Donatello a Padova: la Basilica di Sant`Antonio
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Donatello a Padova: la Basilica di Sant`Antonio
(Ricerca gentilmente effettuata e messa a disposizione da Giacomo Bassetti, classe 4AL) Donatello a Padova: la Basilica di Sant'Antonio Nella Basilica di Sant'Antonio a Padova Donatello realizzò l’altare di Sant’Antonio (detto anche “Altare Maggiore”) con le sculture bronzee (Crocifisso della basilica del Santo, statue, rilievi e formelle di varie dimensioni) che Camillo Boito, durante il suo controverso restauro del 1895, ha collocato tutte sul suddetto Altare Maggiore da lui progettato. La piazza antistante ospita il monumento equestre al Gattamelata, sempre di Donatello. Il Crocifisso della Basilica del Santo Lo stesso Crocifisso della basilica del Santo è opera di Donatello, realizzata in bronzo (1444-1447) e conservata sull'altare maggiore della basilica. L'opera fu molto probabilmente la prima commissione importante di Donatello a Padova. Fu forse proprio l'allettante proposta di poter lavorare con il difficile e costoso bronzo che fece partire Donatello da Firenze per Padova, nel 1443. Si conoscono abbastanza bene le vicende della realizzazione dell'opera: nel 1444 venne acquistata la cera per il modello e nel 1467 l'opera, terminata, veniva esposta in basilica, mentre nel 1449 veniva pagata l'ultima rata del compenso dell'artista. Il Crocifisso non era probabilmente destinato all'altare e in ogni caso non faceva parte del complesso realizzato da Donatello negli anni successivi. Esso si sarebbe trovato piuttosto al centro del coro, alla cui recinzione l’artista lavorò in quegli stessi anni. La scultura venne sommamente apprezzata, tanto che in seguito, dal 1446, i frati decisero di affidare una commissione ancora più importante a Donatello: la realizzazione dell'Altare Maggiore, al quale lavorò fino al 1450. Originariamente Donatello aveva creato, per il suo Crocifisso, una figura del Cristo nuda, sulla quale apporre magari un perizoma tessile. L'attuale perizoma bronzeo è un'aggiunta del periodo barocco. La figura del Cristo è modellata con grande attenzione nella resa anatomica, nelle proporzioni e nell'intensità espressiva, aumentata da un taglio secco e asciutto della muscolatura dell'addome. Il capo reclinato lateralmente e la tensione del corpo esprimono efficacemente i tormenti del martirio subiti. La testa è un capolavoro per la resa nei minimi dettagli, con i peli della barba e i capelli minuziosamente modellati e per la straziante ma composta emotività della sofferenza nel momento vicino alla distacco dalla vita terrena. Le guance sono consunte e gli occhi scavati profondamente, la bocca è aperta come a spirare l'ultima esalazione. Il crocifisso evita completamente notazioni di esasperato realismo e rispetta i basilari canoni classici della scultura antica. L’Altare di Sant’Antonio L'Altare di Sant'Antonio, l'altare maggiore della basilica, fu realizzato da Donatello tra il 1446 e il 1453, con un ricchissimo corredo scultoreo in bronzo, che comprende sette statue a tutto tondo, cinque rilievi maggiori e diciassette rilievi minori. L'opera oggi visibile non è però originale, essendo perduta la struttura architettonica originaria. La composizione attuale è frutto della ricostruzione ipotetica del 1895 di Camillo Boito. L'importante commissione allo scultore fiorentino venne probabilmente decisa dopo aver visto il risultato del Crocifisso bronzeo (1443-1447), oggi collocato sopra l'altare ma originariamente pensato, come si è detto, forse per il coro. Grazie alla generosa donazione del cittadino padovano Francesco del Tegola, datata 3 aprile 1446, poté essere progettato un complesso mai visto prima, in gran parte nel costosissimo bronzo con la tecnica della “cera persa” (consistente nel creare un modello di cera e utilizzarlo per farne uno stampo di argilla. Praticando due fori sullo stampo, uno in alto e uno in basso si fa uscire la cera scaldandola e si versa del bronzo fuso al suo posto. Se ne ricava un modello identico a quello di cera). Iniziati i lavori nella seconda metà del 1446, nel maggio dell'anno successivo i singoli pezzi erano stati già fusi. Almeno cinque aiutanti parteciparono all'impresa. Nelle intenzioni dei committenti c'era che l'opera venisse terminata in tempo per la festa di Sant'Antonio da Padova del 13 giugno 1450, ma in realtà ancora dopo la partenza di Donatello da Padova (1453) sono registrati ritocchi fino al 1477. Appena terminato, l'altare