno interposto fra foto e didascalia risolve il problema riproducendo le sagome dei volti e inserendo un numero all’interno del volto cui nell’elenco della didascalia fa corrispondere il nome della persona. Il disegno è costruito come una mappa non solo perché selezione dalla realtà della foto solo la reciproca disposizione dei volti, ma perché semplifica iol problema della corrispondenza fra foto e disegno indicando alcuni volti che spiccano di più nella foto aggiungendo al disegno della sagoma del volto il disegno dell’elemento che fa notare meglio quel volto. Un cappello, la sagoma dei capelli, il pizzetto, ecc. (guardate, per esempio, 7, 47, 91, 135). 17 Le prossime due immagini sono l’originale di How to look at Things through a Wineglass di Adrein Hardt e un suo rifacimento dello stesso Tufte. Il confronto mostra non solo come riprodurre con tratti di matita il colore può in certi casi sporcare un effetto, renderlo opaco, ma soprattutto come l’aggiunta delle cornici appesantisca l’immagine. Le cornici occupano il 40% dello spazio che occupano le immagini che riquadrano, stancando l’occhio, avvicinano le immagini, non aggiungono informazione e rendono più uniformi i diversi punti di vista che Hardt vuole presentare con i suoi diversi bicchieri, quasi tutti nello stile di qualche artista figurativo famoso. 18 Infine, ecco una mappa delle correnti di musica rock e della quota (complessiva) di vendite sul mercato discografico negli anni dal 1955 al 1974, mi pare. Le diverse correnti sono separate da contorni più marcate. I cantanti e i complessi più importanti sono in neretto e la loro rilevanza è enfatizzata dallo spazio che occupano nella corrente di questo fiume musicale dalla portata crescente, robusto e impetuoso. Si notino gli elementi quantitativi (anno e percentuale del mercato dei dischi), oltre agli elementi quantitativi simbolici (contorni e neretti) e agli elementi più imprecisamente simbolici (portata del cantante o del gruppo) si noti inoltre la fine di singole “scuole” e la nascita di altre. Infine, non si perda l’elemento metaforico del fiume, che ha la direzione del tempo e che, per la scala verticale della percentuale di mercato (la scala ha come massimo l’85%) arriva ad assumere la forza di un fiume in piena che travolge tutto il resto non lasciando emergere alla fine quasi niente altro. 19 Ecco alcuni principî, suggeriti da Tufte, per la realizzazione di grafici e diagrammi. Minimizzare distinzioni visive, ma curare che siano chiare ed efficaci. I multipli rappresentano naturalmente un confronto, l’essenza del pensiero statistico. I multipli danno profondità visiva. I multipli aiutano ad analizzare, confrontare, differenziare, decidere. I multipli rappresentano sequenze di movimenti. I multipli intensificano il significato delle immagini. L’eccellenza grafica è + mostrare i dati + indurre chi vede a pensare alla sostanza del problema e non a elementi o metodi grafici + non distorcere ciò che i dati dicono + presentare molti numeri in uno spazio limitato + rendere coerenti grandi insiemi di dati + incoraggiare il confronto visivo fra dati + rivelare diversi livelli nei dati, da quelli generali a quelli di dettaglio + descrivere, esplorare, mettere in tabella i dati + integrare il materiale con descrizioni statische e verbali. 20 L’eccellenza grafica è: - la presentazione ben progettata di dati interessanti – una questione di sostanza, statistica e progettazione; - idee complesse comunicate con chiarezza, precisione e efficacemente; - dare a chi guarda il maggior numero di idee nel più breve tempo possibile con un minimo di inchiostro e occupando meno spazio possibile; - sempre multivariata; - dire la verità sui dati. Il numero delle dimensioni che trasmettono informazione non deve essere maggiore del numero delle dimensioni dei dati. Non citare dati fuori contesto. (74) La rappresentazione di numeri, misurati sul grafico, dovrebbe essere proporzionalke alle quantità rappresentate. Etichette chiare, dettagliate e complete