corpi risuonanti

Transcript

corpi risuonanti
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
CARLO SINI – CORPI RISUONANTI
Carlo Sini1 – Università Statale di Milano
Conferenza tenuta martedì 11 maggio 2010
1.1
RELAZIONE
Il percorso di questa conferenza non sarà facile, è causa di
perplessità anche nel Sini stesso. “Corpi risuonanti” è una
traduzione da espressioni del sapere pitagorico, che è alle
radici della cultura occidentale (parafrasando Croce potremmo affermare che non possiamo non
dirci pitagorici).
Si tramanda che Pitagora insegnasse celato da una tenda: proviamo ad andare dietro a quella tenda.
La cultura Pitagorica non solo è storicamente affascinante, ma è anche tuttora coinvolgente. Ezio2
dice che Pitagora metteva al principio di tutto numeri e rapporti, cioè armonie e movimenti. I corpi
celesti si muovono, e quindi emettono suoni (come le corde degli strumenti che dal moto generano
suono). Poiché il moto dei corpi celesti è circolare (quindi realizza la perfezione del moto) i suoni
che essi emettono devono essere dolcissimi. Le differenze tra i
corpi generano suoni diversi, e quindi armonie celesti, con una scala
di note quali si trovano sulla lira greca (fig. a lato). Anzi, secondo
Pitagora gli uomini hanno sviluppato la lira perché influenzati
dall’armonia celeste. Noi non ci rendiamo conto di essere immersi
in tale armonia perché i corpi suonano sempre, ininterrottamente.
Ci muoviamo e viviamo con questa divina armonia3. Notiamo che
questi saperi implicano i concetti di eliocentrismo e di sfericità della terra.
I pitagorici parlavano di trasmigrazione delle anime e dei corpi, metempsicosi, o più propriamente
metemcomatosi4. L’anima che si reincarna è descritta bene da Platone, alla fine de La Repubblica.
In tale opera Platone descrive l’al di là, e tale descrizione segnerà tutta la cultura dell’Occidente (ad
esempio influenzando profondamente la Divina Commedia). Le anime, dopo il soggiorno nell’al di
là, si apprestano a tornare per reincarnarsi. C’è la vivida descrizione di milioni di anime che si
incamminano e giungono al cospetto dell’anima del mondo, che si presenta come una grande luce.
All’estremità della scena c’è il grande fuso di Ananche5, la necessità che fila il destino
dell’universo. Il fuso centrale ne trascina altri otto (i tetracordi della scala greca) e questi, girando,
suonano, su ciascuno c’è una sirena che canta l’armonia nel cielo, mentre le tre Moire, figlie di
Ananche, cantano i destini degli uomini. Le anime si avvicinano e le Moire gli legano i corpi, poi
1
Vedi note bibliografiche.
Non ho trovato riferimenti credibili. Ogni suggerimento è gradito.
3
Questo spunto rieccheggia nel cinema moderno. In “Guerre stellari” la comparsa dei pianeti è accompagnata da un
rombo molto suggestivo.
4
Non ho trovato una definizione. Ogni suggerimento è gradito.
5
Nella mitologia greca Ananke (o Ananche, in greco Aνάγκη) era la personificazione del destino, della necessità
inalterabile e del fato.
2
Pagina 1 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
si avviano alla pianura per bere e dimenticare. A mezzanotte un tuono le risveglia e le invia sulla
terra come stelle cadenti. Platone mette questa descrizione in bocca a Timeo, filosofo pitagorico.
Da dove viene questa visione, antesignana del Paradiso dantesco? Nella latenza medioevale
l’Occidente ha perso le tracce praticamente di tutta la cultura classica, ma non del Timeo, senza cui
non avremmo avuto né Einstein né Newton. Tutto ciò ha una antichità sterminata, affonda in
epoche non note. E’ significativo tornare alle origini della nostra cultura, non è solo questione di
antiquariato culturale. Pitagora fonda la sua scuola a Crotone, ma prima aveva viaggiato in
Oriente, sicuramente in Egitto, forse in India. La dottrina da lui portata in Magna Grecia non era
greca, veniva dall’India, ed in particolare la teoria cosmogonica veniva dai Veda6.
Secondo i Veda l’universo è fatto di suoni e luce: il suono è luce e la luce è suono. Guardando nei
cieli stellati vediamo luce (e suono), materia primordiale del cosmo. Il cielo è trascendenza,
desiderio. Il desiderio è la prima parola, nasce dalla quiete dell’abisso, è vibrazione ritmica
primordiale (il mantra omm). La meccanica quantistica sta riproponendo qualcosa in cui risuonano
tali concetti. Il vuoto cosmico si apre in una immensa bocca che esprime il desiderio.
La seconda parola è la risposta al desiderio, l’astro canoro, l’essere. Il canto luminoso, unità di
luce, suono e movimento. Anche la parola luce contiene l’etimo di significato. La seconda parola
è il Dio, un uno dopo l’abisso. Rito e ritmo, ritualità e inni che si cantano agli dei, cioè ai corpi
celesti che fanno luce nelle tenebre orrende del nulla.
Generati da queste note, ecco i nostri corpi, forme discese dal cielo sulla terra: la terza parola.
Discendendo dal cielo alla terra la luce torna alla tenebra originaria. Musica sacrificale (Marius
Schneider7) Il canto gregoriano ha radici nel canto vedico.
Torniamo al Timeo, che ora possiamo leggere con più consapevolezza.
Il Sini legge: “... la vista precede i concetti, nessun discorso è possibile senza aver visto… (senza
aver visto non avremmo guadagnato misura, parola, scienza) … hanno fornito il numero e la
nozione del tempo … filosofia … bene massimo, dono elargito dagli dei in quanto ricerca
dell’armonia dell’universo e della sua armonia/anima.
Suono, tuono luminoso.
Vista e
udito/voce, donati per lo stesso scopo, … la musica è fatta per l’anima, dare ordine all’anima è un
fine non estetico ma etico. Ritmo per darci misura e grazia. Ritmo, suono e parola per imparare a
comportarci, a vivere sulla terra. E ci hanno dato il numero, cioè la dottrina dei pitagorici, forse,
oppure, secondo il Sini, hanno fornito proprio un numero, il 25.920, detto l’anno platonico. Da
dove vengono questi discorsi? Timeo rappresenta Pitagora. Il Sini cita un saggio di Joseph
Campbell8 “Il numero misterioso della dea”.
Il numero misterioso è il 432, da non pensare come numero arabo, ma come struttura geometrico
spaziale, come nella figura a sinistra. Ma 4+3+2=9, il 9 è un numero magico,
1
considerato dai pitagorici un cardine dottrinario.
L’immagine a lato è
2 2
interpretabile come un triangolo che su ogni lato presenta quattro atomi, con un
3 3 3
“3” centrale. L’uno era l’arché, non vero numero ma generatore di numeri. Il
4 4 4 4 triangolo parte dall’uno, genera il due (femminile), poi il tre (maschile), infine il
quattro, grande madre generatrice.
6
I Veda sono un'antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero intorno al XX secolo
a.C. l'India settentrionale. I Veda sono divenuti opere di primaria importanza presso quel differenziato insieme di
dottrine e credenze religiose che va sotto il nome di Induismo.
7
Musicologo tedesco (1903-1982), vedi capitolo riferimenti
8
Psicologo statunitense (1904-1987), vedi capitolo riferimenti
Pagina 2 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
Altra concezione: tutto si costruisce attorno al tre centrale. Si vedano i due
triangoli nel disegno a destra, che rappresenta un simbolo risalente al Paleolitico.
Vi sono statuette del Paleolitico caratterizzate dal triangolo pubico. Il triangolo
interno è EVA, quello esterno AVE (Maria). Vi è sotteso un ciclo dal cielo alla
terra e dalla terra al cielo.
Torniamo al 432.
indipendenti.
Campbell lo ritrova in cinque tradizioni culturali diverse ed
− Nel poema norvegese Edda le mure del Valhalla presentano 540 porte, ciascuna difesa da 800
cavalieri. In tutto 432.000 cavalieri.
− Nei Purana9, antichi testi sacri indiani, si dice che il Kali Yuga10 dura 432.000 anni, mentre gli
anni del grande ciclo sarebbero 4.320.000. Il Kali Yuga finisce con un diluvio.
− Nell’Apocalisse di Giovanni il umero della bestia è il 666, ma 6x6x6 = 432/2.
− Nella sinossi di Beroso11, che riassume la storia di Babilonia, si dice che vi sono stati dieci re in
432 anni, e si ripropone il riferimento al diluvio.
− Nella Bibbia si trovano centodieci patriarchi antidiluviani. Una parte di questi generarono
discendenti. La somma delle loro età fa 1656, che con 432 ammette 72 come massimo comun
divisore. 72 è il numero di anni necessari perché la precessione degli equinozi assommi ad un
grado. Quindi per avere una precessione di 360 gradi, e quindi tornare al punto di partenza,
servono 360 x 72 = 25.920 anni, pari proprio al grande anno platonico.
Queste informazioni provengono da tavolette sumeriche, che usavano un sistema di numerazione a
base sessagesimale. Si passerà al sistema decimale con il triangolo che rappresenta il 432 e che è
composto da dieci caratteri (un 1, due 2, tre 3 e quattro 4).
Sin qui abbiamo trattato del macrocosmo, vediamo ora il microcosmo.
L’uomo ha circa 60 battiti cardiaci al minuto, che in 12 ore fa 43.200 battiti. Custodiamo la misura
nel cuore e negli orologi12.
Nelle Upanishad13 si dice che tutti gli esseri viventi hanno a disposizione un ugual numero di
espirazioni.
In area egizia e mesopotamica gli strumenti musicali erano anticamente accordati a 432 Hz (il la
pitagorico), mentre per gli Indiani lo stesso suono è rappresentato dal mantra OMM.
In Cina si ritrova qualcosa di analogo nel rapporto tra Yin e Yang.
