Moitessier - Nutrimenti
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Moitessier - Nutrimenti
Jean-Michel Barrault Moitessier La lunga scia di un uomo libero Traduzione di Laurence Figà-Talamanca Indice Titolo originale: Moitessier, le long sillage d’un homme libre Copyright © Éditions du Seuil, 2004 Traduzione dal francese di Laurence Figà-Talamanca © 2006 Nutrimenti srl Prima edizione ottobre 2006 www.nutrimenti.net via Marco Aurelio, 44 - 00184 Roma La casa editrice resta a disposizione di chiunque per legge possa rivendicare i diritti dell’immagine riprodotta in quarta di copertina. Art director: Ada Carpi ISBN 10 88-88389-63-6 ISBN 13 978-88-88389-63-9 “Continuo…” Nutrito di saggezza asiatica “Perché sono felice in mare…” “Ho beneficiato dell’insegnamento di maestri e di guide” Da Maïté a Joshua Il giro del mondo come viaggio di nozze Capo Horn La grande sfida In armonia con l’universo La corsa? Quale corsa? “Rientrare sarebbe una stronzata” Quattro volte con gli alberi in acqua I diritti d’autore al papa Gli anni hippy Suvarov, l’atollo magico L’utopia di Ahé Gli alberi da frutta L’America Il naufragio di Joshua “Partecipare alla creazione del mondo” Ritorno a Tahiti L’Alleanza pag. 7 pag. 13 pag. 21 pag. 27 pag. 37 pag. 49 pag. 63 pag. 75 pag. 85 pag. 91 pag. 99 pag. 107 pag. 111 pag. 121 pag. 127 pag. 135 pag. 145 pag. 151 pag. 161 pag. 169 pag. 177 pag. 183 “Continuo…” “È pazzo!”. Martedì 18 marzo 1969, l’ufficiale di guardia della piccola petroliera British Argosy, alla fonda nella baia di Città del Capo, è attirato da un rumore metallico. Esce sull’ala della plancia, scorge una barca a vela, cosa non rara nei paraggi. Con il binocolo riesce a leggere il nome scritto a grosse lettere nere sulla tuga bianca: Joshua. Distingue un uomo dai capelli lunghi, la folta barba grigia, il portamento da saggio indiano, che tende una fionda, mira la nave. L’ufficiale si ripete: “Questo tizio è matto!”. Lanciato con destrezza, il contenitore di una pellicola per le riprese, zavorrato, atterra sul ponte della nave. D’improvviso, il marinaio del mercantile capisce: il proiettile contiene un pezzo di carta. Lo srotola, legge: “Continuo senza scalo verso le isole del Pacifico perché sono felice in mare, e forse anche per salvare la mia anima”. Il messaggio, rinviato verso la Gran Bretagna e verso la Francia, scatena tra i più la stessa reazione: “È diventato pazzo!”. L’uomo barbuto che attacca le navi con la fionda si chiama Bernard Moitessier. Due anni prima, Francis Chichester, il vincitore della prima regata transatlantica, è riuscito a compiere il giro del mondo in solitario con uno scalo in Australia. È diventato un eroe nazionale, insignito di un titolo nobiliare dalla regina. Nel campo delle imprese marittime non resta che 7 “Continuo…” compiere una circumnavigazione in solitario e senza scalo. Questa sfida suprema imporrebbe di frequentare i quaranta ruggenti con i venti in tempesta e le onde mostruose, di doppiare i tre capi mitici (Buona Speranza, Capo Leeuwin, Capo Horn), di imbarcare acqua dolce e viveri per otto-dieci mesi di mare, di evitare le avarie malgrado le più dure condizioni. Soprattutto, di sopportare la solitudine, la fatica, i rischi di sfinimento e di instabilità psichica. Tuttavia, molti marinai sognano di tentare l’avventura. Uno di questi è il francese Bernard Moitessier. A bordo del suo ketch di 12 metri in acciaio, Joshua, in compagnia di sua moglie Françoise, ha appena effettuato la più lunga navigazione senza scalo compiuta da un veliero da diporto, 26.000 miglia, da Tahiti ad Alicante doppiando Capo Horn. Informato di tali progetti, un settimanale britannico, il Sunday Times, propone nel 1968 a quei velisti estremi la più spietata delle competizioni. La posta in gioco: un globo d’oro per il primo che riuscirà a completare la circumnavigazione e un assegno di 5.000 sterline per il più veloce. Il regolamento è semplice: salpare da uno dei porti della Gran