dovrebbero evitare distorsioni e ambiguità. Aggiungere spiegazioni al grafico e etichettare elementi importanti all’interno della presentazione. Mostrare variazioni nei dati non del progetto grafico. Quando si parla di denaro, usare unità deflazionate e standardizzate e non unità nominali. Proporzione dell’inchiostro: inchiostro usato per illustrare i dati -------------------------------------------inchiostro totale usato nel grafico Soprattutto mostrare i dati. Massimizzare la proporzione di inchiostro che illustra i dati, non senza rifletterci su. (Tufte p.96) Eliminare inchiostro che non riguarda i dati, non senza rifletterci su. Elimnare inchiostro ridondante nell’illustrare i dati. Rivedere e correggere. 21 Sulla grafica di un testo qualunque. Se guardo la maggior parte dei testi che mi arrivano – da colleghi, da uffici, da studenti – sono spesso visivamente brutti. Quelli degli studenti meno di quelli degli altri. Cioè qualche studente cura quello che fa. I docenti poco. Gli uffici quasi mai. Come cercherò di mostrarvi con l’annuncio di Fontana Arte, che vi proporrò fra poco, l’impostazione grafica di una pagina è importante, perché la lettura costa fatica. Non solo, come è certo il caso per questo annuncio, può essere che qualcuno o molti lettori non leggano tutto, ma la lettura va guidata, in modo che ciò che ci sembra saliente lo sia anche per chi legge, e perché il compito di questi sia piacevole. Ora una prima cosa che dice Giovanni Lussu (in La lettera uccide Viterbo Stamoa alternativa 1999) mi sembra estremamente importante. La scrittura si vede. Vediamo ordine, nervosismo, passi salienti, puntigliosità, tutto piatto, un testo che ci lascia spazio e uno che ce lo preclude, ecc. In un libro questo è quasi sempre responsabilità unicamente dell’editore; in un paper che ricevo in allegato, è invece merito, o colpa, dell’autore. A me non piace affatto il Times New Roman. Gusti. Il fatto che circa l’85% dei testi che ricevo siano in Times New Roman, però, non dipende dal gusto di chi me li manda, ma dal fatto che questo è la font di default di Word e chi prepara il testo semplicemente non ci pensa. Visto che ho cominciato con i caratteri, andrò avanti su questo tema. Lussu propone un bellissimo test per controllare la leggibilità di un tipo di carattere. 22 23 Lussu 1999: p. 76 24 Lussu, poi, racconta un po’ di storia dei caratteri, facendo notare come invenzioni recenti siano meno recenti, come ci sia un mercato dominato anche qui da alcuni grandi produttori, e soprattutto come i caratteri siano qualcosa che merita un rispetto grafico proprio – per esempio, che non possano essere felicemente impostati importando uno stile di successo altrove, mettiamo in architettura, come nella Bauhaus. Ora, non sono del tutto sicuro che questo sia vero. Ci sono caratteri art nouveau o art déco che a me sembrano felicissimi. È però vero che i caratteri devono funzionare loro, e che non è detto che uno stile di arredamento possa ispirare felicemente un disegnatore di font. C’è una cosa, poi, che Lussu non dice, e una che nota solo tangenzialmente. La scelta dei caratteri dipende dal tipo di testo. Un manifesto accetta caratteri che in un paper accademico non vanno bene, e viceversa. In un manifesto si legge poco, e per questo la linearità grafica, o l’eccesso di fronzoli, all’opposto, possono andare benissimo. In un testo, nessuna di queste due scelte va bene. Ecco alcuni esempi di manifesti. Quasi perfetto, o perfetto. Caratteri senza grazia, ma morbidi perché arrotondati, ottimo contrasto, ben colorato, 3 livelli di lettura. Evento, artisti, chi quando. Ma dove? Si tratta di un manifesto o di una cartolina? Comunque, dove? 25 Qui i caratteri con grazia nn permettono una buona lettura. Il testo a destra “balla”. 26 Troppe cose per un manifesto solo. Si legge solo se ci si ferma davanti per almeno un minuto. Perché sopra il giorno e l’ora e sotto il luogo. Caratteri con grazia, ahi. DI suo “ingresso libero” si leggerebbe bene ma è sovrastato dal rosso di ‘K.I.T.E.’