L`occupatus e il problema del tempo - MediaClassica
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L`occupatus e il problema del tempo - MediaClassica
Analisi del testo argomentativo L’occupatus e il problema del tempo Seneca, De brevitate vitae (passi tratti dai capp. VII, VIII e IX) di Giuseppina Rosato Questa scheda di lessico, attraverso l’analisi di un testo argomentativo, con particolare riguardo a strategie argomentative quali exemplum, analogia e metafora, indaga il problema del tempo nel pensiero senecano, nella dicotomia occupati – sapientes. D ESTINATARI O BIETTIVI DIDATTICI • • • • • C ONTENUTI • V ERIFICA • • III liceo classico; V liceo scientifico. Conoscenza di alcune fondamentali strategie argomentative; capacità di analizzare il testo argomentativo, ovvero, capacità di riconoscere le strategie dell’argomentazione in esso presenti; capacità di analizzare l’interazione tra strategie della letterarietà e tecniche dell’argomentazione nel testo argomentativo, quindi, la duplicità funzionale di cui sono dotate le stesse tecniche argomentative: funzione poetica (estetica o emotiva) e argomentativa (probativa). Analisi del testo argomentativo con particolare riguardo a strategie argomentative quali exemplum, analogia e metafora. Il testo oggetto di analisi è costituito da alcuni brani del De brevitate vitae di Seneca (cap. VII ed estratti dai capp. VIII e IX) in relazione alla figura dell’occupatus e al problema del tempo. La verifica orale sarà finalizzata ad accertare il possesso delle conoscenze assimilate: l’alunno dovrà conoscere le strategie dell’argomentazione studiate e riconoscerne la presenza nei testi analizzati in classe; per verificare le competenze e, quindi, la capacità di analisi del testo, intesa come trasferimento a nuovi contesti delle conoscenze acquisite, si proporrà una verifica scritta di analisi di un testo argomentativo non ancora studiato (in lingua originale, corredato eventualmente di traduzione a fronte). Il testo argomentativo, proposto come oggetto di analisi, sarà tratto dalle opere filosofiche di Seneca. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 1 Dopo i capp. IV-VI, dedicati ai tre exempla storici (Augusto, Cicerone, Livio Druso), usati per illustrare la condizione di chi, travolto da occupazioni anche onorevoli, aspira invano alla tranquillità di una vita appartata, nel cap. VII Seneca riprende la trattazione del tema già affrontato nei capp. IIIII, ossia la dissipazione del tempo da parte di chi, preda dei suoi vizi-passioni e delle occupazioni connesse alla sua posizione sociale, si lascia prendere il tempo della sua vita, senza neanche avvedersene. Il capitolo VII, che contiene la definizione dell’occupatus, ha una posizione centrale nel dialogo, perché il problema della vita occupata consiste in una condizione erronea strettamente connessa al perverso uso del tempo. Ciò che rende la vita abbreviata è lasciare che le occupationes invadano a poco a poco, come un esercito straniero, il territorio riservato alla vita dello spirito e, quindi, all’educazione alla sapientia. Seneca affronta il tema della fugacità del tempo e dell’apparente brevità di una vita che tale ci sembra perché non ne sappiamo afferrare l’essenza, ma la disperdiamo in tante occupazioni futili senza averne piena consapevolezza. L’uomo si ritrova occupatus, privato della propria autonomia e costretto ad una ripetitività di azioni inutili e vane, che finisce per detestare. Ne deriva in primo luogo una profonda agitazione, che non permette mai uno sguardo alla cura di sé e alle esigenze del proprio Io. Il capitolo è dotato di una particolare vivacità di rappresentazione e una notevole forza icastica per le numerose “scene” che tratteggiano il quadro degli occupati. Attraverso un’analisi puntuale, sul versante lessico-semantico e retorico-stilistico, si procederà alla disamina di una serie di brani con focus sugli artifici retorici individuabili, in particolare su strategie argomentative come exemplum, analogia e metafora, funzionali alla trattazione del tema del tempo nella dicotomia