L`argomentazione di Carneade-1

Transcript

L`argomentazione di Carneade-1
L’
ARGOMENTAZIONE
DI
CARNEADE
NEL
DE
FATO
DI
CICERONE
23b‐25
Carlo
Natali,
“Lexis”
25
(2007)
–
tra.
di
Matteo
Montagner
Divisione
del
testo
Il
testo
presenta
un
solo
argomento
attribuito
da
Cicerone
a
Carneade,
con
illustrazioni
e
supplementi
che
possono
essere
attribuiti
a
Cicerone
stesso.
Possiamo
distingure
tre
parti:
I.
II.
III.
Da
Acutis
Carneades…
a
causas
externas
et
antecedentes
§23b.
Qui
abbiamo
il
riassunto
di
Cicerone
sull’argomento
di
discussione
di
Carneade
con
la
possibilità
di
alcune
idee
di
Cicerone
stesso.
Da
communi
igitur
consuetudine…
a
non
omnino
sine
causa
dicimus,
§24°.
Qui
abbiamo
un’illustrazione
da
parte
di
Cicerone
di
un
punto
di
vista
linguistico.
Da
de
ipsa
atomo
dici
potest…a
causa
ipsa
natura
est,§§
24b‐25.
Questa
è
filosoficamente
parlando
la
parte
più
importante
del
testo.
Qui
abbiamo
un’analogia
fra
i
movimenti
dell’atomo
e
i
movimenti
volontari
dell’essere
umano.
Cicerone
dice
che
in
entrambi
i
casi
abbiamo
una
causa,
ma
non
una
causa
esterna.
Poiché
in
entrambi
i
casi
il
movimento
deriva
dalla
natura
della
cosa.
Le
sezioni
(II)
e
(III)
del
testo
sono
chiaramente
tese
a
sostenere
la
(I).
La
(II)
riguarda
il
linguaggio
e
la
(III)
riguarda
la
realtà.
La
(II)
è
quasi
certamente
di
Cicerone;
così
può
essere
la
(III),
ma
alcune
idee
derivano
dall’originale
argomentazione
di
Carneade.
Problemi
di
testo
Il
problema
più
importante
è
al
§23.,
docere<n>t.
L’edizione
dà
unicamente
docerent,
e
l’inserimento
di
<n>
è
dovuto
al
traduttore
tedesco
J.F.
von
Meyer.
Il
cambiamento
al
plurale
è
volto
ad
attribuire
docerent
con
gli
Epicurei,
e
con
i
plurali
nella
parte
finale
del
§:
possent
(A,B;
possunt
V²;
possem
V¹),
concessissent,
concederent.
Ma
forse
non
è
necessario.
La
forma
doceret
potrebbe
essere
riferita
a
Carneade,
e
Cicerone
vorrebbe
attribuirgli
la
teoria
che
ci
sono
alcuni
movimenti
volontari
della
mente.
Nessuno
degli
studiosi
moderni
segue
questa
linea,
con
la
possibile
eccezione
di
Weische
(il
quale
pensa
che
qui
abbiamo
una
ripresa
della
teoria
di
Platone
come
un
motore
autonomo,
come
si
può
trovare
nel
Fedro
245c‐246a),
perché
in
contrasto
con
l’interpretazione
di
Carneade
come
filosofo
che
procede
in
maniera
dialettica
e
non
prende
mai
posizione
in
proprio
nomine.
Un’altra
possibilità
potrebbe
essere
quella
di
riferire
doceret
all’Epicuro
della
prima
riga
del
§23,
come
fanno
Sharples
e
Sedley.
Il
risultato
della
tesi
principale
di
(a),
esse
posse
quendam
animi
motum
1
voluntarium
è
attribuita
a
Epicuro
e
agli
Epicurei
soltanto.
Penso
che
questa
sia
l’opzione
migliore,
e
dirò
di
più
successivamente
riguardo
a
questo
punto.