. 27 I due terzi superiori vanno bene. Sotto è confuso e si legge male. Caratteri con grazia, ahi! 28 Perfetto – il non manifesto. 29 Troppo pieno, non si legge tutto, “Rifondazione” torna tre volte (logo compreso). ‘Diversi davvero’ “balla” perché i caratteri non sono bene in riga. Il logo è confuso perché parla di troppe identità. Il partito comunista, la sua rifondazione, la sinistra europea, l’Italia (ci sono i colori della bandiera). 30 Mah. I caratteri scelti fra i peggiori. Un manifesto troppo vuoto. 31 Per metà, ottimo. Mostra però Vendola scomposto (per l’effetto fotografico del manone) e in una posa di resa. Logo confuso. 32 L’eccesso di disegno obbliga a contornare di bianco l’esclamazione ?Ora vivono nelle riserve!’ Il logo mostra l’usura dei loghi, perché mette insieme Alberto da Giussano, simbolo leghista, la rosa celtica, il nome ‘Padania’ il nome ‘Bossi’. Per nessun movimento o istituzione è bene bruciare così rapidamente i propri simboli. 33 Leggo “Oasi di Bellezza nel mese di ottbre”. Se tiro gli occhi, leggo abbastanza del resto. Ma faccio fatica, perché ci sono carattri con grzia, troppo piccoli o con un contrasto troppo limitato. L’unica cosa che ricordo davvero sono gli occhi, soprattutto quello velao che compare nel secondo raddoppio sulla destra. 34 Perfetto, logo a parte cui si aggiunge fuori ‘con Bersani Presidente’. 35 Manifesto personalizzato. Renata (Polverini – il cognome non c’è!) e il lettore (‘con te’) e poi insieme ‘facciamo’. 36 Questa è la copertina di un libro, che però non sembra affatto mostrare un manifesto, ma al massimo una vignetta. 37 Le icone che trovate in Windows o nel Mac, sono pittogrammi. Le icone di molti cartelli e segnali, sono pittogrammi. L’idea generale è che i pittogrammi siano elementi di una lingua universale, o almeno più universale, dell’inglese o del latino. Nel 1936, Otto Neurath (1882-1945), pubblicò un volumetto, a Londra, da Kegan Paul, intitolato International Picture Language. Neurath era un filosofo austriaco, tra gli esponenti di punta dell’empirismo logico, fondatore del movimento per l’Enciclopedia della scienza unificata, che studiava tutti i problemi che c’erano per arrivare a esprimere la conoscenza scientifica, e idealmente per esprimerla in un’unica lingua (Wittgenstein avrebbe potuto commentare che non era afftto un problema, in quasi tutti i paesi tutta la conoscenza scientifica è espressa in una lingua, in Austria e in Germania in tedesco, in Italia in italiano, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti in inglese, ecc.). International Picture Language pubblicizzava una lingua pittografica, il cui modello verbale era il Basic English (un inglese essenziale di 850 vocaboli inventato, nel 1930, da uno psicologo, C.G. Odgen (uno dei due traduttori del Tractatus Logico-Philosophicus ed. del 1922). La “lingua” pittografica di Neurath si chiama ISOTYPE (International System of TYpographic Picture Education). Neurath aveva in mente due cose, che erano collegate fra loro per un progetto cui aveva lavorato, e cioè le icone segnaletiche e i diagrammi. Il progetto cui aveva lavorato erano i musei, cioè strutture educative in cui fornire delle spiegazioni che fossero comprensibili a persone che non condividevano una lingua naturale. Ecco alcune delle convinzioni di fondo di Neurath, su questo argomento: Mostrare un’immagine è fare un lavoro che comporta maggiori responsabilità che fare un’affermazione, perché le immagini hanno un effetto e una durata maggiori. (O. Neurath International Picture Language, p. 15) Un segno in cima a una lista di numerici rende quasi indipendenti dalla conoscenza della lingua, perché le immagini, i cui dettagli sono chiari a tutti, sono liberi dai limiti della lingua: sono internazionali. LE PAROLE DIVIDONO, LE IMMAGINI CONNETTONO. (O. Neurath International Picture Language, p. 18) 38 figura 4 (O. Neurath International Picture Language, p. 21) Non è possibile esprimere in una parola ogni parte di un’immagine del