ricordando ignazio gardella. conversaione con jacopo
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Ricordando Ignazio Gardella. Conversazione Jacopo Gardella Vorrei sintetizzare alcune delle riflessioni riportate da Ignazio Gardella nel saggio Gli ultimi cinquant’anni dell’architettura italiana. Riflessi nell’occhio di un architetto: Ogni volta che scrivo o parlo (in pubblico) di architettura, mi domando a che cosa e a chi serve il mio scrivere e parlare. […] Con questo non voglio negare la necessità, che anzi ho sempre affermato, di studiare e conoscere i mezzi, gli strumenti tecnici e culturali, e i meccanismi che permettono di funzionare alla “macchina” dell’architettura e che sono per essa sostanziali (nel senso etimologico della parola ossia “substanti”, che stanno sotto). Ma il significato essenziale dell’architettura, come quello della musica, della poesia o, per fare un riferimento letterario, quello del misterioso “gioco delle parole di vetro” nell’omonimo libro di Hermann Hesse, è un significato che non si riesce a contenere nei confini di una definizione. Si arriva a capirlo solo scavando dentro e fuori di noi, nel rapporto con uomini e cose, con la realtà che li circonda come sintesi (da farsi nel proprio personale laboratorio) di una complessa molteplicità di tesi ed antitesi. […] Progettare nell’oggi vuol dire rendersi conto che “le due dimensioni del tempo non presente (il passato e il futuro) sono unite da una segreta parentela, di cui il presente è un anello”. Perché un’architettura di oggi assuma questo suo valore di anello, occorre che ci sia in essa la cosciente “presenza del passato”, nella prospettiva del futuro. Cosciente perché la memoria è e deve essere un atto critico. Come dice Machiavelli: “il tempo si caccia innanzi ogni cosa e può condurre seco bene come male e male come bene”: tocca a noi sceglie1 re.>>. Quando le scrisse aveva ottanta anni e rimasero inedite per un po’. Ignazio Gardella nacque nel 1905 a Milano. Appartenne a una famiglia di architetti e ingegneri, il cui capostipite era il bisnonno Jacopo. Concluso il liceo classico si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria del Po1 S. GUIDARINI, Ignazio Gardella nell’architettura italiana. Opere 1929-1999, Skira, Ginevra-Milano 2002, pp. 223-230. litecnico di Milano, laureandosi nel 1928; alla fine degli anni Quaranta conseguì pure la laurea in architettura allo IUAV di Venezia. Già da studente universitario s’interessò alle vicende del movimento moderno europeo; i suoi più cari amici furono: Franco Albini, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers, Gian Luigi Banfi, Giovanni Romano, Lodovico Belgiojoso, tutti studenti di architettura. La sua attività professionale iniziò nello studio del padre e, alla morte di questi, continuò in maniera indipendente. Ricorderemo le opere di architettura raggruppandole per periodi storici. Tra gli inizi e la fine degli anni Trenta, mentre la sua operosità fioriva tra Milano e Alessandria, decise di intraprendere dei viaggi per entrare a diretto contatto con l’architettura moderna europea. Visitò Norimberga, Monaco, Düsseldorf, Francoforte e i paesi scandinavi, conoscendo Alvar Aalto, Gunner Asplund e Sven Markelius. Di questo periodo si rammentano: il Dispensario antitubercolare di Alessandria (1934-38); il Concorso per il Teatro e la Casa Littoria a Oleggio con L. Vietti, Novara (1934) che si avvalse del secondo premio; la partecipazione alla VI Triennale di Milano-Mostra dell’abitazione con Albini, Camus, Clausetti, Mazzoleni, Minoletti, Mucchi, Palanti e Romano (1936); il Concorso per il Mercato del bestiame di Alessandria (1938), che vinse il primo premio. Poi la guerra. L’attività professionale rallentò ma lo studio a Milano fu mantenuto: per l’architetto quarantenne il momento critico divenne occasione per portare avanti importanti ricerche in ambito urbanistico e architettonico. Furono elaborati il Piano AR di Milano (1943) e partecipò al MSA (Movimento di Studi per l’Architettura) (1945). Finito il conflitto mondiale, Gardella fu uno dei protagonisti nel dibattito culturale sulla ricostruzione del Paese. Al 1948-52 risale il progetto per la Casa per impiegati Borsalino ad Alessandria; al 1947-1954 il Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC) della Galleria d’Arte Moderna a Milano, ricostruito nel 1996 insieme al figlio Jacopo in seguito all’attentato del 1993 che lo aveva distrutto; al 1953-58 il Condominio Cicogna detto Casa alle Zattere a Venezia. Tra gli anni Sessanta e Settanta l’attività professionale di Ignazio Gardella fu adeguatamente