Al
§25
alcuni
autori
hanno
proposto
delle
modifiche,
ma
in
realtà
il
senso
è
che
potremmo
essere
derisi
se
parlando
come
degli
scienziati
naturalisti
affermassimo
che
qualcosa
avviene
senza
una
causa.
Argomenti
di
Carneade
Nel
De
fato
Cicerone
presenta
due
argomenti:
uno
contro
Crisippo
(§31)
e
uno
contro
Epicuro
(§23).
L’argomento
contro
Crisippo
è:
(f
=
c’è
il
fato;
c
=
ogni
cosa
ha
luogo
da
cause
antecedenti;
s
=
c’è
una
stretta
connessione
di
cause;
n
=
tutto
accade
necessariamente;
x
=
qualcosa
è
in
nostro
potere)
Se
f,
allora
c;
se
c,
allora
s;
allora
n,
allora
non‐x.
Ma
x,
allora
non‐f.
Da
dove
deriva
la
premessa
x
“qualcosa
in
nostro
potere”
in
questo
argomento?
Alcuni
dicono
che
Carneade
lo
prende
come
evidente,
altri
pensano
che
lo
derivi
dall’esistenza
universale
di
abitudini
morali
o
che
egli
riprenda
una
premessa
stoica
per
argomentare
contro
gli
Stoici.
Ora
la
premessa
x
è
molto
vicina
alla
premessa
cruciale
dell’argomentazione
contro
Epicuro
alle
§22‐3,
qui
Cicerone
ci
dice
che
mentre
Epicuro
pensa
che
egli
possa
evitare
la
necessità
del
fato
per
mezzo
della
teoria
della
deviazione
degli
atomi,
Carneade
in
modo
più
efficace
pensava
che
gli
Epicurei
avrebbero
potuto
difendere
la
loro
posizione
senza
menzionare
questa
deviazione.
Il
brano
ripete
due
volte
la
stessa
idea
in
uno
stretto
parallelismo.
Nella
prima
parte
di
ciascuna
sezione
(I)
e
(II)
si
dice
che
nella
dottrina
epicurea
c’è
un’arma
migliore
da
usare
per
respingere
le
critiche
di
Crisippo
o
dei
suoi
seguaci.
Nelle
sezioni
seguenti
ci
si
dice
qual
è
l’arma:
la
teoria
di
un
certo
movimento
volontario
nella
mente
o
della
nostra
volontà.
Nella
prima
parte
del
brano
c’è
un
ultimo
avanzo
della
critica
precedente
alla
dottrina
del
movimento
improvviso
che
manca
nella
seconda
parte
del
brano.
Nell’ultima
sezione
(2.1)
comunque
c’è
un’importante
spiegazione
del
perché
sarebbe
stata
una
migliore
mossa
invocare
la
teoria
del
movimento
volontario:
le
volontà
hanno
cause,
ma
non
cause
esterne
ed
antecedenti.
In
quel
modo
gli
Epicurei
possono
aver
evitato
la
responsabilità
di
ammettere
un
movimento
non
causato.
Nella
prima
sezione
il
parallellismo
alla
§31
non
è
completo.
Diventerà
più
evidente
nella
terza
sezione
del
nostro
brano.
Qui
non
abbiamo
un
vero
e
proprio
argomento,
ma
soltanto
un
riferimento
ad
una
certa
dottrina
ammessa
dagli
Epicurei.
Cicerone/Carneade
non
dice
mai
che
Epicuro
ammise
apertamente
che
la
deviazione
improvvisa
è
un
movimento
privo
di
causa,
ma
attribuisce
questa
teoria
agli
Epicurei
come
una
conseguenza
implicita
della
loro
posizione.
Qui
egli
fa
un
paragone
tra
due
movimenti
non
soggetti
alla
necessità
ammessa
dagli
Epicurei,
deviazione
improvvisa
e
volontà
e
osserva:
primo
che
gli
Epicurei
non
possono
indicare
una
causa
per
il
movimento
improvviso,
ma
invece
che
essi
possono
indicare
una
causa
per
le
volontà
e
secondo
che
la
causa
delle
volontà
non
è
una
antecedente
esterna.