genere o in un’affermazione ogni gruppo di parti. Il parallelo in una lingua normale di una ‘lingua per immagini’ completa è un gruppo complesso di affermazioni; e una spiegazione a parole di ciò che c’è in un gruppo di immagini di una lingua per immagini riempirebbe un libro. Il senso di ogni parte di queste immagini dipende dal senso dell’immagine completa e dalla sua relazione alle altre pareti dell’immagine. Come le parole esse sono usate sempre di nuovo per fare affermazioni assai diverse. Leggere una lingua per immagini è come fare osservazioni guardandosi attorno nell’esperienza quotidiana: ciò che possiamo dire di una lingua per immagini è molto simile a ciò che possiamo dire di altre cose colte guardando. Per esempio: un essere umano ha due gambe; l’immagine che rappresenta un essere umano ha due gambe; ma il sintagma ‘essere umano’ non ha due gambe. 39 Ma gli usi di una lingua per immagini sono molto più limitati di quelli delle lingue normali. Non ha le qualità adatte allo scopo di scambiare di opinioni, di esprimere sentimenti, formulare ordini, ecc. Non è in competizione con le lingue normali; è d’aiuto nei suoi ristretti limiti. Ma nello stesso modo del Basic English educa al pensar chiaramente – perché l’uso di affermazioni senza senso è più difficile in Basic English che nelle lingue normali, che sono piene di parole senza senso (per la scienza) – così la lingua per immagini educa a pensare chiaramente, grazie ai suoi limiti. (O. Neurath International Picture Language, pp. 20-2) Ora alcuni commenti. Le singole immagini. Elementi (minimi) riconoscibili perché un’immagine sia riconosciuta, bisogna che sia conosciuto ciò che essa rappresenta. In alcuni casi, come le istruzioni per l’uso di una biglietteria automatica del metrò, confrontare il disegno e la macchina distributrice aiuta – cioè l’uso ostensivo delle immagini può rendere non necessario conoscere già ciò che è rappresentato. Le serie di immagini. Le serie di immagini posso mostrarci il cambiare aspetto di una situazione, come una striscia di un fumetto, o come un film al rallentatore (in cui potessimo vedere separate le singole scene). Anche queste funzionano a partire da un riconoscimento, o da un loro uso ostensivo. 40 figura 2 (O. Neurath International Picture Language, p. 19) 41 figura 11 (O. Neurath International Picture Language, p. 51) I diagrammi. Questi introducono simbolizzazioni di quantità, ed eventualmente di tipi di individui, oggetti, ecc. La legenda è una chiave fondamentale del diagramma, che è per ciò un testo sincretico. 42 figure 26 e 27 (O. Neurath International Picture Language, pp. 76-7) In generale, come sempre in qualunque forma di comunicazione, ci deve essere un punto in quello che si dice e questo punto deve poter essere colto 43 opportunamente (è diverso il punto di una poesia dal punto delle istruzioni per l’uso del telefonino). Un’icona in un segnale deve servire a dirigere le persone. Un’icona come questa mi può ... Sulla biglietteria automatica le istruzioni devono permettermi di fare un biglietto. Ecc. figura 3 (O. Neurath International Picture Language, p. 21) Ecco altri pittogrammi di Isotype: 44 Esempi di pittogrammi da Isotype 45 Figura 17 Cos’è? 46 Un simbolo di Isotype Vorrei adesso fare qualche passo avanti. Mostrarvi alcuni segnali pittografici propri delle olimpiadi. Discutere un attimo sui loghi. Infine, vorrei vedere alcune cose da Edward Tufte che riguardano i diagrammi – come si fa bene un diagramma. Prima vi mostrerò due o tre esempi, che commenterò. Poi ricostruirò un caso drammatico, come lo presenta Tufte, per farvi entrare nella questione del perché la comunicazione visiva serva a un livello sofisticato. Questo vi potrà far ragionare su diagrammi e tabelle che si trovano in giornali e telegiornali. Un primo punto è che giornali e telegiornali non spendono abbastanza per avere dei buoni diagrammi e delle buone tabelle, né nella sostanza, né dal punto di vista puramente grafico. Questo secondo punto riguarda voi – voi potete sviluppare e vendere queste capacità. Ecco i pittogrammi di Larry Wyman per le olimpiadi di Città del Messico, 1968. 