05-Masaccio - IIS Forlimpopoli
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05-Masaccio - IIS Forlimpopoli
M ASACCIO (1401-1428) Anche nella pittura la Firenze del Quattrocento vanta le esperienze più innovative. Non a caso: nella città toscana, infatti, si era avviata da oltre un secolo, con Cimabue e Giotto, la strada del naturalismo pittorico, derivante dall’osservazione oggettiva della realtà. Lo strumento più congeniale a questa ricerca è rappresentato dalla prospettiva, con la quale lo spazio “entra nel dipinto” o, in scultura, nel bassorilievo. Nel breve arco di tempo tra il 1422 e il 1428, Masaccio realizza una svolta decisiva nella storia della pittura. Basandosi sullo studio di Giotto e di Donatello e sull’osservazione del vero, egli colloca l’uomo al centro delle sue opere, sia in quanto dotato di una riconoscibile fisicità, sia in quanto fulcro morale, soggetto capace di operare scelte. CARATTERI STILISTICI ESSENZIALI: maestro nella rappresentazione prospettica, Masaccio ricrea con naturalezza lo spazio talvolta senza il bisogno di evidenziarne la costruzione attraverso la presenza di un’architettura e lasciando posto all’ambiente naturale. I personaggi si muovono con naturalezza nello spazio, lo occupano con tutto il loro volume, peso, dimensione, e proiettano la loro ombra. È un’umanità reale, che si ispira a quella dipinta da Giotto un secolo prima. Nel 1426 Masaccio ricevette la commissione di un polittico per una cappella di Santa Maria del Carmine a Pisa. Era un’opera complessa, composta da molte tavole di diverse dimensioni e una predella, che in data imprecisata è stata smembrata e posta sul mercato. Oggi alcuni scomparti sono dispersi, altri collocati in diversi musei nel mondo. La tavola centrale, con la monumentale Madonna in trono col Bambino e angeli, due dei quali musicanti, seduti su un gradino e scorciati in primo piano, è di concezione veramente “moderna”: il corpo di Maria, leggermente ruotato verso destra, sporge dal vano cubico del trono di forme classiche, e si offre alla luce naturale che proviene da sinistra e gira intorno ai volumi dei protagonisti, oltre che scandire la profondità spaziale, alternandosi alle ombre. Un’inedita solennità, non priva di sincero realismo, attraversa le figure. Un accento patetico maggiore domina la Crocefissione: anche qui la luce è determinate nella costruzione dei corpi e nel conferire loro un tono drammatico: tocca di spalle Maria e lascia in ombra la parte frontale, rivolta al figlio, a marcare il suo inesprimibile dolore; scivola poi lungo la schiena della Maddalena, contratta in un gesto disperato ai piedi della croce, e mostra il volto affranto di San Giovanni . Ma è sul torso nudo di Cristo che crea i maggiori contrasti e fa emergere la testa che sembra innestarsi sul busto senza il perno del collo. Qui si tocca un punto di reale scardinamento della tradizione da parte di Masaccio che, volendo porre sotto il controllo prospettico l’intero complesso, non poteva che modificare il disegno delle figure, quasi deformandole, per adattarle al reale punto di vista dell’osservatore. L’affresco raffigurante la Trinità fu dipinto sulla terza campata sinistra della Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. Per la prima volta le regole della prospettiva geometrica sono applicate alla pittura. La scena è ambientata in un’architettura di chiara derivazione classica: un arco a tutto sesto, sorretto da colonne ioniche e incorniciato da pilastri corinzi trabeati, definisce lo spazio, una sorta di cappella coperta da una volta a botte con soffitto a cassettoni che suggerisce il senso di profondità. Tale soluzione richiama alla mente le coeve sperimentazioni di Brunelleschi. Sulla soglia stanno il Crocifisso sorretto da Dio padre e la colomba dello Spirito Santo; sul piano della cappella, a intercedere per i fedeli, stanno Maria – che guarda gli astanti e indica il Crocifisso con la mano destra – e San Giovanni. Sul piano inferiore due figure inginocchiate, forse i committenti, i coniugi Lenzi. Nel registro inferiore c’è una mensa d’altare sorretta da quattro colonnine con capitelli corinzi, sotto la quale è un sarcofago in parte incassato in una nicchia. Uno scheletro giace sul coperchio e la scritta incisa sulla parete della nicchia recita: “ IO FUI QUEL CHE VOI SIETE E QUEL CH’IO SON VOI SARETE”. La prospettiva lineare è applicata tanto agli elementi architettonici quanto alle figure umane, che risultano, così, collocate nello spazio in modo molto credibile: tutte le linee di 1 profondità concorrono verso un punto di fuga ideale