In conclusione il Campbell dichiara che, dopo essere quasi uscito di senno per questa ricerca, alla
fine ha dovuto ammettere che Vichinghi, Romani, Cinesi, Mesopotamici, Egizi, ecc. condividevano
la medesima descrizione del mondo, che, tra l’altro, prevede una grande diastole e una grande
sistole (cioè una fase espansiva ed una fase contrattiva).
Ci sono quattro grandi civiltà monumentali, culturalmente omologhe (Egizi, Mesopotamici, Cinesi,
Indiani) anche se praticamente prive di contatti culturali, mentre vale la pena di riflettere sul fatto
che Pitagora fosse contemporaneo di Buddha.
9
Vedi al capitolo dei riferimenti
Vedi al capitolo dei riferimenti
11
Beroso, sacerdote Caldeo, circa 200 a.C.
12
Si vedano anche le aspettative di pulsazioni cardiache secondo la scienza medica, capitolo dei riferimenti.
13
Testi sacri indiani, parte dei Veda. Vedi nota al capitolo dei riferimenti.
10
Pagina 3 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
Cosa se ne può concludere?14
A partire da Platone l’unità cosmica della sapienza arcaica viene meno, con la svolta dal sistema
sessagesimale a quello decimale inizia la diaspora dei saperi; l’intero si scinde e le scienze si
articolano. Il senso dei nostri saperi è stato messo in questione. L’intero non chiede specialità,
chiede musica, cioè matematica, geometria, ritmo, danza: le radici dell’armonia che si percepisce
vicino ad un tempio dorico. Percepiamo una profondità perduta, dimenticata.
Quali strade possiamo percorrere per ritrovarla senza perdere la nostra cultura attuale? Sollevare
questo problema è compito della filosofia, gli altri non hanno strumenti adeguati. La filosofia, per
amore del sapere contemporaneo, deve fare da controcanto, richiamando l’esigenza di unitarietà.
Forse può aiutare il teatro, ad esempio la scuola di Grotowski15 riprende una antica idea indiana di
teatro, che non era spettacolo ma meditazione. Il teatro come spettacolo incomincerà con i Greci.
Anche Eugenio Barba16 ha lavorato ad una forma di teatro capace di rimettere in scena le tradizioni.
Come ha fatto Dante, che ha preso una tradizione millenaria e l’ha messa in scena ricavandone una
grande cosmologia pitagorica. Più che una espressione di teoria è un grande esercizio di memoria.
Dovremmo fare sì che queste nostre orecchie possano percepire di nuovo il suono delle sfere
cosmiche a cui sono fisicamente sorde.
14
Si veda anche “Raccontare il mondo”, libro del Sini su questi argomenti.
Regista Polacco (1933-1999), vedi riferimenti
16
Regista italiano, amico e collaboratore di Grotowski, vedi riferimenti
15
Pagina 4 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.2
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
DIBATTITO
Nota del Sini: a Istambul c’è la soglia tra Oriente ed Occidente.
dovremmo tornarci con umiltà e fermezza.
Da lì è passato Pitagora,
Intervento 1 – Con Platone è iniziato un tradimento: Socrate non voleva scrivere, Platone ha scritto
moltissimo. Socrate non stava in un’aula a spiegare, ma nelle strade a chiedere. L’anima che
Platone mette in scena serve per fondare qualcosa.
Risposta 1 – Vero, Socrate non ha scritto, Platone si, pur sostenendo anche lui che la vera
filosofia non si scrive ma è dialogo. Socrate va in giro, dialoga, umilia i sapienti davanti al
popolo, fa esperienza di filosofia come ricerca, ma deve ricercare perché ha perso l’armonia
delle sfere. E’ iniziata la crisi. Un Bramino non si pone il problema, canta l’inno della Dea
e tanto gli basta. Socrate ha sollevato la tenda, ha visto e mostrato che dietro, per noi, non
c’è niente. L’uomo di oggi è frutto di quella crisi e della ricerca che ne è conseguita, è
potentissimo ma ha difficoltà a gestire la sua potenza. Non ha una armonia proporzionale
alla sua potenza. Quelli antichi erano mondi tecnicamente poveri ma coesi. Quello che ci
serve ora è un nuovo Socrate che non solo cerchi, ma che qualcosa trovi.
Intervento 2 – L’uomo odierno manca di umiltà, si sogna onnipotente, artefice del proprio destino e
di quello dei suoi vicini. Einstein aveva l’umiltà di non esprimersi su Dio, ora abbiamo chi pensa
che si possa pagare un disastro ecologico.
Intervento 3 – Cos’è la filosofia? Come si può difendere l’affermazione platonica secondo cui il
filosofo è diverso, e tanto peggio per gli ignoranti?
Risposte 2 e 3 – L’umiltà è il senso del limite. Sogniamo di disporre della natura delle cose,
ma è la natura delle cose che dispone di noi. Gli antichi sapevano che la nostra sapienza
viene dalle cose17. Il vulcano è molto più potente di noi, e può anche influenzare il clima.
Non sappiamo cosa ci sia al centro della terra. Senso del limite è intento di riguadagnare
l’armonia con la natura, di ricomporci in una postura armoniosa. La musica è più seria
dello spettacolo musicale. Quando Platone discrimina tra gli uomini vive in un contesto in
cui l’educazione era un’impresa, ed in fondo anche la discriminazione veniva ancora
dall’Oriente. Ora noi abbiamo beni e possibilità di educazione. Sappiamo come educare
pochi aristocraticamente, ma abbiamo fallito nell’educare le masse. La filosofia non ha
risolto il suo problema, forse non può, ma deve provarci, deve ricominciare da capo.
17
vedi anche Dante: erra l’opinion … dei mortali ove chiave di senso non disserra (Paradiso, canto II)
Pagina 5 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
RIFERIMENTI
1.3.1
CARLO SINI
Carlo Sini (Bologna, 1933) è un filosofo italiano. Laureatosi con Enzo Paci, è attualmente titolare della cattedra di
filosofia teoretica dell'Università Statale di Milano. È membro dell'Accademia dei Lincei e dell'Institut International de
Philosophie di Parigi.
Sini è stato tra i primi ad introdurre all'attenzione del pubblico italiano l'importanza dell'opera di Charles Sanders
Peirce, e ha inoltre proposto un filone di ricerca sulla convergenza teoretica dei percorsi filosofici di Peirce e Heidegger
sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di orientamento prevalentemente fenomenologico.
La sua proposta teoretica si è in seguito concentrata sul tema della scrittura e sulla centralità dell'alfabeto greco come
forma logica del pensiero occidentale. In particolare, in "Figure dell’enciclopedia filosofica", Sini rende conto della
radicalità del gesto istitutivo platonico e della nascita della filosofia in modo da illuminare la genealogia della nostra
civiltà e le figure del suo destino. Questa pubblicazione si misura con nodi problematici e profondi della nostra cultura.
Viene mostrata la verità del gesto filosofico di Platone nel tratto tecnologico della parola alfabetica che trasforma la
relazione al mondo in "cosità". La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma dell’oggettività e traduce le
“sterminate antichità” dell’umano all’interno dell’ambito cronotopico della visione logica elaborata dalla scansione
alfabetica del mondo (con la conseguente nascita del tempo e del sapere storico). All’educazione mitologica dell’uomo
si sostituisce l’educazione psichica dell’anima nella rimozione delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima
operazione di ingegneria genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico (come
Nietzsche aveva intuito) sia il conseguente destino nichilista rivelato dall’epoca contemporanea intesa come “epoca del
disincanto”, secondo la nota definizione di Max Weber. Ma l’intreccio, che dalla preistoria conduce ai nostri giorni,
rinvia al desiderio e all’iscrizione originaria che danza nelle figure della sessualità e della morte. La soglia così
dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell’evento mimato nella generazione, transita il movente desiderante nel
“desiderio di vita eterna”. Platone e la logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa
consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia platonica è probabilmente da pensare come la domanda più alta
e profonda che sia mai stata posta alla sapienza dionisiaca. E così, dagli ominidi alla società dell’informazione (sul filo
delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie) la trama del senso transita dai “signa” ai “segni”, disegnando le
coordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza
oggettuale dell’oggettività, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente imposizione
dell’universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire
(e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante). Delineando nuove occasioni di senso, le Figure
dell’enciclopedia invitano a “sognare più vero”, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell’esercizio dell’evento
del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al
desiderio, nell’apertura al transito della vita eterna.
Opere (selezione)
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Passare il segno (Il Saggiatore, Milano 1981)
I Segni dell'anima (Laterza, Bari 1989)
Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano 1992)
Filosofia teoretica (Jaca Book, Milano 1994)
Filosofia e scrittura (Laterza, Roma-Bari 1994)
Teoria e pratica del foglio-mondo (ivi, 1998)
Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book, Milano 1996, 2003)
Idoli della conoscenza (Cortina, Milano 2000)
La scrittura e il debito (Jaca Book, Milano 2002)
Figure dell'enciclopedia in 6 vol. (Jaca Book, Milano 2004 e sgg).
Archivio Spinoza. La verità e la vita (Edizioni Ghibli, Milano 2005)
Il gioco del silenzio (Mondadori, Milano, 2006)
Eracle al bivio. Semiotica e filosofia (Bollati Boringhieri, Torino, 2007)
Da parte a parte. Apologia del relativo (Edizioni ETS, Pisa, 2008).