47 A me, confesso, il secondo e il quarto pittogramma dell’ultima riga non sono chiari. Ma gli altri sì. Ciò che distingue il lavoro di Hyman, assieme a quello per l’olimpiade di Berlino, il cui autore non ricordo e non ho ritrovato, è che non sono presenti omini. Ecco i pittogrammi di Berlino e alcuni pittogrammi di Atlanta 1996, non so di chi, in entrambi i casi. 48 A Berlino ritennero indispensabile la didascalia, a Città del Messico e ad Atlanta no. Gli omini non mi piacciono e mi disturbano figurativamente perché sono ridondanti. Alla base della comunicazione visiva c’è il fatto che questa si basa sulla percezione visiva, sfruttandone le normali capacità organizzative per riconoscere forme, oggetti, proprietà e relazioni dello stesso genere di quelle che normalmente riconosciamo guardando. Le parole (scritte) sono esse pure oggetti visivi, ma sono oggetti che, tipicamente, si distinguono da tutti gli altri, e dunque si vedono, per dire così, “staccate” dal resto, come un mondo di oggetti a parte. Riprendendo un mio esempio un po’ modificato, così come l’ho ritrovato in International Picture Language di Otto Neurath (Londra 1936): un uomo ha due gambe, il pittogramma di un uomo ha due gambe, la parola uomo no. (Cfr. p. 20 del testo di Neurath.) Ecco alcuni pittogrammi di Neurath: 49 50 Alcuni elementi della segnaletica stradale e non, internazionalmente codificata e dunque rivolta a un pubblico multiculturale e multilingue, è comunque ciò che ho soprattutto in mente, perché seleziona arbitrariamente dei segni e mira a far sì che senza addestramento siano compresi da tutti. I pittogrammi olimipici, introdotti alla olimpiadi di Berlino del 1936 per la prima volta e ridisegnati ogni volta costituiscono un altro caso interessante. Ecco i pittogrammi di Larry Wyman per le olimpiadi di Città del Messico, 1968. 51 A me, confesso, il secondo e il quarto pittogramma dell’ultima riga non sono chiari. Ma gli altri sì. Ciò che distingue il lavoro di Hyman, assieme a quello per l’olimpiade di Berlino, il cui autore non ricordo e non ho ritrovato, è che non sono presenti omini. Ecco i pittogrammi di Berlino e alcuni pittogrammi di Atlanta 1996, non so di chi. 52 A Berlino ritennero indispensabile la didascalia, a Città del Messico e ad Atlanta no. Gli omini non mi piacciono e mi disturbano figurativamente perché sono ridondanti. Una congettura su queste rappresentazioni quasi universali è che esse sfruttano tratti distintivi marcati, e naturalmente la nostra conoscenza del soggetto che simbolizzano. Il pallone da calcio, il bersaglio per il tiro a segno, il guantone da boxe, ecc.. Se un tratto distintivo non basta – non tutti sanno distinguere la silhouette di un pallone da calcio da quello da pallacanestro o da pallavolo, allora si aggiunge un secondo tratto distintivo, il canestro e la rete. Per default un pallone è un pallone da calcio. Una stilizzazione assoluta di un tratto distintivo, nel contesto adatto, può permetterci di riconoscere la rappresentazione di qualcosa, e servirci dunque come indicazione per rintracciare dove quel qualcosa si trova. Ma non abbiamo a che fare con un codice, perché non si tratta di un sistema notazionale con un numero di primitivi finito e con regole di composizione. Non è una lingua insomma, né più genericamente un codice. Ma il pallone è simile al calcio; il pallone e il canestro è simile alla pallacanestro; il pallone e la rete è simile alla pallavolo; i remi al canottaggio, ecc.. (Scusate gli accordi singolare-plurale.) Non è questione di denotazione o esemplificazione. Non c’è bisogno di nessun acculturamento specifico, basta conoscere il calcio, la pallacanestro, ecc., e si capisce. Poi contrastivamente e non, come sistema e individualmente, questi segni sono leggibili, anche se in qualche caso come nei primitivi assoluti, come il pallone, dobbiamo fare una congettura e potremmo sbagliare.