Eliminando
il
movimento
improvviso
Epicuro
poteva
ancora
difendere
il
movimento
volontario
senza
ammettere
un
movimento
privo
di
causa.
La
conclusione
che
egli
trae
da
questi
punti
è
che
il
principio:
2
(P)
“tutto
ciò
che
accade,
accade
attraverso
cause
antecenti”
evocato
da
Crisippo
alla
§21
sembra
essere
falso.
Carneade
accetta
solo
il
principio
più
generale:
(P’)
“non
c’è
evento
senza
una
causa”
e
pensa
che
le
volontà
epicuree
non
infrangano
tale
regola.
Per
essere
sicuri,
(P)
implica
(P’)
e
così
in
un
certo
senso
Crisippo
accetta
anche
(P’),
ma
non
ammette
che
ci
siano
eventi
senza
cause
antecedenti.
Questo
è
delucidato
nella
terza
sezione
del
nostro
brano.
In
(2.1)
troviamo
una
distinzione
di
cause,
cause
antecedenti
contro
un
altro
tipo
di
causalità
non
ancora
spiegata.
Carneade
si
accontenta
qui
di
citare
teorie
attribuite
ad
altri
filosofi
e
noi
non
possiamo
analizzare
la
sua
argomentazione
da
un
punto
di
vista
logico.
Ma
ci
sono
domande
storiche
da
porsi
come
le
seguenti:
1. Da
un
punto
di
vista
storico
dire
che
per
Crisippo
tutte
le
cose
accadono
attraverso
cause
esterne
ed
antecedenti
è
del
tutto
corretto?
Il
punto
è
ancora
in
discussione
tra
gli
studiosi,
ma
vedi
(Plut.
De
fato
11‐474E,
un
testo
che
implica
una
risposta
positiva
a
questa
domanda).
2. E’
storicamente
corretto
dire
che
gli
Epicurei
ammettevano
un
movimento
non
causato
da
qualcosa
che
poteva
contare
come
una
causa
antecedente
nel
linguaggio
filosofico
stoico?
Non
lo
sappiamo
di
sicuro,
ma
sembra
possibile
dire
che
nel
Peri
physeos
libro
XXV
Epicuro
fa
un
lungo
percorso
per
mostrare
che
i
movimenti
della
mente
in
una
persona
adulta
non
sono
dipendenti
da
una
struttura
atomica
sostrata.
Quali
siano
le
conseguenze
di
questa
dottrina
per
la
discussione
sulla
libertà
della
volontà
nella
filosofia
epicurea
non
è
ancora
definito.
Alcuni
studiosi
pensano
che
implichi
la
capacità
della
mente
di
essere
una
causa
che
si
muove
indipendentemente,
altri
preferiscono
una
spiegazione
monistica
dell’azione
umana.
3. Carneade
concorda
con
l’idea
che
le
volontà
abbiano
una
causa
che
non
è
esterna
o
egli
la
menziona
soltanto
in
modo
dialettico
per
criticare
altri
aspetti
della
dottrina
di
Epicuro?
Cercherò
di
dare
alcune
risposte
più
tardi
dopo
aver
discusso
le
seguenti
sezioni
del
De
fato.
Nella
seconda
sezione
(§24
prima
parte)
non
c’è
bisogno
di
una
lunga
analisi.
Se
non
siamo
inesatti
Cicerone
dice
che
noi
usiamo
“empty”
(vuoto)
non
per
significare
fisicamente
“void”,
ma
proprio
per
significare
“senza
un
contenuto
come
vino,
acqua
etc.”.
Allo
stesso
modo
noi
possiamo
anche
essere
imprecisi
quando
diciamo
“senza
causa”
significando
soltanto:
“senza
una
causa
esterna”.
Questa
parte
è
stata
tralasciata
dai
critici
moderni.
Qui
abbiamo
uno
degli
exempla
che
Cicerone
usava
per
integrare
le
dottrine
dei
greci.