Pagina 6 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3.2
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
PLATONE – BRANO DA LA REPUBBLICA
http://digilander.libero.it/gotika/platone10.html
Tutti i gruppi di anime, dopo aver trascorso sette giorni nel prato, all'ottavo dovevano alzarsi e partire da lì, per giungere
dopo quattro giorni in un luogo da dove scorgevano, distesa dall'alto lungo tutto il cielo e la terra, una luce diritta come
una colonna, molto simile all'arcobaleno, ma più splendente e più pura. Dopo un giorno di cammino arrivavano lì e
vedevano al centro della luce le estremità delle catene che pendevano dal cielo; questa luce infatti teneva unito il cielo e
ne abbracciava l'intera orbita, come i canapi che fasciano la chiglia delle triremi.(30) A quelle estremità stava appeso il
fuso di Ananke,(31) che dava origine a tutti i moti rotatori; l'asta e l'uncino erano d'acciaio, il fusaiolo era una
mescolanza di questo e altri metalli. La natura del fusaiolo, che nella forma ricalcava quello usato quaggiù, era la
seguente: stando alla descrizione che ne ha fatto Er, bisogna immaginare un grande fusaiolo cavo, completamente
svuotato all'interno, nel quale era incastrato un altro più piccolo, come le scatole che si infilano una dentro l'altra, e così
un terzo, un quarto e altri quattro ancora. Complessivamente i fusaioli erano dunque otto, incastrati l'uno nell'altro: in
alto si vedevano i bordi, simili a cerchi, che formavano il dorso continuo di un solo fusaiolo intorno all'asta;
quest'ultima era conficcata da parte a parte dentro l'ottavo. Il primo fusaiolo, il più esterno, aveva il bordo circolare più
largo; venivano poi, in ordine decrescente di larghezza, il sesto, il quarto, l'ottavo, il settimo, il quinto, il terzo, il
secondo. Il bordo del fusaiolo più grande era variegato, quello del settimo il più splendente, quello dell'ottavo riceveva
il suo colore dal settimo, che lo illuminava, i bordi del secondo e del quinto, molto simili tra loro, erano più gialli dei
precedenti, il terzo aveva un colore bianchissimo, il quarto rossastro, il sesto veniva per secondo in bianchezza.(32) Il
fuso si volgeva tutto quanto su se stesso con moto uniforme, e nella rotazione complessiva i sette cerchi interni giravano
lentamente in direzione opposta all'insieme: il più rapido era l'ottavo, seguito dal settimo, dal sesto e dal quinto, che
procedevano assieme; in questo moto retrogrado il quarto cerchio sembrava a quelle anime terzo in velocità, il terzo
sembrava quarto e il quinto secondo.(33) Il fuso ruotava sulle ginocchia di Ananke. Su ciascuno di suoi cerchi, in
alto, si muoveva una Sirena, che emetteva una sola nota di un unico tono; ma da tutte otto risuonava una sola
armonia.(34) Altre tre donne sedevano in cerchio a uguale distanza, ciascuna sul proprio trono: erano le Moire figlie di
Ananke, Lachesi, Cloto e Atropo, vestite di bianco e col capo cinto di bende; sull'armonia delle Sirene Lachesi cantava
il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro. Cloto con la mano destra toccava a intervalli il cerchio esterno del fuso e
lo aiutava a girare, e lo stesso faceva Atropo toccando con la sinistra i cerchi interni; Lachesi accompagnava entrambi i
movimenti ora con l'una ora con l'altra mano. Appena giunti, essi dovettero subito presentarsi a Lachesi. Per prima
cosa un araldo li mise in fila, poi prese dalle ginocchia di Lachesi le sorti e i modelli di vita, salì su un'alta tribuna e
disse: "Proclama della vergine Lachesi, figlia di Ananke! Anime effimere, ecco l'inizio di un altro ciclo di vita mortale,
preludio di nuova morte. Non sarà un demone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliere il vostro demone. Chi è stato
sorteggiato per primo, per primo scelga la vita alla quale sarà necessariamente congiunto. La virtù non ha padrone, e
ognuno ne avrà in misura maggiore o minore a seconda che la onori o la disprezzi. La responsabilità è di chi ha fatto la
scelta; la divinità è incolpevole".(35) Dopo aver pronunciato queste parole, gettò su tutti le sorti e ognuno raccolse
quella che gli era caduta vicino, tranne Er, al quale non fu permesso; e chi aveva raccolto la sorte vedeva chiaro il
numero d'ordine che gli era toccato. Quindi l'araldo depose a terra davanti a loro i modelli di vita, in numero molto
maggiore delle anime presenti. Ce n'erano d'ogni tipo: tutte le vite degli animali e degli uomini. Tra esse c'erano delle
tirannidi, alcune perfette, altre rovinate a mezzo e finite in miseria, esilio e povertà; c'erano poi vite di uomini illustri,
gli uni per l'aspetto, la bellezza e il vigore fisico in ogni campo, in particolare in quello agonistico, gli altri per nobiltà di
stirpe e virtù degli antenati, ma c'erano anche vite di uomini oscuri per le stesse ragioni, e la cosa valeva anche per le
donne. Le anime non erano disposte in un ordine gerarchico, perché un'anima diventava necessariamente diversa a
seconda della vita che aveva scelto; per il resto i modelli di vita erano mescolati tra loro: gli uni erano uniti alla
ricchezza, gli altri alla povertà, gli uni alla malattia, gli altri alla salute, altri ancora si trovavano in uno stato intermedio
tra questi estremi. A quanto pare, caro Glaucone, lì sta il più grave pericolo per l'uomo, nonché il principale motivo per
il quale ognuno di noi deve preoccuparsi di ricercare e apprendere questa cognizione trascurando le altre, nella speranza
di poter riconoscere e trovare chi lo renda capace ed esperto a distinguere la vita buona da quella cattiva e a scegliere
sempre e dovunque la migliore tra quelle possibili. Analizzando l'incidenza su una vita virtuosa dei princìpi che
abbiamo esposto ora, considerati sia nel loro complesso sia separatamente, l'uomo deve sapere quale risultato, buono o
cattivo, produce la bellezza unita alla povertà o alla ricchezza, quale disposizione dell'anima concorre a produrlo, e
quale effetto determinano con la loro reciproca mescolanza la nobiltà e l'oscurità di natali, la condizione dì privato
cittadino e le cariche, la forza e la debolezza, la facilità e la difficoltà ad apprendere e tutte le altre caratteristiche come
queste, insite per natura nell'anima o acquisite, in modo che un'attenta riflessione sulla base di tutti questi elementi gli
permetta di scegliere, guardando alla natura dell'anima, tra la vita peggiore e la migliore, chiamando peggiore quella che
Pagina 7 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
condurrà l'anima a diventare più ingiusta, migliore quella che la condurrà a diventare più giusta. Tutto il resto lo lascerà
perdere, poiché abbiamo constatato che questa è la scelta migliore sia da vivi sia da morti. Bisogna quindi scendere
nell'Ade con questa opinione di adamantina saldezza, per non lasciarsi attrarre anche laggiù dalle ricchezze e da simili
mali e per non cadere nella tirannide e in altri comportamenti del genere, compiendo molte azioni di insanabile
malvagità che causeranno patimenti ancora più gravi, ma per saper scegliere sempre la vita mediana ed evitare gli
eccessi dall'una e dall'altra parte, sia in questa vita, per quanto è possibile, sia in tutte quelle future; così l'uomo
raggiunse la massima felicità. Poi il messaggero venuto da laggiù riferì che proprio in quel momento l'araldo disse:
"Anche chi è arrivato per ultimo, se sceglierà con giudizio e vivrà con rigore, può disporre di un'esistenza accettabile e
non indecorosa. Il primo a scegliere non sia distratto e l'ultimo non si scoraggi!". Dopo che l'araldo ebbe proferito
queste parole, Er narrò che il primo nel sorteggio andò subito a scegliere la più potente tirannide, non considerando a
sufficienza ogni elemento per la sua stoltezza e la sua ingordigia e non accorgendosi che era destinato a divorare i suoi
figli e incorrere in altre sventure.(36) Quando poi rifletté con mente lucida, si batté il petto e deplorò la sua scelta,
compiuta senza attenersi alle prescrizioni dell'araldo: infatti non accusava se stesso dei propri mali, ma il fato, i demoni
e tutto fuorché se stesso. Costui faceva parte di quelli provenienti dal cielo, e nella vita precedente era vissuto in uno
Stato ben ordinato e aveva praticato la virtù per abitudine, senza l'ausilio della filosofia. A dire il vero, quelli
provenienti dal cielo che si lasciavano sorprendere in simili imprudenze non erano meno degli altri, in quanto non
avevano esperienza di travagli; al contrario, quelli che salivano dalla terra di solito non facevano una scelta avventata,
poiché avevano sofferto personalmente e avevano visto altri soffrire. Perciò tra la maggior parte delle anime avveniva
uno scambio dei mali e dei beni, anche per la casualità del sorteggio; se infatti chi viene a questa vita si applicasse
genuinamente alla filosofia e il sorteggio non lo ponesse a scegliere tra gli ultimi, è probabile che, stando a quanto ci
viene riferito dall'aldilà, non solo sarebbe felice su questa terra, ma compirebbe anche il viaggio da qui a laggiù e il
ritorno qui per una strada non sotterranea e aspra, bensì liscia e celeste. Er disse che valeva la pena di vedere lo
spettacolo delle singole anime intente a scegliere la propria vita: uno spettacolo compassionevole, ridicolo e singolare,
dato che per lo più sceglievano in base alle abitudini della vita precedente. Raccontò di aver visto l'anima che era stata
di Orfeo scegliere la vita di un cigno per odio verso la razza delle donne, poiché era morto per mano loro e quindi non
voleva nascere dal grembo di una donna. Vide poi l'anima di Tamira (37) scegliere la vita di un usignolo, ma vide
anche un cigno e altri animali canori scegliere di trasformarsi in uomini. L'anima sorteggiata per ventesima scelse la
vita di un leone: era quella di Aiace Telamonio, che rifuggiva dal nascere uomo, ricordando il giudizio delle armi.(38)
Dopo questa venne l'anima di Agamennone: anch'essa detestava il genere umano per le sofferenze subite, e prese in
cambio la vita di un'aquila.(39) L'anima di Atalanta era invece capitata in sorte nei turni intermedi, e avendo visto i
grandi onori riservati a un atleta non seppe passare oltre, ma scelse quelli.(40) Poi vide l'anima di Epeo, figlio di
Panopeo, assumere la natura di una donna laboriosa; lontano, tra le ultime, scorse l'anima del buffone Tersite entrare in
una scimmia.(41) Venne infine a fare la sua scelta l'anima di Odisseo, che per caso era stata sorteggiata per ultima;
essendo ormai guarita dall'ambizione grazie al ricordo dei travagli passati, andò in giro per parecchio tempo a cercare la
vita di uno sfaccendato qualsiasi, e a fatica ne trovò una che giaceva in un canto ed era stata trascurata dagli altri.