doveva offrire una visione imponente, con la policromia e l'effetto abbagliante delle dorature e argentature. Gli elementi decorativi erano impostati in ricche varianti, che andavano dalle figurette dei rilievi, alla pienezza plastica delle opere a tutto tondo, dalle pose più composte a quelle più freneticamente concitate. Con la ristrutturazione del presbiterio nel 1591, l'altare venne smembrato e le varie opere divise in più punti della basilica. Nel nuovo altare barocco vennero reimpiegate solo alcune statue donatelliane, soprattutto nel coronamento. Solo nel 1895 fu ricomposto da Camillo Boito, il quale però creò una sistemazione fantasiosa e, molto probabilmente, diversa dalla composizione originale. La perdita della struttura architettonica originaria è stata una perdita notevole, conoscendo l'estrema attenzione con cui Donatello definiva i rapporti tra le figure, lo spazio e il punto di vista dell'osservatore. La ricostruzione odierna schiera le statue un accanto all'altra, su due livelli, ed anche i rilievi sono quasi tutti concentrati sulla faccia anteriore. All'epoca invece i lati posteriori degli altari avevano dignità pari alla faccia anteriore, perché essi erano destinati al godimento dei committenti, cioè dei presbiteri che partecipavano alla messa seduti nel coro, rigidamente separati dai fedeli tramite transenne che erano ben visibili in ogni chiesa fino alla Controriforma del Concilio di Trento. L'aspetto originario doveva ricordare una sorta di "sacra conversazione" tridimensionale, con le figure dei sei santi a tutto tondo disposte attorno a una Madonna col bambino sotto una sorta di baldacchino poco profondo scandito da otto colonne o pilastri. Nell’Altare di Sant’Antonio possiamo trovare: A. Sette statue a tutto tondo Al centro dell'altare si doveva trovare sicuramente la Madonna col Bambino, figura chiave della venerazione di sant'Antonio, affiancata come in una Sacra conversazione dalle altre statue di santi: Francesco, Giustina, Daniele, Ludovico, Prosdocimo e, ovviamente, Sant’Antonio da Padova (posto in seconda sede). La Madonna col Bambino fa come da fulcro all'altare. Sia nella struttura attuale sia nelle ricostruzioni critiche proposte dagli studiosi la Madonna è sempre collocata al centro, poiché figura di centrale importanza nella devozione e anche nella vicenda di sant'Antonio da Padova. I santi disposti attorno al suo trono formavano così una sorta di Sacra conversazione scultorea, nel prezioso materiale del bronzo. La Madonna col Bambino è assisa in trono ed è impostata secondo una rigida frontalità che richiama la tradizione medievale, forse su esplicita richiesta dei committenti. Essa è colta nel momento in cui sta per alzarsi e mostrare ai fedeli il Bambino, che allunga una manina benedicente. È incoronata da cherubini e festoni, e un cherubino le spilla anche la veste sul petto. Il trono è una citazione dell'antico, con due sfingi ai lati (allegorie della conoscenza) e un rilievo di Adamo ed Eva sullo schienale: la Vergine è come una seconda Eva che, generando il Redentore, libera dal peccato originale. L'espressione della Vergine è rigorosamente composta e seria, mentre il corpo, a differenza di altre opere donatelliane, sembra annullarsi nello stretto trono e nel complesso delle pieghe dell'abito, che sembrano formare un unico blocco. L'effetto generale doveva essere quello di un propagarsi del moto a onde successive sempre più intense, partendo dalla Vergine al centro, che era ritratta nell'atto bloccato di alzarsi dal trono per mostrare il Bambino ai fedeli. Delle altre statue si può dire: 1. San Francesco d'Assisi è ritratto in piedi, e fa pendant con l'altro frate, Sant'Antonio da Padova. Di solito vengono collocate come le due figure più vicine al centro, per la preminenza di Antonio da Padova cui era dedicata la grande basilica. San Francesco è ritratto come un uomo maturo, differentemente dall'iconografia tradizionale che lo ritrae giovane, e ha in mano un libro e un crocifisso. Le ferite delle stimmate sulle mani (frutto di un ritocco posteriore), appena visibili, sono l'unico attributo tradizionale che lo caratterizzano, oltre naturalmente all'abito ed alla chierica. Sant'Antonio è ritratto invece come un giovane abbigliato alla francescana, con in mano il giglio della purezza e un libro. Le due statue sono prive di accenni di movimento ed evitano le caratterizzazioni tese nell'espressività, un tratto comune anche delle altre statue dell'altare. 