Nessuno,
per
quanto
ne
so,
ha
attribuito
questa
sezione
a
Carneade.
Non
è
chiaro
quale
sia
la
forza
dell’argomento,
né
se
esso
sia
inteso
come
critica
agli
Epicurei;
forse
è
soltanto
un
argomento
di
Cicerone
in
favore
alla
posizione
di
Carneade.
Passiamo
alla
terza
sezione
(§24‐fine
25),
qui
abbiamo
un’interpretazione
da
parte
di
Carneade/Cicerone
di
alcune
dottrine
epicuree.
Il
brano
si
basa
su
un’analogia
tra
i
movimenti
degli
atomi
e
le
volontà.
L’argomentazione
in
questo
brano
è
stata
spesso
riassunta
in
modo
inesatto
dai
critici.
La
principale
divisione
è
tra
l’opinione
secondo
la
quale
la
nostra
volontà
(“our
will”)
è
la
causa
interna
della
nostra
azione
e
l’opinione
secondo
cui
la
nostra
volontà
(“our
will”)
ha
una
ulteriore
causa,
la
nostra
natura
(“our
nature”).
Alcuni
asseriscono
che
secondo
Carneade,
la
nostra
volontà
“our
will”
muove
la
nostra
mente
e
3
causa
le
nostre
azioni
(Pesce)
o
che
essa
causa
i
nostri
movimenti
volontari
(Turnebus,
seguito
da
Brochard,
Yon,
Amand,
Pesce)
o
perfino
che
causa
i
nostri
movimenti
naturali
(Hamelin).
Nonvel
Pieri,
Duhot
e
Donini,
comunque,
pensano
che
la
posizione
di
Carneade
è
che
è
la
natura
la
causa
della
volontà
e
dei
nostri
movimenti
volontari,
facendo
la
natura
e
non
la
volontà
la
causa
interna
dell’azione
umana.
Anche
Bobzien
dice
che
la
causa
dei
nostri
movimenti
secondo
Carneade
è
la
nostra
natura.
Marwede
pensa
che
Cicerone
avrebbe
dovuto
dire
che
la
causa
della
volontà
è
la
natura
della
nostra
mente
e
non
la
natura
delle
volontà
stesse.
Abbiamo
bisogno
di
essere
aderenti
animorum
motus
al
reale
uso
delle
parole
del
brano
per
vedere
più
chiaramente
qual
è
l’argomentazione.
Carneade
non
descrive
le
azioni
umane
come
qualche
cosa
che
accade
fuori
di
noi,
ma
parla
solamente
di
movimenti
della
mente.
Sembra
che
egli
prenda
l’azione
umana
come
identica
ad
un
evento
localizzato
nel
corpo
e,
implicitamente
considerare
i
movimenti
corporei
come
gli
effetti
dell’azione
come
fanno
gli
Stoici
e
non
come
parte
dell’azione
stessa.
Il
brano
che
stiamo
esaminando
è
molto
breve
e
non
possiamo
essere
sicuri
di
quel
punto.
Ma
è
notevole
che
Carneade
non
si
riferisca
assolutamente
a
movimenti
del
corpo
per
illustrare
il
punto
che
le
nostre
azioni
dipendono
da
noi:
descendit
in
Academia
Carneades,
veniet
in
Senatum
Cato
etc.
(§§
19,28).
Ciò
che
abbiamo
qui
in
conclusione
è
soltanto
un
paragone
tra
i
movimenti
dell’atomo
e
i
movimenti
della
mente,
con
cui
le
azioni
si
identificano
(animi
mostus).
All’inizio
del
brano
Cicerone
usa
i
risultati
della
seconda
sezione
per
costruire
l’analogia:
non
è
vero
dire
che
l’atomo
si
muove
senza
una
causa
proprio
perché
non
c’è
una
causa
esterna
in
movimento.
E’
mosso
dalla
sua
stessa
natura
,
e
così
sono
le
volontà.
