Sintesi L`Ultimo Teorema di Fermat
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Sintesi L`Ultimo Teorema di Fermat
Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Matematica e Fisica Corso di Laurea Magistrale in Matematica Tesi di Laurea Magistrale in Matematica Sintesi L’Ultimo Teorema di Fermat Il Candidato Il Relatore Arianna Spagnuolo Florida Girolami Anno Accademico 2012/2013 Maggio 2014 Classificazione MSC2000: 11D41; 11D25; 12A35. Parole chiave: Anelli di interi algebrici, Domini di Dedekind, Lemma di Kummer, Equazione di Fermat. Introduzione Pierre de Fermat (1601-1665) fu un giudice francese vissuto a Tolosa. Era uno spirito libero, poeta, filologo greco, avvocato ma soprattuto un matematico. Non ci sono notizie che Fermat sia stato ispirato da un insegnante; al contrario suo mentore fu una copia dell’Arithmetica: il tentativo di Diofanto (III-IV secolo d.C.) di descrivere la teoria dei numeri dei suoi tempi. Mentre studiava i problemi e le soluzioni di Diofanto, Fermat era indotto a pensare e ad affrontare altre questioni più sottili, collegate alle prime; scribacchiava sul margine della pagina solo quello che gli serviva per essere certo di aver scorto la soluzione e poi non si preoccupava più di scrivere per esteso il resto della dimostrazione. Ad esempio studiò la cosiddetta Equazione di Pell, del tipo X 2 − dY 2 = ±1, dove d è un intero positivo privo di fattori quadratici, scoprendo l’esistenza di infinite soluzioni. Mentre studiava il libro II dell’Arithmetica, Fermat si imbatté anche in tutta una serie di osservazioni, problemi e soluzioni che riguardavano il teorema di Pitagora e le terne pitagoriche; era consapevole che molti secoli prima Euclide (IV-III secolo a.C.) aveva sviluppato una dimostrazione che illustrava che esiste un numero infinito di terne pitagoriche. Fissando la pagina, cominciò a giocare con l’equazione di Pitagora, cercando di scoprire qualcosa che fosse sfuggito ai greci. Improvvisamente, in un lampo di genialità che l’avrebbe reso immortale, Fermat creò un’equazione che, sebbene molto simile a quella di Pitagora, non aveva soluzione alcuna. Invece di considerare l’equazione X 2 + Y 2 = Z 2, Fermat considerò una variante della creazione di Pitagora: X 3 + Y 3 = Z 3. Aveva semplicemente cambiato la potenza dal quadrato al cubo, ma questa nuova equazione apparentemente non aveva soluzioni intere non banali; modificò ulteriormente l’equazione elevandola a potenze superiori a 3 e scoprı̀ che sarebbe stato altrettanto difficile trovare una soluzione a ognuna di queste equazioni. 1 In margine alla sua copia dell’Arithmetica, Fermat annotò questa osservazione: “Cubem autem in duos cubos, aut quadratoquadratum in duos quadratoquadratos, et generaliter nullam in infinitum ultra quadratum potestatem in duos eiusdem nominis fas est dividere. Cuius rei demonstrationem mirabilem sane detexi hanc marginis exiguitas non caperet.” “È impossibile scrivere un cubo come somma di due cubi o una quarta potenza come somma di due quarte potenze o, in generale, nessun numero che sia una potenza maggiore di 2 può essere scritto come somma di due potenze dello stesso valore. Dispongo di una meravigliosa dimostrazione di questo teorema che non può essere contenuta nel margine troppo stretto della pagina.” Tuttavia non fu mai trovata alcuna dimostrazione di quanto aveva annotato. Tale copia andò anche persa, ma questo commento compare nel lavoro di Fermat pubblicato da suo figlio Samuel de Fermat a Tolosa, nel 1670. All’inizio dell’Ottocento tutti i problemi posti da Fermat erano stati risolti, tranne quest’ultimo che è noto come Ultimo Teorema di Fermat (UTF) e che nel linguaggio moderno può essere enunciato nel modo seguente: Teorema 0.1 (Ultimo Teorema di Fermat). L’equazione Xn + Y n = Zn n≥3 non ammette soluzioni intere (x, y, z) con xyz 6= 0. Non è dato di sapere con certezza se Fermat avesse veramente trovato una dimostrazione per l’ Ultimo Teorema di Fermat, ma ciò sembra improbabile: l’UTF è stato definitivamente dimostrato soltanto nel 1995, circa 350 anni dopo la sua formulazione, da Andrew Wiles (con il contributo di Richard Taylor) e tale dimostrazione è una delle più grandi conquiste matematiche del secolo scorso; in essa si fa uso di tecniche recenti e sofisticate, accessibili soltanto a pochi specialisti. Questo lavoro è organizzato in cinque capitoli. 