Bretagna tra il primo giugno e il 31 ottobre e tornarvi dopo aver doppiato i tre capi, senza essersi mai fermati né aver ricevuto la minima assistenza. Partire per una crociera intorno al mondo, anche senza scalo, ma al proprio ritmo e prendendosi il proprio tempo, ed essere sottomessi a una competizione sono cose molto diverse. La gara obbligherà ad andare veloci di fronte ad avversari più audaci o con barche più rapide. Una pericolosa costrizione. I rischi si moltiplicheranno. Fino all’estremo. Senza dubbio. Se qualche temerario accoglierà la sfida proposta dal Sunday Times, nessuno forse ne uscirà vivo. Nove concorrenti, tuttavia, prendono il via: sei britannici, un italiano e due francesi, Bernard Moitessier e il suo amico Loïck Fougeron. Uno dei primi a partire, il 14 giugno, è un ufficiale della marina mercantile, Robin Knox-Johnston. Quest’inglese si era infuriato per la vittoria di Tabarly nella regata transatlantica del 1964 e per l’ostentato trionfalismo della stampa francese. All’annuncio della competizione organizzata dal Sunday Times, aveva esclamato: “Per fare giustizia, spetta a buon di- 8 ritto a un inglese vincerla per primo”. Cinque concorrenti, vittime di avarie, abbandonano ancor prima di aver doppiato il Capo di Buona Speranza. Su un ketch dalle prestazioni modeste, Knox-Johnston avanza con lentezza. Altri due concorrenti britannici, a bordo di trimarani, sono partiti molto tardi e non sembrano particolarmente temibili: il primo avanza lentamente, l’altro procede in maniera talmente incostante, sulla base delle posizioni che comunica il suo skipper, da provocare lo scetticismo di Chichester, il presidente del comitato di gara. Moitessier, partito il 22 agosto, non ha una radiotrasmittente e deve affidarsi alla casualità degli incontri perché l’organizzazione e i suoi cari abbiano sue notizie. Il suo ketch rosso è stato intravisto al largo di Buona Speranza, poi al largo della Tasmania e infine, il 10 febbraio, davanti alle isole Falkland; quindi ha doppiato Capo Horn e ha raggiunto a tutta velocità il suo principale avversario, Robin Knox-Johnston, che è passato alle Falkland solo il 23 gennaio: il francese ha già recuperato sessantasette giorni. A Moitessier non resta che risalire l’Atlantico, una navigazione negli alisei abbastanza comoda per chi ha dominato le micidiali tempeste dell’Oceano Australe. Sembra certo che Moitessier arriverà da gran vincitore a Plymouth verso il 15 aprile, per intascare l’assegno di 5.000 sterline di cui il marinaio, che è al verde, ha bisogno, per arraffare il trofeo del Golden Globe e per raccogliere la gloria di essere stato il primo navigatore a riuscire nell’impresa di una circumnavigazione in solitario e senza scalo. Gli stanno già preparando un’accoglienza trionfale, una moltitudine di navi da guerra e da diporto si appresta ad attraversare la Manica per scortare nelle sue ultime miglia l’eroe, che sarà celebrato in pompa magna e, molto probabilmente, insignito della Legion d’Onore. Ed ecco che il navigatore, atteso al largo di Ouessant, spunta davanti a Città del Capo e annuncia: “Continuo”. Che i mesi di solitudine nelle dure condizioni dei mari australi gli abbiano sconvolto il cervello? Sua moglie Françoise, contando i giorni che la separavano dal ritorno di Bernard, già sospirava: “È lunga, è molto lunga”. Adesso, intervistata dal giornale 9 “Continuo…” L’Aurore, ammette: “Non capisco”. Francis Chichester resta scettico: “Non penso che sia ragionevole credere a una cosa simile. È una cosa del tutto estranea al carattere di Bernard Moitessier. Però non può essere uno scherzo”. Il 18 marzo, verso le 8.30, la motovedetta Elizabeth R, incaricata della sorveglianza del porto, si trova all’estremità nord-ovest di Tall Bay, davanti a Città del Capo. Il suo capitano, Trevor Di Angelo, è attirato dai bagliori di uno specchio provenienti da un ketch rosso fermo, prua al vento. Racconta: “Siamo stati chiamati a gran voce da un uomo abbronzato