Quando la vide disse che avrebbe fatto lo stesso anche se fosse stata sorteggiata per prima, e tutta contenta se la prese.
Allo stesso modo gli animali si trasformavano in uomini o gli uni negli altri, quelli ingiusti in animali selvaggi, quelli
giusti in animali domestici, e avvenivano mescolanze d'ogni sorta. Quando tutte le anime ebbero scelto la propria vita,
si presentarono a Lachesi secondo l'ordine del sorteggio; a ciascuna ella assegnava come custode della sua vita ed
esecutore della sua scelta il demone che si era preso. Questi per prima cosa guidava l'anima al cospetto di Cloto,
perché sotto la mano di lei e sotto il volgersi del fuso sancisse il destino che aveva scelto al momento del sorteggio;
dopo che aveva toccato il fuso la conduceva al filo di Atropo, perché rendesse immutabile la trama filata. Da lì l'anima
andava senza voltarsi ai piedi del trono di Ananke e lo superava; quando anche le altre anime furono passate oltre, si
avviarono tutte assieme verso la pianura del Lete in una calura soffocante e tremenda, poiché il luogo era spoglio di
alberi e di tutto ciò che nasce dalla terra. Quando ormai era scesa la sera, si accamparono presso il fiume Amelete,(42)
la cui acqua non può essere contenuta in nessun vaso. Poi tutte furono costrette a bere una certa quantità di quell'acqua,
ma le anime che non erano protette dalla prudenza ne bevevano più della giusta misura; e chi via via beveva si
dimenticava ogni cosa. Dopo che si furono addormentate, nel cuore della notte scoppiò un tuono e un terremoto, e
all'improvviso esse si levarono da lì per correre chi in una, chi in un'altra direzione verso la nascita, filando veloci come
stelle.
Pagina 8 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3.3
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
MARIUS SCHNEIDER E IL CANTO GREGORIANO
Non è facile trovare notizie su Schneider. Ad esempio su Wikipedia non c’è l’usuale bibliografia. Credo che ciò sia
legato alla sua passata adesione al nazismo, che rende difficile parlarne serenamente anche come musicologo.
Propongo le seguenti note, particolarmente attinenti alla citazione del Sini, tratte dal sito:
http://www.piropiro.org/terra/gregoriano/marius_schneider.htm
Marius Schneider, nella sua opera, Il significato della musica, dedica un intero capitolo (pagg. 183 – 204) a Il Canto
Gregoriano e la voce umana. Qui solo dei brevi commenti, degli appunti a margine, al pensiero originale e profondo di
quest’autore.
All’inizio dello scritto si trova un’illuminante premessa con una definizione del Canto Gregoriano:
“Il canto gregoriano è una forma di orazione, pertanto la sua essenza non si può cogliere per un tramite puramente
musicale ma soltanto attraverso la pratica stessa dell’orazione.
Il gregoriano è un atto, aggiungeremmo, qualcosa da fare non da ascoltare. L’approccio non deve essere esclusivamente
musicale.
Esso occupa un termine medio tra la lettera pronunciata della preghiera e la pura contemplazione mistica, poiché si
basa su parole concrete il cui senso logico sottende in certi casi ed in altri amplifica fino ai confini del pensiero
iperlogico.”
Interessante questo doppio valore dato alle parole dei testi e alla loro comprensione, sarebbe più facile per noi da
concepire l’idea di “musica di accompagnamento/parole di importanza primaria” oppure l’idea opposta di “musica
pura/parole di importanza nulla”. Più aliena alla nostra mentalità il senso di una comprensione reciproca di parlato e
musica.
“All’opposto della musica romantica, ... il canto gregoriano ha una castità ed un carattere (per la concezione musicale
moderna) troppo riservato. La forza espressiva del Canto Gregoriano non si afferma col parossismo, ma con la
sobrietà, la sincerità, la cortesia e la castità delle sue formule.”
cita l’opinione di alcuni grandi Padri come S. Agostino: “vox est enim animi diffusi laetitia” – “la voce è la gioia di un
animo che trabocca”, Atanasio “la salmodia ben cantata infonde una forza moralizzatrice straordinaria e questa forza
non si comunica soltanto ai cantori ma anche agli ascoltatori”, Ilario di Poitiers dice che nella salmodia, cioè nel salmo
cantato, si compenetrano il sapere e l’operare e infine S. Gregorio e S. Basilio considerano la salmodia un unione della
fede contemplativa e dell’attiva. In Pietre che cantano cita inoltre:
Secondo Giovanni Crisostomo e Gregorio, il salmo cantato pervade tutte le sfere, l’inno invece è rivolto soltanto a
forze mediatrici. Eusebio, Basilio, Gerolamo e Ilario di Poitiers definiscono la pura melodia del salmo come via alla
conoscenza dei misteri celesti e come comprensione della verità senza azione. Il salmo parlato, per contro, è ritenuto
un moto dell’anima verso il buon operare. Il salmo cantato con parole rappresenta invece il legame tra conoscenza e
attività. Esso è la vita activa. Di conseguenza l’espressione psallere diventa nel Medioevo il simbolo della condotta di
vita cristiana in genere. Cantare salmi significa agire secondo conoscenza pura, o meglio realizzare le buone opere
richieste da Dio nella loro forma più pura, cioè acustica. Questo significato del salmo è illustrato chiaramente anche
da San Benedetto nella sua Regola. Sant’Agostino dice: “Cantate oribus, cantate moribus”. ‘Musica’ è nella
concezione del mondo antico non solo il suono udibile, ma soprattutto l’immagine più pura della creazione, volta
all’eternità e alla morte. Adamo di Fulda definisce la musica una “meditatio mortis continua”.
( Marius Schneider, Pietre che cantano, p. 46)
***
ma qui il punto che ci interessa di più, quello che esprime una concezione del gregoriano quasi materica, oseremmo
dire, dove il canto è un carro per andare a Dio. Non si tratta di un semplice mezzo (pscologico o morale) per aiutare
l'orante ad avvicinarsi spiritualmente a Dio, si tratta di un mezzo di trasporto o della via stessa da percorrere. Che questa
sia un'azione spirituale non la rende un'azione meno reale.
Il canto gregoriano non racchiude nulla di patetico o violento e neanche di blando o dolce. Il sentimento non gli dà né
anima né corpo, ma anzi ne costituisce soltanto l’ombra, cioè una conseguenza.
Il canto gregoriano è un cammino, un mezzo di trasporto. Il simbolismo pre-cristiano lo avrebbe chiamato un carro,
una nave, o un fiume, sul quale avrebbero camminato le luminose sillabe sonore.
Le sue ondulazioni moderate costituiscono un fiume o sentiero che prescrive all’orante il cammino più percorribile
attraverso il terreno accidentato delle valli sorridenti, delle scure gole e delle aspre montagne del paesaggio liturgico.
Il suo ritmo disciplina l’allegria del Gloria, ispira fiducia nel Miserere nobis e soccorre il pneuma angosciato
dell’uomo destando in essa a poco a poco la coscienza della presenza di Dio.
L’alleluia è un vero “carro dei cherubini”.
***
Qui il punto centrale da cui dipartono tanti suoi studi sull'origine della musica:
Pagina 9 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
In realtà il creatore è un essere puramente acustico, canto o grido emesso probabilmente con una voce di testa, che
crea un mondo di suoni e di luce. L'apparizione della materia è un atto posteriore considerato spesso un decadimento».
«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.» (Giovanni 1,1). Secondo gli Egiziani il dio
Thot creò il mondo così: «Egli rise ancora sei volte e ogni scoppio di rise fece nascere esseri a fenomeni nuovi.». Nella
tradizione indiana «Mentre Atman (anima del mondo) covava il mondo, la sua bocca si scisse come un uovo a dalla
bocca uscì Vác (parola) e da Vác balzò fuori Agni (fuoco, sole)
«La voce è suono. Il suono è l'elemento più sottile della materia percettibile. Nella storia di ciascuno di noi, come nella
nostra storia collettiva, fu proprio esso, in origine, il luogo di incontro dell'universo e dell'intelligenza.»
Perciò l’essenza di tutte le cose appare sonora ed il mondo una sillaba pietrificata.
***
Canto è forza vitale e forza vitale è canto. Entrambi sono manifestazioni di una forza creatrice fondata sulla
disposizione a sacrificare soffio e forza vitale mediante il canto, gioiosa affermazione di un sacrificio costruttivo.
(Marius Schneider, Pietre che cantano, p. 63)
***
“Ci sono canti rituali con gridi di fiere e voci alte, i cui ritmi progressivamente accelerati creano nel cantore uno stato
di estasi violenta;…ce ne sono altri, di pura magia, i quali mediante un canto monotono e percotente pretendono di
esercitare un’influenza diretta sugli dei e sulle forze della natura.” … ”Il canto gregoriano non ha queste pretese di
potenza: chiama Dio addormentato (Exsurge, quare obdormis Domine? – Destati, perché dormi, o Signore?), però col
dovuto rispetto. Sa perfettamente che tutto dipende dalla grazia divina e pertanto non tenta con la sua supplica di
esercitare una violenza.”
Biografia
Marius Schneider nasce ad Hagenau, in Alsazia nel 1903, la sua formazione attraversa varie discipline (filologia,
musicologia, pianoforte, composizione) e si compie in varie città (Strasburgo, Parigi, Berlino). È a Berlino che inizia
quella lunga e straordinaria ricerca comparata tra la polifonia extraeuropea e quella europea, i cui frutti saranno raccolti
in una monumentale Storia della polifonia, pubblicata a Berlino nel 1934.