2 1 1 CENNI STORICI Cenni storici Il Primo Capitolo di questa tesi ripercorre la storia che ha preceduto la dimostrazione di Kummer dell’Ultimo Teorema di Fermat per i primi regolari (1847) che, per la prima volta, ha coinvolto un’ intera classe di numeri: prima del Teorema di Kummer erano stati fatti relativamente pochi progressi sul problema, poiché essi riguardavano singoli valori (sempre più grandi) di n che coinvolgevano conti via via più lunghi e complessi. Consideriamo l’equazione di Fermat da un punto di vista elementare: Xn + Y n = Zn con n ≥ 3 (1.1) • Se esiste una soluzione di (1.1), allora deve esistere una soluzione in cui x, y, z sono coprimi a due a due. • È chiaro che se l’UTF è dimostrato per un esponente m, esso è pure dimostrato per ogni multiplo di m. Infatti, per ogni k > 1, si ha che: X km + Y km = Z km ⇐⇒ U m + V m = W m dove U = X k , V = Y k , W = Z k . Da quanto abbiamo appena osservato, poiché ogni intero n > 3 è divisibile per 4 oppure per un primo dispari p, è evidente che basta dimostrare l’UTF nel caso in cui n = 4 e in quello in cui n è un primo dispari. Utilizzando alcune nozioni fondamentali sulle terne pitagoriche, Fermat stesso fu in grado di dimostrare il caso n = 4 utilizzando il metodo della discesa infinita. La prima dimostrazione pubblicata dell’Ultimo Teorema di Fermat per il caso cubico è dovuta a Eulero e un’altra dimostrazione fu data da Gauss e pubblicata postuma; entrambe usano il metodo della discesa infinita; tuttavia, mentre Eulero lavorò con gli interi del tipo a2 + 3b2 , Gauss usò i numeri √ complessi algebrici della forma a + b −3. Avendo risolto il caso n = 4, l’enunciato dell’Ultimo Teorema di Fermat può essere ricondotto al seguente caso generale: Teorema 1.1. L’equazione Xp + Y p = Zp p ≥ 3 primo non ammette soluzioni intere (x,y,z) con xyz 6= 0. 3 (1.2) 1 CENNI STORICI Sulla base dei risultati parziali ottenuti nel corso degli anni, si è affrontato il caso generale suddividendolo in due casi: Primo Caso : L’equazione (1.2) non ammette soluzioni intere (x, y, z) non banali con p - xyz; Secondo Caso : L’equazione (1.2) non ammette soluzioni intere (x, y, z) non banali con p che divide uno soltanto tra x, y, z. Mentre venivano affrontati singolarmente i casi speciali dei piccoli esponenti, una matematica francese diede inizio alla svolta; Sophie Germain (1776-1831) fu una delle poche donne ricercatrici in matematica di quel tempo e diede un contributo fondamentale al lavoro sull’UTF, concentrandosi sul caso in cui l’esponente p fosse un cosiddetto primo di Sophie Germain. Definizione 1.1. Un numero primo dispari p tale che 2p + 1 è anch’esso un numero primo è detto numero primo di Sophie Germain. Sono numeri primi di Sophie Germain 3, 5, 11, 23, 29, 41, 53, 83, 89, 113, 131. Sophie Germain inizialmente dimostrò il seguente risultato: Teorema 1.2. Sia p un primo di Sophie Germain; se x, y, z ∈ Z, xyz 6= 0, sono tali che xp + y p = z p , allora p|xyz. Successivamente, in seguito a degli studi portati avanti da Barlow ed Abel, intorno al 1825 dimostrò il Primo Caso dell’UTF per i primi di Sophie Germain e successivamente Legendre generalizzò tale risultato ai primi dispari p tali che anche kp + 1, per k = 4, 8, 10, 14, 16, fossero primi. Usando questo risultato Sophie Germain e Legendre avevano dimostrato il Primo Caso del Teorema per tutti i primi minori di 197; nonostante mancasse ancora il Secondo Caso ciò rappresentava comunque un progresso incredibile rispetto ai tentativi precedenti. Una prova incompleta del Secondo Caso per p = 5 fu presentata nel Luglio del 1825 da Dirichlet all’Accademia delle Scienze di Parigi; nel Settembre dello stesso anno Legendre riempı̀ le lacune e completò la dimostrazione. Il caso p = 7 fu provato nel 1839 da Gabriel Lamé (1796-1870) e fu subito evidente che una nuova linea di attacco era stata trovata. 