e barbuto che appariva in piena forma fisica. Ci ha detto: ‘Sono Moitessier’”. Il navigatore fa segno di non abbordarlo e getta sul ponte della motovedetta un bidone a tenuta stagna contenente un collo indirizzato a Jacques Arthaud, con un messaggio in cui chiede di trasmettere il pacco al console di Francia e una lettera per il presidente del Royal Cape Town Yacht Club. Moitessier conferma: “Continuo…”. Dopo un gesto d’addio ai marinai della motovedetta, cazza le vele e si dirige verso il British Argosy, poi fa rotta verso sud. È forse entrato in una sorta di nirvana d’alto mare che lo priva di ogni cautela, di ogni buon senso? A terra ci si preoccupa. Françoise, immaginando che il marito ignori tutto dei suoi avversari, fa diffondere dalla radio sudafricana un messaggio, per informarlo che è in testa. Bernard non lo sentirà. Sul numero del 20 marzo, il giornale L’Aurore, annunciando la decisione di Moitessier, sulla scorta di notizie ancora incomplete scrive nel titolo: “Per tentare un secondo giro del mondo…”. Secondo le dichiarazioni riportate dal quotidiano, Françoise, che con suo marito ha doppiato Capo Horn e affrontato una terribile tempesta nel sud del Pacifico, avrebbe rivelato la propria angoscia: “Conosco troppo bene le difficoltà di una simile impresa…”. Alcuni parlano di noleggiare una motovedetta che dal Capo raggiunga la barca a vela e ingiunga a Moitessier di invertire la rotta e di rinunciare a ciò che assomiglia a un atto di audacia insensata. I pericoli dei mari del Sud giustificano quelle preoccupazioni. Comincia l’autunno australe, con il suo cattivo tempo, il 10 freddo, i giorni più brevi, la nebbia, i ghiacci alla deriva. Il marinaio non rischia di restare senza viveri? Il materiale, l’attrezzatura, le vele, sottoposti allo sforzo di un primo giro del mondo, saranno capaci di resistere a nuove prove? E l’uomo? Appariva in buona salute, ha detto il capitano dell’Elizabeth R. Ma non raggiungerà i limiti delle sue forze, della sua resistenza, sfinito da tanti mesi sugli oceani più terribili del globo? E verso dove dirige la sua barca? Vuole di nuovo doppiare Capo Horn? Oserà un secondo giro del mondo, sempre senza scalo? Che cosa cerca Moitessier? Chi è quest’uomo che volta le spalle agli onori e al denaro e riparte verso le solitudini estreme nei mari australi? 11 Nutrito di saggezza asiatica Il rifiuto di Bernard Moitessier di concludere da vincitore la regata intorno al mondo, la sua decisione di voltare le spalle all’Europa e a quel che chiama “i suoi falsi dei” si spiegano in gran parte con la sua infanzia e la sua adolescenza. Il padre, Robert Moitessier, diplomato all’Hec1, appartiene a una famiglia di intellettuali. Ha sposato Marthe Gerber, un’artista, ex allieva delle Belle Arti. La coppia ha lasciato la Francia poco dopo il matrimonio e Robert Moitessier ha creato in Indocina una società di import-export, diventata rapidamente prospera grazie al senso del commercio del suo fondatore. Durante la crisi degli anni Trenta ha comprato dei terreni a basso costo, là dove intuiva che Saigon si sarebbe sviluppata, e li ha rivenduti con grande profitto. Con l’approssimarsi della guerra ha fatto scorta di merci: tutte le stanze della casa e dei depositi vennero stipate di casse di Ovomaltina, di vino Chauve-Souris, di latte condensato. Molti anni dopo l’Ovomaltina continuerà ad essere, insieme al riso, una delle basi dell’alimentazione del navigatore. Bernard nasce a Hanoi il 10 aprile 1925, qualche settimana dopo il trasferimento dei genitori. Altri due maschi seguono la nascita del maggiore, ognuno a un anno di distanza, prima Françou, poi Jacky: i tre formano una terribile banda di mascalzoni. Élisabeth, nata nove anni dopo Bernard, e Gilbert, na1 Haute École de Commerce [n.d.t.]. 13 Nutrito di saggezza asiatica to nel 1938, saranno meno coinvolti nelle imprese dei fratelli maggiori. Nel libro Tamata e l’alleanza, pubblicato poco prima della morte, Moitessier rievoca nel dettaglio, e in modo magnifico, l’apporto che ha ricevuto in Indocina durante i vent’anni decisivi della sua formazione. Sin da piccolo ama gironzolare nel mercato, mescolarsi alla vita del popolo, respirare gli odori, mangiare zuppa cinese accovacciato sui talloni. Vaga sui bordi dei canali per contemplare le giunche. Un giorno, il capitano di una di queste, il Taî cong, affascinato dalla curiosità del ragazzino e meravigliato dalla sua conoscenza della lingua del paese, lo invita a bordo. Il battellino di servizio consisteva in un cesto rotondo di bambù intrecciato, che il marinaio faceva avanzare senza deviare dalla rotta, brattando al contrario: Moitessier se ne ricorderà quando, molti anni dopo, utilizzerà come imbarcazione la camera d’aria di un camion. Il bambino sogna: “Darei qualsiasi cosa per imbarcarmi sulla sua giunca e andare molto lontano da scuola…”2. Bernard, Françou e Jacky, avidi di libertà, accettano malvolentieri gli obblighi della scuola. I loro risultati fanno disperare il padre, “dopo tre generazioni di intellettuali”. Le pagelle procurano spesso ai bambini la frusta del genitore, perché l’educazione paterna è severa. A undici anni, racconta Bernard, gli assegnano un tema di storia: “La campagna d’Egitto”. In completa buona fede, il ragazzino descrive un paese disseminato di piramidi e bagnato dal Nilo, cosa che gli varrà la relativa gloria di essere citato da Jean Charles nel suo libro La fiera delle castronerie. Un altro tema di Bernard, dal titolo “Pietra mossa non fa mai muschio”, viene così commentato dal maestro di scuola: “Non solo lei è un pigro e uno zuccone, ma anche un cretino e un cattivo soggetto. I ragazzi come lei non diventano nulla di buono nella vita. Lei ha la stoffa dell’anarchico”. Sincero e spontaneo, l’alunno ha sviluppato l’argomento che riteneva giusto: “Più ci si muove, più si viaggia, più si fanno cose diverse nella vita, meno si rischia di lasciarsi incrostare dalle cattive abitudini”3. 2 3 Da Tamata e l’alleanza. Ibid. 14 La madre di Bernard, soprannominata Mamette, è una donna colta, allegra, con un temperamento da artista. Il messaggio che trasmette ai figli è ricco di filosofia, di bontà e di saggezza: “Mia madre”, racconta Bernard, “vorrebbe che diventassimo con il passare del tempo dei begli animaletti pieni di vita e salute, occhio vivo e piede agile”4. Un ideale incoraggiato anche dal padre che sotto un’apparenza austera nasconde un cuore tenero. Molto sportivo, gioca a rugby, a pallanuoto, stabilisce record di nuoto sott’acqua. I figli vogliono eguagliarlo. Per coprire i due chilometri che li separano da scuola, corrono per Saigon, che all’epoca è un immenso frutteto, con le strade costeggiate da alberi da frutta, manghi e tamarindi. Anche di questo Moitessier si ricorderà. All’uscita di scuola e la domenica, Bernard, Françou e Jacky passano ore in piscina e di notte vi entrano scavalcando il recinto per inanellare vasche. A sei o sette anni Bernard è capace di coprire tremila metri a stile libero fino a quando suo padre non lo fa uscire di forza dalla piscina. Gioca a pallanuoto. Ma è Françou a rivelarsi il migliore, campione della scuola nei cento metri. Se i ragazzi fanno disperare i loro professori, è perché la vera vita è altrove. Durante le ore di lezione disegnano giunche nei margini dei fogli di quaderno. “Allo stesso tempo zucconi e teppisti”, ammette Bernard, “sogniamo la vita e la libertà, invischiati, io e i miei fratelli, in una sorta di torpore interrotto da crisi in cui la disperazione e la rivolta si tengono per mano”5. La loro immaginazione salpa per il Golfo del Siam. Ogni estate passano due mesi di vacanza in un villaggio di pescatori, vicino a Rach Gia. La grossa Hotchkiss familiare li porta in tre giorni di viaggio meraviglioso attraverso le risaie della Cocincina. Lì conoscono un’esistenza di scoperta e di avventura in intimità con la popolazione locale. Lì vivono i loro grandi amici, Xaï, Phuoc, Kieu, Hao. Nelle