Nel 1933 assume la direzione del
“Phonogramm-archiv”, accettando di convivere con il regime di Hitler fino al 1944, quando si allontana dalla Germania
per riparare in Spagna. A Barcellona, nella sezione etnomusicologica dell’Istituto di Musicologia, intraprende una
colossale indagine sul simbolismo musicale sia delle antiche culture superiori che della musica primitiva, che porterà
alla pubblicazione di due importanti opere: Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella
scultura antiche e La danza delle spade e la tarantella. La sua carriera accademica si svolge in seguito nelle università
di Colonia (1955-1968) e di Amsterdam (1968-1970); in questo periodo oltre a numerosi saggi su riviste ed
enciclopedie pubblica la sua opera forse più famosa, Pietre che cantano. Nell’ultimo periodo della sua vita (muore a
Marquarstein, in Baviera, nel 1982) pubblica numerosi saggi sulla rivista di Elémire Zolla “Conoscenza Religiosa”.
Questa sarà l'oppurtunità per il musicologo che lo farà conoscere ad un largo pubblico e, purtroppo, che ne
devalorizzerà l'opera, da qualcuno inquadrata tra le produzioni del cosiddetto esoterismo, squallido fenomeno dell'era
moderna con cui il nostro non ebbe mai a che fare. Marius Schneider fu esclusivamente un musicologo attento, la cui
sensibilità si accorse di fatti nuovi per la prima volta e lo portò a nuove scoperte e nuove teorie.
Bibliografia in lingua italiana di Marius Schneider:
Marius Schneider, Il significato della musica, edizioni Rusconi, Milano 1979
Marius Schneider, Pietre che cantano, edizioni Archè, Milano 1976 e edizioni Guanda, Milano 1980
Marius Schneider, La musica primitiva, edizioni Adelphi, Milano 1992
Marius Schneider, Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche (or. 1946),
edizioni Rusconi, Milano 1986
Marius Schneider, La danza delle spade e la tarantella (1948), edizioni Argo, Lecce 1999
La nozione del tempo nella filosofia e nella mitologia vedica, in Ecologia della musica (a cura di Antonello Colimberti),
Donzelli Editore, Roma 2004;
La musica primitiva, in Storia della musica, vol. I/Musica antica e orientale (a cura di Egon Wellesz), Feltrinelli
Editore, Milano 1962
Molti saggi di Marius Schneider sono stati inoltre tradotti e pubblicati sulla rivista “Conoscenza Religiosa” (1969-1982)
diretta da Elémire Zolla.
Pagina 10 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3.4
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
JOSEPH CAMPBELL – IL NUMERO MISTERIOSO DELLA DEA
Nelle biografie di Campbell, autore di una produzione molto vasta, non è agevole trovare i riferimenti citati dal Sini.
“The mistery number of the Goddess” è contenuto in un’altra opera, intitolata “In all her Names”, a sua volta parte di un
altro testo. Per i riferimenti alla conferenza si veda ad esempio il sito:
http://www.mindfire.ca/In%20All%20Her%20Names/All%20Things%20Anew.htm
Per quanto riguarda una meno specifica biografia del Campbell si vedano le seguenti note tratte dal sito:
http://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Campbell
Joseph Campbell (26 marzo 1904 – 30 ottobre 1987) è stato uno psicologo statunitense. È anche noto per i suoi studi in
mitologia e religione comparata.
Le idee
Grande studioso autodidatta, ha suggerito importanti connessioni tra lo studio della mitologia comparata e la psicologia.
Si è ispirato a Carl Gustav Jung, che credeva nell'esistenza di archetipi nell'inconscio collettivo. Questi archetipi
condividono la struttura della maggior parte dei miti di tutte le culture del mondo.
Questa struttura può essere, ad esempio, quella del "Mito dell'Eroe", presente in varie culture ("L'Eroe dai Mille Volti",
titolo di uno dei suoi contributi teorici più importanti).
La vita dell'Eroe, a grandi linee, passa quasi sempre da questi stadi:
• nascita misteriosa;
• relazione complicata col padre (orfano, padre cattivo, ecc.),
• ritiro dalla società, apprendimento di una lezione (molte volte aiutato da una guida soprannaturale),
• ritorno alla società e riporto dei suoi apprendimenti in quella società, molte volte grazie ad un'arma che solo
lui/lei può usare (nelle mitologie occidentali recenti si tratta piuttosto di un lui - questo potrebbe interessare il
movimento femminista).
Questa struttura può essere trovata in vari miti religiosi e non (vedi paganesimo): ad esempio il Re Artù, Il Signore degli
Anelli di Tolkien, Braveheart, Matrix e altri.
La sua opera principale, "Le Maschere di Dio" (The Masks of God, 1959-1968) rappresenta una delle più importanti
sintesi critiche della mitologia mondiale, attraverso un approfondimento dei "temi comuni" che attraversano le più
diverse produzioni mitologiche. Si tratta di un'opera enciclopedica per la trattazione espositiva e l'ampiezza delle fonti,
e al contempo particolarmente sofisticata nell'analisi teoretica.
L'opera si struttura in 4 parti: Mitologia Primitiva - Mitologia Orientale - Mitologia Occidentale - Mitologia Creativa.
La prima si riferisce alle culture primitive ed ai più antichi miti della creazione; la seconda ai miti ed alle leggende
asiatiche; la terza a quelle della tradizione occidentale (greche, romane, etc.); la quarta alla produzione "mitopoietica"
della cultura letteraria ed artistica moderna o contemporanea.
Campbell ha influenzato molto le opere di vari artisti contemporanei, tra cui George Lucas, nella creazione della saga di
Guerre Stellari, varie storie della Disney tra cui il Re Leone, e alcuni personaggi del mondo della musica tra cui la
cantante Tori Amos. Un suo saggio su "amore e mitopoietica del linguaggio amoroso" relativo alle problematiche di
amanti parlanti diverse lingue è stato di ispirazione per Sofia Coppola e Leonardo Pieraccioni. Soprattutto di rilievo la
sua influenza sulla stesura del saggio-guida sulla sceneggiatura "Il viaggio dell'eroe" di Chris Vogler.
1.3.5
I PURANA
http://it.wikipedia.org/wiki/Purana
I Purana sono un gruppo di importanti testi sacri induisti (ma anche giainisti). I Purana canonici sono divisi in diciotto
Purana maggiori (Maha Purana) e diciotto Purana minori (Upa Purana). I Purana maggiori, a gruppi di sei, vengono
dedicati alla sacra Trimurti, la trinità indiana Brahama, Vishnu e Shiva. Sono trattati religiosi che contengono diversi
insegnamenti sui rituali, la pratica, le festività, i pellegrinaggi, elementi storici e mitologici, paragonabili in contesto
cristiano alla Bibbia. In ognuno troviamo la presenza di una particolare divinità, di cui vengono presentate vita, culto,
mitologia, nonché le manifestazioni degli avatar e i relativi insegnamenti spirituali.
Pagina 11 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
Oltre ad essere considerati come testi religiosi, i Purana hanno da sempre voluto affermarsi anche come descrizioni
storiche, nelle quali si sono succedute le dinastie e le genealogie reali, sostenendo tali realtà attraverso una cosmogonia
e una teogonia che sprofondava nei meandri delle ere mitiche. Infatti per datare un evento storico autentico gli autori
dei Purana hanno indicato le posizioni dei pianeti conosciuti a quei tempi, in relazione alle costellazioni e alle stelle
fisse.
Con il tempo questi testi, ricchi di intrecci narrativi, hanno ricevuto materiali da fonti diverse, che rispecchiavano le
necessità di una particolare corrente religiosa. Il più conosciuto di questi testi, forse il più antico, è il Bhagavata
Purana che descrive la vita di Krishna, avatar (incarnazione divina) del Dvapara Yuga, e l'importanza che svolge la
devozione verso la sua figura mitica e storica. Questo diventerà il testo più importante per tutti i culti legati a Krishna,
dopo la Bhagavad Gita.
La letteratura dei Purana si diffuse tra i primi secoli dopo Cristo fino al XII secolo circa. Oltre ai 18 Purana principali,
sono stati compilati dei purana detti, "minori" nei quali gli autori hanno raccolto litanie, inni, "glorificazioni" di luoghi
santi, e altro. A questo genere letterario si possono collegare il Chaturvarga Cintamani, (l'insieme dei fini di ogni
essere umano) di Hemadri, risalente al XIII secolo, che rappresenta una enorme raccolta tra il genere puranico e le
Smriti, e lo Yoga vashishta, un notevole poema leggendario e filosofico risalente probabilmente al X secolo.
L'autore dei Purana è considerato il mitico saggio Vyasa, chiamato anche l'avatar scrittore, a cui si attribuisce anche la
trascrizione in forma scritta dei Veda e la compilazione del grande poema epico Mahabharata.
1.3.6
KALI YUGA
http://www.vedanta.it/induismo/storia/shivaismo_01.htm
A tutta l'Antichità fu nota l'idea dell'andamento ciclico dell'evoluzione del mondo.
Nella visione antica, i cicli evolutivi sono divisi ciascuno in quattro periodi chiamati yuga.
Il primo periodo è l'Età dell'Oro o della Verità (Satya Yuga), nel quale l'umanità gode di una spontanea saggezza data
dalla propria vicinanza al divino.
Il secondo è l'età dell'Argento o dei Riti (Tetra Yuga, età dei tre fuochi).
Il terzo è l'Età del Bronzo o dell'Indecisione (Dvapara Yuga).
L'ultimo è l'Età del Ferro o dei Conflitti (Kali Yuga).
Attualmente l'uomo si trova sul limitare di una grande svolta evolutiva, poiché l'epoca del Ferro, il Kali Yuga sta per
muovere alla fine e l'Età dell'Oro comincia a fare sentire i propri influssi.
Nell'epoca del Kali Yuga "Ritenendosi saggi, gli sciocchi immersi nell'ignoranza, ma sicuri di sé, si aggirano urtandosi
come ciechi guidati da un cieco" (Mundaka Upanisad).
"Tuttavia alcuni possono raggiungere la perfezione in pochissimo tempo" (Linga Purana)
1.3.7
432
Questa è una curiosità. Ho iniziato una ricerca sul numero 432, la cui singolarità mi era stata presentata per la prima
volta nel corso di questa conferenza. Con sorpresa ho trovato grande quantità di materiale, facilmente accessibile in
rete. Riporto solo, come autentica curiosità, la seguente scheda bibliografica. Guardate quante pagine ha questo libro
che parla dell’Apocalisse.
