Francesco d`ayala ValVa Quesiti ad un giudice in prima linea
Transcript
Francesco d`ayala ValVa Quesiti ad un giudice in prima linea
Francesco d’Ayala Valva Quesiti ad un giudice in prima linea Sommario 1. Da giudice speciale a giudice tributario ordinario. – 2. Il giudice tributario in prima linea. – 3. Lo scippo del legislatore in tema di condono. – 4. Il giudice tributario e le ganasce fiscali – 5. Una nuova inammissibilità dell’appello – 6. L’impugnativa dell’autotutela negata – 7. La sospensione dell’efficacia della sentenza della commissione tributaria regionale in pendenza di un ricorso per cassazione. – 8. L’interpello disapplicativo. – 9. I rinvii in tema di IRAP - Tanto tuonò che piovve. – 10. La condanna alle spese del giudizio 1. Da giudice speciale a giudice tributario ordinario Del giudice tributario, in genere, non si sente tessere elogi. Anche in sedi scientifiche, una volta affacciato l’argomento, sembra che si stacchi una valanga dall’alto della montagna che travolga tutto ciò che incontra, non distinguendo quello che vi può essere di buono1. Personalmente ritengo tutto ciò conseguenza della mancanza di “amore per i tributi”2 ed il desiderio di distruggere tutto quello che li possa far ricordare3; (*) Università degli Studi del Molise - Presidente dell’Ufficio del Garante del contribuente dell’Abruzzo e del Molise La relazione è pubblicata anche su Il Diritto Tributario 2007 Serie I Vol. CV. 1 F. MOSCHETTI, Pari dignità con pari professionalità, in AA.VV. Giusto processo tributario e professionalità del giudice, Cedam, 2006,79. 2 La mancanza di amore per i tributi va intesa in relazione all’art. 2 della Carta Costituzionale. G. ALPA, L’arte del giudicare, Laterza, 1996, 92, trattando dei caratteri della solidarietà afferma che “trattandosi di espressione generica, allusiva, evocativa, la solidarietà è specificata con oggettivazioni: ora è riferita ai rapporti economici, ora a quelli sociali o familiari. Il suo significato conserva però pur sempre contorni imprecisi e sfumati. E tuttavia, logicamente, prima ancora che giuridicamente, solidarietà implica: un rapporto interindividuale, non potendosi dare solidarietà con o per se stessi (l’amore di sé è, per contro, espressione di individualismo, di separatezza, di autodifesa)” e, potremmo aggiungere, di egoismo. Infatti, nelle pagine successive (104 ss.), lo stesso Autore riconosce che” Ma oggi la mentalità più diffusa è aliena da spinte solidaristiche. ... L’avvento di uno Stato federalista è auspicato per poter avvantaggiare le regioni più ricche e produttive rispetto a quelle più povere ed economicamente deboli; la ribellione fiscale è promossa per sottrarre gli abbienti al dovere di contribuzione per il sostenimento della spesa pubblica; … i programmi politici relegano la solidarietà alla manifestazione spontanea del “buon cuore” e predicano l’individualismo egoista e il liberismo selvaggio. Lo spazio per la solidarietà si sta pericolosamente restringendo e la sensibilità dell’interprete, in particolare del giurista, rischia di svanire, oppressa dall’indifferenza, dal conformismo, dalla sordità della classe politica e della coscienza sociale o dal corporativismo professionale.” Nello stesso senso vedi anche F. BIANCOFIORE F. SALVUCCI, Alle radici della giustizia, Città Nuova, Roma, 2000, 38; C: SACCHETTO, Etica e fiscalità, Dir. prat. trib., 2006, n. 3, I, 475. A. FEDELE, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Giappichelli, 2005, 14, ricorda che l’essenza ed i tratti distintivi della fiscalità esprimono un livello minimo di “solidarietà”, corrispondente al mero riconoscimento dell’interesse comune e dell’esigenza di una distribuzione degli oneri connessi fra gli appartenenti alla collettività. F. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Cedam, Padova, 1973, 59 ss. 3 V.E. FALSITTA, Fiscalità etica, Università Bocconi ed., 2006, 108, riflettendo sull’ordinamento tributario tra sviluppo sociale ed economico, afferma che “il sistema di prelievo tributario, nell’immaginario generale, è percepito come mostruoso e i suoi modi odiosi” e che “meno si vede meglio è”. 619 Francesco D'Ayala Valva una sorta di inconscia “damnatio memorie”4, ove l’unico elemento da salvare è, forse, costituito dal “condono”5, formalmente disapprovato da tutti, anche sotto il profilo giuridico costituzionale6, ma sostanzialmente condiviso da coloro che se ne possono comunque giovare7, proprio per gli effetti liberatori che comporta (scordiamoci il passato). Friends, Romans, countrymen, lend me your ears; I come to bury Caesar, not to praise him8. Non sono qui per elogiare le commissioni tributarie, ma per seppellire le precedenti ed apprezzare le nuove. Dopo la “lunga estate” dei condoni fiscali, iniziata con la legge finanziaria del 27 dicembre 2002, n. 289, ove la maggior parte dei processi tributari sono stati sospesi fino al 1 giugno 2004 dall’art. 23-decies, comma 3 D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito dalla l. 27 febbraio 2004, n. 47, provocando l’ulteriore allungamento dei relativi termini, il legislatore è intervenuto in maniera asistematica sulle norme del processo tributario, spinto da contingenti e limitate sollecitazioni. Di certo si è dimenticato della legge delega sulla riforma del contenzioso tributario (l. 7 aprile 2003, n. 80, art. 2, lett. g), G. U. 18 aprile 2003, n. 91), ma gli interventi effettuati portano, in questa speciale occasione, a dover riconsiderare la stessa natura del giudice tributario e la sua attuale funzione a dieci anni dalla sua (ri)nascita (1996/2006). Vanno, infatti, ricordati i numerosi interventi legislativi, auspicati in parte fin dall’entrata in vigore della riforma del processo tributario, il più rilevante dei quali è certamente l’ampliamento della giurisdizione tributaria9, attuato in più 4 B. MORTARA GARAVELLI, Le parole e la giustizia, Einaudi, 2001, 183. 5 C. PREZIOSI, Il condono fiscale, Giuffrè, Milano, 1987. L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Giuffrè, Milano, 1999, 407 ss. E. DE MITA, Guida alla giurisprudenza costituzionale tributaria, Giuffrè, 2004, pur riconoscendo che in base ai principi costituzionali il condono sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., ricorda che per la Corte Costituzionale si tratta di istituto meramente procedimentale, che il contribuente è libero di chiedere, traendone beneficio (172/1986); un istituto che non pone problemi di parità di trattamento al suo interno (175/1986) e che, definendo la controversia già avviata, preclude la possibilità di continuarla (160/1990). 6 E. FALSITTA G. FALSITTA, Condoni e sanatorie tributarie, Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Giuffrè, 2006, vol. II, 1216. 7 I fruitori potenziali del condono non sono solo coloro che, scientemente, hanno evaso le norme tributarie, ma anche coloro che sono spinti ad aderirvi anche solamente al fine, più limitato, di non essere sottoposti a controllo (non voglio noie tributarie), pur ritenendo di poter affermare di essere una “candida anima fiscale”. Non va sottovalutata la potenziale spinta ad aderire al condono, costituita dall’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma e sulla soluzione finale, in caso di giudizio, nonché l’ulteriore aspetto della gravosità, anche economica, di una adeguata difesa, sia nel momento precontenzioso che in quello contenzioso. Sul punto L. PAGANETTO G. TRIA, Dispute civili e sistema giudiziario: un’analisi economica del caso italiano, in AA.VV., Economia della giustizia, Donzelli ed., Roma, 2005, 11, ricordano che un efficiente sistema giudiziario, caratterizzato da costi contenuti e da un’offerta adeguata per quantità e qualità di servizi giudiziari, rappresenta una condizione indispensabile per garantire e promuovere il buon funzionamento complessivo di un sistema economico e sociale. 8 W. Shakespeare, Giulio Cesare, atto terzo, scena seconda, Roma, il foro. 9 Si è riproposta la questione di legittimità costituzionale delle nuove commissioni, nel senso che un rinnovamento tanto radicale ha indotto taluni a ritenere che si trattasse di nuovi “giudici speciali”. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 144/1998, ha riconosciuto al legislatore la libertà di estensione dei confini della giurisdizione tributaria, con l’unico limite di non snaturare la materia attribuita 620 Francesco D'Ayala Valva tempi dal legislatore10 ed il lavoro di rifinitura dalla giurisprudenza, con opera di cesello11, del concetto di “tributo”. Va considerato ancora che i giudici tributari vengono chiamati per concorso (art. 9, d.lvo n. 545/1992)12, nell’ambito di categorie professionali idonee, aventi i distinti requisiti previsti dall’art. 4, per le commissioni provinciali e dall’art. 5 per le commissioni regionali, così soddisfacendo i precetti degli artt. 106 e 102 della carta costituzionale. Ai componenti delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni della l. 13 aprile 1988, n. 117, concernente il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. È stato rimosso dall’art. 3-bis, comma 2 D.L 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, il termine settennale di durata della nomina e, quindi, i giudici tributari non sono più da considerare come “precari di supporto” alla giustizia tributaria13, ma svolgono il loro lavoro professionalmente, caratterizzato dall’indipendenza e dalla prospettiva di un impegno duraturo. Tutti questi elementi militano verso il necessario riconoscimento di una acquisita costituzionalità della giurisdizione tributaria, che ha lasciato alle spalle la più riduttiva, tradizionale, natura di giudice speciale, per assumere la funzione e la dignità di una giurisdizione tributaria ordinaria14, in qualche maniera analoga, nella specialità, a quella del lavoro. La creazione di una sezione tributaria della Corte di Cassazione va vista come momento di riconoscimento della rilevanza delle controversie tributarie e la loro dignità a fianco delle tradizionali controversie devolute alle sezioni civili, penali e del lavoro. A questa giurisdizione viene ora affidata la soluzione di tutte le controversie relative a “tributi di ogni genere e specie, comunque denominati”, nel contesto più generale del dovere di tutti di concorrere alle spese pubbliche. La puntuale determinazione della misura del concorso è affidata alla giurisdizione tributaria, nell’ambito di un giusto processo (art 111 Cost.), che deve vedere l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente in posizione paritaria15. 2. Il giudice tributario in prima linea Caratteristica riconosciuta della norma tributaria è quella di essere di complessa interpretazione16, in parte a causa del sopra ricordato difficile rapporto alla sua cognizione. F. D’AYALA VALVA, Il nuovo processo tributario in attesa di una revisione dopo l’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni, Il Fisco, 2006, n. 31, 4741. 10 F. PISTOLESI, Le nuove materie devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, Giur. Imp., 2002, n. 6, 1463. 11 G. ALPA, L’arte del giudicare, Laterza, 1996, 53. 12 L’esclusione dagli elenchi degli idonei dei soggetti che hanno fatto domanda, senza il possesso dei requisiti prescritti, è fatta con decreto del Ministro delle finanze ed è impugnabile dinanzi al TAR. 13 R. DOMINICI G. MARONGIU, La giustizia tributaria dalla fondazione dello Stato unitario alla seconda guerra mondiale, in La giustizia tributaria italiana e la sua Commissione Centrale, Studi per il centoquarantennio, a cura di Giovanni Paleologo, Giuffrè, 2005, 7. 14 E. A. SEPE, Commissioni tributarie, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Giuffrè, 2006, vol. II, 1053. 15 F. D’AYALA VALVA, L’onere della prova ed il principio di collaborazione fra pubblica amministrazione e contribuente nella fase amministrativa e nella fase processuale, Riv. dir. trib., 2002, fasc. 4, 264. 16 E. DE MITA, Caos legislativo e litigiosità fiscale, Il sole 24 ore, 27 aprile 1992, ora in Politica e diritto dei tributi in Italia, Milano 2000, 158. M. AINIS, La legge oscura, Laterza, 2000, 197, ricorda 621 Francesco D'Ayala Valva con il “tributo”, in parte per la frammentarietà degli interventi, che si susseguono e si sovrappongono. L’invocata pax fiscale rimane un’aspirazione condivisa, ma francamente inattuabile in un mondo sempre più in rapida evoluzione. Viene correttamente ricercato dal legislatore il nuovo “fatto imponibile”, indice di capacità contributiva17, appena questo sembra emergere dal mondo dell’economia; una volta circoscritto in una fattispecie legale, lo stesso, alle volte, si svuota di interesse, tanto da poter essere successivamente depennato. Ricordo l’art. 76 D.P.R. n. 597/73, che nel testo originario, al comma III, n. 3, prevedeva che si consideravano, in ogni caso, fatti con fini speculativi, senza possibilità di prova contraria, l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte, di antiquariato o in genere gli oggetti da collezione, poi cancellato dalla successiva normativa. Oppure i numerosi interventi del legislatore in tema di redditi da capitale ove, dalla più semplice indicazione della tassazione degli interessi sul capitale investito18, si è passati ad una sorta di indice sistematico dei possibili investimenti finanziari (art. 44, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo modificato e rinumerato dall’art. 1 del D.lvo 12 dicembre 2003, n. 344), con l’indicazione puntuale delle modalità per la determinazione del relativo reddito, per ogni differente fattispecie (art. 45)19. Si era notato che alcune norme, anche di ampia applicazione, venivano sottoposte al giudizio delle commissioni, con un crescente contenzioso, in attesa di una parola finale della corte di cassazione. Il timore di perdere il treno del possibile eventuale rimborso portava alla proposizione, comunque, di un ricorso, con l’aspettativa di un eventuale giudizio favorevole prima nei gradi di merito e poi in quello di legittimità. L’unico limite a questa particolare domanda di giustizia era ed è costituita dalla consapevolezza che comunque, di fatto, le spese del giudizio finiscono a ricadere sul contribuente, anche se il giudizio potrà essere a lui favorevole. I recenti contenziosi in tema di IRAP o dell’IVA sugli autoveicoli sono una conferma di alcuni grossi filoni di contenzioso interessante una grande platea di contribuenti e quindi le commissioni tributarie. In tempi meno recenti, qualora la giurisprudenza tendeva ad accogliere una interpretazione non conforme alla lettura data dall’Amministrazione finanziaria, quest’ultima faceva adottare dal legislatore20 una leggina di interpretazione auche il testo oscuro è ” il vizio più diffuso e persistente delle nostre leggi”. 17 G. GAFFURI, Capacità contributiva, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. CASSESE, Giuffrè, 2006, vol. II, 784 18 Sotto l’originario profilo civilistico v. F. MARINELLI, La disciplina degli interessi monetari tra regole e mercato, in Studi in onore di Cesare Massimo Bianca, Giuffré, 2006, tomo IV, 207. 19 Su taluni particolari profili della tassazione dlle rendite finanziarie, anche in prospettiva comunitaria, v. M. PROCOPIO, Sul possibile aumento della tassazione delle rendite finanziarie: gli effetti temporali, Dir. prat. trib., 2006, n. 5, I, 1037. 20 E. DE MITA, Sull’esigenza di una codificazione fiscale, in Interesse fiscale e tutela del contribuente- Le garanzie costituzionali, Giuffrè, Milano, 1995, III ed., 25 ricorda che generalmente in Italia le leggi tributarie sono predisposte dall’Amministrazione finanziaria. Anche con la recentissima legge finanziaria vi è stata la conferma della mancanza di una vera volontà decisionale del parlamento, tenuto a votare il testo indicato dal ministero del tesoro e delle finanze, con tutti i desiderata di quest ultimo e senza la possibilità di un normale dibattito. Il porre la fiducia su di un testo assume ad una sorta di scappatoia, non scevra di qualche dubbio di costituzionalità. Proprio l’impossibilità di sottoporre a referendum una norma tributaria dovrebbe portare ad una maggiore responsabilizzazione del parlamento nel momento della votazione e quindi la non praticabilità della speciale approvazione di una norma fiscale con il metodo della fiducia. La Corte costituzionale sui decreti legge reiterati, 622 Francesco D'Ayala Valva tentica, idonea a vanificare gli sforzi e l’impegno delle commissioni tributarie e della stessa Corte di Cassazione. Era una sorta di “schiaffo” al giudice tributario, reo di non essersi adeguato o meglio di non aver colto come legittima l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria21. Le supreme corti hanno saputo reagire a questa forzatura normativa, affermando l’illegittimità costituzionale delle norme dichiarate interpretative, ma di fatto retroattive22. Il principio è ora affermato anche nello Statuto del contribuente e dovrebbe costituire una norma di indirizzo per il legislatore. A fronte di questa difficile normativa il legislatore ha attuato alcuni interventi preventivi, tesi a fornire certezze sull’applicazione di una norma, ad una specifica ipotesi indicata dal contribuente. Faccio riferimento ai numerosi interpelli, con funzioni e finalità non omogenee, ma certo tutti tesi a chiarire e dirimere potenziali controversie, prima che queste possano approdare davanti alle commissioni tributarie. Al giudice tributario è demandata ora la prima lettura della generalità dei tributi e delle relative controversie, con un impegno sempre maggiore, dopo l’eliminazione di molte liti di mera valutazione. Avviene, quindi, una sorta di scrematura preventiva, sull’esatta portata della norma tributaria, a vantaggio della soluzione finale, che potrà essere presa dalla suprema corte. Da qui l’ulteriore riconoscimento della valenza di tali giudici in prima linea e la non correttezza per il mancato riconoscimento delle loro difficoltà nel giudicare, in un contesto normativo in continua evoluzione e non sempre coerente e sistematico. Qui di seguito verranno indicate talune questioni, poste all’attenzione delle commissioni tributarie ed aventi la caratteristica della novità. 3. Lo scippo del legislatore in tema di condono Il legislatore non appare sempre coerente con le scelte su alcuni temi processuali. La frequenza dei condoni e la loro non sempre facile applicazione aveva fatto emergere un contenzioso su di un particolare aspetto costituito dal “diniego”, che si materializzava, alle volte, in una comunicazione dell’Ufficio, sia all’esterno che all’interno di un processo già avviato. Stante la tipicità degli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario era emersa la difficoltà sulla corretta impugnativa del diniego. La soluzione ipotizzata di una sua ricomprensione nella grande famiglia degli atti di accertamento, come esternazione di una volizione impositiva dell’Ufficio, soddisfaceva le esigenze immediate, ma portava perché non approvati dal parlamento nei termini, dopo iniziali perplessità sull’opportunità di destabilizzare un potere esercitato autonomamente dal governo, ha colto proprio dal sistema normativo l’esistenza di un divieto non espresso, ma insito nella natura del provvedimento. L’approvazione, su fiducia, risponde certamente ad esigenze politiche, ma contrasta proprio con la maggiore responsabilità del parlamento in materia tributaria, non bilanciata dal referendum. Si tratta di un sostanziale svuotamento del principio no taxation withouth rappresentation, in favore di un potere forte-governo, avente natura amministrativa e non legislativa e democratica. 21 E. DE MITA, Le negligenze dell’Amministrazione salvate dalle interpretazioni arbitrarie della legge, Il sole 24 ore, 16 giugno 1999, ora in Politica e diritto dei tributi in Italia, Milano 2000, 397. 22 E. DE MITA, Gli abusi dell’interpretazione autentica: la notificazione delle sentenze di secondo grado,, Il sole 24 ore, 17 marzo 2000, ora in Politica e diritto dei tributi in Italia, Milano 2000, 416. 623 Francesco D'Ayala Valva inevitabilmente a demolire il significato stesso dell’elencazione tassativa degli atti imponibili. L’art. 19 del D.lvo 31 dicembre 1992, n. 546, alla lettera alla lettera h) del primo comma dispone, innovando rispetto al precedente testo sugli atti impugnabili, che il ricorso può essere proposto avverso il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari, pur confermando, al terzo comma, la non autonoma impugnabilità degli atti diversi da quelli immediatamente sopra elencati. Vi è, quindi, la specifica previsione di impugnabilità dell’atto di diniego ed il diritto del contribuente ai tre gradi di giudizio, previsti per tutti gli atti impugnabili. La normativa processuale sembrava, pertanto, pacifica sulla autonoma impugnabilità di un diniego e sulla completa tutela giurisdizionale della relativa lite. Si deve dare atto che la normativa sul condono, di cui alla l. 27 dicembre 2002, n. 289, costituisce di per sé una lex specialis, derogatrice delle precedenti norme tributarie, sia sostanziali che processuali. In particolare l’art. 16, recante disposizioni sulla chiusura delle liti pendenti, al comma 8, regola le modalità di notifica al contribuente dell’atto di diniego del condono e dispone la sua impugnabilità nel termine di giorni 60, analogamente a quanto disposto dal D.lvo 31 dicembre 1992, n. 546. Nello stesso testo si prevede che il contribuente deve proporre l’impugnazione dinanzi all’organo giurisdizionale, presso il quale pende la lite, con la precisazione che nel caso in cui la definizione della lite è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la sentenza può essere impugnata unitamente al diniego della definizione. La norma non crea turbative nell’ipotesi che la lite penda dinanzi al giudice provinciale, essendo pregiudiziale l’esame delle ragioni del diniego. Certamente innovativa era la previsione dell’impugnativa dinanzi al giudice regionale, unitamente all’appello o con atto autonomo, qualora il relativo giudizio fosse stato, già in precedenza, incardinato dinanzi a tale giudice. Va ricordato che l’originario testo normativo non prevedeva la chiusura delle liti pendenti dinanzi alla Corte di cassazione. Trattandosi di una legge speciale, sotto il profilo formale, la riduzione dei gradi di giudizio e, quindi, della tutela accordata dal d.lvo n. 546/1992, non trovava difficoltà applicative. Sotto il profilo della legittimità costituzionale della riduzione soggettiva della tutela a secondo dello stato e grado della lite sono stati avanzati dubbi23. Dubbi manifestati al giudice delle commissioni tributarie provinciali nelle ipotesi in cui il giudizio pendessi in altro grado. La scelta del giudice provinciale era proprio determinata dalla circostanza che, qualora la Corte Costituzionale avesse, su rinvio, dichiarato la illegittimità della norma limitativa, il giudizio si sarebbe trovato correttamente incardinato dinanzi al giudice dichiarato competente dalla norma generale. La commissione tributaria provinciale di Genova, alla quale era stata devoluta la questione, pur richiamando le numerose eccezioni sollevate dalla ricorrente, con sentenza 91/12/06 depositata il 18 luglio 2006, ha dichiarato inammissibile il ricorso, condannando la parte ricorrente anche al pagamento delle spese, con la seguente motivazione: “Il ricorso è inammissibile. La Suprema Corte ha infatti dichiarato, con sentenza n. 6205 del 16/02/2006, la manifesta infondatezza 23 C. SCALINCI, Per il diniego di condono della lite fiscale, la cassazione è giudice tributario di merito, di prima ed ultima istanza?, Dir. prat. trib., 2005, n. 4, II, 865, in commento alla sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bergamo, sez. II, del 16 maggio 2005, n. 18. 624 Francesco D'Ayala Valva dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 16, comma 8 della l. 289/2002 “nella parte in cui prevede che le contestazioni contro l’atto con cui l’Amministrazione respinga la domanda di condono presentata dal contribuente sia decisa davanti alla cassazione, ove la controversia oggetto del condono penda davanti alla cassazione stessa… in quanto la cassazione, in quella sede, è giudice anche del merito con cognizione piena e non circoscritta ex art. 360 cpc. Da ciò consegue che, avendo la ricorrente presentato contestualmente al presente altro ricorso avente il medesimo oggetto davanti alla Cassazione, che si è già pronunciata, si deve dichiarare l’inammissibilità del ricorso qui in esame”. La commissione, in questo caso, ha preso atto che la Corte di cassazione, nel caso di specie, è giudice anche del merito, ma ha sorvolato, non prendendo posizione, sulla circostanza che la stessa norma privava, immotivatamente e con disuguaglianze in termini di effettività della difesa, coloro che, trovandosi in grado di appello o di legittimità, e che non potevano usufruire dei tre gradi di giurisdizione, come prevedeva la norma generale di cui all’art. 19 D.lvo n. 546/1992. La commissione non ha reputato di sollevare la questione di legittimità, pur prendendo implicitamente atto (la Corte si è già pronunciata sull’altro ricorso) che il diniego del condono, nel caso in esame, avrebbe potuto avere un solo grado di giudizio e non tre come nella generalità dei casi. Si tratta di un profilo che forse meritava un maggiore approfondimento, potendo costituire un pericoloso precedente sul rispetto dei gradi del giudizio nel processo tributario. 4. Il giudice tributario e le ganasce fiscali 4.1 L’ampliamento estivo delle competenze del giudice tributario La Dottrina ha sempre tratto elementi di perplessità dalla normativa e dalla giurisprudenza “balneare”, rinvenendosi talvolta solo “motivi temporali contingenti”, quale causa (unica) per varare un provvedimento o chiudere una camera di consiglio, che avrebbero, invece, potuto meritare un ulteriore spatium deliberandi. L’approvazione del decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006, con modificazioni (restyling) da parte della legge di conversione n. 248 del 4 agosto 2006 ( G.U. 11 agosto 2006), ha certamente consentito al parlamento il “regolare svolgimento delle ferie programmate”, dopo la tradizionale consegna del “ventaglio”, ma ha suscitato non poche perplessità24. L’ampiezza delle materie trattate mal si concilia con i presupposti costituzionali per l’emanazione di un decreto legge e le stesse singole disposizioni difficilmente potrebbero superare l’esame di legittimità costituzionale25. Limitando l’esame alle modifiche del processo tributario, si può osservare che l’art. 3, comma 26 quinquies, ha modificato l’art. 19 del Dlgs. N. 546/1992, inserendo, nel primo comma, le lettere e-bis ed e-ter , le quali identificano due 24 E. DE MITA, Sulle ganasce fiscali il legislatore ha troppa fretta, Il sole 24 ore, 27 agosto 2006, ora in Dir prat. trob., 2006,I, 1321. 25 E. DE MITA, I limiti della decretazione di urgenza, Il Sole 24 ore, 21 novembre 1990, ora anche in Politica e diritto dei tributi in Italia, il sole 24 Ore, 2000, 134, ricorda che la materia tributaria è governata dal principio di legalità e la legge (o la conversione in legge) non può essere solo la copertura formale di una decisione presa in altra sede. 625 Francesco D'Ayala Valva nuove ipotesi di “atti impugnabili” innanzi le Commissioni tributarie provinciali: a) iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni; b) il fermo dei beni mobili registrati di cui all’art. 86 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. L’introduzione delle “ganasce fiscali” tra gli “atti impugnabili” può essere vista anche come una ulteriore spinta ad una revisione del processo tributario e porta nuovo materiale al giudizio dinanzi alle commissioni tributarie. 4.2 Quadro normativo Con l’introduzione della norma di cui all’art. 3, comma 41, D. L. 203/2005, convertito nella L. 230/2005, il Legislatore ancora una volta si è introdotto nel sistema tributario con un minuto colpo di penna, nell’intento di recuperare dall’ibernazione e rendere nuovamente operativo lo strumento del fermo amministrativo. Il Suo intervento ultimo ha, difatti, definitivamente chiuso qualsiasi questione attinente all’assenza di un valido regolamento attuativo della norma sul fermo, così come viceversa prescritto dall’art. 86, comma 4, DPR 602/73. Tale ultima disposizione, difatti, per effetto dell’art. 16 d. lgs. 46/99, andava a sostituire il pregresso art. 91 Bis DPR cit., unicamente in ragione del quale era stato emanato l’apposito regolamento attuativo di cui al decreto del Ministro delle Finanze 7 settembre 1998 n. 503. Il dubbio dottrinario e giurisprudenziale, dunque, si focalizzava proprio nella considerazione di stampo teorico – generale, secondo cui la disciplina regolamentare fosse stata abrogata assieme alla sua norma di riferimento, ossia l’art. 91 Bis, e non potesse essere riportata in vita dal d. lgs. 46/99, in quanto legge paradossalmente abrogativa della sua norma dispositiva genitrice26. Il dibattito non è stato privo di risvolti pratici, considerato che, a seguito di vari interventi della giurisprudenza, l’Agenzia delle Entrate si esprimeva in favore della sospensione dello strumento delle “ganasce fiscali”, fino a maggiore chiarezza da parte del Legislatore27. Ebbene, con la norma interpretativa richiamata in incipit definitivamente veniva chiarito che “le disposizioni dell’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, si interpretano nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello stesso articolo, il fermo può essere eseguito dal concessionario sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni, relative alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti dello stesso, contenute nel decreto del Ministro delle Finanze 7 settembre 1998, n. 503”. Rinvigorito il decreto ministeriale n. 503/98, è stata posta fine alla parentesi interdittiva all’utilizzo del fermo amministrativo, come anche ribadito dalla Direzione Centrale Amministrazione dell’Agenzia delle Entrate con la nota Risoluzione n.2 / E del 9 gennaio 200628, in cui veniva colta l’occasione di sottolineare la 26 Sull’evoluzione storico - normativa dell’istituto del fermo amministrativo: A. DAMASCELLI, “L’espropriazione forzata a mezzo ruolo”, Milano, 2005, pagg. 190 e ss.; A. REMONDELLI, “La nuova disciplina della riscossione e gli strumenti coattivi in possesso dei concessionari”, in Quaderni, Napoli, 2006, pagg. 30 e ss.. 27 Risoluzione n. 92 / E del 22 luglio 2004, emanata a seguito dell’ordinanza del C. Stato – Sez. IV - n. 3529 del 13 luglio 2004, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it. 28 Risoluzione n. 2 / E del 9 gennaio 2006 dell’Agenzia delle Entrate – Dir. Centr. Amministrazione: “L’art. 3, comma 41, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito nella L. 2 dicembre 2005, 626 Francesco D'Ayala Valva “correttezza dell’interpretazione” assunta dalla medesima nel corso dello scambio di opinioni. Pertanto, sembra opportuno rilevare che, oramai, a tutti gli effetti è vigente siffatta misura, quale prevista dall’art. 86 DPR 602/73, normativa puntualizzata nel decreto ministeriale n. 503/98, nelle “modalità di iscrizione e cancellazione ed agli effetti dello stesso”, ai sensi dell’art. 3, comma 41, D. L. 203/2005 – L. 24872005. Nelle more il giudice tributario (Com. trib. prov. Roma sent. 34/32/2005, depositata il 15 marzo 2005) riteneva non rientrare nella competenza delle commissioni il ricorso proposto avverso una iscrizione di ipoteca. Motivava la propria decisione nella seguente maniera: “Il caso di specie rientra proprio nella specifica sopra citata trattandosi di iscrizione ipotecaria a seguito di cartella di pagamento e non assolta, costituente il primo passo di una nuova procedura che non riguarda più l’an ed il quantum, ma costituisce il primo atto dell’espropriazione forzata tributaria la cui competenza è devoluta al giudice ordinario”. 4.3. Riflessioni sulla natura giuridica del fermo amministrativo29 È necessario, a tal punto, comprendere, però, fino a che punto il Legislatore si sia spinto nel disciplinare la materia. A dire il vero, di primo impatto sembrerebbe che, a parte la premura contenutistica nell’individuazione del potere e la discrezionalità del concessionario di iscrivere il fermo sui beni mobili registrati, attorno al cuore dell’istituto vi sia il vuoto assoluto, da colmare, in via interpretativa, con il soccorso delle norme generali di sistema. Ciò si rende necessario, nella misura in cui ad ogni potere dell’Amministrazione finanziaria o di chi, nelle sue veci, lo eserciti, dovrebbe corrispondere non l’indiscriminata soggezione del contribuente, bensì la possibilità per il medesimo di tutelarsi dall’illegittimità e/o infondatezza del provvedimento emanato. L’inquadramento della fattispecie e la riflessione basale sulla reale natura giuridica rivestita dall’istituto del fermo amministrativo è, dunque, il presupposto per garantire l’effettività del diritto di difesa del contribuente, ai sensi dell’art. 24 n. 248, ha stabilito che le disposizioni previste dall’art. 86 del DPR n. 602 del 1973, in materia di fermo di beni mobili registrati, debbano essere interpretate nel senso che, fino all’emanazione del decreto previsto dal comma 4 di tale ultimo articolo, il fermo può essere eseguito dal Concessionario della Riscossione sui veicoli a motore nel rispetto delle disposizioni contenute nel D. L. n. 503 del 1998, quanto alle modalità di iscrizione e di cancellazione ed agli effetti del fermo stesso. Tale norma conferma la correttezza dell’interpretazione assunta da questa Agenzia prima con la circolare n. 221 / E del 24 novembre del 1999 e, successivamente, con la Risoluzione n. 64 / E del 1° marzo 2002. Alla luce di quanto sopra esposto, sono venute meno le ragioni che avevano indotto la scrivente ad impartire ai Concessionari del Servizio Nazionale della Riscossione, con la Risoluzione n. 92 / E del 22 luglio 2004, istruzioni affinché si astenessero temporaneamente dal disporre fermi amministrativi relativamente ai ruoli di questa Agenzia. Al riguardo, restano ferme le indicazioni fornite a suo tempo, alle società concessionarie con la nota n. 57413 del 09 aprile 2003 e, di conseguenza, si ritiene opportuno che l’iscrizione del fermo sul veicolo a motore presso il competente Pubblico Registro Automobilistico sia preceduta da un preavviso, contenente un ulteriore invito a pagare le somme dovute, esclusivamante presso gli sportelli della competente azienda concessionaria, entro i successivi 20 giorni, decorsi i quali, il preavviso stesso assumerà il valore di comunicazione di iscrizione di fermo”, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it. 29 Sul tema, G. BOLETTO, “Il fermo dei beni mobili registrati”, in Riv. dir. trib., n.5, 2005, I, pag. 523; D. STEVANATO, “Il fermo degli autoveicoli: semplice strumento dell’esecuzione o eccezionale misura affittiva per indurre all’adempimento “spontaneo”?”, in Dialoghi di dir. trib., n. 9, 2005, pag. 1143. 627 Francesco D'Ayala Valva Cost., onde evitare illegittime intrusioni del concessionario nella sfera di libertà garantite al privato dal nostro assetto costituzionale. Ciò detto, è opportuno notare che la procedura di fermo, ai sensi dell’art. 86 Dpr 602/197330, si innesta in una fase cautelare di protezione della garanzia patrimoniale sul credito iscritto a ruolo e richiesto al contribuente mediante notifica della cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 50 DPR 602/73. Tanto ciò è vero che l’iscrizione del fermo determina l’immediata indisponibilità del bene, con conseguente compressione della sua sfera giuridica, sia nello ius utendi ac fruendi, che nella libertà di circolazione e spostamento31. La sanzione per la violazione della misura è quella prevista dall’art. 214, comma 8, del d. lgs. 285/9232, richiamato dall’art. 86, comma 3, DPR 602/73. Siffatta norma è ricca di informazioni, da quelle sulla custodia del bene affidata al proprietario, a quelle sulla reale inutilizzabilità dello stesso, confermata dalla misura della confisca nel caso di circolazione del mezzo in contravvenzione, tutti elementi tali da far desumere un principio di positiva comparazione dello strumento de quo con la figura civilistica del sequestro conservativo33. Non solo, ma a ben vedere, il concessionario, a sua discrezione, può decidere se esercitare o meno il potere di iscrizione di fermo sul bene mobile registrato, a garanzia del proprio credito, affinché, nell’arco di tempo che anticipa l’esecuzione forzata, la soddisfazione del credito non venga messa a repentaglio dall’eventuale disposizione patrimoniale del debitore. Sotto tal altro peculiare profilo relativo alla autonomia decisionale, si intravedono nitide le ulteriori similitudini tra lo strumento conservativo di cui all’art. 2905 c.c. e quello di cui all’art. 86 DPR 602/73. La corrispondenza è resa ancora più palese dalla circostanza giuridica che vede, in entrambi i casi, gli atti dispositivi del bene sottoposto a vincolo di garanzia inopponibili al creditore, successivamente all’esperimento dell’apposito rimedio cautelativo di garanzia del credito34. 30 L’art. 86 DPR 602/73 prevede che “1.- decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. 2.- Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. 3.- Chiunque circola con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo è soggetto alla sanzione prevista dall’art. 214, comma 8, del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285 […]”. 31 In tal senso, TAR Bari, sez. I, n. 392 del 04 febbraio 2004, in www.giustizia-amministrativa.it; sulla natura giuridica del fermo, C. ANGARANO, “La giurisdizione in materia di fermo amministrativo degli autoveicoli”, in Rivista on line, Anno I, n. 10, ottobre 2004, pagg. 2 ss.. 32 La disposizione prevede che “chiunque circola con un veicolo sottoposto al fermo amministrativo, salva l’applicazione delle sanzioni penali per la violazione degli obblighi posti in capo al custode, è soggetto alla sanzione del pagamento della somma da e 656,25 a e 2.628,15. È disposta, inoltre, la confisca del veicolo”. 33 Sugli aspetti sostanziali dell’istituto del sequestro conservativo, F. ROSSELLI, “Responsabilità patrimoniale. I mezzi di conservazione”, Torino, 2005, pagg. 319 e ss.. L. V. MOSCARINI, “La tutela dei diritti”, Napoli, 2003, pagg. 172-173. 34 Così è disposto dall’art. 5, comma 1, decreto ministeriale n. 503/98, secondo cui “Gli atti di disposizione dei veicoli a motore sottoposti a fermo non possono essere opposti al concessionario se di data successiva all’iscrizione del fermo stesso. […]”; in parallelo, leggasi l’art. 2906 c.c, il quale dispone che “non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento”. 628 Francesco D'Ayala Valva 4.3.1 Parallelismi tra fermo amministrativo su bene mobile registrato ed ipoteca su bene immobile35 Anche l’ipoteca, come il fermo, è stata inserita nella rinnovata lista degli atti impugnabili ex art. 19 d. lgs. 546/92. Non è chiaro in quale misura il legislatore abbia riflettuto sull’esistenza e sulla sufficienza di disciplina in tema di ipoteca sui beni immobili, prima di inserirne la relativa previsione di tutela. Fatto sta che nulla sappiamo del suo funzionamento in ambito tributario, se non per le poche informazioni di cui all’art. 77 DPR 602/73, fermo restando il rimando civilistico sulla sua veste giuridica di diritto reale di garanzia su beni immobili. A differenza dell’art. 86 Dpr 602/73, in materia di fermo, neanche si è proceduto a completare l’art. 77 DPR 602/73 con la dovuta regolamentazione della materia mediante un’appendice regolamentare. Unica certezza è che nel processo di revisione, il legislatore ha ritenuto che fermo ed ipoteca vantassero dei punti in comune tali, da ritenerne opportuna la loro simultanea presentazione nel panorama normativo processual-tributario attuale. Ad una attenta disamina delle rispettive caratteristiche, quel che accomuna le due fattispecie è proprio la funzione cautelare di garanzia della futura soddisfazione del creditore, mediante sottoposizione di beni determinati al vincolo di indisponibilità. In particolare, entrambi sono mezzi da espletarsi prima dell’esecuzione ed individuano i beni strumentali alla soddisfazione della pretesa pecuniaria nella eventuale ed incerta fase dell’esecuzione forzata. È rilevante notare, però, che proprio in virtù della uguaglianza di procedura che investe sia ipoteca che fermo, visto che in ambo i casi il concessionario ha il potere di iniziare l’esecuzione forzata mediante pignoramento di quel determinato bene, l’individuazione del bene di realizzazione del credito rende il fermo di beni mobili registrati una pertinenza del credito, quanto l’ipoteca ed il pegno sono garanzie reali del credito, nel caso di vincolo rispettivamente su beni immobili e mobili. Non si può ignorare, data la eguale struttura, la giurisprudenza tributaria che ha allargato la propria giurisdizione agli atti di iscrizione fermo e di ipoteca, sulla base della lettera dell’art. 2 d. lgs. 546/199236. La norma prescrive l’esclusione 35 Sul tema, D. D’AGOSTINO, “Misure cautelari: ipoteca e sequestro conservativo a tutela dei debiti fiscali”, in Il fisco, 2005, fasc. 30, pag. 4675; G. INGRAO, “I crediti tutelabili con l’ipoteca ed il sequestro conservativo, tra sanzioni e imposte”, in Dialoghi dir. trib., 2005, fasc. 4, pag. 523. 36 Comm. trib. prov. Messina, sez. X, 06 ottobre 2004, secondo cui “deve escludersi che [il provvedimento di fermo] abbia natura di atto esecutivo o prodromico alla procedura di esecuzione forzata per la riscossione coattiva dei tributi. Conseguentemente deve ritenersi sussistente la giurisdizione delle Commissioni tributarie, secondo cui il disposto dell’art. 2 del d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, così come novellato dall’art. 12, comma 2, della L. 28 dicembre 2001, n.448 per tutte le controversie relative alla legittimità del provvedimento anche laddove non possa ricondursi all’elencazione degli atti impugnabili ex art. 19 d. lgs. 546/92”. Sull’argomento dell’ampliamento della giurisdizione tributaria, a prescindere dalla “lista” di atti impugnabili ex art. 19 d. lgs. 546/92, L. PERRONE, “I limiti della giurisdizione tributaria”, in Rass. Trib., n. 3, 2006, pagg. 707 ss., il quale rimanda ad alcune tipologie di atti non previsti dall’art. 19 d. lgs. 546/92 rientranti comunque nella giurisdizione tributaria ex art. 2 d. lgs. 546/92. In particolare, sulla scia di Cass. SS.UU., 25 maggio 2005, n. 10958 - con nota di F. RANDAZZO, “In tema di giurisdizione nelle controversie su ingiunzione fiscale”, in Riv. dir. trib., 2005, II, pag. 471 - viene posta l’attenzione sull’”impugnabilità dell’ingiunzione che precede l’espropriazione speciale attuata in base al R.D. 639/1910”, che “in quanto atto prodromico per l’esecuzione forzata, svolge la stessa funzione della cartella di pagamento; sicchè va riconosciuta la competenza del giudice tributario in tutti i casi in cui la stessa origina una controversia di natura fiscale”; ancora, sull’ampliamento della giurisdizione e della lista degli atti impugnabili al diniego di autotutela, S. MUSCARA’, “La giurisdizione (quasi) esclusiva delle Commissioni tributarie nella ricostruzione sistematica delle SS. 629 Francesco D'Ayala Valva “dalla giurisdizione tributaria soltanto delle controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’art. 50 DPR 602/73”. Sarebbe opportuno, perciò, riflettere sulla effettiva portata della disposizione, laddove la stessa utilizza, quale discrimen nella scelta del giudice competente, il riferimento agli “atti dell’esecuzione forzata”, risolvendo la questione con il semplice riferimento all’art. 491 cpc, il quale determina nel pignoramento il primo atto dell’esecuzione. Nonostante le peculiarità del sistema di riscossione coattiva del credito tributario, non desta alcun dubbio che l’esecuzione forzata trovi nel pignoramento il suo primo atto anche nella normativa speciale, considerata la sua valenza autonoma, sia nell’art. 77 Dpr 602/73, per l’espropriazione immobiliare di bene sottoposto ad ipoteca, che nell’art. 5 decreto ministeriale 503/98, per l’espropriazione di mobile registrato vincolato da fermo. Siffatta soluzione sembra quella più coerente con il sistema di ripartizione della giurisdizione, considerato che per gli atti dell’esecuzione forzata è prevista la giurisdizione del giudice ordinario competente per l’esecuzione. Viceversa, qualora si anticipasse al fermo ed all’ipoteca il limite della giurisdizione ordinaria, si paventerebbero delle perplessità sistematiche, laddove la normativa processualcivilistica vuole che le garanzie patrimoniali afferiscano al credito, con conseguente e relativa competenza del giudice del merito e non dell’esecuzione. 4.3.2 Intervento normativo finalmente chiarificatore Oramai, come anticipato in incipit, tutti i dubbi sull’inquadramento dogmatico dell’istituto del fermo, ma analoghe considerazioni valgono anche per l’ipoteca, sembrano svaniti nella scelta ultima del Legislatore in tema di giurisdizione, di rimpinguare la lista di atti e fatti impugnabili dinanzi alla Commissione tributaria. Il merito implicito della norma aggiuntiva è quello di aver, pertanto, ritenuto che fermo ed ipoteca attengano ad una fase cautelare di garanzia patrimoniale antecedente a quella satisfattiva dell’espropriazione forzata, per altro verso successiva e del tutto eventuale, pur essendo entrambe frammenti dell’unitaria fase di riscossione coattiva. Difatti, stante l’imprescindibile potere del concessionario di proseguire o meno nell’iniziativa di riscuotere le somme di cui in cartella, sotto altra angolatura, è necessario riflettere della possibilità che questi desista, per varie ragioni (perché decaduto dal relativo potere, ai sensi dell’art. 5 D.M. 503/98, per avvenuto saldo da parte del contribuente, per sgravio da parte dell’ente creditore, o altro) dal promuovere l’esecuzione, nonostante l’avvenuta iscrizione di fermo37, giammai addivenendo all’inizio dell’esecuzione forzata mediante pignoramento del bene vincolato. 4.3.3 Soluzione dell’annosa diatriba sulla giurisdizione in materia di fermo È stata, dunque, rafforzata l’univocità interpretativa di cui all’art. 2 d.lgs. 546/92, in materia di estensione e limiti della competenza a giudicare del giudice tributario, nonché finalmente risolta la confusione dogmatica sull’istituto del UU. della Cassazione”, in Riv. dir. trib., 2006, fasc. 1, parte II, pag. 29. 37 Sul potere di revoca del fermo da parte del concessionario, Risoluzione 01 marzo 2002 n. 64/E, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it. 630 Francesco D'Ayala Valva fermo38. La Suprema Corte, SS.UU., a lungo si è pronunciata39 sulla sussistenza della competenza a giudicare del fermo amministrativo in capo al giudice ordinario. Tale ultima impostazione sembrava essere indifferente alla necessaria distinzione tra riscossione coattiva ed espropriazione forzata dei beni40. Sulla stessa linea interpretativa41 si era mantenuto anche il Consiglio di Stato, il quale aveva affidato al giudice ordinario la cognizione sul fermo, ritenendo che “[…] l’oggetto di fermo non inerisce il tributo per il quale si procede alla riscossione […]”, bensì “costituisce l’espressione dello jus erigendi (diritto di scelta) ordinariamente riconosciuto, nelle procedure esecutive […]”42. In ultimo, però, il medesimo, rimettendo la questione alla Corte Costituzionale in ben due occasioni43, aveva cercato di fare chiarezza mediante una puntuale ricostruzione del complesso quadro giuridico, traendo argomenti a favore e contro la giurisdizione, ora ordinaria, ora amministrativa. In tal modo era giunto alla conclusione secondo cui ”atteso che, alla luce dell’evoluzione normativa in tema di riscossione coattiva dei tributi, l’atto giuridico con il quale il concessionario della riscossione dispone il fermo amministrativo di cui all’art. 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 appare assumere i connotati peculiari di un provvedimento amministrativo ablatorio ed il relativo procedimento di espropriazione forzata la veste di strumento di autotutela pubblicistica, in luogo di manifestare affinità con l’ordinario processo di esecuzione forzata, la devoluzione dell’impugnazione del fermo amministrativo alla giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria pregiudica la posizione giuridica del contribuente, in quanto la cognizione del giudice amministrativo (o tributario) consentirebbe un tutela maggiormente efficace attraverso un sindacato pieno sulla legittimità della misura stessa, esteso al potere di sospensione ed annullamento, previo esame del corretto esercizio del potere, dell’adeguatezza della motivazione e, segnatamente, della proporzione tra applicazione del fermo amministrativo ed entità del credito tributario vantato dall’Erario. Constatata e dichiarata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 49, 57 e 86 del D.P.R. n. 602 del 1973 e degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per violazione degli artt. 3, 16, 41 e 42 della 38 Sul punto, G. CATALOZZI, “Incertezze in tema di giurisdizione sull’impugnazione del fermo amministrativo esattoriale”, in Il fisco, n. 24, 12 giugno 2006, pagg. 1-3738. 39 Ex plurimis, Corte di Cassazione, SS.UU., del 16 marzo 2006 n. 14701, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it; in senso conforme, Corte di Cassazione, SS. UU., del 12 gennaio 2006 n. 2053, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it. 40 Sull’impostazione interpretativa della Suprema Corte SS.UU. C. LUCARIELLO, “Spunti ricostruttivi della tutela del contribuente avverso l’uso distorto o illegale delle cosiddette ganasce fiscali”, in Il fisco, n. 19, 8 maggio 2006, pagg. 1-2900; 41 Sull’argomento, E. GRASSO, “Le Sezioni Unite della Cassazione e il Consiglio di Stato scrivono la parola fine al capitolo delle incertezze sulla spettanza della giurisdizione in tema di fermo amministrativo ex art. 86 del DPR 602/73, riconoscendola al giudice ordinario”, Il fisco, n. 14, 03.04.2006, pagg. 1-2049. 42 Ex plurimis, C. Stato, sez. V, 22 marzo 2005 n. 4689, con nota di S. CANNIZZARO, “Brevi note in tema di giurisdizione sul fermo dei beni mobili registrati alla luce del recente orientamento del Consiglio di Stato”, in Riv. dir. trib., 2005, fasc. 10, pag. 582; C. GLENDI, “Il giudice amministrativo non può giudicare sul fermo dei beni mobili registrati”, in Corr. trib., 2005, fasc. 40, pag. 3167. 43 In tal senso, Consiglio di Stato, sez. VI, Ord. 14 marzo 2006 n. 2032, in banca dati ”italgiureweb”, www.italgiure.giustizia.it; conforme e successiva Consiglio di Stato, sez. VI, Ord. 04 luglio 2006 n. 4581, in www.giustizia-amministrativa.it, ed ora in Dir prat. trib., 2006, II, 1317, con nota di M.V. SERRANò, e postilla di C. Glendi, Fermi di veicoli, iscrizioni ipotecarie e starnuti dell’amministrazione finanziaria. 631 Francesco D'Ayala Valva Costituzione, deve ordinarsi la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ai sensi dell’art. 134 della Carta fondamentale e dell’art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87”. Anche qualora si fosse ritenuto che il fermo appartenesse alla categoria degli atti amministrativi di natura provvedimentale, non vi sarebbero state comunque le ragioni per escludere la competenza a giudicare del giudice tributario, alla luce della retta interpretazione dell’art. 7 d.lgs. 546/92. Al riguardo, è opportuno rilevare che parte della giurisprudenza di legittimità si è orientata anche in tal senso, laddove aveva riconosciuto la giurisdizione tributaria, “quando la controversia, avente natura tributaria, investa anche un atto amministrativo, statuendo che la domanda del contribuente (relativa, nella fattispecie, al fermo amministrativo ex art. 69 RD n. 2440/23) non si sottrae alla giurisdizione delle commissioni tributarie, ove si metta in discussione la sussistenza del potere dell’amministrazione finanziaria di adottare quella misura cautelare”44. Sul punto, oramai, nulla quaestio, dimostrando il Legislatore una rinnovata sensibilità per la giusta rivalutazione del processo tributario e per la ridefinizione del filo diretto intercorrente tra l’obbligazione tributaria, i suoi annessi e connessi, ed il giudice tributario45. Qualche timore si potrebbe ancora annidare nella ipotesi in cui, a seguito del difetto di giurisdizione sopravvenuto del giudice ordinario e del giudice amministrativo, si possa creare uno stato di allerta e di confusione generale nello scambio di ruoli tra uffici giudiziari divenuti competenti a seguito della riforma. Ebbene ogni dubbio dovrebbe essere sfatato sulla scia della tradizione, oltre che tributaria, più propriamente processual-civilistica. Difatti, ferma la mancanza di una disposizione transitoria, seppur l’art. 3 d. lgs. 546/92 afferma che “il difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie è rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo”, la norma deve essere integrata e temperata dall’art. 5 cpc, secondo cui “la giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda, e non hanno rilevanza rispetto ad esse i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo”. La combinazione delle norme menzionate porta necessariamente ad abbracciare la tradizione dottrinaria e giurisprudenziale della perpetuatio iurisdictionis in capo al giudice competente a giudicare al momento della proposizione della domanda46. 44 In tal senso, in commento a Corte di Cassazione del 07 febbraio 2002 n. 1733, in Il fisco, 2002, fasc. 15, pag. 2298; A. REMONDELLI, “La nuova disciplina della riscossione e gli strumenti coattivi in possesso dei concessionari”, op. cit..; in senso conforme, Cass., SS.UU, del 02 marzo 2006 n. 6265, con nota di S. Leoni, “Annullabilità degli atti amministrativi da parte del giudice tributario”, in Dir. e pratica delle società, 2006, fasc. 12, pag. 86. 45 F. D’AYALA VALVA, “Il nuovo processo tributario in attesa di una revisione dopo l’ampliamento della giurisdizione delle Commissioni”, in Il fisco, n. 31, 2006, fasc. 1, pag. 4743 ss.. 46 Sulla perpetuatio iurisdictionis, Cass. SS UU 225/2001, Giur. It. 01, 2375. Ulteriori interrogativi si pongono, però, in relazione alle ordinanze di rimessione n.n 2032 e 4581 /2006 alla Consulta, in merito alla questione di legittimità costituzionale delle norme sulla giurisdizione, con riferimento alle ipotesi non regolate di fermo amministrativo. Difatti, non è prevedibile come il sopravvenuto intervento normativo chiarificatore (art. 35, comma 26 quinquies DL 223/2006) sulla competenza giurisdizionale tributaria in materia di fermo ed ipoteca, possa condizionare la futura pronuncia della Corte Cost., la quale potrebbe comunque superare il principio della perpetuatio iurisdictionis, con una pronuncia correttiva, implicitamente di rimando della giurisdizione in capo al giudice tributario, nelle more divenuto competente. È interessante e utile, pertanto, attendere l’orientamento determinante della Consulta. Frattanto, per un ulteriore approfondimento della tematica, F. PISTOLESI, “Le nuove materie 632 Francesco D'Ayala Valva 4.4 Riflessioni sullo specifico atto o fatto giuridico autonomamente impugnabile Al riguardo sembra opportuno riflettere sulla seguente circostanza: seppur il problema della competenza a giudicare sembra essere risolto47, con l’indicazione del “porto sicuro” al quale rivolgere la prora, diversamente è da dirsi riguardo allo specifico atto da impugnare, potendosi individuare delle “procedure di attracco alquanto difficoltose”. Si noti che già l’inserimento delle due nuove impugnazioni sono tra loro differenti, vale a dire che, mentre per l’ipoteca è prevista l’impugnazione dell’iscrizione, diversamente è da dirsi per il fermo, di cui è prevista l’impugnabilità del generico sé. Ciò potrebbe significare che, mentre per l’ipoteca l’atto impugnabile è per l’appunto l’iscrizione, il Legislatore per il fermo non ha voluto identificare l’atto cristallizzante l’operatività dell’istituto. Analizzando dal punto di vista normativo la fattispecie, si coglie che l’atto identificativo degli estremi del fermo deve essere notificato al contribuente entro cinque giorni dalla relativa iscrizione presso il registro del PRA secondo le regole stabilite per la notifica della cartella di pagamento (art 26 DPR 602/73), ai sensi dell’art. 4, comma 1, decreto ministeriale n. 503/199848, regolamento attuativo dell’art. 86 DPR 602/73, in virtù del DL 203/2005 – L. 248/2005. Pertanto, seguendo la lettera della legge, sembrerebbe che l’atto autonomamente impugnabile, comprensivo di comunicazione degli estremi del fermo, sia quello previsto dalla suddetta disposizione. Nonostante ciò, l’Agenzia delle Entrate, con Ris. N. 2 / E del 09 gennaio 2006 ed in ossequio a quanto già divulgato con Comunicato stampa n. 57413 del 09 aprile 2003, rendeva pubblica l’opportunità “[…] che l’iscrizione del fermo sul veicolo a motore presso il competente Pubblico Registro Automobilistico sia preceduta da un preavviso, contenente un ulteriore invito a pagare le somme dovute, […], entro i successivi 20 giorni, decorsi i quali, il preavviso stesso assumerà il valore di comunicazione di iscrizione di fermo”. Orbene, siffatta risoluzione, pone una ipotesi derogatoria espressa a quanto normativamente previsto dall’art. 4 cit., nonostante la superiorità gerarchica del regolamento rispetto alla prassi. La legge, se correttamente applicata, vorrebbe che al preavviso seguisse comunque la comunicazione di iscrizione di fermo, secondo l’art. 4 cit.. devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie”, in Giur. delle imposte, LXXV, 6, 2002, pagg. 1470 ss., secondo il quale “il mutamento della giurisdizione comporterebbe un’irragionevole e discriminatoria compressione dei diritti di difesa, oltre che una lesione del principio di “giusto processo”, e, conseguentemente, si prospetterebbe la lesione dei ricordati artt. 3, 24, 111 Cost.”; sull’argomento, F. ODOARDI, “Diritti camerali e giurisdizione delle Commissioni tributarie: il principio della perpetutio iurisdictionis nel processo tributario”, in Riv. dir. trib., 2005, fasc. 10, pag. 524. 47 S. Trovato, Ganasce ed ipoteche al giudice tributario, il Sole 24 Ore, n. 205, 28 luglio 2006, 20. 48 Secondo la predetta disposizione “entro venti giorni dalla ricezione della richiesta di emanazione del fermo, la direzione regionale delle entrate emette in duplice copia il relativo provvedimento consegnandone una al concessionario. Quest’ultimo, entro sessanta giorni da tale consegna esegue il fermo mediante iscrizione, anche in via telematica o mediante scambio di supporti magnetici, nel PRA dandone comunicazione al contribuente entro cinque giorni dall’esecuzione del fermo, con le modalità di cui all’articolo 26, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602; in tale comunicazione sono precisati gli estremi del carico tributario per riscuotere il quale è stato emesso il provvedimento di fermo. L’iscrizione contiene l’indicazione del concessionario procedente e gli estremi del provvedimento di fermo emesso dalla direzione regionale delle entrate”. 633 Francesco D'Ayala Valva In tal caso si impugnerebbe un atto in via autonoma, perché previsto da una norma giuridica e su materia di giurisdizione tributaria, ai sensi dell’art. 19 d. lgs. 546/92, di per sé già concretizzante l’effettiva lesione della sfera giuridica del contribuente, nonché notificato secondo le garanzie previste dall’art. 26 D.p.r. 602/73 in tema di cartella di pagamento. Qualora il percorso dialettico tra le parti fosse unicamente quello analizzato non vi sarebbero, dunque, particolari intoppi interpretativi, essendo del tutto positiva la previsione di un preavviso di fermo, per la gestione secondo affidamento e buona fede del rapporto giuridico e dei poteri esercitati dal concessionario nei confronti del contribuente. La prassi si sta consolidando, però, come anticipato, nella sopraffazione della norma regolamentare, in espressa contraddizione con l’art. 1 delle preleggi. La questione aperta è, pertanto, differente, in quanto rappresentata dalla implicita ammissione che il preavviso possa assumere il valore di comunicazione di iscrizione di fermo, trascorso un determinato margine di tempo, nonostante l’incertezza che il vincolo cautelare venga effettivamente apposto sul bene. In specie, abbiamo anticipato che, per legge, il concessionario non perde mai il potere in tema di fermo, né di disposizione né di revoca, e tra il preavviso e l’iscrizione corre la volizione del medesimo, oltre all’intervento di fattori esterni, ossia l’iscrizione è concettualmente del tutto discrezionale ed eventuale. Ciò implica che, se il contribuente impugnasse l’atto di preavviso di fermo, anche se “consolidatosi”, non potrebbe giammai lamentare la sua lesività in concreto, né tantomeno identificarvi l’esistenza del vincolo dispositivo, assolutamente incerto nel suo avvenire. In altre parole, l’impugnazione del preavviso è contraria alla regola generale, secondo cui un atto, per essere suscettibile di vaglio giurisdizionale, deve effettivamente menomare la sfera di disposizione individuale49. Dal punto di vista normativo, dunque, anche se la lett. e-ter dell’art 19 cit. non identifica il momento rilevante ai fini dell’impugnazione del fermo, la lettera della legge, ove prevede l’impugnabilità del “fermo” di per sé, sembra esigere, per lo meno, la sussistenza in concreto del vincolo sul bene. Pertanto, sembra che l’atto di preavviso sia una mera anticipazione informativa, che, per le sue caratteristiche, non è suscettibile di ricoprire gli estremi di un atto autonomamente impugnabile, identificativo di un vincolo cautelare effettivamente apposto al bene e, di conseguenza, lesivo della sfera individuale. Considerata la propensione dei concessionari ad affidarsi alla consolidazione del preavviso in comunicazione di iscrizione di fermo, occorre, dunque, riflettere sui margini di tutela affidati al contribuente avverso una successiva ed effettiva iscrizione illegittima di fermo, a seguito di un iter che destituisca della propria cogenza la notifica della comunicazione di iscrizione. La genericità del Legislatore nell’individuare gli estremi del fermo, impugnabili secondo la nuova lett. e-ter, non può tradursi in una minore tutela per il contribuente, qualora non vi sia un atto, connotato di lesività, da impugnare dinanzi all’autorità giudiziaria. È pur vero che la scelta del Legislatore e l’indeterminatezza della lett. e-ter suffragano l’impostazione, secondo cui l’evento 49 Di contrario avviso è stata la Commissione tributaria provinciale di Roma, sez. XXVI, 14 dicembre 2004, n. 670, la quale ha ritenuto impugnabile “la lettera preventiva di fermo amministrativo di veicolo, che preannuncia il fermo, decorsi 20 giorni dalla data della lettera”, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it. 634 Francesco D'Ayala Valva cautelare di apposizione del vincolo sul bene, mediante l’iscrizione di fermo presso il PRA, sarebbe idoneo di per sé a ricoprire tutti gli estremi del fatto giuridico produttivo degli effetti limitativi della sfera di disponibilità del privato. In tal modo sarebbero salvaguardati i canoni sia di determinatezza che di lesività del fatto, oltre alla previsione legislativa dell’evento e degli effetti. Sotto questo profilo, è la stessa lett. e-ter a prevedere la lesività intrinseca del fermo, nel momento in cui ne prevede l’autonoma impugnabilità. Neanche può dirsi che l’art. 19 cit. non raccolga altri esempi tipizzati ed atipici di tutela del contribuente avverso fatti giuridici lesivi. Oltre all’esempio tipico del rifiuto tacito alla restituzione di quanto dal contribuente non dovuto, di cui alla lett. g), si pensi a fatti giuridici inespressi, ma ritenuti comunemente impugnabili, come il rimborso parziale del credito d’imposta risultante dalla dichiarazione dei redditi50. Sulla base di codesta scia interpretativa il privato, in ogni caso, rimarrebbe salvaguardato dalle illegittime interferenze del concessionario, sia che sia posto nella condizione di impugnare l’atto previsto dalla norma regolamentare, sia che debba impugnare il fatto giuridico dell’apposizione del vincolo sul proprio mobile registrato. Premesso ciò, sembra assolutamente contro il principio di affidamento e buona fede, l’ipotesi che il contribuente, ricevuto il preavviso, debba caricarsi dell’onere di verificare l’avvenuta iscrizione del fermo ai fini dell’impugnazione. Non pochi dubbi tra l’altro, permangono con riferimento al dies a quo, ai fini della tempestiva impugnazione del fatto giuridico del fermo. Difatti, l’art. 21 d. lgs. 546/92 sul “termine per la proposizione del ricorso” non risolve la questione, tarando la decorrenza dei 60 giorni esclusivamente sulla “data di notificazione dell’atto impugnato”, e non anche sui casi di insussistenza di un atto lesivo al quale opporsi. Non sembra opportuna un’estensione della figura giuridica del “silenzio”. La stessa, dovendosi formare su un comportamento attivo richiesto al concessionario da una norma di diritto, avrebbe necessaria decorrenza dal termine di 5 giorni, previsto dalla norma regolamentare, per la notifica della comunicazione di iscrizione di fermo. Attendere 90 giorni dalla mancata notifica di iscrizione di fermo, però, significherebbe dilatare ulteriormente i tempi previsti per il ricorso, con effetti contrari ad una tutela del contribuente, il più possibile veloce e snella. La soluzione potrebbe diversamente rinvenirsi secondo la regola generale, la quale identifica il dies a quo dell’impugnazione nel momento di effettiva conoscenza del fatto lesivo. Pertanto, il Legislatore è stato non sufficientemente attento sia nel riaggiustamento dell’art. 86 DPR 602/73 che nel nuovo inserimento all’interno dell’art. 19 d. lgs. 546/9251, specie laddove ha pro- 50 La questione è oramai pacifica; per un approfondimento tematico, Comm. trib. I grado di Catanzaro, sez. I, n. 37, n. 37 del 10.01.1991, con commento di F. VEROI, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it. 51 Analoghi argomenti per l’ipoteca., in relazione alla quale, la lett. e-bis prevede l’impugnabilità dell’iscrizione. Differentemente dal fermo, però, la relativa disciplina non è integrata da disposizioni regolamentari che prevedano modalità e tempi della comunicazione di avvenuta iscrizione da parte del concessionario. Nonostante ciò, vista la rilevanza dei beni coinvolti, il concessionario sembra non possa esimersi da una puntuale informativa in tempi ragionevoli degli estremi di avvenuta iscrizione, in accordo con l’art. 6 L. 212/2000. In via residuale, il contribuente potrebbe comunque impugnare il fatto giuridico dell’iscrizione di ipoteca, anche se, a differenza del fermo, l’A. F. non ha impartito direttive sull’opportunità di un’informativa preventiva (preavviso) della possibile iscrizione futura di ipoteca. Pertanto, il rischio per il contribuente, ignaro, è quello di non essere messo nella condizione 635 Francesco D'Ayala Valva ceduto alla rivalutazione dell’istituto con piccoli ritocchi in diversi momenti ed in ambiti eterogenei, tanto da lasciare ampie incertezze e margini interpretativi agli operatori del diritto, sbrigliati da una ratio unitaria di sistema. 4.5 Sospensione dell’efficacia dell’atto o del fatto giuridico impugnato Ci si può domandare, a tal punto, quale sia la strada che il privato debba percorrere ai fini della richiesta di sospensione dell’illegittimo vincolo, ai sensi dell’art. 47 d. lgs. 546/9252. La soluzione è differente a seconda che si voglia considerare il fermo una mera fase della riscossione, legata puramente e semplicemente, nelle sue sorti, agli effetti della cartella, oppure, più correttamente, gli si debbano riconoscere, anche ai fini della sospensione, le caratteristiche sue proprie di misura cautelare a garanzia del credito tributario. - Mera fase di riscossione coattiva. Considerata l’emissione prioritaria della cartella di pagamento ex art 50 Dpr 602/73, il contribuente potrebbe chiedere, in sede di sua impugnazione, la sospensione dell’atto e, per l’effetto, la sospensione del vincolo cautelare, in quanto parte integrante del procedimento di riscossione che ne seguirebbe. È opportuno, però, ulteriormente distinguere l’ipotesi in cui il privato impugni i vizi della cartella, dall’ipotesi in cui impugni unicamente il ruolo. Soltanto nel primo caso, difatti, il concessionario, in quanto parte in causa, subirebbe direttamente gli effetti del provvedimento di sospensione giudiziale. Di conseguenza, lo stesso dovrebbe sospendere la riscossione, compresa l’efficacia del fermo, di cui ha l’esclusivo potere. Viceversa, nel caso in cui vengano sollevati esclusivamente i vizi del ruolo, il concessionario, non partecipe del relativo giudizio, anche qualora fosse disposta la sospensione della riscossione, non sarebbe destinatario diretto del provvedimento sospensivo, in quanto soggetto estraneo al giudizio. In tale ultima ipotesi, come nel caso in cui la sospensione della riscossione non venga concessa, per motivazioni relative a quel giudizio, potrebbe chiedersi la sospensione dell’atto nello specifico ricorso avverso il fermo. Ad ulteriore disamina della questione, però, si potrebbe contestare la tesi secondo cui, nel caso di estraneità al giudizio del concessionario, questi non debba sospendere la riscossione. Se, difatti, in sede di impugnazione del ruolo, di impugnare in tempi ragionevoli neanche il fatto giuridico dell’iscrizione, ferma restando la decorrenza del termine di impugnazione dal momento di effettiva conoscenza del vincolo. 52 La norma espressamente prevede che “ll ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso […]”. È evidente che la struttura normativa, ove ammette la richiesta di sospensione per l’”esecuzione dell’atto”, palesa la sua incapienza rispetto alle tipologie di atti o fatti impugnabili.di nuova creazione, altrettanto giuridicamente lesivi. Pertanto, al fine di adattare la norma a tutte le ipotesi di atto o fatto nel concreto connotate di lesività, sarebbe opportuna un’interpretazione del termine “esecuzione” in senso estensivo, tanto da ricomprendervi tutti i casi in cui l’atto o il fatto impugnato promani un’”efficacia lesiva” della sfera soggettiva individuale, senza che sia necessaria un’ulteriore azione e/o omissione dell’A. F.. Siffatta ricostruzione della fattispecie non è nuova, bensì appositamente ampliata dalla giurisprudenza.. Un esempio in Comm. trib. prov. Bari, XVIII, del 27 aprile 2001 n. 113, con nota di M. MENCIA, in banca dati “fisconline”, www.ilfisco.it, la quale ammette la sospendibilità del rifiuto tacito dell’A. F. alla restituzione di tributi, in quanto lesivo della posizione fattuale e giuridica del contribuente. 636 Francesco D'Ayala Valva il contribuente ottenga la sospensione dell’efficacia della cartella, pur essendo l’A. F. l’effettiva destinataria del provvedimento, quest’ultima avrebbe comunque l’obbligo di comunicare il provvedimento di sospensione, in considerazione degli effetti a catena, diretti e riflessi, tipici del provvedimento giudiziale. Pertanto, solo nella natura obbligatoria della comunicazione si rinverrebbe la differenza con la sospensione amministrativa, di cui all’art. 39 DPR 602/73, ove, viceversa, vi è discrezionalità dell’Agenzia sulla scelta di dar seguito alla riscossione o meno. - Pertinenza del credito a garanzia dell’adempimento Riflettendo sulla natura giuridica del fermo, si rilevano, però, alcune perplessità sulla soluzione precedentemente analizzata. Si pensi al fatto che, diversamente dal resto della procedura, di natura marcatamente satisfattiva, il fermo è provvedimento discrezionale di natura conservativa. Le differenze concettuali sono tali che, mentre la prosecuzione della riscossione porterebbe all’esecuzione forzata ed alla perdita del bene esecutato, salvo rimborso delle somme ricavate, il fermo servirebbe al concessionario solo al fine di salvaguardare l’eventuale e futuro soddisfacimento della pretesa originaria, mediante individuazione in via cautelare di un bene a garanzia. In particolare, si rifletta sull’eventualità che la sospensione della riscossione comporti automaticamente quella del fermo e che, al termine della fase sospensiva, le somme siano effettivamente dovute. Nel caso di specie, la connessa ed automatica sospensione del fermo, potrebbe provocare la successiva incapienza del patrimonio del debitore, che, nelle more della sospensione, si sia privato del bene, di cui frattanto aveva la libera disponibilità. In poche parole, essendo siffatta misura una garanzia dell’adempimento, sarebbe opportuno rispettare il potere del concessionario, come di qualunque altro privato, di conservare il patrimonio del debitore, salvo fumus boni iuris e periculum in mora opposti propriamente al provvedimento di fermo ed atti a determinarne la sospensione nel relativo giudizio. La spiegazione dell’opportunità di chiedere in via autonoma la sospensione del fermo, si troverebbe, pertanto, nel pregiudizio sicuramente di natura differente rispetto a quello che potrebbe derivare da un’eventuale prosecuzione della riscossione nella fase propriamente satisfattiva. 4.6 Cancellazione del fermo presso il PRA È necessario, inoltre, soffermarsi per un momento sulle sorti dell’iscrizione di fermo, nell’ipotesi di sentenza favorevole al contribuente. Difatti la l’art. 6 D. M. 503/9853 sembra norma totalmente insufficiente ed inadeguata a chiarire le incertezze in tema di cancellazione del fermo, specie nell’ipotesi in cui si 53 La disposizione regolamentare è del seguente tenore “in caso di integrale pagamento delle somme dovute e delle spese di notifica di cui all’articolo 4, comma 1, il concessionario entro venti giorni dal pagamento ne dà comunicazione alla competente direzione regionale delle entrate, che nei successivi venti giorni emette un provvedimento di revoca del fermo inviandolo al contribuente. 2. La cancellazione dell’iscrizione del fermo dei veicoli a motore del PRA viene effettuata a cura del contribuente previa esibizione del provvedimento di revoca del fermo e dietro versamento presso le casse dell’ACI sia delle spese di iscrizione che di quelle di cancellazione, nelle misure determinate dall’articolo 1 della tabella allegata al decreto del Ministro delle finanze 10 settembre 1994, e successive modificazioni. 3. In caso di sgravio totale per indebito e nel caso di annullamento previsto dall’articolo 5, comma 1, secondo periodo, si applicano le disposizioni del comma 1 e la direzione regionale delle entrate provvede d’ufficio a curare la cancellazione gratuita dell’iscrizione del fermo al PRA; in tal caso non è dovuta all’ACI alcuna somma a titolo di spese di iscrizione del fermo”. 637 Francesco D'Ayala Valva percorra la via giudiziale. Vi è da chiedersi se la cancellazione del fermo possa essere più propriamente effetto di un provvedimento giudiziale, quale titolo esecutivo, o ci si debba necessariamente affidare ad un provvedimento di revoca del concessionario, successivo alla sentenza dichiarativa di illegittimità della pretesa o del vincolo cautelare. Ebbene l’ultima ipotesi è del tutto da scartare, nulla impedendo al privato di formulare un’apposita domanda di condanna del concessionario alla cancellazione del fermo illegittimo. In verità, il sistema tributario conosce, in materia di sanzioni amministrative, una norma, l’art. 22 d. lgs. 472/1997, in materia di “ipoteca e sequestro conservativo”, secondo cui “i provvedimenti perdono altresì efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda. La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca”. Sulla scorta di siffatta disposizione normativa si potrebbe, in parallelo, riflettere sull’opportunità di questa soluzione anche per le ipotesi di fermo non a garanzia di sanzioni amministrative. I risvolti positivi di siffatta disposizione consisterebbero nella mancata necessità di proporre apposita domanda giudiziale per la cancellazione del vincolo, il quale decadrebbe, dunque per semplice effetto della sentenza favorevole sulla domanda principale. Sul punto, la dottrina ha in più di un’occasione sottolineato che la cancellazione del vincolo rappresenta un “effetto cd. implicato della sentenza”54, senza necessità di ulteriore provvedimento per ripristinare lo status quo ante, perchè la rimozione della misura dovrebbe susseguire direttamente all’effetto demolitivo della sentenza.55 La soluzione analizzata non convince assolutamente, poiché non mette al riparo il privato da eventuali contestazioni circa la legittimità della richiesta di cancellazione del fermo, laddove il titolo esecutivo non è, invero, costituito dalla statuizione giudiziale di cancellazione, bensì solo da quella in merito alla domanda principale. Dubbi sorgerebbero, pertanto, sulla immediata cancellazione della misura, nonostante la sentenza favorevole non sia de residuo provvisoriamente esecutiva. È, dunque, opportuna un’apposita domanda giudiziale al giudice tributario della cognizione. Sulla natura del provvedimento giudiziale, poi, si dovrebbe distinguere e comprendere, se la cancellazione possa appartenere alla categoria delle sentenze costitutive / dichiarative o, più propriamente, a quelle di condanna. Quest’ultima soluzione sembrerebbe la più convincente, per più ordini di motivi. Innanzitutto, perché la condanna del concessionario avrebbe natura riparatoria oltre che, latu sensu, risarcitoria, in considerazione delle spese di cancellazione. Una sentenza di condanna, inoltre, rileva anche sotto il profilo patologico del mancato ottenimento della cancellazione del vincolo nella fase antecedente il passaggio in giudicato della sentenza e della messa in mora del concessionario. In tale ultima ipotesi, difatti, potrebbe prospettarsi un eventuale giudizio di ottemperanza, ai sensi dell’art. 70 d. lgs. 546/92. 