capanne di paglia, accucciati su tavolacci, condividono la zuppa di riso condita con nuoc-mâm. Assam, la loro donna di servizio cinese, gli insegna a diffidare del Ma Qui, il più malvagio dei geni cattivi. Esplorano la foresta, montano 4 5 Ibid. Ibid. 15 Nutrito di saggezza asiatica trappole, cacciano la lucertola volante. La fionda è l’arma preferita di Bernard, la sua compagna, e come dice, “la mia religione”. La sua abilità è stupefacente. Si esercita continuamente, su tutto ciò che si muove nel villaggio e sulle lampadine dei lampioni di Saigon. I ragazzi frequentano i pescatori e imparano i rudimenti dell’armamento e della manutenzione delle piroghe. Bernard osserva il padre di Phuoc mentre fabbrica con l’ascia e il ferro rovente un’ancora di legno duro, montata con caviglie ad angolo: così, quando l’incavigliatura con il tempo si allenterà, marre e fuso resteranno uniti. Alla vigilia della stagione della pesca, gli abitanti del villaggio preparano le giunche e calafatano i fasciami. Bernard segue come un’ombra il padre di Hao, “ipnotizzato dalle sue mani da mago”6. Il carpentiere spiega: “Per calafatare veramente, devi entrare nella fessura insieme alla fibra, diventare tu stesso la fibra”. L’adolescente prova a ricalcare i gesti dell’annamita, a entrare come lui “nella fessura”. Un insegnamento che non dimenticherà. I tre ragazzi partecipano con gli abitanti del villaggio alla preparazione delle lenze e degli ami. E, ricompensa suprema, si imbarcano: “Grandi passeggiate nel vento del largo”, esulta Bernard, “accampamenti sulle isole deserte, venti leggeri e venti forti, mani di terzaroli nelle bufere, la barca ubriaca di vento, di mare e di sole”7. Parlando l’annamita alla perfezione, si impregna di una civiltà millenaria, scopre che i caratteri cinesi permettono a due persone che non parlano la stessa lingua di capirsi disegnando ideogrammi. Un giorno regala una bussola al padre di Phuoc, che non aveva mai visto quel magico strumento il cui ago permette di orientarsi, anche di notte. Il pescatore, affascinato, gira e rigira lo strumento per ore intere. Il giorno dopo restituisce la bussola. Ha riflettuto: “Serve la luce per usare questa cosa di notte, e i tuoi occhi diventano ciechi. Invece con le stelle o la direzione del vento e delle onde vedi sempre dove vai, e le tue orecchie restano aperte ad ascoltare ciò che ti dice il mare”. 6 7 Ibid. Ibid. 16 Molti anni dopo, quando Bernard porterà gli allievi a scuola di vela, a sua volta insegnerà loro a navigare con tutti i sensi all’erta. Lo ammette: “Vivessi anche mille anni, il mio villaggio mi resterebbe incollato, le mie radici esistono attraverso lui”8. Un vecchio bonzo, il giorno prima di morire, gli consegna un ultimo messaggio: l’insegnamento della vita comprende tre tappe, la scuola del ‘trasmettere’ esige di essere passati prima per la scuola del ‘vedere’ e per la scuola del ‘fare’. Purtroppo le vacanze finiscono. Bernard ha quindici anni quando suo padre, disperato per i cattivi risultati scolastici, lo iscrive alla Scuola d’avviamento industriale di Saigon, da cui viene cacciato ben prima della fine dell’anno. Lo accoglie una piccola scuola di agraria, con un regolamento abbastanza elastico da rendere felice l’eterno ribelle. A diciotto anni, eccolo capomastro in una piantagione di hevea. Mette da parte del denaro, perché il sogno dell’infanzia è più vivo che mai: costruire una barca, partire sui mari, percorrere tutte le vie del mondo. Ma il tempo non è ancora venuto. Quando Bernard ha diciannove anni, il padre lo assume nella sua azienda. Il padrone propone al figlio maggiore di succedergli, un giorno. È un futuro assicurato. Ma il giovanotto esita tra “scegliere di restare sul mio ramo confortevole… o vincere la paura del nuovo e mollare tutto per saltare nell’ignoto”9. I giri dai clienti nei villaggi gli piacciono, ma non sopporta la vita d’ufficio, le fatture da verificare, la routine quotidiana. A dispetto