Tipo Libro
Titolo: L'apocalisse. Ermeneutica, esegesi, teologia
Autore : Vanni Ugo
Editore: Edizioni Dehoniane Bologna
EAN 9788810302057
Pagine 432
Data 2001
Collana Supplementi alla rivista biblica
Pagina 12 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3.8
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
ASPETTATIVA DI PULSAZIONI CARDIACHE NEI MAMMIFERI
NOTA TRATTA DAL SITO: http://www.vivereconlentezza.it/node/678
Condividiamo con tutti voi l'"intervento" che il prof. Specchia. primario cardiologo all'Ospedale Policlinico di Monza,
ci ha regalato in occasione dello Slow Dialogue del 13 luglio 2008 presso la libreria Feltrinelli di Pavia.
E’ noto che i mammiferi di piccole dimensioni hanno un battito cardiaco nettamente più veloce rispetto ai mammiferi di
dimensioni maggiori. Il topo, ad esempio, ha una frequenza cardiaca che si avvicina ai 600 battiti al minuto, il ratto a
poco più di 300, il cane di circa 80 battiti per minuto, mentre l’elefante ha una frequenza cardiaca inferiore a 50 battiti
al minuto ed il cuore della balena pulsa solo 15-20 volte in un minuto. Se queste differenze nella frequenza del battito
cardiaco sono messe in relazione con la durata media della vita nelle singole specie di mammiferi, si ottiene una precisa
relazione inversa fra i due parametri, così che i mammiferi che hanno il battito del cuore più lento hanno una attesa di
vita più alta dei mammiferi più piccoli e con il battito più veloce. Un topo può vivere un anno, un cane 15, un elefante
25, una balena 30 anni.
L’uomo invece risulta spostato a destra da questa linea di correlazione. In effetti la sua attesa di vita oggi supera
largamente quella in origine stimabile in base alla sua frequenza cardiaca e che, verosimilmente, era la attesa di vita ,
prima che miglioramenti sociali, ambientali e medici probabilmente modificassero quella che sembra una legge
biologica primaria. Infatti, andando a ritroso nel tempo, la vita media umana risulta sempre più breve e tende
progressivamente a ritornare verso sinistra , fino ad occupare, nella retta, il posto che originariamente, con tutta
probabilità le competeva.
Questa relazione inversa, fra frequenza cardiaca e attesa di vita , sembra mettere a disposizione di ogni specie , un
numero totale di battiti cardiaci pre-assegnati da consumare nel tempo di vita previsto. Una ulteriore osservazione di
grande interesse è che, se si mettono in relazione gli anni di vita attesi e il numero totale di battiti cardiaci per la durata
della vita di ogni singolo mammifero, si vede come, malgrado nei diversi animali la vita media sia di durata così
diversa, il totale dei battiti che il cuore ha “a disposizione” sia, entro certi limiti , costante
Poichè questa relativa costanza del numero di battiti totali per la durata media della vita è stato ritrovato, oltre che nei
mammiferi, anche in altre specie animali, sembra possibile ipotizzare che questo fenomeno esprima una legge
universale della energia disponibile nel corso della vita attesa per ogni singola specie. Energia che può essere spesa
rapidamente in una vita breve o che permette, con un consumo biologico più lento, una durata di vita maggiore. Se da
una parte la diversa velocità con cui questa energia è consumata dipende dalle diverse necessità metaboliche, è anche
possibile ipotizzare che, in una singola specie , rallentando questo consumo di energia, e quindi riducendo la frequenza
del battito cardiaco, la attesa di vita possa essere allungata.
Per quanto riguarda l’uomo esistono oggi numerose evidenze circa questa ipotesi, a partire dal classico studio di
Framingham su circa 5000 soggetti apparentemente sani seguiti per 30 anni. La mortalità, sia per cause cardiovascolari
sia per altre cause, risulta aumentata progressivamente in relazione alla frequenza cardiaca che era stata rilevata
all’ingresso nello studio. In particolare i soggetti la cui frequenza cardiaca di base era tra i 65 e i 94 battiti al minuto
hanno avuto nel tempo una percentuale di morte improvvisa tre volte più alta di coloro la cui frequenza cardiaca era tra i
35 e i 64 battiti per minuto.
E’ possibile nell’uomo cercare di influenzare la durata della vita modificando la sua frequenza cardiaca? Nella
patologia ciò già avviene. Nei pazienti affetti da malattie di cuore la incidenza di eventi si riduce con il rallentamento
della frequenza cardiaca e ciò si ottiene o modificando l’assetto del sistema di regolazione nervosa vegetativa, in modo
da limitare l’attivazione simpatica ( farmaci, intervento psicologico sullo stress) o aumentando l’attività vagale , ad
esempio attraverso una attività fisica programmata.
Ipotesi future prospettano la possibilità di interventi di ingegneria genetica sul sistema cellulare situato nell’atrio destro,
da cui partono gli impulsi elettrici responsabili della stimolazione del cuore , modificandone i canali ionici e modulando
cosi la frequenza cardiaca.
Riusciranno così gli uomini a somigliare alle tartarughe delle Galapagos (che vivono 170 anni con un cuore che pulsa 6
volte in un minuto) ?
Pagina 13 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3.9
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
UPANISHAD
http://www.vedanta.it/sastra/upanishad.htm
Le Upanisad sono trattati di estensione variabile, appartenenti ad epoche diverse, in prosa e in versi, alcune miste,
dedite a indirizzare l'aspirante alla verità trascendente il piano di realtà del grossolano attraverso la contemplazione o la
stimolazione della buddhi (ragion pura) attraverso l'ascolto delle verità supreme che vertono quali siano l'origine e il
destino dell'uomo, quale ragione regga le varie vicende dell'esistenza, quale sia il fondamento ultimo dell'universo e
della vita.
Le Upanishad costituiscono la parte conclusiva dei Veda. In origine diverse migliaia, ne rimangono più di 200, benché‚
per tradizione, quelle più considerate siano 108. La loro datazione è incerta: le più antiche dovrebbero risalire all'VIII e
al VII secolo a.C., antecedenti all'era buddista; le più recenti al V o al IV secolo a.C.
Ma le Upanisad veramente importanti e tipiche sono poco più d'una dozzina, sono denominate Upanisad antiche e
medie oppure vediche, appartengono alle varie scuole che si rifanno alle Samhita vediche e quindi fanno parte della
rivelazione, e risalgono a un periodo compreso, con tutta probabilità, tra il 700 e il 300 a. C.
Le Upanishad sono state composte da autori ispirati, ed appartengono alla letteratura rilevata o sruti (lett.: "ciò che è
stato udito" ) al pari dei Veda, esse hanno un carattere religioso - culturale; tuttavia, a differenza di quelli, presentano
tratti altamente speculativi. In effetti, tutta la filosofia indiana non è altro che una glossa e un commento alle Upanishad.
Il termine, nell'interpretazione che per lungo tempo ha goduto maggior fortuna e che s'attiene al significato più evidente
(upa-nisad = sedersi vicino) sembra alludere al carattere esoterico dell'insegnamento, trasmesso dal maestro al discepolo
che, avendone le qualificazioni, gli sedeva vicino.
Chi consideri tuttavia la dottrina monistico-idealistica in cui sembra culminare il pensiero upanishadico, chi osservi il
rivolgimento portato nella concezione della vita dal dogma del ciclo delle esistenze, che proprio nelle Upanisad
s'afferma per non più abbandonare il suolo dell'India, chi valuti nella giusta misura la difficoltà di staccarsi dalla
concezione mitica dell'universo e dal dominio più o meno esclusivo del rito e della magia per guardare con occhio
spassionatamente limpido ai fatti della vita e della morte, dovrà riconoscere che nelle Upanisad, al di là degli innegabili
apriorismi e delle sopravvivenze del passato, lo spirito umano ha lasciato una documentazione notevolissima d'un
travaglio spirituale che cerca, propone e ancor dubita delle soluzioni proposte, che accetta e combina
spregiudicatamente elementi e nozioni di varia origine, che per rappresentare la complessità dell'inconoscibile non esita
ad ammettere contraddizioni e contrasti. E la validità non già delle risposte date, ma dell'atteggiamento assunto, è
dimostrata dal fatto che la storia del pensiero indiano è incomprensibile ove si trascuri il periodo delle Upanisad antiche
e medie.
Esaminando le tematiche delle Upanishad più importanti, ne emergerà la continuità di fondo, benché‚ non una visione
unitaria o omogenea.
Nella Brihadaranyaka Upanishad è formulata una cosmologia primitiva. All'inizio c'era soltanto il nulla, il non - essere,
dal quale si produsse l'universo. In ogni uomo alberga una scintilla del Brahman, l'energia cosmica: si tratta dell'atman,
il principio dell'individualità o il sè personale ( di solito, erroneamente tradotto con "anima"; per quanto concerne la
possibilità di definire "personale" l'atman). Viene postulata una corrispondenza intima tra il micro e il macrocosmo,
sulla base di vari spunti vedici. Ogni creatura riceve qualcosa dal Brahman: l'incarnazione più completa di quest'energia
è il brahmano, il sacerdote. In questa Upanishad si torna sulla questione delle caste. Tuttavia, nonostante l'evidente
enfasi sulla casta brahmanica, nella Upanishad è un guerriero a istruire un sacerdote. Evidentemente alla classe dei
Brahmani non era ancora stato assegnato il ruolo di primo piano che avrebbe avuto in seguito. Si dichiara che del
Brahman non si può parlare. Nessuna determinazione verbale riuscirebbe a renderne la natura: "non così, non così" (neti
neti): è l'unica espressione applicabile all'energia cosmica. Viene poi indicata l'identità tra il Brahman e l'atman, tra
l'energia impersonale e l'identità personale (4, 4, 5)." tutto il mondo non è altro che l'atman. "L'atman è indistruttibile ed
eterno. Questa cosmologia ha importanti risvolti etici. L'uomo dovrà prendere coscienza della propria identità autentica,
per capire che il suo atman, la propria natura intima, contiene un principio universale. Egli rifuggirà dalle passioni,
votandosi all'ascetismo. Ad un certo punto della propria evoluzione, infine, si lascerà dietro qualsiasi massima o norma
etica: sarà libero sia dal male che dal bene. In questo stato d'animo non traccerà più alcuna distinzione tra sè e gli altri,
rendendosi conto della perfetta identità tra il Brahman e l'atman. E non potrà più temere nulla: la sua vita sarà
immortale, ormai, come quella del cosmo.