occupati-sapientes. F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VII, 3 Denique inter omnes convenit nullam rem bene exerceri posse ab homine occupato, non eloquentiam, non liberales disciplinas, quando districtus animus nihil altius recipit sed omnia velut inculcata respuit. analogia Il concetto chiave del cap. VII è l’individuazione dell’occupatus, una sorta di “categoria spirituale”. Il termine è tratto dal lessico militare e va inteso nel suo valore passivo di participio perfetto: un luogo «occupato»1 dal nemico, un luogo di cui si è perso il controllo. Così interpretato, restituisce bene l’immagine dell’uomo alienato, che non possiede più se stesso e, quindi, neppure il proprio tempo, avendo riempito di altro la propria esistenza e risultando il suo animus districtus 1 Cfr. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, tomo III, s.v. occupo: occupare = invadere, obsidere, capere, usurpare, tenere, praesertim quum aut subito aut celeriter id fit; nonnunquam est distinere, impedire, ita ut ad alia nequeas animum et operam advertere, “tenere occupato”: qua significatione frequenter occurrit part. occupatus • Occupatus = distentus, districtus, implicatus, impeditus negotio aliquo, ita ut non possit alii rei operam dare (cui opponitur otiosus, vacuus). Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 2 («stretto», nella morsa nelle occupazioni). Il termine districtus presenta un rapporto di sinonimia con occupatus.2 L’immagine realistica, che si spinge fino all’urtante respuit («rigetta», «vomita») è improntata ai toni della tecnica diatribica, tesa ad impressionare l’uditore con le immagini. La diatriba è una forma di argomentazione largamente utilizzata nella tradizione cinico-stoica per discutere, conversare, conferire su temi etici e filosofici con un atteggiamento moraleggiante. I Diaologi di Seneca, non dialoghi veri e propri, bensì trattazioni filosofiche di vario argomento, si rifanno a questo modello. La discussione talvolta può assumere anche una connotazione particolarmente aggressiva, con il ricorso all’ironia e alla demistificazione. Il filosofo, con toni da diatriba appunto, sfrutta l’immagine realistica del respuere come modello analogico, che suggerisce una conclusione argomentata: come lo stomaco, già pieno di altre cose, non può che rigettare ciò che ancora gli venisse inculcato a forza, così l’animo degli occupati, che è districtus da altre occupazioni, necessariamente rifiuta l’eloquenza e le arti liberali. Possiamo rappresentare il gioco analogico instaurato dal filosofo con la seguente equivalenza: • (venter) : omnia inculcata = animus districtus : eloquentia et liberales disciplinae → respuere F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VII, 3-4 Nihil minus est hominis occupati quam vivere: nullius rei difficilior scientia est. Professores aliarum artium vulgo multique sunt, quasdam vero ex his pueri admodum ita percepisse visi sunt ut etiam praecipere possent: vivere tota vita discendum est et, quod magis fortasse miraberis, tota vita discendum est mori. Tot maximi viri relictis omnibus inpedimentis, cum divitiis officiis voluptatibus renuntiassent, hoc unum in extremam usque aetatem egerunt, ut exempla vivere scirent; plures tamen ex his nondum se scire confessi vita abierunt: nedum ut isti sciant. Vivere tota vita discendum est («per tutta la vita bisogna imparare a vivere») è una delle frasi forti del dialogo: la figura etimologica vivere-vita sottolinea il concetto che «stare al mondo non è vivere» (cfr. VII, 10: non ille diu vixit, sed diu fuit, «quello non è vissuto a lungo, bensì a lungo è stato al mondo»), dacché si vive la vita solo se si è appresa la scienza del vivere. Gli occupati non possono praticare le bonae artes, quindi, neppure l’arte del vivere, che è la più difficile. La regola generale (vivere tota vita discendum est) è avallata da exempla particolari, seppur compendiati nella formula tot maximi viri e non scandagliati nella loro specificità: tot maximi viri hoc unum in extremam usque aetatem egerunt, ut vivere scirent («tanti uomini grandissimi di questo si occuparono fino alla morte: di apprendere la scienza del vivere»), avendo abbandonato tutti gli impedimenta, definiti da una triade alquanto significativa: divitiae, officia, voluptates. Per lo Stoico 2 Cfr. Forcellini cit., tomo II, s.v. distringo: districtus est propter negotia in angustias redactus, distentus, distractus, occupatus. Per l’analisi del lemma cfr. anche Thesaurus linguae latinae, vol. V, s.v. distringo, 1551. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 3 rigoroso, infatti, non solo le ricchezze e i piaceri, ma anche gli impegni, sia quelli di carattere familiare che quelli pubblici, sono di ostacolo all’indagine e alla contemplazione, quindi, al perseguimento dello status di maximus vir. Gli impedimenta sono i bagagli di cui il filosofo, secondo il modello stoico di autàrkeia, si libera, come di un peso inutile. **************************** F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VII, 6-7 Nec est quod putes hinc illos aliquando non intellegere damnum suum: plerosque certe audies ex iis quos magna felicitas gravat inter clientium greges aut causarum actiones aut ceteras honestas miserias exclamare interdum: «Vivere mihi non licet». Quidni non liceat? Omnes illi qui te sibi advocant tibi abducunt. Ille reus quot dies abstulit? Quot ille candidatus? Quot illa anus efferendis heredibus lassa? Quot ille ad inritandam avaritiam captantium simulatus exempla aeger? Quot ille potentior amicus, qui vos non in amicitiam sed in apparatum habet? Dispunge, inquam, et recense vitae tuae dies: videbis paucos admodum et reiculos apud te resedisse. Dispunge e recense (cfr. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, tomo II, s.v. dispungo: dispungere est quasi punctis hinc et inde notare, supputare, rationes examinare, conferre et recognoscere; conferre accepta et data oppure Thesaurus linguae latinae, vol. V, s.v. dispungo, 1437: dispungere = t.t. de datis et acceptis conferendis, rationes recognoscere, recensere. Cfr. Forcellini cit., tomo IV, s.v. recenseo: recensere = recognoscere, summam totius multitudinis per numeros colligere) sono termini del lessico finanziario, che rinviano alla metafora del tempo-denaro. In questi due paragrafi torna la polemica contro i felices (cfr. IV, 1 e VI, 3) e ancora una volta viene richiamata, con connotazioni negative, l’attività principale del Romanus appartenente alle classi alte: l’attività forense e quell’esercizio di cariche pubbliche e onorifiche, specificate nel paragrafo successivo, ma qui definite con sferzante ossimoro honestae miseriae, «onorevoli miserie». La connotazione negativa, già presente fin dal greges della prima determinazione, dimostra la crisi d’identità delle classi alte romane. Seneca sostiene che di tanto in tanto anche costoro, sotto il peso di un grande benessere (magna felicitas gravat), tra i greggi di clienti, la trattazione di cause o le altre “onorevoli miserie”, lamentino il vivere sibi non licere. «Ma – continua Seneca – perché mai dovrebbe essere lecito?». Segue la regola generale: Omnes illi qui te sibi advocant tibi abducunt («tutti quelli che ti chiamano ad assisterli ti sottraggono a te stesso»). Nel parallelismo sibi advocant - tibi abducunt, il gioco dei pronomi (sibi - tibi), congiunto a quello dei preverbi (ad+vocant, avvicinamento; ab+ducunt, allontanamento), sottolinea il movimento alienante delle occupationes, che distolgono da se stessi e dal proprio tempo. Con lo schema delle anafore (il quot ripetuto cinque volte) e il verbo auferre si Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 4 apre un vivace elenco di raptores del tempo altrui: ille reus…, ille candidatus…, illa anus…, ille simulatus aeger…, ille potentior amicus, exempla specifici del generico omnes illi qui te sibi advocant. Al primo posto si colloca l’attività giudiziaria; segue la politica: proprio le principali attività del civis Romanus dei tempi ormai andati della Repubblica sono sentite qui come impedimenta al conseguimento della serenità interiore, dunque, della sapientia. Anche questo è un segno della rottura dell’armonia tra attività dello spirito e attività