4 1 CENNI STORICI Il 1◦ Marzo 1847 Lamé annunciò all’Accademia di Parigi di aver dato una dimostrazione completa dell’UTF. L’idea era quella di utilizzare i numeri complessi ed in particolare le radici p-esime dell’unità; siano x, y, z ∈ Z con xyz 6= 0 tali che xp + y p = z p , allora è possibile scrivere xp + y p = (x + y)(x + ζy) . . . (x + ζ p−1 y), (1.3) con ζ = e2πi/p , p primo dispari. Denotando mj := x + ζ j y, j = 0, . . . , p − 1, è possibile riscrivere (1.3) nella forma xp + y p = m0 · m1 · . . . · mp−1 ; Lamé sosteneva che si potesse arrivare ad una scrittura del tipo k p m00 m01 . . . m0p−1 = z p con gli m0j a due a due coprimi. Riteneva inoltre che, utilizzando il fatto che ogni m0j fosse una potenza p-esima, avrebbe ottenuto una contraddizione da questa uguaglianza attraverso il metodo della discesa infinita, dimostrando cosı̀ che non esistevano soluzioni intere non banali di X p + Y p = Z p . Tuttavia, erano numerosi gli errori nella dimostrazione di Lamé; Liouville mise in evidenza il più grave, mettendo in discussione sia la possibilità di fattorizzare gli mj sia l’unicità della fattorizzazione. Il 15 Marzo Wanzel, un membro dell’Accademia, documentò la validità dell’unicità della fattorizzazione per n = 2, 3, 4, ma dichiarò anche che il metodo sarebbe fallito per n = 23. Il 24 Marzo Liouville informò l’Accademia che Kummer aveva esposto già tre anni prima il fallimento dell’unicità della fattorizzazione, ma che aveva anche sviluppato delle tecniche alternative che coinvolgevano i “numeri ideali.” Nel 1850 Kummer espose la sua sensazionale dimostrazione dell’UTF per quelli che chiamò primi regolari, includendo tutti i primi minori di 100, eccetto 37, 59 e 67. 5 2 2 PREREQUISITI Prerequisiti L’opinione più diffusa è che Fermat abbia avuto l’idea di operare nell’anello degli interi algebrici del campo delle radici n-esime dell’unità Q(ζn ) e di aver ingenuamente creduto che tale anello fosse sempre un dominio a fattorizzazione unica, ma ciò in generale non è vero: nel 1964 Siegel ha dimostrato che tale anello è un UFD solamente per un numero finito di valori di n. Nel Secondo Capitolo poniamo le basi della teoria algebrica dei numeri, introducendo il campo dei numeri algebrici A ⊆ C e l’anello degli interi algebrici B. Definizione 2.1. Un numero complesso α si dice algebrico se è algebrico su Q, ovvero se annulla un polinomio non nullo a coefficienti in Q (equivalentemente in Z). Denotiamo con A l’insieme dei numeri algebrici. Definizione 2.2. Un numero complesso θ si dice un intero algebrico se esiste un polinomio monico p(x) a coefficienti interi tale che p(θ) = 0, in altre parole: θn + an−1 θn−1 + . . . + a0 = 0, ai ∈ Z, 0 ≤ i ≤ n − 1. Denotiamo con B l’insieme degli interi algebrici. Il nostro scopo è quello di sviluppare una teoria della fattorizzazione degli interi algebrici. Definizione 2.3. Un campo numerico è un sottocampo K di C tale che [K : Q] è finito. Ciò implica che ogni elemento di K è algebrico, cioè K ⊆ A. Sia K un campo numerico di grado n (su Q). Allora esistono α1 , . . . , αn ∈ K, algebrici, tale che K = Q(α1 , . . . , αn ); dunque α1 , . . . , αn costituiscono una base (o Q-base) di K, ovvero una base di K come spazio vettoriale su Q. In particolare è noto che: Teorema 2.1 (Teorema dell’Elemento Primitivo). Sia K un campo numerico, allora K = Q(θ), ove θ è un numero algebrico. 6 2 PREREQUISITI Definizione 2.4. Sia K = Q(θ) un ampliamento di Q di grado n e {α1 , . . . , αn } una base di K (come spazio vettoriale su Q). Definiamo il discriminante di tale base come ∆[α1 , . . . , αn ] = {det (σi (αj ))}2 , dove gli elementi σi (αj ) sono gli zeri distinti in C del polinomio minimo di αj su Q, per ogni j = 1, . . . , n. Se prendiamo un’altra base {β1 , . . . , βn }, allora βk = n X cik αi (cik ∈ Q) i=1 per k = 1, . . . , n e det(cik ) 6= 0. Dalla formula del determinante e dal fatto che i σi sono monomorfismi (cioè l’identità su Q) si ha che: ∆[β1 , . . . , βn ] = [det(cik )]2 ∆[α1 , . . . , αn ] In particolare si ha il seguente teorema: Teorema 2.2. Il discriminante di qualsiasi base di K = Q(θ) è un numero razionale non nullo. Inoltre, se tutti i K-coniugati di θ sono reali, allora il discriminante di qualsiasi base è positivo. Definizione 2.5. Per ogni campo numerico K definiamo OK := K ∩ B come l’ anello degli interi algebrici di K, che risulta essere un dominio d’integrità contenente Z. Nel caso in cui sia chiaro a quale campo numerico ci riferiamo, scriveremo più semplicemente O. Lemma 2.1. Se α ∈ K allora esiste c ∈ Z, c 6= 0, tale che cα ∈ O. 7 2 PREREQUISITI Le relazioni tra i sopracitati anelli sono riassunte nel seguente grafico: CO 8Af 9B KO f Qf OK = O K ∩ B Z Consideriamo ora il gruppo abeliano (O, +) e ci chiediamo se è un gruppo libero, ovvero se possiede una base intera. Definizione 2.6. Diciamo che {α1 , . . . , αs } ⊆ O è una base intera (o Zbase) per O se e soltanto se ciascun elemento di O è esprimibile in uno ed un solo modo nella forma a1 α1 + . . . + as αs , con a1 , . . . , as ∈ Z. Una Z-base per O è detta anche una base intera per K. Dal Lemma 2.1 segue anche che ogni base intera per O è una Q-base per K, quindi in particolare s = n. In generale però, non è detto che una Q-base per K sia una base intera per O. Sia K = Q(θ) con θ intero algebrico; poiché il polinomio minimo p di θ ha grado n = [K : Q], si ha che {1, θ, . . . , θn−1 } è una Q-base per K, composta da interi algebrici, che potrebbe non essere una base intera per O. Tuttavia abbiamo il seguente teorema: Teorema 2.3. Il gruppo additivo (O, +) è un gruppo abeliano libero di rango n, dove n = [K : Q]. In particolare, poiché la matrice del cambiamento di base per un gruppo abeliano libero è unimodulare, il discriminante di una base intera non dipende dalla base intera scelta e per questo motivo tale intero non nullo è detto discriminante di K (o di O); inoltre vale il seguente risultato: 8 2 PREREQUISITI Teorema 2.4. Supponiamo che α1 , . . . , αn ∈ O formino una Q-base per K. Se ∆[α1 , . . . , αn ] è privo di fattori quadratici, allora {α1 , . . . , αn } è una base intera per O. Definiamo infine la norma e la traccia di un intero algebrico che saranno utili per determinare quali elementi del campo sono interi algebrici. Definizione 2.7. Per ogni α ∈ K definiamo la norma e la traccia di α nel modo seguente: NK (α) = n Y σi (α), TK (α) = i=1 n X σi (α). i=1 Affinché un numero α ∈ K sia un intero algebrico è necessario che N (α) e T (α) siano numeri interi. Poiché il calcolo del discriminante coinvolge passaggi lunghi e difficili, i risultati seguenti saranno spesso utili. Proposizione 2.1. Sia K = Q(θ) un campo numerico, dove θ ha polinomio minimo p di grado n. La Q-base {1, θ, . . . , θn−1 } ha discriminante pari a ∆[1, θ, . . . , θn−1 ] = (−1) n(n−1) 2 N (Dp(θ)) dove Dp è la derivata formale di p. Proposizione 2.2. Sia {α1 , . . . , αn } una qualsiasi Q-base di K, allora ∆[α1 , . . . , αn ] = det(T (αi αj )). Con questi strumenti possiamo calcolare in particolare l’anello degli interi √ algebrici di un campo quadratico Q( d), ove d 6= 0, 1 è un intero privo di fattori quadratici, e del p-esimo campo ciclotomico Q(ζp ), con p primo e ζp radice primitiva p-esima dell’unità. √ Teorema 2.5. L’anello O degli interi algebrici di K = Q( d) è Z[ωd ], dove: √ (a) ωd = d se d 6≡ 1 (mod 4), (b) ωd = √ 1+ d 2 se d ≡ 1 (mod 4). Teorema 2.6. L’anello O degli interi algebrici di Q(ζ) è Z[ζ]. Possiamo inoltre calcolare i discriminanti. 9 3 FATTORIZZAZIONE IN ELEMENTI IRRIDUCIBILI √ Teorema 2.7. (a) Se d 6≡ 1 (mod 4), allora Q( d) ha una base intera √ della forma {1, d} e discriminante pari a 4d. √ (b) Se d √ ≡ 1 (mod 4), allora Q( d) ha una base intera della forma {1, 1+2 d } e discriminante pari a d. Teorema 2.8. Sia ζ = e2πi/p e p un primo dispari, allora il discriminante di Q(ζ) è dato da p−1 (−1) 2 · pp−2 . 3 Fattorizzazione in elementi irriducibili Tornando ora alla dibattuta questione sull’unicità della fattorizzazione, nel Terzo Capitolo dimostriamo innanzitutto l’esistenza della fattorizzazione in elementi irriducibili nell’anello O degli interi algebrici di un campo numerico introducendo una nozione più generale: Definizione 3.1. Un dominio D si dice noetheriano se ogni ideale di D è finitamente generato. Elencheremo di seguito le proprietà valide più in generale per gli anelli noetheriani, il cui nome proviene da Emmy Noether (1882-1935) per i suoi fondamentali contributi alla Teoria degli Ideali. In particolare possiamo caratterizzare i domini noetheriani nel seguente modo: Proposizione 3.1. Sia D un dominio di integrità. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti: (a) D è noetheriano; (b) D soddisfa la condizione della catena ascendente; (c) D soddisfa il principio del massimale. • La condizione della catena ascendente Data una catena ascendente di ideali: I0 ⊆ I1 ⊆ . . . ⊆ In ⊆ . . . allora esiste un (minimo) intero N ≥ 0 per cui In = IN per ogni n ≥ N ossia, tale catena è stazionaria. 10 4 IDEALI IN ANELLI DI INTERI ALGEBRICI • Principio del massimale Ogni insieme non vuoto di ideali ha un elemento massimale, ossia un elemento che non è propriamente contenuto in alcun altro elemento dell’insieme. Possiamo dunque dimostrare il seguente risultato. Teorema 3.1. Sia D un dominio noetheriano, allora esiste la fattorizzazione in elementi irriducibili. Siamo ora pronti a far vedere che: Teorema 3.2. L’anello degli interi algebrici O di un campo numerico K è noetheriano. Quindi la fattorizzazione in elementi irriducibili è possibile in O. Tuttavia come abbiamo già accennato, è possibile elencare numerosi esempi per cui O non è un dominio a fattorizzazione unica. A metà dell’Ottocento, Ernst Eduard Kummer, venuto a conoscenza di tale problema, riuscı̀ a dimostrare che in certi casi l’unicità della fattorizzazione poteva essere ripristinata introducendo dei numeri ideali ; successivamente Richard Dedekind osservò che la funzione dei numeri ideali di Kummer poteva essere svolta più in generale da particolari sottoinsiemi che egli chiamò ancora ideali. 4 Ideali in anelli di interi algebrici Nel Quarto Capitolo dimostriamo che ogni ideale proprio e non nullo di O può essere scritto in modo unico come prodotto di ideali primi. A tal proposito avremo bisogno di definire gli ideali frazionari, particolari Osottomoduli di K, che ci permetteranno di avere la struttura desiderata: il principale risultato di questo capitolo consiste nel dimostrare che l’insieme F degli ideali frazionari non nulli di O è un gruppo abeliano moltiplicativo, da cui segue immediatamente la fattorizzazione unica in ideali primi. All’inizio del Novecento, Emmy Noether caratterizzò tutti gli anelli commutativi integri per i quali, come per l’anello degli interi algebrici di un campo numerico, un ideale proprio e non nullo ha la fattorizzazione unica come prodotto di ideali primi e che oggi sono noti come Domini di Dedekind. Possiamo osservare che se O fosse un dominio ad ideali principali, seguirebbe immediatamente la fattorizzazione unica in elementi irriducibili; definiamo 11 5 IL TEOREMA DI KUMMER PER I PRIMI REGOLARI la norma di un ideale come la generalizzazione della norma di elementi (da cui eredita la proprietà moltiplicativa) e dimostriamo che gli ideali di O in realtà non sono lontani dall’essere principali, potendo essere generati da due elementi. Teorema 4.1. Sia I un ideale non nullo di O e 0 6= β ∈ I. Allora esiste α ∈ I tale che I = hα, βi. In particolare possiamo infine caratterizzare gli anelli di interi algebrici i cui elementi si scrivono in maniera unica come il prodotto di elementi irriducibili: Teorema 4.2. L’anello degli interi algebrici O è un dominio a fattorizzazione unica se e soltanto se ogni ideale di O è principale. A questo punto, vogliamo trovare un modo per misurare “quanto” la fattorizzazione in elementi irriducibili in O differisce dall’essere unica: definiamo il gruppo delle classi di O (o di K) come il gruppo quoziente H := F/P degli ideali frazionari non nulli di O rispetto al sottogruppo degli ideali frazionari principali; l’ordine h di questo gruppo è il numero delle classi di O (o di K). Questo ci dà il metro che cercavamo: O è un dominio ad ideali principali e quindi un dominio a fattorizzazione unica se e solo se h = 1; se il numero delle classi h è maggiore di 1, la fattorizzazione in elementi irriducibili non è unica. Usando un importante teorema dovuto a Minkowski faremo vedere che h è finito e la finitezza di h è un punto cruciale nella dimostrazione del Primo Caso dell’Ultimo Teorema di Fermat per i primi regolari. Definizione 4.1. Un numero primo p è detto regolare se non divide il numero delle classi di Q(ζ), dove ζ = e2πi/p . 5 Il Teorema di Kummer per i primi regolari Inizialmente Kummer provò l’UTF sotto le seguenti due ipotesi per l’esponente primo p: Ipotesi 1 : La potenza p-esima di un ideale non principale non è mai un ideale principale; Ipotesi 2 : Sia α ∈ U (Z[ζ]). Se esiste b ∈ Z tale che α ≡ b (mod hpi), allora esiste b1 ∈ U (Z[ζ]) tale che α = bp1 . 