2. Santa Giustina, martire e protettrice di Padova, è ritratta in piedi, e fa pendant con l'altro protettore della città, San Daniele. Santa Giustina è ritratta come una giovane con corona e con gioielli che le pendono dai capelli. In mano tiene la palma del martirio e, a differenza del San Daniele, la sua veste è raccolta all'altezza dei fianchi in pieghe vibranti e scomposte, anziché procedere dritta verso il basso quasi senza pieghe. L'effetto è quello di una maggiore leggerezza che ben si addice alla figura della santa. San Daniele è invece ritratto come un giovane diacono che veste una dalmatica con una decorazione a rilievo di putti (in basso) e un cherubino (sul petto). A differenza della Santa Giustina, la sua veste procede dritta verso il basso quasi senza pieghe, mentre, si è detto, nella santa è raccolta all'altezza dei fianchi in pieghe vibranti e scomposte. Quest'opera, come un po' tutte le altre statue a tutto tondo dell'altare, non è caratterizzata da un'espressività tesa, come accade invece in altri capolavori dell'artista tra cui il vicino Crocifisso, realizzato qualche anno prima. 3. San Ludovico è ritratto in piedi, e fa pendant con l'altro vescovo, San Prosdocimo. Di solito vengono collocate come le due figure più lontane dal centro, che chiudono con i due bastoni pastorali la serie. B. Cinque rilievi maggiori più altri diciassette minori (tra cui i dodici di putti), per un totale di ventidue. Il pannello più importante è la Deposizione di Cristo. È l'unico rilievo non in bronzo ma in pietra calcarea in parte brunita, con inserti policromi. In primo piano si vede il lato anteriore, rettangolare e riccamente decorato da tarsie policrome, del sudario dove è deposto Cristo, il cui corpo è abbandonato, sostenuto da quattro uomini in primo piano. Il capo di Cristo cade realisticamente all'indietro, le mani e i piedi sono incrociati. Gli uomini sono di diverse età e sono composti secondo linee prevalentemente verticali e diagonali nel senso alto/destra-basso/sinistra. Le quattro donne in secondo piano sono invece in preda alla disperazione più concitata, correndo, piangendo, urlando e strappandosi i capelli. Due di loro hanno le braccia spalancate in aria e disegnano linee diagonali che incontrano perpendicolarmente o con angoli acuti quelle degli uomini, creando un effetto di contrasto e dinamismo. La mimica facciale e la gestualità sono esasperate, e stravolgono i personaggi rendendoli singolarmente irriconoscibili. L'insieme è intricato e dà un senso di affollamento che riempie quasi tutti gli spazi liberi del rilievo. L'effetto dimostra sia la disperazione, ma soprattutto l'incertezza e il caos che aveva creato la morte del Salvatore. Nella Deposizione lo spazio viene come annullato e della composizione rimangono solo il sarcofago e le figure in modo da accentuare la drammaticità dell'episodio, tanto da creare uno schermo unitario di figure dolenti sconvolte nei lineamenti che riduce i volti a maschere di dolore e costruisce i corpi e le vesti con angoli acuti. Spicca la linea dinamica, esaltata dalla policromia. In quest'opera, di impatto fondamentale per l'arte dell'Italia settentrionale, Donatello rinunciò ai principi di razionalità e fiducia nell'individuo tipicamente umanistica, che negli stessi anni ribadiva invece nel Gattamelata. Si tratta dei primi sintomi, colti con estrema prontezza dall'artista, della crisi degli ideali del primo Rinascimento che maturò nei decenni successivi. Quattro pannelli maggiori (57x123) raffigurano i Miracoli di sant'Antonio ed erano collocati forse in una posizione simile a quella odierna, ai lati cioè delle facce principali del basamento, sotto le sculture a tutto tondo: • Miracolo dell'asina: Secondo le storie di sant'Antonio, quando si trovava nei pressi di Tolosa il Santo ebbe una discussione con un eretico in merito all'Eucarestia. Gli venne allora richiesta una prova pratica delle sue affermazioni: l'uomo aveva un'asina che ripromise di tenere digiuna per tre giorni. Alla fine il santo le avrebbe offerto un'ostia consacrata e se essa l'avesse preferita alla biada avrebbe avuto ragione, cosa che puntualmente avvenne. La scena, molto affollata, è ambientata in una chiesa, come dimostra l'altare rinascimentale al centro, davanti al quale sta il santo che, con un piede sul gradino, si abbassa per offrire l'ostia alla mula, la quale sta davanti a lui e si è già inginocchiata. Dietro di loro si vedono i servitori che portano la biada. Gli astanti si accalcano attorno alla scena e nei vani sotto i due archi laterali, che