L`articolo di Stefano Bucci su “La lettura”
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Codice cliente: 9779028 CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 21 DOMENICA 23 MARZO 2014 Due parole in croce di Luigi Accattoli Odile Decq { Il sindacato dei credenti «Le chiedo di continuare a pregare per questo sindacato di credenti» ha detto Francesco al predicatore degli Esercizi di Quaresima. La Curia Romana come sindacato nel senso di «unione», tipo l’Unione degli atei, non si era mai sentita. Un nome sperimentale, inventato da un Papa che s’ingegna a chiarire che la Curia non è una Corte e la porta a un ritiro ad Ariccia, in pullman, proprio come fanno le associazioni e le unioni. Aperte da qualche giorno, si chiudono tra quasi due mesi le iscrizioni all’accademia che la progettista ha creato a Lione. Via ai corsi in autunno. «La didattica è bloccata, la scuola è lontana da società e informatica. Noi puntiamo su altri linguaggi: fisica, medicina, nuove tecnologie» 15 maggio 2014 L’ARCHITETTO SARÀ UN NEUROSCIENZIATO di STEFANO BUCCI P iù che di vero e proprio fallimento, Odile Decq preferisce parlare di «evoluzione naturale». L’architetto francese che ha firmato il Macro di Roma racconta così le radici del suo prossimo progetto: Confluence, il campus «per l’innovazione e le strategie creative in architettura» che si inaugurerà a ottobre a Lione (iscrizioni aperte fino al 15 maggio su www.confluence.eu). Un campus universitario (durata cinque anni) che dovrà «mettere insieme neuroscienze, nuove tecnologie, impegno sociale, arti visive, fisica per cambiare il senso e il futuro dell’architettura». Odile su questo sembra davvero non avere dubbi, confermando la fama di donna e progettista determinata, anche se il suo look così esteticamente deciso, tutto nero e veli, forse non rende adeguata giustizia alla sostanza di un architetto non a caso premiato con il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1992: «Dopo aver diretto per cinque anni, dal 2007 al 2012, l’École Speciale d’Architecture di Parigi mi sono accorta, con rammarico, che la didattica è rimasta bloccata nel tempo, che non è riuscita a mantenere il passo con i continui mutamenti della società e delle tecnologie». La soluzione? «Un sistema che possa rendere gli architetti in grado di lavorare nella società e non professionisti chiusi nelle loro torri d’avorio». Quello pronunciato da Odile Decq, davanti a un tavolino della caffetteria delle Gallerie d’Italia di Milano (in una delle tappe europee di un tour di promozione per la sua nuova scuola), suona come un requiem dell’iperspecializzazione in generale: «L’architettura non deve essere ridotta a una disciplina da tecnici di settore, ma deve aprirsi il più possibile al mondo. Deve insomma essere sempre più trans-disciplinare. Il mio sogno? Una nuova generazione di architetti del Rinascimento, umanisti del XXI secolo che siano aperti, alternativi, internazionali, collaborativi, innovativi». I modelli? «La scuola di Nigel Coates e Will Alsop a Londra, quella di Toyo Ito a Tokyo o la Sci-Arc di Los Angeles». La scelta di Lione non è certo casuale: «Una vera città europea, con una fortissima vocazione internazionale». Confluence è il nome del quartiere all’estremità sud di Lione, un’area di 150 ettari i Il campus Confluence è l’Istituto per l’innovazione e le strategie creative in architettura progettato da Odile Decq che si inaugura in autunno a Lione (in alto: un rendering dell’edificio). Iscrizioni aperte a studenti di tutto il mondo, laureati e non, fino al 15 maggio 2014 (www.confluence.eu). Il corso, diviso in un triennio e un biennio, dura 5 anni. I corsi, per la maggior parte online, saranno tenuti in lingua francese e inglese. Il numero degli studenti dovrebbe essere compreso tra 60 e 150. Cinque le aree tematiche: neuroscienze, nuove tecnologie, sociologia, arti visive, fisica Il personaggio Odile Decq (1955, sopra) si è laureata in Architettura all’Università di Parigi. Dal 1980 al 1998 ha guidato, con Benoît Cornette, lo studio Odbc. Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1992, Odile Decq ha firmato tra l’altro il progetto per il Museo di arte contemporanea (Macro) di Roma (2010-2011, a destra) collocata alla confluenza (appunto) della Rhône e della Saône (in precedenza occupata da stabilimenti industriali e dal 2003 oggetto di un’intensa mutazione) che accoglierà la scuola di Odile: 2.200 metri quadrati nella zona del vecchio mercato coperto. Sarà qui che gli studenti (minimo 60, massimo 150) potranno frequentare i corsi: «Saranno corsi à la carte, ognuno potrà scegliere il percorso didattico che preferirà e per la maggior parte saranno corsi online, quello che conta è che i nostri studenti siano motivati. Poco importa, in fondo, che siano o meno laureati». D’altra parte una buona motivazione appare quantomeno necessaria, considerato il costo non bassissimo della scuola (12 mila euro per il triennio, 14 mila per il biennio finale), anche se è previsto «un gran numero di borse di studio» gestito da un piccolo board («molto democratico») composto, oltre che dalla Decq, da Philippe Barrière, Matteo Cainer, Sony Devabhaktuni e Jean-Christophe Quinton (tutti architetti). A cui si aggiungeranno di volta in volta «altri architetti ma anche critici, artisti, pensatori, filosofi, registi, neuroscienziati, ingegneri e artigiani». Una molteplicità «di saperi e conoscenze che ci permetterà di realizzare tutto quello che vorremo, al di là di ogni possibile ideologia». In teoria nella scuola di Odile non ci saranno più maestri? La Decq sorride, giocherellando con uno dei suoi affascinanti anelli di argento: «La storia dell’architettura può essere importante solo se aiuta i giovani a trovare la propria strada, se li fa diventare consapevoli ma anche critici e moderni». A proposito di maestri, cosa ne pensa dell’Italia? «Questo Paese non deve fare i conti solo con un grande passato, ma anche con la stagione felice degli anni Settanta — spiega Odile — e così tutto è più complicato e difficile. Le generazioni precedenti non ne sono state molto capaci, ma i giovani, se troveranno i giusti strumenti, saranno senz’altro capaci di inventarsi modi alternativi per confrontarsi con il passato». E del «suo» Macro da tempo in crisi? È uno dei pochi momenti in cui Odile Decq sembra perdere il suo classico entusiasmo: «Non vorrei parlarne...». Poi aggiunge: «Il sindaco di Roma può decidere di cambiare o meno il direttore, ne ha il potere. Ma è questo il problema: ho visto passare tre direttori in tre anni e mezzo, impossibile impostare progetti e programmi a lunga scadenza. Forse una fondazione indipendente potrebbe essere una buona soluzione». Lo scorso dicembre Odile Decq ha ricevuto il Femme Architecte 2013. E a differenza della sua collega Zaha Hadid accetta, con molta tranquillità, di parlare di donne e architettura: «Il nostro lavoro non è certo riconosciuto come quello degli uomini, basta pensare che sono state solo due le donne premiate con il Pritzker, eppure oltre la metà degli iscritti ad architettura sono donne. Il problema è che per la maggior parte i clienti sono uomini e lo stesso vale per gli ingegneri e i tecnici. Confesso che in più di trent’anni di lavoro non ho mai lavorato faccia a faccia con un capo cantiere donna o con una donna ingegnere. Questo è il problema». Aspettando i nuovi architetti, donne comprese, che usciranno da Confluence, Odile non dimentica il prossimo appuntamento con la Biennale: «La più bella secondo me è stata quella di Fuksas, ho trovato abbastanza interessante quella di Sudjic, un po’ meno quella di Foster perché troppo accademica. Koolhaas quest’anno vuole fare il punto sulla progettazione del mondo. Lo trovo giusto, ma quali saranno le sue proposte concrete? Spero che, da questa edizione, arrivino nuovi linguaggi davvero universali». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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