di suo padre, guadagna la sua indipendenza e ritorna nel villaggio delle sue vacanze. Solo il mare e le barche lo appassionano e, più tardi, la partenza sugli oceani alla scoperta delle isole lontane. Con Xaï scova una giunca da pesca: la comprano e la armano insieme. A Rach Gia, mentre completa l’approvvigionamento della giunca, stringe amicizia con Abadie, un francese che ha combattuto a Verdun e condotto un’esistenza da avventuriero e che, con la sua esperienza di combattimento, diventa per il giovane una sorta di padre spirituale. Abadie gli impartisce tutto un altro insegnamento ri8 9 Ibid. Ibid. 17 Nutrito di saggezza asiatica spetto a quello del padre naturale. Per lui la vita, la libertà e l’indipendenza sono la scuola migliore, ben superiore all’insegnamento ricevuto sui banchi. Un linguaggio che non può che sedurre Bernard. L’amico lo imbarca sulla sua giunca, Titette, per un giro tra le isole. Una gioia indimenticabile. Ma al ritorno, scoppia il dramma. L’epoca della felicità e della spensieratezza è finita. All’improvviso il paradiso diventa un inferno. La Francia ha perso la guerra nel 1940, i giapponesi hanno invaso l’Indocina e, al ritorno dalla loro crociera, Abadie e Moitessier vengono controllati da soldati giapponesi urlanti, il fucile puntato sulla pancia. Bernard, che non alza le braccia abbastanza velocemente, è a un passo dal farsi ammazzare. I due francesi, dopo essergli state legate le mani, vengono fatti prigionieri. Finalmente liberati, Bernard ritrova sua madre, suo fratello e sua sorella più piccoli, che erano rimasti al villaggio. Ritornano a Saigon. Il padre, ufficiale di complemento, è prigioniero. Bernard si ritrova capofamiglia. Dopo il bombardamento di Hiroshima, il Giappone si arrenderà? Molti lo pensano, lo sperano, ma i giapponesi occupano sempre l’Indocina. Allora Bernard si lascia andare a un insensato atto di patriottismo: mette la bandiera francese sul balcone di casa. La polizia giapponese irrompe, carica la famiglia e le persone presenti, e le arresta. In un angolo della cella la madre è in ginocchio; Abadie, Françou e Jacky sono immobili. Di fronte a Bernard un ufficiale giapponese con la mano sulla fondina della pistola fissa il giovanotto, che pensa, lucido: “Ho vent’anni e sto per morire”. Il giapponese e il giovanotto si affrontano, occhi negli occhi. Dopo un lungo scambio di sguardi, l’ufficiale risparmia il ragazzo. Tre giorni di cella, poi la prigione per tre settimane. Liberato dopo sei mesi di prigione giapponese, il padre di Bernard a quarantacinque anni sembra un vecchietto scheletrico. Il Giappone si è arreso. L’Indocina ritroverà la tranquilla felicità di prima della guerra? Si agitano violenti movimenti indipendentisti, si moltiplicano gli attentati. Nel momento in cui sbarca la Commissione per l’armistizio, il Viet Minh comunista organizza una manifestazione che degenera in massacro. Tra 18 quelli che vogliono cacciare i coloni, gli indocinesi che auspicano di restare fedeli alla Francia e i francesi che sperano di recuperare il loro dominio precedente alla guerra, si susseguono gli scontri, micidiali e tragici. I compagni di gioco di ieri e gli amici di scuola sono ormai diventati nemici che provocano “un’ignobile carneficina di innocenti”. Bernard, con i suoi due fratelli, si unisce al Gruppo volontari della liberazione, in una pattuglia guidata da Abadie. Poi, arruolato, viene imbarcato in qualità di marinaio-interprete su La Gazelle, un avviso di 600 tonnellate. All’epoca delle missioni sul Mekong e negli arroyos, Bernard partecipa ai combattimenti. “Ma”, dice, “quando si presenta l’occasione di abbattere un Viet… all’ultimo momento sposto la mira e la pallottola lo sfiora, fischiando forte nel suo orecchio, in modo che abbia paura”10. Come simbolo dell’orrore assoluto, la tragedia arriva nel villaggio d’infanzia, quello della felicità e della fratellanza. Xaï avrebbe rivelato: “Baï-Ma nasconde un fucile”. Françou e Jacky, alla