civili nel primo secolo dell’Impero. **************************** F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VII, 8-9 Adsecutus ille quos optaverat fasces cupit ponere et subinde dicit: «Quando hic annus praeteribit?» Facit ille ludos, quorum sortem sibi obtingere magno aestimavit: «Quando», inquit, «istos effugiam?» Diripitur ille toto foro patronus et magno concursu omnia ultra quam audiri potest complet: «Quando», inquit, «res proferentur?» Praecipitat quisque vitam suam et futuri desiderio laborat, praesentium taedio. At ille qui nullum non tempus in usus exempla suos confert, qui omnes dies tamquam ultimum ordinat, nec optat crastinum nec timet. Come ulteriore sviluppo e argomentazione della tesi già sostenuta nei paragrafi precedenti, a proposito della “gravis felicitas”, Seneca presenta ancora una vivace triade di figure di occupati: personaggi colti nell’esercizio di importanti magistrature romane (consolato e edilità) o in attività prestigiose, come quella forense, ma tormentati dal tedio del presente e dall’attesa ansiosa del futuro, come testimoniano i tre quando? che chiudono simmetricamente le tre situazioni. La regola generale – praecipitat quisque vitam suam et futuri desiderio laborat, praesentium tedio – («ciascuno getta via la propria vita, si tormenta nel desiderio del futuro e nel tedio del presente»), posta a conclusione dei tre exempla, funge da riepilogo e da estrinsecazione della morale, insita in ciascuno di essi. E contrario, attraverso un’enfatica avversativa, viene prospettato il sapiens: At ille qui nullum non tempus in usus suos confert, qui omnes dies tamquam ultimum ordinat, nec optat crastinum nec timet («Ma chi consacra ogni suo istante alle proprie necessità, che ordina ogni giorno come se fosse l’ultimo, non desidera il futuro né lo teme»). Si possono, pertanto, riconoscere due poli entro cui oscilla tutto il materiale del dialogo: l’asse del tempo discrimina da un lato gli occupati, dall’altro i sapientes. Sul problema basilare dell’uso del tempo si affrontano due atteggiamenti: l’uno rispecchia l’uomo com’è (l’occupatus, vittima del tempo, travolto dagli affanni del vivere); l’altro, l’uomo come potrebbe diventare (il sapiens, dominatore del tempo). Il sapiens non desidera il futuro né lo teme. Il tema è di marca epicurea (cfr. A Meneceo 122), ma basterà ricordare alcune celebri formulazioni oraziane, dallo spem longam receses (Ode I 11) al quodcumque dierum fors dederit, lucro appone («il giorno che ti darà la sorte, consideralo un guadagno») Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 5 (Ode I 9). La necessità di cogliere il presente e di non proiettarsi nel futuro, né con aspettative né con timore, è un elemento importante anche della dottrina stoica, dalle origini fino a Epitteto e Marco Aurelio. E Seneca stesso, ad esempio nell'epistola 1, 2, scrive: ... omnes horas complectere. Sic fiet ut minus ex crastico pendeas, si hodierno manu inieceris, «abbraccia tutto il tuo tempo. Così ti accadrà di dipendere meno dal domani, se allungherai la mano sull’oggi». F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VII, 9 Quid enim est quod iam ulla hora novae voluptatis possit adferre? Omnia nota, omnia ad satietatem percepta sunt. De cetero fors fortuna ut volet ordinet: vita iam in tuto est. Huic adici potest, detrahi nihil, et adici sic quemadmodum saturo iam ac pleno aliquid cibi: quod nec desiderat et capit. analogia Al motivo epicureo della ucronia, per cui il piacere è indipendente dal tempo, Seneca affianca il tema, altrettanto epicureo, della sazietà di fronte ai piaceri, che non possono che ripetersi. La formulazione di Seneca sembra alludere a un passo lucreziano.3 L’immagine concreta del cibo funge da chiarificazione definitiva del concetto. «Tutto è noto, tutto è già stato provato fino alla sazietà. Di tutto il resto disponga la fortuna, come vorrà: la vita è ormai al sicuro. Ad essa si può solo aggiungere qualcosa, ma non si può togliere nulla, e si può aggiungere come dell’altro cibo ad uno (convitato) già sazio e pieno: non è che ne senta il bisogno, ma ha