Anche nella Chandogya Upanishad, un membro della casta guerriera , cioè un principe, si rivedrà più perspicace dei
suoi interlocutori brahmani. Il protagonista della Upanishad è il brahmano Uddalaka Aruni. Anche qui viene postulata
una perfetta corrispondenza tra il micro e il macrocosmo: uno stesso fenomeno, il respiro pervade ogni ambito
Pagina 14 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
dell'universo, e continua a sussistere in ogni istante, persino nel sonno profondo. Con alcune varianti, ci si riallaccia alla
cosmologia della Briahadaranyaka Upanishad: dal non - essere deriva l'essere; in questo caso, si passa poi alla
produzione di un uovo cosmico, le cui metà compongono l'universo. Tuttavia, in altre sezioni della Upanishad questa
dottrina viennegata: "com'è possibile che dal non - essere sia sorto l'essere?". Ciò attesta la presenza di alcune
incrostazioni, quindi l'apporto di vari autori alla redazione dell'opera. Sul piano etico, si ammette la rinascita. In base
alle azioni compiute, si tornerà in altre spoglie sulla terra: nelle tre caste ariane, nei casi di buona condotta; come
animali spregevoli o come intoccabili ( " fuori casta " o candala, nei casi di malvagità (5, 10, 7).
Al punto culminante della Upanishad, Uddalaka si rivolge al figlio, ammonendolo: " Quello sei tu, Cvetaketu ". "
Quello " è l'atman, il principio individuale che corrisponde al Brahman, e si cela in ogni entità. In questo modo, il figlio
apprende la propria perfezione. E` l'atman che permette ad un seme di produrre un grande albero. Esso è un'essenza
sottile, una forza invisibile che consente ad ogni essere di realizzare la propria natura. E` il respiro vitale, che infonde
energia alle creature. in ultima analisi, è il Brahman: il mio Sè è il Sè del cosmo. Bisogna cercare dentro di sè la propria
matrice, una scintilla energetica che ospitiamo in un piccolo spazio vuoto del cuore. Se vi si riesce, aiutandosi con la
meditazione, i sacrifici e lo studio dei Veda, non ci si ammalerà più, nè si soffrirà o si morirà. Si entrerà nel mondo del
Brahman, per non far più ritorno sulla terra . Il ciclo delle rinascite viene interrotto . Un'esistenza eterna attende l'atman,
nel suo amplesso con il Brahman, che è la sua stessa fonte.
Nella Taittiriya Upanishad viene ripreso l'assunto dell'identità Brahman/atman. Si è inoltre convinti che nella sillaba om
si celi l'essenza del Brahman.
Nella Kena Upanishad si dichiara che il Brahman non può essere insegnato, nè pensato: nè chi crede di conoscerlo, nè
chi crede di non conoscerlo coglie nel segno.
Nella Isà Upanishad si coltivano tendenze teistiche, accennando ad un " Signore " (Ica). Si raccomanda di abolire la
mentalità dualistica: solo così, ad un certo punto, si capirà che nell'alto dei cieli c'è soltanto il proprio Io. La distinzione
tra noi e gli altri viene invalidata. A quel punto, abbandonando la conoscenza e l'ignoranza, si attingerà l'immortalità.
Nella Katha Upanishad si narra dell'incontro tra Naciketas, il primo uomo che morì, e Yama, il Dio dei morti. "Dopo la
morte, l'uomo esiste ancora o no?" E` questa la domanda angosciante che Naciketas pone al Dio della morte. Ma non
non otterrà una vera risposta: Yama si limita a dirgli che l'atman è immortale ed eterna (2, 5, 13).
Nella Mundaka Upanishad vengono ammessi due ambiti della conoscenza. Da un lato, c'è il campo delle scienze
inferiori: lo studio dei Veda, l'astronomia, la fonetica, la ritualistica, la grammatica, la metrica e l'etimologia. Dall'altro
l'c'è la scienza superiore, il cui oggetto è la conoscenza del Brahman(1, 1, 5).
Nella Mandukga Upanishad si parla di quattro stati di coscienza o piani di realtà: vaicvanara, stato di veglia; Taijasa,
stato onirico; prajnà, stato del sonno profondo; turiya, stato indefinibile. Nel primo la conoscenza dell'adepto si fonda
sul pensiero dualistico e sulle distinzioni, richiamandosi agli oggetti sensibili. Nel secondo si volge invece all'interiorità,
cioè agli oggetti del sogno. Nel terzo l'adepto non vede più alcuna immagine, quindi può rinunciare ad effettuare la
distinzione tra soggetto ed oggetto. Nel quarto, infine, egli non dipende più da alcunché, all'infuori di sè stesso: ha
realizzato la perfetta coincidenza tra il Brahmane l'atman. Ormai coltiva una consapevolezza non - duale, evitando di
riferirsi alle cose esteriori e a quelle interiori .
La Cvetacvatara Upanishad, infine, è tra le più recenti delle composizioni antiche. Nel Brahman è insita una trinità: Dio,
atman e " natura " (prakriti o cakti). Dio è il Signore del mondo, Colui che lo crea e lo distrugge. A volte è chiamato
Rudra; a volte, Civà. La natura è illusoria: nient'altro che il prodotto di un gioco di prestigio del mago divino. Essa
appare in un certo modo, ma non è in quel modo. L'atman è il sè individuale: da un lato, un elemento personale;
dall'altro, una componente eterna del Brahman imperituro. Colui che, attraverso le opportune pratiche yogiche, scoprirà
che Dio abita nel suo stesso cuore, otterrà la liberazione. Il suo atman sarà riassorbito nel Brahman. Anzich‚ sulla
conoscenza, qui si insiste sulla devozione (bhati) nei confronti del Signore. Questa Upanishad si discosta, per grandi
linee dalle altre: influenzerà molto la religiosità della massa. E non soltanto la speculazione filosofica. Nelle varie
Upanishad s'insiste sull'autorealizzazione, per rifiutare, o perlomeno ridimensionare, l'importanza dei sacrifici vedici. Si
tende alla liberazione (moksha), un obiettivo che è possibile raggiungere soltanto uscendo dal samsara, il siclo delle
nascite e delle morti. Ogni azione produce un frutto: è il principio basilare della legge del karma , che determina le
modalità delle future reincarnazioni. Attraverso la condotta ottimale, si deve cercare di spezzare il ciclo: a quel punto,
l'atman sussisterà in eterno , inglobato nel Brahman. E` una liberazione, in positivo, dunque, ben diversa da quella di un
certo buddhismo, per il quale l'uscita dal samsara comporterebbe l'estinzione eterna.
(Tratto da La Filosofia Indiana - Leonardo Arena - Edizioni Newton & Upanishad a cura di Carlo della Casa Edizioni Utet)
Pagina 15 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
1.3.10
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
GROTOWSKI
http://www.sipario.it/jerzygrotowski.htm
jerzy grotowski : regista (1933 - 1999)
Jerzy Grotowski (Rzeszòw, Polonia, 1933-Pontedera, 1999), è uno dei grandi riformatori del teatro europeo, l'ultimo
grande teorico e regista di un teatro concepito come occasione suprema di verità dell'umano. Studiò recitazione e regia
alla scuola superiore d'arte teatrale di Cracovia e si perfezionò quindi a Mosca e in Cina. Tornato in patria diresse fra
il 1957 e il 1959 alcuni spettacoli (Le sedie di Jonesco, Zio Vanja di Cechov) con cui si fece notare. L'avventura teatrale
autonoma di Grotowski inizia nel 1959, quando gli viene affidato un teatro nella città secondaria di Opole, così piccolo
che prendeva il nome dalle tredici file di poltrone che lo costituivano (Teatr 13 Rezdow). Grotowski mise in piedi un
gruppo di collaboratori giovani come lui (fra cui il più importante è il drammaturgo Ludwik Flaszen; dopo qualche anno
arriverà a fargli da braccio destro uno studente italiano residente in Norvegia, E. Barba) e iniziò un lavoro molto
approfondito e sistematico di sperimentazione linguistica e pedagogica, con l'obiettivo dichiarato di cercare un teatro
capace di resistere alla concorrenza del cinema e della televisione. Fra numerosi spettacoli messi in scena negli anni di
Opole, si ricordano Orfeo di Cocteau, Caino di Byron, Faust di Marlowe, Mistero buffo di Majakovskij, Sakuntala di
Kalidasa, Akropolis di Wyspiansky. Tutti questi testi subivano un profondo processo di elaborazione drammaturgica,
che spesso puntava a rinnovarne il senso attraverso un radicale spostamento di ambientazione e di clima psicologico, e
insieme una sperimentazione, allora del tutto inedita, dello spazio scenico. Così Akropolis, testo fondamentale del
romanticismo nazionale polacco, invece che nel palazzo reale di Cracovia, si svolgeva in un lager nazista, dove gli
spettatori apparivano imprigionati insieme agli attori. Faust, invece, era rappresentato durante una sorta di ultima cena,
di nuovo condivisa fra interpreti e spettatori. Il lavoro si concentrava però soprattutto sull'arte dell'attore: i suoi attori
giunsero rapidamente alla pratica di un allenamento quotidiano sulla base di esercizi tecnici e creativi, ma soprattutto si
sforzarono di superare limiti fisici e psicologici, per arrivare all'autentica 'autopenetrazione': lavoravano sulla voce, sul
corpo, imparavano a trasformare le facce in maschere di carne, cercavano soprattutto un'estrema verità della presenza.