posto ai piedi della croce, calcolato in funzione di un osservatore posto a circa 9 metri di distanza; al tempo stesso un deciso chiaroscuro rende i corpi volumetrici, concreti. Solo la figura di Dio Padre è vista frontalmente, in quanto non sottoposta alle leggi percettive dell’uomo, quale è la prospettiva. Masaccio ottiene in questo modo l’unione indissolubile dello spazio rappresentato e di quello reale e, quindi, un coinvolgimento maggiore dell’osservatore, che già si sente interpellato dal gesto e dallo sguardo della Madonna. L’intera scena va letta dal basso verso l’alto come un monito morale dal profondo significato salvifico. Lo scheletro è ciò che ci è più vicino, sia per prossimità sia perché rimanda alla caducità della vita. Con un movimento ascensionale lo sguardo va ai due committenti, che attualizzano, ponendolo nel mondo reale, l’evento del figlio di Dio che muore per la salvezza degli uomini, quindi si solleva verso l’alto e scopre Dio Padre – che sostiene il sacrificio del figlio – e la presenza dello Spirito Santo. Il ciclo di affreschi che decora la Cappella Brancacci, nel transetto destro della Chiesa Di Santa Maria del Carmine a Firenze, fu commissionato negli anni 1423-1424 da Felice Brancacci, mercante di sete e uomo politico, a Masolino da Panicale e a Masaccio. Tra il 1426 e il 1427 Masolino, lasciata Firenze alla volta dell’Ungheria, affidò al giovane Masaccio il compito di completare il lavoro. A causa della prematura morte del pittore nel 1428 e all’esilio dei Brancacci, avversari del partito dei Medici, il ciclo rimase incompleto, limitandosi alle due pareti di fondo e ai registri superiori delle pareti laterali, con le Storie di San Pietro, il Peccato originale, la Cacciata di Adamo ed Eva da Paradiso. I registri inferiori furono completati solo nel 1481 da Filippino Lippi. L’apporto dei due maestri è chiaramente riconoscibile, così come l’intervento successivo di Filippino Lippi. Pur condividendo la concezione dell’opera dal punto di vista della composizione, dell’organizzazione dello spazio e della gamma cromatica chiara, Masolino e Masaccio interpretano le scene in modo molto diverso. Masolino nel Peccato originale realizza figure legate ancora alla mentalità tardogotica: armonici e perfetti, quasi personaggi da fiaba, i progenitori appaiono totalmente inespressivi e inconsapevoli dell’atto che stanno compiendo. I corpi denunciano una nuova attenzione alla resa anatomica, ma i volti sono stereotipati e non dialogano tra loro. Masaccio nella Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso realizza, invece, figure totalmente proiettate nel neonato Rinascimento. Il pittore dipinge i corpi reali di Adamo ed Eva e le loro espressioni tragiche di fronte alla presa di coscienza del peccato commesso. Adamo si copre il volto, poiché ciò di cui deve vergognarsi non è la nudità, ma l’aver usato la ragione e il libero arbitrio contro il volere di Dio. Eva ha il volto deformato dalla disperazione e si copre le nudità. Masaccio la raffigura come una Venere ellenistica, ma l’evocazione delle figure antiche è del tutto superata da un originale, potente senso della realtà: i solidi e pesanti volumi dei corpi dei progenitori sono realisticamente costruiti dalla luce. La vicenda del Tributo, tratta dal Vangelo di Matteo, si articola in tre momenti: al centro, un gabelliere richiede un tributo per poter entrare nella città di Cafarnao; Cristo, attorniato dai suoi apostoli, indica a Pietro la sponda del lago, dicendogli di prendere la moneta che avrebbe trovato nella bocca di un pesce; la scena finale, sulla destra, è dedicata ala pagamento del tributo. Fulcro della scena è la figura di Cristo, attorno alla quale gli apostoli si dispongono a semicerchio, creando una ferma spazialità. Sul suo volto è il punto di fuga prospettico. Le sene sono vivacizzate dal concatenamento dei gesti, mediante i quali Masaccio sviluppa sinteticamente la storia. È dal gesto di Cristo, peraltro rafforzato dal braccio levato di Pietro, che prende avvio l’azione, aperta a raggiera verso chi guarda. Il paesaggio, piuttosto spoglio, si lega con l’architettura della porta urbana, in quanto sottomesso alle stesse leggi prospettiche, come si nota nella scorciatura degli alberi e delle nuvole. Gli elementi naturali, le figure, gli edifici, sono resi concreti attraverso una coerente rappresentazione della luce e dell’ombra: ogni parte assume consistenza plastica, sembra sbalzare rispetto al fondo grazie ad un modellato essenziale, affidato alla luce e al colore. 2
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