“Guido Monaco di Pomposa” – Codigoro
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“Guido Monaco di Pomposa” – Codigoro
Istituto di Istruzione Superiore “Guido Monaco di Pomposa” – Codigoro Anno scolastico 2006-07 Docente: Anna Finetti Classe II C Liceo Socio-Psico-Pedagogico Guido Monaco Di Pomposa Guido Monaco al monocordo con il Vescovo Teodaldo (da un codice del XIII sec. ) L’Abbazia di Pomposa è probabilmente uno degli edifici di arte romanica più importanti attualmente in Italia. Antico monastero benedettino, ha avuto il suo periodo di massimo splendore dopo il Mille. La sua fama si estese velocemente per tutta Europa, molti pellegrini vi si recavano per le tappe giubilari o per godere della pace e dell’ospitalità dei monaci. Giotto, di passaggio per Padova fu tra questi e pare che lo stesso Dante sia stato a Pomposa due volte. La posizione dove sorse l’Abbazia di Pomposa, nel VI-VII secolo era molto favorevole per un monastero. Collocata nell’”Insula Pomposiana” godeva di una felice situazione climatica ed inoltre la vicinanza permetteva ai monaci la pratica eremitica nell’Isola di Bosco. Questo luogo riusciva a conciliare perfettamente diverse esigenze: portare i monaci all’osservanza fedele della regola di S. Benedetto alla luce delle nuove riforme, arrivare all’indipendenza economica e giuridica, fare del monastero un centro di vita intellettuale e spirituale, aumentare il numero dei monaci, fare di Pomposa un centro di cultura e di arte. Tutto questo avvenne negli anni di S. Guido Abate. (1008 - 1046), periodo nel quale il monastero raccoglieva più di un centinaio di monaci. Ma come si svolgeva l’educazione monacale? I bambini (pueri) entravano nel monastero giovanissimi, a circa otto anni e ricevevano dapprima l’istruzione elementare, imparavano cioè a leggere, scrivere e far di conto. Dopo si passava ad un insegnamento più elevato Grammatica, Retorica e Dialettica e più tardi alle arti del Quadrivio. Naturalmente particolare importanza veniva data alla Sacra Scrittura, alla Musica e al Canto, soprattutto per la preparazione liturgica. La formazione dei giovani seguiva la regola di S. Benedetto. Finiti gli studi, a circa vent’anni i monaci diventavano “professi”, soltanto alcuni ricevevano gli Ordini diventando “sacerdoti”. Sulla partecipazione dei pueri alla vita monastica le fonti ci riportano questo episodio. Il Conte Bonifacio di Canossa si che si era recato in visita al monastero rimase talmente impressionato dalla serenità dei giovinetti che ordinò ad un suo servo di andare sul tetto della basilica e lasciare cadere dei soldi. Tutti erano curiosi di vedere quello che sarebbe successo, ma i giovani non si mossero e, come se nulla fosse accaduto, continuarono le loro preghiere. L’aspetto odierno dell’Abbazia di Pomposa è ben noto, ma nei primi decenni dopo il 1000 non aveva quello che si presenta al visitatore odierno. Il campanile venne eretto nel 1063, l’edificio centrale venne prolungato di tre campate verso la facciata e completato con la costruzione del portico. Questi lavori vennero ultimati nel 1026. In seguito verrà rimaneggiato il chiostro grande, sistemati gli ambienti monastici e costruito il Palazzo della Ragione. Nemmeno la collocazione geografica rimase la medesima: con la rotta di Ficarolo (1152) il Po deviò il suo corso, il ramo de Po di Volano diminuì la portata, l’Insula Pomposiana perdette le sue caratteristiche, il terreno circostante divenne paludoso e insalubre, il mare si allontanò. Tutto questo negli anni in cui si trovava a Pomposa il nostro personaggio. Quando ci si avvicina, attraverso la ricca bibliografia, alla figura di Guido Monaco di Pomposa, la prima impressione che se ne riceve è che vi sia stato e vi sia tuttora un dibattito per attribuire i natali a questo illustre personaggio. Diversi studiosi hanno cercato di fornire dati plausibili per attribuire la patria del nostro Guido alle terre ferraresi o aretine, per cui lo troviamo indicato talvolta quale Guido d’Arezzo e talvolta come Guido Monaco di Pomposa. Le notizie certe ci dicono che nacque tra il 990 e il 1000, egli entrò nel monastero di Pomposa da ragazzo (puer) e che qui ricevette istruzione ed educazione monastica. Nei suoi scritti egli parla di Pomposa come il “suo” monastero, non ne menziona mai un altro ed indica l’abate Guido come suo vero padre spirituale e gli altri monaci come suoi confratelli, come la sua famiglia. Qui quindi studiò, imparò il canto e cominciò ad insegnarlo. Quando se ne andò, nel 1023-24, per lui fu un esilio. Guido Monaco divenne monaco professo verso il 1015 e, riconosciutegli dall’abate le particolari qualità musicali, venne nominato “cantor”, cioè maestro di canto per i pueri Statua di Guido ad Arezzo nella piazza omonima dell’Abbazia e per il coro dei monaci. Non abbiamo fonti dirette di questo periodo che ci illustrino come avvenne l’intuizione di Guido, ma sappiamo che fu proprio a Pomposa che egli iniziò ad applicare un nuovo tipo di insegnamento. Il suo metodo rivelò subito la sua portata innovativa: era facilmente appreso dai fanciulli che riuscivano ad esprimere facilmente il canto informa corale ordinata, come nemmeno i monaci anziani riuscivano più a fare, tanto da destare la viva ammirazione dei visitatori. Di Guido Monaco non abbiamo molti documenti originali, ma quello che gli studiosi citano più spesso è la lettera al monaco Michele. Da essa apprendiamo che i monaci anziani (non sappiamo quanti) si opposero vivamente al suo nuovo modo di insegnare il canto. In poche parole il fatto che attraverso questo metodo si potesse apprendere facilmente ciò in cui loro avevano tentato di migliorarsi per tutta la vita risultò scioccante. Nella lettera sopra citata Guido parla espressamente di “invidia”. Con questo Guido non cercava lo scontro, l’indole mite del nostro monaco fa sì che questi atteggiamenti siano per lui motivo di profonda sofferenza. Poche erano le alternative: o rinunciare al suo metodo, che aveva creato tanto scompiglio fra i monaci, o andare via da Pomposa. Per Guido fu una scelta “obbligata” e volontaria. Si recò ad Arezzo, nella quale era allora vescovo Teodaldo, proveniente da una nobile famiglia legata a Pomposa e che probabilmente aveva personalmente conosciuto Guido e il suo dramma. In questa città compose le cinque opere autentiche che ci sono rimaste di lui: il Micrologo, l’Antifonario, le Regole ritmiche, la lettera a Michele e l’Epistola ad Eriberto II. Continuò a svolgere l’attività di maestro di musica e di canto. Nel 1024 venne eletto al soglio pontificio Giovanni XIX il quale, conosciuta la fama della Micrologo di Guido Monaco presso la Biblioteca Ambrosiana (sec XV) scuola di Arezzo, invita Guido a recarsi a Roma. Il Papa guardò e sfogliò l’Antifonario di Guido e poi provò, secondo le regole, ad intonare un versetto a lui sconosciuto. Dopo aver fissato all’orecchio le sei note, il canto uscì con un’esattezza che fece sorprendere tutti i presenti. Pochi giorni dopo Guido Monaco ebbe occasione di incontrare anche Guido Abate, che, presa visione dello stesso Antifonario chiese ripetutamente a Guido di fare ritorno a Pomposa, esprimendo rammarico per non avere dato la giusta importanza al suo lavoro e per aver ascoltato i suoi avversari. Anche questo possibile ritorno a Pomposa di Guido vede schierati gli storici su due posizione distinte, notizie certe non ve ne sono. Più sicura è la data della sua morte, viene generalmente accettato l’anno 1050, quando Guido aveva 55 anni. Prima dell’invenzione di Guido i cantori avevano la possibilità di apprendere il canto unicamente dalla voce del maestro. Ripetevano a memoria quello che lui cantava e non riuscivano ad intonare alcuna melodia senza il suo aiuto. Inoltre non vi erano certezze sulla giusta intonazione, era possibile eseguire le indicazioni musicali riportate nei codici solamente se la lettura veniva affiancata dalla tradizione orale. Molto spesso gli antifonari esistenti erano interpretati in modi diversi, per cui la stessa melodia non incontrava mai uniformità di esecuzione. Fin dal IV secolo S. Ambrogio