"Per un anno", raccontava il suo attore più noto Riszard Cieslak, "ho lavorato come se potessi imparare a volare col mio
corpo". Nel frattempo il Grotowski regista sconvolge tutte le regole: distrugge lo spazio separato dello spettacolo,
elimina gli accessori artificiali come luci esterne e musiche registrate, mescola attori e spettatori, fabbrica spettacoli
sorprendenti con materiali poverissimi, inventa aspri sarcasmi sui sacri testi della drammaturgia polacca. Da Opole il
teatro si trasferisce nel 1965 a una città molto più importante come Wroclaw, ma sempre in uno spazio molto piccolo e
sotterraneo, denominato programmaticamente Teatr Laboratorium. Incominciano ad arrivare qui dei visitatori europei,
qualche spettacolo come Il principe costante e Apocalypsis cum figuris arriva in Occidente, suscitando enorme
interesse. Un suo libro, Per un teatro povero compilato con E. Barba, diventa la bibbia della sperimentazione teatrale di
tutto il mondo, dal Sudamerica al Giappone.
Nel momento del trionfo internazionale, verso il 1967, Grotowski fa una gesto imprevedibile: abbandona il teatro,
almeno il tradizionale 'teatro dello spettacolo'. Nel suo progetto di riscatto del teatro come 'spazio dell'incontro' non gli
basta più nemmeno l'estremismo delle sue messinscene aspre e perfette. Vuole più verità, non può più accettare il
principio della finzione che sta alla base di ogni spettacolo. Guida gruppi che lavorano per settimane in stanzoni vuoti,
senza copione e senza spettatori, cercando 'azioni organiche', oppure li porta in luoghi naturali a prendere coscienza del
corpo e del mondo, delle sostanze naturali. Inventa la 'drammaturgia dell'incontro', il 'parateatro', che conosce a sua
volta verso la fine degli anni '70 un momento di forte interesse. Ma neanche queste cerimonie segrete e commoventi,
che arrivano in Italia a una celebre Biennale di Venezia, gli bastano a lungo. Esse hanno per lui il difetto di limitarsi
all'incontro interpersonale, e con ciò di restare alla superficie del nocciolo più importante della natura umana.
Grotowski esplora allora le culture più diverse, alla ricerca delle tradizioni che usano il corpo in movimento come
strumento di rivelazione e di esperienza: i neri del vodoo, i messicani, le canzoni degli indiani bauli. Riporta queste
esperienze fisiche 'della solitudine' in una serie di seminari che si chiamano 'teatro delle sorgenti', lentamente delinea
una teoria del performer come colui che è in grado di canalizzare nel suo corpo ricordi ancestrali ed energie cosmiche,
teorizza 'l'arte come un veicolo'. Tutta questa esperienza ricchissima, accumulata nel corso degli anni '80 e '90, non
resta privata, si diffonde attraverso incontri, seminari, scambi, conferenze, che sono organizzati per lo più a Pontedera,
dove ha sede il suo laboratorio, grazie al generoso aiuto del Centro di sperimentazione teatrale. Appare qualche suo
saggio sulla nuova teoria del performer, un film che illustra il suo lavoro; e in qualche occasione isolata e molto protetta
è possibile a pubblici selezionati vedere le cerimonie (piuttosto che spettacoli) in cui si esprime l'ultima fase del suo
lavoro: eventi rituali costituiti di semplici azioni fisiche e di canti fortemente evocativi, che colpiscono con una
Pagina 16 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
profonda suggestione emotiva i loro 'testimoni' (non più spettatori).
Grotowski è sempre di più il maestro di
generazioni di teatranti: un maestro segreto, in apparenza silenzioso, ma essenziale.
1.3.11
EUGENIO BARBA
http://it.wikipedia.org/wiki/Eugenio_Barba
Eugenio Barba (Brindisi, 29 ottobre 1936) è un regista teatrale italiano, una delle figure di spicco del teatro mondiale
contemporaneo.
Noto come allievo ed amico di Jerzy Grotowski e fondatore e direttore dell'Odin Teatret. È considerato, insieme a Peter
Brook, l'ultimo maestro occidentale vivente[1].
Barba ha modificato il concetto di lavoro dell'attore avviato dal regista polacco, attraverso una pratica teatrale che porta
l'attore a contatto con la propria ricerca interiore.
Biografia
Nato a Brindisi nel 1936 da genitori originari di Gallipoli, in provincia di Lecce, crebbe nella città ionica. La situazione
socio-economica della sua famiglia cambiò notevolmente quando il padre, un ufficiale militare, fu ferito durante la
seconda guerra mondiale e morì di lì a poco.
Dopo aver completato gli studi superiori alla Scuola Militare Nunziatella di Napoli nel 1954, abbandonò l'idea di
seguire il padre nella carriera militare. Nello stesso anno si trasferì in Norvegia per lavorare come saldatore e marinaio.
All'università di Oslo si laureò in Lingua francese e in Letteratura e Storia delle Religioni norvegesi.
Nel 1961 si recò a Varsavia, in Polonia, per studiare regia teatrale alla Scuola Teatrale di Stato, che lasciò un anno dopo
per unirsi a Jerzy Grotowski, all'epoca leader del Teatr 13 Rzedow di Opole. Barba trascorse con Grotowski tre anni.
Nel 1963 viaggiò in India, dove ebbe il suo primo incontro con il Kathakali, una forma teatrale sottovalutata
nell'Occidente fino ad allora. Sul Kathakali Barba scrisse un saggio che fu pubblicato in Italia, Francia, Stati Uniti e
Danimarca. Il suo primo libro, Grotowski alla ricerca del Teatro Perduto, fu pubblicato in Italia e in Ungheria nel 1965.
Quando tornò a Oslo nel 1964 era intenzionato a diventare un regista teatrale professionista, ma, poiché straniero, non
fu ben accolto nella professione. Così inaugurò un teatro personale. Raccolse un gruppo di giovani che non avevano
superato la prova di ammissione alla Scuola Teatrale di Stato di Oslo e creò l'Odin Teatret il 1º ottobre 1964. Il gruppo
provava in un rifugio all'aria aperta. La prima produzione dell'Odin Teatret, Ornitofilene, dell'autore norvegese Jens
Bjørneboe, fu presentata in Norvegia, in Svezia, in Finlandia e in Danimarca. Dopo lo spettacolo in Danimarca il
gruppo fu invitato dal comune di Holstebro, una piccola città della costa nord-occidentale, a creare un laboratorio
teatrale nel luogo. All'Odin Teatret furono offerti una vecchia fattoria e un'esigua somma di denaro per potersi stabilire
nel posto autonomamente. Da allora Barba e i suoi colleghi hanno a Hostelbro la sede dell'Odin Teatret.
Spettacoli e pubblicazioni
Negli ultimi quarant'anni del Novecento Eugenio Barba ha diretto 65 produzioni con l'Odin Teatret e il Theatrum
Mundi Ensemble. Alcuni degli spettacoli hanno richiesto anche più di due anni di preparazione. Tra i titoli più noti ci
sono Ferai (1969), Min Fars Hus (La Casa di Mio Padre o La Casa del Padre) (1972), Le Ceneri di Brecht (1980), Il
Gospel Secondo Oxyrhincus (1985), Talabot (1988), Itsi Bitsi (1991), Kaosmos (1993) e Mythos (1998). Alcune delle
produzioni più recenti sono Sale (2002), Grandi Città sotto la Luna (2003), Il Sogno di Andersen (2005), Ur-Hamlet
(2006) e Don Giovanni all'Inferno (2006) in collaborazione con l'Ensemble Midtvest. Nell'ottobre 2006, in occasione
del settantesimo compleanno del regista, l'Odin Teatret ha organizzato una serie di spettacoli e incontri in Puglia, tra
Foggia e Lecce, provincia di origine di Barba.
Dal 1974 Eugenio Barba e l'Odin Teatret hanno trovato il modo di essere presenti in un contesto sociale mediante l'idea
e la pratica del teatro come "baratto culturale", uno scambio attraverso una performance con la comunità e un luogo non
fisico di dialogo e scambio tra diverse realtà. L'idea nasce durante il soggiorno dell'Odin Teatret in alcuni piccolissimi
paesi dell'Italia meridionale, e soprattutto del Salento, tra cui Carpignano Salentino, per rispondere alla seguente
domanda, posta dallo stesso Barba: "Cos'è un attore quando non ha con sé uno spettacolo?".
Negli ultimi anni l'Odin Teatret modifica per l'ennesima volta la propria impostazione: dopo anni di teatro laboratorio
chiusi in una sala studio, e dopo i momenti del "baratto culturale" a Carpignano Salentino (Lecce), il gruppo gira per il
mondo con spettacoli, performance-dimostrazioni e laboratori.
Pagina 17 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
NOESIS – BERGAMO
INCONTRI DI FILOSOFIA
CARLO SINI
CORPI RISUONANTI
2009 - 2010
IL CIELO, LA TERRA
Nel 1979 Eugenio Barba fondò l'ISTA, la Scuola Internazionale di Teatro Antropologico, per approfondire pratica e
pedagogia applicate alla performance. Ad essa aderiscono studiosi ed artisti di tutti i continenti e in essa dialogano
attraverso le proprie arti e la propria pratica. L'ISTA è nell'elenco delle istituzioni segnalate da giornali dotti come The
Drama Review, Performance Research, New Theatre Quarterly, Teatro e Storia e Teatrología. Tra le pubblicazioni più
recenti, tradotte in molte lingue diverse, figurano La Canoa di Carta (Routledge), Teatro: Solitudine, Mestiere, Rivolta
(Black Mountain Press), Terra di Ceneri e Diamanti. Il mio apprendistato in Polonia, seguito da 26 lettere di Jerzy
Grotowski ad Eugenio Barba (Black Mountain Press) e, in collaborazione con Nicola Savarese, L'Arte Segreta
dell'Attore e l'edizione riveduta e aggiornata: Un Dizionario di Antropologia Teatrale (Centre for Performance
Research/ Routledge).
Pagina 18 di 18
Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi