AUSTRALOPITHECUS SEDIBA
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AUSTRALOPITHECUS SEDIBA
AUSTRALOPITHECUS SEDIBA SPECIE: Australopithecus sediba ETÀ: da 1,95 a 1,78 milioni di anni fa LOCALITÀ: Malapa (sudafrica) INDICE RITROVAMENTO STUDI ACCURATISSIMI I RISULTATI DELLE ANALISI: IL CERVELLO I RISULTATI DELLE ANALISI: MANI I RISULTATI DELLE ANALISI: BACINO CONCLUSIONI L'A.SEDIBA COME SPECIE DI TRANSIZIONE TRA L'A.AFRICANUS E L'H. HABILIS OPINIONI CONTRASTANTI Veduta della riserva naturale della valle di Malapa, in Sudafica. Foto scattata nel 2012 RITROVAMENTO. Nell’estate del 2008, nel sito di Malapa in Sudafrica, i paleontropologi Lee Berger e Job Kibii, trovarono due scheletri parziali appartenenti a un giovane maschio di 12-13 anni e a una femmina adulta, risalenti a 1,78-1,95 milioni di anni fa. In questo sito (ad una quindicina di chilometri dal più noto sito fossilifero paleoantropologico di Sterkfontein), dentro una grotta, si erano formati, nel tempo, depositi di sedimenti ad opera di acque correnti. Il primo scheletro è stato rinvenuto col cranio discretamente conservato, con una capacità di 420 - 450 centimetri cubi; la statura di entrambi gli esemplari è stimata a circa 1,27 metri, con una probabile ulteriore crescita per il giovane; mentre il peso degli individui è stimato sui 27 kg il maschio e a 33 kg la femmina. L'abbondanza e lo spettacolare stato di conservazione hanno colpito sin dall'inizio i ricercatori. L'intera zona di Malapa circa 2 milioni di anni fa si presentava come una distesa di valli boscose e colline, sotto le quali correva una falda idrica costellata entro cavità carsiche sviluppatesi nel sottosuolo. Alcune di queste cavità si aprivano tramite ingressi scoscesi o pozzi verticali lunghi fino a 50 metri. Queste pozze d'acqua attiravano molti animali che nei periodi secchi si avventuravano seguendo il rumore e l'odore dell'acqua rischiando di cadere o di non riuscire più a risalire. I corpi vennero trasportati dalle acque ancora più all'interno del sistema di grotte e vennero ricoperti dal sedimento nel giro di pochi giorni o settimane, in una unica colata detritica torrentizia di sabbia e argilla. Gli ominidi (a oggi almeno quattro) sarebbero, quindi, morti tutti a distanza di poche settimane o giorni suggerendo la possibilità che si conoscessero. Il seppellimento rapido ha lasciato gli scheletri nella stessa disposizione che avevano gli individui in vita, conservando inalterata persino la posizione delle minuscole ossa di mani e piedi. Inoltre potrebbe aver permesso anche la conservazione di pelle sul cranio del ragazzino e sulla mascella della donna vicino al mento: un caso che non ha precedenti in un ominide. Il sito fossile di Malapa nell’agosto del 2011 Fin dalla loro scoperta i fossili hanno destato particolare interesse soprattutto alla luce di alcune caratteristiche che li rendevano per certi aspetti più simili all' Homo erectus, per altri ancora molto vicini al genere Australopitechus. Proprio per questo, i due paleoantropologi che li scoprirono: Lee Berger e Job Kibii (della Wits University di Johannesburg), scelsero il nome di A. sediba, che nella lingua locale, il Sotho, vuol dire ruscello o sorgente naturale, a voler indicare il possibile inizio del ramo evolutivo da cui discendiamo anche noi. TORNA STUDI ACCURATISSIMI. Così, prese il via un grande studio che coinvolse oltre 80 scienziati di tutto il mondo. Come hanno sottolineato gli autori, le ricerche furono pressoché uniche nel loro genere grazie agli strumenti d’analisi utilizzati e alla qualità dei reperti di sediba: suoi sono i più completi resti di mano mai descritti; il più integro bacino mai scoperto; la più accurata scansione endocranica mai realizzata; una delle datazioni più precise mai stimate per un sito africano; se non bastasse, si aggiungano anche nuove sofisticate analisi su denti fossili che hanno fatto capire che questo ominide viveva in un ambiente boschivo, nutrendosi di foglie, frutti e cortecce, e non in ambienti aperti, mangiando erbe e piante, come si era ipotizzato per lungo tempo. Quest’ultima scoperta aggiunge un tassello fondamentale nella conoscenza di A. sediba, perché la dieta è uno degli aspetti fondamentali di un animale, determina il suo comportamento e la sua