L’analogia
è:
(
A
)
Natura
dell’atomo:
atomo
=
la
natura
del
movimento
volontario:
alla
volontà
Ma
riferirsi
alla
natura
non
è
sufficiente.
Dire
che
le
volontà
accadono
per
loro
stessa
natura
o
che
gli
atomi
sono
portati
giù
dalla
loro
stessa
natura
non
equivale
ad
una
spiegazione.
La
spiegazione
della
natura
della
cosa
potrebbe
essere
accettata
nella
filosofia
Aristotelica,
ma
non
qui.
Le
cause
di
cui
stiamo
parlando
qui
sono
cause
che
si
muovono
e
non
cause
formali
nel
significato
di
Aristotele.
Le
cause
formali
Aristoteliche
possono
essere
esplicative
di
un
modo
della
cosa
di
muoversi
indicando
la
sua
essenza
e
la
sua
natura:
un
uccello
vola
perché
il
volo
è
il
suo
modo
naturale
di
andare
da
un
posto
all’altro.
Ma
nella
filosofia
ellenistica
noi
parliamo
per
lo
più
di
cause
che
si
muovono
e,
le
cause
in
movimento
non
si
spiegano
nello
stesso
modo
delle
cause
formali
in
Aristotele.
Da
qui
la
necessità
che
abbiamo
di
esplicitare
la
nozione
di
natura
e
vedere
cosa
contiene,
e
ciò
è
necessario
per
entrambi
i
lati
dell’analogia
(A).
Nella
parte
sinistra
dell’analogia,
nel
caso
dell’atomo
la
natura
è
identica
a
pondus
e
gravitas
(peso
e
gravità)
due
termini
quasi
equivalenti.
L’atomo
è
portato
giù
dal
proprio
peso.
L’analogia
può
essere
riformulata:
(
A’
)
Peso
e
gravità
:
atomo
=
natura
del
movimento
volontario:
volontà
Noi
abbiamo
bisogno
di
una
simile
analisi
anche
nel
lato
destro
dell’analogia.
Non
possiamo
fermarci
alla
natura
del
movimento
volontario
o
peggio
alla
natura
della
volontà
come
fanno
alcuni
commentatori,
ma
abbiamo
bisogno
di
analizzare
la
nozione
nel
caso
di
un
movimento
volontario.
Carneade
dice
che
la
natura
del
movimento
volontario
sorge
dall’essere
in
nostro
potere
e
obbedirci
(
in
nostra
potestate
nobisque
pareat).
Questa
espressione
è
stata
considerata
da
Turnebus
equivalente
all’espressione
greca
ep’
hemin
o,
per
usare
un’espressione
più
Epicurea,
par’hemas,
cioè
un
potere
innato
(innata
potestas
Lucrezio).
Dirò
qualcosa
più
tardi
sulla
relazione
tra
ep’
hemin
e
par’hemas
e
l’analogia
diventa:
4
(
A’’)
Peso
e
gravità
:
atomo
=
(innata
potestas)
essere
in
nostro
potere
e
ubbidirci
:
volontà
Ed
ora
ritorniamo
all’argomento
della
§31;
come
ho
già
detto
i
due
argomenti
sembrano
sollevare
lo
stesso
punto.
Alla
§31
avevamo:
(P’’)=
“qualcosa
è
in
nostro
potere
(est
autem
aliquid
in
nostra
potestate)”
e
qui
alla
§25
abbiamo
(P’’’)=
“le
volontà
sono
in
nostro
potere
e
ci
ubbidiscono
(
in
nostra
potestate
nobisque
parea[n]t)”.
In
entrambi
i
brani
la
stessa
premessa
porta
alla
stessa
conseguenza.
In
entrambi
i
brani
c’è
il
richiamo
alla
nozione
di
potere
(potestas)
ciò
non
può
indicare
la
capacità
meccanica
di
aggancio
in
una
catena
causale
per
trasmettere
il
movimento
al
successivo
aggancio,
ma
la
capacità
di
originare
movimento.