sono in comunicazione con un passaggio diviso da una colonna. C'è chi si inginocchia perché ha riconosciuto il miracolo, chi è sorpreso, chi si accalca per la curiosità, salendo anche sui plinti, chi chiama altre persone ad accorrere. La scena è così ambientata nel quotidiano e la tensione emotiva nasce dal contrasto con l'evento miracoloso. • Miracolo del neonato che parla: Una donna era stata accusata ingiustamente di adulterio. Chiesto aiuto al Santo, essa venne scagionata dal proprio bambino, un neonato, che si mise miracolosamente a parlare. I personaggi principali dell'episodio sono ritratti al centro della composizione, mentre tutt'intorno si dispone un semicerchio di persone che assistono al miracolo, alcune delle quali sono in ginocchio. A sinistra si riconosce il marito della donna, con un ricco abbigliamento, che indica il bambino con gesto di sfida, poiché lo riteneva nato da un tradimento della moglie. Tra gli astanti si riconoscono un frate con la chierica e alcuni soldati con le armi in mano. La scena è anche qui calata nel quotidiano e la tensione emotiva nasce dal contrasto con il prodigio avvenuto. Essa è ambientata in un'architettura stupendamente scorciata in prospettiva, che ricorda le pareti delle chiese toscane: con l'oro è creata una bicromia che richiama edifici come il battistero di Firenze o il duomo di Siena. Anche in questo caso l'architettura tripartisce la scena, con aperture che rendono comunicanti i tre ambienti principali. nei vani laterali c'è un viavai di personaggi che arrivano o vanno a chiamare altre persone oppure si allontanano ma sembrano richiamati dal tumulto. Per dare l'idea di uno spazio aperto Donatello creò delle figure in primo piano che si ergono sui plinti accanto ai pilastri: esse sono di dimensioni maggiori perché teoricamente sono le più vicine allo spettatore, come se uscissero idealmente dalla rappresentazione. • Miracolo del figlio pentito: Un giovane aveva confessato al santo di aver percosso con un calcio la propria madre. Allora Antonio, per deplorare la sua azione, gli disse che la gamba si era macchiata di una tale colpa che meritava di essere tagliata. L'uomo pentito, appena tornato a casa, non avendo capito il senso delle parole, si taglio la gamba e la notizia della sua punizione fece il giro della città. Antonio si recò subito dall'uomo e spiegatogli il senso delle sue parole in un'orazione, gli riattaccò miracolosamente la gamba. La scena principale è magnificamente incorniciata dalla costruzione architettonica, che ambienta l'azione in un circo con gradinate, sopra il quale si erge un palazzo con un porticato (probabilmente un'eco dei palazzi del Palatino e del Circo massimo), mentre due scalinate in primo piano indicano, con le linee dei corrimano, il miracolo. La costruzione usa più punti di fuga, dimostrando un superamento della prospettiva lineare centrica. Un sole splendente, simbolo della luce divina, illumina il cielo in alto. I personaggi sono molto numerosi e vanno dalle persone vicine alla scena del miracolo, più o meno colpite dall'evento straordinario, ad una serie di passanti sulle gradinate, che accorrono o si voltano indicando l'avvenimento, fino alle piccole figurette che popolano il passaggio del circo tutto intorno, perfettamente rimpicciolite via via che ci si allontana in profondità. La tensione emotiva del miracolo nasce, come nelle altre tre raffigurazioni, dal fatto di essere calata nel quotidiano, con una straordinaria sintesi tra esigenze descrittive ed esaltazione del significato della scena. In basso a sinistra da un arco escono delle acque e delle figure sdraiate: sono una citazione dell'antico, infatti ricordano le personificazioni dei fiumi. • Miracolo del cuore dell'avaro: Un uomo molto ricco era morto e Antonio stava assistendo alle sue esequie. Preso da un'ispirazione subitanea si mise a gridare che il morto non andava sepolto in luogo consacrato, poiché privo di cuore. Stupiti dalla sua affermazione i presenti chiesero ad Antonio di dimostrare la sua affermazione ed egli, com’è citato nel Vangelo di Luca (Dov'è il tuo tesoro, lì è anche il tuo cuore), fece cercare nella cassapanca dove teneva il suo denaro e lì effettivamente venne rinvenuto. La scena mostra il centro i medici che aprono il petto dell'uomo e non vi rinvengono niente, mentre più a sinistra un uomo apre un forziere e vi rinviene effettivamente il cuore dell'uomo. Da questa scena si voltano rapidamente alcuni personaggi per adorare il sant'uomo che aveva detto il vero