54 In tal senso, F. RANDAZZO, “L’esecuzione delle sentenze tributarie”, Milano, 2003, pag. 179, secondo il quale gli effetti della sentenza debbano considerarsi immediati e non più soggetti al passaggio in giudicato della sentenza; sul punto anche D. MARTINI, “Esecutività provvisoria della sentenza della commissione tributaria”, in Rass. Trib., n. 1, gennaio-febbraio, 2006, pag. 162. 55 S.M. MESSINA, “Ipoteca e sequestro conservativo”, in AA.VV., “Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria”, a cura di F. Moschetti, e L. Tosi, Padova, 2000, pag. 698. 638 Francesco D'Ayala Valva Ciò renderebbe necessaria, comunque, l’integrazione del contraddittorio con la partecipazione in giudizio del concessionario, nelle ipotesi in cui sia in discussione la mera pretesa tributaria, o la legittimità del ruolo. Di tal fatta, la sentenza sarebbe direttamente efficace anche nei suoi riguardi e lo stesso potrebbe essere chiamato, in via successiva, all’adempimento degli obblighi suoi propri direttamente derivatigli dalla sentenza. La procedura, anche così ricostruita, lascia dei dubbi insormontabili. Salva sospensione giudiziale della misura, il contribuente non può dirsi realmente tutelato dalla privazione del bene di prima necessità nelle ipotesi patologiche di rifiuto alla cancellazione del fermo, a seguito di sentenza favorevole non passata in giudicato. Non si può negare neanche che il rapporto tra privato e concessionario sia totalmente sproporzionato, qualora il primo si veda costretto al vincolo di indisponibilità del bene oltre misura, addirittura fino al passaggio in giudicato della sentenza. Onde evitare, pertanto, un vuoto di tutela così diluita nel tempo, sarebbe opportuno ritenere che il provvedimento giudiziale di cancellazione del fermo costituisca un capo autonomo della sentenza a contenuto condannatorio, cosicché si possa richiamare quella giurisprudenza56, secondo cui i provvedimenti di condanna non accessori o dipendenti dalla domanda principale sono provvisoriamente esecutivi. In questo modo, il concessionario sarebbe gravato sin dalla sentenza tributaria favorevole al contribuente non passata in giudicato, dell’obbligo di cancellare a proprie spese la misura cautelare presso il PRA57. 4.7Ipotesi peculiari di danno risarcibile provocate dal concessionario per illegittima limitazione della sfera di disposizione del contribuente Ferma restando la risarcibilità, se del caso, del danno provocato alla sfera di diritti soggettivi violati dal provvedimento di fermo illegittimo58, si pensi ad ulteriori ipotesi di eventuale danno. Innanzitutto, si potrebbe prendere in considerazione il caso di rifiuto del concessionario alla cancellazione del fermo, nonostante il provvedimento di condanna provvisoriamente esecutivo. In particolare, quel che può significare per il privato privarsi del mezzo di spostamento quotidiano è un sacrificio troppo elevato, a lungo andare, se rapportato ad un diritto di garanzia del concessionario, considerato insussistente, eppur protrattosi per inerzia fino ad un eventuale giudizio di ottemperanza. Al proposito, il giudice non potrà non tener conto di tutto quel fascio di diritti soggettivi compromes56 In tal senso, in tema di condanna alle spese, Cass. del 03.08.2005 n. 16262, in Giur. It., 2006, fasc. I, pag. 85; in senso difforme, Cass. 12.07.2000 n. 9236, in Corr. giur., 2000, fasc. 12, pag. 1599. 57 I dubbi sulla solidità dell’opzione interpretativa esposta si prospettano in tutta limpidezza con riferimento all’ipoteca. Difatti, in mancanza di norme precipue, occorre richiamarsi alle disposizioni civilistiche, dalle quali emerge a vista l’attrito della tentata impostazione ricostruttiva con l’art. 2884 c.c., a detta del quale “la cancellazione deve essere eseguita dal Conservatore, quando è ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo delle autorità competenti”. Sull’argomento, però, F. RANDAZZO, “L’esecuzione delle sentenze tributarie”, cit., fa notare che “dopo le modifiche introdotte dalla L. 353/1990, il quadro è radicalmente mutato: […] il testo riformato del comma 2 dell’art. 336 c.p. c. stabilisce adesso che gli effetti ripristinatori […] non sono più subordinati al suo passaggio in giudicato”. Il disordine normativo ed interpretativo evidenziato portano ad auspicare un intervento normativo immediato nel prossimo futuro. 58 Sull’argomento, C. LUCARIELLO, “Spunti ricostruttivi della tutela del contribuente avverso l’uso distorto o illegale delle cosiddette ganasce fiscali”, in Il fisco, 2006, fasc. 19, pag. 2900; F. LANZI, “Fermo amministrativo di autoveicoli e azione per risarcimento del danno”, in Giur. merito, 2005, fasc. 12, parte III, pag. 2773. 639 Francesco D'Ayala Valva si dall’illegittimo vincolo, viceversa ricomprendendo nel quantum debeatur tutta quella serie di attività realizzatrici della persona umana, ex art. 2 Cost., secondo gli ultimi orientamenti della Suprema Corte59. Si rifletta in ordine ad altre possibili esperienze di danno ingiusto. Qualora il concessionario segua, come attualmente sembrerebbe stia facendo, la prassi di comunicare solo il preavviso di fermo, ritenendolo comunicazione di iscrizione, nel caso in cui trascorra il termine di 20 giorni dall’atto iniziale, lo stesso potrebbe esporsi alla risarcibilità del danno causato al contribuente, per due ordini di motivi. - Innanzitutto potrebbe accadere che, a seguito dei 20 giorni di cui in intimazione, il fermo non venga realmente iscritto. In tale ipotesi, il contribuente potrebbe essere determinato a non utilizzare il mezzo di locomozione, ritenendo che il fermo sia stato iscritto, ingannato dalla descritta conversione del preavviso in comunicazione di iscrizione. - Potrebbe, però, anche verificarsi l’ipotesi in cui il contribuente utilizzi comunque il mezzo, nonostante il consolidamento del preavviso in discorso, proprio in ragione del suo affidamento nel rispetto della norma regolamentare attuativa da parte del concessionario, dallo stesso, viceversa, derogata in virtù della prassi. In tal caso, il privato potrebbe essere assoggettato alle sanzioni previste per il mancato rispetto dell’art. 86 Dpr 602/73. Ne seguirebbe, in ambo i casi, un danno per mancata esplicazione della libertà di spostamento e circolazione, provocato dal concessionario al contribuente contra ius, ovvero in contravvenzione alla norma regolamentare attuativa, salva la compresenza, altresì, sia dell’elemento oggettivo che di quello soggettivo richiesti dalla fattispecie di cui all’art. 2043 c.c.60. La rinnovata fiducia accordata al nuovo giudice tributario, con l’estensione, a tappe, della sua competenza a giudicare, ha spinto il Legislatore a riaprire anche la lista degli atti impugnabili dinanzi alla Commissione tributaria. L’introduzione di nuovi strumenti di coazione del contribuente debitore, in via provvisoria o in via definitiva, e la spinta, operata dall’Amministrazione finanziaria, ad una loro incisiva e massiccia applicazione, ha fatto convergere l’attenzione dei giudici, della dottrina e degli operatori sui nuovi istituti. Questi sono risultati sufficientemente delineati, in relazione ai nuovi poteri attribuiti ai concessionari della riscossione, ma privi di una attenta formulazione dei corrispondenti mezzi di tutela. L’aver identificato solo il “porto sicuro”, però, non può essere plaudito con entusiasmo, stante l’innumerevole quantità di interrogativi sistematici sulla disciplina, sui poteri del giudice e sull’effettiva tutela del contribuente contro uno strumento nebuloso, affidato alla potestà del concessionario. Siffatto modo di operare non risolve i dubbi interpretativi degli operatori del diritto, difettando quella visione di insieme che solo il Legislatore può fornire mediante una riforma del sistema tributario omogenea e coordinata61. 59 Sulla risarcibilità dei valori inerenti la persona in tutte le sue esplicazioni, Cass. del 31 maggio 2003, nn. 8828 e 8827, in Foro it., 2003, fasc. 09, parte I, pagg. 2272-2273. 60 Per un inquadramento del concetto di “ingiustizia del danno”, S. ACETO DI CAPRIGLIA, “Ingiustizia del danno e interessi protetti”, Napoli, 2003. 61 L’alto compito del diritto dovrebbe essere recuperato dalle radici profonde della tecnica e della perizia nel legiferare, propri del pensiero tradizionale, così come racchiuso nel seguente perpetuo mo- 640 Francesco D'Ayala Valva Il giudice tributario, in prima linea, dovrà superare gli aspetti formali, per assicurare un giusto processo ed una adeguata possibilità di difesa. 5. Una nuova inammissibilità dell’appello L’appello nel processo tributario ha sempre avuto una vita contrastata, quasi a manifestare una sorta di insoddisfazione del legislatore verso un doppio grado di merito. È sufficiente a tal fine ricordare l’autorizzazione che l’ufficio deve richiedere all’organo superiore, ai sensi dell’art. 52 D. lvo 31 dicembre 1992, n. 546, oggetto di plurime cancellazioni e rinnovazioni normative oppure le non chiare modalità della proposizione dell’appello dell’amministrazione62. Con la recente novella, contenuta nell’art. 3 bis comma 7, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, è stato introdotto un nuovo incombente, ove il ricorso (in appello) non sia notificato a mezzo ufficiale giudiziario, l’appellante deve, a pena di inammissibilità, depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata. Detta norma è stata criticata dalla dottrina63 per gli inutili danni che tale disposizione può creare. Ed infatti la stessa commissione tributaria regionale del Lazio Roma, con sentenza n. 53/01/07, depositata il 21 febbraio 2007, ha nuovamente fatto applicazione di tale norma dichiarando inammissibile l’appello dell’Agenzia in quanto non risultava agli atti la prova del preventivo deposito della copia dell’atto di appello presso la segreteria della commissione tributaria provinciale. Questi pronunciamenti destano qualche preoccupazione in quanto è stato inserito un nuovo incombente a secondo dell’utilizza di uno dei tre mezzi di notifica dell’appello creando una non giustificata disparità. Il legislatore non ha tenuto conto che tra i principi dettati dal legislatore del decreto delegato sul processo tributario vi era la previsione del’utilizzo più ampio del sistema postale, perché ritenuto il mezzo più idoneo a semplificare gli adempimenti processuali delle parti. La novella va nella direzione opposta, immotivatamente ed anche contro le disposizione di principio contenute nello statuto del contribuente che richiede la massima semplificazione degli adempimenti. Le commissioni tributarie prima di dichiarare inammissibile l’appello potranno chiedersi se detta nuova normativa non sia da ritenere non manifestamente infondata una questione di illegittimità costituzionale in quanto contraria al diritto alla difesa, limitato ora da tale disposizione. nito di sensibilità intellettuale e giuridica: “e inoltre, anche a questo vi esorto; a battere le vie che non percorrono i carri pesanti, a non spingere il cocchio sulle medesime orme degli altri, ma attraverso strade non battute […] anche se lungo una via più angusta”, Callimaco, Aitia, I, 25-28. 62 F. D’AYALA VALVA, La notifica dell’appello dell’amministrazione finanziaria, Riv. dir. trib., 2002, fasc. 3, II, 226. 63 C. GLENDI, Deposito documenti con effetto boomerang, in Il sole 24 ore, 28 novembre 2005, 25; C. SCALINCI, La novella dell’art. 53, D. Lgs. N. 546/1992 e irragionevole comminatoria “senz’appello” per mancato deposito in CTP., Riv. dir. trib., 2006, 11, I, 879; contra A. BUSCEMA, Appello inammissibile se non è depositato alla commissione che ha deciso, in www.dirittoegiustizia.it, nota a com. trib reg. Roma, sez VI, n. 78/2006. 