Come
Artistoetele
dice
nel
libro
VIII
della
fisica
“un
bastoncino
muove
la
pietra
ed
è
mosso
dalla
mano
che
a
sua
volta
è
mossa
dall’uomo;
nell’uomo
comunque
abbiamo
raggiunto
una
persona
che
muove
che
non
è
tale
in
virtù
di
essere
mosso
da
qualcun
altro”.
L’idea
generale
è
che
nella
nostra
mente
c’è
un
potere
di
originare
movimenti
che
è
la
causa,
ma
è
differente
dalle
altre
cause.
Non
è
mosso
da
un’altra
causa
e
a
causa
di
ciò
non
siamo
soggetti
al
destino.
E’
questo
un
buon
argomento?
Prima
di
chiedersi
se
Carneade
accetta
come
vera
questa
teoria,
discutiamo
un
altro
punto.
Questo
è
un
buon
argomento?
Molti
studiosi
oggi
si
opporrebbero
a
quella
posizione
e
non
accetterebbero
l’interpretazione
di
par’hemas
come
qualcosa
che
indica
il
potere
di
originare
azioni
scegliendola
in
un
modo
o
nel
modo
opposto.
Recentemente
è
stato
detto
che
in
tempi
ellenistici
le
due
espressioni,
eph’
hemin
e
par’
hemas,
hanno
significati
diversi:
il
primo
indica
una
possibilità
di
azione
in
due
sensi
per
esempio
di
fare
qualcosa
o
il
suo
contrario,
ma
non
si
riferisce
ad
un
potere
interno
dell’agente;
il
secondo
ha
un
significato
di
causa
più
pronunciato,
ma
indica
soltanto
una
capacità
di
agire
unilaterale.
Chiarisce
chi
porta
la
responsabilità
per
un
evento
e
niente
altro.
Se
si
prende
la
distinzione
in
modo
così
rigido
si
potrebbe
derivare
che
nel
primissimo
dibattito
ellenico
non
era
presente
l’idea
che
un
uomo
ha
il
potere
di
essere
la
causa
di
azioni
opposte,
né
l’idea
che
il
modo
in
cui
operiamo
dipende
da
noi
come
cause
in
due
sensi.
Una
tale
interpretazione
di
questa
distinzione
non
sembra
essere
necessaria
e
non
consistente
in
alcuni
testi
Epicurei.
Come
fece
Epicuro
nel
Peri
phuseos
XXV,
qui
Carneade
cerca
di
distinguere
diversi
livelli
di
causalità
in
modo
da
stabilire
una
forma
di
causa
che
possa
produrre
risultati
opposti.
Se
in
nostra
potestate
nobisque
pareat
è
il
latino
di
par’
hemas
non
c’è
niente
nell’espressione
che
impedisca
di
usarla
per
indicare
una
capacità
bidirezionale
di
agire
e
scegliere.
Infatti,
in
Carneade
deve
avere
questo
significato
dal
momento
che
alla
§31
lo
adopera
per
indicare
la
premessa
(est
autem
aliquid
in
nostra
potestate)
da
cui
deriva
che
non
c’è
alcun
fato.
Se
prendiamo
in
nostra
potestate
come
un’indicazione
di
causalità
unilaterale,
la
conclusione
non
igitur
fato
fiunt
,
quaecumque
fiunt
semplicemente
non
segue.
Si
potrebbe
obiettare
che
dal
momento
che
lo
stesso
Crisippo,
come
si
può
giudicare
dalle
§§41‐43,
ammise
l’opportunità
di
distinguere
generi
diversi
di
cause
(in
movimento),
in
sé
la
distinzione
di
differenti
generi
di
cause
non
è
sufficiente
a
rifiutare
il
determinismo.
Ma
tutto
dipende
da
quello
che
è
distinzione.
E’
5
necessario
distinguere
vari
generi
di
cause
moventi
in
modo
tale
che
si
possa
contrastare
un
determinismo
causale.
Carneade
non
spiega
chiaramente
che
cosa
egli
intenda
essere
in
questo
contesto
in
nostra
potestate.