testa di una compagnia di tiratori cambogiani, irrompono all’alba. “A bruciapelo, davanti a tutto il villaggio”, rivela Bernard, “Françou uccide Baï-Ma con un colpo in testa”11. Le capanne di paglia vengono bruciate. Quel dramma non cesserà mai di assillare Bernard: “Quando Françou me lo ha raccontato, con gli occhi ancora pieni di odio, ho capito che avevamo veramente perso il nostro paese. È come se avesse ucciso suo fratello”12. Poco dopo Françou si suiciderà. Jacky, invece, parte per la Guiana. Per il maggiore dei tre fratelli, così vicini nei giochi, quella sanguinosa rottura con il mondo dell’infanzia darà vita a un ‘Dragone’, dall’alito fetido di rimorsi, che lo accompagnerà negli anni e si rifiuterà di morire. *** Dopo un nuovo tentativo nell’azienda paterna, Bernard sceglie di ritrovare il suo caro Golfo del Siam: apre un’impresa Ibid. Ibid. 12 Ibid. 10 11 19 di trasporto a vela, tra Rach Gia e Kampot, in Cambogia. A bordo di una grande giunca carica venti tonnellate di riso in Cocincina, le trasporta in Cambogia e ritorna con un carico di legno o di zucchero di palma. Su quella nave dalle vele steccate trova la felicità: “Quell’epoca è stata la più ricca e la più determinante della mia vita”13, ricorderà il marinaio. Ma sei mesi dopo, la polizia francese lo sospetta di traffico di armi con i Viet, ed è costretto a smettere quell’attività. Ottiene dal padre un mezzo stipendio e sei mesi di ferie: percorre la Francia, l’Europa, in bicicletta, in autostop, scopre un mondo nuovo. È scioccato dai recinti che proteggono i giardini, dai platani ai bordi delle strade al posto degli alberi da frutta come in Indocina. Sul piroscafo di ritorno incontra una ragazza dai capelli d’oro, Marie-Thérèse. Il primo amore. Il fidanzamento. Poi la rottura: “Ho paura di ritrovarmi incatenato con moglie e figli in quest’Indocina di violenza […]. Forse mi comporto come un farabutto, ma Marie-Thérèse resterà nel mio cuore”14. Xaï è stato ucciso, Abadie si è fatto uccidere dai servizi segreti del Viet Minh, Bernard, per la terza volta, sfugge per miracolo alla stessa sorte. Di nuovo nell’azienda paterna, consacra tutto il tempo libero a perfezionare l’inglese, lo spagnolo, a imparare il russo e i caratteri cinesi. La sua determinazione a prendere il mare è sempre altrettanto viva. E si concretizzerà presto in una barca di nome Snark, poi in una giunca che, fedele al suo amore di gioventù, Bernard battezza Marie-Thérèse 13 14 Da La lunga rotta. Da Tamata e l’alleanza. “Perché sono felice in mare…” Nel messaggio inviato con un colpo di fionda sul ponte della British Argosy, Moitessier spiegava: “Continuo […] perché sono felice in mare…”. Aveva scoperto la gioia di navigare già nei suoi primi bordi in compagnia dei pescatori del Golfo del Siam. Sulla giunca di Abadie fu, come racconta, “la mia prima grande evasione in mare, senza altro da fare che lasciarmi vivere, come per l’eternità”1. È scesa la notte, dentro Abadie si riposa. Bernard resta al timone, padrone dell’imbarcazione: “Questa magia fa rinascere in me l’alleanza con l’universo. […] Volevo restare solo con tutta la barca per me, solo con tutto il mare”. E ancora una volta: “Sogno di partire un giorno sulla mia barca, molto lontano e forse da solo”2. Quello che per la stragrande maggioranza dei diportisti è un gradevole piacere, per Bernard è una passione, un’arte di vivere, il modo di partire alla scoperta del pianeta, la chiave della libertà. La barca d’altura diventa anche la nave che permette di fuggire da quell’Indocina in cui non ritrova più le gioie di bambino e adolescente. Questo paese ha spezzato suo padre, ha ucciso Abadie, la sua guida spirituale. Xaï è morto, Baï-Ma è morto. E anche Françou, il poeta invaso dall’odio. Nel porto di Saigon si presenta un miracolo, si chiama Snark, un ketch di 12 metri, in vendita: “Il mondo era lì davanti ai 1 2 20 Da Tamata e l’alleanza. Ibid. 21
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