presentata nelle maggiori riviste internazionali. Fu il periodo degli Stabilimenti e Uffici Kartell (oggi museo) a Mi- lano (1966-1976); dell’inizio del Palazzo di Giustizia a La Spezia (1963-1995); del progetto di un Quartiere residenziale per la SNAM a Metanopoli, S. Donato M. (1961-1963); del Complesso residenziale al Porto di Punta Ala (1962-66); della Mensa e servizi per la Tecnitub a Podenzano con A. Castelli Ferrieri, Piacenza (1964-67); dello studio per il Centro Laboratori Olivetti a Ivrea (1968-70); degli Uffici tecnici Alfa Romeo ad Arese con A. Castelli Ferrieri e J. Gardella, Milano (1968-1974). Dagli anni Settanta in poi riportiamo: la Facoltà di Architettura di Genova (1975-1989); la Ricostruzione del Teatro Carlo Felice a Genova con Aldo Rossi e Fabio Reinhart (1981-1990); la Stazione Ferroviaria di Lambrate a Milano con il figlio Jacopo (1983-1999); i Progetti per la sistemazione di Piazza Duomo a Milano (1988); i Supermercati Esselunga a Parma e Castellanza (1988); a Brescia, Saronno, Milano e Vimercate (1989); al Pioltello (1990); a Bollate, Sarezzo, Buccinasco, Sassuolo, Varedo (1991); a Pavia (1992); a Corsico (1993); a Olgiate Olona (1994); a Milano (1995); a Solaro e Giussano (1996); l’Ampliamento dell’Università Luigi Bocconi a Milano con Jacopo Gardella (1990-2000). Tra le importanti opere di design ne citiamo alcune: la libreria Sovrapponibile (1948); il Tavolo alzabile con vassoio (1949); la lampada Coppa aperta (1954); la poltrona e il divano Lido (1966); il letto Firenze (1969). Sono tutti oggetti e mobili prodotti dalla ditta Azucena attiva fino al 1970 e fondata nel 1947 da Ignazio Gardella insieme a Luigi Caccia Dominioni e Corrado Corradi Dall’Acqua. Tra i più noti riconoscimenti pubblici: il Premio Olivetti per l’Architettura (1955); la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica ai benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte (1977); il Premio Fiuggi (1988); la Presidenza all’Accademia Nazionale di San Luca (1989-1990); il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia (1996). Va ricordata anche l’attività didattica. Dal 1949 al 1975 insegnò all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, invitato dall’allora preside Giuseppe Samonà. Un’importante iniziativa di quegli anni, all’interno della Facoltà, fu l’organizzazione della Scuola Internazionale Estiva del CIAM, fondata nel 1952 insie- me a Samonà, Rogers e Albini. Come è noto ciò permise un’importantissima sinergia con i giovani architetti stranieri. Nel 1986 fu Visiting Professor alla Harvard Graduate School of Design, invitato da Rafael Moneo. Iganzio Gardella è deceduto nel 1999. Oggi converserò con il figlio Jacopo per tracciarne un ritratto. Architetto Gardella, coma ricorda suo padre? Severo ma comprensivo, colto ma non pedante, innovatore e sperimentatore ma sempre nel rispetto della tradizione. Nel periodo universitario al Politecnico di Milano i più cari amici di Ignazio Gardella furono Albini, Peressutti, Banfi, Rogers, Romano, Belgiojoso… Era la fine degli anni Venti, che tipo di prospettive offriva l’architettura moderna a quei giovani? In realtà Ignazio Gardella frequentava la facoltà di ingegneria quindi non aveva stretti rapporti con gli architetti nominati, salvo Albini e Romano, suoi amici anche per il fatto di essere coetanei. Conobbe e frequentò Peressutti, Banfi, Rogers, Belgiojoso, un po’ più giovani di lui, e altri colleghi, dopo la laurea, nel clima di progressiva opposizione culturale all’architettura accademica, sempre più dominante, in quanto strumento di propaganda del nuovo regime fascista. Anche architetti di valore come Piero Portaluppi, indubbiamente radicati nella tradizione di “sobrietà” costruttiva milanese, tendevano ad essere sedotti dalla retorica dell’architettura monumentale. Pure il severo De Finetti era guardato con perplessità, soprattutto perché sospettato di mettere il suo rigore di matrice loosiana al servizio dell’architettura passatista. I giovani progettisti, invece, guardavano all’estero, all’architettura razionalista, in particolare a quella tedesca, cercando nell’opera di Gropius oppure di Le Corbusier, l’ispirazione per un linguaggio architettonico contemporaneo; in questo sforzo di affrancamento progettuale dai retaggi del Beaux-Arts e degli accademici, essi erano in contatto con Figini e Pollini, con Terragni ed il Gruppo 7 di Como, che consideravano come colleghi e compagni di poco più anziani e dei quali guardavano con attenzione i primi lavori. Da architetto e da uomo come visse la ricostruzione del Paese dopo il conflitto