Il
genere
di
causalità
da
lui
indicato
assomiglia
oggi
a
ciò
che
oggi
viene
chiamato
causa
agente
o
causa
mentale
da
alcuni
filosofi.
Questa
sembra
essere
l’interpretazione
più
naturale
delle
parole
di
Cicerone.
Ma
una
tale
dottrina
non
sembra
accettabile
al
gusto
moderno
specialmente
tra
gli
studiosi
influenzati
dal
naturalismo
scientifico
contemporaneo,
una
tendenza
che
cerca
di
rendere
la
filosofia
il
più
possibile
simile
alla
scienza
moderna.
Questo
è
il
motivo
per
cui
secondo
me
oggi
molti
interpreti,
quando
studiano
argomenti
ellenistici
sul
destino
e
su
cosa
dipende
da
noi,
spesso
cercano
una
lettura
compatibile
dei
testi
antichi
e
vanno
molto
lontano
per
argomentare
in
favore
di
esso
nel
caso
non
trovino
chiare
indicazioni
del
contrario.
Ma
il
gusto
moderno
non
dovrebbe
essere
rilevante
per
il
problema
storico
e
non
sono
sicuro
che
la
causa
agente
e
la
causa
mentale
in
tale
posizione
filosoficamente
debole
sia
che
dobbiamo
cercare
in
ogni
modo
possibile
di
liberare
i
nostri
antichi
autori
da
tale
visione
moderna.
Se
ciò
è
vero,
gli
argomenti
di
Carneade
nelle
§§31
e
23
diventano
più
comprensibili.
Egli
cita
in
entrambi
i
casi
il
fatto
che
c’è
qualcosa
in
nostra
potestate
e,
quando
discute
Epicuro,
egli
qualifica
quel
“qualcosa”
come
una
“volontà”.
Poiché
la
volontà,
per
essere
in
nostra
potestate
nobisque
[parere]
implica
essere
una
capacità
di
scelta
motivata
e
bidirezionale.
Il
suo
rimprovero
agli
Epicurei
sembra
essere
“voi
avete
già
la
nozione
di
un
evento
nella
mente
che
dipende
da
noi.
Questo
ci
dà
il
potere
di
fare
una
cosa
e
il
suo
contrario.
Così,
perché
avete
anche
bisogno
della
deviazione
improvvisa?”.
Se
ciò
è
vero,
Carneade
(1)
prende
in
nostra
potestate
in
modo
bidirezionale
e
rifiuta
l’idea
che
un
evento
possa
accadere
senza
una
causa.
Egli
sembra
anche
pensare
(2)
che
ogni
proposizione
è
vera
o
falsa
e
che,
(3)
tanto
per
parlare,
il
determinismo
logico
non
esige
il
determinismo
causale,
come
dimostrano
altre
sezioni
del
De
fato.
Credeva
nelle
tre
tesi?
I
suoi
discepoli
erano
incerti
se
alcune
delle
sue
tesi
fossero
accettate
da
lui
o
che
tutte
fossero
“presentate
in
un
dibattito”
piuttosto
che
accettate
(Cic.
Acad.
II
78)
e
così
siamo
noi.
Sembra
un
po’
difficile
stabilire
che
un
argomento
Epicureo
sia
migliore
(melius,
§23)
di
un
altro
come
fa
Carneade
perché
il
primo
accetta
il
principio
di
causalità
e
il
secondo
no
senza
ritenere
quel
principio
vero.
E
la
lode
spesso
attribuita
a
Carneade
per
aver
stabilito
il
determinismo
logico
non
coinvolge
il
determinismo
causale
viene
in
qualche
modo
sminuito
se
consideriamo
quella
tesi
soltanto
come
qualcosa
concepita
come
utile
in
un
dibattito.
A
causa
di
ciò
preferiamo
sospendere
il
nostro
giudizio
su
questo
punto.
Università
Ca’
Foscari
Venezia
Carlo
Natali
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