ancora spazio per esso». • vita : novae voluptates = (conviva) satur ac plenus : aliud cibi F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VII, 10 Non est itaque quod quemquam propter canos aut rugas putes diu vixisse: non ille diu vixit, sed diu fuit. Quid enim si illum multum putes navigasse quem saeva tempestas a portu exceptum huc et illuc tulit ac vicibus ventorum ex diverso furentium per eadem spatia in orbem egit? Non ille multum navigavit, sed multum iactatus est. analogia La formulazione del concetto «esistere non è vivere» è ottenuta mediante una forte antitesi tra i due verbi vixit e fuit sul comune denominatore diu, ripreso dalla frase precedente. L’opposizione di senso tra vixit e fuit è l’opposizione tra il “vivere consapevolmente”, il “vivere con pienezza la propria vita” e il semplice “essere al mondo”, tra il vivere adempiendo col proprio officium al progetto della divinità e l’essere una semplice cosa nel mondo, sulla quale passano gli 3 Cfr. De rerum natura III, vv. 944 s., in cui la natura si rivolge all’uomo con sarcasmo: nam tibi praeterea quod machiner inveniamque / quod placeat nihil est: eadem sunt omnia semper («infatti non c’è nulla che io possa escogitare e scoprire per te, che ti piaccia: tutte le cose sono sempre uguali»). Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 6 eventi e il tempo. Il concetto viene illustrato con il modello analogico del viaggio, che assume le forme del viaggio per mare. Per ribadire ulteriormente l’analogia, Seneca usa formulazioni sintattiche e linguistiche parallele: • • diu vixisse/non diu vixit/sed diu fuit; multum navigasse/non multum navigavit/sed multum iactatus est. Il procedimento analogico attua un trasferimento di tratti appartenenti al campo della navigazione sul referente “vita umana”. Nei parallelismi, inoltre, il primo item esprime l’impressione comune, fallace (putes in entrambi i casi) e gli altri due, invece, la correggono (non..., sed...). L’ampio contesto semantico della navigazione si fonda sull’enfasi del tratto stilistico /vehemens/: multum navigasse, saeva tempestas, huc et illuc, vicibus ventorum ex diverso furentium, multum navigavit, multum iactatus est. Il macrocontesto è interrotto dal lessema portus, caricato, invece, del tratto stilistico /placidus/. Il porto, infatti, è metafora di quiete, serenità, stabilità, quindi, saggezza filosofica; la saeva tempestas, i venti furentes alludono, invece, metaforicamente alle peripezie, disavventure, sventure, in cui incappa l’uomo nel corso della vita, quelle turbolenze della vita stessa che minano la sua stabilità (cfr. exceptum huc et illuc, vicibus ventorum ex diverso furentium). Alludono, altresì, alle numerose incombenze da cui l’uomo è travolto, ai diversi raptores che usurpano il suo tempo, rendendo alienum anche l’unico bene nostrum (cfr. Epistuale morales ad Lucilium I 1, 3: Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est). Seneca mettere in parallelo i segni della vecchiaia (cfr. propter canos aut rugas) come spia dell'aver vissuto pienamente a lungo, ma anche dell'essere semplicemente esistiti senza meriti e il navigare qua e là fra tempeste e venti forti, che potrebbe essere interpretato come un navigare con intensità affrontando i pericoli, ma anche banalmente farsi sballottare dai flutti senza una meta. Non ille multum navigavit, sed multum iactatus est, «Quel tipo non ha navigato molto, molto è stato sballottato», laddove lo iactari allude ad una vita agitata e sconvolta, iperattiva, piena di incombenze, ma di ostacolo al perfezionamento morale. Continuando l’analisi della vita dell’occupatus, Seneca puntualizza – nei capp. VIII e IX – il problema della perdita del tempo e della necessità opposta di impiegare proficuamente ogni attimo della propria vita. Seneca si chiede come mai l’uomo lascia che vada persa la cosa più preziosa che possiede e che, a differenza degli altri beni, non può mai più essere reintegrata. La spiegazione è che si tratta di un detrimentum latens (VIII, 5), di una perdita non avvertita e neppure avvertibile, perché legata alla natura immateriale del tempo (res incorporalis). Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 7 F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VIII, 1-2 Mirari soleo cum video aliquos tempus petentes et eos qui rogantur facillimos; illud uterque spectat propter quod tempus petitum est, ipsum quidem neuter: quasi nihil petitur, quasi nihil datur. Re omnium pretiosissima luditur; fallit autem illos, quia res incorporalis est, quia sub oculos non venit, ideoque vilissima aestimatur, immo paene nullum eius pretium est. Annua, congiaria homines carissime accipiunt et illis aut laborem aut operam aut metafora diligentiam suam locant: nemo aestimat tempus; utuntur illo laxius quasi gratuito. La stessa terminologia utilizzata da Seneca sembra alludere alla metafora del tempo-denaro. Il lessico è tratto dall’ambito economico-finanziario: petentes, rogantur, petitum est, petitur, datur informano la dialettica domanda-offerta nella prassi economica. Per l’intero capitolo si insiste sulla preziosità della cosa chiesta e data. Alla semantica dell’economia si ascrivono anche re pretiosissima, pretium, gli opposti vilissima4 e gratuito e il verbo aestimo, proprio del linguaggio tecnico bancario5. Per ovviare al carattere “incorporeo” del tempo e rendere chiaro il messaggio ai destinatari, secondo i dettami della predicazione stoico-diatribica, Seneca ricorre ad immagini visive. Come in risposta al fatto che il tempo, in quanto incorporalis, sub oculos non venit, sembra necessario introdurre una serie di immagini concrete. L’errore di valutazione degli uomini circa il tempo nasce proprio quia res incorporalis est, quia sub oculos non venit, ideoque vilissima aestimatur. Di qui si spiega la metafora tolta dalla sfera della fisicità e della concretezza, appunto, il tempo come denaro. Annua, congiaria sono considerate dagli uomini cose preziosissime, per cui carissime accipiunt et illis aut laborem aut operam aut diligentiam suam locant, dal momento che sono beni concreti, in voluta antitesi con il vilissima eastimatur, detto del tempo, in quanto res incorporalis. **************************** Prosegue l’argomentazione della perdita del tempo come un fatto tra i più insidiosi in quanto inavvertito, annessa ai temi della fugacità del tempo e la caducità dell’esistenza: lo “scorrere” via in fretta (cfr. festinare) della vita, il suo “scivolare” senza far rumore e senza lasciar traccia dovrà però scontrarsi con una realtà inesorabile, la morte, per cui, volente o nolente, l’uomo dovrà trovare tempo (occupatus vs vacuus). 4 Cfr. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, tomo IV, s.v. vilis: vili (pretio) est parvo pretio ; vilitas est exiguitas pretii • vilis = vulgaris, contemptus, humilis, levis, minimi pretii. 5 Per l’analisi del lemma cfr. Thesaurus linguae latinae, vol. I, s.v. aestimo, 1096-1108. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 8 F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, VIII, 5 Nemo restituet annos, nemo iterum te tibi reddet. Ibit qua coepit aetas nec cursum suum aut revocabit aut supprimet; nihil tumultuabitur, nihil admonebit velocitatis suae: tacita labetur. Non illa se regis imperio, non favore populi longius proferet: sicut missa est a primo die, curret, nusquam devertetur, nusquam remorabitur. Quid fiet? Tu occupatus es, vita festinat; mors interim aderit, cui velis nolis vacandum est. metafora Con i due nemo si apre una struttura simmetrica di negazioni, abbinate in anafora, alle quali segue una frase di commento, che sottolinea l’irreparabile andare del tempo: nemo restituet nemo reddet ibit qua coepit nihil tumultuabitur nihil admonebit tacita labetur non regis imperio non favore populi sicut missa est curret I tre verbi delle frasi di commento, ibit («andrà»), labetur («scivolerà via»), curret («correrà»), suggeriscono l’immagine del fiume che scorre via. E il cursum, subito menzionato, la esplicita chiaramente. Aetas (annos, vita) est cursus festinare est ire (labi, currere) velocitas Il “fluire inavvertito” della vita è lo “scorrere veloce” di un fiume. Tu occupatus es, vita festinat: si sintetizza in questa frase il carpe diem di Seneca, che angosciosamente mette in rilievo non la necessità di cogliere l'attimo, ma lo sperpero della vita occupata, riempita di altre attività. In sicut missa est a primo die, curret si riconosce un’ulteriore metafora: quella del cocchio, che scatta alla partenza, ma la continuità della corsa è legata alla concezione deterministica dello Stoicismo, per la quale tutta la vita è segnata fin dal primo giorno6. **************************** 6 Cfr. Seneca, De providentia V, 7: Fata nos ducunt et quantum cuique temporis restat prima nascentium hora disposuit. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 9 Allo spreco inavvertito del tempo si aggiunge la dilatio (IX, 1), il continuo rinvio al domani: così, in nome di un futuro incerto, si perde il bene certo del presente. Di qui, trova la sua legittimazione il pressante invito del protinus vive (IX, 2). Già annunciato nel capitolo precedente, questo tema emerge nel IX, dove è formulato con chiarezza: il “carpe diem” stoico suona come necessità di cogliere il presente, senza dilazioni né vani rinvii. F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, IX, 1-2 Maximum vivendi impedimentum est exspectatio, quae pendet ex crastino, perdit hodiernum. Quod in manu fortunae positum est disponis, quod in tua, dimittis. Quo spectas? Quo te extendis? Omnia quae ventura sunt in incerto iacent: protinus vive. Clamat ecce maximus vates et velut divino horrore instinctus salutare carmen canit: Optima quaeque dies miseris mortalibus aevi prima fugit. «Quid cessas? Nisi occupas, fugit». Et cum occupaveris, tamen fugiet: itaque cum celeritate temporis utendi velocitate certandum est et velut ex torrenti rapido nec semper ituro cito hauriendum. 7 analogia L’immagine dell’acqua fornisce un modello analogico: tempus = torrens. Si tratta, però, di cogliere non solo qualcosa di sfuggente (rapido), ma l’acqua di un torrente che non «è destinato a scorrere per sempre» (nec semper ituro). Perciò, nel far uso del tempo, bisogna cercare di essere più veloci della sua stessa velocità e bisogna fare in fretta ad attingervi. L’invito del cito hauriendum risulta, così, più pressante e angoscioso di un carpe diem. Di fronte alla precarietà dell’esistenza umana, alla fugacità della vita e all’ineluttabilità della morte, l’invito perentorio è a prendere coscienza di sé e divenire capaci di fare un retto uso del proprio tempo, quindi, del proprio «Io». Non conta, allora, la durata della vita, ma l’uso che se ne fa. **************************** F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, IX, 4 Num dubium est ergo quin prima quaeque optima dies fugiat mortalibus miseris, id est occupatis? Quorum puerilis adhuc animos senectus opprimit, ad quam inparati inermesque perveniunt; nihil enim provisum est: subito in illam necopinantes inciderunt, accedere eam cotidie non sentiebant. metafora Questo passo contiene una metafora continuata ad alta ridondanza: una metafora bellica (senectus - hostis). Si nota, infatti, una rete di lessemi appartenenti alla sfera militare. 7 Virgilio, Georgiche III, vv. 66-67 Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 10 Opprimo (ob+premo) dà l’idea di un assalto improvviso, da cui non si può scampare8: la sorpresa è la conseguenza dell’impreparazione degli occupati. L’immagine suggerita è quella di una marcia in un territorio nemico. L’elemento metaforico militare è presente in una catena metaforica ben precisa, sovradeterminata: opprimit, «schiaccia» piombando addosso (ob-) di sorpresa, inparati inermesque, «senza preparazione e disarmati»; la catena continua nelle espressioni successive: in nihil enim provisum est, «non s’è fatto alcun preparativo», si ribadisce il concetto espresso da inparati. Incido (in+cado) è «cadere in trappola», come suggerisce il subito e si chiarisce ulteriormente in necopinantes («senza aspettarselo»). Nel livello illustrativo della metafora, la vecchiaia è vista come un nemico subdolo, che piomba addosso all’improvviso, dopo aver circondato l’uomo (occupatus) senza che si accorgesse della sua presenza. La