641 Francesco D'Ayala Valva 6. L’impugnativa dell’autotutela negata Altra questione nuova sottoposta al giudice tributario riguarda l’impugnabilità del diniego dell’ufficio di procedere in autotutela. Con la sentenza resa a SS.UU. n. 16776 del 10 agosto 2005, si era aperto uno spiraglio sull’ampia problematica relativa all’impugnabilità del diniego dell’autotutela. La problematica, non ancora risolta in dottrina, nonostante il progressivo mutamento del tessuto normativo64, è rimbalzata sui giudici di merito, i quali non sono sembrati sensibili ad un differente esame della questione. In questo senso si può richiamare la sentenza n. 111/7/06 depositata il 15/5/ 2006, della commissione tributaria provinciale di Foggia, inedita, o la sentenza n. 195/3/06, depositata il 5 dicembre 2006, della commissione tributaria regionale di Potenza, in il Fisco 2007, 1035, di analogo tenore. La questione merita un approfondimento da parte delle commissioni tributarie in quanto la stessa Corte di cassazione con una successiva sentenza n. 1710 del 26 gennaio 2007, pur riaffermando la non sindacabilità del diniego, ha riconosciuto l’esistenza di un certo dovere dell’amministrazione in relazione al disposto dell’art. 97 Cost e dei principi di affidamento e buona fede. La porta non si è aperta ma spetta al giudice saper cogliere gli aspetti innovativi derivanti dalla necessità che la pubblica amministrazione rispetti i nuovi o vecchi principi ora codificati nello statuto del contribuente. 7. La sospensione dell’efficacia della sentenza della commissione tributaria regionale in pendenza di un ricorso per cassazione Altra questione che si affaccia all’esame delle commissioni tributarie, alla ripresa dei giudizi per Cassazione, è quella relativa all’applicabilità della norma cautelare di cui all’art. 373 c.p.c. (ai sensi dell’art. 62, comma 2, D. Lgs. N. 546/1992), in quanto nulla prevedono le norme sul contenzioso tributario in tema di sospensione cautelare della sentenza emessa dal giudice di secondo grado, in pendenza del giudizio di cassazione. Dopo qualche iniziale perplessità sembra ora affermarsi l’ammissibilità di una tale richiesta ed in tal senso si possono citare la sentenza n. 33/19/06, depositata il 5/4/2006 della commissione tributaria regionale del Lazio e l’ordinanza n. 08/38/06 depositata il 22 dicembre 2006 della commissione tributaria regionale della Lombardia. Tale orientamento è certamente condivisibile, non sussistendo particolari motivi che possano impedire l’ingresso di norme generali del processo anche in quello tributario. 64 F. D’AYALA VALVA, L’attivazione delle procedure di autotutela tributaria, Riv. dir trib., 2004, fasc. 2, I, 145. 642 Francesco D'Ayala Valva 8. L’interpello disapplicativo Le segnalazioni fin ora effettuate riguardano questioni in parte già sul tappeto. Merita tuttavia una espressa segnalazione, in quanto foriera di probabili contenziosi, la nuova normativa sull’interpello disapplicativo. Tra le più recenti anomalie del sistema tributario merita, senz’altro, menzione la disciplina dell’interpello disapplicativo ex art. 37-bis, comma 8, D.P.R. 600/1973 per le società di comodo di cui all’art. 30 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, come risultante dalle modifiche operate da ultimo dall’art. 35, comma 15, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248 e dall’art. 1, comma 109, della L. 7 dicembre 2006, n. 296. La disciplina delle società cosiddette di comodo detta una presunzione di non operatività nei confronti di alcuni soggetti65 per i quali l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi (esclusi quelli straordinari) è inferiore all’ammontare ottenuto applicando determinati coefficienti ad alcuni comparti dell’attivo patrimoniale (cosiddetto test di operatività). Il mancato superamento del suaccennato test di operatività comporta la qualifica come non operativo del soggetto interessato e, ai sensi del comma 3 dell’art. 30 L. 724/1994, sulla base di una presunta elusività, la rideterminazione del reddito in base all’applicazione di determinate percentuali alle poste dell’attivo dello Stato Patrimoniale (art. 30, comma 3, L. 724/1994). Il legislatore è intervenuto modificando sostanzialmente la disciplina delle società non operative con riferimento sia alle cause di esclusione soggettive che a quelle oggettive. In particolare la disciplina previgente, dal punto di vista soggettivo, escludeva ex lege la qualifica di non operativo: 1) per i soggetti per i quali, in ragione dell’attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2) per i soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività; 3) per i soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta; 4) per le società in amministrazione controllata o straordinaria; 5) le società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani; 6) società esercenti pubblici esercizi di trasporto; 7) le società con un numero di soci non inferiori a cento. Dal punto di vista oggettivo, invece, era prevista, a tutela delle società potenzialmente non operative, la possibilità di fornire la prova contraria alla presunzione di non operatività, dimostrando l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che avevano reso impossibile il conseguimento dei ricavi, proventi e incrementi di rimanenze “minimi” per non essere considerati non operativi. Per effetto delle recenti modifiche, in estrema sintesi, sono state rideterminante le percentuali da applicare ai valori patrimoniali, le percentuali relative alla determinazione dei ricavi minimi presunti, i coefficienti per la determinazione del reddito minimo qualora non sia superato il test operatività, ma soprattutto è stato eliminato, tra le cause ex lege previste di esclusione della disciplina del65 Quali le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata in nome collettivo e in accomandita semplice nonchè le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato. 643 Francesco D'Ayala Valva le società di comodo, la circostanza di trovarsi in un periodo di non normale svolgimento dell’attività66 e ancor di più, contestualmente alla soppressione della locuzione “salvo prova contraria”67, è stato introdotto un nuovo comma 4-bis all’art. 30 della L. n. 724/1994. In forza del nuovo comma 4-bis, infatti, “In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può chiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. Con particolare riferimento all’istanza di interpello per la disapplicazione della disciplina sulle società non operative l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 5/E del 2 febbraio 2007, ha fornito di recente alcune precisazioni. Nel corpo della circolare, infatti, l’Amministrazione Finanziaria ha espressamente chiarito che al fine di accentuare le finalità antielusive delle disposizioni sulle società non operative la novella introdotta dal comma 15, lett. d), dell’articolo 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella L. 4 agosto 2006, n. 248 ha previsto quale unica modalità per sottrarsi all’applicazione della disciplina in parola la preventiva presentazione dell’interpello disapplicativo ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 60068. In questa prospettiva, infatti, al fine di potenziare e rendere più efficace lo strumento dell’interpello, l’Agenzia delle Entrate ha previsto, a pena di inammissibilità dell’eventuale e successivo ricorso proposto dal contribuente69, l’obbligatorietà della presentazione. In altri termini, l’Amministrazione finanziaria farebbe discendere dalla soppressione operata dal legislatore dell’inciso “salvo prova contraria”70 l’impossibilità per il contribuente di far valere, in sede di accertamento o nel corso del contenzioso, le ragioni per la non applicabilità alla fattispecie concreta della disciplina delle società non operative. Pertanto, stante il carattere obbligatorio dell’interpello, secondo la summenzionata circolare, la mancata presentazione dell’interpello escluderebbe la possibilità per il contribuente di discutere in contraddittorio con l’Ufficio la non elusività del mancato raggiungimento dei ricavi “minimi”. Siffatta interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, relativamente all’obbligatorietà dell’interpello cosiddetto disapplicativo, offre spunto ad alcune riflessioni. 66 La L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) ha, altresì, riformulato una circostanza di esclusione ex lege della disciplina in commento, sono infatti ora escluse le società ed enti che controllano società ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed esteri, nonché le stesse società ed enti quotati e le società da essi controllate, anche indirettamente. 67 Si ricorda che la L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) ha eliminato l’inciso relativo al carattere straordinario della situazione oggettiva e conseguentemente la possibilità di ricorrere all’interpello disapplicativo è ora concessa a tutti i soggetti che a causa di situazioni oggettive non elusive non hanno potuto raggiungere le richieste soglie di ricavi e proventi. 68 Cfr. punti 1 e 3 della circolare 5/E del 2 febbraio 2007. 69 La questione è stata sollevata anche con un’interrogazione (5-00754) in Commissione finanze alla Camera dei Deputati del 21 febbraio 2007, ma, anche in questa sede, è stata confermata l’inammissibilità del ricorso proposto dal contribuente che, senza aver presentato l’interpello disapplicativo, sottopone al vaglio dei giudici la questione di operatività. 70 L’inciso salvo prova contraria è stato soppresso dall’art. 1, comma 109, lett. a) della legge 296/2006 (Finanziaria 2007). 644 Francesco D'Ayala Valva In primo luogo, non vi è chi non ravvisi l’illegittimità della menzionata interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate con la circolare in commento nella parte in cui l’Agenzia dell’Entrate fa proprio il potere di dichiarare inammissibile un ricorso. In secondo luogo, con la circolare 5/E sembra parimenti illegittima ove viene previsto un nuovo profilo di inammissibilità del ricorso al giudice tributario privo però di riscontro nel D.lgs 546/92 disciplinante il contenzioso tributario. Il giudice tributario dovrà pertanto affrontare nel prossimo futuro tale questione, ritenendo che l’amministrazione non demorderà dall’orientamento espresso. 9. I rinvii in tema di IRAP - Tanto tuonò che piovve Dopo tanto tergiversare sono state fissate le udienze dinanzi alla Suprema corte di Cassazione in tema di IRAP. Le sentenze fin qui depositate sono opera di diversi relatori e pur avendo sostanzialmente una unica direttiva, sembrano contenere dei distinguo che dovranno essere considerati dai giudici di merito. La Corte ha affermato in un caso che: a norma del combinato disposto degli artt. 2, primo periodo, e 3, comma 1, lettera c) del D. Lgs 15/12/1997, n. 446, l’esercizio delle attività di lavoro autonomo è escluso dall’applicazione dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non “autonomamente organizzata”. Il requisito dell’”autonoma organizzazione”, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle condizioni sopraelencate (viene quindi cassata la sentenza di merito che aveva ritenuto soggetto ad imposta un avvocato in quanto la sua attività risultava autonoma e non occasionale). 10. La condanna alle spese del giudizio Vi è certamente ancora una questione che i giudici tributari devono affrontare e risolvere: la questione delle spese del giudizio. L’innovazione è stata vista inizialmente con sospetto dai giudici e dalle stesse parti specie di quella pubblica. La corte costituzionale, con sentenza n. 274 del 12 luglio 2005, ha eliminato la norma di favore sulla non condannabilità dell’amministrazione in caso di annullamento dell’atto impugnato, ristabilendo l’equilibrio tra le parti. Le commissioni ora dovranno applicare il disposto normativo che ha sostituito il secondo comma dell’art. 92 cpc , espressamente richiamato dall’art. 15, capoverso del D. Lvo n. 546/1992. In particolare i giudici tributari dovranno tenere presente che l’innovazione si applica ai procedimenti instaurati dopo il 1 marzo 2006, e che il nuovo secondo comma dell’art 92 cpc sostituito, ex l. 645 Francesco D'Ayala Valva 28/12/2005, n. 263, art. 2, comma 1, recita ora “ Se vi è soccombenza reciproca o concorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per interero, le spese tra le parti”. L’innovazione legislativa porta a due conseguenze: la necessità di una espressa motivazione in caso di compensazione delle spese ed il rafforzamento dell’obbligo della condanna alle spese del soccombente come norma generale da applicare sempre nel processo tributario. 646
Documenti analoghi
Impugnabile ogni atto avente natura accertativa a prescindere dal
osservato che “in linea di massima nella sfera del contribuente si possono produrre soltanto gli
effetti negativi previsti dalla legge per il tipo di atto posto in essere ed in questo contesto... s...