Corriere della Sera - febbraio 2001
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Corriere della Sera - febbraio 2001
A Firenze c'è un «fiorentino» Un gran ristorante, con una cucina locale senza età e senza compromessi: Cibrèo E' la scoperta dell'acqua calda. E' giusto, però, ricordarsi che l'acqua calda esiste e ringraziarne gli «scopritori», di tanto in tanto. Niente di nuovo, per fortuna, in questo beato tratto di via dei Macci: non fa affatto male, quindi, tornare sui valori sicuri e «sciacquare» non i panni in Arno, ma il palato da Fabio Picchi. Il «Cibrèo» esiste da oltre vent'anni, s'è trasformato, s'è allargato (nel raggio di qualche decina di metri, ristorante, trattoria, negozio d'alimentari e caffè), è anche espatriato con successo e continua a essere, di gran lunga, il miglior ristorante «fiorentino» di Firenze. Anzi, siamo sinceri, a parte Pinchiorri che fa corsa a sé, l'unica tavola di Firenze che davvero meriti un viaggio, per penetrare nell'intimo della più autentica, della più schietta, ma anche della più entusiasmante cucina toscana, senza età e senza compromessi. In un panorama, viceversa, nel quale nulla di nuovo e di significativo sembra emergere, appiattita la quasi totalità degli osti (per pigrizia, per volontà, per necessità?) nella più banale routine degli sciatti stereotipi della «toscanità» ad uso della massa d'un turismo sempre più mordi e fuggi. Al contrario, sempre svettano la personalità, la finezza d'animo, il gran mestiere, la capacità d'affabulazione appena appena nascosti dietro le folte e candide barba e capigliatura di Fabio Picchi, alla cui storia varrebbe la pena di dedicare un libro intero. Quindici giorni fa, tanto per dar l'idea del livello di professionalità, oltreché della bontà della cucina, al Cibrèo sono stati serviti d'un sontuoso menu alla carta - sottolineo alla carta, cioè ciascuno era libero di scegliere - in meno di due ore, una novantina di giornalisti del vino di tutto il mondo nella serata di benvenuto dell'anteprima del Chianti Classico, sotto la magistrale (e coraggiosa) regia di Emanuela Stucchi Prinetti, neopresidente del Consorzio che coltiva programmi sempre più ambiziosi. Il repertorio di esclamazioni di stupore, di strabuzzamento d'occhi, di sospiri languidi e, più prosaicamente, di reiterate richieste di bis a oltranza con le relative storpiature dei nomi dei piatti - in inglese, in tedesco, in fiammingo e, incredibile, in francese - avrebbe meritato d'essere ripreso da una telecamera nascosta, di fronte allo sformatino di ricotta, più che fresca «viva», al profumatissimo pomodoro in gelatina, al classico e perfetto paté ai tre fegati, all'irresistibile insalata di trippa, alla robbiolina gratinata, alla farinata col cavolo nero, al passato di zucca gialla con amaretti, allo sformato di patate e ricotta con ragù, alle francescane ma indescrivibili patate in umido alle erbe, alle cervella di agnello al cartoccio, al piccione allo spiedo, allo zimino di calamari, al tonno fresco sott'olio con fagioli e cipolle, al trancio d'orata d'alto mare all'elbana, tutto accompagnato da un profluvio di zolfini, ceci, cavolo nero, bietine eccetera. E seguito da una sequenza di quattro assaggi di un unico, ecceezionale pecorino «colto» in quattro diversi momenti della sua evoluzione e stagionatura. Forse non tutti piatti socially correct stanti le irriguardose dosi d'aglio, cipolla e altri aromi, ma anche le proposte più semplici buone, sane, stimolanti, dominate, va da sé, da olio del migliore, in tutto e per tutto. Gran cura nei dolci, per i quali è d'obbligo riservarsi un adeguato spazio; buona carta dei vini, con occhio particolare alla Toscana, com'è ovvio, e formidabile offerta (anche se non del tutto esplicitata: certe preziosità bisogna meritarsele) di distillati per i quali Picchi nutre un'irrefrenabile passione, che l'ha da sempre portato ad acquistare e a bere, prim'ancora che a far bere ai clienti, il «meglio» di tutto il mondo, complici i migliori nasi in circolazione, a partire dal mai sufficientemente ringraziato e sostenuto Silvano Samaroli, di Brescia. Dopo aver speso circa 100mila lire, si esce sazi, ma non appesantiti, e felici, dal Cibrèo, soprattutto riconciliati con i sapori diretti, netti e maschi d'una cucina che non pratica scorciatoie fra palato, cuore e cervello. Appunto, la cucina dei sensi, dell'intelligenza, della sapienza: Fabio Picchi nel suo Cibrèo a Firenze. 26 febbraio 2001 · Enzo Vizzari · CorrierEconomia/Corriere della Sera stampa · print
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