nicchia ecologica. Quando gli ambienti cambiano a causa delle mutevoli condizioni climatiche, in genere gli animali sono costretti a spostarsi o ad adattarsi al nuovo ambiente. TORNA I RISULTATI DELLE ANALISI. Fra tutte le parti prese in esame, il cervello e le mani sono senza dubbio i tratti che avvicinano di più A. sediba all’uomo moderno. CERVELLO. Come infatti ha rivelato la scansione ultrasottile del cranio del fossile MH1 (un bambino di circa 11 anni vissuto 1,97 milioni di anni fa) realizzata presso la European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble, in Francia, la forma somiglia molto a quella umana, anche se le dimensioni (440 cm cubici) sono ancora paragonabili a quelle degli scimpanzé. Secondo i ricercatori. Le dimensioni rientrano in quelle solite delle australopitecine. Ciò che colpisce è una forte asimmetria dei due lobi frontali come rilevato da un calco endocranico virtuale effettuato sul ragazzino. Un'asimmetria marcata tra i due emisferi è una caratteristica dell'essere umano perché il nostro cervello si è sviluppato impegnando maggiormente la parte sinistra nel linguaggio. TORNA MANI. “ Le mani sono uno dei tratti più distintivi dell’uomo”, ha spiegato Tracy Kivell, ricercatrice del Dipartimento di Evoluzione Umana del max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Germania e autrice di uno degli articoli: “ Di solito le scimmie hanno lunghe dita per afferrare rami o per l'uso in locomozione, ma hanno anche dei pollici corti e quindi una ridotta capacità ad afferrare gli oggetti”. A. sediba, invece, presenta una mano per certi versi più simile a quella dell’essere umano, pur mantenendo una notevole muscolatura carpale. Secondo gli autori, queste due caratteristiche indicano con estrema probabilità come questi ominidi fossero sì in grado di fabbricare e utilizzare utensili, ma al tempo stesso utilizzassero ancora le mani per afferrare i rami. TORNA BACINO. Simili conclusioni sono state tratte anche dall’analisi del bacino e del piede, mostrando anche qui caratteristiche tipiche del genere Homo, alternate ad altre peculiari degli altri primati. Con una postura eretta e le braccia lunghe, Sediba mostra caratteri a cavallo fra quelli degli ominidi primitivi e quelli dei primi esemplari del genere Homo, tra cui una caviglia simile a quella moderna. TORNA CONCLUSIONI. Caratteri primitivi sono le dimensioni cerebrali ridotte, gli zigomi alti e larghi, cuspidi dei molari primitive, arti superiori lunghi e calcagno molto primitivo, forse più di quello di Lucy. Le somiglianze con Homo comprendono un cervello riorganizzato, un naso sporgente, denti e muscoli della masticazione più piccoli, fianchi stretti simili a quelli umani, gambe più lunghe, mano con presa di precisione, caviglie moderne. TORNA L'A.SEDIBA COME SPECIE DI TRANSIZIONE TRA L'A.AFRICANUS E L'H. HABILIS. Cranio, mani, piedi e bacino fanno di Australopithecus sediba il miglior candidato al titolo di progenitore di noi esseri umani. “ L'insieme di queste osservazioni – ha concluso Lee Berger - fa di A. sediba il più probabile progenitore dell’Homo sapiens e neanderthalensis, molto più dell’Homo abilis”. A questa conclusione sono arrivati anche cinque diversi studi pubblicati su Science, tutti basati su analisi estremamente dettagliate dei fossili ritrovati a Malapa nell’estate del 2008. TORNA OPINIONI CONTRASTANTI. Questa conclusione ha suscitato un vespaio di polemiche nel mondo della paleontologia umana, molti scienziati infatti sembrano non condividere tale affermazione, come dimostrano i commenti pubblicati da Nature. Donald Johanson, niente meno che lo scopritore di Lucy, ora alla Arizona State University di Tempe, aspetta di vedere dettagliate comparazioni di sediba con i primissimi Homo, compreso l’ abilis. E anche Bernard Wood, della George Washington University, si dice scettico. Una seconda possibilità infatti, non esclusa dallo stesso Berger, è che questo ominide sia un altro ramo secco di australopitechi. Adesso i ricercatori stanno studiando altri fossili rinvenuti nella stessa area e procederanno con ulteriori scavi per cercare di comprendere ancora più nel dettaglio gli stili di vita di questo nostro possibile lontanissimo parente. TORNA
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