colpa è insita proprio in questo non sentire, nel non accorgersi, nel non prevedere, nel vivere procedendo senza rendersi conto della fugacità del tempo, senza coscienza della realtà. In particolare per il problema del tempo, la cosa grave è questo vivere inavvertitamente, con il pensiero assente e rivolto altrove, alle false occupationes, sì da essere colti inparati inermesque all’assalto improvviso della senectus. E contrario, il sapiens per tutta la vita si prepara alla vecchiaia e alla morte (cfr. VII, 3: vivere tota vita discendum est et, quod magis fortasse miraberis, tota vita discendum est mori). **************************** F ONTE : Seneca, De brevitate vitae, IX, 5 Quemadmodum aut sermo aut lectio aut aliqua intentior cogitatio iter facientis decipit et pervenisse ante sciunt quam appropinquasse, sic hoc iter vitae adsiduum et citatissimum quod vigilantes dormientesque eodem gradu facimus occupatis non apparet nisi in fine. analogia La similitudine, introdotta da quemadmodum, posta in chiusura di capitolo, ha valore di dimostrazione concreta ed efficace: sermo, lectio, aliqua intentior cogitatio: iter facientis = occupati: iter viae adsiduum et citatissimum. Come chi sta viaggiando si lascia ingannare da una conversazione o una lettura o un pensiero di maggiore intensità e si trova arrivato prima di rendersi conto di stare arrivando, così l’occupatus, impegnato assiduamente nella sua iperattività, si rende conto tardi, quando poco resta ancora da vivere, che il tempo è trascorso citatissimum. 8 Cfr. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, tomo III, s.v. opprimo: opprimere = arripere, in tempore capere, atque adeo occupare, deprehendere, subito invadere. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 11 Pertanto, non si avverte il viaggio durante il suo corso, ma ci si accorge solo alla fine di essere già arrivati. Ma, se il viaggio è metaforicamente la vita e la meta è la morte, allora è questo l’argumentum sotteso alla similitudine: gli occupati arrivano alla morte senza rendersi conto del viaggio della vita. L’errore consiste nel non vivere il «viaggio», nel procedere per l’iter vitae senza rendersene conto. Il messaggio di Seneca insiste sulla distinzione tra essere e apparire: il viaggio è effettivamente veloce, ma all’occupatus non appare tale; la rivelazione, per lui, giunge solo al momento inesorabile della fine. Dunque, per Seneca il senso del tempo è una percezione soggettiva: la sua durata viene percepita da chi è capace di rendersi conto del suo moto e di usarlo, vivendo intensamente, mentre agli occupati questo sfugge. Questa pagina può essere fotocopiata esclusivamente per uso didattico - © Loescher Editore www.loescher.it/mediaclassica 12 Riferimenti bibliografici Cesare Marco Calcante, Il laboratorio di letteratura latina, Loffredo editore, Napoli 2002, capp. V e VI. Roberto Gazich, Teoria e pratica dell’exemplum in Quintiliano, in P.V. Cova, R. Gazich, G.E. Manzoni, G. Melzani, Aspetti della “paideia” in Quintiliano, Milano 1990, pp. 61-141. Mirelle Armisen-Marchetti, Sapientiae facies. Étude sur les images de Sénèque, Les Belles Lettres, Paris 1989. Mirelle Armisen-Marchetti, La métaphore et l’abstraction dans la prose de Sénèque, in AA.VV., Sénèque et la prose latine, “Entretiens sur l’Antiquité Classique”, Vandoeuvres-Geneve 1991, pp. 99-131. Chaïm Perelman, Il dominio retorico, trad. italiana, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1981. D. Steyns, Étude sur les métaphores et les comparaisons dans les oeuvres en prose de Sénèque le philosophe, Gand 1907. E DIZIONI , COMMENTI E TRADUZIONI DEI D IALOGI UTILIZZATI Lucio Anneo Seneca, Dialoghi, Paola Ramondetti (a cura di), UTET, Torino 1999. Lucio Anneo Seneca, Dialoghi, 2 voll., Giovanni Viansino (a cura di), Classici Mondadori, Milano 1988. S TRUMENTI LINGUISTICI Thesaurus linguae latinae (ThLL), B.G. Teubner (Stuttgart-Leipzig 1936-1966). Lexicon totius Latinitatis /ab Aegidio Forcellini lucubratum, E. Forcellini I-VI (Patavii, Gregoriana edente ristampa 1965). 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