mondiale? Come molti intellettuali della sua generazione visse la ricostruzione con entusiasmo carico di speranze, nell’aspettativa di una palingenetica ricostruzione sociale e culturale del paese; entusiasmo, tuttavia, progressivamente smorzato dalla constatazione che i valori maturati durante la Resistenza stentavano ad affermarsi. Menzionando il lavoro di designer di suo padre non si può trascurare Azucena, fondata alla fine degli anni Quaranta, insieme a Luigi Caccia Dominioni e Corrado Corradi Dall’Acqua. Ebbe più una funzione selettiva che produttiva e commerciale, come mai? In realtà Azucena ebbe un notevole successo commerciale, ottenuto con produzioni di alta qualità ma di piccola serie. Gli oggetti disegnati da Azucena erano quasi tutti pezzi unici, realizzati da laboratori artigianali molto specializzati, ben coordinati e quindi in grado di rispondere prontamente ai singoli ordini e di adattare la produzione alla richiesta che veniva presentata di volta in volta. Una produzione limitata, dunque e selettiva: non perché intenzionalmente rivolta a una clientela abbiente ma perché orientata a mantenere alta la qualità degli oggetti e degli arredi. Da docente allo IUAV, aveva viva qualche speciale memoria di cui le raccontava? Il clima didattico e culturale all’interno della facoltà di architettura di Venezia, fino al ’68, era particolarmente vivace ed amichevole; in particolare il rapporto con gli studenti si prolungava oltre gli orari di lezione, fuori dalle aule universitarie e continuava nelle calli e nei campielli della città, per terminare in vivaci tavolate animate da intense discussioni. Lo IUAV infatti era una scuola, nel senso antico ed alto del termine, non un’istituzione con rigide separazioni dei ruoli; i principali docenti (Samonà, Albini, Zevi, Benevolo, Piccinato, Trincanato, ecc.), accomunati da un analogo orientamento politico-culturale e da una tendenza ideologica condivisa da tutti, offrivano un modello didattico chiaro e propositivo, sia sotto l’aspetto teorico che pratico. Dagli anni Cinquanta fino alla fine dei suoi giorni rammenta qualche momento di scoraggiamento e/o di entusiasmo in particolare? Vale la risposta data alla domanda numero tre. Per concludere e la ringrazio tanto, alla luce delle esperienze trasmesse da suo padre, ci porgerebbe un augurio per il futuro? L’augurio che faccio, condiviso sicuramente da mio padre, è anche un monito: non seguire le mode superficiali; mantenersi coerenti con i propri principi; non indulgere alle lusinghe di un pubblico incolto e succube di gusti effimeri. Ignazio Gardella ripeteva spesso che non giovava offrire ai giovani formule e problemi già risolti e ricordava che il vero insegnamento consiste nel dare il buon esempio, nell’agire correttamente, nel parlare di fatti concreti. Questo non in senso esclusivamente tecnico ma anche fattivo, cioè nella traduzione di un’idea in un’opera finita. Figura 9. Padiglione d’arte contemporanea della galleria d’arte moderna (PAC), Ignazio Gardella, Milano 1947-54 © Archivio Storico Gardella, Milano Figura 10. Padiglione d’arte contemporanea della galleria d’arte moderna (PAC). Interno dell’edificio ricostruito, Ignazio e Jacopo Gardella, Milano 1999 © Archivio Storico Gardella, Milano Figura 11. Stazione ferroviaria di Lambrate, Ignazio e Jacopo Gardella, Milano 1983-1999 © Archivio Storico Gardella, Milano Figura 12. Cappella in memoria dei caduti, Varinella 1936. Realizzaione, Ignazio e Jacopo Gardella, Varinella 2005 © Archivio Storico Gardella, Milano Note biografiche di Jacopo Gardella Jacopo Gardella nasce a Milano il 27 Aprile 1935 e si laurea in architettura presso il Politecnico di Milano nel 1960. Inizia la pratica professionale nello studio del padre Ignazio Gardella, con cui ha collaborato su moltissimi progetti, dalla Nuova Stazione Ferroviaria di Lambrate all’Ampliamento dell’Università Bocconi di Milano, dalla ricostruzione del PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano) ai supermercati Esselunga, solo per citare alcuni dei progetti più noti. Partecipa, come Assistente universitario, prima ai corsi tenuti da Pier Giacomo Castiglioni e poi a quelli di Aldo Rossi. È chiamato come Docente a contratto nelle Facoltà di Architettura di Pescara, Milano, Torino, Venezia e Camerino. Dal 2002 al 2009 è incaricato del Laboratorio di Architettura degli Interni I alla Facoltà di Architettura Civile di Milano-Bovisa. Ha collaborato con quotidiani e periodici, attualmente collabora con le pagine milanesi del quotidiano La Repubblica.
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