12 5 IL TEOREMA DI KUMMER PER I PRIMI REGOLARI Nello stesso anno Kummer dimostrò che l’Ipotesi 1 implica l’Ipotesi 2; infine mostrò che: p è un primo regolare ⇐⇒ vale l’Ipotesi 1. Prima di entrare nei dettagli, richiamiamo l’enunciato del caso generale dell’Ultimo Teorema di Fermat e la consueta suddivisione ad esso relativa: Teorema 5.1. L’equazione Xp + Y p = Zp p ≥ 3 primo non ammette soluzioni intere (x,y,z) con xyz 6= 0. • Il Primo Caso dell’UTF riguarda l’esponente p tale che p - xyz; • Il Secondo Caso dell’UTF riguarda l’esponente p tale che p divide solo uno tra x, y, z. La dimostrazione del Secondo Caso dell’UTF per i primi regolari si basa fortemente sull’Ipotesi 2, la cui dimostrazione richiede nuovi metodi analitici, non accessibili a questo livello, quindi ci concentreremo solo sul Primo Caso dell’Ultimo Teorema di Fermat. Nel Quinto Capitolo dimostriamo il seguente Lemma fondamentale sugli elementi invertibili dell’anello degli interi algebrici di O(ζ), Z[ζ], dove ζ è una radice primitiva p-esima dell’unità. Lemma 5.1 (Lemma di Kummer). Ogni elemento invertibile di Z[ζ] è della forma rζ g , ove r ∈ R e g ∈ Z. Il Lemma di Kummer ed altri lemmi tecnici ci permettono finalmente di dimostrare il Primo Caso del Teorema di Kummer per i primi regolari: Teorema 5.2. Sia p un primo dispari regolare. Allora l’equazione Xp + Y p = Zp non ha soluzioni intere (x, y, z) con xyz 6= 0, tali che p - xyz. L’ultimo argomento che affrontiamo riguarda la relazione tra i primi regolari e i numeri di Bernoulli; da essa segue il criterio di regolarità utilizzato da Kummer che gli ha permesso di dimostrare il Primo Caso dell’UTF per tutti i primi minori di 100, esclusi 37, 59 e 67. 13 Criterio: Un primo p è regolare se e soltanto se non divide i numeratori dei numeri di Bernoulli B2 , B4 , . . . , Bp−3 . Nel 1993, attraverso nuovi metodi che resero possibile un approccio computazionale, il numero record per cui valesse il teorema era p ≤ 4000000. Conclusione Nonostante la semplicità dell’enunciato, l’Ultimo Teorema di Fermat si è rivelato essere uno tra i più difficili di tutti i tempi. Da un lato, nel tentativo di dimostrarlo, sono stati introdotti numerosi nuovi concetti e metodi che hanno apportato grande ricchezza alla matematica moderna, favorendone lo sviluppo e la diversificazione. D’altra parte, nel corso degli anni, la comunità matematica ha continuato ad espandere le proprie conoscenze in altre direzioni, che sembravano avere nulla a che fare con l’Ultimo Teorema di Fermat. Tuttavia, la storia è piena di casi in cui studi destinati a risolvere un determinato problema finivano per formulare e provare qualcosa di diverso; persino il punto di svolta di Kummer arrivò mentre stava lavorando su tutt’altro (la teoria della reciprocità quadratica). Allo stesso modo Wiles, per la dimostrazione definitiva dell’UTF, ha utilizzato risultati conseguiti in aree nelle quali, a prima vista, non sembravano possibili collegamenti ad esso. Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, si è evidenziato come l’UTF sia conseguenza (almeno per esponenti grandi) di importanti congetture della teoria dei numeri, rappresentando quindi un importante banco di prova per la loro validità. Per citare solo alcune delle congetture a cui stiamo alludendo, ricordiamo la Congettura “abc”, la Disuguaglianza di Bogomolov-MiyaokaYau per le superfici aritmetiche e la Congettura di Shimura-Taniyama sulla modularità delle curve ellittiche. La dimostrazione di Wiles e Taylor dell’UTF passa proprio per la dimostrazione di quest’ultima. Andrew Wiles era affascinato dalla matematica fin dall’infanzia vissuta a Cambridge; come disse davanti alle telecamere del programma Horizon della BBC il 27 Settembre 1997: “Avevo 10 anni, e un giorno trovai un libro di matematica nella biblioteca pubblica della mia città che parlava un po’ della storia di questo problema: qualcuno lo aveva risolto 300 anni prima, 14 ma nessuno ne aveva visto la dimostrazione, nessuno sapeva se realmente esistesse e tutti da allora la stavano cercando. Era un problema che io, un bambino di 10 anni, potevo capire, ma nessuno dei grandi matematici del passato era stato in grado di risolvere. Da quel momento ho cercato una soluzione; era una sfida ed un bellissimo problema.” Il problema in questione era proprio l’Ultimo Teorema di Fermat, e diventò subito un’ossessione. Wiles sapeva che sarebbe stato inutile affrontare l’UTF con la sola conoscenza acquisita a scuola. Nel 1971 andò al Merton College di Oxford per studiare matematica; dopo aver conseguito la laurea nel 1974, si spostò al Clare Collage di Cambridge per il dottorato. Qui ovviamente avrebbe voluto proseguire la ricerca di una dimostrazione all’UTF, ma il suo supervisor John Coates lo scoraggiò, poiché era probabile che in tanti anni non sarebbe arrivato comunque a nessuna soluzione, quindi Wiles iniziò a lavorare alla teoria di