e, guidando anche l'occhio dello spettatore verso destra, indicano la figura di sant'Antonio che con una mano indica l'avaro, mentre ai suoi piedi sono già inginocchiati dei fedeli che si prostrano umilmente abbassando il capo o, addirittura, baciando la terra dove ha camminato. Sullo sfondo si vedono alcuni chierici del corteo funebre e nella folla si possono distinguere le più varie emozioni: dallo stupore alla devozione, dalla curiosità (come quella dei personaggi che salgono su un tavolo per vedere meglio) alla paura, come quella dei bambini che a destra scappano verso le loro madri. L'episodio viene così calato nel reale ed è sempre dal contrasto tra la vita normale e l'evento miracoloso scaturisce la forte tensione emotiva della scena. Straordinaria, come negli altri episodi, è l'ambientazione architettonica, perfettamente tridimensionale e centrata prospetticamente nonostante il bassissimo rilievo dello stiacciato (tipo di rilievo bassissimo che consente di ottenere effetti prospettici analoghi a quelli ottenuti col disegno). Il miracolo è ambientato in una strada che porta ad una chiesa, della quale si vede il grandioso portale ad arco, chiuso e rappresentato magistralmente in tutti i dettagli decorativi. Ai lati si trovano gli edifici, aperti sulla strada e decorati da elementi classici: archi, pilastri scanalati, timpani, soffitti a cassettoni. Grande prova di virtuosismo è data dalla rappresentazione degli ambienti soprattutto della casa di destra, con più piani attraversati da scale, scalette e passaggi perfettamente scorciati nello spazio illusorio. Seguono per dimensioni una formella quadrata con il Cristo morto (58x56) forse al centro della faccia principale, e quattro formelle quadrate con i simboli degli evangelisti, forse destinate ai lati: • Il rilievo del Cristo morto tra gli angeli si trovava in origine forse sotto la Madonna col Bambino ed anche oggi è stato collocato in posizione centrale nell'altare ottocentesco. Su uno sfondo preziosamente cesellato con tondi ed altri motivi geometrici, due angeli reggono una cortina, davanti alla quale sta il Cristo morto in piedi, secondo l'iconografia medievale. • Simbolo dell'Evangelista Giovanni: l'aquila è rappresentata in tutta la sua viva espressività, con una zampa che regge il libro sacro del Vangelo di Giovanni e il muso raffigurato di profilo con un'espressione torva che evidenzia il forte becco. Le ali sono spiegate e vibranti, come se stesse per spiccare il volo. Grande cura è stata usata nel descrivere dettagliatamente le penne una ad una con estremo realismo. Sul libro è poggiato un panno che si libra descrivendo un arabesco, molto raro nell'opera di Donatello, ma qui usato forse per riempire la parte inferiore. • Simbolo dell'Evangelista Luca: il bue è raffigurato come un animale mansueto, con un taglio asciutto e metallico nel segno nel rilievo. Dei quattro pannelli è il meno espressivo, anche per il soggetto, che non si presta a drammatizzazioni. • Simbolo dell'Evangelista Marco: il leone è trattato con vigore e con un grandissimo realismo, con gli arti tesi, la muscolatura forte e l'espressione attenta. • Simbolo dell'Evangelista Matteo: l'angelo è in realtà una fanciulla che tiene in mano il Vangelo di Matteo, aperto per leggerlo. Le sue mani, così come l'ala destra, escono dalla cornice, mentre quella sinistra vi scompare dietro, creando un'illusione di spazio reale, non vincolata alla rappresentazione. L'angelo è improntato ad una grazia celestiale, con un corpo femmineo, il volto dai lineamenti piccoli e minuti, la veste leggera che svolazza creando pieghe armoniose. L'effetto della dolcezza è molto raro in Donatello e qui trova, tra le sue realizzazioni, uno dei più riusciti esempi. Infine si hanno i rilievi di dodici formelle alte e strette con Angeli musicanti, che forse intervallavano i rilievi maggiori e che oggi sono invece allineati uno dopo l'altro su fronte della mensa eucaristica. Immagini utili correlate Il Crocifisso della Basilica del Santo La Deposizione di Cristo L’Altare di Sant’Antonio San Daniele e Santa Giustina, patroni della città La Madonna col Bambino… tra Sant’Antonio e San Francesco! Il Cristo morto tra gli angeli Il Miracolo dall’asina Il Miracolo del neonato che parla Il Miracolo del figlio pentito Il Miracolo del cuore dell’avaro I simboli di due dei quattro evangelisti, rispettivamente l’aquila di san Giovanni e l’angelo di san Matteo Un rilievo degli “Angeli musicanti”
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