aveva introdotto il canto antifonico nella liturgia, ma sarà con S. Benedetto da Norcia che il monachesimo occidentale diventerà il creatore e divulgatore della musica ecclesiastica. Il benedettino S. Gregorio Magno ordinerà definitivamente il repertorio liturgico della Chiesa. Per l’esecuzione del canto gregoriano veniva però utilizzata la Teoria dei Modi e la notazione alfabetica del Sistema Perfetto di origine greca, che utilizzava venti suoni di grande estensione. L’esperienza di Guido Monaco si innestò su tutte queste radici preesistenti. Tutti i testi riportano il seguente episodio: mentre Guido ascoltava nell’Abbazia di Pomposa l’inno di S. Giovanni Battista, si rese conto che ad ogni inciso il suono aumentava di un tono o di un semitono. Ut queant laxis Resonare fibris Mira gestorum Famuli tuorum Solve polluti Labii reatum sancte Johannes Queste sei note, in successione crescente costituiranno la scala musicale che ancor oggi viene utilizzata (il si verrà aggiunto in seguito), chiarendo la distinzione fra toni, ma con un numero limitato (solo sei) e quindi facilmente memorizzabile di note. Per la corretta intonazione delle note venne utilizzato il monocordo, uno strumento già conosciuto ed antichissimo, formato di un’unica corda, sulla cui cassa di risonanza erano indicati i punti su cui imprimere le vibrazioni, per ottenere la nota desiderata. Già questa organizzazione dei suoni, in toni e semitoni di un esacordo sarebbe stata una invenzione straordinaria, ma Guido non si fermò a questo, andò oltre, con il rigo musicale. Guido non ha inventato il rigo musicale, perché veniva usato, (composto da un’unica riga) per indicare i segni mnemonici che aiutavano i cantori. Guido, accorgendosi che le tonalità musicali erano crescenti o decrescenti, ideò un rigo a più linee (dopo aver provato con due o tre linee arrivò a quattro), inventando così una scala grafica che rappresentasse la scala musicale ascendente e discendente. A questo punto era possibile scrivere e leggere la musica ed apprendere il canto senza necessariamente imitare l’esecuzione del maestro, il cantore dopo aver appreso la scala musicale con la distinzione degli intervalli (solfeggio) poteva leggere qualsiasi melodia fosse trascritta su un pentagramma Notazione per il monocordo (come diverrà in seguito, con l’aggiunta della quinta riga). Il compito del maestro di musica non veniva meno, ma era sicuramente cambiato. Si passava da un apprendimento per imitazione ad un apprendimento per conoscenza. Il maestro spiegava il valore e il significato del rigo musicale e delle note, con esercizi fissava nella memoria degli alunni la successione di toni e semitoni, finché l’alunno non diveniva autonomo nella lettura e nell’esecuzione di canti. Nei secoli successivi, proprio grazie al metodo guidoniano di scrittura musicale, fu possibile arrivare velocemente alla musica polifonica, che era certamente già praticata nel XIII secolo. La facilità di lettura e la precisione della grafia permettevano di eseguire le melodie a più voci (oltre le due, come era stato fino ad allora). La complessità era raggiunta attraverso un metodo estremamente semplice, non venendo mai meno la precisione nell’esecuzione. Considerazioni degli alunni Mattia T.: Sono rimasto molto impressionato dall’importanza dell’Abbazia di Pomposa e da Guido Monaco. Nell’abbazia ci sono andato spesso ne ero rimasto molto colpito, ma arrivare a pensare che la sua importanza fosse non solo nazionale, ma internazionale, questo non lo credevo proprio. E anche di Guido Monaco avevo notizie superficiali e invece ho capito ora quanto siano state fondamentali le sue intuizioni. Federico F.: questo lavoro mi ha dato alcune informazioni che prima non avevo sulla vita nei monasteri e sulla sua semplicità. Poi, un monaco, con un’invenzione assolutamente innocua sconvolge tutto questo e l’invidia ne fece anche allontanare alcuni. Una semplice invenzione ha creato una rivoluzione, sia nel monastero che nella storia della musica. Finessi C.: questo lavoro mi ha