Iwasawa delle curve ellittiche, una scelta provvidenziale per come poi andarono i fatti. Nel 1986, Ken Ribet tenne una serie di conferenze che iniziavano con la curva di Frey e usavano le idee di Jean-Pierre Serre sui gruppi modulari di Galois per dimostrare la congettura di Frey: l’idea di utilizzare la congettura di Shimura-Taniyama per dimostrare l’UTF. Andrew Wiles vide cosı̀ l’opportunità di iniziare a lavorare su qualcosa di concreto: se avesse dimostrato la congettura di Shimura-Taniyama, avrebbe finalmente risolto il problema che aveva sconfitto l’intera comunità matematica per oltre 350 anni. Per i seguenti 7 anni lavorò sul problema in segreto; solo la moglie, il figlio e il suo capo di Dipartimento, erano a conoscenza di cosa stava facendo. Provò a utilizzare la teoria di Iwasawa che aveva studiato durante il suo PhD cercando di generalizzarla, ma non funzionò. Nel 1991, dopo un periodo di buio, incontrò il suo supervisor John Coates ad una conferenza, il quale gli parlò di uno studente brillante, Mattheus Flach, che aveva appena scritto un bellissimo articolo sulle curve ellittiche; Wiles diede un’occhiata al lavoro e concluse che era proprio quello di cui aveva bisogno. Dal 21 al 23 Giugno del 1993 Wiles tenne una serie di tre lezioni all’Istituto “Isaac Newton” di Cambridge, dal titolo Forme modulari, curve ellittiche e rappresentazioni di Galois. Nel corso della conferenza diede una dimo15 strazione parziale della congettura di Shimura-Taniyama, da cui seguiva un famoso corollario... Alla fine della terza lezione scrisse sulla lavagna l’enunciato dell’Ultimo Teorema di Fermat e concluse dicendo: “Mi fermerò qui.” La sua dimostrazione venne sottoposta ai controlli di routine e subito comparvero i primi dubbi. In seguito a una domanda di un collega, Nick Katz, Wiles si rese conto che c’era un errore nell’utilizzo della tecnica di Flach che aveva adoperato nell’ultima parte della dimostrazione, ma disse subito che era fiducioso nel poter risolvere il problema usando i metodi presentati nelle lezioni di Cambridge. Fin dall’inizio del 1994, Wiles cominciò a collaborare con il suo ex studente, Richard Taylor, cercando di riempire i buchi della dimostrazione. Durante il mese di Agosto, Wiles annunciò al Congresso Internazionale dei Matematici che era ben lontano da una soluzione. Taylor allora suggerı̀ di rivisitare il metodo di Flach per vedere se era possibile un altro approccio, cosı̀ lavorarono per un paio di settimane, ma senza risultati. Improvvisamente Wiles capı̀ perché la tecnica di Flach non funzionava e la sua idea cancellò ogni difficoltà. Il 6 Ottobre mandò la nuova dimostrazione ai tre matematici designati per tale compito e tutti trovarono il nuovo approccio soddisfacente. Il nuovo metodo era anche più semplice del precedente tentativo e l’anno seguente ci fu il consenso generale della comunità matematica: la dimostrazione era valida. Il lavoro venne finalmente pubblicato nel Maggio del 1995 in due articoli degli Annals of Mathematics ([20],[21]). Il bambino di 10 anni era cresciuto per realizzare l’ambizione della sua vita ed ora era esaltato in tutto il mondo per il suo grande successo: aveva sconfitto il problema che aveva messo in ginocchio il mondo dei matematici per 350 anni. Dire che la storia dell’Ultimo Teorema di Fermat abbia avuto inizio nel ’600 non è del tutto accurato, dato che questo problema trova le sue radici nello studio delle soluzioni intere di certe equazioni che compaiono nell’Arithmetica di Diofanto (matematico greco del 250 d.C.). Specularmente, è azzardato affermare che la storia delle ricerche ispirate dall’UTF si sia conclusa nel 1995: le idee introdotte da Wiles stanno prepotentemente indirizzando il lavoro di ricerca dei primi anni del XXI secolo su 16 questioni centrali nella teoria dei numeri. Come scrive Paulo Ribenboim: “Non c’è alcun epilogo. La ricerca continua. Nuovi metodi verranno inventati per risolvere nuovi problemi. O, al contrario, nuovi problemi motiveranno la ricerca di nuovi metodi. Ciò è quanto di meglio possa accadere, poiché è proprio il provare e riprovare, alla ricerca delle risposte alle sue questioni più profonde, che nutre la matematica.” Intanto un miliardario del Texas, Andrew Beal, rimasto catturato dal leggendario teorema di Fermat, ha messo in palio un milione di dollari a chi risolverà la congettura matematica da lui ideata, la Congettura di Beal : Congettura: Siano x, y, z, a, b e c interi positivi con a, b, c > 2. Se xa + y b = z c , allora x, y, z hanno un fattore primo in comune. Possiamo riformulare l’enunciato nel modo seguente: L’ equazione Xa + Y b = Zc non ha soluzioni intere positive x, y, z, a, b, c con a, b, c ≥ 3 e x, y, z a due a due coprimi. Le soluzioni possono essere inviate attraverso la pagina Internet dell’American Mathematical Society. 17 Indice delle Notazioni Z C |z| K(α1 , . . . , αn ) Q A L⊆K [L : K] R[X] Df fα (X) ∂p pα (X) ∆[α1 , . . . , αn ] det(A) (aij ) |X| B OK O Qz(D) e A N (α) T (α) ∆G ᾱ j i Φp (X) U (R) F Anello dei numeri interi Campo dei numeri complessi Valore assoluto di z Campo ottenuto ampliando K con α1 , . . . , αn Campo dei numeri razionali Campo dei numeri algebrici Ampliamento di campi Grado dell’ampliamento di campi Anello dei polinomi nell’indeterminata X a coefficienti in R Derivata formale di f Polinomio caratteristico di α Grado del polinomio p Polinomio minimo di α Discriminante di una base Determinante di A Matrice Cardinalità dell’insieme X Anello degli interi algebrici Anello degli interi algebrici del campo K Anello degli interi algebrici del campo Campo delle frazioni del dominio D Matrice aggiunta di A Norma di α Traccia di α Discriminante di α1 , . . . , αn , se {α1 , . . . , αn } è una base di G Coniugato di α Coefficiente binomiale p-esimo polinomio ciclotomico con p numero primo Gruppo degli elementi invertibili di un anello unitario R Gruppo degli ideali frazionari non nulli di O 18 N (I) P H h λ L Bk Norma dell’ideale I Gruppo degli ideali frazionari principali non nulli di O Gruppo delle classi di ideali di O (o di K) Numero delle classi di ideali di O (o di K) 1 − ζ dove ζ = e2πi/p con p numero primo hλi k-esimo numero di Bernoulli 19 Riferimenti bibliografici [1] R.B.J.T. Allenby. Rings, Fields and Groups. Edward Arnold, 2nd ed. 1991. [2] M.F. Atiyah, I.G. Macdonald. Introduction to Commutative Algebra. Addison-Wesley Publishing Company, Inc. 1969. [3] Z.I. Borevich, I.R. Shafarevich. Number Theory. Academic Press, New York, 1966. [4] D.M. Burton. Elementary Number Theory. McGraw-Hill, 6th ed. 2007. [5] L. Corry. On the history of Fermat’s last theorem: fresh views on an old tale. Springer-Verlag, 2010. [6] H.M. Edwards. The background of Kummer’s proof of Fermat’s Last Theorem for regular primes. Arch. Hist. Exact Sci., Vol. 14, 1975, pp. 219-236. [7] H.M. Edwards. Postscript to “The background of Kummer’s proof of Fermat’s Last Theorem for regular primes”. Arch. Hist. Exact Sci., Vol. 14, 1975, pp. 381-394. [8] H.M. Edwards. The Genesis of Kummer’s proof of Ideal Theory. Arch. Hist. Exact Sci., Vol. 23, 1980, pp. 321-378. [9] S. Gabelli. Teoria delle Equazioni e Teoria di Galois. Springer-Verlag, 2008. [10] H. Li. An Introduction to Commutative Algebra. Springer, 2004. [11] R.D. Mauldin. A Generalization of Fermat’s Last Theorem: The Beal Conjecture and Prize Problem. Notices of the AMS, Vol.44, No. 11 (December 1997), pp. 1436-1437. [12] D.A. Marcus. Number fields, Springer-Verlag, New York, 1977. [13] J.S. Milne, Algebraic Number Theory. http://www.jmilne.org/math/CourseNotes/ANT.pdf [14] P. Ribenboim. 13 Lectures on Fermat’s Last Theorem. Springer-Verlag, New York, 1979. 20 [15] P. Ribenboim. Classical Theory of Algebraic Numbers. Springer-Verlag, New York, 2001. [16] R.Y. Sharp. Steps in Commutative Algebra. Cambridge University Press, 2000. [17] I. Stewart, D. Tall. Algebraic Number Theory and Fermat’s Last Theorem. CRC Press, 3rd ed. 2002. [18] P. Varnavides. The Euclidean real quadratic fields. Nederl. Akad. Wetensch. Proc. Ser. A. 55=Indagationes Math. 14, (1952). 111-122. [19] P. Varnavides. Note on non-homogeneous quadratic forms. Quart. J. Math.,19,54-58 (1948). [20] A. Wiles. Modular Elliptic Curves and Fermat’s Last Theorem. Annals Math. Vol. 141, No. 3 (May, 1995), pp. 443-551. [21] R. Taylor, A. Wiles. Ring theoretic properties of certain Hecke algebras. Annals Math, Vol. 141 (May, 1995), pp. 553-572. 21 Indice Introduzione 1 1 Cenni storici 3 2 Prerequisiti 6 3 Fattorizzazione in elementi irriducibili 10 4 Ideali in anelli di interi algebrici 11 5 Il Teorema di Kummer per i primi regolari 12 Conclusione 14 Indice delle Notazioni 18 Bibliografia 20
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