permesso di soffermarmi a pensare alla vita ed alle scelte dei giovani monaci, che entravano nel monastero all’età di otto anni. Tutto questo veniva vissuto con serenità, senza costrizione. Finessi G.: l’invenzione di Guido nell’ambito della storia della musica e certamente stupefacente, ma la cosa, a mio avviso ancora più incredibile è che, essendo lui maestro di canto, è arrivato a tale scoperta attraverso l’insegnamento ai bambini. Finessi L.: la cosa che mi ha maggiormente colpita di Guido Monaco è lui non era un musicista, ma è stato proprio lui ad inventare il pentagramma. Pensavo che fosse stato un musicista famoso. A questo punto mi rendo conto che a questo personaggio non è stata data la giusta importanza. Stefano M.. io ho trovato straordinaria l’intuizione che Guido ebbe dall’ascolto dell’inno a S. Giovanni. Pochi brevi versetti cantati, ed ecco un nuovo sistema, molto più semplice del precedente, per imparare a leggere e scrivere la musica. Francesca R.: io sono rimasta colpita oltre che da Guido Monaco anche dalla figura dell’Abate Guido. Fu lui che fece crescere questa abbazia come luogo d’arte e di cultura, qui sono passati Dante, Giotto, qui Guido ha inventato la notazione musicale. Jessica R.: io, durante questo lavoro, sono arrivata ad immaginare il carattere di Guido Monaco. Una persona che passava la sua giornata insegnando canto ai fanciulli e che rimase dispiaciutissimo dell’invidia nei suoi confronti da parte degli altri monaci, era sicuramente una persona positiva, così l’ho immaginato. Michele V.: io sono rimasto sorpreso dall’atteggiamento dei monaci dell’abbazia. Non mi sarei aspettato tante polemiche per un’invenzione così geniale, ma era chiaro fin da subito che Guido aveva ragione, altrimenti non sarebbero stati invidiosi. Giulia T.: sono rimasta molto colpita dalla diversità che vi era tra la vita dei bambini di allora e quella di oggi, da come erano tranquilli e sereni intonando i canti. Forse questo lavoro mi ha posto alcuni interrogativi su come può essere realmente la vita in un monastero. Annalisa B.: con questo lavoro mi sono resa conto non solo che la musica di oggi ha le sue radici nelle invenzioni di Guido Monaco, ma che attraverso esse la musica può essere scritta e comunicata agli altri, ha la possibilità di essere conservata nel tempo. Considerazioni dell’insegnante La prima parole chiave di questa esperienza è scoperta. Quando venne proposta l’attività venne scelto Guido Monaco di Pomposa per motivazioni logistiche ed organizzative e, perché no, perché di questo personaggio il nostro Istituto reca il nome: Guido Monaco di Pomposa, o di Arezzo, inventore delle note musicali. Sembrava che il tutto avrebbe ruotato attorno a queste semplici e brevi annotazioni. Poi è iniziata la scoperta vera e propria, abbiamo cominciato a calarci nei testi e a cercare di capire le informazioni in essi riportate ed a questo punto ciò che noi a priori potevamo ritenere prevedibile, ha rivelato tutto un altro spessore. Il nostro Guido non ha semplicisticamente dato un nome o inventato le note musicali, ma ha inventato l’alfabeto della musica, è riuscito a dare forma comprensibile, trasmissibile e scritta ad un’idea, una sensazione, alla musica. La seconda parola chiave è semplicità. La scoperta di Guido oggi ci può apparire semplice, ma da tutto ciò che abbiamo letto sappiamo anche che fu fondamentale. Noi, nel nostro percorso, abbiamo dovuto fare i conti con la semplicità, anche per noi era un’esigenza. Le nostre conoscenze di musica e di tutto ciò che attorno ad essa ruota erano poco più che elementari ed inoltrarci in testi che parlavano tecnicamente di musica medievale poteva creare alcune difficoltà. Ora, a lavoro ultimato, possiamo dire che ci siamo riusciti, non solo abbiamo capito il reale spessore del personaggio che abbiamo avuto la fortuna di scegliere, ma abbiamo avuto l’occasione di ampliare le nostre conoscenze sul mondo che ruotava attorno all’Abbazia di Pomposa e ai suoi monaci.
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